UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M.FANNO”
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT
PROVA FINALE
“IL CONTRATTO DI FRANCHISING NEL QUADRO DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: TRA AUTONOMIA E NORME IMPERATIVE”
RELATORE:
XX.XX XXXX. Xxxxxxx Xxxxxx
LAUREANDO/A: Xxxxxxx Xxxxxx MATRICOLA N. 1066308
ANNO ACCADEMICO 2015 – 2016
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INDICE
1.1 Legge 6 maggio 2004, n.129 7
1.2 Caratteristiche del contratto di affiliazione commerciale 9
1.3 Obblighi del franchisor e i segni distintivi 11
1.3a Cosa sono i segni distintivi 11
1.3b La licenza dei segni distintivi nel contratto di affiliazione commerciale 12
1.3c Annullabilità del contratto 12
2.1 Contratti di distribuzione 15
2.1b Contratto di somministrazione 16
2.2 Contratto di concessione di vendita 18
2.3 Differenze tra il contratto di franchising e di concessione di vendita 19
3.1 Obblighi di non concorrenza 21
3.1a Concorrenza sleale: caso Dolciarno Srl 22
3.2 Diritto della concorrenza comunitario: regolamento UE n. 330/2010 23
3.3 Diritto della concorrenza italiano: legge n.287 del 1990 26
3.4 Proposta di riforma della legge sul contratto di affiliazione commerciale 27
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INTRODUZIONE
L’affiliazione commerciale, conosciuta meglio come franchising, è un contratto stipulato tra diversi soggetti giuridici che trova ampio spazio nel panorama commerciale italiano. Moltissime imprese, dalle più grandi alle più piccole, utilizzano questo sistema, che si basa sulla condivisione tra due soggetti di una formula commerciale, testata e ritenuta “vincente”, in cui un secondo soggetto per riprodurla utilizza conoscenze e segni distintivi del primo, consentendo agli imprenditori la condivisione del rischio d’impresa e garantendo l’omogeneità dei prodotti e degli standard qualitativi ai consumatori. Questo modello, che è riuscito a resistere anche durante il periodo di crisi, tuttavia, è abbastanza recente nella giurisprudenza italiana, in quanto la prima legge a definire cosa fosse il franchising e le sue caratteristiche, fu la Legge n. 129, approvata il 6 maggio 2004. Prima di allora non era presente una vera e propria definizione per questa forma contrattuale, si poteva solamente fare riferimento ad alcuni leading cases della materia o ottenere supporto dal diritto comunitario, che fornisce una definizione di franchising con il fine di delineare i limiti della concorrenza nel mercato comunitario. L’approvazione anche in Italia di una legge che disciplini il contratto di affiliazione commerciale, dandone una definizione, ha dato uno slancio al mercato, incentivando molte imprese ad attivare questo sistema, chiarendo i limiti di raggio d’azione e facendo sì che sia l’affiliante (franchisor) e l’affiliato (franchisee) conoscano i propri diritti da far valere sull’altro. La tabella n.1 (presente nella pagina successiva), è una serie storica dal 2003, anno precedente all’approvazione della Legge n. 129, al 2010, a dimostrazione del fatto che dal 2004 in poi il numero di contratti ha affrontato un continuo aumento, anche negli anni della crisi, e che il modello approvato dalla legislazione italiana ha aiutato le imprese nella prosecuzione delle loro attività, offrendo vantaggi sia agli imprenditori già consolidati che vogliono allargarsi sul mercato, sia agli imprenditori emergenti, che vogliono crearsi un posto all’interno di una rete affermata. Inoltre anche i numeri provenienti da stime più recenti, come il Rapporto Assofranchising del 2015, confermano la crescita e lo sviluppo di questo modello dal 2009 ad oggi.
Lo scopo dell’elaborato è di illustrare come l’introduzione della Legge 129 nell’apparato normativo italiano, abbia aiutato a dare maggiore chiarezza e certezza alla prassi contrattuale, dando un volto al contratto di affiliazione commerciale, diverso dagli altri contratti di distribuzione. In precedenza infatti, il contratto di franchising veniva spesso confuso con il contratto di concessione di vendita, rimasto un contratto atipico, lasciando ampio spazio di manovra nell’applicabilità delle norme in materia contrattuale e generando incertezza. Perciò
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IL CONTRATTO DI FRANCHISING NEL QUADRO DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: TRA AUTONOMIA E NORME IMPERATIVE
lo scopo della legge è apparentemente quello di eliminare l’incertezza e fornire norme imperative, necessarie per l’applicazione del contratto.
Tabella 11: serie storiche dei franchisor e dei franchisee (2003-2010)
Anno | N° franchisor | N° franchisee |
2003 | 665 | 41901 |
2004 | 708 | 44426 |
2005 | 735 | 46337 |
2006 | 778 | 49340 |
2007 | 847 | 52725 |
2008 | 852 | 53343 |
2009 | 869 | 53313 |
2010 | 883 | 54013 |
Fonte: libro “Il contratto di franchising” di X. Xxxxxxxx, 2012, vedere nota 2
1 La tabella riportata è stata presa FRIGNANI, A., 2012. Il contratto di franchising, orientamenti giurisprudenziali prima e dopo la legge 129 del 2004. 1° ed. Milano: Xxxxxxx editore. In: Rapporto franchising 2010, Annuario del Franchising. 15 giugno, Milano.
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1. CAPITOLO PRIMO
IL CONTRATTO DI AFFILIAZIONE COMMERCIALE O FRANCHISING
1.1 Legge 6 maggio 2004, n.129
Le prime forme del contratto di franchising possono essere fatte risalire al Medioevo o all’età coloniale, ma il franchising moderno lo si può far risalire circa al 1929 in Francia nel lanificio Roubaix e negli Stati Uniti con General Motors. In Italia, inizia a diffondersi in maniera evidente intorno al 1970 con l’azienda Gamma D. I. che aprì il primo di 55 punti vendita che furono gestiti da affiliati2, da questa data in poi questo sistema di gestione venne adottato da sempre più aziende, ma fino al 2004 non ci fu mai una norma ufficiale a regolamentare questa forma contrattuale. Mentre in molti degli stati europei era stata già elaborata una definizione chiara, in Italia il Parlamento approvò una legge a riguardo, la numero 129, solo il 6 maggio 2004. Questa fu una svolta importante, perché nonostante vennero decisi i limiti entro il quale si poteva esercitare questa tipologia di contratto, gli obblighi delle parti, e molto altro, non vi fu un impedimento allo sviluppo di questo sistema e allo stesso tempo permise, anche se non è dimostrabile, di ridurre le controversie tra affiliati e affilianti. Andando nel concreto, l’art.1 della Legge n. 129 del 6 maggio 2004 afferma che:
“1.L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.
2. Il contratto di affiliazione commerciale può essere utilizzato in ogni settore di attività economica.
3. Nel contratto di affiliazione commerciale si intende:
a) per know-how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per segreto, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o
2ANON. La storia del franchising, Quadrante: Franchising e Management services [online]. Disponibile su
<xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx.xxx/xxxxxxxxxxx/xxxxxx-xxx-xxxxxxxxxxx>.
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IL CONTRATTO DI FRANCHISING NEL QUADRO DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: TRA AUTONOMIA E NORME IMPERATIVE
b) nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per individuato, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità;
c) per diritto di ingresso, una cifra fissa, rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo della rete, che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale;
d) per royalties, una percentuale che l’affiliante richiede all’affiliato commisurata al giro d’affari del medesimo o in quota fissa, da versarsi anche in quote fisse periodiche;
e) per beni dell’affiliante, i beni prodotti dall’affiliante o secondo le sue istruzioni e contrassegnati dal nome dell’affiliante.”3
Come si evince dalla legge, i soggetti che stipulano questo contratto, devono essere “soggetti giuridici”, quindi sia persone fisiche che giuridiche, “economicamente e giuridicamente indipendenti”. Per indipendenza economica, si può intendere che ciascun soggetto si assume il rischio di un eventuale fallimento commerciale del proprio negozio; mentre per indipendenza giuridica, si intende un soggetto che ha controllo e potere decisionale, anche nel caso in cui l’affiliante avesse una partecipazione finanziaria nel capitale d’impresa dell’affiliato, avente il completo potere di gestione, invece nel caso di alleanze, anche del tipo joint venture, se il ruolo di centro decisionale fosse dell’affiliante, viene meno la suddetta indipendenza giuridica.4 Ecco quindi, che le parti coinvolte sono due, una che prende il nome di affiliante e uno di affiliato: il primo mette in condivisione una serie di strumenti, che fanno parte di una formula commerciale da lui testata e avente successo, mentre il secondo, in cambio di un corrispettivo, usufruendo della formula e quindi dell’immagine dell’affiliante, si fa portatore della medesima pratica commerciale, garantendo il rispetto degli accordi presi. Infine per quanto riguarda i due soggetti, stipulanti l’accordo, non è così scontato sottolineare che questi si configurino come degli imprenditori, anche se non detto esplicitamente, in quanto a questi è affidato il compito di “commercializzare beni e servizi”, rientrando sia nell’articolo 2082 e 2195 del Codice Civile. Nel comma 2 inoltre, viene specificato che questo contratto si
3 Legge 6 maggio 2004, n.129 art. 1
4FRIGNANI, A., 2012. Il contratto di franchising, orientamenti giurisprudenziali prima e dopo la legge 129 del 2004. 1° ed. Milano: Xxxxxxx editore.
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IL CONTRATTO DI AFFILIAZIONE COMMERCIALE O FRANCHISING
può utilizzare “in ogni settore di attività economica”, quindi in un qualsiasi campo in cui la formula concessa dall’affiliante sia replicabile, restando esclusi quei settori in cui una prestazione è non replicabile. Infine nel comma 3 vengono fatte delle precisazioni tecniche riguardanti il know-how, il diritto di ingresso, le royalties e i beni dell’affiliante, che necessariamente devono essere comprese in quanto necessarie per la successiva formazione del contratto.
Concludendo si può evidenziare che il contratto di franchising è un contratto bilaterale, poiché le parti coinvolte sono due; oneroso, perché le prestazioni tra le due parti prevedono un corrispettivo; di durata, cioè il rapporto di esecuzione tenderà ad essere duraturo; con prestazioni corrispettive, quindi vi sarà un sinallagma o nesso che renderà le prestazioni interdipendenti; di collaborazione e in cui si instaura un rapporto di fiducia, e un comportamento scorretto andrebbe a costituire un inadempimento contrattuale grave. Quindi con l’entrata in vigore di questa legge sicuramente, il sistema dell’affiliazione commerciale ha preso una forma molto più definita, soprattutto dal punto di vista giuridico.
1.2 Caratteristiche del contratto di affiliazione commerciale
L’articolo 3 della Legge 129 impone prima di tutto che il contratto sia scritto, altrimenti nullo, in modo che le parti contraenti possano analizzarlo e conoscere le singole clausole che poi regoleranno i rapporti futuri. Per quanto riguarda la durata, il contratto può essere a tempo determinato o indeterminato, e il Legislatore dà indicazioni in merito solo per il primo caso, dicendo che “Qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni. È fatta salva l’ipotesi di risoluzione anticipata per inadempienza di una delle parti.”5, quindi dispone indirettamente in qualsiasi caso, una durata minima del rapporto di 3 anni. Un contratto a tempo determinato può comportare una maggiore stabilità e aiutare nella programmazione degli investimenti e anche nel loro recupero; mentre a tempo indeterminato, ci sarebbe maggiore incertezza, e quindi non vi è incentivo ad investire subito, ma d’altro canto vi sarebbe maggiore libertà, poiché potendo recedere dal contratto in qualsiasi momento e rispettando la durata minima imposta dalla legge, si riuscirebbe a creare una collaborazione tra partner più duratura. In caso di inadempimento di una delle parti prima dei tre anni, non vi è una sanzione fornita dalla norma, ma viene solamente richiamata la possibilità di risoluzione anticipata che riprende l’articolo 1453 del Codice Civile: “Nei
5 Legge 6 maggio 2004, n.129 art.3 comma 3
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IL CONTRATTO DI FRANCHISING NEL QUADRO DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: TRA AUTONOMIA E NORME IMPERATIVE
contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.”6 Infine nell’articolo 3 comma 4, viene indicato il contenuto minimo del contratto di franchising, che il Legislatore indica attraverso un elenco di oggetti che non possono mancare, essi sono:
“
a) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività;
b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato;
c) l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante;
d) la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato;
e) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato;
f) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione;
g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.”7
I primi due punti sono importanti perché servono a far conoscere all’affiliato i costi per avviare e sviluppare l’attività derivante dalla stipula del contratto, e a rendere trasparente la relazione che si instaura tra le parti; il terzo punto invece si riferisce “al patto di esclusiva concesso dall’affiliante a favore dell’affiliato in relazione all’ambito territoriale (o relativo a dei canali di vendita) entro il quale l’affiliato può esercitare la propria attività contrattuale e non all’esclusiva di acquisto o alla clausola di non concorrenza a favore dell’affiliante”8. Per quanto riguarda i punti successivi (quarto, quinto e sesto), l’oggetto di interesse è il know- how trasmesso dall’affiliante all’affiliato, elemento importante in quanto necessario per la riuscita della collaborazione. La norma non dà indicazione precise sul metodo di trasferimento, ma lascia all’affiliante la decisione, come lo specificare le modalità di assistenza per l’implementazione di esso nel punto vendita dell’affiliato. E infine l’ultimo punto, in cui si
6 Art. 1453, libro IV, titolo II del Codice civile
7 Legge 6 maggio 2004, n. 129 art. 3 comma 4
8 Articolo “Il contratto di franchising: la legge 129/2004 e diritto alla concorrenza” del 30/11/2004 di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, pubblicato nel sito xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxxxxx/xxxx/0000/00/00/xx-xxxxxxxxx-xx-xxxxxxxxxxx- la-legge-129-2004-e-diritto-della-concorrenza
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IL CONTRATTO DI AFFILIAZIONE COMMERCIALE O FRANCHISING
specifica che nel contratto devono essere presenti “le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso”, poiché vengono fatti grossi investimenti e c’è il rischio di perdite economiche, perciò il Legislatore richiede che nel contratto vengano precisate tali condizioni.
1.3 Obblighi del franchisor e i segni distintivi
La Legge del 2004, va anche a definire negli articoli 4 e 5, quali sono gli obblighi delle parti contraenti, quindi dell’affiliante e dell’affiliato: l’affiliante dovrà “consegnare all’aspirante affiliato copia completa del contratto da sottoscrivere”9 insieme a specifici allegati, in un periodo precedente alla sottoscrizione di trenta giorni. Mentre gli obblighi dell’affiliato sono due e vengono descritti nell’articolo 5 “1. L’affiliato non può trasferire la sede, qualora sia indicata nel contratto, senza il preventivo consenso dell’affiliante, se non per causa di forza maggiore. 2. L’affiliato si impegna ad osservare e a far osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza in ordine al contenuto dell’attività oggetto dell’affiliazione commerciale.”10
1.3a Cosa sono i segni distintivi
I segni distintivi sono dei segni, che secondo il Legislatore, servono ad individuare un imprenditore, l’azienda di cui è a capo e i prodotti o servizi offerti, rispetto ai concorrenti. Nel Codice Civile si individuano tre segni distintivi: uno per l’impresa, la ditta; uno per i prodotti o servizi, il marchio; e infine uno per i locali nei quali si svolge l’attività produttiva, l’insegna. La ditta è l’unico segno distintivo obbligatorio, e serve per individuare l’imprenditore, infatti per le imprese individuali, deve contenere la sigla del titolare o il cognome dell’imprenditore, mentre per le imprese collettive l’indicazione della forma giuridica, come ad esempio S.r.l.,
S.n.c. ecc., e il tutto lo si può trovare scritto nell’articolo del Codice Civile 2564 comma 2, che impone anche che la ditta sia costituita solo da espressioni letterali. Il marchio, è quel segno distintivo che si trova direttamente sul prodotto, o se si parla di impresa di servizi, indirettamente nei materiali utilizzati dal personale che offrono tale servizio. Il marchio può consistere in un nome, un’immagine o essere misto. Il Legislatore trova una distinzione in questi due segni, in quanto il primo ha la funzione di “distinguere la continuità di esercizio dell’organizzazione aziendale”11, mentre il secondo ha la funzione di “distinguere la continuità
9 Legge 6 maggio 2004, n.129 art. 4 comma 1
10 Legge 6 maggio 2004, n.129 art. 5 comma 1 e 2
11CETRA, X., et. al., 2014. Diritto commerciale, Giappichelli. Volume I, Diritto dell’impresa, sezione quarta.
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delle politiche commerciali di offerta”12. Per ultimo l’insegna, che è quello che solitamente viene affissa fuori dai locali, in cui viene svolta l’attività imprenditoriale, può essere formata da parole e immagini, essere generica o specifica e per l’affissione di questa bisogna avere dei permessi specifici. La Legge per tutelare i segni distintivi, impone che questi: non siano già utilizzati da altre imprese della zona che offrano medesimi prodotti o servizi; contengano elementi che siano tipici di quel prodotto o impresa; non contrastino con la morale attuale o la legge; non ingannino il cliente riguardo il prodotto venduto. Così tutelati, i segni non rischiano di creare confusione e l’imprenditore non rischia di venire intimato da altri imprenditori, che già in precedenza usavano segni simili.
1.3b La licenza dei segni distintivi nel contratto di affiliazione commerciale
Nella Legge 129 del 2004 all’articolo 4, viene precisato che tra gli allegati del contratto vi dev’essere “l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione o del deposito, o della licenza concessa all’affiliante dal terzo, che abbia eventualmente la proprietà degli stessi, o la documentazione comprovante l’uso concreto del marchio”13. In questo modo il Legislatore intende sottolineare che alla base del contratto non vi è il trasferimento di un diritto altrui, ma il conferimento di una licenza d’uso di ciò che viene concesso.
1.3c Annullabilità del contratto
Nell’articolo 8 della Legge 129 del 2004, viene poi indicato dal Legislatore il principale motivo di annullamento del contratto: “Se una parte ha fornito false informazioni, l’altra parte può chiedere l’annullamento del contratto ai sensi dell’articolo 1439 del codice civile nonché il risarcimento del danno, se dovuto.”14, questo riprende quanto il Codice civile tratta in materia di annullabilità dei contratti, a causa di dolo, che in questo specifico caso si identifica con la trasmissione di false informazioni. Tuttavia per quanto riguarda l’assenza di alcuni requisiti richiesti dai primi articoli della legge, non viene specificata nessuna sanzione, tranne per la mancanza della forma scritta del contratto, ma in questo caso si arriva alla nullità. L’annullabilità, si può considerare una sanzione più efficiente, poiché le parti contraenti possono comunque decidere di continuare il rapporto a condizioni differenti se le parti sono concordanti, ed è una punizione che può essere o meno utilizzata dalla parte che ha subito il
12 XXXXX, X., et. al., 2014. Diritto commerciale, Giappichelli. Volume I, Diritto dell’impresa, sezione quarta.
13 Legge 6 maggio 2004, n. 129, art. 4 comma 1, punto b.
14 Legge 6 maggio 2004, n. 129, art. 8
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IL CONTRATTO DI AFFILIAZIONE COMMERCIALE O FRANCHISING
dolo, a seconda della propria convenienza, rispetto alla nullità invece, che può essere a disposizione anche di un giudice e non ammette convalida. Inoltre come si può osservare, oltre all’annullabilità del contratto, la legge prevede un risarcimento che però non è facile da stimare. Di recente si usa pensare, che non siano risarcibili tutte le spese già ammortizzate riguardanti gli investimenti e quelle spese per fattori produttivi utilizzabili in altre attività, anche se non ancora ammortizzate, come computer, scaffali, affitti di un negozio ecc.
Dopo aver esaminato quali sono gli attributi che competono alla formazione di un contratto di affiliazione commerciale, attraverso l’utilizzo di un esempio, verrà chiarito come, qualunque sia la causa che porta allo scioglimento del contratto, da quel momento in poi ogni diritto che una parte aveva verso l’altra viene meno. Il caso prende in esame due imprese, Tecnocasa Franchising Spa e Tecno Ischia Srl, che stipulano correttamente un contratto di franchising, in cui la prima si identifica come franchisor e la seconda come franchisee. Tecnocasa, il 25 maggio 2015, dopo un processo contro Xxxxx Xxxxxx ottenne un’ordinanza che prevedeva l’inibizione dei dell’utilizzo dei marchi e rimozione dell’insegna; Tecnocasa infatti aveva richiesto la risoluzione del contratto, in quanto Tecno Ischia risultava inadempiente al pagamento delle royalties e nonostante la risoluzione l’affiliato continuò ad utilizzare i segni distintivi dell’affiliante, con la possibilità di danneggiare l’immagine e la reputazione dell’affiliante e impedendo l’apertura di nuovi negozi in loco. Tuttavia Xxxxx Xxxxxx, non concordando con l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, avviò un procedimento per reclamo contro l’ordinanza del 25 maggio 2015. Con il reclamo Tecno Xxxxxx sosteneva che Tecnocasa aveva violato i termini a difesa, poiché la notifica venne consegnata in ritardo e da una persona sconosciuta all’affiliato, non gli ha concesso di avvalersi di alcune clausole contrattuali e dimostrò che le royalties, anche se in ritardo erano state pagate. Il 4 agosto 2015, il Tribunale si pronunciò a favore di Tecnocasa, che aveva rispettato tutti i termini, e stabilì che Tecno Ischia dovesse rimuovere l’insegna con effetto immediato, pagare le spese processuali e un risarcimento per il periodo di utilizzo illecito dei segni distintivi.
In questo caso il mancato pagamento delle royalties ha comportato che una delle parti potesse richiedere la risoluzione del contratto, un solo elemento è riuscito a far perdere tutti gli altri diritti derivanti dal contratto, come la licenza dei segni distintivi, e così anche il vantaggio economico e d’immagine che Xxxxx Ischia poteva trarne; lo stesso Tribunale di Milano ha
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IL CONTRATTO DI FRANCHISING NEL QUADRO DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: TRA AUTONOMIA E NORME IMPERATIVE
sottolineato che: “lo scioglimento del contratto, quale sia la causa, determina comunque il venir meno del diritto di utilizzare l’insegna e i segni distintivi in oggetto.”15.
15Tribunale di Milano, 4 agosto 2015, ordinanza di revoca provvedimento precedente del 6/08/2015, RG n. 45178/2015
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2. CAPITOLO SECONDO
IL CONTRATTO DI FRANCHISING A CONFRONTO
2.1 Contratti di distribuzione
Nella fase di commercializzazione di prodotti o servizi, il produttore può stabilire se venire a diretto contatto con il consumatore finale o se rivolgersi a delle altre imprese per la gestione della fase finale di distribuzione; nel secondo caso, verranno stipulati dei contratti che oggi sono conosciuti come “contratti di distribuzione”. A seconda del ruolo che riveste il soggetto al servizio del produttore, che sia un intermediario o un rivenditore, si vanno a delineare diverse tipologie contrattuali, che sono le seguenti:
• Contratto di mandato;
• Contratto di somministrazione;
• Contratto di licenza;
• Contratto d’agenzia;
• Concessione di vendita.
Qui di seguito, ognuno di questi contratti verrà analizzato singolarmente, rintracciando eventuali analogie e differenze con il contratto di franchising, in particolare il contratto di concessione di vendita o a vendere sarà oggetto di un approfondimento più ampio, in quanto più vicino a quello di affiliazione commerciale.
Il contratto di mandato viene disciplinato dall’articolo 1703 e seguenti del Codice Civile, il quale lo definisce come “un contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra”16. Il mandato può essere con o senza rappresentanza, nel primo caso il mandatario agisce in nome del mandante, nel secondo invece per conto suo. In questo contesto, si è di fronte ad una situazione diversa da quella che si crea con un contratto di franchising perché il franchisee rimane sempre autonomo e agisce sempre nel proprio interesse, rispetto al franchisor, inoltre dal punto di vista economico, il mandatario viene remunerato in base a quanto viene stabilito nel contratto, ad esempio con una commissione sulla base dei ricavi conseguiti, invece il franchisee viene pagato con ciò che guadagna.
16 Art. 1703 del Codice Civile, libro IV, titolo III
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IL CONTRATTO DI FRANCHISING NEL QUADRO DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: TRA AUTONOMIA E NORME IMPERATIVE
2.1b Contratto di somministrazione
Il contratto di somministrazione, che fa capo agli articoli 1559 e seguenti del Codice Civile, sancisce l’obbligo di una parte, di fornire a favore dell’altra, prestazioni continuative o non, in cambio di un corrispettivo. Un contratto di somministrazione fa pensare ad esempio ad una fornitura di cibi ad un ristorante, la fornitura di tessuti ad un’impresa di abbigliamento e così via, in modo da soddisfare in maniera periodica o continuativa i bisogni del richiedente o del cosiddetto somministrato. Tutte le indicazioni riguardanti il prezzo, il periodo, la quantità o altri dettagli sulla merce o sui servizi da somministrare sono esplicitate nel contratto. Inoltre il somministrato potrà essere il consumatore finale delle prestazioni fornite dal somministrante oppure potrà acquistarle per poi metterle in commercio e distribuirle a terzi. In questo secondo caso, bisogna considerare anche la clausola di esclusiva, con riferimento agli articoli 1567 e 1568 del Codice Civile, che può essere riservata a tutte e due le parti o a carico solamente di una, se l’esclusiva è a favore del somministrante, il somministrato non può né ricevere i servizi o la merce da terzi né occuparsene con mezzi propri; se invece l’esclusiva è a favore del somministrato, il somministrante non può fornire, per la durata del contratto, prestazioni di natura simile a quelle contenute nel contratto ad altri soggetti nella zona in cui il somministrato esercita l’esclusiva.
Nel contratto di franchising, si può trovare la somministrazione di prodotti o di servizi dall’affiliante all’affiliato, tuttavia c’è qualcosa in più che lo caratterizza, ovvero la licenza dei segni distintivi, la condivisione del know-how e anche la fornitura di assistenza tecnica e commerciale. Inoltre, nella somministrazione non è previsto che il somministrato promuova l’immagine e la commercializzazione dei beni del somministrante, obbligo sostanziale quando si distribuisce in forma di franchising; ecco che il fine ultimo del contratto di somministrazione è quello di regolare rapporti tra due imprenditori, l’uno utile all’altro per soddisfare i propri bisogni, per il somministrato di svolgere le attività aziendali e per il somministrato di ottenere profitto. In conclusione, questi contratti sono accomunati per essere dei contratti di durata, ma mentre un rapporto di somministrazione è alla base di un’affiliazione commerciale, da sola la somministrazione non si configurerà mai come franchising.
Il contratto di licenza, facente parte di quei contratti “atipici” che non rispondono ad una normativa specifica, prevede che il licenziante, titolare di diritti immateriali come marchi, brevetti, segni distintivi, know-how, conceda in licenza il diritto ad utilizzare tali diritti, ad un
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IL CONTRATTO DI FRANCHISING A CONFRONTO
altro soggetto chiamato licenziatario, che accetta la licenza in cambio del pagamento di un compenso. Il pagamento di un corrispettivo, ha un punto di incontro con quelle che prevede anche il contratto di affiliazione commerciale, dove il franchisor deve pagare delle royalties in cambio di ciò che gli viene concesso dal franchisee. Tuttavia vi sono altre differenze quali il fatto che il licenziatario non fa che applicare il marchio del licenziante su beni che lui produce, ma non entra a far parte della sua catena; il fatto che il contratto di licenza è maggiormente utilizzato nei contratti di sub-fornitura in cui si lavora per conto terzi, modus operandi non presente nel franchising; e infine, come il contratto di somministrazione stava alla base per la realizzazione di un contratto di franchising ma da solo non è in grado di costituirsi franchising, lo stesso vale per i contratti di licenza.
Nel Codice Civile, articolo 1742, si definisce così il contratto d’agenzia: “Con il contratto d’agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.”17. L’agente opera in maniera autonoma, assumendosi tutti i rischi derivanti dal proprio lavoro, dovendo concludere dei contratti, i cui effetti giuridici ricadono in capo al soggetto preponente. Il lavoro dell’agente si identifica perciò nel rintracciare dei possibili clienti e attraverso un’attività di promozione indurli ad acquistare dei beni o dei servizi; tuttavia l’agente non conclude in prima persona i contratti, ma ne rimane estraneo, e lascia che sia il preponente a portare a termine la vendita, questo dal momento che lo stesso codice civile limita il suo operato all’ “incarico di promuovere”. Come il franchisee, l’agente si assume tutto il rischio d’impresa, è un soggetto vincolato al preponente e alle sue indicazioni; ma, mentre l’agente riceve un compenso calcolato in percentuale sul numero di contratti che è riuscito a far concludere, diversamente, il franchisee cerca di realizzare un margine di profitto, vendendo i prodotti ad un prezzo maggiore rispetto a quello d’acquisto18.
In conclusione queste quattro forme contrattuali hanno dei connotati in comune, ma le differenze sono più evidenti, anche per il fatto che ciascun contratto risponde a norme ben precise.
17 Articolo 1742 del Codice Civile, libro IV, titolo III
18 XXXXXXX, X., a cura di., 2006. I contratti di distribuzione. Agenzia, mediazione, promozione finanziaria, concessione di vendita, franchising, Xxxxxxx Editore.
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IL CONTRATTO DI FRANCHISING NEL QUADRO DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: TRA AUTONOMIA E NORME IMPERATIVE
2.2 Contratto di concessione di vendita
L’ambito è sempre quello dei contratti di distribuzione e quindi della commercializzazione dei beni, le parti contraenti sono due imprenditori, un concedente e un concessionario. Il concedente, produttore o acquirente che sia, decide di allargare la propria “fetta” di mercato, utilizzando dei concessionari che vendano i propri prodotti, assumendosi dei rischi nel acquistare una certa quantità di beni e che rispettino le proprie richieste nella vendita. Questo è un problema molto rilevante, in quanto i concessionari possono operare in autonomia, ma le forti esigenze da parte dei produttori nel voler decidere nella fase di commercializzazione, ha fatto sì che questi tipi di contratti contenessero clausole con cui i concedenti influissero nella sfera decisionale dei concessionari, dando loro in cambio il privilegio di operare in una zona esclusiva. Tale privilegio può essere dato o da una clausola di esclusiva a favore del concessionario che diventa l’unico rivenditore, nella sua zona, di determinati prodotti; o dalla possibilità di vantare la rivendita di merce di un’azienda conosciuta; o applicando il marchio del concedente vicino all’insegna del proprio punto vendita e quindi sfruttare l’immagine conosciuta di esso. È da rimarcare che, da una parte i concessionari operano per conto e in nome proprio, nonostante debbano rispettare ciò che viene imposto dal concedente sull’uso del marchio e sui modi in cui devono fare pubblicità; dall’altra il concedente si impegna a rifornire come stabilito il concessionario, in questo modo il contratto riesce a garantire una certa stabilità all’incarico rivestito dal concessionario.
Nel dettaglio, il contratto di concessione di vendita è un contratto bilaterale, che crea una sorta di collaborazione tra il concedente e il concessionario, che può essere a tempo determinato o indeterminato, nel primo caso non si può recedere dal contratto se non in casi prestabiliti, nel secondo caso invece la recessione è concessa purché vi sia un giusto preavviso. Con la redazione di un contratto si vanno a definire gli obblighi che le parti dovranno rispettare dopo la stipula di questo, così come vi sono degli obblighi per l’affiliante e l’affiliato, così ve ne sono per il concedente e il concessionario. Il concessionario è obbligato in primo luogo a promuovere la merce acquistata dal concedente, non solo per l’interesse di quest’ultimo ma anche per gli interessi dello stesso concessionario che oltre a diffondere i prodotti acquistati, diffonde anche i marchi che distinguono il suo punto vendita da un altro, avendo così maggiore pubblicità. In secondo luogo ad acquistare sempre una quantità minima di merce e in periodi determinati dal contratto, al di là poi di quanti riesca a venderne, dando però la certezza al concedente, in caso vi sia una clausola esclusiva secondo la quale il concedente non può vendere merce ad altri concessionari nella zona, di riuscire a vendere almeno una certa quantità. Infine
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deve utilizzare correttamente la proprietà dei marchi e dei segni distintivi che gli vengono concessi dal concedente, ovvero utilizzarli esclusivamente in rapporto alla merce da questo fornita. Dall’altra parte il concedente ha degli obblighi riguardanti la fornitura e il rapporto con il concessionario quali: fornire una garanzia, a norma di legge, sui prodotti forniti al concessionario; qualora volesse suggerire una prezzo di vendita dei prodotti o una fascia, suggerendo un minimo e un massimo prezzo, ha l’obbligo di inserirlo come clausola cosi che il concessionario sia al corrente; inoltre se non ci fossero obblighi di fornitura nei confronti del concessionario, se questo avanzasse delle richieste il concedente non può rifiutarle tutte o troppo velocemente, in quanto deve dimostrare la buona fede nell’esecuzione del contratto. Per concludere, in questa tipologia di contratto possono essere inserite altre clausole come quella di esclusiva, già citata in precedenza, a favore di una delle due parti o di entrambe, e data la singolarità del contratto e la mancanza di una normativa ad hoc, si vanno a riprendere gli articolo 1567 e 1568 del Codice Civile, riguardanti la clausola di esclusiva nei contratti di somministrazione; e una clausola che stipuli un patto di non concorrenza, per regolare i rapporti tra le parti al termine del contratto, come ad esempio cosa può fare il concessionario con i prodotti che sono rimasti invenduti, in questi casi per il patto di non concorrenza il concessionario può continuare a venderli senza però far credere ai clienti che continui ad esistere un contratto di concessione con il produttore, altrimenti si è di fronte a degli atti di concorrenza sleale, disciplinati dall’articolo 2598 del codice civile.
2.3 Differenze tra il contratto di franchising e di concessione di vendita
Apparentemente il contratto di franchising e concessione a vendere si assomigliano, ma mentre il franchising, dal 2004, è diventato un contratto riconosciuto dalla legge, il contratto di concessione di vendita rimane un contratto atipico, che mette insieme elementi caratterizzanti altri tipi di contratti di distribuzione, ad esempio per la clausola di esclusiva fa riferimento alle norme che regolano i contratti di somministrazione. Le differenze tra i due tipi si rintraccia prima di tutto nel modo di utilizzare i segni distintivi, poiché mentre il franchisee ha l’obbligo di esporre i segni distintivi del franchisor, il concessionario, tranne applicare il marchio del concedente non deve fare tutto ciò, anzi può esibire la propria insegna. In secondo luogo il concessionario deve solo pagare la merce al concedente, mentre l’affiliato deve pagare anche delle royalties e un prezzo d’entrata nella catena di distribuzione. In terzo luogo il franchisee sembra avere più spese da sostenere nel momento in cui entra fare parte della rete del franchisor, ma che sono dovute alla condivisione del know-how e del pacchetto operativo necessari per l’utilizzo dei vari strumenti dati in uso e per mantenere un certo standard di lavoro, con il quale viene riconosciuta la rete costruita dal franchisor; mentre il concessionario stabilisce da solo il
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proprio modus operandi, come promuovere e vendere i prodotti, e viene influenzato dal concedente solamente in certi ambiti, come il prezzo di vendita ad esempio. E infine un’altra differenza riguarda l’ambito di applicabilità, il franchising come si è già detto si può applicare in ogni settore in cui una certa formula commerciale sia replicabile, che si tratti di prodotti o servizi, mentre la concessione si può applicare solo in un settore che riguardi la vendita di beni, dove si possa esporre il marchio del concedente.19
Concludendo, a differenziare le due tipologie contrattuali vi è una linea sottile, entrambe rappresentano una forma di integrazione verticale dell’impresa e sono volte a costruire un rapporto di collaborazione tra le parti, con lo scopo di diffondere la miglior immagine dell’impresa che a sta a capo della rete di affiliati o di concessionari, e dall’altro lato il questi realizzano di un guadagno, sfruttando il nome del loro affiliante o concedente. Nonostante la lieve differenza, sono gli elementi del contratto a definire il tipo, e mentre il rapporto di franchising si identifica subito, in quanto deve rispettare ciò che viene richiesto dalla Legge 129, affinché sia dichiarato tale, il rapporto concessionario-concedente non deve rispondere a nessuna norma, però, nel momento in cui il rapporto si fa più stretto, vi è la condivisione del know-how, la licenza dei segni distintivi del concedente, il passo da concessione di vendita a franchising è piccolo.
19 VILLANACCI, G., a cura di., 2010. I contratti della distribuzione commerciale, Utet giuridica.
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3. CAPITOLO TERZO
IL CONTRATTO DI FRANCHISING NELLA PROSPETTIVA ANTITRUST
3.1 Obblighi di non concorrenza
Il contratto di franchising, stabilendo una collaborazione tra affiliante e affiliato e una trasmissione di diritti immateriali da parte del primo al secondo, può contenere delle clausole di non concorrenza, mirate a circoscrivere una zona o un’attività ben definita in cui il franchisee può operare senza porsi come concorrente al franchisor. Tali limiti, disciplinati dall’articolo 2596 del Codice Civile, non sono obbligatori ma per essere validi devono essere scritti e inseriti nell’accordo; hanno validità di cinque anni, se riferiti alla durata del contratto, o altrimenti non possono eccedere un anno, se riguardanti degli obblighi post-contrattuali; e infine devono rispettare le linee guida fornite dalla normativa antitrust comunitaria. Una clausola di non concorrenza, risulta essere molto importante nell’ambito dell’affiliazione commerciale, soprattutto al termine del rapporto tra le parti, in quanto è bene che venga stabilito come l’affiliato conservi i beni o i servizi non distribuiti o venduti, affinché non si compiano degli atti di concorrenza sleale. La concorrenza sleale, va contro il principio secondo cui le parti si impegnano a tenere una condotta leale, e viene vietata e sanzionata dal Codice Civile, un atto di questo tipo potrebbe verificarsi quando l’affiliato: “usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”20 (articolo 2598 del Codice Civile) e la sanzione corrispondente sarebbe l’inibizione della prosecuzione del contratto e dei suoi effetti.
In merito alla clausola di non concorrenza post-contrattuale, si precisa che questa è uno strumento molto importante, se inserito nel contratto, poiché permette al franchisor di tutelare la propria immagine, il proprio know-how e i propri diritti immateriali, concessi in licenza, quando potrebbero essere sfruttati da un franchisee, tornato in possesso delle proprie capacità imprenditoriale e libero di gestire la promozione e la vendita dei propri prodotti. Con tale clausola l’affiliante può perciò stabilire se quanto non è stato venduto debba essere restituito, debba riacquistarlo dall’affiliato o se concedere la possibilità all’affiliato di continuare ad
20 Articolo 2598 Codice Civile, libro V, titolo X.
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utilizzare per un altro anno, anno in cui è valida la clausola, i segni distintivi ed il know-how, fornitogli in precedenza, per distribuire i prodotti rimasti.
Perciò le clausole di non concorrenza sono volte a tutelare gli interessi del franchisor, affinché il franchisee non approfitti della sua posizione e dei diritti a sua disposizione per conquistare un maggior numero di clienti a discapito di chi gli ha fornito i mezzi. Tuttavia, essendo il franchising un accordo verticale, in quanto le parti stipulanti il contratto sono situate a livelli diversi della filiera produttiva, i limiti imposti dall’articolo 2596 del Codice Civile, sui patti di non concorrenza non sono applicabili in questo specifico caso; ma trattandosi di obblighi che comportano restrizioni della concorrenza e quindi libertà di iniziativa economica delle parti, tali restrizioni dovranno rispettare i divieti imposti dalla legge nazionale antitrust 287/90 e dal diritto della concorrenza comunitario.
3.1a Concorrenza sleale: caso Dolciarno Srl
Un atto di atto di concorrenza sleale, può essere compiuto sia dall’affiliato che dall’affiliante, nel caso utilizzato come esempio, sarà l’affiliante a commettere un illecito. L’impresa Dolciarno Srl stipula un contratto di franchising con la società affiliante Milano Wedding e la società Conti Confetteria, licenziante del marchio Conti a Milano Wedding. Nel contratto, le parti avevano inserito delle limitazioni che imponevano all’affiliato Dolciarno i prezzi di vendita dei prodotti Conti, il vincolo di non poter svolgere nessuna attività promozionale, che comportasse la rivendita a prezzi ridotti e un vincolo di approvvigionamento esclusivo presso Milano Wedding; l’affiliante però vendeva i medesimi prodotti anche ad una catena di supermercati che li distribuiva a prezzi notevolmente inferiori, andando così a creare dei canali di distribuzione concorrenziali e violando la clausola di esclusiva territoriale a favore dell’affiliato, secondo cui Milano Wedding non avrebbe dovuto aprire altri punti vendita o stipulare contratti di franchising nella regione Toscana per la durata del contratto. L’affiliato, di fronte all’inadempimento della clausola di esclusiva, pertanto promosse un procedimento cautelare contro Milano Wedding e Conti Confetteria, chiedendo che l’utilizzo diretto o attraverso altri canali di vendita dei prodotti a marchio Conti, nella regione Toscana fosse inibito; dall’altra parte l’affiliante difese la propria posizione, non rilevando la violazione della clausola, poiché si trattava di vendita all’ingrosso e non dell’apertura di un nuovo negozio o della stipula di altri contratti di affiliazione commerciale, rigettando la domanda. Dolciarno per tutta la durata del contratto, ha rispettato tutte le limitazioni contratte con l’affiliante, mantenendo i prezzi stabiliti, fornendosi unicamente dalla società Milano Wedding, non
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svolgendo alcuna attività di promozione o di sconto dei prodotti, per assicurare gli standards qualitativi propri dell’affiliante. Nonostante ciò, i prodotti Conti Confetteria furono venduti presso la grande distribuzione a prezzi minori, e furono anche oggetto di sconti, il tutto venne documentato da Xxxxxxxxx deciso a dimostrare l’illecito commesso. Il 28 gennaio 2014, dopo un’udienza, il giudice stabilì che, alla luce dei fatti, la condotta dell’affiliante non si può collegare ad un atto di concorrenza sleale, dal momento che la clausola di esclusiva interessa solamente la vendita al dettaglio, ma è da considerare contraria a buona fede e volta a difendere solo i propri interessi, andando a violare l’articolo 6 della legge 129 secondo cui l’affiliante deve sempre tenere nei confronti dell’affiliato, per la durata del contratto, un comportamento leale, corretto e ispirato alla buona fede. Pertanto il giudice accoglie la domanda della ricorrente, inibendo la commercializzazione dei prodotti Conti Confetteria presso la grande distribuzione nella regione Toscana e condanna le società Milano Wedding e Conti Confetteria al pagamento delle spese del procedimento. 21
Con questo caso si è dimostrato che sebbene di fatto non è stato commesso un atto di concorrenza sleale, anche violando l’obbligo di buona fede e violando pertanto un obbligo di solidarietà tra le parti, tutela per gli interessi di ciascuna delle due, si rischia di modificare la visione del vantaggio economico e competitivo che una delle parti crede di avere.
3.2 Diritto della concorrenza comunitario: Regolamento UE n. 330/2010
Gli accordi verticali possono generare sia effetti negativi, come restrizioni alla concorrenza, ad esempio limitando l’operato di un fornitore o di un compratore, sia effetti positivi, consentendo l’entrata nel mercato di un nuovo distributore; tuttavia l’importante è che tali accordi non violino l’articolo 101 paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), il quale vieta la formazione di:
“Tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
21 Tribunale di Milano, 28 gennaio 2015, procedimento cautelare, RG. 84450/2013.
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b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
Ma nello stesso articolo, paragrafo 3, viene concessa l’inapplicabilità delle disposizioni del paragrafo 1:
“- a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
- a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
- a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,
che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di:
a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;
Nondimeno la Commissione Europea, per consentire che le imprese stipulassero gli accordi in assoluta liceità, ha assunto anche il Regolamento n.330, entrato in vigore nel maggio 2010 in sostituzione al Regolamento n. 2790 del 1999, fornendo loro le linee guida per identificare i requisiti caratterizzanti gli accordi verticali esenti dal divieto imposto dall’articolo 101 del TFUE.
22 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), articolo 101, paragrafo 1 23 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), articolo 101, paragrafo 3 24
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Tale regolamento prevede l’esenzione per gli accordi verticali in cui entrambe le parti accordanti non superino una quota del 30% sul mercato, se la soglia viene superata non si è di fronte ad un accordo illegale, ma la specifica situazione verrà analizzata separatamente. Inoltre non beneficiano dell’esenzione gli accordi contenenti restrizioni che violino le condizioni espresse nell’articolo 101, ovvero quelle riguardanti: l’imposizione del prezzo di vendita; l’esclusività del territorio di vendita dei prodotti o dei servizi, ad eccezione delle imprese che stabiliscono di adottare sistema di distribuzione esclusiva e selettiva; in caso di distribuzione selettiva, la restrizione alla vendita e all’acquisto all’interno della rete di distributori autorizzati o alla vendita agli utenti finali; infine la limitazione alla vendita dei pezzi di ricambio all’acquirente che li incorpora nei propri prodotti, escludendo anche altri utenti finali.24 Per concludere, non possono godere dell’esenzione gli accordi contenenti le clausole che sono elencate nell’articolo 5 del Regolamento 330/2010, ovvero:
“a) | un obbligo di non concorrenza, diretto o indiretto, la cui durata sia indeterminata o superiore a cinque anni; |
b) | un obbligo diretto o indiretto che imponga all’acquirente, una volta giunto a scadenza l’accordo, di non produrre, acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi; |
c) | un obbligo diretto o indiretto che imponga ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di non vendere marche di particolari fornitori concorrenti.”25 |
Nello stesso articolo inoltre, paragrafo 3, viene precisato che l’obbligazione post- contrattuale, di cui al paragrafo 1, lettera b, può essere esente qualora:
“a) | tale obbligo si riferisca a beni o servizi in concorrenza con i beni o servizi contrattuali; |
b) | sia limitato ai locali e terreni da cui l’acquirente ha operato durante il periodo contrattuale; |
c) | sia indispensabile per proteggere il «know-how» trasferito dal fornitore all’acquirente; |
24Regolamento (UE) n.330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate. Esenzioni per gli accordi verticali di fornitura e distribuzione. Disponibile su < xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/xxxxx-xxxxxxx/XX/XXX/?xxxxXXXXXXX%0Xxx0000>.
25 Regolamento (UE) n.330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate. Articolo 5, paragrafo 1.
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d) | la durata di quest’obbligo di non-concorrenza sia limitata ad un periodo di un anno a |
Come si evince, il regolamento pone una maggiore attenzione alle restrizioni che si attivano successivamente al termine del contratto rispetto a quelle attive durante il contratto, in quanto sono le più frequenti ma anche le più pericolose in termini di minaccia alla libertà economica, per questo motivo la normativa comunitaria è chiara su quali restrizioni siano ammesse nei contratti e quali no, a tutela delle parti contraenti e del consumatore finale.
3.3 Diritto della concorrenza italiano: Legge n.287 del 1990
Al momento della formazione di un contratto di franchising, tutte le obbligazioni di non concorrenza contenute devono essere verificate, sia nel rispetto delle norme comunitarie nella disciplina antitrust, sia nel rispetto del diritto interno, soprattutto quando le restrizioni di concorrenza hanno effetti rilevanti solo sul mercato italiano e non compromettono il mercato intercomunitario, facendo riferimento alla Legge n. 287/90, che raccoglie tutte le norme per la tutela della concorrenza e del mercato.
La Legge 287/90, dimostra sin dall’articolo 1 comma 4: “L'interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza.”27, di seguire quanto stabilito nel diritto comunitario e perciò di essere in linea con il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea nel vietare la formazione di accordi o intese che dominino il mercato, impendendo la libera iniziativa economica; e sancisce la possibilità che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) conceda l’autorizzazione alla formazione di accordi, anche se vietati, se questi sono in grado di procurare dei benefici ai consumatori. Infatti, ad esempio, quanto disciplinato dall’articolo 101 del TFUE, è presente anche nell’articolo 2 comma 2 della Legge 287:
“Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:
26 Regolamento (UE) n.330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate. Articolo 5, paragrafo 3.
27 Legge n. 287 del 1990, articolo 1 comma 4.
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a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;
b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
Qualsiasi accordo rientrante in questa definizione, per lo stesso articolo ma comma 3 è da considerare nulla a tutti gli effetti.
In conclusione, il contratto di affiliazione commerciale, essendo un accordo verticale, per essere lecito deve possedere, oltre a tutti gli elementi richiesti dalla Legge 129/2004, anche quanto postulato dal diritto interno e comunitario in materia antitrust.
3.4 Proposta di riforma della legge sul contratto di affiliazione commerciale
Il 16 aprile 2014, a distanza di dieci dall’entrata in vigore della Legge n.129, che disciplina l’affiliazione commerciale, a Milano in occasione dell’“Open forum - 2004/2014, i dieci anni della legge sul franchising” organizzato dalla Corte Arbitrale Europea in collaborazione con Iref Italia (Federazione delle reti europee di partenariato e franchising), Associazione Nazionale Commercialisti, AZ Franchising e Bureau Veritas29, è stata presentata una proposta per la riforma della Legge n.129. Molti professionisti del settore e la senatrice Xxxxx Xxxxxxx, membro della Commissione Commercio e Industria, hanno aderito a questa iniziativa che intende proporre una revisione della legge coerentemente con l’evoluzione e la crescita del mercato e andando incontro alle esigenze di tutti gli imprenditori, grandi o piccoli, che sempre più decidono di investire nella formula del franchising. L’obbiettivo è quello di richiedere maggiore trasparenza, controllo e formazione, in quanto, nonostante nel 2004 il contratto di affiliazione commerciale sia passato da essere un contratto atipico a essere oggetto di una normativa, ci sono ancora dei problemi da affrontare, come la difficoltà per i potenziali
28 Legge n. 287 del 1990, articolo 2 comma 2.
29 WM Capital, 2014. AZ Franchising presenta una nuova proposta di legge per il franchising, 17 aprile. Disponibile su <xxx.xxxxxxxxx.xx>.
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franchisee di ottenere degli investimenti, la difficoltà nel ricercare i luoghi adatti per aprire nuovi punti vendita o il problema dei lunghi tempi burocratici per l’apertura dei negozi.
L’iniziativa si compone di dieci proposte quali:
1. Promuovere la trasparenza da parte del Governo e dei privati nel fornire informazioni e dati relativi alle attività finanziate con i fondi pubblici.
2. Pubblicazione dei bilanci sui siti istituzionali delle aziende coinvolte nel programma, specificando quanto deriva dall’attività di franchising.
3. Registrazione alla Camera di Commercio di ciascuna azienda franchisor con un codice ATECO che ne identifichi l’attività in franchising e il settore. Questo permetterebbe di conoscere lo stato di salute di ciascun marchio e l’andamento economico effettivo del franchising nel suo complesso.
4. Registrazione alla Camera di Commercio di ciascun franchisee con un codice ATECO che ne identifichi l’attività in franchising e il settore. In questo modo si potrebbe verificare il tasso di sopravvivenza delle aziende che hanno usufruito dei fondi pubblici.
5. Ridefinire i profitti dei potenziali franchisee con maggiore precisione e chiarezza, attenzione alle selezioni che devono mostrarsi in linea con i settori in via di sviluppo e interesse strategico.
6. Migliorare e potenziare la promozione dl programma attraverso una comunicazione mirata e integrata e l’apertura di sportelli informativi, coinvolgendo così gli organi e le istituzioni affini al settore (es. Associazioni di categoria, banche, Camera di Commercio).
7. Abolizione dell’erogazione di fondi e introduzione di un Fondo di Garanzia che funga da moltiplicatore della leva finanziaria per allargare la platea dei potenziali imprenditori.
8. Abbassamento delle richieste economiche dei franchisor convenzionati, in termini di fee e royalties, per gli affiliati selezionati da Invitalia a fronte di un ritorno non solo di immagine ma anche economico.
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9. Rivedere la formulazione dell’offerta eliminando il fondo perduto per sostituirlo con tassi di interesse “molto” agevolati per allargare il bacino dei potenziali destinatari meritevoli.
10. Istituzioni di un Comitato di Controllo super partes esterno che monitori le fasi dell’istruttoria e che segua gli sviluppi successivi dei soggetti finanziati.30
Sono tutte di carattere pratico ed economico, volte ad aiutare l’accesso al mondo del franchising e a far circolare più informazioni possibili sul settore e su chi ne fa parte, così da garantire ulteriormente trasparenza. Xxxxx Xxxxxxxxx, presidente nazionale di Iref Italia dichiara infatti che “Il contenuto delle proposte deve essere inteso come attività indirizzata a maggior tutela sia delle imprese titolari di reti che operano nel pieno rispetto della normativa, sostenendo alti investimenti prima di offrire l’adesione alla propria rete e che adottano anche prassi operative di maggiore trasparenza, sia dei potenziali aderenti di reti che potranno ottenere maggiori informazioni utili alla valutazione per una loro adesione”31.
Concludendo, il contratto di affiliazione commerciale viene adottato sempre da più imprenditori, allargando cosi anche il mercato del lavoro; la proposta per la riforma della Legge 129 mira a migliorare i principi che lo regolano, senza aumentare ulteriormente i vincoli e senza andare incontro alla violazione di norme a livello comunitario; per questo motivo anche la senatrice Xxxxx Xxxxxxx è favorevole all’iniziativa e ha deciso di dare il proprio contributo cercando di porre le basi affinché si instauri l’iter legislativo per l’approvazione.
30 XXXXXXX, X., 2014. Rivoluzione franchising. AZ Franchising [on line], giugno. Disponibile su < xxxx://xxx.xxxx-xxxxxx.xx/0000/00/xxxx-xxxxx-00-xxxx-xx-xxxxx-xxx-xxxxxxxxxxx-xxxxxxxxxx-xx-xxxxxxxx-xx- riforma-per-il-settore/>. Tratta dalla box n.1 “Le dieci proposte di AZ al Governo da cui è partita l’iniziativa legislativa”.
00XXXXXXX, X., 2014. Rivoluzione franchising. AZ Franchising [on line], giugno. Disponibile su < xxxx://xxx.xxxx-xxxxxx.xx/0000/00/xxxx-xxxxx-00-xxxx-xx-xxxxx-xxx-xxxxxxxxxxx-xxxxxxxxxx-xx-xxxxxxxx-xx- riforma-per-il-settore/>. Citazione di Xxxxx Xxxxxxxxx, tratta dal dossier: “La parola degli esperti”.
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CONCLUSIONE
Nel 2004 con l’approvazione della Legge n. 129, nella legislazione italiana vi è stata una svolta, in quanto si è delineata una nuova forma di contratto, anche se già affermata nella prassi commerciale, l’affiliazione commerciale. Molti sono i contratti di distribuzione disciplinati dal Codice Civile, ma ognuno ha qualcosa che lo distingue dall’altro, il contratto di franchising è costituito da elementi caratteristici altre forme contrattuali, nel suo insieme è unico. Con tale legge, da quel momento in poi tutti gli imprenditori decisi ad adottare questa formula commerciale, aprendo nuovi punti vendita dove offrire i propri prodotti o i propri servizi e affidando in autonomia la gestione di essi, sapevano di dover rispettare dei precisi obblighi per operare nella legalità. L’introduzione di una norma non viene mai vista con una accezione positiva, poiché rappresenta un nuovo vincolo da rispettare, tuttavia la reazione imprenditoriale è stata positiva, contraria alle aspettative e il numero di franchisor e franchisee è in costante aumento, i dati forniti dal Rapporto Assofranchising 2015, inseriti nella tabella n.2, nella pagina seguente, lo confermano.
Di particolare rilevanza, oltre al trend positivo che testimonia la continua espansione del franchising in Italia, è il dato relativo agli “addetti occupati nella rete” anch’esso in aumento rispetto al 2008 con un aumento del 4,9%, che dimostra come il contratto in questione non sia solo un’opportunità per gli imprenditori di ottenere un maggiore profitto, ma anche una possibilità per creare posti di lavoro. Il contratto di franchising, così regolato, consente alla parte debole, l’affiliato, di condividere con l’affiliante il rischio d’impresa, sentendo meno il peso degli investimenti, di essere tutelato da obblighi di durata minima e di informazione da parte del franchisor, e allo stesso tempo ad entrambe le parti viene richiesta una condotta ispirata alla lealtà, correttezza e buona fede, e quindi solidarietà e collaborazione, solo così potranno godere dei benefici economici derivanti da tale accordo. Non bisogna dimenticare però che tali tipi di accordi soggiacciono anche alla normativa comunitaria e quindi le restrizioni alla concorrenza contenute nel contratto devono essere rispettose di tali norme. Perciò il successo riscosso dall’entrata in vigore di questa legge, è dovuto al riconoscimento attribuito a questa forma contrattuale, diventata ormai una strategia di sviluppo e adottata da sempre più imprese, volta a conseguire dei risultati positivi e dall’altra lato dare maggiore sicurezza al consumatore che associa al marchio e alle insegne un determinato livello qualitativo e decide se darle fiducia, il presidente della Federazione Italiana Franchising, Patrizia De Xxxxx infatti dichiara che “ Si è capito che spesso il singolo da solo non ce la fa a competere e quindi è meglio affiliarsi. Il consumatore ha percepito le insegne come una garanzia di impegno, fiducia ed esperienza e
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quindi dirige sempre di più in questo senso.”32 La proposta di riforma della legge 129, promossa da AZ Franchising, si propone di aggiornarla e avvicinarla alla realtà attuale, dando più spazio agli obblighi di informazione durante la durata del contratto, poiché la Legge si sofferma particolarmente sugli obblighi precontrattuali, e fornendo maggiore trasparenza.
Per concludere la Legge 129/2004 lascia margini di autonomia contrattuale, purché le parti collaborino e siano sempre aggiornate, per permettere che il contratto risulti adatto alla distribuzione dei prodotti e dei servizi in oggetto; e dall’altra parte fornisce delle norme imperative, che le parti non posso contestare, per garantire la corretta attuazione del contratto. Perciò tale legge ha predisposto i mezzi, per consentire agli imprenditori di muoversi tra questi due estremi, al contempo nel rispetto delle norme della Comunità Europea, per poter creare il loro contratto ad hoc.
Tabella 233: Principali indicatori: volume complessivo 2008-2015
Indicatori | 2015 vs. 2008 |
Insegne operative in Italia | + 15,20% |
Giro d'affari | + 4,60% |
Punti vendita in franchising in Italia (PVF) | -2,70% |
Addetti occupati nelle reti (PVF) compreso il Franchisee | + 4,90% |
Fonte: Rapporto Assofranchsing 2015
32 XXXXXXX, X., 2014. Rivoluzione franchising. AZ Franchising [on line], giugno. Disponibile su < xxxx://xxx.xxxx-xxxxxx.xx/0000/00/xxxx-xxxxx-00-xxxx-xx-xxxxx-xxx-xxxxxxxxxxx-xxxxxxxxxx-xx-xxxxxxxx-xx- riforma-per-il-settore/>. Citazione di Xxxxxxxx Xx Xxxxx, tratta dal dossier: “La parola degli esperti”.
33 ASSOFRANCHISING, a cura di.,2016. Rapporto Assofranchising Italia 2015, strutture, tendenze e scenari. Realizzato ed elaborato da Servizio Studi Assofranchising e Osservatorio Permanente sul Franchising.
Supplemento n.1 all’ “Annuario Assofranchising- repertorio dei franchisor italiani”. Editore AG&P S.n.c. Immagine & Comunicazione. Disponibile su < xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xx/xxxxxxxxx-xxxx/xxxxxxx-x- agevolazioni/item/918-rapporto-assofranchising-italia.html>.
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BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA FONTI LEGISLATIVE ITALIANE
Legge 6 maggio 2004, n.129. Articoli 1,2,3,4,5 e 8. Articolo 1453, Codice civile, libro IV, titolo II. Articolo 1703, Codice Civile, libro IV, titolo III. Articolo 1742, Codice Civile, libro IV, titolo III.
Legge 10 ottobre 1990, n. 287. Articolo1 comma 4, articolo 2 comma 2
Tribunale di Milano, 4 agosto 2015, ordinanza di revoca provvedimento precedente del 06/08/2015, RG n. 45178/2015.
Tribunale di Milano, 28 gennaio 2015, procedimento cautelare, RG. 84450/2013.
FONTI LEGISLATIVE UE
Regolamento (UE) n.330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate. Articolo 5, paragrafo 1 e 3.
Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), articolo 101 (ex articolo 81 del TCE), paragrafo 1 e 3.
Regolamento (UE) n.330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate. Esenzioni per gli accordi verticali di fornitura e distribuzione. Disponibile su < xxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/xxxxx- content/IT/TXT/?uri=URISERV%3Acc0006>.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DI LBRI
XXXXXXXX, X., 2012. Il contratto di franchising, orientamenti giurisprudenziali prima e dopo la legge 129 del 2004. 1° ed. Milano: Xxxxxxx editore.
XXXXX, X., et. al., 2014. Diritto commerciale, Giappichelli. Volume I, Diritto dell’impresa, sezione quarta.
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IL CONTRATTO DI FRANCHISING NEL QUADRO DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: TRA AUTONOMIA E NORME IMPERATIVE
VILLANACCI, G., a cura di., 2010. I contratti della distribuzione commerciale, Utet giuridica.
XXXXXXX, X., a cura di., 2006. I contratti di distribuzione. Agenzia, mediazione, promozione finanziaria, concessione di vendita, franchising, Xxxxxxx Editore.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DI FONTI IN INTERNET
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XXXXXXXX XXXXXXXXX, 2004. Il contratto di franchising: la legge 129/2004 e diritto della concorrenza. Altalex [online],30 novembre. Disponibile su
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XXXXXXX, X., 2014. Rivoluzione franchising. AZ Franchising [on line], giugno. Disponibile su < xxxx://xxx.xxxx-xxxxxx.xx/0000/00/xxxx-xxxxx-00-xxxx-xx-xxxxx-xxx-xxxxxxxxxxx- convincono-le-proposte-di-riforma-per-il-settore/>.
WM Capital, 2014. AZ Franchising presenta una nuova proposta di legge per il franchising, 17 aprile. Disponibile su <xxx.xxxxxxxxx.xx>.
ASSOFRANCHISING, a cura di.,2016. Rapporto Assofranchising Italia 2015, strutture, tendenze e scenari. Realizzato ed elaborato da Servizio Studi Assofranchising e Osservatorio Permanente sul Franchising. Supplemento n.1 all’ “Annuario Assofranchising- repertorio dei franchisor italiani”. Editore AG&P S.n.c. Immagine & Comunicazione. Disponibile su < xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xx/xxxxxxxxx-xxxx/xxxxxxx-x-xxxxxxxxxxxx/xxxx/000-xxxxxxxx- assofranchising-italia.html>.
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