CAPITOLO III - OGGETTO SOCIALE ED ATTIVITÀ DI AMMINISTRAZIONE 3.3
CAPITOLO III - OGGETTO SOCIALE ED ATTIVITÀ DI AMMINISTRAZIONE 3.3
vità stessa in quanto attività non occasionale ed anzi espressamente individuata dall’oggetto sociale, ma piuttosto la particolare tipizzazione del rapporto intercor- rente tra la società incaricata ed il committente l’incarico (il condominio) che non potrà dirsi essere un rapporto basato su un contratto d’opera o su un contratto d’appalto, trovando esclusivamente la propria causa in un rapporto di mandato.
Sotto questo aspetto è evidente l’opportunità di non confondere la professionalità dell’attività svolta con la tipizzazione del rapporto che si instaura tra la società che svolge quella attività ed il suo committente. In altre parole, la società che si prefig- ga di svolgere l’attività di amministrazione di condominio costituisce, pur sempre, una società che, avendo fatto di tale attività il programma del proprio oggetto so- ciale, appalesa comunque lo svolgimento dell’attività stessa (indipendentemente dalla considerazione che si tratti di una attività professionale non inquadrabile in uno schema di rapporto di lavoro dipendente), in maniera sistematica e, perciò, con i caratteri della professionalità e della imprenditorialità, ancorché il rapporto che la lega al committente l’incarico non possa essere considerato come un contrat- to d’opera o di appalto, rientrando sempre nell’ambito del rapporto di mandato.
Tali conclusioni, per inciso, hanno indotto alcuni studiosi del fenomeno (Paolini 2007c) a ritenere come tale attività debba considerarsi incompatibile, nonostante le contrarie conclusioni della Circolare del Ministero delle Attività Produttive del 4 luglio 2003, n. 554611, con l’attività di mediazione che, secondo quanto stabilito dalla legislazione speciale in materia, deve essere attività esclusiva, incompatibile con altre attività professionali o imprenditoriali comunque svolte.
Sul problema di come debba tipizzarsi il rapporto che si instauri tra il committente e la società chiamata ad amministrare il condominio, è estremamente interessante la recente Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 15 maggio 2007, n. 99/E. Es- sa, pronunciandosi su una problematica fiscale relativa all’applicabilità della ritenu- ta d’acconto sui corrispettivi erogati dal condominio all’amministratore che rivesta la forma di società di persone o di capitali, finisce per dare un convincente inqua- dramento sistematico delle differenti fattispecie che possono venirsi a determinare rispetto alla questione del tipo di rapporto che tipizza l’accordo tra il committente e la società. In tale ambito occorre distinguere essenzialmente due ipotesi: il caso della società che svolge professionalmente l’attività di amministratore di condomi- nii e che è stata incaricata di amministrare un condominio in dipendenza di un mero rapporto di mandato, ed il diverso caso della società tra professionisti che svolge in via di fatto l’attività di amministrare il condominio, in assenza di una specifica formulazione in tal senso contenuta nell’oggetto sociale, in quanto chia- mata sulla base di un rapporto professionale di prestazione d’opera o sulla base di un apposito contratto di appalto. Nella prima ipotesi, rifacendosi a quanto sancito dalle conclusioni di Xxxx. 22840/2006, sopra richiamate, l’Agenzia evidenzia come il rapporto posto in essere è esclusivamente un rapporto basato su un mandato di rappresentanza, estraneo alla caratterizzazione di un rapporto d’opera o di appalto,
3.3 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
con la conseguenza che il reddito prodotto dalla società costituisce reddito d’impresa al quale resterà inapplicabile la ritenuta d’acconto. Nel secondo caso, invece, il rap- porto che si instaura è un rapporto basato su un contratto d’opera intellettuale o di appalto e, essendo il compenso corrisposto dal condominio alla società, un reddito derivante da prestazioni di lavoro autonomo, la ritenuta sarà sempre dovuta.
PROPOSTA DI OGGETTO SOCIALE TIPO
La società ha per oggetto lo svolgimento dell’attività di prestazione di servizi consistente nello svolgimento della attività di amministrazione dei condominii negli edifici, con attribuzione alla stessa di tutti gli incarichi inerenti l’esecu- zione delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini, la disciplina dell’uso del- le cose comuni, la riscossione dei contributi dei singoli condomini e la eroga- zione delle spese occorrenti per le parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni, nonché del potere di rappresentanza per il condominio nei limi- ti consentiti dalle attribuzioni previste per legge.
La società, in via non prevalente ma in funzione strumentale al perseguimento dell’oggetto sociale sopra esposto e quindi in via meramente occasionale, potrà altresì compiere tutte le operazioni commerciali, industriali ed immobiliari ed inoltre – con esclusione di qualsiasi operazione svolta «da e nei confronti del pubblico» – potrà porre in essere anche operazioni finanziarie e mobiliari; il tut- to a condizione che si tratti di operazioni che il proprio organo amministrativo reputi necessarie, utili od opportune al fine di consentire lo svolgimento delle attività di cui all’oggetto sociale primario suindicato. La società, entro i limiti sopra enunciati, e quindi in funzione del conseguimento del proprio oggetto so- ciale principale, potrà, in particolare, compiere:
– operazioni di finanziamento dal lato passivo, anche mediante stipulazione di contratti di mutuo con concessione di garanzie reali su beni immobili di pro- prietà sociale;
– operazioni di apertura di rapporti bancari di conto corrente,
– operazioni aventi ad oggetto la concessione di fidejussioni con limiti massimi di garanzia prestabiliti; di avalli; di garanzie in genere, anche reali, a favore di chiunque, sia nell’interesse della società che di terzi;
– operazioni di assunzione, allo scopo di stabile investimento e non al fine del collocamento presso il pubblico, diretta ed indiretta, di interessenze e/o quote di partecipazione, in altre società italiane od estere, costituite o costituende, aventi scopi affini o analoghi al proprio, sempreché, per la misura e per l’oggetto della partecipazione, non risulti – di fatto – modificato l’oggetto sociale sopraesposto.
CAPITOLO IV
OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI E DI SERVIZI AD ESSE COLLEGATI
GIURISPRUDENZA
Corte cost. 345/1995; Cass. 21 marzo 1989, n. 1405; Cass. 11 giugno 2008, n. 15530; Cass.
18 aprile 2007, n. 9237; Trib. Genova 22 ottobre 1987, Soc, 1988, 187; Trib. Roma 00 xxxx-
xxx 0000, XX, 0000, 3432; Cons. St. 9 marzo 1998, n. 35; Cons. St. 11 maggio 1998, n. 72; Cons. St., sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2940, RN, 1/2003, 127 ss.; T.A.R. Parma 15 luglio 2008, n. 353
QUESTIONI
Il problema del superamento del limite dato dal- l’intuitus personae e dalla responsabilità perso- nale per le prestazioni professionali: il rischio che attraverso il paravento societario si possa consenti- re lo svolgimento dell’opera intellettuale anche a chi non fosse abilitato a tali prestazioni. Il limite posto dall’art. 2232 c.c. attinente al momento dell’esecuzione dell’opera ma non al momento gestionale dell’organizzazione dell’attività neces- saria alla prestazione. La necessità di distinguere tra professioni «protette» e professioni «non pro- tette» per le quali ultime i limiti all’esercizio del- l’attività con ricorso alla fattispecie societaria erano caduti sin dalla l. 1815/1939. La questio- ne dell’estensione dell’ammissibilità di società in- terdisciplinare tra professionisti prevista dalla novella del 2006 anche alle società tra professio- nisti «monodisciplinare». La questione della par- tecipazione da parte di soci di capitale. La prima breccia storicamente aperta nel sistema: le società di progettazione industriale: l’esclusività, o meno, della loro attività. Le disposizioni speciali previste per il settore dell’avvocatura: vi rientrano anche le società di pura consulenza legale? Lo svolgi- mento in forma societaria delle professioni medi- che: la differenza tra le società costituite per lo
svolgimento della professione e le società di presta- zione di servizi strumentali all’esercizio della pro- fessione medica. Le problematiche attinenti al diverso caso delle case di cura: la cessazione del monopolio ospedaliero pubblico nella cura e nella profilassi delle malattie: dal sistema del conven- zionamento al sistema dell’accreditamento. La questione dell’ampliamento della domanda nel settore tradizionalmente considerato quale ausi- liario alla professione medica: le professioni pa- ramediche.
L’attività delle farmacie e la complessa evolu- zione della materia: la figura moderna del far- macista-imprenditore ed il riconoscimento della libertà di associazionismo: le differenze nel set- tore delle farmacie private e nel settore delle farmacie comunali: le società a partecipazione pubblica.
Le problematiche attinenti le società di servizi: la questione del camuffamento, sotto l’espres- sione «società di servizi» di società effettiva- mente svolgenti attività professionali. Gli spe- cifici controlli in materia di C.A.F. e l’appli- cabilità delle disposizioni dettate per le società tra professionisti anche alle attività stragiudi- ziali di recupero crediti.
4.1 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
Sezione I
Il problema dello svolgimento delle attività professionali in forma aggregata
SOMMARIO 4.1. Generalità. - 4.2. Il limite della prima apertura normativa e le ulteriori brecce operate nel sistema. - 4.3. L’effettivo fulcro attorno al quale ruotano le ragioni del divieto ed il superamento del problema della personalità della prestazione. - 4.4. La rilevanza della distinzione tra professioni protette e professioni non protette. - 4.5. Le condizioni poste dalla normativa attuale per lo svolgimento in forma societaria delle attività professionali protette. - 4.6. Conclusioni.
BIBLIOGRAFIA Ascarelli 1962 - Xxxxxxxx 1985 - Bussoletti 1990 - Pavone La Rosa 1998 - Fer- rara Jr. e Corsi 1999 - Leozappa 0000 - Xx Xxxx 0000 - Xxxxxxxxx 0000.
4.1. Generalità.
LEGISLAZIONE c.c. 2229, 2230, 2231, 2232, 2238 - l. 23 novembre 1939, n. 1815, artt. 1-2 -
l. 7 agosto 1997, n. 266.
La l. 23 novembre 1939, n. 1815, art. 2 ha storicamente costituito il vincolo nor- mativo, a lungo considerato insormontabile, per il quale lo svolgimento delle atti- vità professionali non può avvenire attraverso l’utilizzo dello strumento societario. La norma disponeva, infatti, il divieto di esercitare in forma diversa da quella con- sentita dall’art. 1 della medesima legge (e cioè in forma diversa da quella dell’as- sociazione) attività inerenti prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecni- ca, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria. Ma, al di là del dato normativo, le ragioni per le quali l’Ordinamento ha escluso la possibilità che le at- tività professionali potessero essere svolte in forma societaria sono da ricercare tra quelle stesse ragioni che si è già evidenziate, nel precedente capitolo, quali ragioni che impedivano il ricorso alla fattispecie societaria per lo svolgimento della attività di amministrazione: ossia la necessità della personalità della prestazione a fronte, da un lato, dell’«intuitus personae» caratterizzante il rapporto tra il committente e l’uti- lizzatore del servizio e, dall’altro, la necessità di conservare comunque all’utiliz- zatore del servizio la certezza del soggetto al quale addossare eventuali responsabili- tà per danni causati nello svolgimento della attività richiestagli. Il tutto senza con- tare la necessità di evitare il rischio, sempre fortemente avvertito, che, attraverso lo strumento societario, stante il netto diaframma che tale strumento pone tra il sin- golo partecipante alla società ed il terzo estraneo ad essa, si consentisse lo svolgi- mento della prestazione professionale, attraverso il paravento societario, appunto, anche a chi non fosse legalmente ed amministrativamente idoneo allo svolgimento della professione.
CAPITOLO IV - OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI 4.1
La tradizionale visione dottrinale in proposito, poi, era stata nel senso di operare una netta distinzione tra le prestazioni intellettuali e le attività imprenditoriali, ca- ratterizzate, le une, da una prestazione assolutamente legata alla persona e dipen- dente unicamente da questa, e le altre, da una prestazione che, lungi dal dipendere esclusivamente dall’attività svolta da un soggetto, costituiva invece il frutto di una prestazione articolata e complessa dipendente da una attività svolta attraverso l’au- silio di una organizzazione che, pur facendo capo ad un imprenditore, prescinde dalla esclusività della attività di questi. Sotto tale aspetto l’eventualità di una socie- tà tra professionisti veniva vista come un vero e proprio mostro giuridico al cospet- to del quale si sarebbe venuta a creare una piena coincidenza di identità tra il pro- fessionista e la società la quale, acquisita la sostanza di centro unitario di imputa- zione a cui sarebbe giuridicamente riferibile l’attività professionale, diverrebbe essa stessa il professionista intellettuale (in tal senso Xxxxxxxx 2004, 224).
Né, del resto, può farsi a meno di notare come anche nel ceto professionale vi è stata, nel tempo, una certa riluttanza a consentire una confondibilità tra la propria attività intellettuale con l’attività di impresa, vuoi per un orgoglio ed una sorta di gelosia quasi di casta, vuoi per l’avvertito rischio di mettere in dubbio la propria indipendenza allorché l’attività professionale entrasse a far parte di una più ampia organizzazione di tipo imprenditoriale, vuoi per il timore di un concreto abbatti- mento delle proprie prospettive reddituali a seguito della più spiccata concorrenza che un mercato imprenditoriale aperto alle professioni avrebbe certamente genera- to, vuoi ancora per il pericolo, anch’esso seriamente avvertito, che l’entrata del sin- golo professionista all’interno di una organizzazione imprenditoriale costituita da alcuni altri professionisti, potesse chiudere a ciascuno l’opportunità di poter colti- vare quella parte di clientela alla quale altro o altri professionisti partecipanti alla medesima organizzazione, risultassero invisi.
Tuttavia, a fronte di questi argomenti normativi, dottrinali e di logica di sistema, è pur vero che l’evoluzione del contesto economico in cui il professionista si trova a dover operare, il drastico aumento della complessità delle prestazioni professionali e quindi la necessità di ricorrere a mezzi operativi e a metodologie di lavoro non sempre rintracciabili comodamente in capo al singolo, unitamente all’aumento esponenziale di investimenti e costi necessari allo svolgimento dell’attività profes- sionale, hanno indotto, nel tempo, alla necessità di ricorrere, anche in campo pro- fessionale, a strumenti operativi comuni a più soggetti e di cui il singolo professio- nista costituisca solo una parte. Invero, una prima apertura in tal senso, era conte- nuta nella stessa l. 1815/1939 il cui art. 1 disponeva la piena ammissibilità dello svolgimento dell’attività professionale in forma associata.
Dopo un lungo periodo in cui lo svolgimento dell’attività professionale non sfug- giva all’unica alternativa di svolgersi, o in forma individuale, o in forma associativa, si è fatta gradatamente strada una terza via che ha, però, rappresentato un vero e proprio «limbo» nel quale restavano spesso confusi i contorni relativi alla effettiva
4.2 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
attività svolta: quella delle società di servizi. In tali fattispecie, infatti, la società non nasce con il precipuo fine di svolgere attività professionali, ma di collaborare con il professionista, anche estraneo alla stessa compagine societaria, al quale viene offerta quell’organizzazione di mezzi e di strutture che siano divenute imprescindibili allo svolgimento della sua attività intellettuale, senza inficiare tuttavia, almeno sulla carta, la personalità della propria prestazione. Il problema restava quello che non sempre, nel ricorso alla società di servizi, vi era un effettivo disinteressamento della società al- lo svolgimento dell’attività del professionista rispetto alla quale, invece, spesso la so- cietà stessa veniva a trovarsi direttamente o indirettamente coinvolta. Con la conse- guenza che l’operatore giurista e la giurisprudenza di merito, al cospetto di oggetti sociali tipici di società di servizi, hanno mostrato spesso più di qualche riluttanza, con la sola eccezione, forse, delle società di servizi costituite nell’ambito medico le quali, negli ultimi anni, hanno riscosso una notevole diffusione.
Ad eccezione di alcune legislazioni speciali, intervenute per la disciplina di ipotesi specifiche (come ad esempio quella delle società di progettazione industriale), non sempre peraltro scevre da difetti di coordinamento con le norme codicistiche e con le disposizioni della l. 1815/1939, si è dovuto attendere la l. 7 agosto 1997, n. 266 perché finalmente il divieto normativo posto dall’art. 2, l. 1815/1939 (relativo alla impossibilità di svolgere l’attività professionale in forma societaria) venisse definiti- vamente a cadere.
4.2. Il limite della prima apertura normativa e le ulteriori brecce operate nel sistema.
LEGISLAZIONE c.c. 2232, 2238 - l. 7 agosto 1997, n. 266 - d.lg. 12 aprile 2006, n. 163 - d.l. 4
luglio 2006, n. 223 - l. 4 agosto 2006, n. 248.
Tale prima apertura normativa reca seco il grave limite di non ottemperare, almeno direttamente, ad un utile coordinamento con le disposizioni codicistiche in materia di esercizio delle professioni intellettuali, di cui agli artt. 2229 ss. c.c., rinviando, a tal fine, ad un emanando regolamento che avrebbe dovuto concretamente disciplinare le modalità di esplicazione dell’attività professionale sotto la struttura societaria, perve- nendo ad una organica disciplina che consentisse di regolamentare il passaggio dei vincoli e delle limitazioni previsti dalla legge in capo al singolo professionista, nel- l’esercizio della propria attività professionale, all’ambito societario.
Invero, il tentativo di produrre un sistema di norme regolamentari di tal fatta è sta- to più volte messo in cantiere attraverso il ricorso ad un Regolamento interministe- riale che, tuttavia, non ha mai visto la luce soprattutto a causa di forti contrasti, so- stenuti perfino dinanzi al Consiglio di Stato (Cons. St., sez. Consultiva per gli atti normativi, 9 marzo 1998, n. 35/98; Cons. St., sez. Consultiva per gli atti normati-
CAPITOLO IV - OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI 4.2
vi, 11 maggio 1998, n. 72/98), in ordine al principio che le tipologie societarie considerate ammissibili fossero solo quelle esponenti i soci ad una responsabilità illimitata e al principio, reputato inderogabile, per cui, a far parte della compagine sociale, potessero entrare esclusivamente soci professionisti e dunque soci d’opera, con esclusione di qualsiasi partecipazione da parte dei soci di capitale.
Al di là di queste considerazioni che definiremmo «di merito», il Consiglio di Stato aveva peraltro sollevato la forte obiezione per cui la materia che andava ad intacca- re principi fondamentali di natura costituzionalistica, civilistica e fors’anche am- ministrativa, non poteva essere regolata con il semplice ricorso al sistema normati- vo regolamentare, certamente di rango inferiore.
Di fronte ad elementi di tale portata e al silenzio del legislatore, la prassi operativa, in sede di regolamentazione dell’attività del professionista, ha perpetuato il ricorso allo strumento associativo come unica alternativa allo svolgimento dell’attività in forma individuale, in aderenza alle previsioni dell’art. 1, l. 1815/1939 superstiti all’opera abrogativa delle disposizioni recate dalla l. 266/1997.
A quasi dieci anni dalla emanazione di questa legge, l’impulso verso l’apertura delle professioni intellettuali al sistema organizzativo tipico dell’impresa, soprattutto in relazione a problematiche di concorrenza e di mercato, si fa talmente forte, da in- durre il legislatore a tornare sull’argomento con un intervento normativo, il d.l. 4 luglio 2006, n. 223 convertito con modificazioni nella l. 4 agosto 2006, n. 248, che contiene, non soltanto una riaffermazione generica del principio secondo il quale devono ritenersi abrogati tutti i limiti ed i divieti previsti dalla legislazione in materia di svolgimento dell’attività professionale in forma societaria, ma altresì una serie di previsioni (come quelle relative all’abolizione di tariffe professionali inde- rogabili e all’abrogazione del divieto di pubblicità informativa per le attività profes- sionali) che segnano chiaramente una definitiva apertura del mondo delle profes- sioni alla struttura d’impresa. Nel contempo non si può dimenticare che, in mate- ria di regolamentazione delle c.d. «società di ingegneria», il d.lg. 12 aprile 2006, n. 163, emanato in attuazione delle Direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE, conferisce definitivamente diritto di cittadinanza a tali tipi sociali, offrendo altresì un organigramma di norme che disciplina in maniera specifica la materia lasciando all’interprete, contrariamente a quanto era accaduto al cospetto dei precedenti in- terventi di settore nella stessa materia, ben poco spazio.
I tempi, dunque, sembrano ormai maturi per uno storico cambio di rotta nel setto- re delle professioni intellettuali.
Sennonché, ancora una volta, forse a causa di una cultura giuridica che in Italia è talmente radicata anche presso le Istituzioni, da accogliere con discreta freddura ogni innovazione che abbia a determinare nette rotture con il passato, l’azione promossa dal legislatore nel senso suindicato si muove attraverso trame strutturali che lasciano spazio a non pochi dubbi applicativi. In particolare sono due gli ele- menti che impediscono di conferire alla novella quella portata dirompente che, in-
4.3 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
vece, avrebbe meritato. Da un lato sembrerebbe perpetuato quel difetto di coordi- namento con la norma codicistica (in particolare l’art. 2232 c.c.) che richiede inde- rogabilmente, in materia di prestazione professionale, il rispetto dell’obbligo di esecuzione personale della prestazione da parte del professionista, evidentemente considerato difficilmente compatibile con la struttura societaria. Xxxxxx continua a spettare all’interprete il compito di individuare l’esatto meccanismo che, in assenza di precise disposizioni di legge, riesca a coniugare l’apertura verso la struttura societa- ria, con il principio (che, nonostante l’intervento legislativo, continua ad essere inde- rogabile) della personalità della prestazione e dell’indipendenza del professionista.
Dall’altro, lascia adito a più di una perplessità il pressoché esclusivo interessamento del legislatore alle società professionali interdisciplinari, con l’ovvia considerazione dubitativa dell’ammissibilità delle società tra professionisti appartenenti alla mede- sima area operativa.
4.3. L’effettivo fulcro attorno al quale ruotano le ragioni del divieto ed il su- peramento del problema della personalità della prestazione.
A ben vedere, il vero motivo che ha storicamente fatto considerare incompatibile l’at- tività del professionista e l’attività d’impresa si impernea sul concetto di «personalità del- la prestazione». Più volte la dottrina (in particolare in tal senso Xxxxxxxxx) aveva affer- mato che, qualora nella esecuzione della prestazione professionale il singolo si fosse an- che avvalso di una struttura più o meno organizzata, ciò non avrebbe potuto determina- re l’assoggettamento dell’attività svolta all’ambito dello Statuto dell’imprenditore, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate, essendo l’esecuzione dell’opera comun- que una prestazione personale facente capo al professionista ed esclusivamente a lui.
Sotto questo aspetto si comprende come il vero problema è quello di evitare che, a seguito della costituzione di una società tra professionisti, possa generarsi la logica deduzione per la quale, come sostenuto dalla dottrina tradizionale, debba necessa- riamente evincersi una pratica coincidenza tra la società e la veste di professionista; convinzione, questa, scaturente come corollario del presupposto, tutt’altro che di- mostrato ma storicamente dato per scontato, della piena e necessaria coincidenza tra colui che assume l’incarico di svolgere una determinata prestazione e colui che quella prestazione deve eseguire. In altri termini, la tradizione giuridica, giunta pressoché costante fin quasi ai nostri giorni, in presenza di una struttura societaria composta da una compagine di professionisti che si fossero «associati» al fine dello svolgimento della propria attività, avrebbe fatto fatica ad individuare la distinzione tra il momento «gestorio» dell’attività richiesta dal committente rispetto al diverso momento «esecutivo» dell’attività stessa, fino al punto di concludere per l’inscin- dibilità dei due momenti che, perciò, diventavano indistinguibili anche sotto l’aspet- to dei soggetti ai quali dovevano essere ascritti.
CAPITOLO IV - OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI 4.3
A condividere questa tesi, la questione dell’ammissibilità delle società tra professio- nisti non può che condurre ad un binario morto. Sennonché, come ampiamente affermato dalla dottrina più recente, e come si accennava sopra, la tesi tradizionale parte da un presupposto indimostrato la cui serrata analisi conduce, anzi, ad un pieno ribaltamento delle posizioni assunte. Se, infatti è innegabile che la prestazio- ne professionale debba essere una prestazione strettamente personale, legata indis- solubilmente alla persona del singolo professionista, è altrettanto vero che tale per- sonalità della prestazione va unicamente ricondotta al momento esecutivo della stessa, momento al quale si applica e continua ad applicarsi, l’art. 2232 c.c. la cui stessa rubrica è, in merito, di lapalissiana interpretazione. Al contrario, il momento prettamente gestionale inerente, non le modalità esecutive dell’incarico assunto, ma tutti gli altri aspetti, che vanno dall’assunzione dell’incarico, alle modalità di contrattazione dello stesso, fino alla determinazione di specifici aspetti di responsa- bilità, potranno benissimo far capo ad un soggetto diverso dall’esecutore ed essere financo assunte, appunto, da una struttura societaria alla quale il professionista ap- partenga. In un illuminante recentissimo Convegno, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx ha esau- rientemente affermato che:
Aprire, (. ) alle società tra professionisti, non significa, come prospettato da al-
cuni Commentatori, ipotizzare che la società stessa divenga professionista e ga- rantisca, con la permanente coincidenza soggettiva tra chi assume e chi esegue l’incarico, il rispetto del principio di personalità della prestazione tradizional- mente inteso, ma significa, piuttosto, prendere finalmente atto che il principio evocato attiene esclusivamente al piano dell’esecuzione dell’incarico professiona- le, e non si estende altresì al momento, puramente gestionale, di assunzione dell’incarico medesimo
(Xxxxxxxxx 2008, 135-166).
È anche vero che fissare la rilevanza della personalità della prestazione con riferimen- to al solo momento esecutivo, lasciando che sia la società a doversi occupare del di- verso momento gestionale, comporterebbe il rischio di sottrarre alla discrezionalità del singolo professionista l’esecuzione dell’incarico posto che all’adempimento di quello il professionista sarebbe obbligato in forza dell’impegno assunto dalla società (che abbia accettato l’incarico) nei confronti del terzo committente. Ma, come è sta- to evidenziato dal suddetto Autore, l’accettazione dell’incarico da parte della società non è tout court vincolante per il professionista che quell’incarico deve eseguire stante il fatto che resta riservata comunque al professionista la discrezionalità dell’esecuzio- ne che egli potrà anche denegare sulla scorta di considerazioni tecniche o di natura deontologica rimesse alla esclusiva sua cognizione e ponderazione.
Si tratta di un passaggio non sempre del tutto chiaro e che quindi, ad avviso di chi scrive, meriterebbe particolare attenzione nella stesura di un oggetto sociale di so- cietà tra professionisti, al fine di far rilevare come l’autonomia che è riservata al
4.3 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
professionista nell’esercizio delle proprie funzioni (professionali) di esecuzione della prestazione conservano comunque allo stesso, nonostante la presenza di una strut- tura societaria, la esclusiva valutazione tecnica e deontologica sulla fattibilità della prestazione. È come se, in sostanza, il momento dell’assunzione dell’incarico si du- plicasse in due momenti distinti: il primo, attinente ai rapporti verso l’esterno, che inerisce l’accettazione dell’incarico da parte del committente e che è riservato alla società (o meglio a chi questa gestisce), il secondo che attiene ai rapporti interni, tra il professionista e la società da un lato e tra il professionista ed il committente dall’altro, che inerisce l’effettiva accettazione dell’incarico da parte del professioni- sta, da intendersi quale momento nel quale al professionista (e solo a lui) è riservata la valutazione della effettiva fattibilità dell’incarico ricevuto sotto l’aspetto tecnico e di conformità alle norme che quell’incarico disciplinano, e che potrà comportare anche un giudizio negativo con conseguenziale venuta meno della vincolatività ri- spetto all’impegno assunto dalla società nei confronti del terzo committente.
La conclusione cui si giunge, quindi, non può che essere nel senso che il concetto di «esercizio collettivo della professione in forma di società», se letto negli stretti termini letterali in cui è posto, continua ad essere un mostro di diritto, soprattutto se considerato alla stregua della norma di cui all’art. 2232 c.c. La struttura societa- ria, oggi ormai ammessa pur entro i limitati e fumosi, per certi versi, limiti indicati dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, art. 2, infatti, non genera un esercizio collettivo del- la professione né, tanto meno, implica un trasferimento in capo all’ente della veste di professionista (con conseguenziale annacquamento della rilevanza della persona- lità della prestazione), ma esclusivamente appresta un apparato di organizzazione che è strumentale all’attività del professionista, in considerazione della raggiunta complessità di mezzi e di impianti organizzativi di cui il professionista al giorno d’oggi ormai ha bisogno, lasciando comunque alla persona del singolo professioni- sta l’esecuzione della prestazione e scongiurando, sotto tale aspetto, la spersonaliz- zazione della prestazione a favore di una «personalizzazione» della stessa in capo all’ente e quindi scongiurando qualsiasi trasferimento all’ente di responsabilità, ci- vile e disciplinare, nei confronti del cliente. Si comprende, quindi, come la novella del 2006 non è riuscita ad assumere la funzione che avrebbe dovuto avere: quella della emanazione di una disciplina organica sulla società tra professionisti, fattispe- cie nei confronti della quale manca, ancora oggi, una regolamentazione che possa indurre l’operatore verso certezze incontrovertibili nel momento in cui egli si trovi a dover abbozzare la nascita di una organizzazione di natura societaria relativa allo svolgimento della professione intellettuale in forma aggregata. Tuttavia è altrettan- to innegabile come la disciplina posta dalla citata l. 248/2006, art. 2, abbia aperto uno squarcio nel sistema tradizionale; squarcio col quale l’operatore dovrà fare i conti, pur nella difficoltà di trattare tematiche che, pur all’interno di una regola- mentazione di massima offerta dai dettami di principio contenuti nella stessa nor- ma, restano per alcuni versi ambigue e di complessa regolamentazione. Di fronte a
CAPITOLO IV - OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI 4.4
tale innovazione normativa, per quanto approssimativa nei suoi contenuti prescrit- tivi, non si potrà fare a meno di riconoscere, ormai, la piena cittadinanza, anche nel nostro Ordinamento, all’esercizio in forma societaria di una attività libero- professionale la quale, dal punto di vista dogmatico, conserverebbe i caratteri di una società sui generis esercente, non un’impresa commerciale ma un’impresa civi- le, come già oltre trent’anni fa, in tal senso veniva valutata da certa dottrina (Xxxxxxx Xx Xxxx 1977, 48 ss.) la società professionale.
In questa prospettiva dovrà subire una valutazione specifica anche il problema sulla responsabilità dei professionisti che rendono la propria opera ricorrendo alla strut- tura societaria. La loro responsabilità va inquadrata secondo le specifiche peculiari- tà che derivano dalla descritta scissione tra il momento «gestorio» relativo alla as- sunzione dell’incarico da parte della società ed il momento «esecutivo» dell’attività stessa da parte del professionista. Chi esegue l’incarico risponde in proprio, sul pi- ano civilistico e deontologico-professionale, delle conseguenze dell’attività compiu- ta nei confronti del cliente per eventuali inadempimenti e per eventuali fatti illeciti professionali, con tutto il suo patrimonio. Ma, accanto a tale responsabilità che grava sul professionista in quanto incaricato dell’esecuzione della prestazione, si pone la responsabilità della società specificamente relativa all’inadempimento che si inquadra nel rapporto obbligatorio società/cliente al quale il professionista-socio è estraneo.
4.4. La rilevanza della distinzione tra professioni protette e professioni non protette.
Sulla base di tali risultanze normative e delle specificate conclusioni, è possibile af- fermare l’inesistenza di una preclusione, in termini assoluti, allo svolgimento in for- ma societaria anche di una attività professionale sebbene, come evidenziato, restano
– in mancanza di una disciplina organica della materia – diversi elementi problema- tici circa l’effettivo assetto statutario e regolamentare interno di tali società.
Addentrandoci in una valutazione della fattispecie più vicina al dato normativo, è opportuno effettuare una netta distinzione rispetto alla differente tipologia di pro- fessionisti, a seconda che si tratti di professionisti per i quali sia obbligatoria l’iscri- zione in elenchi, albi o ruoli professionali e professionisti per i quali tale obbligo non sussiste.
A tal riguardo, il codice civile non pone una distinzione tra «professioni protette» e
«professioni non protette» che, invece, risulta essere il frutto di una ricostruzione puramente dogmatica che serve a distinguere le professioni per le quali, in conside- razione della particolare specializzazione richiesta per l’attività da svolgere, si ri- chiede l’iscrizione ad albi od ordini professionali, alla quale è preordinata, di solito, una abilitazione; e professioni per le quali, stante la prevalenza dell’attività mera-
4.4 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
mente materiale su quella intellettuale, non si richiede alcuna preventiva abilitazione all’esercizio dell’attività e quindi alcuna iscrizione in albi od elenchi professionali. Il codice, piuttosto, distingue tra professioni intellettuali e non, volendo sottolineare, con ogni probabilità, la differenza tra l’attività dei professionisti la cui opera è conno- tata dal tratto dell’intellettualità rispetto all’attività dei professionisti la cui opera si svolge su un piano prevalentemente o assolutamente materiale. I due ambiti di di- stinzione, quella codicistica e quella dogmatica, al di là della diversa terminologia uti- lizzata, rilevano in relazione all’attività societaria perché la chiusura del sistema nei confronti della struttura societaria (pur con i limiti evidenziati grazie alle nuove di- sposizioni normative sopra richiamate) è riferibile unicamente alle professioni intel- lettuali e dunque alle c.d. professioni protette, essendo, le professioni non protette, liberamente gestibili in forma societaria sin a partire dalla legge del 1939.
La giustificazione di questa diversità di trattamento è rinvenibile sol che si faccia riferimento al fatto che le professioni non intellettuali non soggiacciono al proble- ma della esecuzione personale della prestazione posto dall’art. 2232 c.c. Infatti chi esercita una professione non intellettuale è libero di regolare il proprio rapporto con la clientela, sia facendo riferimento al contratto d’opera intellettuale, in analo- gia a quella regolamentazione che è preposta alla prestazione intellettuale e che quindi richiede, a mente del citato art. 2232 la personalità della prestazione, ma potrà altresì liberamente scegliere di regolamentare quello stesso rapporto con il richiamo al mezzo tecnico del contratto di appalto di servizi, ai sensi dell’art. 1655 c.c., ove l’elemento della personalità rileva esclusivamente in rapporto al rischio as- sunto e sopportato, appunto, personalmente da chi offre il servizio il quale, però, potrà operare attraverso una organizzazione imprenditoriale di mezzi e di persone funzionalizzata all’espletamento dell’incarico assunto e avendo persino facoltà di unirsi in società con altri. La spersonalizzazione che, in tal caso, subisce la presta- zione d’opera rende compatibile lo svolgimento dell’attività con la struttura socie- taria e, segnatamente, con una struttura societaria di qualsiasi tipologia (rendendo quindi indifferente il ricorso a società di persone o a società di capitali). In tale prospettiva l’attività che programmaticamente il professionista si prefigge di svolge- re assume, al momento dell’ingresso di questi in una compagine societaria, le fat- tezze di un conferimento di servizi in una società la cui attività esterna sarà parago- nabile a quella di qualsiasi altra società che intenda svolgere attività diretta alla produzione di servizi.
All’interno, poi, delle stesse attività professionali protette, occorre distinguere tra quelle che sono le attività specifiche del professionista e per le quali, appunto, è ri- chiesta quella particolare «specializzazione» ufficialmente accertata dal superamento dell’abilitazione professionale in dipendenza della quale è consentita l’iscrizione all’ordine o all’albo professionale, e quelle che sono le attività complementari che il professionista potrà svolgere indipendentemente dalla avvenuta iscrizione all’albo o al proprio ordine. Il riferimento è a tutte quelle attività, genericamente individuate
CAPITOLO IV - OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI 4.5
come attività di assistenza e di consulenza, per le quali, anche alla luce delle ultime aperture giurisprudenziali, non si richiede più quella «esclusività» che tradizional- mente aveva determinato generiche privative monopolistiche. Anche per questo tipo di attività che esorbitano dall’attività tipica del professionista, non pare vi sia- no ostacoli a che, per lo svolgimento della stessa, si possa liberamente far riferimen- to alla struttura societaria, al pari di ciò che avviene per lo svolgimento delle attivi- tà professionali non protette.
4.5. Le condizioni poste dalla normativa attuale per lo svolgimento in forma societaria delle attività professionali protette.
Per quanto attiene alle c.d. «professioni protette», l’ammissibilità del ricorso allo strumento societario, confermato dalla recente l. 4 agosto 2006, n. 248, art. 2 (c.d. legge Bersani), è sottoposta al rispetto di particolari condizioni.
Prima ancora di esaminare gli elementi che, imprescindibilmente, la legge richiede per lo svolgimento in forma societaria delle attività professionali c.d. «protette», è opportuno sottolineare come l’intero impianto normativo relativo alla materia qui trattata si riferisce, come si accennava precedentemente, letteralmente alle sole società
«interdisciplinari». I primi commentatori della normativa si sono chiesti se, con rife- rimento a tale indicazione letterale, la norma intendesse consentire la costituzione di società professionali svolgentesi esclusivamente tra professionisti dello stesso settore che pur si occupassero di discipline diverse (ad esempio una società tra medici appar- tenenti a specializzazioni diverse) oppure, leggendo il termine «interdisciplinare» in senso più lato di «interprofessionale», dovesse considerarsi ammissibile una società tra professionisti appartenenti anche a settori diversi (ad esempio professionisti ap- partenenti all’area legale e professionisti appartenenti all’area medica). In assenza di uno specifico dato normativo di senso contrario, si è detto, non sembra in alcun modo limitabile l’ammissibilità di società professionali alla sola fattispecie di società costituite tra professionisti dello stesso settore. Pertanto il criterio della multidiscipli- narietà deve essere letto nel senso più lato di «multiprofessionalità» anche in conside- razione delle esigenze che sono collegate alla creazione di un tale tipo sociale e che rispondono essenzialmente alla capacità oggi richiesta ai professionisti di adempiere a prestazioni complesse che coinvolgono sfere diverse di competenze non rintracciabili normalmente nella preparazione tipica del singolo, tenuto conto altresì che l’alto gra- do di specializzazione connaturato all’adempimento di un incarico professionale non sempre trova risposte esaurienti, come invece accadeva un tempo, nello svolgimento della singola attività professionale.
Chiarito ciò, va detto che il riferimento esplicito alle sole società interdisciplinari
nel senso poc’anzi indicato, in contrapposizione, dunque, alle società c.d. «mono- disciplinari», tali in quanto costituite tra soggetti-professionisti appartenenti alla
4.5 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
medesima categoria, ha posto l’ulteriore dubbio interpretativo circa l’applicabilità della normativa anche alle società monodisciplinari.
Se, in effetti, il dubbio è pienamente legittimo data la considerazione del dato normativo letterale, che fa riferimento espresso soltanto alle società interdisciplina- ri, lo stesso viene, però a cadere, sol che si facciano alcune elementari considerazio- ni. In primo luogo l’abbattimento del tradizionale ostacolo frapposto alla costitu- zione di società tra professionisti, non è una novità connaturata alla disciplina in- trodotta dalla l. 248/2006. Xxx, infatti – come si è avuto modo di evidenziare – la prima normativa liberale in tal senso era stata introdotta addirittura nel 1997, con la l. 266/1997, art. 24. In quell’occasione vi era stata una generale abrogazione del principio posto dalla l. 1815/1939, art. 2, il che già consentiva la piena ammissibi- lità della costituzione di società tra professionisti. Sicché la ratio dell’ulteriore in- tervento legislativo, nel solco della novità introdotta dalla legge del 1997, sarebbe proprio quella di chiarire come l’ammissibilità della struttura societaria si estenda anche alle società che venissero costituite tra professionisti appartenenti a discipline settoriali diverse, per le quali potevano residuare ancora margini di incertezza ap- plicativa della fattispecie, avendo, perciò, la novella del 2006 una funzione mera- mente rafforzativa delle novità già introdotte dal sistema inaugurato a partire dalla
l. 266/1997. In seconda battuta, gli argomenti tradizionalmente considerati per giustificare la illegittimità delle società tra professionisti, investirebbero la stessa concezione generale dello svolgimento di una attività professionale in forma socie- taria, a prescindere che si tratti di società monodisciplinari o interdisciplinari, e quindi, laddove il legislatore ammette addirittura il ricorso allo strumento societa- rio per le seconde, sarebbe quantomeno illogico non ammetterlo per le prime. Per- tanto non può non concordarsi con le conclusioni cui, sul punto, giunge ancora Xxxxxxxxx, secondo cui:
Non vi sono dubbi in merito alla conclusione che, avendo il legislatore del 2006 espressamente sancito la legittimità della società tra professionisti di tipo inter- disciplinare, lo stesso abbia altresì implicitamente sancito, al di là della lettera delle norme introdotte, la piena legittimità anche della società tra professionisti appartenenti alla medesima categoria professionale
(Xxxxxxxxx 2008, 135-166).
Il problema resta, semmai, quello di valutare se i requisiti richiesti dalla norma per la valida costituzione di una società di tal fatta debbano ritenersi riferibili alle sole società interdisciplinari o anche a quelle monodisciplinari, non essendoci, sul pun- to, unitarietà di vedute in dottrina.
Quanto alle condizioni poste dalla normativa per lo svolgimento in forma societa- ria dell’attività professionale, esse si riferiscono letteralmente alle sole società inter- disciplinari e prevedono:
CAPITOLO IV - OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI 4.5
(a) l’obbligo di utilizzo esclusivo della forma delle società di persone; (b) la esclusi- vità dell’oggetto sociale; (c) la previsione obbligatoria del divieto da parte del singo- lo professionista, appartenente alla medesima compagine sociale, di partecipare a più società; (d) l’obbligo di prevedere che la prestazione professionale sia resa per- sonalmente da uno o più soci professionisti previamente indicati e sotto la propria personale responsabilità.
Ora, in particolare, il primo elemento sembra, secondo alcuni, da riconnettersi esclusivamente alle società interdisciplinari e non anche a quelle monodisciplinari che, perciò, potrebbero ricorrere a qualunque tipologia di società, sia di persone, che di capitali. Tale conclusione, invero non da tutti condivisa, non sembra giusti- ficata nemmeno dalla ratio preposta alla specifica indicazione normativa. Il fatto che il legislatore abbia fatto riferimento alle sole società di persone risulterebbe giu- stificato, infatti, dalla opportunità di strutturare tali società con modalità tali da consentire comunque una maggiore aderenza a quell’«intuitus personae» che rappre- senta l’elemento pregnante della prestazione professionale, anche in considerazione della responsabilità necessariamente illimitata che affetta la prestazione professiona- le, al fine di evitare l’introduzione di sistemi, come quelli rinvenibili nelle società di capitali, capaci di porre un diaframma netto tra il soggetto esecutore della presta- zione ed il cliente, a favore del quale l’opera viene prestata, che porterebbero verso una totale spersonalizzazione dell’attività del professionista o, perlomeno, verso una svalorizzazione del ruolo attivo svolto da ciascun socio-professionista alla quale il nostro Ordinamento ed il nostro sostrato giuridico-culturale non è ancora prepa- rato. Se questa è la ragione della specifica prescrizione (e non pare possa ritenersi diversa!), non sarà privo di fondamento ritenere che tale prescrizione trovi la pro- pria giustificazione non solo con riguardo alle società interdisciplinari, ma anche con riferimento a quelle monodisciplinari, considerato che la rilevanza di almeno una «semi-personalità» della prestazione non sembra essere dissimile a seconda che ci si riferisca, nell’ambito di una medesima struttura societaria, a professionisti che operino in campi diversificati oppure in uno stesso settore. Né, ad avviso di chi scrive, può servire a provare il contrario la possibilità, ammessa all’indomani della riforma del diritto societario, che il singolo socio possa addivenire al soddisfaci- mento del proprio conferimento attraverso la prestazione di un’opera o di un servi- zio a favore della società, secondo quanto oggi consentito dall’art. 2464, 6° co., c.c. Quelle prestazioni che la legge consente, anche nell’ambito delle società di capitali, infatti, sono prestazioni connaturate al conferimento e che quindi, esaurendo la propria portata nel rapporto tra il socio e la società, non possono certo servire per provare l’estensibilità delle società professionali anche al tipo «società di capitali». Al contrario, la prestazione professionale che assume rilievo per individuare la fatti- specie «società professionale» è la prestazione che viene resa al terzo, cliente della società, la quale esula dalla prestazione tipizzata nel conferimento che esaurisce in quell’ambito la propria funzione. Ragionando diversamente, peraltro, saremmo co-
4.5 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
xxxxxxx a concludere, per logica di sistema, che le prestazioni professionali possano accedere indifferentemente alle società di persone come alle società di capitali indi- pendentemente dalla monodisciplinarietà o dalla interdisciplinarietà della società stessa, e ciò in dipendenza della riforma sul diritto societario e a prescindere da al- cuna considerazione della l. 248/2006 che, invece, prevede – come sappiamo – espressamente il ricorso alle sole società di persone.
Analogamente, accettato il principio per cui l’ammissibilità del ricorso alla forma societaria è acclarata sia per le società professionali interdisciplinari che per quelle monodisciplinari, non sembra plausibile, anche con riferimento alle ulteriori con- dizioni sopra considerate, ritenere come quelle limitazioni siano riferibili alle sole società interdisciplinari. Sia l’esclusività dell’oggetto sociale, sia il divieto di parte- cipazione del singolo socio a più società, sia, infine, l’obbligo della indicazione dei soggetti chiamati allo svolgimento e all’esecuzione della prestazione, sono tutti e- lementi destinati a conservare alle società tra professionisti una connotazione parti- colare volta essenzialmente ad evitare l’assorbimento di tali fattispecie all’interno dello statuto dell’imprenditore al quale restano, pur nella veste di soggetti di diritto distinti dalla persona fisica, del tutto estranee. Così, la necessità dell’esclusività dell’oggetto sociale si giustifica per la necessità di evitare confusioni tra attività, comunque deducibili nell’oggetto sociale, ma tipicamente imprenditoriali ed attivi- tà che, esaurendo la propria funzione in una prestazione di tipo intellettuale sono sottratte alla tipizzazione imprenditoriale. Il divieto di consentire partecipazioni del singolo socio-professionista a più società trova il fondamento nell’evitare scelte di natura manageriale, lontane dalle deduzioni di pura opportunità esecutiva, che hanno condotto alla scelta della struttura societaria al posto di quella individuale. Infine, l’indicazione specifica dei soci-professionisti che si occuperanno dell’esecu- zione della prestazione e che dovranno essere nominativamente elencati, risponde all’esigenza di preservare la personalità della prestazione e la personalità della re- sponsabilità per le scelte operate nell’ambito delle prestazioni rese.
Tali elementi giustificativi, nel loro complesso, sono elementi assolutamente co- muni alle società interdisciplinari come a quelle monodisciplinari e, se a queste ul- time sono letteralmente (ma solo letteralmente!) estranei, ciò è dovuto alla man- canza di organicità che aveva caratterizzato il primo intervento normativo, quello del 1997, il quale, essendosi limitato ad una mera abrogazione di norme, non ave- va dato spazio a tali indicazioni le quali, invece, vengono esplicitate nell’intervento normativo del 2006 che, con maggiore organicità, tenta una prima sistemazione della materia. È vero che, in tal caso, vi è una letterale limitazione di tali condizioni al solo ambito delle società interdisciplinari ma certamente, per l’identità di ratio che le contraddistingue, quelle stesse condizioni non potranno ritenersi estranee anche alle società monodisciplinari.
CAPITOLO IV - OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI 4.6
4.6. Conclusioni.
Alla luce della norma introdotta dalla recente l. 4 agosto 2006, n. 248, si può dun- que concludere circa la piena ammissibilità di una società avente per oggetto lo svolgimento di attività professionali, anche qualora si tratti di attività professionali protette, pur nel rispetto delle condizioni essenziali sopra evidenziate e pur con il limite derivante dalla mancanza di una disciplina organica della materia che lascia all’operatore ampi spazi nella regolamentazione dell’assetto «statutario» della socie- tà stessa non sempre facilmente riempibili.
Anzitutto il principio della possibilità di una molteplicità di professioni esercitabili all’interno di una medesima struttura societaria andrebbe coniugata con le even- tuali incompatibilità tra professioni, siano esse incompatibilità ufficialmente de- terminate dall’appartenenza ad un ordine professionale, siano esse incompatibilità che sorgono dalla pratica attuazione dell’esercizio della professione da parte di cia- scuno. È il caso, ad esempio, del contrasto di principio tra le professioni che sono tenute al segreto professionale e quelle che, invece, si caratterizzano proprio per il fatto di dover rendere conto a terzi di determinati accertamenti effettuati; il che ne renderebbe incompatibile la convivenza sotto lo stesso «tetto» societario. Ora, l’ammissibilità generica di società professionali interdisciplinari (o interprofessiona- li che dir si voglia) non può determinare limitazioni di sorta in relazioni ad even- tuali incompatibilità che la legge, infatti, non fa salve. Ciò, tuttavia, non deve im- putarsi ad una svista del legislatore perché la verifica di tali eventuali incompatibili- tà andrà valutata, di volta, in volta, da parte del singolo professionista al quale è ri- chiesta la propria prestazione professionale. Il ricorso allo strumento societario, non va dimenticato, non determina infatti la sostituzione, ai singoli professionisti- soci, della società intesa quale elemento di integrale fusione tra tutti i professionisti che ne fanno parte, dalla quale viene generata un’unica prestazione. Al contrario, come si è avuto modo di evidenziare nei precedenti paragrafi, la società va intesa come strumento che resta, almeno in relazione alla esecuzione della prestazione pro- fessionale, sullo sfondo rispetto all’opera prestata personalmente dai singoli profes- sionisti. Ed è perciò che le eventuali incompatibilità, di diritto o di principio prati- co, non afferiranno la società nel suo insieme ma piuttosto saranno da valutare in riferimento ai singoli professionisti che la compongono nel senso che ciascuno di essi, nell’esecuzione della propria prestazione, non potrà andare ad invadere spazi che non appartengano alla propria competenza specifica controllando, altresì, che le modalità con le quali la propria prestazione venga eseguita non vadano ad interferi- re con incompatibilità dettate per l’esercizio della propria attività professionale.
Particolare attenzione va, poi, applicata nella stessa determinazione dell’oggetto so- ciale la cui «esclusività» va letta, non ovviamente con riferimento alle attività pro- fessionali esercitabili che, per espressa disposizione normativa, potrà abbracciare più discipline professionali, ma nel senso che l’attività da svolgere sia limitata al so-
4.6 GLI OGGETTI SOCIALI DEGLI ATTI DELLE SOCIETÀ
lo esercizio delle professioni intellettuali con esclusione di qualsiasi altra attività economica. Dell’oggetto potranno entrare a far parte, senza remore di sorta, pro- prio perché la normativa è appositamente dettata per le professioni c.d. «protette», le attività intellettuali professionalmente «riservate» a talune categorie, ma anche le attività che, seppur non oggetto di riserva, vengono abitualmente svolte dalla me- desima categoria professionale alla quale quella riserva compete. Cosicché, per esem- plificare, qualora si trattasse di costituire una società tra avvocati, potrebbero entra- re a far parte dell’oggetto sociale, non solo le attività di patrocinazione legale (riser- vate esclusivamente agli iscritti all’Albo e quindi agli abilitati) ma anche le attività di consulenza che non sembrerebbero attività riservate. Fondamentale resta, tutta- via, il divieto di estendere l’oggetto stesso a tal punto da coinvolgere, nell’apparente esercizio di attività professionali, l’esercizio di attività economiche estranee a que- ste, come ad esempio accadrebbe qualora, nella costituzione di una società tra commercialisti, si prevedesse un oggetto sociale nel quale, accanto alla previsione dello svolgimento dell’attività professionale tipica, si introducesse anche «la presta- zione di servizi di elaborazione di programmi software per la gestione della conta- bilità aziendale da cedere alle aziende»; il che determinerebbe una vera e propria attività commerciale che, seppur collegata alla specifica preparazione scientifica del professionista, è economicamente scollegata dall’attività professionale per lo svol- gimento della quale si è ricorsi allo strumento societario.
Altra questione centrale del fenomeno qui esaminato è quella legata alla possibilità che, di una società avente un tale specifico oggetto sociale, possano entrare a far parte soci non professionisti. L’indagine che pur esula dalle problematiche collega- te all’oggetto sociale, non può considerarsi di secondaria importanza, in primo luogo perché essa ha costituito, per tanti versi, il nocciolo centrale anche «politi- camente» dell’avversione tradizionale nei confronti dell’ammissibilità della società tra professionisti, e, in secondo luogo, perché l’operatore ha bisogno di sapere se, in presenza di un determinato oggetto sociale, debbano considerarsi eventuali limi- tazioni nella partecipazione alla compagine societaria. In merito non si ritrovano espliciti riferimenti normativi che possono deporre verso l’una o l’altra conclusio- ne. È vero che il riferimento letterale normativo parla di «soci professionisti», ma l’utilizzo di una tale dizione letterale non pare essere indicativo di alcuna conclu- sione. Di essa, infatti, può farsi una duplice lettura che conduce ad interpretazioni diametralmente opposte. Da un lato potrebbe dirsi che, se il legislatore ha fatto ri- ferimento a «soci professionisti», ciò vuol dire che possono esserci anche «soci non professionisti» ma, dall’altro lato, potrebbe anche concludersi che l’utilizzo della specificazione «professionista» intende avere la funzione di escludere possibilità di partecipazioni a chi, pur potendo essere socio, non è «professionista».
Il problema si gioca su un piano che rappresenterebbe la scelta «politica» operata dal sistema nel senso che, nel silenzio del legislatore sul punto specifico, pare quan- to meno azzardato ammettere la partecipazione a soci di mero capitale i quali, ten-
CAPITOLO IV - OGGETTO SOCIALE E PRESTAZIONI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI 4.7
denzialmente portatori di un potere economico imprenditoriale ben più forte di quello della classe professionale, per sua natura scarsamente avvezza alle conoscenze delle più recondite economie di mercato, potrebbero facilmente sottomettere il so- cio-professionista ad un pressante controllo. Ciò condurrebbe, non tanto alla mor- te definitiva della classe professionale delle cui problematiche qui non v’è né luogo, né competenza per disquisire, ma certamente determinerebbe uno stravolgimento della stessa funzione della società tra professionisti che, da strumento essenzialmen- te funzionalizzato al miglior svolgimento della attività professionale e alla maggiore efficienza delle capacità prestazionali del singolo professionista (il che consente an- cora alle società tra professionisti di chiamarsi estranee allo statuto dell’impren- ditore), diventerebbe strumento magistralmente speculativo in ambiti ancora ine- splorati dalle logiche di impresa, conseguendo un necessario coinvolgimento di tali società nello statuto dell’imprenditore, aprendo scenari che, sinceramente, non sembra il legislatore abbia inteso perseguire.
Sezione II
Le principali attività professionali svolgentesi attraverso il ricorso alla struttura societaria
SOMMARIO 4.7. Le società di ingegneria: «commercial engineering» e «consulting engineering». -
4.8. Le società tra avvocati. - 4.9. L’attività di consulenza legale. - 4.10. L’attività dei medici: le società tra professionisti e le società di servizi. - 4.11. Le attività delle case di cura. - 4.12. Le società di servizi nel settore paramedico e nel settore della cura estetica del corpo. - 4.13. L’attività delle farmacie. - 4.14. Le farmacie comunali gestite in forma societaria. - 4.15. Le so- cietà per la vendita di prodotti medicali da banco e di automedicazione.
BIBLIOGRAFIA Lapertosa 1994 - Xxxxx Xx. 1995 - Quatraro 1996 - Ibba 1998 - Xxxxxxxxx 2001 - Xxxxxxxxx 2002 - Paolini 2007 - Guida 2008 - Negri 2008 - Rubino Xxxxxxxxxx 2008 - Sca- labrini 2008.
4.7. Le società di ingegneria: «commercial engineering» e «consulting engi- neering».
LEGISLAZIONE l. 11 febbraio 1994, n. 109 - l. 18 novembre 1998, n. 415 - d.p.r. 21 dicembre
1999, n. 554 - d.lg. 12 aprile 2006, n. 163.
Indipendentemente dall’abrogazione dell’art. 2, l. 1815/1939 che vietava «tout court» l’esercizio in forma societaria di attività professionali, avvenuta, prima con la