EN TRARE N EL M O N DO DEL LAVO RO
Capitolo 2
EN TRARE N EL M O N DO DEL LAVO RO
SOMMARIO
1) Il collocamento
2) Assunzione
3) Mansioni
4) Trasferimento
5) Distacco o comando
6) Applicabilità del Contratto Collettivo di lavoro
7) La politica dei redditi
8) Il contratto a tempo determinato
9) Il contratto di Formazione lavoro
10) Il contratto a tempo parziale
11) Il tirocinio formativo – stage
12) L’apprendistato
13) Lavori socialmente utili
14) Contratto di solidarietà
15) Xxxxxx e disabili
1) Il collocam ento
❖ Libretto di lavoro
E' stato istituito con legge n° 112 del 10.1.35, la quale dispone (Art. 1) che tutti i lavoratori dipendenti siano forniti di libretto personale di lavoro, rilasciato dal comune di residenza. E' vietato assumere in servizio lavoratori non muniti di libretto di lavoro. La stessa legge sopra citata all'Art. 7 stabilisce che il lavoratore ha diritto di prendere visione, in qualsiasi momento, del libretto di lavoro depositato presso il datore di lavoro. Cessato il rapporto, il datore di lavoro deve consegnare il libretto al lavoratore, che ne rilascerà ricevuta, non oltre il giorno successivo alla cessazione del servizio.
In Italia gli Uffici per il Collocamento dei lavoratori sono stati sostituiti dalle SCICA - Sezione Circoscrizionale per l'Impiego (Uffici del Ministero del lavoro) che operano per favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro e che sviluppano servizi di orientamento, avviamento al lavoro, preselezione.
I lavoratori iscritti nelle liste di collocamento si dividono in tre classi:
• Prima classe: sono i lavoratori disoccupati o in cerca di prima occupazione o occupati a tempo parziale con orario non superiore a 20 ore settimanali (che però aspirano al tempo pieno) e anche lavoratori avviati con contratti a tempo determinato la cui durata complessiva non superi i quattro mesi dell'anno solare.
• Seconda classe: sono i lavoratori occupati che aspirano ad una diversa occupazione.
• Terza classe: sono i titolari pensioni di vecchiaia e di anzianità che vogliono reinserirsi in qualche modo nel mondo del lavoro.
Le Sezioni Circoscrizionali per l'Impiego hanno però anche liste speciali: per esempio per chi vuole entrare nel mondo del lavoro come apprendista o per i soggetti svantaggiati per i quali esistono norme speciali per l'assunzione nel settore pubblico e privato. Per le persone che vogliono lavorare nel mondo dello spettacolo esistono uffici speciali localizzati a Roma e Milano.
L’assunzione può avvenire in diversi modi, ma secondo precise regole:
❖ Richiesta num erica
E' la regola generale secondo la quale vanno fatte le assunzioni; l'azienda indica all'ufficio di collocamento il numero e la qualifica dei lavoratori che intende assumere; la domanda dell'azienda viene esposta nella bacheca del collocamento e, nelle giornate stabilite, si effettuano le chiamate avviando al lavoro coloro che - tra gli iscritti - hanno il punteggio migliore; se ci sono rinunzie, si prosegue seguendo l'ordine della graduatoria.
❖ Richiesta nom inativa
In casi particolari (familiare del datore di lavoro; lavoratore altamente specializzato; impiegato di concetto; lavoratore già licenziato dalla stessa azienda per riduzione di personale; apprendista richiesto da una azienda con meno di 15 dipendenti, ovvero con più di 15 ma solo per il 25% degli apprendisti in forza; un giovane da assumere con CFL) le aziende possono assumere con richiesta nominativa; mediante questa procedura l'azienda può richiedere l'assunzione di una persona specifica di cui indica il nominativo all'ufficio di collocamento.
❖ A ssunzione diretta
L'azienda non presenta domanda di assunzione alla sezione di collocamento ma comunica, semplicemente, di aver assunto una determinata persona; questa procedura è consentita solo se si lavora presso uno studio professionale; se il lavoratore ha una qualifica di domestico, portiere, addetto ai servizi familiari; se il lavoro viene retribuito solo con la partecipazione agli utili; per qualifica di dirigente; per un apprendista assunto da una impresa artigiana.
❖ Passaggio diretto
Chi lavora presso una azienda e vuole cambiare azienda, per essere assunto non deve passare dalla sezione di collocamento, ma basta farsi rilasciare il nulla osta per il passaggio diretto; una volta fatta l'assunzione l'azienda ne darà comunicazione al collocamento.
2) Assunzione
A) dalla parte delle Aziende…….
L'inizio di attività con dipendenti implica una obbligatoria iscrizione a due Enti:
• INAIL per tutte le aziende soggette alle norme per la prevenzione degli infortuni;
• INPS per tutte le aziende che si avvalgono dell'opera di un dipendente.
La registrazione presso l'INAIL deve avvenire sia se inizia un'attività o inizia un rapporto di lavoro dipendente. Nel primo caso l'iscrizione riguarda i soci che prestano la loro opera senza essere dipendenti. Nel secondo caso invece, è necessario sapere che l'INAIL richiede registrazioni differenziate alle diverse qualifiche presenti; questo per garantire rischi assicurativi propri ad ogni qualifica. Per inoltrare la registrazione va fatta un comunicazione su uno speciale modello ottico rilasciato presso le sedi INAIL. Una volta attribuita una posizione assicurativa, l'INAIL richiede il primo versamento in acconto per il periodo che va dall'inizio dei lavori al 31/12 dello stesso anno. Annualmente poi, si rende obbligatoria una denuncia di autoliquidazione dove viene regolarizzato il premio dovuto, calcolato in base alle retribuzioni corrisposte nell'anno e applicando il tasso relativo.
La domanda di iscrizione all'INPS deve essere inoltrata alle sede INPS entro il 16 del mese successivo a quello di insorgenza dell'obbligo contributivo. L'Ente al ricevimento della domanda provvede all'assegnazione di un numero di matricola utile per la dichiarazione mensile dei calcoli retributivi e contributivi corrisposti. La domanda di iscrizione all'INPS deve essere
♦ Documenti obbligatori
La legge stabilisce l'uso in azienda di alcuni libri per chi ha un rapporto di lavoro dipendente. Questi libri prima del loro utilizzo devono essere numerati, vidimati dall'INAIL e conservati per almeno dieci anni dall'ultima registrazione.
I libri sono:
• Libro matricola
• Libro paga
• Libro presenze
• Registro infortuni
La legge stabilisce che i libri paga possono essere gestiti manualmente o tramite l'utilizzo di supporti elettronici e magnetici. In quest'ultimo caso l'utilizzo è subordinato alla autorizzazione INAIL. Particolare cura è richiesta nella gestione dei libri suddetti. In virtù di ciò l'autorità impone la scrittura con inchiostro indelebile e soprattutto di evitare il lascito di
spazio bianco o cancellature (eventuali correzioni devono essere fatte in modo che quella da sostituire sia comunque leggibile).
B) dalla parte dei lavoratori…………..
▪ Contratto di lavoro
E' l'oggetto centrale del diritto del lavoro e lo strumento giuridico esclusivo per mezzo del quale si costituisce il rapporto di lavoro e rappresenta la fonte sia per la sua disciplina che per la disciplina del pagamento della retribuzione.
Per contratto si intende l'accordo con il quale si obbliga a prestare la propria opera a vantaggio del datore di lavoro in cambio di una determinata retribuzione. L'oggetto del contratto è qualsiasi attività intellettuale o manuale purché lecita.
La stesura del contratto individuale o lettera d'assunzione deve essere composto da una serie di elementi previsti dai contratti collettivi o dalla legge. Deve essere presente innanzitutto la data di inizio del rapporto, il luogo di lavoro, la categoria, il livello, la retribuzione, il numero di iscrizione sul libro matricola e la durata del periodo di prova eventualmente richiesto. Entro 30 giorni la lettera deve essere consegnata al dipendente. Una volta stipulato il contratto, bisogna adempiere a determinati obblighi verso l'Ufficio del Lavoro e della Massima Occupazione, pena il cadere in pesanti sanzioni.
Elementi essenziali per la validità del contratto sono:
- capacità giuridica dei contraenti
- consenso valido
- oggetto determinato
- causa lecita
- forma: è generalmente libera; è prevista la scrittura solo per alcune clausole onerose per il prestatore di lavoro, come ad esempio la determinazione del periodo di prova.
a) Patto di prova
L'Art. 2106 del C.C. dispone che l'assunzione del prestatore di lavoro - per un periodo di prova - debba risultare da atto scritto (Secondo le sentenze n. 9101 del 24.08.91 e n. 11427 del 19.11.93 della Corte di Cassazione, la mancanza della forma scritta per il patto di prova comporta la nullità assoluta dello stesso e la sua automatica conversione in assunzione definitiva. Secondo la sentenza n. 25 del 3.01.1995 della stessa Corte, la stipulazione scritta del patto di prova deve essere anteriore o - quantomeno contestuale - all'inizio del rapporto di lavoro, derivando dalla mancanza di detta anteriorità o contestualità la nullità dell'assunzione in prova con conseguente automatica ed immediata assunzione definitiva del lavoratore, non piu' licenziabile se non ricorrono i presupposti di giustificato motivo o giusta causa; per l'accertamento della data di inizio del rapporto di lavoro possono utilizzarsi - in concorso con altri elementi idonei anche le annotazioni sul libretto di lavoro) . Durante tale periodo - funzionalmente destinato alla verifica sia delle qualità professionali che del comportamento, della professionalità complessiva del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione - il datore di lavoro deve porre il lavoratore nella condizione di dare prova delle proprie qualità professionali; il lavoratore è invece obbligato ad adempiere la prestazione di lavoro convenuta, al fine di porre il datore di lavoro nelle condizioni di poter giudicare. Non è consentita, neanche con il consenso delle parti, una proroga del periodo di prova oltre il periodo massimo consentito.
L'esito favorevole può essere comunicato con una esplicita dichiarazione degli interessati o con la scadenza del periodo non seguita da dissenso.
Se il periodo di prova non è favorevole, nè il datore di lavoro o il lavoratore sono obbligati a motivare la decisione) .
Il lavoratore licenziato durante il periodo di prova può ricorrere al giudice quando si tratti di licenziamento per motivi illeciti, oppure quando si possa dimostrare l'esito positivo della prova ovvero quando il datore di lavoro non abbia consentito al lavoratore di dimostrare le proprie capacità professionali; la giurisprudenza considera necessari l'effettivo svolgimento della prova, l'adeguata durata dell'esperimento e la puntuale verifica tecnica del lavoratore.
▪ Patto di prova e recesso:
L'esercizio del potere di recesso, consentito in ogni momento del periodo di prova, non è caratterizzato da una discrezionalità assoluta ma deve essere coerente con la causa del patto: il lavoratore che non dimostri e neppure chieda di dimostrare il positivo superamento dell'esperimento e l'imputabilità del recesso ad un motivo estraneo e, quindi, illecito non può eccepire e dedurre la nullità di tale recesso in sede giudiziale (Corte di Xxxx.xx n° 2631 del 25.03.96).
Consentire l'esperimento significa acquisire sufficienti elementi di valutazione in ordine alla reciproca convenienza di dar luogo ad un rapporto definitivo che sorge automaticamente al compimento dell'intero periodo di prova).
La giurisprudenza prevalente (vedi da ultimo Corte di Xxxx.xx n° 12814/92) è orientata nel ritenere che - in mancanza di una espressa disposizione collettiva - il periodo di prova debba essere determinato tenendo conto dei giorni di lavoro effettivo con esclusione delle ferie, delle festività dei permessi e della malattia, con inclusione dei giorni di riposo settimanale.
b) D urata
Il contratto di lavoro, di norma, è a TEMPO INDETERMINATO.
Il contratto di lavoro è un contratto sinallagmatico, in quanto ognuna delle due parti assume diritti e doveri (il lavoratore, ad esempio, assume un dovere - cioè la prestazione di un lavoro - ed un diritto - cioè la ricezione di un compenso); il lavoratore deve essere in grado, all'atto dell'assunzione, di conoscere e, perciò di valutare la natura e l'ambito della prestazione che va ad offrire.
L'Art. 96 delle norme di attuazione del C.C. stabilisce che il datore di lavoro deve far
conoscere al prestatore di lavoro - al momento della sua assunzione - la qualifica , cioè quella particolare posizione che - nell'ordinamento gerarchico aziendale - spetta al lavoratore, in base alla natura delle mansioni espletate e che si risolve in un vero e proprio stato personale del lavoratore da cui derivano particolari diritti e doveri in relazione alla natura della collaborazione che deve fornire all'azienda. Al 2° comma dello stesso articolo si stabilisce che il prestatore di lavoro assume il grado gerarchico corrispondente alla qualifica ed alle mansioni. La determinazione della qualifica e del grado non possono essere rimesse all'arbitrio delle parti ma, una volta determinate le mansioni, l'assegnazione della qualifica adeguata e, quindi, del grado conseguente costituiscono un diritto indisponibile del lavoratore.
3) M ansioni
L’Art. 13 della legge 300/70 sostituisce completamente l'Art. 2103 del Codice Civile. Quest'ultimo sanciva il principio della immutabilità delle mansioni condizionandola, però, alle esigenze dell'impresa. Ciò consentiva al datore di lavoro di adibire il lavoratore ad una mansione diversa (superiore od inferiore) purchè questo non comportasse una diminuzione della retribuzione o un mutamento sostanziale nella posizione del lavoratore. La Corte di Cassazione (n° 2231 - 5.4.84) ha confermato che è legittimo il rifiuto di un lavoratore di prestare la sua attività lavorativa in mansioni non equivalenti a quelle che gli competono a norma dell'Art. 2103 C.C., conservando il diritto a percepire la retribuzione,
semprechè dichiari di essere disposto a svolgere le mansioni per le quali è stato assunto o quelle equivalenti oppure corrispondenti alla categoria superiore che successivamente abbia acquisito.
Con l'Art. 13 il legislatore ha riaffermato il diritto del lavoratore ad " essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a quelle equivalenti alle ultime effettivamente svolte senza alcuna diminuzione della retribuzione". La Corte di Cassazione (n° 4918 - 17.11.89) ha stabilito che il diritto alla qualifica superiore può risultare, anche, dal cumulo di distinte prestazioni lavorative discontinue.
In questo modo si è introdotto il concetto di "diritto soggettivo del lavoratore alla promozione ed alla carriera"; infatti, nel caso di assegnazione a mansioni superiori, il lavoratore ha subìto diritto al trattamento economico corrispondente all'attività svolta e, divenendo definitiva l'assegnazione (semprechè non sia stata fatta in sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto oppure in ogni caso trascorsi tre mesi dall'assegnazione), il lavoratore ha diritto alla promozione.
La sola condizione da verificare è che l'assegnazione alle mansioni superiori sia stata piena, nel senso che abbia comportato l'assunzione delle responsabilità e l'esercizio della autonomia propria della corrispondente qualifica superiore, essendo irrilevante l'identicità tra tali mansioni e quelle proprie di altri lavoratori che abbiano già ottenuto la qualifica (Corte di Cassazione n° 1433 del 23.02.1996).
Con decisione n. 1530 del 17 febbraio 1994, la Corte di Cassazione stabilì che la circostanza che compiti identici siano stati svolti precedentemente da altri dipendenti con qualifica superiore non rileva ai fini del diritto al superiore inquadramento, neppure sotto il profilo della disparità di trattamento .
Nell'ultimo comma dell'Art. 13 viene disposto il divieto di trasferimento di un lavoratore da una unità produttiva ad un'altra se non sussistono ragioni tecniche o produttive che il datore di lavoro ha l'onere di provare.
♦ MUTAMENTO "IN PEJUS" DELLE MANSIONI IN CASO DI RISTRUTTURAZIONE AZIENDALE
Con sentenza n° 9386 del 7.9.93, la Corte di Cassazione ha ammesso l'assegnazione peggiorativa di mansioni in caso di ristrutturazione aziendale onde evitare il licenziamento, purchè tutto venga concordato con le XX.XX. .
La ratio di questa sentenza sta nel fatto che la mosificazione "in pejus" avviene per scelta del lavoratore (senza alcuna sollecitazione anche indiretta del datore di lavoro), ovvero viene concordata nel suo interesse quale soluzione più favorevole rispetto al licenziamento o al ricorso alla cassa integrazione.
♦ LAVORATORI PROVENIENTI DA ALTRA AZIENDA: PARITA' DI TRATTAMENTO
La Corte di Cassazione (sentenza n° 12676 del 27.11.92), intervenendo sul principio della parità di trattamento tra lavoratori che svolgono le stesse mansioni, ha ritenuto che non è ravvisabile alcuna violazione della regola che impone parità di trattamento nell'ipotesi che ad alcuni dipendenti provenienti da altra azienda venga corrisposto (in forza di una sentenza) uno specifico emolumento già riconosciutogli dal precedente datore di lavoro.
Ciò in virtù del fatto che la differenza di trattamento è connessa ad una diversità di situazioni soggettive (in ossequio ad una situazione giudiziale)e non deriva da una autonoma scelta di politica retributiva.
♦ RIDUZIONE QUANTITATIVA DELLE MANSIONI
L'equivalenza delle mansioni assegnate al lavoratore rispetto alle ultime effettivamente svolte è costituita dal contenuto professionale delle mansioni stesse. Pertanto, devono considerarsi inferiori le mansioni che - rispetto alle precedenti - comportino una sotto utilizzazione del patrimonio professionale del lavoratore.
Una riduzione quantitativa, perciò, può essere ammessa purchè non comporti uno svuotamento della mansione stessa a livello sostanziale (X.Xxxx.xx nn° 3921/85; 1720/87; 1933/88; 10405 del 4.10.1995).
♦ RICONOSCIMENTO GIUDIZIALE DELLA QUALIFICA DI QUADRO
La legge n. 190 del 13.5.1995, sostituendo il 1° comma dell'Art. 2095 c.c., ha aggiunto la categoria dei quadri fra le categorie tradizionali dei dirigenti e degli impiegati definendoli come prestatori di lavoro subordinato che - pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti - svolgano funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell'attuazione degli obbiettivi dell'impresa.
Le mansioni di quadro, quindi, devono contenere il quid pluris rispetto alla categoria degli impiegati (anche di massima fascia) e devono sempre essere inferiori a quelle del dirigente di ultimo livello.
La stessa legge ha disposto (nell'Art. 3) che le Aziende, entro 1 anno, avrebbero provveduto a definire - attraverso la contrattazione collettiva - l'attribuzione della nuova qualifica.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 2246 del 27.02.1995) ha ritenuto che, laddove la contrattazione collettiva non provvede con norme proprie a dare attuazione alla legge in questione, il giudice possa attribuire la qualifica di quadro al lavoratore dipendente, sulla base delle indicazioni specifiche poste dalla legge 190/1985.
♦ IDONEITÀ FISICA ALLE MANSIONI
Sul piano giuridico, potrebbe essere affrontata rispetto all'Art. 2087 C.C. (Tutela delle condizioni di lavoro: l'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che - secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica - sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro) ed ai principi generali in tema di impossibilità sopravvenuta all'adempimento delle obbligazioni. Più precisamente, se il lavoratore dispone di certificazione idonea a comprovare che il suo stato di salute è incompatibile con le mansioni svolte sino a quel momento e l'organizzazione aziendale consenta una collocazione idonea allo scopo, potrò chiedere il cambiamento delle mansioni stesse.
Ove non vi fosse disponibilità oggettiva di assegnazioni diverse ma equivalenti, il datore di lavoro potrebbe rifiutare la richiesta ed addirittura intimare il recesso di contratto per giustificato motivo oggettivo.
Ai fini della legittimità del recesso adottato per tale motivazione, è sufficiente l'accertamento dell'attuale stato di inabilità - in base ad un giudizio di ragionevole previsione - senza che possa successivamente rilevare l'eventuale postuma recuperata idoneità fisica (Corte di Cassazione n. 5713 del 20.05.1993).
E' più vincolante, invece, la legge sulle assunzioni obbligatorie che impone l'obbligo di adibire l'invalido - assunto come tale - a mansioni compatibili con le sue condizioni fisiche. Sul datore di lavoro grava un obbligo di primaria importanza: la tutela dell'integrità fisica dei lavoratori nei posti di lavoro.
Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro avverta l'esistenza di condizioni che minacciano l'integrità fisica del lavoratore e che, oggettivamente, non possono essere rimosse, deve impedire al dipendente di continuare ad effettuare la prestazione a rischio o immediatamente dannosa alla sua salute.
Secondo la Corte di Cassazione n. 5961/1997, è soggetto a responsabilità risarcitoria per violazione dell’art. 2087 c.c. il datore di lavoro che, consapevole dello stato di malattia del lavoratore, continui ad adibirlo a mansioni che sebbene corrispondenti alla sua qualifica siano suscettibili – per la loro natura e per lo specifico impegno (fisico e mentale) - di metterne in pericolo la salute. L’esigenza di tutelare in via privilegiata la salute del lavoratore alla stregua dell’art. 2087 c.c. e la doverosità di una interpretazione del contratto di lavoro alla luce del principio di correttezza e buona fede, di cui all’art. 1375 c.c.
– che funge da parametro di valutazione comparativa degli interessi sostanziali delle parti contrattuali – inducono a ritenere che il datore di lavoro debba adibire il lavoratore, affetto da infermità suscettibili di aggravamento a seguito dell’attività svolta, ad altre mansioni compatibili con la sua residua capacità lavorativa, sempre che ciò sia reso possibile dall’assetto organizzativo dell’impresa, che consenta un’agevole sostituzione con altro dipendente nei compiti più usuranti. Quando ciò non sia possibile, il datore di lavoro può far valere l’infermità del dipendente quale titolo legittimante il recesso ed addurre l’impossibilità della prestazione per inidoneità fisica – in applicazione del generale principio codicistico dettato dall’art. 1464 c.c. – configurandosi un giustificato motivo oggettivo di recesso per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, e restando in ogni caso vietata la permanenza del lavoratore in mansioni pregiudizievoli al suo stato di salute” .
Lo strumento per accertare la compatibilità tra le condizioni fisiche di un dipendente e le mansioni a lui affidate è quello offerto dall'ultimo comma dell'art. 5 della legge 300/70 e, cioè, la facoltà che il datore di lavoro ha di far controllare l'idoneità fisica del dipendente da parte di enti pubblici; questo al fine di dar luogo ad una certificazione inoppugnabile fornita dal collegio medico legale istituito presso ogni USL.
In attesa che questa struttura si pronunci e ove vi sia il legittimo sospetto che il dipendente sia particolarmente esposto al rischio immediato di riportare danni fisici, il datore di lavoro può intervenire preventivamente sospendendo cautelativamente il lavoratore stesso dalla prestazione; tale sospensione verrà, comunque, revocata non appena l'imprenditore verrà a conoscenza dei risultati della visita di idoneità.
- Se la USL certifica la piena idoneità del dipendente alle mansioni affidategli, il datore di lavoro deve continuare ad utilizzare il lavoratore per le sue mansioni e, contemporaneamente, acquisisce un elemento utile a temperare la propria responsabilità nell'ipotesi in cui le condizioni di lavoro dovessero recare un danno alla salute del lavoratore.
- Se la USL accerta una inidoneità specifica al lavoro e l'incompatibilità accertata è totale e permanente, l'imprenditore ha l'obbligo di non permettere la prestazione del lavoratore. In questo caso la risoluzione del rapporto per impossibilità sopravvenuta alla prestazione (giustificato motivo oggettivo di licenziamento) è legittima conseguenza dell'esito della visita (Artt. 1463 e 1464 cc.). Il datore di lavoro può ricercare (inteso come facoltà e non come obbligo), all'interno dell'azienda, una nuova collocazione al dipendente.
La Corte di Cassazione (sentenze nn. 1115 del 3.2.92 e 3517 del 20.3.92) ha affermato l'inesistenza di un obbligo del datore di lavoro di adibire il dipendente a mansioni diverse da quelle per cui non è risultato più idoneo dal punto di vista fisico.
La stessa Corte (sentenza n. 6106 del 21.5.92) ha chiarito che, nell'ipotesi di impossibilità (anche parziale) sopravvenuta alla prestazione del dipendente per motivi di inidoneità fisica, il recesso non è subordinato alla prova di assenza di valide alternative di lavoro all'interno dell'azienda.
La Corte di Cassazione (sentenza n° 3174 del 18.03.1995) ha affermato che la sopravvenuta impossibilità fisica o psichica del lavoratore di svolgere le mansioni per le quali è stato assunto ed alle è stato in concreto destinato secondo le esigenze dell'impresa, non comporta il diritto del lavoratore medesimo di ottenere l'assegnazione a nuove o diverse mansioni compatibili con lo stato di minorata capacità (è fatto salvo il caso di espressa e specifica previsione legislativa o contrattuale) ma, anzi, può giustificare il recesso da parte dell'imprenditore senza che quest'ultimo abbia l'onere di provare che nell'azienda non vi siano altri posti di lavoro con mansioni confacenti alle condizioni del lavoratore.
Secondo la Corte di Cassazione (n. 5961/1997), sarà l’azienda a dover dimostrare, come in tutti i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’impossibilità di riutilizzo del
lavoratore in altre mansioni - primariamente equivalenti ex art. 2103 c.c. e, secondariamente, attesa l’oramai intervenuta legittimazione di pattuizioni di “declassamento concordato o consensuale” (al solo scopo di evitare il licenziamento) - in mansioni anche non equivalenti ed inferiori ma suscettibili di salvaguardare il bene dell’occupazione (più che lo stato di salute), potendo l’imprenditore – secondo le sezioni unite – rifiutare l’assegnazione a mansioni equivalenti (o anche inferiori) quando ciò “comporti aggravi organizzativi ed in particolare il trasferimento di singoli colleghi dell’invalido”.
Ad avviso della Corte di Cassazione (n. 7908/1997), nell’ipotesi di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore alle mansioni affidategli, può ritenersi legittimo il recesso del datore di lavoro solo quando sia provata l’impossibilità di adibire il lavoratore, la cui prestazione sia divenuta parzialmente impossibile, a mansioni equivalenti e compatibili con le sue residue capacità lavorative, senza che ciò comporti una modifica dell’assetto aziendale.
Secondo la Corte di Cassazione (Sezioni Unite n. 7755/1998), la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato (artt.1 e 3, legge
n. 604 del 1966 e 1463, 1464 del codice civile), non è ravvisabile nella sola ineseguibilità dell’attività attualmente svolta dal prestatore, ma può essere esclusa dalla possibilità di altra attività riconducibile – alla stregua di un’interpretazione del contratto secondo buona fede – alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (articolo 2103 del codice civile) o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purchè questa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore. In parziale controtendenza rispetto agli obblighi aziendali sembra andare la sentenza della Corte di Cassazione (5 agosto 2000, n. 10339) secondo cui il lavoratore certificato parzialmente inidoneo alla mansione, non può pretendere di permanere nella stessa mansione venendo esonerato dal compito principale. In caso di impossibilità sopravvenuta parziale della prestazione, sussiste invece - come affermato dalla Corte di Cassazione (Sezioni Unite n. 7755/98) - il diverso diritto di assegnazione a mansioni diverse ed equivalenti (sempreché sussistenti in azienda) ed anche inferiori, dietro manifestazione di consenso del lavoratore alla dequalificazione finalizzata alla salvaguardia del superiore interesse dell'occupazione, per la cui richiesta al datore di lavoro anche il lavoratore deve attivarsi precisando le residue attitudini professionali tali da rendere possibile all'azienda una diversa collocazione all'interno.
4) Trasferim ento
Il lavoratore ha l'obbligo di conservare diligentemente le materie prime e gli strumenti di lavoro forniti dal datore di lavoro; è, inoltre, obbligato a prestare la propria prestazione nel luogo fissato dal datore di lavoro.
Nell'ultimo comma dell'Art. 13 viene disposto il divieto di trasferimento di un lavoratore da una unità produttiva ad un'altra se non sussistono ragioni tecniche o produttive che il datore di lavoro ha l'onere di provare.
Quindi, il trasferimento inteso come mutamento della residenza di lavoro del prestatore d'opera, cioè il mutamento definitivo del luogo in cui la prestazione di lavoro deve essere data, può avvenire solo nel caso che sia giustificato da comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive dell'impresa. La prova della sussistenza di tali ragioni è a carico del datore di lavoro e deve essere fornita unitamente alla comunicazione del trasferimento. Ulteriori vincoli al trasferimento sono talvolta previsti dai contratti collettivi. Se il datore di lavoro non rispetta questi suoi obblighi, il lavoratore potrà rivolgersi al Pretore del lavoro per ottenere l'annullamento del trasferimento.
Il lavoratore ha, poi, l'obbligo di fedeltà all'impresa ed alle sue specifiche finalità; non può, quindi, divulgare fatti o notizie destinate a rimanere segrete. Inoltre, non può trattare - per proprio conto o per conto terzi - affari in concorrenza con l'impresa.
La Corte di Cassazione è assolutamente ferma nel ritenere che l'Art. 2103 c.c. - così come modificato dall'Art. 13 legge 300/70 - subordinando la legittimità del trasferimento di un lavoratore da una unità produttiva ad un'altra alla sussistenza di comprovate ragioni tecniche/organizzative/produttive, postula l'effettiva esigenza di queste ultime e il loro reale soddisfacimento attraverso il trasferimento ma, anche, la controllabilità da parte del lavoratore destinatario del provvedimento ed inoltre, per il datore di lavoro, l'onere di offrire la prova in caso di controversia.
Per la giurisprudenza è inammissibile una comparazione della posizione professionale del dipendente trasferito in quanto tale comparazione si risolverebbe in un controllo giudiziale non consentito su scelte rimesse alla discrezionalità dell'impresa; l'imprenditore, pertanto, trasferirà il lavoratore a suo avviso più idoneo a recepire la posizione di lavoro situata nella diversa unità produttiva.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 2228/1986) e le Sezioni Unite della stessa Corte (sentenza n. 4747/1986) hanno ammesso - pur confermando l'illegittimità del trasferimento per motivi disciplinari del lavoratore subordinato - la validità del cosiddetto "trasferimento per motivi ambientali", cioè quello di un dipendente che si trova in grave contrasto con i superiori o i colleghi, ritenendo possibile che il comportamento del lavoratore integri insieme gli estremi di fatto disciplinarmente rilevanti ed altresì una delle ragioni (tecniche/organizzative/produttive) previste dall'Art. 2103 cc. (così come modificato dall'Art. 13 legge 30070), come legittimanti il trasferimento medesimo.
Per il datore di lavoro, l'onere della prova della sussistenza di esigenze aziendali incombe anche nel caso del cosiddetto trasferimento collettivo.
❖ MOTIVAZIONE DEL TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE
L'onere del datore di lavoro di indicare le ragioni poste alla base del trasferimento del lavoratore sorge solo a seguito di una esplicita richiesta di quest'ultimo (varie sentenze di Corte di Cassazione e da ultima n. 909 del 26.1.1995).
Non è, quindi, sufficiente una mera contestazione (anche in forma scritta) dell'operato del datore di lavoro, sia pur riferita alla genericità delle ragioni di quest'ultimo allegate a giustificazione del provvedimento (varie sentenze di Corte di Cassazione; ultima sentenza n. 1563 del 18.02.94).
Parimenti consolidato nella giurisprudenza è il principio secondo cui il controllo giudiziale delle "comprovate ragioni tecniche..........." deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa; lo stesso controllo trova un preciso limite nel principio di libertà della iniziativa economica privata garantita dall'Art. 41 della Costituzione e, conseguentemente, non può spingersi oltre la verifica circa l'effettiva sussistenza di ragionevoli motivi ed il rispetto dei limiti connessi al divieto di atti discriminatori o lesivi della sicurezza, libertà e dignità del lavoratore e non può estendersi fino alla valutazione del merito della scelta del datore di lavoro (varie sentenze di Corte di Cassazione - vedere n. 6832 del 17.6.91 e n. 9487 dell'11.8.92).
Inoltre, le comprovate ragioni che devono giustificare il trasferimento non richiedono - da parte del datore di lavoro - anche la prova dell'inevitabilità del trasferimento stesso (Corte di Cassazione n. 10122 del 28.11.1994).
La stessa Xxxxx (xxxxxxxx xx 0000 del 15.03.95) ha ritenuto legittima la decisione dell'imprenditore che, stante la necessità di spostare l'ufficio al quale era addetto il prestatore di lavoro, aveva disposto il trasferimento del medesimo al fine di evitargli la dequalificazione.
5) Distacco o com ando
Il comando o distacco sono applicazioni di un istituto atipico nell'ordinamento giuslavoristico, mutuato dall'ordinamento pubblicistico (D.P.R. n° 1077 del 28.12.70) e consistono nella temporaneità della destinazione di un lavoratore presso altro datore di lavoro e nella sussistenza dell'interesse del distaccante a che il proprio dipendente svolga la sua attività lavorativa in favore di un altro datore di lavoro.
Questi istituti, comunque, non danno luogo all'estinzione dell'originario rapporto di lavoro ma, solo, alla variazione dell'obbligazione fondamentale concernente la prestazione dell'attività lavorativa del dipendente che da quest'ultimo deve essere adempiuta in favore del beneficiario anzichè direttamente nei confronti del datore di lavoro (Corte di Cassazione sentenze nn. 3159 del 23.05.1984, 5708 del 12.11.1984 e 5406
6.06.1990).
L’ipotesi del distacco, quindi, si realizza allorchè il lavoratore, pur conservando il rapporto contrattuale con il datore di lavoro stipulante, rende la sua prestazione a beneficio di un terzo indicato dallo stesso datore ed è inserito e collabora in una impresa diversa da quella di detto datore, il quale rimane l’unico soggetto obbligato a corrispondergli la retribuzione (Corte di Cassazione sentenza n° 7161 del 3.12.1986).
Non è necessaria la predeterminazione del comando o del distacco: l’inizio del distacco può coincidere con l’assunzione del lavoratore e può anche protrarsi per un lungo periodo di tempo; la durata, però, deve coincidere con l'interesse del datore di lavoro originario a che il proprio dipendente presti la sua opera a favore di un terzo (Corte di Cassazione sentenza n° 7328 del 15.06.1992).
La titolarità del rapporto resta in capo al datore di lavoro distaccante e l’effettivo esercizio del potere direttivo viene trasferito al datore di lavoro distaccatario (Corte di Cassazione sentenza n° 10807 n° del 9.11.1990).
Stante la persistenza dell'originario rapporto di lavoro il datore distaccante è tenuto - in quanto titolare del rapporto - a farsi carico di ogni modificazione che intervenga nel corso della fase del distacco e cioè sia in tema di mansioni svolte che in tema di trattamento economico migliorativo (Corte di Cassazione sentenza n° 7431 n° del 20.07.1990).
Nel caso di svolgimento di mansioni superiori per effetto di direttive del beneficiario, il datore di lavoro distaccante è tenuto a riconoscere l’inquadramento superiore e le relative differenze retributive (Pretura di Roma sentenza n° 2.01.1992).
Per giurisprudenza (ricordiamo le sentenze della Xxxxx xx Xxxxxxxxxx xx. 0000 dell’8.02.1985 e 1310 del 6.02.1988) costante, la legittimità del distacco del lavoratore presso un terzo è ammissibile e, quindi, non integra la fattispecie della legge 1369/60, in presenza di determinati requisiti qualora l'assegnazione al diverso posto di lavoro sia temporanea (anche se di lunga durata) e qualora sussista un interesse del datore di lavoro distaccante a che la prestazione lavorativa sia resa a favore di un terzo. Riguardo questo tema, la Suprema Corte - con sentenza n° 1131 del 14.02.1983 - sostiene che il giudice di merito deve accertare l'esistenza, in concreto, di tale interesse (non solo iniziale ma, anche, persistente) a che il lavoratore svolga la propria prestazione fuori dall'azienda detentrice dell'originario rapporto di lavoro. Con sentenze nn° 2893/91 e 6657 del 13.06.95, la Suprema Corte ha, anzi, stabilito che non è necessaria la predeterminazione del distacco, ma è sufficiente che lo stesso duri per il tempo in cui persiste l'interesse dell'azienda distaccante.
A questo proposito bisogna segnalare la sentenza n. 4435 del 7.08.1982 con la quale la
Corte di Cassazione ha precisato che l'interesse del datore di lavoro al distacco del lavoratore deve essere analogo a quello che ha determinato la costituzione del rapporto; è, quindi, da considerarsi sussistente allorquando l'assegnazione costituisce uno strumento per una proficua utilizzabilità delle energie lavorative del dipendente, non già se
serve a garantire al lavoratore quell'occupazione non più possibile presso l'originario rapporto di lavoro.
Questo aspetto è stato modificato dall’Articolo 8 comma 3 della legge n° 236/93 secondo cui, in presenza di crisi, riorganizzazioni o ristrutturazioni aziendali, un accordo sindacale - al fine di evitare la riduzione di personale - può regolare il "comando o distacco di uno o più lavoratori dall'impresa ad altra per una durata temporanea".
Comunque, rimane fermo il perdurare del vincolo obbligatorio con il datore distaccante sul quale continuano a gravare gli obblighi contributivi ed alla cui attività si deve far riferimento ai fini della classificazione previdenziale e, quindi, alla determinazione del regime contributivo applicabile, quali che siano le attività del terzo distaccante e le mansioni del lavoratore durante il distacco (Corte di Cassazione n° 2910 dell'11.03.1993).
Il temporaneo distacco del lavoratore da parte di una società presso altra del medesimo gruppo non determina di per se alcuna sospensione dei diritti o degli obblighi implicati dal rapporto di lavoro con la società distaccante, qualora sia dimostrato che quest’ultima abbia un proprio interesse ad attuare questa forma di provvisoria utilizzazione del suo dipendente (Corte di Cassazione n° 10556 del 8.10.1991).
FAC-SIMILE DELLA COMUNICAZIONE ALL’AZIENDA DISTACCATARIA
Spett.le Direzione
…………………… Oggetto: Distacco temporaneo
Con la presente, atteso l’interesse dell’azienda
………….. (sintetica motivazione esplicativa dell’interesse aziendale), si dispone con decorrenza dal …………….il temporaneo distacco del dipendente ……………………………………., nato a e
residente a , presso codesta azienda per assolvere
l’incarico di ……………………. .
Il distacco decorrerà dal giorno ed avrà termine il giorno
………………. .
Oppure
Il distacco, allo stato, viene individuato per un periodo di ……………..
(mesi/anni) a partire dalla suddetta decorrenza, fatte salve eventuali successive comunicazioni al riguardo.
Limitatamente al periodo di distacco verrà riconosciuto al predetto
dipendente il trattamento economico… , rimanendo invariate
le condizioni che disciplinano il rapporto di lavoro in corso con la scrivente.
FAC-SIMILE DELLA COMUNICAZIONE AL DIPENDENTE
Oggetto: Distacco temporaneo presso la……………….
Con la presente, Le comunichiamo che Ella viene temporaneamente distaccato presso la (eventuale) unità/servizio/ufficio…………..
Il distacco decorrerà dal giorno …………………… ed avrà termine il giorno ………………. .
Oppure
Il distacco decorrerà dal giorno……..ed avrà la durata di
…………….. (mesi/anni) salva una diversa durata che Le sarà tempestivamente comunicata.
In tale periodo Xxxx avrà l’incarico…………
Il trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte durante il distacco, Le verrà attribuito con le seguenti modalità………. Rimangono invariate le condizioni che disciplinano il rapporto di lavoro in corso con la scrivente; il Suo rapporto di lavoro sarà pertanto regolato dalle vigenti norme di legge e dalle norme del contratto nazionale di lavoro del…………..
▪▪▪
▪ Distacco e trasferimento:
Ad avviso della Corte di Cassazione (sentenza 08.02.1988 n° 1325) è da escludersi che il distacco, cioè una modificazione delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, possa ricomprendersi nell’ambito della nozione di trasferimento di cui all’ultima parte del 1° comma dell’Art. 2103 c.c. (“……….Il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive”).
Detta norma, infatti, disciplina lo spostamento del lavoratore da una unità produttiva all’altra della stessa azienda; il distacco, invece, non realizza soltanto il mutamento del luogo della prestazione, ma si ha la concreta utilizzazione di tale prestazione da parte di un soggetto diverso e, talora, il mutamento di settore di produzione.
Quindi, per poter operare il distacco non è necessaria la presenza delle predette condizioni tecniche, organizzative e produttive che, invece, condizionano il trasferimento. Nei fatti, si possono determinare - nel distacco presso una sede di lavoro situata in località diversa – problematiche simili a quelle del trasferimento (spese di viaggio, di trasloco e di sistemazione nella nuova residenza, spese di abitazione ecc.) che possono trovare una
autonoma e discrezionale soluzione da parte del datore di lavoro, non essendo l’azienda di per se tenuta ad applicare la disciplina prevista dai contratti collettivi per la fattispecie del trasferimento e della missione.
6) L’applicabilità del Contratto Collettivo di Lavoro
Sono giuridicamente tenuti ad applicare il CCNL di categoria, sia per quanto riguarda la parte normativa che per quella economica, i datori di lavoro associati all'associazione di categoria firmataria del contratto stesso. Lo sono anche i datori di lavoro che, associati o meno alla predetta associazione, fanno esplicito riferimento al CCNL nella lettera di assunzione.
Per i datori di lavoro che non risultano associati e non fanno riferimento al CCNL nella lettera di assunzione, non sono tenuti ad applicare il CCNL stesso ma, se vi fanno riferimento implicito - applicando di fatto retribuzioni, orario, ferie ecc.- per un lungo periodo di tempo ed in assenza di accordi individuali o collettivi diversi, il CCNL può essere giuridicamente esigibile.
a) Violazione – Condotta antisindacale
Quando vi sia violazione di un CCNL, ovvero di un istituto dello stesso, sono possibili due ipotesi:
1) E' sufficiente la sussistenza di una condotta che, oggettivamente (o in via solo potenziale), vada a ledere quegli interessi collettivi (fra cui il CCNL) di cui le OOSS sono portatrici dirette (Corte di Cassazione n° 8610 del 16.07.92);
2) Occorre l'indispensabile elemento soggettivo da parte datoriale; se questo aspetto manca, pertanto, è necessario esperire le vie ordinarie di tutela e non la speciale previsione dell'art. 28 legge 300/70 (Corte di Cassazione n° 207 del 17.01.1990).
La sentenza di Cassazione n° 7833 del 29.07.95, riassorbendo i due aspetti, in qualche modo li specifica: "l'intento antisindacale è implicito in tutte quelle condotte datoriali che contrastano con norme imperative destinate a tutelare - in via diretta ed immediata - l'esercizio della attività sindacale; negli altri casi, l'intenzionalità del comportamento del datore di lavoro assume rilievo decisivo per sanzionare l'esercizio di poteri che trovano giustificazioni in finalità antisindacali.
b) D isdetta CCN L - CIA
Solitamente sia il CCNL che il C.I.A. vengono stipulati con una data di scadenza prefissata ed ad essi si applica il cosiddetto "principio della ultrattività"; vale a dire che gli effetti continuano ad avere vigore finchè non vengono sostituiti da quelli previsti da un nuovo contratto (Corte di Cassazione nn. 1050 del 13.2.90 e 5393 del 6.6.90). Ovviamente, l’ultrattività va intesa all’interno di limiti temporali accettabili nell’ottica dei normali tempi di rinnovo di un contratto.
Con sentenza n. 4507 del 16.4.93 la Corte di Cassazione ha affermato che, qualora un contratto collettivo non contenga la data di scadenza, può essere disdettato unilateralmente e ad esso non si applica il principio della ultrattività.
c) CCN L - CIA stipulati oralm ente
Il problema della forma dei contratti collettivi (stipulati per iscritto o validi se stipulati oralmente) ha dato luogo ad una serie di contrastanti decisioni. Preliminarmente è bene sapere che:
1) La forma scritta del contratto era imposta per i contratti corporativi; la necessità funzionale e strutturale della forma scritta e conclamata anche per i contratti post corporativi deriva da varie indicazioni come ad esempio la formalità del deposito presso il Ministero del Lavoro (prevista dall'Art. 3 legge 741 del 14.7.59) al fine della loro validità erga omnes.
2) Nel nostro ordinamento, a norma dell'art. 1350 cc., vige il principio della "libertà della forma" e, quindi, è valido un accordo stipulato oralmente con il sindacato. Questo perchè i contratti collettivi post corporativi, avendo natura privatistica, sono soggetti, mancando una specifica disciplina, alle norme generali regolatrici dei contratti che sanciscono implicitamente il principio della libertà della forma; rispetto a questo costituiscono deroga tassativa i "contratti solenni" previsti dall'art. 1350 cc. e tra cui non figurano i contratti di lavoro.
L'obbligo di informazione nei confronti dei propri associati grava sulle associazioni stipulanti il contratto collettivo, quale ne sia la forma.
Su questo argomento della forma dei contratti collettivi (la maggior parte delle sentenze si riferiscono ai C.I.A.) la Corte di Cassazione è divisa:
la prima sentenza (n. 5119 dell'11.06.1987), ribadita dalla sentenza n° 823/93, affermò che il contratto collettivo esige, anche dopo l'abolizione dell'ordinamento corporativo, la forma scritta ab substantiam.
Per quanto riguarda il C.I.A. la Corte di Cassazione (sentenza n. 4030 del 3.4.93) si è pronunciata per la validità del patto aziendale stipulato oralmente.
La sentenza è formulata sul principio della libertà di forma e sul 1° comma dell'art. 39 della Costituzione che proclama la libertà di organizzazione sindacale; quindi, viene rimessa alle contrapposte organizzazioni sindacali la libera formazione di patti e la scelta relativa.
Non esistendo alcuna norma generale di legge che prescriva la forma scritta ed escluso che in tal senso sia utilizzabile l'art. 2072 cc. o l'art. 10 della legge n. 563 del 3.4.1926 (che concerne il contratto corporativo), è giocoforza riconoscere che in regime di diritto comune il contratto collettivo può essere concluso anche verbalmente e risultare da prova testimoniale.
Per il settore privato si può ammettere la forma scritta specie per i contratti con ampio ambito di applicazione; da ciò, però, non può derivare che il contratto collettivo concluso verbalmente sia nullo per carenza di un requisito essenziale.
Con sentenza n. 2088/94, invece, la stessa Corte ha confermato la sentenza precedentemente illustrata affermando che, in mancanza di fonti legali o contrattuali che prevedano la forma scritta (quale eccezione al principio generale della libertà di forma supposto dall'art. 1350 c.c. e confermato dall'art. 39 - 1° comma - della Costituzione) l'accordo è valido pur se non stipulato per iscritto.
Con sentenza n. 3318 le SS.UU. della Corte di Cassazione partono dal presupposto che nel nostro ordinamento giuridico non esiste una norma che preveda la forma scritta per i contratti collettivi post-corporativi e, poichè vige il principio della libertà di forma, le norme che per taluni contratti prevedono espressamente l'atto scritto sono norme di diretta applicazione, non suscettibili di interpretazione analogica; le SS.UU. pervengono quindi alla conclusione che basta un accordo orale con il sindacato per vincolare le parti configurandosi un valido accordo aziendale.
d) D isdetta CCN L - CIA
Riguardo questo tema, il Supremo Collegio ha stabilito che, essendo il CCNL non gerarchicamente subordinato al CIA, il primo non può vietare che il secondo stabilisca un trattamento di miglior favore per i lavoratori; comunque, resta ferma la prevalenza del contratto individuale, nelle parti in cui questo disponga in senso piu' favorevole al lavoratore, rispetto al CCNL ed al CIA.
e) Deroghe “in pejus” ad opera di un nuovo CCN L o C.I.A
Il principio per cui alla contrattazione collettiva non è consentito incidere, in relazione alla regola dell'intangibilità dei diritti quesiti, su posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori in assenza di uno specifico mandato od una successiva ratifica da parte degli stessi, non si applica alla distinta ipotesi in cui il contratto collettivo venga ad incidere su posizioni non ancora qualificabili come di diritto soggettivo e venga a regolare le condizioni di acquisto di diritti futuri (ad esempio: salario non maturato, contingenza non ancora scattata), venendosi in questo caso a porre solo un problema di rapporti tra contratti di diverso o pari livello.
Dopo alcune iniziali incertezze, la Corte di Cassazione si è attestata nel ritenere che un CCNL può modificare "in pejus" la posizione di una delle parti, anche mediante la modifica di un sistema di calcolo della retribuzione o del trattamento di quiescenza. Secondo la sentenza della Corte di Cassazione n. 1079 del 3.2.94, nell'abolizione di un determinato vantaggio per i lavoratori da parte di un nuovo CCNL non è ravvisabile il sacrificio di un diritto acquisito. Qualora il suddetto nuovo CCNL sia stato già positivamente giudicato da un giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità.
Il Supremo Collegio (Cassazione Sez. Lav. 23 luglio 1994, n. 6845) ha ritenuto che le
parti stipulanti i contratti collettivi possono modificare in peius la posizione di una delle parti, anche mediante la modifica di un sistema di calcolo della retribuzione, con riguardo ad un periodo già trascorso, con il limite - per il legislatore (S.U. 29 maggio 1993, n. 6031)
- della ragionevolezza, ed escluso il diritto a ripetere somme già corrisposte; non è ravvisabile il sacrificio di un diritto quesito nell'abolizione di un determinato vantaggio per i lavoratori, da parte del nuovo contratto collettivo che rinnovi la disciplina del rapporto di lavoro in termini ampi ed apprezzabili complessivamente solo da parte del giudice di merito, la cui interpretazione, se conforme alle regole legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da motivazione immune da vizi, è incensurabile in sede di legittimità.
Cioè in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo dei sindacati, ma (salvo loro reazione da parte del contratto individuale) operano dall'esterno sui singoli rapporti di lavoro come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicchè, nell'ipotesi di successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo e contratto individuale (Corte di Cassazione 12 luglio 1986, n. 4517), restando la conservazione di quel trattamento affidata all'autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti, che possono prevederla con apposita clausola di salvaguardia, la cui verifica di accertamento è rimessa esclusivamente al giudice di merito.
7) Politica dei redditi
Grazie anche alla politica di accordi fra governo, Confindustria e sindacati - avviata tra il 1988 e il 1992 - l'Italia seppe controllare l'inflazione e realizzare una sia pur imperfetta politica dei redditi, evitando i rischi di un'emarginazione dai paesi più industrializzati.
Decisivo in tal senso fu l'accordo del 10 dicembre 1991 sulla lotta all'inflazione, a seguito del quale il 1° maggio del '92 per la prima volta non venne pagato il "punto pesante" di contingenza.
Tale linea proseguì con l'accordo del 7 luglio 1992, che sancì l'abolizione della scala mobile.
Con il termine “politica dei redditi", si intende una linea sindacale che porta, con gli accordi del 31 Luglio 1992 e del 23 luglio 1993, all’abbandono del salario indicizzato tramite la Scala Mobile ed a gettare le fondamenta di un nuovo sistema contrattuale, fondato sulla concertazione, sul contratto di categoria e sulla contrattazione aziendale.
E’ il sistema contrattuale ancor oggi vigente nelle relazioni sindacali presenti nel nostro Paese.
L’adesione dell’Italia agli accordi di convergenza di Maastricht per entrare nella "moneta unica europea" pone inoltre ulteriori vincoli, sia alla spesa, che all’inflazione.
Gli accordi ricordati giocano un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi che consentono all’Italia di entrare nel numero di paesi europei che adotteranno la moneta unica.
Con l’accordo del 23 Luglio, oltre alla riforma del sistema contrattuale, vengono introdotte nuove forme di rappresentanza nei luoghi di lavoro.
Vengono cioè costituite le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU), elette da tutti i lavoratori, mentre si afferma il principio che la contrattazione aziendale non può occuparsi di materie già definite a livello nazionale a meno di un rimando specifico previsto dagli accordi nazionali.
Gli assetti contrattuali prevedono:
- un contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria
- un secondo livello di contrattazione, aziendale o alternativamente territoriale, laddove previsto, secondo l'attuale prassi nell'ambito di specifici settori.
Il CCNL ha durata quadriennale per la materia normativa e biennale per la materia retributiva.
La dinamica degli effetti economici del contratto sarà coerente con i tassi di inflazione programmata assunti come obiettivo comune.
Per la definizione di detta dinamica sarà tenuto conto delle politiche concordate nelle sessioni di politica dei redditi e dell'occupazione, dell'obiettivo mirato alla salvaguardia del potere d'acquisto delle retribuzioni, delle tendenze generali dell'economia e del mercato del lavoro, del raffronto competitivo e degli andamenti specifici del settore. In sede di rinnovo biennale dei minimi contrattuali, ulteriori punti di riferimento del negoziato saranno costituiti dalla comparazione tra l'inflazione programmata e quella effettiva intervenuta nel precedente biennio, da valutare anche alla luce delle eventuali variazioni delle ragioni di scambio del Paese, nonché dall'andamento delle retribuzioni.
La contrattazione aziendale riguarda materie e istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL. Le erogazioni del livello di contrattazione aziendale sono strettamente correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati tra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità ed altri elementi di competitività di cui le imprese dispongano, compresi i margini di produttività, che potrà essere impegnata per accordo tra le parti, eccedente quella eventualmente già utilizzata per riconoscere gli aumenti retributivi a livello di CCNL, nonché ai risultati legati all'andamento economico dell'impresa.
La contrattazione aziendale o territoriale è prevista secondo le modalità e negli ambiti di applicazione che saranno definiti dal contratto nazionale di categoria nello spirito dell'attuale prassi negoziale con particolare riguardo alle piccole imprese. Il contratto nazionale di categoria stabilisce anche la tempistica, secondo il principio dell'autonomia dei cicli negoziali, le materie e le voci nelle quali essa si articola.
Al fine dell'acquisizione di elementi di conoscenza comune per la definizione degli obiettivi della contrattazione aziendale, le parti valutano le condizioni dell'impresa e del lavoro, le sue prospettive di sviluppo anche occupazionale, tenendo conto dell'andamento e delle prospettive della competitività e delle condizioni essenziali di redditività.
L'accordo di secondo livello ha durata quadriennale. Nel corso della sua vigenza le parti, nei tempi che saranno ritenuti necessari, svolgeranno procedure di informazione, consultazione, verifica o contrattazione previste dalle leggi, dai CCNL, dagli accordi collettivi e dalla prassi negoziale vigente, per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali quali le innovazioni tecnologiche, organizzative ed i processi di ristrutturazione che influiscono sulle condizioni di sicurezza, di lavoro e di occupazione, anche in relazione alla legge sulle pari opportunità.
Il CCNL di categoria definisce le procedure per la presentazione delle piattaforme
contrattuali nazionali, aziendali o territoriali, nonché i tempi di apertura dei negoziati al fine di minimizzare i costi connessi ai rinnovi contrattuali ed evitare periodi di vacanze contrattuali.
Le piattaforme contrattuali per il rinnovo dei CCNL saranno presentate in tempo utile per consentire l'apertura delle trattative tre mesi prima della scadenza dei contratti. Durante tale periodo, e per il mese successivo alla scadenza, le parti non assumeranno iniziative unilaterali né procederanno ad azioni dirette. La violazione di tale periodo di raffreddamento comporterà come conseguenza a carico della parte che vi avrà dato causa, l'anticipazione e lo slittamento di tre mesi del termine a partire dal quale decorre l'indennità di vacanza contrattuale.
Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a 3 mesi dalla data di scadenza del CCNL, ai lavoratori dipendenti ai quali si applica il contratto medesimo non ancora rinnovato sarà corrisposto, a partire dal mese successivo ovvero dalla data di presentazione delle piattaforme ove successiva, un elemento provvisorio della retribuzione.
L'importo di tale elemento sarà pari al 30% del tasso di inflazione programmato, applicato ai minimi retributivi contrattuali vigenti, inclusa la ex indennità di contingenza.
Dopo 6 mesi di vacanza contrattuale, detto importo sarà pari al 50% dell'inflazione programmata. Dalla decorrenza dell'accordo di rinnovo del contratto l'indennità di vacanza contrattuale cessa di essere erogata.
Tale meccanismo sarà unico per tutti i lavoratori.
Con il "Patto del lavoro" del settembre 1996 governo e sindacati si sono accordati sulla necessità di modificare il quadro normativo in materia di gestione del mercato del lavoro). Il "Patto per il lavoro" sottoscritto dal Governo, con 34 parti sociali, il 24 settembre 1996, divenuto legge n. 196 del 24 giugno 1997, ha inserito nell'elenco delle leggi della Repubblica, il voluminoso insieme di norme relative alla promozione dell'occupazione. Ventisette articoli che comprendono nella loro complessità tutte le problematiche legate all'occupazione: dal lavoro interinale alla formazione professionale.
Quindi, un insieme di norme che ora si stanno traducendo in fatti e risposte concrete ai problemi del lavoro. Esse riguardano: lavoro interinale, orario legale di 40 ore settimanali, occupazione nel settore della ricerca, formazione lavoro, apprendistato, formazione professionale, tirocini formativi, lavori socialmente utili, emersione dal "lavoro nero e sommerso", soci cooperative di lavoro e intervento straordinario per i giovani disoccupati. L'importanza ed il carattere innovativo di queste norme si evince, ad esempio, dal fatto che, dopo ben 74 anni, è stata finalmente modificata la legge del 1923 sull'orario di lavoro con l'introduzione dell'orario di lavoro legale di 40 ore settimanali e l'incentivazione alla riduzione dell'orario attraverso la contrattazione sindacale.
E' proprio al fine di rafforzare questo specifico ruolo della concertazione che nel dicembre del 1998 un nuovo Patto è stato siglato (Patto di Natale).
I punti principali:
Concertazione: Il Protocollo del 23 Luglio '93 aveva già scelto la concertazione. Ora il metodo viene rafforzato e istituzionalizzato con l'estensione agli enti locali (è stato firmato un protocollo con Regioni ed Enti locali) e rafforzato nel campo dei servizi di pubblica utilità.
La concertazione riguarderà:
• direttive comunitarie
(in particolare riguarderà la trasposizione delle direttive comunitarie con riferimento al dialogo sociale in sede comunitaria).
• sarà estesa a Regioni, Province e Comuni.
(un protocollo tra le parti sociali e le istituzioni regionali e locali definirà le forme e i modi).
• l'informazione fra Governo e Parlamento sarà costante.
• Una struttura di monitoraggio a Palazzo Chigi seguirà l'applicazione del Patto e le decisioni prese nell'ambito della concertazione.
• Sarà dato maggior peso alla sessione di primavera tra governo e parti sociali per la verifica preventiva degli obiettivi e delle linee di azione.
Assetti contrattuali: viene riconfermato il modello del 93;
• riconoscimento di due livelli contrattuali nazionale e aziendale;
• contratto nazionale quadriennale per la parte normativa e biennale per quella economica;
• contrattazione aziendale (o territoriale) legata a obiettivi di produttività, qualità, redditività.
Sessione di verifica
Si prevede una sessione approfondita in primavera per l'impostazione del Documento di programmazione economico finanziaria (DPeF). In questa sessione Governo e parti sociali faranno monitoraggio e verifica su:
• competitività internazionale dell'Italia;
• volume degli investimenti;
• sviluppo dell'occupazione;
• salvaguardia del salario reale.
L'impegno del Governo è di riferirsi all'inflazione media europea nel definire gli obiettivi di inflazione programmata.
Viene confermato il raccordo tra livello centrale della politica dei redditi e livello decentrato per accelerare il processo di sviluppo e occupazione con priorità Mezzogiorno. La contrattazione decentrata sarà agevolata: sul secondo livello contrattuale ci sarà una decontribuzione pari all'1%
Politiche per l'occupazione:
vengono stanziati 6000 miliardi nei primi tre mesi del 99 per attivare ventimila miliardi di investimento.
Per l'emersione del lavoro nero il Governo si impegna ad avviare immediatamente le necessarie discussioni con l'Unione Europea per superare le obiezioni alla concessione dei benefici contributivi per i nuovi assunti anche alle imprese che si siano messe in ''regola''.
Sgravi contributivi
Il Governo avvierà ulteriori provvedimenti in materia di decontribuzione oltre alla riduzione del costo del lavoro (0,82%) già inserita nella finanziaria
Formazione
per l'apprendistato e la formazione continua ci saranno 600 miliardi per il 99 e 500 annua nel 2000 e 2001. Tali cifre possono essere incrementate in base agli eventuali risparmi
derivanti dal riordino del sistema degli incentivi. Sul fronte della formazione, la parola chiave è flessibilità.
• Ci sarà l’obbligo di frequenza ad attività formative fino a 18 anni: sarà istituito con una norma nel collegato ordinamentale della Finanziaria sul welfare . Le competenze acquisite saranno certificate e conteranno come crediti formativi.
• Sarà estesa la formazione per gli apprendisti .
• Saranno estesi i tirocini formativi.
• Sarà costituito in tempi rapidi il Fondo interprofessionale per la formazione continua.
• La formazione per le alte professionalità sarà riqualificata.
• Il Governo si impegna a costruire il nuovo Sistema di Formazione superiore (Fis) e, al suo interno, dell’Istruzione e formazione tecnico-superiore (Ifts).
• Saranno sperimentati meccanismi contrattuali per finalizzare quote di riduzione dell’orario alla formazione dei lavoratori, usando anche le 150 ore e le banche delle ore annuali.
Il Governo si impegna anche a:
• elevare la qualità dei sistemi formativi
• raccordare alla formazione i nuovi servizi per l’impiego
• aumentare la percentuale del Fondo sociale europeo nella programmazione per gli anni 2000-2006.
8) Il contratto a Tem po Determ inato
legislazione previgente
La legislazione previgente comprende la legge 230/62 che definisce il rapporto di lavoro a tempo determinato e l'art.23 della legge 56/87 che introduce i rimandi alla contrattazione. L'art1 della 230/62 definisce il carattere di eccezionalità del contratto a tempo determinato: "Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, salvo le eccezioni appresso indicate".
Vengono definite delle causali solo in presenza delle quali è possibile stipulare un contratto a termine.
Il contratto a termine può essere prorogato per una sola volta, con durata al massimo pari a quella del contratto iniziale, per esigenze non prevedibili e riferito alla stessa attività.
In caso di inosservanza delle condizioni per la proroga, il contratto può venire dichiarato a tempo indeterminato.
Successivamente alla legge generale, l'art.23 della 56/87 ha introdotto la possibilità di introdurre per accordo collettivo ulteriori causali e un limite massimo per tali rapporti di lavoro.
D irettiva U E 70/99
La Direttiva UE 70/99 che recepisce l'accordo tra CES e Padronato europeo contiene nella premessa due importanti affermazioni politiche:
- " Le parti firmatarie dell'accordo riconoscono che i contratti a tempo indeterminato sono, e continueranno ad essere, la forma generale di rapporto di lavoro tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti."
- " Riconoscono altresì che i contratti di lavoro a tempo determinato rispondono, in talune circostanze, ai bisogni sia dei datori di lavoro sia delle lavoratrici e dei lavoratori."
Per quanto riguarda i contenuti della Direttiva i principali sono contenuti nell'art.3 e
nell'art.5.
Nel primo punto dell'art.3 si definiscono le causali:
- " la cui scadenza è determinata da condizioni obiettive quali il raggiungimento di una data specifica, il completamento di una determinata mansione od il verificarsi di uno specifico evento."
Nell'art.5 si definiscono misure di prevenzione contro abusi nell'uso dello strumento:
• motivi obiettivi che giustifichino il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro;
• la durata massima totale di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato consecutivi;
• il numero di rinnovi di tali contratti o rapporti di lavoro.
Il decreto legislativo n° 368/2001
Entra in vigore il 24 ottobre la nuova normativa in materia di contratti a termine. È stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 235 del 9 ottobre 2001 il decreto legislativo che recepisce la direttiva europea sul lavoro a tempo determinato.
Per effetto dell’articolo 11 comma 2 del decreto legislativo, la nuova disciplina entrerà in vigore con gradualità; abrogata, infatti, la vecchia disciplina, mantengono efficacia fino alla scadenza dei CCNL, le clausole definite dagli stessi CCNL circa i contratti a termine in base alla legge 56/87. Si tratta di ipotesi aggiuntive rispetto alle eccezioni generali per il lavoro a tempo determinato per le quali i contratti collettivi hanno fissato anche limiti quantitativi.
Ecco in sintesi cosa prevede il provvedimento:
CAUSALI - L’assunzione a termine è possibile per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo dell'impresa. Il termine deve essere scritto, a meno di durata inferiore ai 12 giorni.
DIVIETI - E’ vietato ricorrere a contratti a termine in sostituzione di lavoratori in sciopero; in unità produttive in cui nei sei mesi precedenti vi siano stati licenziamenti collettivi per quelle mansioni (a meno che il contratto non sia superiore a tre mesi); in unità produttive nelle quali siano operanti contratti di solidarietà.
PROROGHE - Il termine può essere prorogato solo quando la durata iniziale sia inferiore
ai tre anni. La proroga è ammessa una sola volta e deve riferirsi alla stessa attività lavorativa.
PARITÀ CONDIZIONI - Al lavoratore a termine spettano ferie, tredicesima, TFR e ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i dipendenti con contratti a tempo determinato comparabili.
SANZIONI - Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine fissato il datore di lavoro deve corrispondere una maggiorazione della retribuzione (20% fino al decimo giorno, 40% per ciascun giorno ulteriore). Qualora il lavoratore venga riassunto entro i 10 giorni dalla scadenza di un contratto inferiore a sei mesi o entro 20 giorni in un contratto superiore a sei mesi il contratto si considera a tempo indeterminato.
STATUTO LAVORATORI - Vale per i dipendenti a termine se il loro contratto è superiore ai nove mesi.
DIRIGENTI - Il contratto a termine deve essere di durata non superiore a cinque anni.
LIMITI DI UTILIZZO - La definizione è affidata ai contratti collettivi di lavoro. Sono esenti da limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi per l'avvio di nuove attività, per ragioni di stagionalità, per specifici spettacoli o programmi radiofonici e televisivi.
Valutazioni della CGIL
Il decreto legislativo sul lavoro subordinato a tempo determinato porta una modificazione di vaste proporzioni dei principi lavoristici del diritto italiano: contrariamente a quanto
previsto dal diritto previgente, la costituzione del rapporto di lavoro subordinato potrebbe normalmente essere a tempo determinato, anziché a tempo indeterminato, in una generalità di casi.
In altre parole, con il decreto legislativo n° 368/2001 si sostiene che diventa normale che il datore di lavoro possa scegliere, a discrezione, se assumere a tempo determinato o a tempo indeterminato; e ciò di fatto, come si vedrà, perfino allorché le esigenze per le quali si procede all’assunzione a tempo determinato, anche ripetutamente e nei riguardi di uno stesso lavoratore, non siano affatto destinate a perdurare solo per un tempo definito.
Nella legislazione previgente il ricorso alle assunzioni a tempo determinato era consentita solo nei casi e per gli scopi tipizzati per legge il decreto legislativo n° 368/2001 "l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato" è sempre valida "a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo", senza che nemmeno si debba specificare il carattere temporaneo di queste medesime "ragioni". Il che potrà condurre all’eliminazione di ogni vincolo di tipicità del ricorso al tempo determinato, e per ciò stesso abbattere il principio generale per cui il rapporto di lavoro è ordinariamente a tempo indeterminato.
Tanto più che è cancellata, limitandone l’operatività alla fattispecie della "proroga" del contratto, la regola per cui, secondo l’art. 3 della legge n. 230 del 1962 con successive modificazioni ed integrazioni, "l’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro è a carico del datore di lavoro".
Con il nuovo decreto legislativo, poiché dovrebbe essere il lavoratore, non necessariamente in grado di addentrarsi nella conoscenza delle esigenze dell’impresa, a dover fornire la prova dell’insussistenza di "ragioni" giustificatrici del tempo determinato, è evidente che, per questa via, si vuole altresì allontanare, se non pregiudicare in partenza, l’eventualità che sia la giurisprudenza a ricondurre il contratto a termine ad ipotesi tipiche, o perlomeno circoscrivibili con qualche esattezza.
Secondo il decreto legislativo n° 368/2001, che anche in questo caso mira a togliere spazi ad interpretazioni correttive o adeguatrici della giurisprudenza, il rapporto deve intendersi a tempo indeterminato solo quando "due assunzioni successive a termine" siano "effettuate senza alcuna soluzione di continuità". Basterà quindi un breve periodo di riposo, non retribuito, imposto ad un lavoratore tra un contratto a termine ed il successivo, affinché il datore di lavoro possa mantenere quel medesimo lavoratore legato a sé, senza garanzie autentiche di stabilità, per tutto il tempo che vuole.
In terzo luogo, e non si tratta però di un dettaglio, il decreto legislativo n° 368/2001 tiene esente "da limitazioni quantitative", vietando per esplicito anche alla contrattazione collettiva di enunciare limitazioni siffatte, l’utilizzazione del tempo determinato per una pluralità di "attività" e di "ragioni", le quali vanno addirittura al di là delle "attività" e delle "ragioni" per le quali il ricorso al lavoro a termine è già ammesso, peraltro in via di eccezione al tempo indeterminato, dalla legislazione in vigore.
Il decreto legislativo n° 368/2001 offende e calpesta, con i principi e le regole della specifica direttiva alla quale dovrebbe dare attuazione, i principi dei Trattati dell’Unione e, più ampiamente, quelli facenti capo al diritto europeo, oltre che al diritto costituzionale italiano.
Una prima macroscopica violazione dei principi del diritto europeo, oltre che di quelli della direttiva 1999/70 è nella circostanza che lo "schema governativo" consenta di stipulare, purché ciò avvenga con una qualche "soluzione di continuità", più contratti "successivi" con il medesimo lavoratore, consentendo di dar vita, come già si è rilevato, a forme di "precariato" dalla durata indefinita. Ciò cozza contro la direttiva 1999/70, là ove essa impone agli Stati membri di determinare quando una pluralità di contratti a termine "devono essere considerati successivi" segnatamente, ed esclusivamente, allo scopo di
prevenire gli "abusi", e cioè di "prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato".
In particolare il decreto legislativo n° 368/2001, permettendo il protrarsi del rapporto di lavoro, con brevi intervalli non retribuiti, mediante "successivi" contratti a tempo determinato, si consente al datore di lavoro di utilizzare un lavoratore per una durata non precostituita, nel contempo consentendogli di svincolarsi dal rapporto di lavoro medesimo ad ogni, appunto "successiva", scadenza del termine richiedente un rinnovo.
Il che comporterebbe, in presenza di una serie solo formalmente distinta di rapporti di lavoro nella sostanza "succedentesi" in modo continuativo e potenzialmente perpetuantesi indefinitamente, una possibilità, rinnovantesi periodicamente, di licenziamento del lavoratore non bisognoso di alcuna motivazione da parte del datore di lavoro.
Come ha avuto occasione di sottolineare la stessa Corte costituzionale italiana, nella sentenza 7 febbraio 2000 n. 41, il fine perseguito dalla direttiva del Consiglio 1999/70 è essenzialmente quello di realizzare un "quadro" di garanzie atte "ad evitare l’abuso del contratto a termine".
Per questa finalità, la direttiva del Consiglio 1999/70 riconosce che "i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro ed i lavoratori" e, solo su questa premessa, riconosce anche che "i contratti a tempo determinato rispondono sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori".
Tant’è che, per la direttiva del Consiglio 1999/70, "i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro" e, proprio a scongiurare sovvertimenti o elusioni di questi principi, la direttiva del Consiglio 1999/70 sancisce che "l’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso".
Il contrasto con la direttiva del Consiglio 1999/70 è dunque evidentissimo ed ineludibile: per la stessa direttiva del Consiglio 1999/70, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato è la regola, mentre il contratto a tempo determinato è l’eccezione, il cui utilizzo, a scanso di "abusi", deve essere limitato ad ipotesi debitamente circoscritte. Che la direttiva del Consiglio 1999/70 sia andata in questo senso non può del resto stupire in un diritto europeo il quale, come ricordato, garantendo i lavoratori da "ogni licenziamento ingiustificato", ha elevato a proprio principio informatore quello della stabilità e continuità dei rapporti di lavoro subordinato.
Il diritto europeo, ed in specie la direttiva del Consiglio 1999/70, non possono essere oltretutto essere aggirati facendo leva sulla "specificità delle situazioni nazionali"; non fosse altro poiché la direttiva del Consiglio 1999/70 detta "requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato", in quanto tali non superabili dagli Stati membri in una direzione che sia opposta a quella indicata dal diritto europeo.
Secondo la valutazione congiunta del Dipartimento politiche attive del lavoro e l’Ufficio Giuridico della CGIL Nazionale, il contrasto delle norme contenute nel decreto legislativo sui contratti a termine con le previsioni della direttiva europea può dar luogo a diverse iniziative giudiziarie che devono mirare ad una contestazione globale nella sede più idonea che, ad avviso del Dipartimento politiche attive del lavoro e l’Ufficio Giuridico della CGIL Nazionale, deve essere principalmente identificata nella Corte di Giustizia della C.E. a causa del valore tutto peculiare – sia politico che giuridico – di un pronunciamento della Corte stessa che costituirebbe un precedente con effetto generalizzato.
A tale Corte, peraltro, si può pervenire solo in via incidentale e cioè iniziando ordinari giudizi in Italia, sui quali poi innestare la questione e le procedure di interpretazione pregiudiziale avanti la Corte medesima.
Va altresì premesso che le questioni sollevabili possono attenere sia a un diretto contrasto tra una previsione del decreto legislativo e una previsione della direttiva su questo o quel profilo della regolamentazione, sia al contrasto con la specifica clausola della direttiva che non consente, in sede di ricezione della direttiva stessa, un peggioramento delle tutele esistenti.
Va osservato, infine, che le contestazioni che potrebbero essere sollevate in sede di interpretazione pregiudiziale avanti la Corte europea, potrebbero essere sollevate avanti la Corte Costituzionale sotto il profilo della contrarietà della normativa attuale alla delega di ricezione della direttiva europea che, contestualmente, obbligava il Governo ad emettere una normativa delegata, ovviamente conforme e non difforme dalla direttiva stessa.
9) Il contratto di form azione e lavoro
Il contratto di formazione e lavoro (CFL) riduce i costi per le aziende che assumono ed aumenta le possibilità per i giovani in cerca del primo lavoro. Questa forma contrattuale è in Italia uno strumento legislativo molto flessibile che ha consentito l'inserimento nel mondo del lavoro di centinaia di migliaia di giovani. Il contratto prevede l'assunzione di giovani fra i 16 e i 32 anni (non ancora compiuti al momento dell'assunzione) iscritti nelle liste di collocamento. La legge 451/94 ha modificato la normativa vigente dal 1984 relativa ai contratti di formazione lavoro. Alle aziende che assumono con CFL, la legge garantisce una serie di incentivi, in particolare sgravi fiscali (riduzioni sulle aliquote dei contributi previdenziali che vanno dal 25 al 50%).
Forme giuridiche di CFL
Esistono due tipi di contratto formazione lavoro, il tipo A per l'assunzione di professionalità medio-alte e di tipo B per professionalità basse.
Per il primo tipo, la durata massima è di 24 mesi, per il secondo è di 12 mesi. Al termine del periodo il datore di lavoro può risolvere il rapporto o trasformarlo in tempo indeterminato.
Esiste l'obbligo per il datore di 'formare' il neoassunto. Nel caso di contratto di tipo A, la formazione teorica va da 80 (per figure professionali di livello intermedio) a 130 ore (figure di elevato livello professionale), per contratti di tipo B, la formazione di base non deve essere inferiore alle 20 ore.
Le ore di formazione si svolgono in orario di lavoro e sono regolarmente retribuite. Se il datore di lavoro non assolve agli obblighi di 'formazione', il contratto può essere considerato a tempo indeterminato.
Aziende: I requisiti per avvalersi del CFL
Possono ricorrere a questa formula contrattuale tutte le aziende (aziende private, enti pubblici, cooperative o consorzi) che nel periodo relativo ai 12 mesi precedenti, dimostrino di non avere in corso riduzioni di personale, a meno che le figure professionali da assumere con CFL siano diverse da quelle messe precedentemente in mobilità dall'azienda.
Anche le associazioni professionali, sportive, a sfondo socio-culturale e le fondazioni possono ricorrere al contratto di formazione e lavoro.
Lavoratori reclutabili
L'età massima di 32 anni per usufruire di CFL, può essere innalzata nelle regioni del Mezzogiorno dalle Commissioni regionali per l'impiego (CRI) a loro discrezione. Se un'impresa del Sud, alla scadenza di un CFL decide di trasformarlo in contratto a tempo indeterminato, può godere di un prolungamento degli sgravi fiscali previsti per altri 12 mesi.
Le caratteristiche del contratto
La disciplina normativa è generalmente uguale ai contratti a tempo indeterminato, mentre per il trattamento economico è prevista l'applicazione graduale dei contratti nazionali. Il CFL può essere, prima del termine previsto, convertito a tempo indeterminato. L'impresa potrà comunque usufruire degli sgravi contributivi fino al termine della durata del contratto inizialmente prevista.
Il periodo di lavoro con contratto di formazione lavoro è valido ai fini previdenziali e degli scatti di anzianità.
I contributi a carico dell'impresa variano a seconda del tipo di impresa (es. industriale, commerciale) e del suo posizionamento geografico (nord-centro-sud Italia).
I contributi del lavoratore con questo tipo di contratto sono uguali a quelli degli altri dipendenti.
Il datore di lavoro non può recedere dal contratto di formazione lavoro prima della scadenza del termine se non per giusta causa, pena il risarcimento del danno. Retribuzione
La retribuzione del lavoratore con CFL corrisponde al minimo tabellare previsto dal contratto collettivo riferito al livello di ingresso. In effetti, il CFL richiede al neoassunto un'attività produttiva ridotta rispetto a quella prevista da un normale contratto a tempo indeterminato. Inoltre sono escluse dal CFL ulteriori forme di retribuzione come ad esempio i premi di produzione.
Diritti Previdenziali del CFL
Contributi pensionistici:
Il periodo di CFL è valido per il raggiungimento dei requisiti per le pensioni di invalidità, vecchiaia e anzianità.
Maternità:
L'indennità di maternità obbligatoria e facoltativa spetta senza senza alcun requisito contributivo minimo. Nel periodo di maternità, l'efficacia temporale del contratto è sospesa, per riprendere quando la lavoratrice ritorna a lavorare.
Cassa Integrazione guadagni:
Il lavoratore compete il trattamento di Integrazione salariale ordinaria ma non quella straordinaria.
Disoccupazione:
Per poter usufruire della disoccupazione ordinaria sono necessari due anni di anzianità assicurativa ed un anno di contribuzione ai fini della disoccupazione. Se manca l'anno di contribuzione, spetta l'indennità con requisiti ridotti in presenza di almeno 78 giornate di lavoro.
Mobilità:
Essendo il CFL assimilato ad un contratto a termine, i lavoratori sono esclusi dalla indennità di mobilità.
Malattia:
I lavoratori con CFL sono assimilabili ai lavoratori a tempo determinato, la malattia viene corrisposta per un periodo che non superi quello di attività lavorativa svolta nei 12 mesi precedenti all'evento morboso, con un limite massimo di 180 giorni. Se nei 12 mesi precedenti, il lavoratore, non può far valere periodi superiori a 30 giorni, viene corrisposto il trattamento economico per un massimo di 30 giorni nell'anno solare. L'indennità di malattia è corrisposta ad opera del datore di lavoro per un numero di giornate pari a quelle effettuate dal lavoratore alle sue dipendenze, mentre le giornate eccedenti, maturate da precedenti rapporti di lavoro, saranno pagate direttamente dall'INPS. In tal caso, il lavoratore deve presentare domanda di pagamento diretto alla sede INPS.
L'Azione per conseguire l'indennità si prescrive nel termine di un anno da quando si è verificato l'evento. Quando termina il rapporto a tempo determinato, cessa la corresponsione dell'indennità.
♦ CFL E PREMIO AZIENDALE DI PRODUTTIVITA'
La Corte di Cassazione (Sentenza n° 8270 del 28.07.1995) ha stabilito la legittimità della clausola limitativa della retribuzione, presente in alcuni accordi interconfederali.
Da questa sentenza emerge il principio secondo il quale i lavoratori assunti con CFL non hanno diritto - in via automatica - al Premio Aziendale di Produttività: soltanto un accordo aziendale che lo preveda espressamente può derogare dalla legge 863/84 che riconosce ai lavoratori in CFL solo paga base e contingenza.
La Suprema Corte, poi, sostiene che la mancata corresponsione del premio non determina alcuna disparità di trattamento e non viola il principio costituzionale; infatti, sostiene la Corte di Cassazione, il CFL ha una particolare natura giuridica ed è finalizzato allo scambio tra lavoro retribuito ed addestramento del lavoratore implicando, quindi, lo svolgimento di una attività qualitativamente e quantitativamente ridotta rispetto ad una normale prestazione lavorativa. Ciò giustifica un trattamento differenziato e depurato da alcuni elementi quali, ad esempio, il premio di produttività.
♦ C.F.L. E PATTO DI PROVA
Non vi è alcuna incompatibilità tra il contratto di formazione lavoro ed il patto di prova, poichè questo ha la funzione di consentire ad entrambi le parti di valutare in concreto la convenienza del rapporto. Il datore di lavoro, in particolare, ha la possibilità di verificare non già la professionalità del lavoratore (che, per definizione, è assente nel rapporto di formazione), ma la sua idoneità ad acquisire, in futuro, una completa professionalità; inoltre, il datore di lavoro ha la possibilità di verificare la disciplina, diligenza ed operosità del lavoratore. La durata del periodo di prova può essere quella prevista dal CCNL o da un accordo interconfederale (Corte di Cassazione sentenze nn° 11310 del 23.11.90 e 11417 del 19.11.93).
♦ C.F.L. E PART TIME
Non c'è, in linea di principio, incompatibilità tra contratto di formazione lavoro e lavoro part time; il Ministero del lavoro ha affermato che la compatibilita stessa deve essere valutata caso per caso, verificando se la durata delle prestazioni lavorative sia tale da consentire il soddisfacimento dell'esigenza formativa (ad esempio, può essere messa in dubbio la compatibilità se la qualifica professionale cui tende la formazione comporta mansioni di concetto particolarmente delicate).
♦ C.F.L. E LAVORO STRAORDINARIO
Non è vietata la prestazione di lavoro straordinario da parte del lavoratore assunto in contratto di formazione lavoro.
♦ C.F.L. E MALATTIA
In caso di malattia, gravidanza, servizio militare e richiamo alle armi, operano - per i contratti di formazione lavoro - le stesse norme valide per la generalità dei lavoratori; un problema potrebbe porsi qualora la causa di sospensione si protragga oltre il termine finale del contratto di formazione lavoro; su questo argomento si è pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza 12066/92): nel caso di malattia, gravidanza e puerperio - quali fatti oggettivamente impeditivi della formazione professionale - non può ammettersi un automatico effetto estintivo alla scadenza del termine ma, ovviamente senza conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato - deve ammettersi una proroga per un periodo pari a quello della sospensione al fine di consentire il completamento della formazione prevista. Tale concetto è stato confermato, l'8 aprile 1993, dalla Corte Costituzionale che ha anche esteso il concetto dell'impedimento: "Non appare condivisibile la tesi secondo cui mai sarebbe superabile il termine massimo di durata del contratto di formazione lavoro, dovendosi al contrario ammettere che il termine in parola possa essere
sospeso e differito in tutti i casi in cui si verifichino fatti - oggettivamente impeditivi della formazione professionale - che, mentre non producono un automatico effetto estintivo del rapporto, ne devono consentire la proroga, per un periodo pari a quello della sospensione, ai fini del completamento della formazione. Peraltro i suddetti fatti non si qualificano soltanto come oggettivamente impeditivi, ma anche in quanto rilevanti ai fini di specifiche garanzie accordate nell'ambito del rapporto di lavoro da normative di ampia e mirata tutela, onde non v'è ragione per non ricomprendervi a fortiori - accanto ad ipotesi come la malattia, la gravidanza ed il puerperio, per le quali la giurisprudenza ha già ammesso l'effetto in parola - anche il caso del servizio militare di leva".
Se, invece, il lavoratore in CFL supera il periodo di comporto, può essere licenziato e
l'unico limite per il datore di lavoro è quello del pagamento dell'indennità sostitutiva di preavviso, nel caso questo non sia stato concesso (Corte di Cassazione n° 11578 del 07.11.1995).
♦ C.F.L. E MANCATA REALIZZAZIONE DEL PROGRAMMA
Secondo la giurisprudenza, nei C.F.L. l'inadempimento dell'obbligazione formativa gravante sul datore di lavoro, si configura come un vizio funzionale della causa che (quale fatto illecito successivo alla stipula del contratto) non ne determina la nullità ma si sanziona - a norma dell'art. 3 comma 9 della legge 863/84 - ed il contratto si considera a tempo indeterminato fin dalla instaurazione del rapporto di lavoro. Ciò è stato confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n° 2413 del 12.3.94.
Inoltre, secondo la Corte di Cassazione (sentenza n° 4056 del 2.4.93) la valutazione rispetto alla carente formazione può essere fatta solo nel momento finale.
Secondo un altro orientamento giuridico (Corte di Cassazione nn° 4056 del 02.04.1992; 66 del 04.01.1995; 1745 del 18.02.1995) viene esclusa la possibilità della trasformazione del CFL nel rapporto a tempo indeterminato (perchè diversa sarebbe la volontà delle parti), ma darebbe luogo, solamente, alla perdita dei benefici contributivi.
Addirittura, la sentenza n° 66/95, prendendo in esame la fattispecie dell'assunzione in CFL di un lavoratore già esperto, nega la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato ammettendo, invece, la nullità del contratto per frode alla legge.
♦ CFL E RECESSO
La giurisprudenza ha ricondotto il CFL nella categoria dei contratti a tempo determinato; da ciò è scaturita la necessità della forma scritta e la legittimità del recesso prima del termine solo se intimato per giusta causa.
Il datore di lavoro non può recedere dal contratto di formazione lavoro (se non per
giusta causa) anzitempo rispetto al termine concordato, pena il risarcimento del danno che viene determinato in misura corrispondente alla retribuzione complessiva che il lavoratore avrebbe percepito fino alla scadenza del rapporto o che avrebbe potuto percepire da un nuovo rapporto di lavoro (Corte di Cassazione n° 1345 del 21.02.1996). Secondo la sentenza n° 2196 del 23.2.93 - Corte di Cassazione -, annullato il licenziamento poichè privo di giusta causa, il lavoratore deve riprendere servizio subito; ogni giorno di ritardo diviene assenza ingiustificata, causa legittima (qualora si protragga oltre il termine massimo indicato dalla contrattazione collettiva) di un licenziamento (Corte di Cassazione n° 6530 del 09.06.1995).
Le dimissioni del lavoratore in contratto di formazione lavoro sono legittime solo se
originate da un comportamento del datore di lavoro che integri giusta causa di risoluzione. In tal caso il datore di lavoro è tenuto al risarcimento dei danni nella misura delle retribuzioni che il dipendente avrebbe percepito se la risoluzione non fosse intervenuta. Le dimissioni prive di giusta causa, invece, possono dar luogo ad un fatto illecito cui il lavoratore può essere tenuto a rispondere, non potendosi escludere che l'allontanamento del lavoratore possa recare danno al datore di lavoro.
Secondo la sentenza n° 13597 del 23.12.92 della Corte di Cassazione, se il lavoratore recede prima del tempo senza la dimostrata ricorrenza di giusta causa, il recesso è illegittimo ed il lavoratore ha l'obbligo del risarcimento integrale del danno, da liquidarsi non come indennità sostitutiva ma secondo le regole comuni.
Secondo la Xxxxx xx Xxxxxxxxxx (xxxxxxxx xx 00000 del 23.12.92) qualora il lavoratore receda prima della scadenza senza la dimostrata ricorrenza della giusta causa, il recesso è illegittimo ed il lavoratore ha l'obbligo di risarcimento integrale del danno da liquidarsi non come indennità sostitutiva del preavviso, ma secondo le le regole comuni.
10) Il contratto a tem po parziale (Part-Tim e)
Dall'accordo europeo alla normativa di recepimento
Com'è noto, è stato l'articolo 5 della legge 19.12.1984, n. 863 ad introdurre nel nostro ordinamento la prima regolamentazione del lavoro a tempo parziale; in precedenza, infatti, era assente una precisa definizione legislativa di lavoro a tempo parziale.
Il D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 detta la nuova disciplina legislativa del lavoro a tempo parziale, attuando nel nostro Paese la direttiva quadro 15 dicembre 1997, n. 97/81 CE.
La direttiva recepisce l'accordo sindacale europeo , sottoscritto da Unice (Unione delle confederazioni europee dell'industria e dei datori di lavoro), dal Ceep (Centro europeo dell'impresa pubblica) e dalla Ces (Confederazione europea dei sindacati) il 16 giugno 1997, nel quale sono stabiliti i principi generali e le prescrizioni minime della disciplina del lavoro a tempo parziale che spetta agli Stati membri ed alle parti sociali attuare a livello nazionale.
In attuazione della direttiva, il D.L.vo 25.2.2000, n. 61, ridefinisce interamente la disciplina del lavoro part-time, apportando significative innovazioni.
Il nuovo impianto normativo in materia si muove su ben delineate linee direttrici, introducendo aspetti e previsioni completamente innovativi rispetto alla previgente normativa.
Definizioni
La direttiva europea definisce lavoratore a tempo parziale il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo di impiego che può andare fino a un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile.
A differenza di quanto non aveva fatto l'art. 5 della legge n. 863/1984, ora, per la prima volta, viene data una chiara definizione tanto del tempo pieno quanto del tempo parziale, dando una chiara e diretta definizione delle tipologie contrattuali a tempo parziale.
Sebbene possa apparire pleonastico, viene espressamente previsto che le assunzioni a termine di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni, possono essere effettuate anche con rapporto a tempo parziale.
L'articolo 1 del decreto legislativo di attuazione stabilisce contestualmente la nozione di rapporto di lavoro a tempo pieno e a tempo parziale distinguendo, per quest'ultimo, tra part-time orizzontale e verticale.
Si definisce, dunque, tempo parziale, l'orario di lavoro stabilito dal contratto individuale che sia comunque inferiore all'orario a tempo pieno.
Quest'ultimo è l'orario normale di cui all'articolo 13, comma 1, legge 24 giugno 1997, n. 196 (40 ore settimanali) o l'eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati.
Il lavoro part-time può assumere la forma del part-time orizzontale e del part-time verticale.
Nel primo, la riduzione è prevista in relazione all'orario giornaliero di lavoro, il secondo qualifica la prestazione di lavoro svolta a orario pieno ma per periodi limitati nel xxxxx xxxxx xxxxxxxxx, xxx xxxx o dell'anno.
Sparisce il part-time cd. ciclico, sebbene tramite la contrattazione collettiva ne sia prevista una forma analoga attraverso la combinazione delle forme «orizzontale» e «verticale» (cd. part-time misto); la contrattazione collettiva potrà prevedere che il rapporto a tempo parziale si svolga secondo una combinazione delle due indicate modalità, provvedendo contestualmente a determinare le modalità di svolgimento della specifica prestazione lavorativa ad orario ridotto, nonché le eventuali implicazioni di ordine retributivo della prestazione stessa.
Né la direttiva 97/81/CE né la successiva direttiva 99/70/CE relativa al contratto di lavoro a tempo determinato escludono o limitano la compatibilità tra contratti di lavoro part-time e contratto a termine.
Tale possibilità è riconosciuta anche dal decreto legislativo di recepimento il quale dispone, al comma 4 dell'articolo 1, che «le assunzioni a termine, di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 230 e successive modificazioni, possono essere effettuate con rapporto a tempo parziale» (orizzontale, verticale o combinato).
Si può ritenere che anche sotto la nuova disciplina sia ammessa la compatibilità tra contratto di formazione e lavoro e part-time.
Forma e contenuto del contratto
Circa la forma e i contenuti del contratto di lavoro part-time, si conferma l'obbligo, già previsto dall'articolo 5, legge n. 863 del 1984 (ma non contemplato dalla direttiva europea), della forma scritta.
Il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato per iscritto: nell'accordo vanno obbligatoriamente indicate.
❖ la durata della prestazione lavorativa;
❖ la collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.
Rispetto alle previsioni stabilite dall'articolo 5 della legge n. 863 del 1984 non è più presente, dunque, l'obbligo di indicare le mansioni.
➢ L’eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto delle prescritte indicazioni contrattuali (durata della prestazione e collocazione temporale dell'orario) non determina la nullità del contratto a tempo parziale.
➢ Nel caso in cui l'omissione riguardi la durata della prestazione lavorativa, su richiesta del lavoratore potrà essere dichiarata, sempre dal giudice, la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale.
➢ Qualora invece l'omissione sia relativa alla sola collocazione temporale dell'orario, il giudice provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni della contrattazione collettiva o, in mancanza, con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro.
➢ In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, infatti, su richiesta dei lavoratore, potrà ora essere dichiarata dal giudice la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data in cui l'assenza della scrittura sia giudizialmente accertata.
Copia del contratto deve essere inviata, entro 30 giorni dalla stipula, alla Direzione provinciale del lavoro - Servizio Ispezione del lavoro - territorialmente competente - in relazione al luogo della prestazione lavorativa.
Il mancato o ritardato invio della copia del contratto al citato Ufficio, ovvero l'invio oltre il termine dei previsti 30 giorni, determina l'irrogazione di una sanzione amministrativa di L.
30.000 per ciascun lavoratore interessato e per ogni giorno di ritardo.
L'art. 5 della legge n. 863/1984 prevedeva una sanzione amministrativa fino a L. 300.000 per ogni contratto non inviato ovvero inviato in ritardo, senza alcuna proporzionalità riguardo ai giorni.
Il datore di lavoro interessato alla stipula di contratti di lavoro a tempo parziale, fatte
salve eventuali più favorevoli previsioni dei C.C.N.L., è inoltre tenuto ad informare le R.S.A., ove presenti nell'azienda, con cadenza annuale, sull'andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia e il ricorso al lavoro supplementare.
L’omessa informativa non è specificamente sanzionata dalla legge; sono ovviamente applicabili i tradizionali rimedi di ordine contrattuale.
L'atto scritto è richiesto anche per la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. A garanzia del lavoratore il decreto legislativo prevede che il negozio di trasformazione sia redatto, su richiesta del lavoratore, con l'assistenza un componente della RSA o, in mancanza di RSA nell'unità produttiva, che lo stesso negozio sia convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro.
Lavoro supplementare e clausole elastiche
Ferma rimanendo la prescritta indicazione nel contratto part-time della distribuzione dell'orario, la contrattazione collettiva potrà prevedere «clausole elastiche» in ordine alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa, determinando le condizioni e le modalità a fronte delle quali il datore di lavoro può variare detta collocazione rispetto a quella inizialmente concordata con il lavoratore interessato.
I contratti collettivi determinano condizioni e modalità entro le quali il datore di lavoro può variare la collocazione temporale rispetto a quella inizialmente concordata col lavoratore, nonché la misura della maggiorazione retributiva - da calcolarsi sulla retribuzione globale di fatto - spettante ai lavoratori che accettino la suddetta «variabilità».
La disponibilità allo svolgimento dei rapporto a tempo parziale interessato da «clausole elastiche» richiede comunque il consenso dei lavoratore, consenso da formalizzarsi attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro.
Durante lo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale il lavoratore potrà denunciare il patto sulle «clausole elastiche» accompagnando alla denuncia stessa l'indicazione di una delle seguenti documentate ragioni:
❖ esigenze di carattere familiare;
❖ esigenze di tutela della salute certificata dal competente Servizio sanitario pubblico;
❖ necessità di attendere ad altra attività lavorativa subordinata o autonoma.
La denuncia di cui trattasi, da presentarsi in forma scritta, potrà essere effettuata quando siano decorsi almeno 5 mesi dalla data di stipulazione del patto e dovrà essere altresì accompagnata da un preavviso di un mese in favore del datore di lavoro.
La contrattazione collettiva potrà determinare i criteri e le modalità per l'esercizio della possibilità di denuncia anche nel caso di esigenze di studio o di formazione; parimenti, la medesima contrattazione collettiva potrà individuare ulteriori ragioni obiettive in forza delle quali possa essere denunciato il patto sulle «clausole elastiche».
Al datore di lavoro è data la possibilità di rinunciare al preavviso.
Il rifiuto del lavoratore di stipulare il patto sulle «clausole elastiche» e l'esercizio da parte dello stesso dei diritto di ripensamento, non possono in nessun caso integrare gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
A seguito della denuncia presentata dal lavoratore viene meno la facoltà del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa inizialmente concordata; successivamente alla denuncia, nel corso dello svolgimento dei rapporto di lavoro è fatta salva la possibilità di stipulare un nuovo patto scritto in materia di collocazione temporale «elastica» della prestazione lavorativa a tempo parziale, con l'osservanza comunque di quanto in precedenza indicato.
La variabilità della prestazione è consentita per i contratti part-time a tempo indeterminato. Per i contratti a termine, è ammessa quando il contratto a termine è stipulato ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera b) della legge n. 230 del 1962, ovvero in altre ipotesi in cui è consentito stipulare il contratto a termine individuate dai contratti collettivi.
Il D.L.vo n. 61/2000 affronta in modo organico anche la disciplina del lavoro supplementare e del lavoro straordinario.
Al datore di lavoro è data la facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle concordate con il lavoratore e dedotte in contratto, fermo rimanendo il rispetto di particolari obblighi.
La contrattazione collettiva effettivamente applicata dal datore di lavoro può stabilire particolari criteri.
Il ricorso al lavoro supplementare è ammesso nella misura massima del 10% della durata dell'orario di lavoro a tempo parziale riferita a periodi non superiori ad un mese e da utilizzare nell'arco di più di una settimana; l'eventuale rifiuto da parte del lavoratore non costituisce infrazione disciplinare, né integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
Le clausole dei C.C.N.L. in materia di lavoro supplementare nei rapporti di lavoro a tempo parziale, vigenti alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni di legge, continueranno a produrre effetti sino alla scadenza prevista e comunque per un periodo non superiore ad un anno.
Le ore di lavoro supplementare devono essere retribuite come ore ordinarie, salva la facoltà per la contrattazione collettiva di applicare una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto, dovuta in relazione al lavoro supplementare.
La contrattazione collettiva potrà inoltre stabilire che l'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti venga determinata, convenzionalmente, mediante l'applicazione di una maggiorazione forfetaria sulla retribuzione dovuta per la singola ora di lavoro supplementare.
Per il part-time di tipo «verticale», invece, il D.L.vo n. 61/2000 stabilisce particolari
previsioni.
In questo tipo di rapporto di lavoro a tempo parziale, infatti, è consentito lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie (e non supplementari, quindi) in relazione alle giornate di attività lavorativa.
Tali prestazioni lavorative straordinarie sono soggette alla disciplina legale e contrattuale vigente in materia di lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno.
Le ore di lavoro supplementare di fatto svolte in eccedenza rispetto a quanto consentito dalla contrattazione collettiva comportano l'applicazione di una maggiorazione dei 50% sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto per le stesse spettante, con conseguente assoggettabilità alla dovuta contribuzione assicurativo-previdenziale.
La contrattazione collettiva potrà elevare la misura dell'indicata maggiorazione così come potrà altresì stabilire criteri e modalità per assicurare al lavoratore a tempo parziale, su richiesta del medesimo, il diritto al consolidamento nel proprio orario di lavoro, in tutto o in parte, del lavoro supplementare svolto in via non meramente occasionale.
L’effettuazione di prestazioni lavorative straordinarie o supplementari, nonché lo svolgimento del rapporto secondo le modalità cd. elastiche, è ammessa esclusivamente quando il contratto di lavoro a tempo parziale sia stipulato a tempo indeterminato; in caso di contratto a tempo determinato, la possibilità di prestazioni eccedenti quelle dedotte in contratto è limitata ai casi previsti dall'articolo 1, comma 2, lett. a., della legge n. 230/1962 (quando l'assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti per i quali sussista il diritto alla conservazione dei posto), o altri casi previsti dal contratto collettivo.
Trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a part-time
Il D.L.vo n. 61/2000 regola ex novo anche la disciplina in ordine alla trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e viceversa.
Preliminarmente è stabilito che il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
La nuova procedura:
su accordo delle parti risultante da atto scritto, redatto su richiesta del lavoratore interessato con l'assistenza di un componente della R.S.A. indicato dal lavoratore medesimo o, in mancanza di R.S.A. nell'unità produttiva, convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente (verosimilmente il Servizio politiche del lavoro, salvo un diverso avviso da parte del Ministero dei lavoro), è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale.
Computo dei lavoratori a tempo parziale e disciplina previdenziale
Per quanto attiene al computo dei lavoratori a tempo parziale, il D.L.vo n. 61/2000 prevede espressamente che in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, sia necessario l'accertamento della consistenza dell'organico, i lavoratori a tempo parziale vanno computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al «tempo pieno» definito dalla stessa nuova regolamentazione legislativa; vanno arrotondate all'unità le frazioni di orario superiore alla metà di quello pieno.
➢ Ai soli fini dell'applicabilità della disciplina di cui al Titolo III della legge n. 300/1970 e successive modificazioni (sull'attività sindacale), i lavoratori a tempo parziale sono computabili come unità intere, quale che sia la durata della loro prestazione lavorativa.
➢ Gli assegni per il nucleo familiare spettano ai lavoratori a tempo parziale per l'intera misura settimanale in presenza di una prestazione lavorativa settimanale di durata non inferiore al minimo di 24 ore; a tal fine sono cumulate le ore prestate in diversi rapporti di lavoro. In caso contrario spettano tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di
lavoro effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata. Nel caso in cui non si possa individuare l'attività principale, gli assegni per il nucleo familiare sono corrisposti direttamente dall'INPS.
➢ Per la misura della pensione, ai fini della determinazione della prescritta anzianità contributiva del lavoratore, va preliminarmente determinato il numero delle ore retribuite per ciascun anno solare lavorato a tempo parziale. Tale risultato va poi diviso per il numero delle ore che costituiscono l'orario settimanale normale del lavoratore occupato a tempo pieno; il quoziente ottenuto in tal modo rappresenta il numero delle settimane di contribuzione utili ai fini della misura della pensione.
Principio di non discriminazione
La previsione del decreto legislativo attua uno dei principi guida della direttiva europea. Quest'ultima afferma che un lavoratore a tempo parziale non può essere trattato in modo meno favorevole rispetto a un lavoratore a tempo pieno comparabile per il solo fatto di lavorare a tempo parziale a meno che un trattamento differente non sia giustificato da “ragioni oggettive”.
L’articolo 5 della legge n. 863/1984 non stabiliva alcuna previsione o principio di non discriminazione a favore dei lavoratori occupati part-time; a questi ultimi erano comunque applicabili tutte le vigenti disposizioni di legge in materia di tutela del rapporto di lavoro, comprese, perciò, quelle cd. antidiscriminatorie.
L’articolo 4 del D.L.vo n. 61/2000 introduce ora espressamente IL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE.
Xxxxx rimanendo i divieti di discriminazione diretta e indiretta previsti dalla vigente legislazione, il lavoratore a tempo parziale non può ricevere per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore occupato a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione, stabiliti dalla contrattazione collettiva.
Tra gli istituti per i quali - ai sensi del decreto legislativo in esame - al lavoratore part-time
spettano gli stessi diritti di un “lavoratore comparabile” possono menzionarsi:
❑ la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità;
❑ la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia, infortuni sul lavoro, malattie professionali;
❑ l'applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro;
❑ l'accesso alle iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro e ai servizi sociali aziendali.
I contratti collettivi possono provvedere a modulare la durata del periodo di comporto di malattia e del periodo di prova nel part-time verticale.
Il principio di proporzionalità si applica, invece, in particolare, ai seguenti trattamenti:
❑ importo della retribuzione globale e delle singole componenti di questa;
❑ importo della retribuzione feriale;
❑ importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro malattia professionale e maternità.
Non è prevista alcuna sanzione diretta per la violazione delle indicate previsioni normative; rimangono pertanto applicabili le singole sanzioni previste dalle vigenti disposizioni di legge in materia di tutela del rapporto di lavoro e di legislazione sociale, nonché quelle di tipo civilistico-contrattuale.
Obblighi del datore di lavoro in caso di assunzioni
In materia di tutela del rapporto di lavoro a tempo parziale le nuove disposizioni di legge stabiliscono che:
✓ in caso di assunzione di personale a tempo pieno il datore di lavoro è tenuto a riconoscere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive situate entro 100 km dall'unità produttiva interessata dalla programmata assunzione, adibiti alle medesime mansioni ovvero a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l'assunzione, dando priorità a coloro che, già dipendenti, avevano trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale;
✓ a parità di condizioni, il diritto di precedenza nell'assunzione a tempo pieno potrà essere fatto valere in via prioritaria dal lavoratore con maggiori carichi di famiglia; in via secondaria si terrà conto della maggiore anzianità di servizio, da calcolarsi, comunque, senza riproporzionamento in ragione della pregressa ridotta durata della prestazione lavorativa.
Il decreto legislativo pone altresì un obbligo a carico del datore di lavoro nel caso di nuove assunzioni a tempo parziale di dare tempestiva informazione al personale dipendente occupato a tempo pieno in unità produttive situate nello stesso comune.
I contratti collettivi possono stabilire le modalità applicative del principio in questione. Questa può comunque essere fornita anche attraverso l’affissione di comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti, situato nei locali dell'impresa.
Il datore di lavoro è altresì tenuto a prendere in considerazione le richieste di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale e a motivare, su richiesta del lavoratore, le ragioni di un eventuale rifiuto.
Infine, il decreto legislativo prescrive che il rifiuto del lavoratore di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a i tempo parziale o viceversa non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Le nuove sanzioni
L’articolo 8 del D.L.vo n. 61/2000 rivede completamente le precedenti previsioni sanzionatorie, stabilendo l'applicazione di una sola sanzione amministrativa di L. 30.000 per ciascun lavoratore interessato e per ogni giorno di ritardo in relazione all'obbligo di inviare, entro 30 giorni dalla stipula, il contratto part-time alla Direzione provinciale del lavoro.
Un'ampia previsione di tipo civilistico è prevista per altre violazioni.
A differenza di quanto previsto dall'articolo 5 della legge n. 863/1984, le nuove disposizioni normative non prevedono quindi alcuna sanzione pecuniaria per eventuali violazioni a disposizioni contrattuali.
Ne consegue perciò che, come già fatto notare, il mancato rispetto di previsioni contrattuali (quali, ad esempio, quelle relative alle percentuali di lavoratori part-time da poter assumere, o quelle relative a specifiche fasce orarie di lavoro a tempo parziale) rimane esclusivamente nell'ambito civilistico.
Per quanto riguarda le eventuali violazioni in ordine a prestazioni di lavoro supplementare e straordinario oltre i limiti contrattualmente previsti, si ritengono applicabili le sanzioni amministrative stabilite dalle vigenti disposizioni di legge in materia di orario di lavoro, di lavoro straordinario e di lavoro straordinario nelle imprese industriali.
Le m odifiche al part-tim e
Il D ecreto Legilativo n. 100 del 26 febbraio 2001 ha inteso fornire elementi di chiarimento sulla normativa complessiva che ha recepito la Direttiva Europea n. 97/81/CE.
Di seguito cerchiamo di compendiare le norme scaturenti dal Decreto Legislativo 25.02.2000 n° 61 e dal Decreto Legislativo 26.02.2001 n° 100
➢ N ozione di tempo parziale
L’art. 1 stabilisce le definizioni di rapporto a tempo pieno o a tempo parziale riferibili al contratto di lavoro subordinato:
a) si definisce a tempo pieno il rapporto il cui orario normale è di 40 ore settimanali o quello minore fissato dai contratti collettivi. Questi ultimi possono riferire tale limite ad una media delle attività lavorative prestate durante un arco temporale non superiore all’anno;
b) si definisce a tempo parziale il rapporto il cui orario sia, comunque, inferiore a quello normale individuato ex art. 13, comma 1, della legge n. 196/1997;
c) si definisce a tempo parziale “orizzontale” il rapporto la cui riduzione di orario a tempo pieno è prevista in relazione al normale orario giornaliero;
d) si definisce a tempo parziale “verticale” ( ed una variazione dello stesso è il c.d. part-time ciclico) il rapporto ove l’attività è svolta a tempo pieno soltanto in alcuni periodi predeterminati dell’anno, del mese o della settimana;
e) si definisce a tempo parziale “misto” il rapporto svolto con una combinazione delle modalità “orizzontale” e “verticale”, senza alcun ricorso alla contrattazione collettiva (novità introdotta come lettera d-bis dal nuovo art. 1, comma 2). Questa, peraltro, può individuare modalità peculiari di attuazione per alcune specifiche figure professionali;
f) si definisce lavoro “supplementare” quello svolto oltre l’orario concordato nel contratto a tempo parziale ed entro il limite del tempo pieno.
La disposizione rinvia alle parti l’eventuale disciplina incentivante alle particolarità ed alle modalità di svolgimento. Va sottolineato, tuttavia, che se l’accordo è sottoscritto in sede aziendale con le rappresentanze sindacali, queste debbono essere assistite da soggetti delle organizzazioni dei lavoratori che hanno sottoscritto il contratto nazionale. Con tale marchingegno si è voluto evitare che attraverso la pattuizione aziendale fossero seguite strade non conformi agli indirizzi generali fissati negli accordi nazionali.
Il campo di applicazione del rapporto a tempo parziale è, in pratica, esteso a tutte le categorie di lavoratori, pur se per alcune di esse esistono alcune peculiarità:
a) i dirigenti: l’ammissibilità del part-time nel settore privato è ammessa;
b) gli apprendisti: con la circolare n. 46/2001 il Ministero del Lavoro ha confermato l’orientamento già espresso con la circolare n. 102/1986, allorché sostenne che, in via di principio, il rapporto di apprendistato a tempo parziale non possa essere escluso;
c) Gli assunti con contratto di formazione e lavoro;
d) i disabili, gli orfani, i coniugi superstiti ed i profughi assunti “ex lege” n. 68/1999;
e) gli operai agricoli;
f) i lavoratori che hanno raggiunto i limiti per il godimento della pensione di vecchiaia e che intendono continuare a lavorare a tempo parziale;
g) i lavoratori in forza alle imprese in difficoltà cui mancano non più di 5 anni per il “godimento” della pensione di vecchiaia e che hanno almeno 15 anni di versamenti contributivi;
h) i portieri degli stabili.
➢ Forme, contenuti e sanzioni
L’art. 2 afferma che il contratto a tempo parziale va stipulato per iscritto, che entro i 30 giorni successivi ne va inviata copia alla Direzione provinciale del Lavoro e che il datore di lavoro ne deve dare notizia alle rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti, specificandone, con cadenza annuale, l’andamento, la tipologia, ed il ricorso a prestazioni supplementari: tale informativa riecheggia quanto su argomenti simili (prestazioni di lavoro temporaneo) era stato scritto dall’art. 1 della legge n. 196/1997.
Il comma 2 dell’art. 2 stabilisce che il contratto a tempo parziale deve contenere espressamente la collocazione temporale della prestazione riferita al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno. La disposizione ricalca fedelmente quanto già contenuto nel vecchio art. 5 della legge n. 863/1984: fanno eccezione le “clausole elastiche” disciplinate dall’art. 3.
La forma scritta del contratto non è più “ad substantiam” ma è richiesta soltanto a fini probatori (“ad probationem”). L’art. 8, comma 1, qualora la scrittura risulti mancante, ammette la prova per testimoni ex art. 2725 c.c.. Questo articolo, richiamando il comma 3 dell’art. 2724 c.c., afferma che la prova per testimoni è ammessa, unicamente, se “il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova”. La giurisprudenza ha avuto modo di soffermarsi sul concetto di “perdita incolpevole” sostenendo che essa si verifica allorquando la condotta appare immune da imprudenza o negligenza e, d’altra parte, nessuna prova orale o presuntiva può essere presa in considerazione dal giudice se la parte che offre non abbia prima dimostrato di essere rimasta priva del documento senza propria colpa.
Come si vede, i margini per il riconoscimento del part-time senza la prova scritta sono molto stretti ed il lavoratore può richiedere il riconoscimento del rapporto a tempo pieno a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia stata giudizialmente accertata, fatto salvo il diritto alle retribuzioni (e contribuzioni) dovute per le prestazioni svolte in precedenza.
Il comma 2 dell’art. 8 individua, in maniera precisa, una serie di omissioni rilevabili nel contratto a tempo parziale riferibili sia alla durata della prestazione che alla collocazione temporale dell’orario. Nel primo caso, su richiesta del lavoratore, può essere dichiarata la sussistenza di un rapporto a tempo pieno che decorre dalla data dell’accertamento giudiziale (e qui, si potrebbe, maliziosamente, pensare che il riconoscimento è condizionato dalla lentezza della giustizia. Sarebbe stato più giusto prendere altri parametri iniziali di riferimento come, ad esempio, la data della richiesta).
Nella seconda ipotesi, invece, si è ritenuto opportuno predeterminare alcuni criteri che il giudice dovrebbe porre alla base della eventuale pronuncia di merito: riferimento ai contratti collettivi per quel che riguarda le modalità temporali di svolgimento della prestazione o, in alternativa, seguendo la “via equitativa”, riferirsi alla situazione familiare, alla necessità di integrazione del reddito con altra attività di lavoro autonomo o dipendente, ed alle esigenze del datore di lavoro. La valutazione equitativa riguarda anche il risarcimento del danno che va corrisposto per il periodo antecedente la pronuncia del giudice, oltre alla retribuzione dovuta per le prestazioni svolte. La norma consente, altresì, di apporre “clausole elastiche” nello svolgimento del successivo rapporto.
Il comma 2 dell’art. 8 termina con un riferimento, per la soluzione della controversia, alle procedure conciliative ed arbitrali previste dai contratti collettivi. Il tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie individuali di lavoro (e tali sono quelle sulla natura del contratto o sulle modalità applicative) è stato introdotto, fatta salva l’eccezione prevista dalla legge n. 108/1990 per l’impugnativa dei licenziamenti nelle imprese dimensionate fino alle 15 unità, dal D. L.vo n. 80/1998, poi modificato dal D. L.vo n. 387/1998. La commissione di conciliazione istituita presso la Direzione provinciale del Lavoro o quella paritetica ubicata presso la sede sindacale debbono essere obbligatoriamente investite: il ricorso al giudice non può essere attivato se non sono trascorsi 60 giorni dalla presentazione dell’istanza all’organo conciliativo. Esperito, con esito negativo, il tentativo le parti, secondo la previsione dell’art. 412-ter c.p.c. e qualora la procedura sia stata fissata dai contratti collettivi, possono definire la decisione della controversia ( il rito è volontario ed alternativo al giudizio di primo grado) rimettendosi ad un collegio arbitrale irrituale. E’ questo un riferimento importante perché si invogliano le parti a trovare una soluzione definitiva extra-giudiziale. Per puro spirito conoscitivo si ricorda che, ad oggi, la procedura arbitrale sia stata introdotta nel CCNL del commercio e della grande distribuzione cooperativa, ed in accordi quadro nei settori delle aziende municipalizzate, del pubblico impiego e delle piccole e medie imprese aderenti alla Confapi.
Il comma 3 dell’art. 8 disciplina una ulteriore sanzione su un problema, quello del diritto di precedenza, abbastanza delicato sul quale ci si soffermerà più avanti: vi si afferma il diritto del lavoratore al risarcimento del danno che, peraltro, è già quantificato “a priori”. Esso è pari alla differenza tra l’importo della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe spettata a seguito del passaggio a tempo pieno nei 6 mesi successivi a detto passaggio.
Il comma 4 dell’art. 8 stabilisce l’unica sanzione rimasta in carico alla Direzione provinciale del Lavoro: la comunicazione dell’avvenuta stipula del contratto a tempo parziale deve avvenire entro 30 giorni, pena l’applicazione di una sanzione amministrativa pari a £
30.000 al giorno per ogni lavoratore interessato. Parlando di “unica sanzione” ci si riferisce, ovviamente, soltanto a quelle previste in maniera specifica per il contratto a tempo parziale: restano fuori, ovviamente, quelle legate alla mancata comunicazione dell’avvenuta assunzione, entro 5 giorni, ai centri per l’impiego.
➢ Lavoro supplementare e straordinario
L’art. 3 contiene importanti disposizioni per la comprensione del nuovo part-time: vengono disciplinate, infatti, le modalità del lavoro straordinario, di quello supplementare e delle clausole elastiche.
C’è da rimarcare come, facendo rinvio ai contratti collettivi si imponga agli stessi di determinare:
a) il numero massimo delle ore supplementari effettuabili nel corso dell’anno. La contrattazione integrativa territoriale od aziendale non può derogare il limite stabilito a livello nazionale. La dizione adottata al comma 4 del vecchio art. 5 della legge n. 863/1984 vietava il lavoro supplementare, tranne che non fosse espressamente previsto dal contratto collettivo;
b) il numero massimo delle ore supplementari effettuabili nel corso della giornata;
c) le causali che ne giustificano il ricorso.
In via transitoria ed in attesa di una disciplina contrattuale che, se carente, dovrebbe intervenire prima del 30 settembre 2002 (termine ora introdotto dal D.L. n. 355/2001), è consentito il ricorso al lavoro supplementare fino ad un massimo del 10% della durata del rapporto a tempo parziale riferita a periodi non superiori al mese e da usare in un arco temporale superiore alla settimana. Ciò che si chiede è il consenso del lavoratore la cui mancanza non integra gli stremi del provvedimento disciplinare o del licenziamento. La retribuzione è quella prevista per le ore normali di lavoro, a meno che i contratti collettivi
non prevedano una maggiorazione rapportata alla retribuzione globale di fatto, con i conseguenti riflessi sul trattamento di fine rapporto. Tuttavia, sempre i contratti collettivi, anche aziendali, possono stabilire una maggiorazione convenzionale e forfettaria sulla retribuzione ai fini dell’incidenza sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
➢ Le clausole elastiche
Il D.L.vo n. 61/2000, nel disciplinare la materia, assume quale punto di riferimento l’indirizzo giurisprudenziale affermando che la possibilità della introduzione delle clausole elastiche è rimandata unicamente alla contrattazione collettiva la quale deve determinare sia le condizioni generali collegate alla variazione temporale che la casistica e le condizioni che consentono all’imprenditore di ricorrere all’istituto.
L’esercizio dello “ius variandi” temporale da parte del datore di lavoro è subordinato ad un preavviso in favore del lavoratore di almeno 10 giorni: la contrattazione collettiva può ridurre tale arco temporale a 48 ore ma può, altresì, corroborare tale decisione con una maggiorazione retributiva (tale disposizione correttiva è stata introdotta con il D.Lvo n. 100/2001).
L’inserimento delle clausole elastiche nel contratto individuale a tempo parziale comporta una maggiorazione della retribuzione globale di fatto secondo le previsioni della contrattazione collettiva.
La disponibilità del lavoratore ad accettare la flessibilità deve essere esplicitata in forma scritta: al lavoratore rimane, comunque, sempre la possibilità di denunciare il patto per una delle seguenti ragioni:
a) esigenze di carattere familiare;
b) esigenze di tutela personale della salute certificate da una struttura pubblica;
c) opportunità occupazionali, di natura subordinata od autonoma, da svolgere durante il nuovo orario.
Altre ipotesi nelle quali può scattare la clausola del ripensamento sono individuabili attraverso i contratti collettivi, anche aziendali: esse dovrebbero far riferimento ad esigenze di studio e formazione, anche se la dizione adottata nell’ultimo periodo del comma 10 lascia aperta la strada alla formulazione di ulteriori casi, identificati come “ragioni obiettive”.
La disdetta delle clausole elastiche da parte del lavoratore, deve essere effettuata in forma scritta e non prima che siano trascorsi 5 mesi dall’inizio del rapporto: essa è soggetta ad un periodo di preavviso, non inferiore ad un mese, al quale il datore può rinunciare ricostituendo, da subito, lo “status quo ante”. Con il decreto legislativo correttivo
n. 100/2001 è stata inserita la possibilità, limitatamente all’ipotesi dell’opportunità occupazionale, che possa essere previsto un periodo di impegno superiore ai 5 mesi, previa corresponsione di una indennità. Non esiste alcun elemento ostativo a che, in un periodo successivo, ricorrendone le condizioni e la disponibilità, si possa stipulare un nuovo accordo “elastico”.
Da ultimo, c’è da ricordare come l’apposizione delle “clausole elastiche” sia ammessa soltanto per rapporti a tempo parziale ed indeterminato.
➢ Principio di non discriminazione
Dopo aver richiamato i principi generali sulla non discriminazione nei posti di lavoro inseriti nella specifica legislazione di riferimento, l’art. 4, comma 1, afferma che il lavoratore a tempo parziale non può essere discriminato rispetto al personale che opera a tempo pieno: la valutazione va fatta avendo quale parametro di riferimento il contratto collettivo
(anche aziendale) nella parte in cui disciplina il livello professionale in forza dei criteri di classificazione.
Tutela ed incentivazione del rapporto a tempo parziale
L’art. 5 contiene l’estrinsecazione di un principio ripetuto più volte nel testo: quello della salvaguardia del posto di lavoro del dipendente a tempo parziale. Di qui la sottolineatura che il rifiuto della proposta di trasformazione di un rapporto a tempo pieno in uno a tempo parziale non costituisce giustificato motivo di licenziamento. La norma, così come è scritta, fa, senz’altro, riferimento ad una situazione “singola” perché se, ad esempio, essa fosse inserita nell’ambito di una trattativa concernente una procedura collettiva di riduzione di personale, il rifiuto non dovrebbe postulare l’annullabilità di un provvedimento di licenziamento adottato al termine della stessa, ritualmente conclusasi.
11) Il tirocinio form ativo (Lo Stage)
Lo stage è il primo passo per l'ingresso nel mondo del lavoro. Si rivolge a coloro che hanno adempiuto l'obbligo scolastico ma anche agli individui in cerca di occupazione che vogliano rientrare nel mondo del lavoro e a cittadini di stati membri della Comunità europea o extra comunitari, fatto salvo il principio di reciprocità. L'art.18 della legge 196/97, nota come Legge Treu, disciplina il tirocinio formativo. Per i giovani, il tirocinio è un ottimo strumento per acquisire un'esperienza professionale pratica, per le imprese c'è il vantaggio economico, in quanto non sono tenute a corrispondere una retribuzione, ed inoltre possono acquisire informazioni e impressioni sui giovani in vista di una futura assunzione.
Il rischio del tirocinio formativo è che diventi per le aziende un mezzo per acquisire personale a costo zero al quale affidare le mansioni meno qualificanti, venendo meno all'obiettivo di formazione. Proprio per questo si è inserita la figura del tutore e del responsabile aziendale.
Rispetto ad altri paesi europei, in cui è considerato un passo fondamentale per l'inserimento nel mondo del lavoro, l'Italia non ha ancora pienamente sfruttato le potenzialità di questo istituto. Si potrebbe ad esempio prevedere lo stage come obbligatorio ai fini del conseguimento del titolo di studio (diploma o laurea).
Attuazione
E' necessaria una convenzione tra l'ente promotore del tirocinio ed il datore di lavoro (soggetto ospitante) corredata da un progetto del tirocinio preparato dal datore di lavoro. Enti promotori e soggetti ospitanti
Possono promuovere tirocini formativi i seguenti soggetti:
❖ Università;
❖ Provveditorati agli studi
❖ Scuole statali, scuole private parificate
❖ Centri di formazione e/o orientamento pubblici o convenzionati
❖ Comunità terapeutiche e cooperative sociali
❖ Servizi di inserimento lavorativo per disabili
❖ Agenzie regionali per l'impiego
❖ Direzioni provinciali del lavoro
❖ Istituzioni formative private, senza fini di lucro
Soggetti ospitanti possono essere tutti i datori di lavoro pubblici e privati, a patto che siano rispettati i tetti massimi per ciò che riguarda il numero dei tirocinanti in relazione al numero di occupati a tempo indeterminato.
Ad esempio un'azienda con più di 20 dipendenti a tempo indeterminato, non può avere più del 10% di tirocinanti.
I soggetti promotori hanno l'onere di assicurare i tirocinanti contro gli infortuni sul lavoro presso l'INAIL , oltre che per la responsabilità civile verso i terzi, e su di loro ricade la responsabilità di elaborare il progetto formativo e di orientamento contenente le modalità di attuazione dello stage.
I datori di lavoro che ospitano i tirocinanti devono invece favorire l'esperienza dello stagista nell'ambiente di lavoro.
Dovrebbero anche garantire la presenza di un tutore come responsabile didattico- organizzativo delle attività. Per le aziende che impiegano giovani provenienti da regioni meridionali è possibile ottenere il rimborso totale o parziale degli oneri finanziari sostenuti per coprire le spese di vitto e alloggio del tirocinante.
Retribuzione
Lo stagista non ha diritto ad una retribuzione perché il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro, di conseguenza il soggetto ospitante non è tenuto a pagare nulla al tirocinante, ma può erogargli un compenso quale rimborso spese per gli oneri sostenuti. Il rimborso è assoggettato alla ritenuta d'acconto ai fini IRPEF del 20%.
Durata
La durata massima è di 4 mesi per gli studenti della scuola secondaria superiore, di 6 mesi per gli allievi degli istituti professionali di stato, di corsi di formazione professionale, di attività formative post-diploma o post laurea e i disoccupati, di 12 mesi per gli studenti universitari e per i soggetti svantaggiati e di 24 mesi per i portatori di handicap.
12) L'Apprendistato
L'apprendistato è un rapporto di lavoro speciale, in forza del quale l'imprenditore è obbligato ad impartire o a far impartire all'apprendista l'insegnamento necessario per acquisire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l'opera lavorativa.
L'età minima per essere assunti come apprendisti è 16 anni purché si sia adempiuto all'obbligo scolastico.
L'età massima è invece di 24 anni (28 anni per i portatori di handicap). L'apprendistato è permesso in tutti i settori lavorativi compreso quello agricolo. Durata
La durata varia a seconda dei settori e dei CCNL, non può essere inferiore a 18 mesi e superiore ai 4 anni.
Possono essere prestati periodi di apprendistato presso più datori di lavoro.
Formazione
La formazione deve essere effettuata all'esterno dell'impresa presso Centri di formazione professionale che certificheranno l'avvenuta formazione.
E' previsto un minimo di 120 ore annue di formazione riducibili solo per chi è in possesso di un titolo di studio post-obbligatorio o di attestato di qualifica professionale. Orario di lavoro
L'orario lavorativo dell'apprendista non può superare le 8 ore giornaliere e le 44 ore settimanali.
Le ore obbligatorie di insegnamento teorico complementari sono considerate ore lavorative e computate nell'orario di lavoro. Gli apprendisti hanno diritto ad un minimo di 30 giorni di ferie per chi ha meno di 16 anni e di 20 giorni per chi ha più di 16 anni. Retribuzione e diritti previdenziali
Durante il periodo di apprendistato la retribuzione viene fissata in modo percentuale rispetto alla retribuzione piena.
Il lavoratore apprendista non versa i contributi sanitari e quelli relativi alla disoccupazione, quindi in caso di malattia, riceverà una retribuzione inferiore a quella degli altri dipendenti dell'impresa.
L'apprendista non può riceve l'indennità di disoccupazione. I periodi di apprendistato sono invece validi ai fini del raggiungimento dei requisiti per le pensioni di invalidità, vecchiaia e anzianità.
13) Lavori Socialm ente Utili (LSU)
I lavori socialmente utili (LSU) si collocano a metà tra una forma di ammortizzatore sociale ed un trampolino verso il lavoro. Sono nati per mettere fine alla pratica di prorogare i trattamenti di cassa integrazione e mobilità, sostituendo attività che, oltre ad assicurare servizi agli enti locali e sostegno economico ai lavoratori, costituiscano per questi ultimi forme di riavvicinamento al lavoro.
Soggetti promotori sono le amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici economici, le società a totale o prevalente partecipazione pubblica e in alcuni casi, le cooperative sociali ed i loro consorzi.
Tipologie
Esistono 4 tipologie di LSU:
• lavori di pubblica utilità mirati alla creazione di occupazione, della durata di 12 mesi prorogabili per due periodi di sei mesi
• lavori socialmente utili mirati alla qualificazione di progetti formativi della durata massima di 12 mesi
• lavori socialmente utili per progetti a carattere straordinario, della durata di sei mesi prorogabili per altri sei mesi con priorità ai percettori di trattamenti previdenziali
• lavori socialmente utili svolti da percettori di trattamenti previdenziali, anche per attività ordinarie.
Soggetti utilizzabili
Nei progetti di LSU possono essere utilizzati:
• lavoratori in cerca di primo impiego o disoccupati iscritti da più di due anni al collocamento
• lavoratori in lista di mobilità
• lavoratori in CIGS (cassa integrazione guadagni straordinaria) sospesi a zero ore
• gruppi di lavoratori espressamente individuati in accordi per la gestione di esuberi
• detenuti per i quali sia prevista l'ammissione al lavoro esterno come modalità del programma di trattamento
• categorie individuate dalle commissioni regionali per lo sviluppo
Disciplina dei LSU
L'utilizzazione in LSU non comporta instaurazione di un rapporto di lavoro. Chi percepisce trattamenti previdenziali viene impiegato per l'orario settimanale proporzionale al trattamento stesso, comunque per non meno di 20 ore. Chi non percepisce trattamenti previdenziali, ha diritto ad un assegno mensile di 800mila lire, rivalutato annualmente, con una integrazione nel caso di impegno settimanale superiore a 20 ore.
I soggetti utilizzatori devono assicurare i lavoratori contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Ai fini previdenziali, i periodi nei quali viene erogato l'assegno non sono utili ai fini del calcolo della pensione.
14) Contratti di solidarietà
Questi furono istituiti con la legge 863/84 (artt. 1 e 2) e possono essere:
a) Contratti di solidarietà espansiva o esterna che si prefiggono l'obbiettivo di incrementare, attraverso la riduzione dell'orario di lavoro, i livelli occupazionali dell'azienda.
b) Contratti di solidarietà difensiva o interna, normati dalla legge n° 863 del 19.12.1984
(Art. 1 comma 1) che, in presenza di situazioni aziendali di esuberi di personale, tendono ad evitare - in tutto o in parte - mediante l'accordo sulla riduzione dell'orario, il ricorso ai licenziamenti collettivi. Questi sono i contratti aziendali - stipulati con le Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale - che stabiliscono una riduzione dell'orario di lavoro e un impiego più razionale del personale al fine di evitare - in tutto o in parte - la dichiarazione di esubero.
Con la legge 236/93 è prevista la possibilità di riduzione dell'orario non solo giornaliera ma, anche settimanale, mensile od annuale; la stessa legge non consente di stipulare contratti di solidarietà per riduzioni di orario inferiori al 20%, cioè a 8 ore settimanali medie. Per gli operai e gli impiegati interessati dai contratti di solidarietà è prevista la corresponsione di un particolare trattamento di integrazione salariale che fa capo alla gestione straordinaria della C.I.G.. Tale trattamento è concesso per una durata massima di 24 mesi; il contratto può inoltre consentire il superamento dell'orario di lavoro (entro il limite dell'orario normale di lavoro) con corrispondente riduzione del trattamento di integrazione salariale.
Con la legge 48/88 è stata prevista una proroga di ulteriori 24 mesi (36 nel Mezzogiorno). L'ammontare della integrazione è determinata nella misura del 50% (60% nel Mezzogiorno) del trattamento retributivo perso per la cui determinazione non si prendono in considerazione gli aumenti retributivi previsti dai C.I.A. nei 6 mesi precedenti la stipulazione dei contratti di solidarietà:
Con la legge 236/93 (Art. 5 comma 4) l'ammontare del trattamento di integrazione salariale corrisposto (ai lavoratori) per i contratti di solidarietà stipulati tra 1/1/93 e 31/12/95 viene elevato, per un periodo massimo di 2 anni, al 75% del trattamento retributivo perso e per lo stesso periodo all'impresa viene corrisposto - mediante rate trimestrali - un contributo pari ad 1/4 del monte retributivo da essa non dovuto a seguito della riduzione di orario.
I periodi di integrazione salariale non vengono computati per determinare il limite temporale massimo previsto dall'Art. 1 (comma 9) della legge 223/91, ai fini della concessione dei trattamenti straordinari di integrazione salariale (36 mesi nell'arco di un quinquennio, compresi i periodi di C.I.G. ordinaria).
All'Art. 5 commi 5 e 6 la stessa legge 236/93 prevede la possibilità - per le aziende che stipulano contratti di solidarietà al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale nel corso della procedura di cui all'Art. 24 legge 223/91 - di corresponsione (per un periodo massimo di 2 anni) di un contributo pari alla metà del monte retributivo da esse non dovuto a seguito della riduzione di orario. Il predetto contributo viene erogato in rate trimestrali e viene ripartito in parti uguali tra impresa e lavoratori interessati per i quali non ha natura di retribuzione ai fini contrattuali e di legge ivi compresi gli obblighi assistenziali e previdenziali. Tale disposizione è valida fino al 31/12/95.
Procedura
Per accedere a questa procedura l'azienda deve presentare istanza, corredata dall'accordo sindacale, agli Uffici Provinciali del Lavoro e della Massima Occupazione.
Il Ministero del lavoro entro 45 giorni dalla presentazione della domanda dispone, con decreto, l'ammissione.
"Va evidenziato che l'accordo in materia di riduzione di orario, al fine di evitare la riduzione del personale, deve essere raggiunto tra impresa e XX.XX. nell'ambito delle procedure disciplinate dagli Artt. 1-4-24 della legge 223/91; un accordo concluso al di fuori di detta procedura può valere agli effetti dell'Art. 1 della legge 863/84 (come contratto di solidarietà) ma non agli effetti e per i benefici della legge 236/93".
All'Art. 5 comma 10 della stessa legge si afferma che nel contratto di solidarietà vengono determinate anche le modalità attraverso le quali l'impresa - per soddisfare temporanee esigenze di maggior lavoro - può modificare in aumento (nei limiti del normale orario contrattuale) l'orario ridotto. Tale maggior lavoro comporta una corrispondente riduzione del trattamento di integrazione salariale o del contributo previsto al comma 5.
Tutte le disposizione del citato Art. 5 si applicano a tutte le imprese che rientrano nel campo di applicazione della C.I.G. straordinaria e nei confronti di tutte le imprese con più di 15 dipendenti che intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell'arco di 120 giorni.
"E' interessante osservare come, essendoci una riduzione contestuale sia dell'orario di lavoro che della retribuzione (formalizzata con accordo sindacale), l'obbligazione retributiva del datore di lavoro viene rapportata - durante il periodo di vigenza dell'accordo sindacale sul diverso regime dell'orario di lavoro (regime di orario ridotto che viene a costituire l'orario normale nel periodo considerato) - alla nuova misura (ridotta) dell'orario; sulla parte di orario non effettuato intervengono sia il trattamento integrativo erogato dall'INPS sia il contributo ministeriale, da ripartirsi pariteticamente tra datore di lavoro e lavoratore.
Le mensilità aggiuntive (13° - 14° ecc.) vengono integrate dall'INPS, in proporzione delle quote orarie di integrazione erogate nel periodo di maturazione di dette mensilità, mentre sono a carico del datore di lavoro per la parte relativa alle ore rientranti nell'ambito del normale orario di lavoro ridotto.
Per quanto concerne le ferie, va ricordato che esse maturano in proporzione dell'orario ridotto e che - ovviamente - andranno regolarmente fruite dal lavoratore. Per la parte non maturata, potrà divenire operante l'intervento di integrazione salariale a carico dell'INPS.
Per le festività, occorre considerare il periodo in cui esse vengono a cadere: se cadono in un periodo di normale attività lavorativa, il relativo trattamento sarà a carico del datore di lavoro; se vengono a cadere in un periodo in cui non è prevista attività lavorativa, per effetto della specifica forma di riduzione di orario, verranno integrate dall'INPS; se cadono in un giorno in cui è prevista la prestazione ridotta, il trattamento relativo a dette festività sarà a carico del datore di lavoro per la parte corrispondente all'orario lavorativo e a carico dell'INPS per la parte corrispondente alla riduzione di orario; se coincidono con una domenica il trattamento relativo sarà a carico del datore di lavoro se vengono a cadere nel corso di una settimana lavorativa (sia pure ad orario ridotto) e andranno perdute per il lavoratore se cadono durante periodi di sospensione di attività.
Per la malattia, infortunio, gravidanza e puerperio viene riconosciuto il trattamento di integrazione, qualora l'indennità relativa sia calcolata su retribuzioni ridotte.
Per quanto riguarda i permessi sindacali, se sono utilizzati in giornate di normale attività lavorativa, il relativo trattamento economico (pari alla normale retribuzione) è a carico del datore di lavoro; se vengono fruiti in giornate di prestazione ridotta, al lavoratore dovrebbe competere sia la retribuzione per le ore di permesso coincidenti con l'orario lavorativo, sia
il trattamento integrativo riferito alle quote orarie corrispondenti alla parte di riduzione di orario; se il dipendente si dedica ad attività sindacale durante i periodi di sospensione dell'attività lavorativa gli spetterà solo il trattamento di integrazione salariale.
Per quanto riguarda il TFR, è a carico dell'INPS per le quote maturate in relazione ai periodi di intervento dell'integrazione salariale, mentre resta a carico del datore di lavoro la parte relativa alla prestazione lavorativa effettuata.
Per quanto riguarda il preavviso: se coincide con un periodo di normale attività lavorativa, in caso di regolare prestazione in servizio, il relativo trattamento sarà a carico del datore di lavoro, mentre sarà dovuta l'indennità sostitutiva da parte del soggetto recedente che non dia preavviso. Se coincide con un periodo di prestazione ad orario ridotto, accanto alla retribuzione per l'attività prestata opererà anche l'intervento integrativo dell'INPS; se la parte recedente non da il preavviso all'altra parte non c'è spazio per l'intervento integrativo, mentre la parte inadempiente dovrà corrispondere all'altra l'indennità sostitutiva. Se coincide con un periodo in cui non è prevista attività lavorativa non c'è alcuna indennità sostitutiva, mentre può operare l'intervento di integrazione salariale, salvo il caso in cui il rapporto si risolva con effetto immediato per mutuo consenso o perchè il lavoratore ha già instaurato un nuovo rapporto di lavoro.
15) Xxxxxx e disabili
Sono considerate disabili tutte quelle persone che per particolari motivi si trovano in uno stato di inferiorità o particolare bisogno nella ricerca di lavoro. Rientrano in questa categoria invalidi di guerra, invalidi del lavoro (persone dipendenti di aziende pubbliche o private che per motivi di lavoro abbiano acquisito una malattia professionale o subito un infortunio), invalidi civili (persone che per motivi diversi da quelli elencati finora abbiano perduto una certa percentuale di capacità lavorativa), privi di vista, orfani e vedove per motivi di guerra o lavoro; ex tubercolotici, profughi, vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Per queste persone la legge italiana riconosce varie facilitazioni, fra cui il diritto all'assunzione obbligatoria .
Sono considerate handicappate quelle persone che presentano minorazioni fisiche o
psichiche che rendono difficile l'inserimento nella vita sociale e lavorativa. Per queste persone la legge italiana riconosce varie facilitazioni, fra cui il diritto all'assunzione obbligatoria.
Una persona e' da considerarsi handicappata quando, causa la propria disabilita', si trovi a svolgere funzioni personali e sociali in situazioni di svantaggio.
Ne discende che l'handicap e' soprattutto un problema sociale nel senso che, se si rimuovono gli ostacoli sociali, le persone disabili sono meno handicappate. Si considerano poi mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti, da minoranze congenite o acquisite anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici, le insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacita' lavorativa, non inferiore a un terzo, o, se minori di 18 anni e ultrasessantacinquenni, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
Nel nostro paese, i provvedimenti legislativi varati per favorire l'integrazione sociale dei disabili, rispondono a precisi dettami costituzionali, gli art. 3 e 38 della nostra costituzione.
A ssistenza
La parola assistenza spesso viene collegata solo a prestazioni economiche; non è così. Per assistenza il legislatore ha inteso una rete di interventi che favoriscono l'integrazione sociale di quei cittadini che, a causa delle loro condizioni psico-
fisiche, si trovino in una condizione di svantaggio.
In coerenza con quanto espresso dall'art. 3 della Costituzione: "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano, di fatto, la libertà e l'uguaglianza dei cittadini".
Tutte le prestazioni in seguito descritte, sono legate allo status di invalido, status che deve essere certificato dalle Istituzioni Pubbliche.
In Italia gli invalidi, per ragioni storiche, sono classificati a seconda della causa invalidante. Causa che può determinare anche una differenziazione di prestazione.
Le categorie sono le seguenti:
• invalidi civili (legge 118/71)
• ciechi civili (legge 66/62)
• sordomuti (legge 381/70)
• invalidi di guerra
• invalidi di servizio
• invalidi del lavoro.
La popolazione dei disabili è composta, nella sua grande maggioranza, da invalidi civili (80% circa); abbiamo quindi scelto di trattare la legislazione che riguarda questa categoria.
Prestazioni econom iche ed assistenziali
A) PRESTAZIONI ECONOMICHE
Possono essere suddivise in:
- prestazioni continuative sono quelle erogate dal Ministero degli Interni.
- prestazioni di carattere straordinario o temporaneo sono erogate dagli Enti Locali e solitamente consistono in un contributo a sostegno del nucleo familiare.
Con l'entrata in vigore della legge n.104/92, viene prevista una serie di interventi per persone colpite da handicap e riconosciute, in base all'art. 4 della legge su citata, in stato di gravità.
B) ASSISTENZA DOMICILIARE
Prestazione prevista dall'art. 9 della legge 104/92 di competenza delle USL o dei Servizi sociali dei comuni.
C) PRESIDI SANITARI
Per i disabili gravi con patologie che necessitano di ausili sanitari in modo continuativo (pannolini, cateteri, garze, sedie a rotelle, ecc...) le Usl di diverse Regioni concedono un certo quantitativo di detti ausili a titolo gratuito, o Contribuiscono al loro acquisto.
D) PRESTAZIONI SPECIALISTICHE E CURE TERMALI Sono esenti dal ticket tutti gli
Invalidi indicati precedentemente, e sono esonerati dal pagamento della quota fissa gli invalidi al 100%.
Inserim ento nel lavoro de le persone handicappate LEGGE 104/92
Secondo l'Art. 3 della presente legge è persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. Gli accertamenti relativi sono effettuati dalle U.S.L. mediante le commissioni mediche integrate da un operatore sociale e da un esperto (Art. 4); qualora la commissione medica non si pronunci entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, l'accertamento può essere effettuato da un medico specialista (nella patologia denunciata) in servizio presso la competente U.S.L. e produce
effetto fino all'emissione dell'accertamento definitivo della commissione medica e, comunque, per non più di un anno.
Con l'Art. 33 di questa legge vengono introdotte una serie di agevolazioni:
ACCERTAMENTO DELLO STATO DI HANDICAP
Certificato di handicap: viene riconosciuto a "colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione"
Certificato di handicap in situazione di gravita: viene riconosciuto quando "la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione"
Entrambi i certificati non devono essere confusi con le normali certificazioni di invalidità civile, invalidità sul lavoro o per servizio, o altre; possono essere rilasciati, dietro richiesta, anche agli invalidi sul lavoro, agli invalidi di guerra o alle vittime civili di guerra.
Vengono rilasciati da un'apposita commissione dell'Azienda ULS che vede fra i suoi componenti anche da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare.
Il certificato di handicap è uno dei requisiti per godere di alcune agevolazioni tributarie e
fiscali (ad esempio: detraibilità dei sussidi tecnici e informatici, deducibilità delle spese di assistenza specifica, esenzione dal pagamento del bollo auto se l'handicap è di natura motoria, ecc...).
Il certificato di handicap grave, invece, è uno dei requisiti necessari per accedere alla
fruizione dei permessi lavorativi previsti dalla stessa Legge quadro sull'handicap (art. 33).
Possibilità di autocertificazione dell'handicap
Va ricordato che l'articolo 39 della legge 23.12.1998 n. 448, prevede che chi già è stato riconosciuto persona con handicap (ai sensi dell'articolo 3 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104), potrà presentare una autocertificazione attestante le condizioni personali (l'handicap, appunto) richieste per accedere a benefici economici, agevolazioni fiscali, prestazioni sanitarie e altri servizi pubblici. L'autocertificazione può essere molto utile nel caso in cui non si disponga dell'originale del verbale di accertamento dell'handicap o non si intenda richiederne l'autenticazione della copia.
PERMESSI
L'art. 33 della legge 104/92 prevede permessi, per i genitori che lavorano, per assistere il figlio, anche se adottivo, portatore di handicap e in stato di gravità.
Tale articolo si suddivide in commi che prevedono casistiche diverse:
• 1°comma:
prevede che la lavoratrice madre o in alternativa il lavoratore padre, ha diritto al prolungamento del periodo di aspettativa facoltativa (art. 7 legge 1204/71), sino al compimento del terzo anno di età del bambino.
Durante tale periodo di astensione dal lavoro ha diritto ad una indennità pari al 30% della retribuzione, con le modalità stabilite dal sopra citato articolo di legge della 1204/71.
• 2°comma:
stabilisce il diritto della lavoratrice madre o del lavoratore padre ad usufruire, in alternativa alla aspettativa di cui al 1° comma, di 2 ore di permesso giornaliero retribuito. Il diritto decade se il figlio è ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
• 3°comma:
stabilisce che successivamente al compimento del terzo anno di età i soggetti di cui ai commi precedenti hanno diritto ad usufruire di 3 giorni di permesso mensile (permessi fruibili anche in modo frazionato per orario), semprechè il disabile da assistere non sia ricoverato in istituti specializzati.
Possono usufruire dei permessi anche parenti o affini entro il terzo grado, purchè conviventi.
DIRITTI PREVIDENZIALI DEI DISABILI
Per la domanda:
Per usufruire delle agevolazioni e dei benefici previsti dalla Legge 104/92 è indispensabile il riconoscimento dello stato di gravità dell'Handicap, attraverso domanda da inoltrare all'apposita Commissione istituita presso l'USL.
Ottenuto il riconoscimento, per beneficiare dei permessi, serve specifica domanda da inoltrare all'INPS e al datore di lavoro, da rinnovare annualmente.
Congedi familiari:
I periodi di congedo per motivi famigliari concernenti l'assistenza e cura di disabili in misura non inferiore all80%, successivi al 01/01/1994, possono essere RISCATTATI ai fini pensionistici, purchè non siano coperti da Assicurazione.
Altri diritti:
- diritto di fruire, per il genitore o il familiare lavoratore che assista in modo continuativo un parente o un affine entro il 3° grado handicappato e con lui convivente, di scegliere - ove possibile (il datore di lavoro può opporre valido rifiuto solo per comprovate esigenze di ordine aziendale) - la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Non è possibile, inoltre, il trasferimento ad altra sede del soggetto interessato senza il suo consenso e, tale consenso, non è soggetto a verifica di compatibilità con le esigenze produttive ed organizzative aziendali;
- diritto della persona handicappata maggiorenne, in situazione di gravità, di fruire
direttamente delle agevolazioni di cui ai tre commi precedenti.
Il diritto al lavoro ed il collocam ento obbligatorio LEGGE N .68/1999
Lo stato italiano, a partire dai contenuti di principio presenti nella sua Carta Costituzionale, garantisce ai cittadini una serie di diritti e ne tutela i soggetti più deboli. Primo tra tutti è il diritto ad esprimere la propria cittadinanza attraverso la partecipazione al sistema produttivo. L’obiettivo del conseguimento di pari opportunità occupazionali per le persone che si trovino in condizioni di svantaggio sociale, vuoi per impedimenti di tipo fisico, vuoi per la propria particolare condizione sociale o esistenziale, trova espressione nella formulazione di alcuni provvedimenti legislativi che riguardano in particolare la cooperazione sociale ed il collocamento obbligatorio.
Il collocamento obbligatorio, precedentemente normato dalla legge 482/68 ed
attualmente dalla legge 68/99, prevede l’obbligo, per le aziende che occupano più di 15 dipendenti, di effettuare una determinata percentuale delle assunzioni attingendo ad una lista speciale, presente presso gli uffici competenti per territorio.
Possono iscriversi in tali liste
• tutti coloro cui è stata riconosciuta da una commissione medica una invalidità superiore al 45%
• invalidi del lavoro con invalidità superiore al 33% accertata dall’INAIL
• non vedenti e sordomuti
• invalidi di guerra e per servizio
Le persone assunte tramite collocamento godono di un trattamento economico parificato a quello di tutti gli altri dipendenti; l’azienda può invece usufruire di specifici incentivi economici ed agevolazioni (fiscalizzazione degli oneri sociali, contributi per l’adeguamento del posto di lavoro e abbattimento delle barriere architettoniche ecc.). La legge sul collocamento obbligatorio prevede che possa essere effettuata una forma di collocamento mirato attraverso la chiamata nominativa dei soggetti beneficiari.
La legge 12 marzo 1999, n.68, pubblicata sul supplemento n. 57 alla Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 1999 ha profondamente innovato la normativa del collocamento obbligatorio prima regolata dalla legge generale 482/68 e dalle leggi speciali sui centralinisti non vedenti (L113/85) e sui massaggiatori non vedenti (686/61).
La legge 482/68 già da tempo aveva dimostrato la propria inadeguatezza a rispondere ai bisogni sia dei soggetti beneficiari che degli stessi datori di lavoro; con la definitiva entrata in vigore della nuova normativa, il 17 gennaio 2000, questa legge viene definitivamente abrogata.
L’obiettivo della legge 68/99 è quello di favorire, attraverso il collocamento mirato,
l’incontro tra le esigenze delle aziende e quelle dei lavoratori disabili prevedendo strumenti di supporto alle procedure di inserimento destinati alla valutazione della congruenza tra le caratteristiche psicofisiche dei lavoratori disabili e quelle degli specifici dei luoghi di lavoro disponibili.
Ciò comporta la necessità di attivare accurate procedure di rilevazione delle
caratteristiche degli specifici cicli produttivi ed ambienti di lavoro, adeguate forme di rilevazione delle specifiche caratteristiche personali dei candidati all’inserimento lavorativo (abilità tecniche e relazionali, competenze, motivazione, ecc.), e strumenti di formazione, sostegno e tutoraggio finalizzate a supportare il percorso di graduale inserimento sul luogo di lavoro quali tirocini, borse di lavoro, periodi di prova più lunghi rispetto al Ccnl ecc.
L’introduzione di nuovi strumenti operativi quali la fiscalizzazione degli oneri sociali ed il
rimborso forfettario delle spese di adeguamento del posto di lavoro, includendo norme specifiche per quanto riguarda il nuovo fenomeno del telelavoro, vanno visti nell’ottica di una presa di coscienza dell’importanza di fornire forme di incentivazione rivolte al mondo dell’impresa.
I principali elementi innovativi introdotti dalla legge
• Inasprimento del sistema sanzionatorio che prevede una distinzione tra imprese private ed Enti pubblici economici da un lato (pene pecuniarie) e pubbliche amministrazioni dall’altro (applicazione delle sanzioni penali, amministrative e disciplinari previste dalle norme sul pubblico impiego)
• Limitazione delle categorie protette (vengono esclusi i profughi, gli orfani e le vedove dei caduti in guerra in servizio e sul lavoro, gli affetti da tubercolosi)
• Una diminuzione della percentuale di avviamenti al lavoro obbligatori sul totale dei dipendenti (si passa dal 15% al 7% per le aziende con più di 50 dipendenti e a 2 dipendenti per imprese che occupano da 36 a 50 dipendenti)
• L’estensione dell’obbligo di avviamento al lavoro alle piccole imprese (tra i 15 e 35 dipendenti)
• La possibilità di effettuare una richiesta nominativa di assunzione adottando strumenti finalizzati ad un collocamento mirato ed accompagnati da incentivazioni economiche proporzionate al livello di inabilità.
Istituzione di un fondo regionale autofinanziato dal sistema sanzionatorio, finalizzato al finanziamento del sistema approntato dalla legge per l’integrazione lavorativa dei disabili. il testo di legge allarga il campo dei soggetti imprenditoriali interessati prevedendo il
campo di applicazione della legge, seppur con differenziazioni specifiche, a quelle aziende con più di 15 dipendenti che la normativa del 1968 non comprendeva (il limite era fissato a 35 dipendenti).
La normativa prevede l’obbligo di assunzione:
• di almeno un lavoratore disabile per le aziende dai 15 ai 35 dipendenti;
• di due lavoratori per le aziende da 35 a 50 dipendenti;
• di almeno del 7 % per quelle oltre i 50 dipendenti
L’obbligo di assunzione risulta valido anche per i partiti, le associazioni sindacali e le ONLUS (in questo caso l’aliquota si applica unicamente per il personale amministrativo e tecnico-esecutivo).
L’obbligo di assumere lavoratori disabili è sospeso in caso di sottoposizione di procedura di CIGS, mobilità e contratti di solidarietà (gli obblighi sono però sospesi per la sola durata di tali situazioni, in proporzione all’attività lavorativa effettivamente sospesa e per la singola provincia in cui sono in atto le sospensioni nel caso di imprese con più unità produttive).
Gli obblighi sono inoltre sospesi per la durata della procedura di licenziamento collettivo di cui agli artt. 4 e 24 legge 23/7 1991, n.223 e, nel caso in cui la procedura si concluda con almeno 5 licenziamenti, gli obblighi rimangono sospesi anche nel periodo in cui permane il diritto di precedenza all’assunzione per i lavoratori in mobilità (12 mesi).
Sono esclusi dal collocamento obbligatorio i datori di lavoro privato e pubblico che operano nei trasporti pubblici marittimi, aerei e terrestri, in relazione al personale viaggiante e coloro che gestiscono impianti a fune, relativamente al personale lavorativo.
Per i servizi di polizia, protezione civile e difesa nazionale è previsto il collocamento obbligatorio nei servizi amministrativi Può inoltre essere richiesto esonero parziale dai datori di lavoro a causa delle speciali condizioni delle loro attività.
Se quindi da un lato vi è un allargamento dell’ambito di operatività della legge, dall’altra la riduzione dell’aliquota dal 15% al 7% per le imprese con più di 50 dipendenti pone la nostra legislazione in linea con quanto previsto negli altri paesi della Unione Europea.
La legge, superando le perplessità emerse sull’impianto della precedente L. 482/68 che, per l’impostazione sostanzialmente burocratica e quantitativa, poco ha favorito reali ed efficaci inserimenti, in particolar modo dal punto di vista delle persone svantaggiate che molto spesso necessitano di un inserimento mirato e graduale, tenta di ovviare a questa carenza, delineando i percorsi formativi, prevedendo contributi alle aziende per la formazione e per l’adeguamento delle strutture aziendali: quest’ultima previsione è decisamente importante visto che molto spesso l’architettura e l’ergonometria delle strutture industriali poco si adatta alle eventuali esigenze delle persone disabili.
Nel testo, all’art. 4 si prevede la possibilità per la regione di finanziare all’interno
dell’azienda dei corsi di riqualificazione professionale volta all’inserimento mirato; prevede inoltre delle forme di collaborazione tra regioni e associazioni nazionali di promozione per l’adempimento dei compiti di riqualificazione professionale di cui sopra. Inoltre nel testo si prevede anche la possibilità di convenzioni tra le imprese e gli uffici pubblici competenti, per prevedere periodi di prova o contratti di lavoro a termine a condizioni più agevoli rispetto a quelle previste dai relativi CCNL.
Possono essere inoltre stipulate anche convenzioni con le cooperative sociali. Accanto infatti alle norme sul collocamento obbligatorio il legislatore ha pensato che anche altre possono essere le vie per sviluppare le possibilità di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, ed in particolare il settore della cooperazione sociale.
chiamata nominativa
• Chiamata nominativa totale per le imprese dai 15 ai 35 dipendenti,
• Chiamata nominativa per partiti politici, organizzazioni sindacali e sociali
• Chiamata nominativa consentita per il 50% dei soggetti inseriti per le imprese da 36 a 50 dipendenti (1 unità)
• Chiamata nominativa consentita per il 60% dei soggetti inseriti per le imprese con più di 50 dipendenti
Dal computo dei dipendenti ai fini della verifica del requisito occupazionale (calcolo della
quota di riserva) non si dovranno computare ai sensi xxxx.xxx. 4:
• gli stessi disabili occupati a seguito di avviamento obbligatorio
• i dipendenti con contratto a tempo determinato di durata superiore a 9 mesi
• i soci di cooperative di produzione lavoro
• i dirigenti
I lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato parziale (part time) devono essere computati in proporzione al proprio orario di lavoro relativamente al normale orario contrattuale.
I disabili assunti in base alle norme del collocamento obbligatorio hanno diritto al normale trattamento economica contrattuale come tutti gli altri dipendenti
Il datore di lavoro non può richiedere al disabile prestazioni non compatibili con le sue minorazioni.
Le assunzioni potranno avvenire attraverso due modi:
• specifica richiesta ai centri per l’impiego
• attraverso un programma cadenzato sulla base di convenzioni stipulate in base all’art. 11
Il nuovo sistema sanzionatorio
Il sistema sanzionatorio è definito all’art. 15 della legge e crea una distinzione tra imprese private ed Enti pubblici economici da un lato e Pubbliche Amministrazioni dall’altro; vi è stato un notevole inasprimento delle sanzioni rispetto alla precedente legge 482/68.
collocamento mirato
Nel nuovo sistema di collocamento obbligatorio è stato inoltre introdotto il sistema della chiamata nominativa che permette di effettuare le assunzioni richiedendo una persona specifica, in quanto individuata per le sue caratteristiche come confacente alle esigenze della azienda stessa, differentemente da quanto avveniva precedentemente quando le assunzioni obbligatorie avvenivano nella forma della chiamata numerica.
Ciò va nella corretta direzione di effettuare una forma di inserimento lavorativo che tenga in adeguata considerazione le caratteristiche, esigenze ed aspettative sia del lavoratore che del datore di lavoro, partendo dal presupposto che un inserimento lavorativo può essere di effettiva utilità per entrambe le parti solo se accompagnato da una reciproca soddisfazione che possa garantire un adeguato livello di produttività da un lato, e dall’altro la continuità nel tempo dell’inserimento ed un soddisfacente livello di qualità della vita. La legge prevede inoltre la possibilità di effettuare percorsi di inserimento lavorativo supportati da una adeguata attività di tutoraggio e sostegno del lavoratore, in particolare per quanto riguarda il primo periodo dell’inserimento, che risulta essere il più delicato in quanto necessita di una fase di reciproco adattamento tra lavoratore e contesto lavorativo.