Bozza di Determinazione
Bozza di Determinazione
Oggetto: obbligo per i Comuni non capoluogo di provincia di procedere all’acquisizione di lavori, beni e servizi in forma aggregata - art. 33, comma 3-bis, decreto legislativo del 12 aprile 2006 n.163 e ss.mm.ii. – Ulteriori indirizzi interpretativi.
1. Premessa in fatto
A seguito dell’entrata in vigore del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e del successivo art. 23-bis della legge 11 agosto 2014, n.114, con la Determinazione n. 3 del 25 febbraio 2015, l’Autorità ha fornito le prime indicazioni interpretative relativamente all’applicazione del novellato art. 33, comma 3-bis del Codice dei contratti
Nonostante questo primo intervento regolatorio, l’applicazione della disposizione de qua ha portato all’attenzione dell’Autorità ulteriori dubbi interpretativi su una serie di tematiche concernenti i diversi aspetti di seguito trattati.
Si ritiene utile rispondere a tali tematiche mediante un atto a carattere generale da porre in consultazione e con l’occasione si sollecitano suggerimenti e contributi in ordine ai diversi temi affrontati.
1.1 Ragioni dell’intervento dell’Autorità
Il presente intervento regolatorio si rende, pertanto, necessario per fornire ulteriori chiarimenti e orientamenti interpretativi, ai soggetti destinatari della nuova disciplina, in materia di acquisti aggregati/centralizzati, in modo da garantire la corretta ed uniforme applicazione delle disposizioni di riferimento e l’opportuno coordinamento con quelle già vigenti in tema di spending review.
A tal fine, l’architettura dell’atto di regolazione, dopo un generale inquadramento normativo, è articolata sulle diverse criticità emerse dalla prassi applicativa e trattate per tematiche di carattere generale.
Una prima serie di quesiti riguarda l’ambito soggettivo di applicazione della novella normativa. Al riguardo è stata posta l’interessante questione connessa al proliferare di società partecipate dai Comuni (ci si riferisce, in particolare, alle società c.d. in house) e alla possibilità che esse possano rappresentare un mezzo per eludere l’applicazione della norma in esame.
Altri quesiti riguardano l’ambito oggettivo di applicazione della medesima novella normativa, di cui in parte si è già trattato con la richiamata determinazione n. 3/2015.
È stato chiesto, in particolare, se debbano essere ricondotte nel perimetro delle fattispecie soggette all’obbligo di acquisto aggregato/centralizzato anche i servizi cui all’Allegato IIB ovvero eventuali contributi integrazioni concessi dai comuni (per es. l’acquisto dei libri di testo per gli alunni frequentanti le scuole dell’obbligo), il servizio di visura delle targhe offerto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Direzione Generale della Motorizzazione.
Molti quesiti pervenuti all’Autorità riguardano, poi, l’idoneità di forme di aggregazione preesistenti all’entrata in vigore del comma 3-bis a soddisfare l’obbligo introdotto dalla norma.
Un certo numero è volto, invece, ad ottenere chiarimenti circa le modalità organizzative da adottare al fine di dare corretta attuazione al disposto normativo (individuazione del RUP – in capo alla centrale di committenza o ai singoli Comuni – e individuazione del personale dipendente) e agli eventuali adempimenti necessari per certificare la nuova funzione di stazione appaltante del soggetto cui sono affidate le funzioni di centrale di committenza.
Anche l’ambito di applicazione delle deroghe (v. appalti dei Comuni delle zone terremotate che possono considerarsi esenti dall’obbligo di centralizzazione) e la possibilità di prorogare i contratti in corso nelle more dell’adesione ad una convenzione in via di perfezionamento, come pure il rapporto tra il nuovo regime introdotto dal comma 3-bis e i previgenti obblighi di acquisto tramite mercato elettronico sono tra le questioni poste all’attenzione dell’Autorità nonché l’idoneità di forme di aggregazione preesistenti all’entrata in vigore del comma 3-bis a soddisfare l’obbligo introdotto dalla norma.
2. Considerato in diritto
2.1 Quadro normativo di riferimento
La nuova versione del comma 3-bis dell’art. 33 del d.lgs. n. 163/2006, originariamente introdotto dal decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, ha attualmente il seguente tenore: «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara
(CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione l’obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione».
La disposizione, dettata all’evidente scopo di contenimento della spesa pubblica, è finalizzata a realizzare un accorpamento della domanda di lavori, beni e servizi da parte dei Comuni attraverso il doveroso utilizzo di forme di aggregazione (unioni, accordi consortili, soggetti aggregatori e province) ai fini dell’affidamento dei contratti pubblici. Lo scopo è quello di canalizzare la domanda di lavori, beni e servizi proveniente da una miriade di Comuni, anche di dimensioni estremamente ridotte (si pensi ai cosiddetti “comuni polvere”), verso strutture aggregatrici, con l’effetto di concentrare le procedure di acquisto, aumentando, di conseguenza, i volumi messi a gara e riducendo nel contempo le spese e i rischi connessi alla gestione delle procedure, garantendo, così nel contempo, l’accrescimento della specializzazione, in capo ai soggetti più qualificati, nella gestione delle procedure di procurement.
Il sistema di centralizzazione degli acquisti introdotto dal nuovo comma 3-bis dell’art. 33 – che, rispetto alla precedente formulazione, oltre ad ampliare la platea dei destinatari (estendendola dai soli Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti a tutti i Comuni non capoluogo di Provincia) ha ampliato anche la gamma dei soggetti con funzioni di aggregazione – era previsto che entrasse in vigore dal 1° gennaio 2015 limitatamente all’acquisizione di beni e servizi e dal 1° luglio 2015 per l’acquisizione di lavori (art. 23-ter, decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 convertito con modifiche dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114).
Successivamente, l’art. 8, comma 3-ter della legge 27 febbraio 2015, n. 11, modificando l’art. 23-ter, sopra richiamato, ha fissato al 1° settembre 2015 l’entrata in vigore della disposizione de qua, sia per i lavori che per i servizi e le forniture.
Le uniche deroghe all’obbligo di procedere agli acquisti in forma aggregata sono riconosciute a favore degli enti pubblici impegnati nella ricostruzione delle località colpite da eventi sismici (Abruzzo e Province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Xxxxxx e Rovigo) e dei Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti per acquisti di lavori, servizi e forniture di valore inferiore a
40.000 euro (art. 23-ter, commi 2 e 3, d.l. 90/2014).
2.2 Centrali di committenza, Xxxxxxxx aggregatori e obblighi dei Comuni.
L’inserimento dell’obbligo di acquisto dei Comuni in forma aggregata nell’ambito dell’art. 33 del Codice, dedicato alla disciplina delle centrali di committenza, pone un problema di relazione tra i soggetti deputati ad attrarre la domanda di lavori, beni e servizi dei Comuni, in particolare i “soggetti aggregatori”, e le centrali di committenza di cui al comma 1 dell’art. 331.
Recependo l’art. 11 della direttiva 2004/18/CE, che facoltizzava i Paesi membri a prevedere tecniche di centralizzazione delle committenze - tecniche viste con favore dall’Unione europea in quanto, dato il volume degli acquisti, consentono un aumento della concorrenza e dell’efficacia della commessa
1 «Le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi».
pubblica (Considerando 15) – il legislatore nazionale ha introdotto con l’art. 33 la possibilità, per stazioni appaltanti ed enti aggiudicatori, di fare ricorso alle centrali di committenza (con ciò riconoscendo a livello normativo un fenomeno che con Consip S.p.A. e altre centrali d’acquisto regionali, in Italia aveva già trovato attuazione).
Le centrali di committenza sono definite nell’art. 3, comma 34, del Codice, come amministrazioni aggiudicatrici che acquistano forniture e servizi destinati ad altre amministrazioni o aggiudicano appalti di lavori, forniture e servizi destinati ad altre amministrazioni.
Ciò che è espresso in termini di facoltà nel primo comma dell’art. 33 a vantaggio di ogni stazione appaltante ed ente aggiudicatore, come visto, è espresso in termini di obbligo nei confronti dei Comuni non capoluogo di Provincia nel comma 3-bis, dove sono altresì elencati, si ritiene in modo tassativo, i soggetti destinati ad esercitare tali funzioni di acquisto centralizzato.
Non ogni centrale di committenza può, infatti, legittimamente svolgere procedure di gara in forma aggregata per i Comuni ma solo quelle individuate nel comma 3-bis; ovvero, oltre a unioni di Comuni, accordi consortili e Province, i soggetti aggregatori.
Secondo quanto disposto dall’art. 9, commi 1 e 2, del d.l. 24 aprile 2014, convertito con modificazioni dalla l. 23 giugno 2014, n. 89, i soggetti aggregatori – previsti in un numero massimo totale di 35 (in base al comma 5 del medesimo articolo) – sono centrali di committenza iscritte in un elenco tenuto dall’Autorità nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, di cui fanno parte Consip S.p.A., una centrale di committenza per ogni Regione, qualora costituita, ed altri soggetti che svolgono attività di centrale di committenza che abbiano ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori.
I requisiti per l’iscrizione, come previsto dal comma 2 del citato art. 9, sono stati definiti con DPCM 11 novembre 2014 (pubblicato sulla GURI in data 20 gennaio 2015)2.
2 Art. 2. Requisiti per la richiesta di iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori:
1. Richiedono l'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori, se in possesso dei requisiti di cui al successivo comma 2, i seguenti soggetti o i soggetti da loro costituiti che svolgano attività di centrale di committenza ai sensi dell'art. 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 con carattere di stabilità, mediante un'organizzazione dedicata allo svolgimento dell'attività di centrale di committenza, per il soddisfacimento di tutti i fabbisogni di beni e servizi dei relativi enti locali:
a) città metropolitane istituite ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56 e del decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156 e le province;
b) associazioni, unioni e consorzi di enti locali, ivi compresi gli accordi tra gli stessi comuni resi in forma di convenzione per la gestione delle attività ai sensi del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
2. Ai fini dell'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori, i soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, devono nei tre anni solari precedenti la richiesta, avere pubblicato bandi e/o inviato lettera di invito per procedure finalizzate all'acquisizione di beni e servizi di importo a base di gara pari o superiore alla soglia comunitaria, il cui valore complessivo sia superiore a 200.000.000 euro nel triennio e comunque con un valore minimo di 50.000.000 euro per ciascun anno. In sede di prima attuazione del presente decreto, rileva ai fini del possesso del requisito il triennio 2011-2012-2013.
3. Ai fini del possesso del requisito relativo al valore delle procedure di cui al comma 2, si tiene conto anche delle procedure avviate:
a) per i soggetti di cui al comma 1, lettera a), dagli enti locali rientranti nell'area territoriale della città metropolitana e delle province;
b) per i soggetti di cui al comma 1, lettera b), dai singoli enti locali facenti parte dell'associazione, unione, consorzio o accordi tra gli stessi comuni resi in forma di convenzione per la gestione delle attività.
In attuazione dell’art. 3, comma 1, del DPCM, l’Autorità, con determinazione n. 2 dell’11 febbraio 2015, ha stabilito le modalità operative per la presentazione delle richieste di iscrizione all’elenco. I soggetti in possesso dei requisiti possono presentare all’Autorità la richiesta di iscrizione entro 45 giorni dalla pubblicazione della richiamata determinazione (art. 3, comma 2, del DPCM).
I soggetti aggregatori sono dunque centrali di committenza “qualificate” tramite l’iscrizione all’elenco tenuto dall’Autorità (cfr. par. 3.1 della Determinazione dell’Autorità n. 3, del 25 febbraio 2015).
Nelle more del perfezionamento del processo di formazione dell’elenco, i Comuni non capoluogo di Provincia sono abilitati a procedere all’acquisto di lavori, servizi e forniture unicamente tramite unioni di Comuni, accordi consortili o Province che, ai sensi dell’art. 1, comma 88, della legge 7 aprile 2014, n. 56, d’intesa con i Comuni, possono esercitare le funzioni di stazione appaltante.
Sono fatti salvi gli acquisti di «beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A o da altro soggetto aggregatore di riferimento» (comma 3-bis dell’art. 33).
I soggetti aggregatori, oltre ad essere centrali uniche di committenza per i Comuni non capoluogo di Provincia, secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 33, del d.l. 24 aprile 2014 n. 66, svolgono, naturalmente, anche la funzione di centrali di acquisto di beni e servizi per altre amministrazioni. Infatti, per le categorie di beni e di servizi, individuate con DPCM da adottarsi entro il 31 dicembre di ogni anno, che superano le soglie fissate dal medesimo DPCM, le amministrazioni statali centrali e periferiche, le regioni, gli enti regionali e i loro consorzi e associazioni, e gli enti del servizio sanitario nazionale ricorrono a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori di cui ai commi 1 e 2 del citato art. 9, per lo svolgimento delle relative procedure. Sono escluse dall’obbligo gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie.
Si evidenzia che non risultano soggetti al richiamato obbligo i Comuni capoluogo di Provincia, già esenti dall’obbligo di acquisto in forma aggregata di cui al comma 3-bis (che invece è rivolto ai Comuni non capoluogo di provincia).
2.2.1 Obblighi dei Comuni e mercato elettronico.
3 «Fermo restando quanto previsto all'articolo 1, commi 449, 450 e 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, all'articolo 2,
comma 574, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, all'articolo 1, comma 7, all'articolo 4, comma 3-quater e all'articolo 15,
comma 13, lettera d) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di analisi del Tavolo dei soggetti aggregatori e in ragione delle risorse messe a disposizione ai sensi del comma 9, sono individuate le categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, nonché le regioni, gli enti regionali, nonché loro consorzi e associazioni, e gli enti del servizio sanitario nazionale ricorrono a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori di cui ai commi 1 e 2 per lo svolgimento delle relative procedure. Per le categorie di beni e servizi individuate dal decreto di cui al periodo precedente, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) alle stazioni appaltanti che, in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma, non ricorrano a Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore. Con il decreto di cui al presente comma sono, altresì, individuate le relative modalità di attuazione».
In relazione al rapporto tra il nuovo regime introdotto dal comma 3-bis e i previgenti obblighi di acquisto tramite mercato elettronico si è posto un problema di coordinamento tra le diverse fonti normative, che ha messo in dubbio i reali adempimenti cui sarebbero tenute le pubbliche amministrazioni già tenute all’obbligo di procedere ad acquisti sotto soglia tramite mepa o altri mercati elettronici.
Come noto, ai sensi dell’art. 1, comma 4504, l. n. 296/2006, le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – diverse dalle amministrazioni statali centrali e periferiche (che invece sono tenute a fare ricorso al solo mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328, comma 1, del regolamento adottato con decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n.
207) –, tra cui sono annoverati anche i Comuni, per gli acquisti di beni e servizi di valore inferiore alla soglia di rilevo comunitario, devono fare ricorso al mercato elettronico della PA o ad altri mercati elettronici, istituiti ai sensi del citato art. 328, o al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento, per lo svolgimento delle relative procedure.
Dunque, già da prima della novella del comma 3-bis, per gli acquisti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, i Comuni (tutti, indipendentemente dal numero di residenti e dalla funzione di capoluogo di Provincia) sono tenuti a ricorrere ad una modalità di acquisto in senso lato centralizzata e segnatamente attraverso il ricorso a sistemi basati su piattaforme elettroniche sulle quali i fornitori presentano i loro cataloghi di prodotti e/o servizi (mepa, mercati elettronici o diversi sistemi telematici regionali).
La Corte dei conti ha espressamente ritenuto riferibile siffatto obbligo a tutte le procedure di acquisto al di sotto della soglia di rilievo comunitaria, ivi inclusi gli acquisiti in economia, senza deroghe di sorta (Corte dei conti, sez. Controllo Piemonte, n. 211/2013/PAR; sez. Controllo Lombardia n. 112/2013/PAR). Unica eccezione a tale obbligo incondizionato è rappresentata dall’ipotesi di non reperibilità ovvero inidoneità dei beni o servizi rispetto alle necessità dell’ente locale, e ciò previa istruttoria e adeguata motivazione di tale evenienza nella determina a contrarre (ex plurimis, Corte dei conti, sez. Marche n. 169/2012/PAR). Nell’ambito delle suddette eccezioni, viene inclusa anche
4 Il comma è stato così come novellato dal comma 2 dell’art.7 del d.l. 7 maggio 2012, n. 52 – come sostituito dalla legge di conversione 6 luglio 2012, n. 94 – e di recente modificato dall’art. 22 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.
Il suo tenore attuale è il seguente: «Dal 1° luglio 2007, le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, per gli acquisti di beni e servizi al di sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. Xxxxx restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché le autorità indipendenti, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure. Per gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le università statali, tenendo conto delle rispettive specificità, sono definite, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, linee guida indirizzate alla razionalizzazione e al coordinamento degli acquisti di beni e servizi omogenei per natura merceologica tra più istituzioni, avvalendosi delle procedure di cui al presente comma. A decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento »
l’ipotesi in cui, all’esterno dei mercati elettronici e telematici, siano reperibili condizioni di acquisto migliorative (Corte dei conti, sez. Toscana, n. 151/2013/PAR).
Il comma 3-bis introdotto dall’art. 9, comma 4, del d. l. n. 66/2014, “in alternativa” all’obbligo di acquisto tramite i soggetti aggregatori o gli altri soggetti indicati nello stesso comma, prevede la possibilità per i Comuni non capoluogo di provincia di acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip o da altro soggetto aggregatore di riferimento.
Relativamente all’introduzione del nuovo comma 3-bis, si è posto il problema del rapporto tra la facoltà di ricorso agli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento previsti dal medesimo comma e l’obbligo imposto anche ai comuni (dal comma 450 dell’art. 1 della l. n. 296/2006), per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario, di fare ricorso al mepa, ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 del DPR 5 ottobre 2010, n. 207 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure .
Preliminarmente si osserva come il mercato elettronico, la cui disciplina è attualmente delineata dall’art. 328 del d.p.r. n. 207/2010 (che ha abrogato, sostituendolo, il d.p.r. n. 101/2002 sulla materia), sia uno strumento per l’acquisizione di beni e servizi di valore inferiore alla soglia di rilievo comunitario, prevedendo forme di pubblicità che non sono in linea con quanto richiesto per le procedure soprasoglia. Ai sensi dell’art. 328, comma 3, d.p.r. n. 207/2010, infatti, «i bandi di abilitazione sono pubblicati in conformità della disciplina applicabile per le procedure sottosoglia di cui all’art. 124, comma 5, del codice».
Inoltre le due modalità procedurali di acquisto (la Richiesta di offerta, sopra i 20.000 euro e la Richiesta di acquisto, oltre tale importo e fino a 200.000 euro), non sono compatibili con le procedure previste per l’affidamento di contratti sopra soglia.
Da tali circostanze ne deriva che, sulla base della vigente normativa, la previsione del comma 3-bis non può essere sicuramente interpretata come estensione dell’utilizzo del mercato elettronico, in regime di facoltà, anche agli acquisti sopra soglia, dovendosi attribuire alla norma del comma 3-bis, in parola, una funzione ricognitiva degli obblighi in materia di acquisti sotto soglia.
Ciò premesso, resta il dubbio se l’obbligo di cui al comma 450 debba ritenersi superato dal regime facoltativo (in quanto alternativo al nuovo sistema di acquisti in forma aggregata) di cui al successivo comma 3-bis.
Sul punto si è espressa la Corte dei conti in un recente parere5, con riferimento alla versione del comma 3-bis antecedente alla novella del d.l. 66/2014 (che disponeva l’obbligo di ricorso alla centrale unica di committenza in capo ai Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti e, in alternativa, la possibilità di ricorrere agli strumenti elettronici di acquisto). In questa circostanza la Corte ha ritenuto che «il comma 3bis tipizza il ricorso agli strumenti elettronici gestiti da altre centrali di committenza di riferimento e/o al mercato elettronico della pubblica amministrazione, non come obbligo autonomo, ma come modalità di acquisto accentrato alternativa al ricorso alle centrali uniche di committenza».
5 Sez. regionale di controllo per la Basilicata – Potenza, Deliberazione n. 67/2014/PAR
2.2.2 Obblighi dei Comuni e acquisti in economia
Altro tema connesso agli obblighi previsti dall’art. 33, comma 3-bis del Codice nonché alla facoltà prevista dall’art. 23-ter, comma 1, della legge n. 114/2014, per i soli comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti (i quali possono procedere ad acquisti autonomi di importo inferiore a 40.000 euro), è quello dei rapporti tra le norme appena richiamate e la disposizione dell’art. 125 del Codice dei contratti, concernente gli acquisti in economia.
Il quadro normativo che emerge da una lettura sistematica delle disposizioni del citato comma 3-bis dell’art. 33 e del comma 1 dell’art. 23-ter, sopra richiamato – tenuto conto delle esigenze di consolidamento dei conti pubblici e di contenimento della spesa pubblica, sottese all’introduzione e alle modifiche apportate al citato comma 3-bis6, e considerato, in particolare, il contenuto della modifica introdotta dall’art. 9 del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla l. 23 giugno 2014,
n. 89 – induce a ritenere che per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti non possano trovare applicazione le disposizioni dell’art. 125 del Codice, relative agli acquisti in economia. Solo i comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, possono procedere ad acquisti autonomi, secondo le regole dettate per la soglia inferiore all’importo di 40.000 euro. Naturalmente, resta salva la facoltà di procedere, da parte dei soggetti aggregatori, delle unioni o tramite il modulo dell’accordo consortile (previa aggregazione della domanda di più comuni) agli acquisti secondo le procedure disciplinate dall’art. 125 del Codice, laddove sussistano le condizioni (relative all’importo e all’oggetto dell’acquisto) in esso contemplate.
Tale lettura della novella normativa in argomento trova conforto, non solo nel collegamento sistematico tra il comma 3-bis e il comma 1 dell’art. 23-ter, della legge n. 114/2014 ma anche nella reale intenzione del legislatore che può essere ricavata dalla successione delle disposizioni normative che sono intervenute a modifica della prima versione del comma 3-bis citato.
A seguito della modifica apportata dall’art. 1 comma 343, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) il comma 3-bis dell'articolo 33 del codice recava, alla fine, il seguente periodo: «Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture, effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché nei casi di cui al secondo periodo del comma 8 e al secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125». Con tale formulazione, la norma recava due inferenze:
6 Inserito dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214 e successivamente modificato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), poi dal d.l. 24 aprile 2014, n. 66, recante “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”, convertito con modificazioni dalla L. 23 giugno 2014, n. 89 ed ancora dal d.l. 24 giugno 2014, n. 90, recante “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114. L’ultima modifica, quanto ai tempi di decorrenza dell’obbligo imposto ai comuni, si è avuta con il d.l. 31 dicembre 2014, n. 192 (decreto milleproroghe), converito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11.
- la disposizione del comma 3-bis aveva (e ha) un ambito di applicazione che coinvolge anche gli acquisti in economia ex art. 125 del Codice (nonostante sia inserita nella parte II, titolo I del Codice, riferita ai contratti di rilevanza comunitaria);
- ad esclusione dei commi 8 e 11 dell’art. 125 e delle relative disposizioni concernenti l’amministrazione diretta, le restanti disposizioni del citato articolo non trovavano applicazione nei confronti dei comuni (con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, essendo all’epoca limitata ad essi l’applicazione della disposizione in argomento).
L’intervenuta modifica di cui all’art. 9 del d.l. 66/2014 ha espunto l’ultimo periodo sopra riportato, ma mutatis mutandis, il quadro normativo è stato sostanzialmente confermato per altra via. Ci si riferisce alla previsione dell’art. 23-ter, comma 1 della legge n. 114/2014 che, di fatto, corrisponde all’eccezione, precedentemente, posta dal riferimento al secondo periodo dei commi 8 e 11 dell’art. 125 del Codice: acquisti inferiori a 40.000 euro nei lavori e nei servizi. Del resto, diversamente opinando, l’eccezione posta agli acquisti inferiori all’importo da ultimo richiamato, non avrebbe ragione d’essere. Solo presupponendo una limitazione, per i comuni non capoluoghi di provincia, della portata espansiva delle disposizioni di cui all’art. 125 (operata dall’art. 33, comma 3-bis) del Codice si può attribuire, infatti, senso normativo all’eccezione di cui al richiamato articolo 23-ter. Eccezione che, in quanto tale, è di stretta applicazione e non può che valere per l’ambito soggettivo e oggettivo in essa individuati: comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti e acquisti inferiori a 40.000 euro.
Una più agevole applicazione delle disposizione in argomento, per quanto concerne soprattutto gli acquisti di piccolo valore anche per i comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti può derivare da un’adeguata programmazione della spesa, da porre in essere anche nei servizi e nelle forniture, in modo da poter coordinare gli acquisti in base alle esigenze di ciascun comune e nel contempo soddisfare, senza particolari difficoltà, l’obbligo di aggregazione.
2.3 Ambito soggettivo di applicazione
Con riferimento all’affidamento a società partecipate/controllate dai Comuni (ivi comprese le ipotesi di in house) e alla possibilità che possano rappresentare un mezzo per eludere l’applicazione della novella normativa in esame, si osserva quanto segue.
Come noto, in presenza di precisi elementi (possesso del 100 % del capitale7 sociale e potere di controllo, da parte dell’ente controllante, più penetrante di quello che il diritto societario riconosce alla
7 In realtà, la giurisprudenza comunitaria in materia, pur ritenendo il possesso totalitario in mano pubblica dell’azionariato della società in house quale condizione imprescindibile, ritiene compatibile con il modello l’apertura del capitale ad investitori privati, a condizione che non sussista nessuna prospettiva concreta, nel breve periodo, di una loro effettiva partecipazione al capitale (CGUE 10 settembre 2009, causa n. C-573/07).
Sul tema, tuttavia, alla luce della recenti direttive sugli appalti e sulle concessioni (v. art. 12 della n. 2014/24/UE; art. 28 della direttiva 2014/25/UE e art. 17 della direttiva 2014/23/UE), il Consiglio di Stato, nel parere 30 gennaio 2015 n. 298, considera non ostativa all’applicazione dei principi sull’in house la partecipazione di privati al capitale della società controllata dalla mano pubblica, a condizione che tale partecipazione non comporti controllo o potere di veto, sia prescritta dalle
maggioranza dei soci, idoneo a vincolare effettivamente le decisioni strategiche e di maggiore importanza adottate dagli amministratori della società nonché gli indirizzi dell’ente; svolgimento dell’attività prevalente a favore dell’ente di appartenenza), espressivi del principio di c.d. autorganizzazione della p.a., il rapporto tra una società pubblica e l’ente di appartenenza è riconducibile alla delegazione interorganica (Cons. Stato, Ad. plen. 3 marzo 2008, n. 1). Ciò determina l’esclusione dell’alterità del rapporto ai fini dell’applicazione della disciplina relativa all’affidamento di appalti pubblici. In presenza di tali presupposti, la società pubblica può essere destinataria diretta di affidamenti dall’ente controllante. Infatti, per la giurisprudenza comunitaria e nazionale, il rapporto di immedesimazione tra ente affidante ed ente affidatario giustifica la mancata applicazione delle norme dell’evidenza pubblica senza che ciò comporti la violazione dei principi di non discriminazione in base alla nazionalità, di parità di trattamento tra offerenti e di trasparenza al cui presidio le norme dell’evidenza pubblica sono poste (c.d. in house providing). Perché ciò tuttavia non si traduca in una violazione dell’obbligo di indizione di procedure ad evidenza pubblica, è principio consolidato, ed altresì codificato per i servizi pubblici locali (cfr. art. 3-bis, comma 6, D.L. 13 agosto 2011, n. 1388, convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148) che la società in house che non esegua direttamente i servizi o i lavori affidatigli dall’ente di riferimento sia tenuta al rispetto della medesima disciplina dell’evidenza pubblica cui è vincolato l’ente di appartenenza nell’affidamento di contratti di appalti pubblici a terzi.
Il principio dell’in house providing, infatti, costituisce un principio eccezionale, di carattere derogatorio rispetto alla regola dell’evidenza pubblica. Come tale, si tratta di principio di stretta applicazione. Nel caso di specie, pertanto, l’affidamento in house non può assurgere a motivo di limitazione del campo di applicazione della norma in argomento. D’altra parte l’assoggettamento al rispetto delle regole di evidenza pubblica delle società in house dipende dall’essere queste ultime ontologicamente equiparabili ad una diramazione organico-amministrativa dell’ente controllante. Ne deriva che qualora sia un comune, non capoluogo di provincia, ad avvalersi di una società in house lo stesso regime giuridico dettato per il primo deve inevitabilmente estendersi alla seconda riguardo agli acquisti di lavori, beni e srvizi.
Altra tematica correlata all’ambito soggettivo di applicazione della norma in parola si è posta in relazione ai comuni non capoluogo di provincia delle Regioni a statuto speciale.
Sulla questione è di recente intervenuta la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 220 del 3 luglio 2013, ha ritenuto «condivisibile l’interpretazione, …, proposta in xxx xxxxxxxxxx xxxxx Xxxxxxx xxxxxxxx Xxxxxx-Xxxxxxx Xxxxxx: infatti, alla luce del combinato disposto dell’art. 4, comma 5, e dell’art. 33 del d.lgs. n. 163 del 2006 (come modificato dalla norma impugnata), deve escludersi l’applicabilità di
disposizioni legislative nazionali in conformità dei trattati, non comporti l’esercizio di un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
8 «Le società affidatarie in house sono tenute all'acquisto di beni e servizi secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. Le medesime società adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché i vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall'ente locale controllante ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008».
quest’ultima norma alle Regioni a statuto speciale» ( cfr. punto 7.2. della parte in diritto della sentenza richimata). Di talché è stata ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del d.l. n. 201 del 2011 che ha introdotto il comma 3-bis all’art. 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (la cui portata, peraltro è stata attenuata dall’intervenuto l’art. 1 del d.l. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012, che ha introdotto l’alternativa del ricorso agli strumenti elettronici)».
Le statuizioni dalla Corte Costituzionale si fondano sul disposto dell’art. 4, comma 5 del Codice, a tenore del quale «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione», laddove le Regioni a statuto speciale abbiano adeguato la propria legislazione attraverso norme di attuazione che rinviino al Codice dei contratti mediante un rinvio dinamico (come accaduto, per es., per la Regione Siciliana, con la legge 12 luglio 2011, n. 12, che all’art. 1, comma 1 recepisce le diposizioni del Codice e le sue modificazioni), le disposizioni del Codice dei contratti trovano applicazione con tutte le modifiche che le stesse subiscono nel tempo. Non si applicano, naturalmente, le disposizioni espressamente eccettuate.
2.4 Ambito oggettivo di applicazione
Sono pervenuti numerosi quesiti finalizzati ad ottenere chiarimenti in ordine all’esatta individuazione delle acquisizioni rientranti nell’ambito di applicazione della norma.
Riguardo a tutte le diverse tipologie di acquisti, tenuto conto della collocazione della norma nel Codice (nella parte II, relativa ai contratti pubblici di lavori servizi e forniture nei settori ordinari) il criterio principe per individuare le fattispecie rientranti nel perimetro della disposizione si ritiene che possa essere individuato nella riconducibilità dell’acquisto alla nozione di appalto pubblico secondo la definizione fornita dall’art. 3 comma 6, di lavori (art. 3, comma 7), forniture (art. 3, comma 9) e servizi (art. 3, comma 10) e nel suo pieno assoggettamento alle disposizioni del Codice dei contratti.
Xxxxxx, pertanto, ritenersi sottratti all’obbligo di acquisizione in forma aggregata gli appalti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del Codice (artt. 19-26), cui si applicano solo pochissimi articoli del medesimo, tra i quali non è contemplato, per l’appunto, l’art. 33. Tra questi sono inclusi anche i servizi di cui all’Allegato IIB, ai quali, pertanto, non si applicano le diposizioni dell’art. 33, comma 3-bis del Codice.
Va comunque considerato che la disciplina giuridica di questi ultimi subirà diverse modifiche per effetto del recepimento della nuova direttiva e 2014/24/UE (si vedano, in particolare gli artt. 74 e ss.).
Per quanto attiene all’ambito oggettivo di applicazione della disposizione in esame, infatti, non può non rilevarsi, da un lato, le finalità con cui la disposizione de qua è stata introdotta e successivamente modificata – finalità strettamente correlate ad esigenze di consolidamento dei conti pubblici e di contenimento della spesa –, dall’altro, il dato letterale secondo cui «i comuni non capoluogo di provincia procedono alle acquisizioni…». Entrambi gli elementi depongono per una limitazione oggettiva della norma ai soli contratti di appalto.
Tuttavia, sarebbe opportuno che i comuni in sede di programmazione valutassero l’opportunità – pur non essendovi obbligati – di offrire congiuntamente determinati servizi.
Infatti, il modulo concessorio non può essere tecnicamente riferito agli acquisti della pubblica amministrazione sicuramente per la concessione di servizi (art. 30 del Codice), che peraltro è sottratta all’applicazione delle disposizioni del Codice, ivi compreso l’art. 33.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 7 maggio 2013, n. 13 ha precisato, infatti, che: «la concessione di servizi viene definita dalla direttiva 2004/18/CE, nonché dal Codice dei contratti pubblici (art. 3, comma 12) come “il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”. Più specificamente, l'art. 30 del medesimo Codice al comma 2 afferma che nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. La distinzione attiene alla struttura del rapporto, che nell'appalto di servizi intercorre tra due soggetti (la prestazione è a favore dell'amministrazione), mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta al pubblico o agli utenti». Non sussiste, pertanto, un acquisto destinato al comune.
Per quanto attiene ai lavori, invece, da un punto di vista formale rileva il fatto che in forza di quanto disposto dall’art. 142, comma 3, del Codice, «alle concessioni di lavori pubblici, nonché agli appalti di lavori pubblici affidati dai concessionari che sono amministrazioni aggiudicatrici, si applicano, salvo che non siano derogate nel presente capo, le disposizioni del presente codice», tra le quali è contenuto l’art. 33, la cui applicazione non viene derogata da nessuna disposizione del Capo II, (del Titolo III, della Parte II del Codice).
Anche in questo caso, non possono non rilevarsi, tuttavia, le difficoltà applicative del comma 3-bis dell’art. 33 del Codice alle concessioni di lavori, tenuto conto della specificità degli stessi e della necessità di un raccordo molto stretto che la gestione di un rapporto concessorio impone all’eventuale pluralità di enti concedenti. Si pensi a titolo esemplificativo alle:
- le difficoltà di aggregazione degli interventi da realizzare, avendo riferimento alla specificità dei lavori, per i quali è più facilmente ipotizzabile una centralizzazione della procedure piuttosto che un’aggregazione dell’acquisti (che può, invece, più agevolmente avvenire per servizi e forniture);
- difficoltà connesse alla gestione dell’intera procedura che implica un coinvolgimento attivo dell’amministrazione (e l’esigenza di una piena concordanza di azioni), si pensi alla richiesta di modifica al progetto preliminare e, in caso di mancata accettazione del promotore, all’interpello di quelli che seguono in graduatoria (art. 153, comma 3 del Codice), alla fissazione in sede di gara anche di un prezzo (art. 143, comma 4);
- difficoltà connesse alla gestione del piano economico finanziario, intorno a cui ruota l’intero rapporto concessorio (art. 143, commi 5 e 8).
Tuttavia, occorre effettuare un bilanciamento con i vantaggi che possono derivare dalla centralizzazione in termini di programmazione, progettazione, mancata duplicazione degli interventi, riduzione dei costi, anche nell’ambito delle concessioni di lavori e del project financing .
Per quel che attiene, poi, ai servizi tecnici, regolati dal capo IV, sezione I, artt. 90 e ss. del Codice, si rileva come l’applicazione dell’art. 33 del Codice, ivi compreso il comma 3-bis, trovi applicazione in
forza del richiamo operato dall’art. 91, comma 1 alle disposizioni di cui alla parte II, titolo I e titolo II del codice per gli affidamenti di importo pari o superiore all'importo di euro 100.000. Fermo restando, ovviamente, l’affidamento interno all’amministrazione ai sensi dell’art. 90, comma 1, lett. b), secondo i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura possono essere espletati: dagli uffici consortili di progettazione e di direzione dei lavori che i comuni, i rispettivi consorzi e unioni, le comunità montane, le aziende unità sanitarie locali, i consorzi, gli enti di industrializzazione e gli enti di bonifica possono costituire con le modalità di cui agli articoli 30, 31 e 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
3. Forme di aggregazione preesistenti e prescrizioni del comma 3-bis
Numerose incertezze interpretative sono emerse con riferimento all’idoneità di forme di aggregazione preesistenti all’entrata in vigore del comma 3-bis a soddisfare l’obbligo introdotto dalla norma.
Al riguardo si osserva che, tra le forme associative previste dal d.lgs. n. 267/2000 – convenzioni, consorzi e unioni di Comuni – le convenzioni sono quelle in cui il vincolo tra i comuni partecipanti è meno stretto, essendo limitato all’esercizio di funzioni in modo coordinato.
Il comma 3-bis fa espresso riferimento alle unioni di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 267/2000 e, più genericamente, agli accordi consortili tra i Comuni. Invero l’espressione “accordi consortili” sembra sottendere un tipo di accordi che non si limitano alla figura del consorzio. Infatti, la stessa ANCI, da quanto emerge dalle FAQ sull’argomento pubblicate sul relativo sito istituzionale, conferma tale lettura. In relazione allo stesso schema di convenzione messo a disposizione dei Comuni, l’ANCI puntualizza che «numerose interpretazioni hanno evidenziato come il termine “accordo consortile” riportato nell’art. 33, comma 3-bis del d.lgs. n. 163/2006 costituisca un’espressione atecnica, con la quale il legislatore ha inteso genericamente riferirsi alle convenzioni definibili in base all’art. 30 del d.lgs. n. 267/2000 come strumento alternativo all’unione dei comuni» e che «in tale ottica interpretativa l’espressione “accordi consortili” debba essere intesa non già come accordi istitutivi di un vero e proprio consorzio (quindi ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 267/2000) bensì come atti convenzionali volti ad adempiere all’obbligo normativo di istituire una centrale di committenza, in modo da evitare la costituzione di organi ulteriori e con essi le relative spese, risultando peraltro la convenzione per la gestione associata un modello di organizzazione che sembra conciliare, ancor più del consorzio e dell’unione, i vantaggi del coordinamento con il rispetto delle peculiarità di ciascun ente».
Milita a favore dell’interpretazione sostenuta da ANCI, oltre all’applicazione dei correnti criteri ermeneutici, l’art. 2, comma 1, lettera b), del DPCM 11 novembre 2014 che prevede espressamente che possano presentare istanza per l’iscrizione all’elenco dei soggetti aggregatori le associazioni, unioni e consorzi di enti locali «ivi compresi gli accordi tra gli stessi comuni resi in forma di convenzione per la gestione delle attività ai sensi del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267».
Analoga problematica interpretativa si è posta per i Comuni facenti parte di unioni di Comuni già costituite che intendano dare vita ad accordi consortili con alcuni Comuni (anche non facenti parte
dell’unione) al fine di adempiere all’obbligo di cui al comma 3-bis. In tal caso, tenuto conto del dato letterale della norma di cui al comma 3-bis che impone di procedere agli acquisti nell’ambito delle unioni di comuni “ove esistenti” ovvero ricorrendo alle altre forme di aggregazione, potrebbe apparire che alle unione già costituite sia attribuita una sorta di prevalenza rispetto alle altre forme di aggregazione.
Sul punto, si rileva che, effettivamente, il legislatore sembrerebbe aver messo a disposizione dei Comuni una pluralità di opzioni fra loro alternative in modo da consentire la scelta della modalità, che in ragione della peculiare situazione del singolo Comune, meglio soddisfi le esigenze di procurement del Comune stesso. Il riferimento all’unione di Comuni “ove esistenti” pare dettato dal rispetto dei generali principi di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa piuttosto che dall’intento di stabilire categoricamente il primato delle unioni rispetto alle altre modalità di aggregazione.
Sul tema, tuttavia, è risulta determinante la previsione dell’art. 2, comma 28 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (finanziaria 2008). La norma appena richiamata prevede che: «Ai fini della semplificazione della varietà e della diversità delle forme associative comunali e del processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, ad ogni amministrazione comunale è consentita l'adesione ad una unica forma associativa per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, fatte salve le disposizioni di legge in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti. Dopo il 1° gennaio 2010, se permane l'adesione multipla ogni atto adottato dall'associazione tra comuni è nullo ed è, altresì, nullo ogni atto attinente all'adesione o allo svolgimento di essa da parte dell'amministrazione comunale interessata. Il presente comma non si applica per l'adesione delle amministrazioni comunali ai consorzi istituiti o resi obbligatori da leggi nazionali e regionali».
Ai sensi del articolo 1, comma 130-bis, della legge 7 aprile 2014, n. 56, «Non si applica ai consorzi socio- assistenziali quanto previsto dal comma 28 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni».
Quanto alla possibilità per le società interamente partecipate dai Comuni di svolgere le funzioni di centrale di committenza ai sensi dell’art. 33 e di soggetto aggregatore di cui al comma 3-bis, si osserva quanto segue.
I soggetti aggregatori sono la Consip S.p.A., una centrale di committenza per ogni Regione e gli altri soggetti che svolgono attività di centrale di committenza iscritti nell’elenco dei soggetti aggregatori. Secondo quanto previsto dal DPCM 11 novembre 2014, possono chiedere l’iscrizione all’elenco solo le città metropolitane e le associazioni, unioni e consorzi di enti locali o i soggetti da loro costituiti che svolgano attività di centrale di committenza ai sensi dell'art. 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 in possesso di specifici requisiti (art. 2, comma 1). È dunque ammesso che, oltre a Consip ed, eventualmente, alle centrali di committenza regionali costituite ai sensi dell'articolo 1, comma455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 ed indicate direttamente dalle Regioni, altre centrali di committenza (anche in forma societaria) possano essere riconosciuti come soggetti aggregatori, nei limiti numerici di cui dell’art. 9 del d.l. 66/2014, ai fini dell’ art. 3-bis.
Esclusivamente ai fini di cui all’art. 33, comma 3-bis, invece, anche società interamente pubbliche istituite quale soggetto operativo di associazioni di comuni o di accordi consortili tra i medesimi ovvero
costituite dalle Unioni, in rapporto di stretta strumentalità rispetto all’associazione, all’unione e all’accordo consortile, in ordine all’affidamento di contratti pubblici per i comuni facenti parte delle suddette forme, devono ritenersi moduli operativi compatibili con la ratio del comma 3-bis dell’art. 33. Esse possono rappresentare, infatti, lo strumento attraverso cui si individua l’ufficio dell’unione, dell’associazione o dell’accordo tra più comuni che curi i loro acquisti in modo centralizzato. Ciò che si impone come doveroso è che non diventino lo strumento per eludere la centralizzazione, non potendo il singolo comune facente parte dell’associazione, unione o consorzio commissionare singoli appalti alla eventuale società controllata in modo collettivo. Diversamente opinando si eluderebbe la forma aggregata dell’acquisto. Va da sé l’utilizzo di un tale sistema operativo di affidamento centralizzato presuppone un’adeguata programmazione degli interventi e degli acquisti, da operarsi in seno allo strumento associativo, coinvolgendo l’eventuale società controllata dall’Unione, dall’associazione o attraverso l’accordo consortile in maniera congiunta da parte dei comuni.
2.4 Modalità organizzative dei nuovi soggetti
Per quanto concerne le modalità organizzative da adottare al fine di dare correttamente attuazione alla norma, tenuto conto delle criticità emerse dalla prassi, si osserva quanto segue.
Relativamente all’individuazione del responsabile del procedimento rilevano due principi di carattere inderogabile:
- Il responsabile del procedimento deve essere unico: ai sensi dell’art. 10, comma 1 del Codice
«per ogni singolo intervento da realizzarsi mediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, un responsabile del procedimento, unico per le fasi della progettazione, dell'affidamento, dell'esecuzione»;
- il responsabile del procedimento deve essere un dipendente dell’amministrazione che bandisce la gara: ai sensi dell’art. 10, comma 5, secondo periodo «per le amministrazioni aggiudicatrici deve essere un dipendente di ruolo. In caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio».
Ciò implica che per le forme aggregative individuate dal comma 3-bis, il responsabile del procedimento deve essere individuato dal soggetto che bandisce la gara. Nel caso di Unione di comuni dalla stessa (cui, ai sensi dell’art. 32, comma 5 del T.U.E.L., sono conferite dai comuni partecipanti le risorse umane e strumentali necessarie all’esercizio delle funzioni loro attribuite), nel caso di accordi consortili che prevedano un comune capofila, sarà questo che nominerà il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti. Nel caso in cui ci sia avvalga degli uffici delle province, saranno questi ultimi, nell’ambito dei dipendenti in servizio ad individuare il RUP. Resta inteso che il RUP dovrà essere unico per tutte le fasi della procedura di acquisto. Relativamente alla fase esecutiva, così come previsto dall’art. 272, comma 5 del D.P.R. n. 207/2010, può essere indicato un direttore dell’esecuzione (che, di fatto, sostituisce il RUP nelle relative funzioni in fase esecutiva). Resta, peraltro, fermo l’obbligo di nominare
un direttore dell’esecuzione diverso dal RUP nei casi previsti dall’art. 300, comma 2 del D.P.R. n. 207/2010.
2.5 Deroghe e proroghe dei contratti in essere
Con riferimento all’ambito di applicazione delle deroghe (quali appalti dei Comuni delle zone terremotate possono considerarsi esenti dall’obbligo di centralizzazione) e la possibilità di prorogare contratti in corso nelle more dell’adesione ad una convenzione in via di perfezionamento nonché riguardo alla possibilità di prevedere un’operatività graduale della centrale di committenza di nuova costituzione, si osserva quanto segue.
Il comma 2 dell’art. 23-ter del d.l. n. 90/2014 può essere interpretato nel senso di esentare dall’applicazioni del comma 3-bis tutte le acquisizioni di lavori, servizi e forniture dei comuni delle zone terremotate indipendentemente dal collegamento delle stesse con le attività inerenti la ricostruzione. Ciò, evidentemente, fino a che la ricostruzione non potrà dirsi terminata.
Quanto alla possibilità di fare ricorso ad una proroga tecnica dei contratti in scadenza, si ritiene che, essendo intervenuto – ai sensi dell'art. 23-ter, comma 1, legge n. 114 del 2014, come modificato dall'art. 8, comma 3-ter, legge n. 11 del 2015 – un differimento di entrambi i termini, precedentemente previsti (1° gennaio 2015 per i servizi e le forniture e 1° luglio 2015 per i lavori), al 1° settembre 2015, per l’entrata in vigore della disposizione in argomento, la tematica della proroga dei contratti in essere, seppur per il tempo strettamente necessario al perfezionamento della costituzione/adesione alle forme aggregative contemplate dall’art. 33, comma 3-bis, non si ponga più in termini di attualità.
Tutto ciò premesso e considerato
Determina
nei sensi di cui al considerato in diritto.
Approvata dal Consiglio nella seduta del
Il Presidente Xxxxxxxx Xxxxxxx
Depositato presso la Segreteria del Consiglio in data Il Segretario: Xxxxx Xxxxxxxx