LE NUOVE PROCEDURE PER I CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ DIFENSIVI DEL SETTORE INDUSTRIALE
LE NUOVE PROCEDURE PER I CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ DIFENSIVI DEL SETTORE INDUSTRIALE
(le considerazioni che seguono sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza)
Con un Decreto Ministeriale del 10 luglio 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 3 agosto, Il Ministero del Lavoro, in un’ottica di semplificazione delle procedure di accesso ai contratti di solidarietà difensivi del settore industriale, ha emanato un nuovo provvedimento destinato a sostituire, a partire dal giorno successivo, quelli precedenti e, precisamente, il n. 31445 del 20 agosto 2002 ed il n. 32842 del 16 settembre 2003.
Va, subito, chiarito che il nuovo DM (che reca il numero 46448) non trova, da un punto di vista procedurale, applicazione per i contratti di solidarietà stipulati ex art. 5, commi 5, 7 ed 8 della legge n. 236/1993, per i quali nulla è cambiato, atteso che, prima dell’invio alla Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali e gli Incentivi all’Occupazione, la Direzione provinciale del Lavoro è tenuta a compiere una serie di accertamenti amministrativi, finalizzati alla verifica della piena validità dell’accordo, nel rispetto delle previsioni legislative.
Il contratto di solidarietà difensivo, pur presente, da anni, nel nostro ordinamento, non ha trovato grossa applicazione per una serie di motivi che non è il caso di approfondire in questa sede (1): quello che rileva è che la perdita della retribuzione, per effetto dell’accordo di riduzione di orario, è compensata, parzialmente, sotto forma di integrazione salariale, con copertura contributiva. Va, peraltro, ricordato come l’art. 1, comma 6, del
D.L. n. 78/2009 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102/2009, abbia aumentato, in via sperimentale, per gli anni 2009 e 2010, la percentuale integrativa di copertura dell’intervento che è passata dal 60% all’80%. Tale aumento, è bene precisarlo, non riguarda i contratti di solidarietà nel loro complesso, ma soltanto quelli del settore industriale (art. 1, comma 1, della legge n. 863/1984), restando esclusi quelli disciplinati dall’art. 5, commi 5, 7 ed 8, della legge n. 236/1993.
Tra gli obiettivi principali del nuovo provvedimento amministrativo c’è quella della regolamentazione del c.d. “pagamento diretto” in favore dei lavoratori, prima escluso, in via generale, in un’ottica che si inserisce nella linea portata avanti con l’art. 7 – ter della legge n. 33/2009, ove, con i primi tre commi, si ipotizzano una serie di situazioni che facilitano la piena operatività dell’istituto. Con il primo, ad esempio, è espressamente affermato (con un periodo aggiunto al comma 6 dell’art. 2 della legge n. 223/1991 – disposizione, peraltro, richiamata dall’art. 5 del DM n. 46448/2009 -) che con il provvedimento autorizzativo della CIGS viene disposto (ovviamente, se richiesto dal datore) il pagamento diretto in favore dei lavoratori, fatta salva l’eventuale revoca qualora gli organi di vigilanza della Direzione provinciale del lavoro accerti l’inesistenza delle difficoltà finanziarie. Sulla stessa “lunghezza d’onda” si pongono i successivi due commi ove si afferma che le imprese che chiedono la CIGS o la CIG in deroga con pagamento diretto, a partire dalle sospensioni in atto dopo il 1° aprile 2009, presentano la domanda
nei 20 giorni successivi all’inizio della sospensione o della riduzione di orario (comma 2) e che, in via sperimentale per il biennio 2009 – 2010, in attesa dell’emanazione dei provvedimenti integrativi in deroga, l’INPS anticipa i trattamenti sulla base della sola domanda telematica del datore, corredata dagli accordi conclusi con le parti sociali e con l’elenco dei beneficiari, secondo un iter procedimentale che ha visto coinvolti, a vario titolo, nelle singole realtà, le Regioni, le parti sociali e l’INPS (comma 3).
Il DM n. 46448 definisce (come del resto, avevano fatto i provvedimenti amministrativi precedenti) il campo di applicazione (art. 2): possono far ricorso all’istituto tutte le imprese rientranti nel settore industriale che rientrano nel campo di applicazione della CIGS, comprese le aziende appaltatrici dei servizi di mensa e dei servizi di pulizie con appalti in imprese industriali, che si trovano in trattamento integrativo. La disposizione, in perfetta analogia con l’art. 1, comma 1, della legge n. 223/1991, richiede il rispetto di un limite dimensionale, quello della media dei quindici dipendenti, riferiti all’ultimo semestre, facendo rientrare nel computo sia gli apprendisti che gli assunti con contratto di formazione e lavoro.
Così come è scritto il dettato amministrativo richiede alcune riflessioni.
La prima concerne il concetto di media: l’arco temporale di riferimento è il semestre precedente, cosa che potrebbe portare all’attivazione di un contratto di solidarietà con un organico che, all’atto della richiesta, è inferiore al limite numerico fissato, ma che nel periodo considerato è nella media. Ciò può avvenire, ad esempio, in quelle aziende in cui l’organico dei mesi precedenti era superiore, ma lo stesso si è ridotto per risoluzione anticipata del rapporto con alcuni dipendenti. Va, peraltro, sottolineato come negli altri contratti di solidarietà, quelli ex art. 5, comma 5, della legge n. 236/1993, il requisito del limite dei quindici dipendenti deve sussistere al momento dell’attivazione della procedura.
Il secondo chiarimento riguarda le tipologie contrattuali che rientrano nella base di computo: ripetendo, pedissequamente, il contenuto del precedente DM, il Ministero del Lavoro, specifica che gli apprendisti e gli assunti con contratto di formazione e lavoro rientrano nella base di calcolo. Il discorso va, indubbiamente, bene per la tipologia dell’apprendistato in tutte le sue forme ( ex lege n. 196/1997, professionalizzante, acquisizione di un diploma o alta formazione, diritto – dovere all’istruzione e formazione, peraltro non ancora attuato), ma suscita qualche perplessità il riferimento ai contratti di formazione e lavoro, cancellati nel settore privato da quasi sei anni per effetto del D.L.vo
n. 276/2003. Probabilmente, si è trattato di una svista e, sicuramente, sarebbe stato meglio parlare dei contratti di inserimento ex art. 54 del D.L.vo n. 276/2003 atteso che, il successivo art. 59 li esclude dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative ed istituti. Va, peraltro, ricordato che la prassi, consolidatasi nel corso degli anni, li ha inclusi, ritenendoli, in sostanza, “eredi dei contratti di formazione e lavoro”, pur essendo questi molto lontani come “genus”. La stessa cosa si potrebbe dire (ma anche qui il Decreto Ministeriale avrebbe dovuto esprimersi esplicitamente) per i lavoratori già impegnati in lavori socialmente utili o di pubblica utilità assunti a tempo pieno ed indeterminato o a tempo parziale ed indeterminato che, stando alla previsione contenuta nell’art. 7, comma 4, del D.L.vo n.
81/2000, non rientrano nella base di calcolo per l’applicazione di particolari istituti previsti dalla normativa legale o dalla contrattazione collettiva. La loro computabilità si dovrebbe ricavare indirettamente, atteso che la disposizione fu inserita nel 2000, come incentivo normativo per i datori di lavoro “assumenti” per facilitare l’assunzione di tali soggetti e contribuire allo “svuotamento” del bacino degli LSU.
La terza delucidazione riguarda il settore editoriale ove la specialità della normativa riferita alle imprese editrici di quotidiani e di periodici, alle agenzie di stampa, fa sì che l’attivazione della solidarietà possa avvenire a prescindere dal limite dimensionale dei quindici dipendenti: la cosa appare giusta anche alla luce della profonda trasformazione che sta subendo il settore.
Il quarto chiarimento concerne le imprese industriali soggette ad una procedura concorsuale come il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo o l’amministrazione controllata: qui ci si trova di fronte a situazioni di crisi finale che, in sostanza, difficilmente prospettano una ripresa dell’attività produttiva e per le quali il Legislatore ha previsto, quale ipotesi integrativa, l’intervento della CIGS (art. 3 della legge n. 223/1991), con pagamento diretto, per un massimo di dodici mesi, ma per le quali è precluso il ricorso alla solidarietà che, è bene ricordarlo, è uno strumento finalizzato alla conservazione dei posti di lavoro ed alla ripresa dell’attività.
La quinta delucidazione concerne il campo di “non applicazione” della solidarietà: essa non riguarda i cd. “casi di fine lavoro o di fine fase lavorativa”, strettamente connaturati alla natura dell’impresa edile ove, appunto, si lavora, sostanzialmente, per fasi successive. L’esclusione, tuttavia, non è assoluta in quanto la riduzione di orario può ben riguardare quei dipendenti dell’impresa che sono inseriti in modo permanente nella struttura ed il cui rapporto (si pensi, ad esempio, al personale impiegatizio) non è legato alla fine dei lavori nel cantiere. Nel campo di applicazione dell’istituto non rientrano neanche i contratti a tempo determinato stipulati ex D.L.vo n. 368/2001 per soddisfare esigenze di natura stagionale (art. 2, comma 5). Da ciò ne discende che possono rientrarvi i lavoratori a termine con altra causale come, ad esempio, quella correlata ad una sostituzione per maternità.
L’art. 3 individua i soggetti beneficiari della solidarietà: sono tutti i dipendenti, con esclusione dei dirigenti, degli assunti con rapporto di apprendistato e dei lavoratori a domicilio, mentre per i lavoratori a tempo parziale il contratto di solidarietà, con ulteriore riduzione di orario, è ammissibile a condizione che il rapporto sia strutturato all’interno della organizzazione del lavoro nell’impresa.
Da quanto appena detto discendono, anche in questo caso, alcune considerazioni.
La prima riguarda gli apprendisti: essi sono, indubbiamente, esclusi dalla solidarietà difensiva ex art. 1, comma 1, della legge n. 863/1984, mentre sono compresi nell’intervento integrativo ex art. 5, comma 5, della legge n. 236/1993 che, è bene ricordarlo, trova applicazione nei confronti delle imprese non industriali dimensionate sui quindici dipendenti. C’è, tuttavia, da aggiungere un particolare non secondario: per effetto dell’art. 19, comma 1, lettera c) della legge n. 2/2009, parzialmente modificato dall’art. 7-
ter della legge n. 33/2009, anche per i giovani impiegati con tale tipologia formativa c’è una forma di sostegno del reddito che consiste nell’intervento, per un massimo di novanta giorni per tutta la durata del contratto (ma i giovani devono essere in forza presso il medesimo datore alla data del 28 novembre 2008), di una integrazione il cui costo è sostenuto dall’INPS e dall’Ente Bilaterale (nella misura del 20%), con la possibilità, in caso di mancato sostegno da parte di quest’ultimo, di confluire nei c.d. “ammortizzatori in deroga”.
La seconda delucidazione concerne i rapporti a tempo parziale: per l’intervento “solidaristico” si richiede che gli stessi siano strutturati nell’organizzazione, senza fare alcun riferimento alla loro durata nell’arco temporale preso a parametro di riferimento. Così come è scritta la disposizione sembra “tagliare fuori” soltanto i contratti a tempo parziale destinati a soddisfare un’esigenza di natura stagionale o temporanea.
Con l’art. 4 del DM si entra nelle modalità applicative con una prima puntualizzazione: l’esubero, risultante dalla sottoscrizione dell’accordo, deve essere quantificato e motivato. Da ciò discende che l’accordo tra le parti deve essere finalizzato a scongiurare il ricorso ai provvedimenti di licenziamento: esso può avvenire sia nel corso di una procedura di mobilità, ma anche al di fuori della stessa (cosa importante, atteso che tutta una serie di adempimenti burocratico – formali previsti dall’art. 4 della legge n. 223/1991, non vengono necessariamente richiesti). L’accordo, sottoscritto in rappresentanza dei lavoratori, da sindacati aderenti a confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (che da un punto di vista strettamente normativo, sono i titolari deputati alla stipula di accordi nella procedura collettiva di riduzione di personale), può essere raggiunto in sede aziendale o sindacale, oppure in sede amministrativa presso la Provincia o la Regione, in quanto l’art. 3, comma 2, del D.L.vo n. 469/1997 ha conferito o delegato una serie di poteri agli Enti locali, tra cui quello della promozione dei contratti di solidarietà, della conciliazione amministrativa delle controversie collettive ex art. 4 della legge n. 223/1991, e dell’esame congiunto per la CIGS ex lege n. 164/1975.
L’accordo deve contenere alcuni elementi necessari che la circolare del Ministero del Lavoro n. 33/1994, a suo tempo, indicò e che sono, tuttora validi:
1. data di stipula del contratto;
2. esatta individuazione delle parti stipulanti;
3. contratto collettivo applicato;
4. orario di lavoro e sua articolazione;
5. data dell’apertura della procedura di mobilità (se l’accordo è intervenuto nel corso della stessa) e numero degli esuberi dichiarati;
6. quantificazione del personale eccedentario risultante al momento della stipula dell’accordo;
7. motivazioni e cause che hanno determinato l’esubero di personale;
8. data di decorrenza del contratto di solidarietà;
9. durata del contratto di solidarietà;
10. forma di riduzione dell’orario di lavoro (giornaliero, settimanale o mensile, anche nella forma verticale che, tuttavia, per l’INPS va tradotta in termini settimanali, come richiesto dalla circolare n. 212/1994);
11. articolazione puntuale della riduzione;
12. parametrazione sull’orario medio settimanale;
13. indicazione complessiva della percentuale di riduzione dell’orario;
14. possibili deroghe all’orario concordato;
15. misure ipotizzate dalle parti stipulanti finalizzate ad agevolare il mantenimento della base occupazionale.
A questi elementi essenziali che il contratto di solidarietà deve necessariamente contenere se ne debbono aggiungere due: il primo è rappresentato dal fatto che nell’atto si deve affermare che gli istituti contrattuali e legali differiti vengono riproporzionati, mentre il secondo riguarda l’indicazione nominativa dei lavoratori destinatari dell’intervento: ciò può risultare da un documento allegato, con qualifica, data di assunzione ed unità operativa o reparto cui sono addetti.
Da tale ultima considerazione scaturisce un ulteriore problema: possono essere variati i nominativi individuati nell’elenco? La risposta è positiva se ciò, nel rispetto del numero complessivo indicato, è previsto nell’accordo di solidarietà: in caso contrario, occorre stipularne uno nuovo, inviandolo sia alla Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali e gli Incentivi all’Occupazione del Ministero del Lavoro, che all’INPS.
Un’altra questione, risolta, da tempo, dalla Corte di Cassazione, riguarda gli effetti dell’accordo nei confronti di tutti i lavoratori, anche di quelli non aderenti alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo: esso è pienamente cogente nei confronti di tutti, così come avviene per gli accordi raggiunti al termine della procedura di mobilità, atteso che il Legislatore ritiene le associazioni sindacali siano portatrici di interessi collettivi e come tali unici soggetti abilitati alla stipula.
Il comma 3 dell’art. 4 afferma il c.d. “principio di congruità”, secondo il quale il contratto di solidarietà difensivo è ritenuto idoneo a perseguire lo scopo allorquando la percentuale di riduzione concordata tra le parti, parametrata su base settimanale, non supera il 60% dell’orario di lavoro contrattuale dei lavoratori coinvolti dall’accordo. La disposizione è cambiata rispetto al testo contenuto nel DM n. 31445/2002, ora abrogato: lì, infatti, si affermava che il contratto di solidarietà era considerato idoneo allorquando “la percentuale di riduzione di orario concordata tra le parti è tale che il totale del numero delle ore non lavorate dalla complessiva platea degli interessati al contratto stesso risulti superiore nella misura del 30%, ovvero inferiore nella stessa misura percentuale, al numero delle ore che
sarebbero state effettuate dai lavoratori dichiarati in esubero”. Da quanto appena detto, la flessibilità adottata con l’attuate Decreto Ministeriale appare più ampia.
Ma cosa succede se per soddisfare esigenze di maggior lavoro si ritiene opportuno derogare alla rigidità dell’accordo sottoscritto? La risposta è nella deroga eventuale che dovrebbe essere stata prevista nell’accordo collettivo da cui trae origine il contratto di solidarietà. In questo caso il datore di lavoro è tenuto a comunicare la variazione di orario “al competente ufficio del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali”. Probabilmente, il testo, ad avviso di chi scrive, avrebbe dovuto essere meno “criptico”, parlando apertamente della Direzione provinciale del Lavoro che effettua “ex post” i controlli attraverso il proprio organo di vigilanza, o della Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali e gli Incentivi all’Occupazione che ha emesso il provvedimento di concessione.
Ma se la crisi aziendale comporta la necessità di una ulteriore riduzione di orario, cosa bisogna fare? Occorre stipulare un nuovo contratto di solidarietà cui, necessariamente (art. 4, comma 4) deve seguire una nuova istanza. La ragione di ciò è rinvenibile nel fatto che con la solidarietà si individua un certo numero di personale eccedentario che non viene licenziato ma per il quale, attraverso il ricorso “solidaristico”, si individua una sorta di “non attivazione” della procedura, per tutta la durata del contratto.
L’ultimo comma dell’art. 4 (comma 5), riprendendo, con lievi modifiche, quanto già affermato all’art. 4, comma 7, del DM n. 31445/2002, afferma che prestazioni di lavoro straordinario per i lavoratori in solidarietà non sono ammesse, a meno che l’impresa che vi abbia fatto ricorso non provi che ciò sia stato determinato da esigenze sopravvenute e straordinarie correlate all’attività produttiva.
Quanto appena detto offre lo spunto per alcune riflessioni.
La prima riguarda il divieto di lavoro straordinario, in generale, per i soggetti in solidarietà. La cosa appare oltremodo ovvia, atteso che la collettività, attraverso i trattamenti integrativi, “paga” una situazione di crisi temporanea, cosa che non si evidenzia per quei lavoratori, se si ricorre a prestazioni lavorative che vanno oltre il normale orario di lavoro. Il divieto può essere superato con la dimostrazione delle sopravvenute e straordinarie esigenze produttive (es. una commessa da evadere, assolutamente, in un ristretto arco temporale). Ovviamente, le c.d. “cause di forza maggiore”, legate ad eventi imprevedibili e fuori dall’ambito di controllo del datore di lavoro (es., situazioni meteorologiche particolarmente pesanti), che hanno determinato un maggior lavoro (ad esempio, per ripulire i locali e le pertinenze aziendali dai danni di un alluvione), sono perfettamente ammissibili.
La seconda riflessione concerne i lavoratori non coinvolti dal programma di solidarietà: per essi non ci sono limiti allo svolgimento del rapporto di lavoro in tutte le sue articolazioni contrattuali, con la conseguenza che il “blocco delle prestazioni straordinarie” non li riguarda in alcun modo.
La terza riflessione si riferisce alla possibilità di nuove assunzioni: ad avviso di chi scrive, nuove assunzioni, anche a tempo determinato, sono possibili nelle imprese con trattamento integrativo in corso, allorquando si tratta di figure professionali non interessate alla riduzione di orario come, ad esempio, se le stesse riguardano ingegneri o periti informatici, mentre la “solidarietà” riguarda personale operaio. Le assunzioni a termine, per le figure professionali interessate alla solidarietà non sono possibili, per espresso divieto contenuto nell’art. 3, comma 1, lettera c) del D.L.vo n. 368/2001. L’interpretazione autentica di tale norma è contenuta nell’art. 3 – bis della legge n. 172/2002 ove, peraltro, viene sancita una deroga al divieto in favore delle sole imprese interessate ai contratti di solidarietà ex art. 5, comma 5, della legge n. 236/1993.
L’art. 5 si occupa del pagamento diretto del trattamento integrativo e qui, rispetto al passato, ove l’istituto non era, in linea di massima previsto, vi sono grosse novità. Ora, è possibile il pagamento diretto anche per i trattamenti previsti dal contratto di solidarietà difensivo, secondo la previsione, innovativa, contenuta nell’art. 7 – ter, comma 1, della legge n. 33/2009. Con tale disposizione il Legislatore è intervenuto sull’art. 2, comma 6, della legge n. 223/1991 affermando che (il riferimento è alla CIGS) “il pagamento diretto ai lavoratori è disposto contestualmente all’autorizzazione del trattamento di integrazione salariale straordinaria, fatta salva la successiva revoca nel caso in cui il servizio competente accerti l’assenza di difficoltà d’ordine finanziario dell’impresa”. Per il pagamento diretto ai lavoratori da parte dell’INPS occorre, in ogni caso, una situazione di crisi finanziaria che, successivamente, all’erogazione sarà oggetto di esame da parte del “servizio competente”, perifrasi che nel Decreto Ministeriale sta per “ Direzione provinciale del Lavoro” che esercita il controllo attraverso il proprio personale ispettivo. Quest’ultimo deve evidenziare, le difficoltà dell’impresa riscontrabili non soltanto dall’andamento produttivo, ma dalle difficoltà di bilancio, dai ritardi nei pagamenti dei clienti, ivi compresa la Pubblica Amministrazione, dalla difficoltà di accedere al credito presso gli Istituti bancari. Se l’impresa si trova in difficoltà economiche e intende richiedere il pagamento diretto deve inoltrare l’istanza “oltre che al competente Ufficio del Lavoro, anche al servizio ispezione delle Direzioni provinciali del Lavoro territorialmente competenti in base alla ubicazione delle unità aziendali interessate dall’intervento stesso”.
Se è concesso fare una sommessa critica, si può affermare che il testo pecca, ad avviso di chi scrive, di qualche imprecisione. L’Ufficio del Lavoro (se con esso si vuole intendere una due articolazioni periferiche del Ministero del Lavoro, una volta esistenti sul territorio) non c’è più da oltre un decennio, essendo stato assorbito, assieme all’Ispettorato del Lavoro, nell’unica nuova articolazione territoriale della Direzione provinciale del Lavoro che comprende i due servizi, quello delle Politiche del Lavoro e quello dell’Ispezione. Par di capire dal testo normativo che il datore di lavoro deve inviare due comunicazioni, dello stesso contenuto al medesimo Ufficio: al servizio politiche del lavoro (ex Ufficio del Lavoro) ed al servizio Ispezioni del lavoro (ex ispettorato). E’ questa la lettura del testo amministrativo predisposto dal Ministero del Lavoro, a meno che per Ufficio del Lavoro (ma la cosa non appare credibile essendo, sin dall’inizio del loro operare, individuati con altro nome) non ci si riferisca agli Enti locali (Regione e Provincia) che per effetto dell’art. 3, comma 2, del D.L.vo n. 469/1997, “promuovono i contratti di solidarietà”, ma che, finora,
da un punto di vista amministrativo, non sono stati, mai coinvolti, dal Ministero del lavoro nei controlli concernenti i trattamenti integrativi salariali straordinari.
Il trattamento di integrazione salariale per la solidarietà viene corrisposto per un periodo massimo di ventiquattro mesi, prorogabile, a determinate condizioni (art. 7, comma 1, della legge n. 48/1988), per un massimo di altri due anni: nei territori del Meridione, individuati con il DPR n. 218/1978, la proroga può giungere fino a trentasei mesi. Superati i limiti massima di durata, un nuovo contratto di solidarietà può essere stipulato dopo che siano trascorsi almeno dodici mesi dal termine del precedente.
Con l’art.7 del DM n. 46448/2009 si affronta il problema relativo alla eventuale deroga al limite massimo: c’ da sottolineare, innanzitutto, che la disposizione è abbastanza simile a quella contenuta nel DM n. 31445/2002 ora abrogato, differenziandosene soltanto per il fatto che non c’è più l’obbligo di mantenere in azienda almeno il 50% dei lavoratori eccedenti. La disposizione da attuazione alla previsione contenuta nell’art. 1, comma 9, della legge n. 223/1991 ed individua le condizioni e le modalità attraverso le quali può essere superato, per ciascuna unità produttiva, il limite massimo dei trentasei mesi di trattamento integrativo straordinario nell’arco di un quinquennio anche nelle ipotesi dei contratti di solidarietà. Va ricordato che l’art. 4, comma 35, della legge n. 608/1996 riferisce il quinquennio “ad un arco temporale fisso”. Alla luce di queste premesse, la norma dispone che il limite massimo di fruizione può essere superato qualora il ricorso al contratto di solidarietà si ponga quale strumento alternativo all’apertura della procedura di mobilità ex art. 4 della legge n. 223/1991: in sostanza, si è tolto il limite percentuale della garanzia del posto per almeno la metà del personale eccedentario, in un’ottica che privilegia la conservazione del posto di lavoro, in attesa che venga superata la crisi che attanaglia la nostra economia.
1. per un approfondimento v. X. Xxxxx: Codice degli ammortizzatori sociali, Ipsoa Indicitalia, 2009.
Xxxxxxxx XXXXX
Dirigente della Direzione provinciale del Lavoro di Modena