Contract
La tutela dell’eredità digitale tra successione nel contratto di cloud computing e trasmissibilità dei digital contents.
di XXXXX XXXXXXXXXX
Magistrato
(TRIBUNALE DI COMO, SEZ. II, ord. 27 luglio 2023, Rel. Azzi)
Abstract
L’autore prende spunto da un’interessante ordinanza cautelare per esaminare le principali tematiche legate alla successione digitale, da intendersi non già quale acquisto mortis causa del digital device, bensì come trasmissione dei contratti di prestazione di servizi digitali e subentro nella titolarità dei contenuti conservati in cloud.
The author gets inspiration from an interesting precautionary measure to examine the principal topics connected to the digital succession, intended not as a mortis causa acquisition of the digital device, but as a transmission of the contracts of digital services and a takeover in all the contents stored in cloud.
Sommario: 1. Il caso; 2. Il problema della successione digitale…; 3. …e il suo oggetto; 4. La successione nel contratto di fornitura di servizi digitali: il caso della convenzione di intrasmissibilità e la questione della sua validità; 5. La devoluzione mortis causa dei diritti sui contenuti digitali: la tutela del diritto d’autore; 6. I diritti degli eredi sui dati personali del defunto; 7. Conclusioni.
1. Il caso
L’ordinanza di seguito annotata costituisce l’occasione per approfondire una delle più rilevanti implicazioni del processo di digitalizzazione dell’economia e, più in generale, della società, ovvero la sorte che subiscono i dati conservati in rete, una volta che il loro titolare abbia cessato di vivere.
La tematica dell’eredità digitale rappresenta, infatti, solo uno dei molteplici aspetti in cui il diritto civile classico è costretto a mutare sembianze per adattarsi alle esigenze di una società sempre più complessa e nella quale la ricchezza non è più (necessariamente) materiale, bensì immateriale, poiché fondata sul possesso di dati [cfr. MARINO, Mercato digitale e sistema delle successioni mortis causa, Esi, 2022, 9 ss.; più in generale, sui
delicati rapporti tra i diritti della persona e la rete, RODOTÀ, Tecnologia e diritti, Mulino, 1995, passim].
Il riferimento corre, inevitabilmente, a tutti quei provider che svolgono attività di raccolta e di conservazione dei dati personali: dai motori di ricerca ai social network, fino ad arrivare alle piattaforme di e-commerce e ai servizi di streaming, che traggono profitto, direttamente o indirettamente, dall’attività di profilazione degli utenti [Cfr. M. XXXXXX, Xx filter xxxxxx e il problema dell’identità digitale, in Medialaws, 2019, 2, 39 ss.].
Eppure, la pronuncia in esame costituisce un brillante esempio di come le classiche categorie del diritto civile consentano, all’esito dell’immancabile sforzo interpretativo del giurista, di far fronte anche a queste nuove problematiche.
Questo, in estrema sintesi, il caso.
Xxxxx, deceduto di recente, era proprietario di uno smartphone prodotto da uno dei colossi della new economy che, come noto, non è accessibile a terzi, sia perché protetto da un meccanismo di riconoscimento facciale, sia per via delle credenziali poste a tutela dell’account. Venuto a mancare Xxxxx, la moglie (ed unica erede) ricorreva dunque al Tribunale di Como domandando, in via cautelare e d’urgenza, di condannare il suddetto produttore a prestarle la dovuta assistenza sia per il recupero delle credenziali di accesso, sia per lo “sblocco” del dispositivo elettronico.
Ai fini del periculum, rappresentava in particolare la ricorrente che la prolungata inaccessibilità dei dati conservati sul telefono e in rete le avrebbe impedito un’esatta ricostruzione della massa ereditaria, ad esempio consultando il saldo dei finanziamenti stipulati dal de cuius, oltre a ledere in modo irreparabile i suoi interessi affettivi e familiari. Nel caso di specie, nelle condizioni generali del contratto di prestazione del servizio,
vi era peraltro un’espressa convenzione di intrasmissibilità, che limitava alla durata della vita dell’utente tutti i diritti relativi all’account, autorizzando così il provider alla sua chiusura e all’eliminazione dei dati archiviati in rete, dopo il decesso del titolare.
Nell’ordinanza qui annotata, il Tribunale accoglie il ricorso, precisando tuttavia – riteniamo, a ragione – che l’oggetto dell’invocata forma di tutela non debba essere tanto il dispositivo elettronico (i.e. il telefono), quanto piuttosto il credito nascente dal contratto di cloud computing e il diritto sui dati personali conservati in rete, siccome oggetto del distinto diritto d’autore; nel farlo, ritiene peraltro il Tribunale la nullità non già del patto di intrasmissibilità, che non integra neppure una clausola vessatoria ex artt. 33 e 35 d.lgs.
n. 206/2005 (limitandosi a prevedere il termine di durata del servizio), quanto piuttosto della previsione negoziale che autorizza il gestore, in violazione della disciplina vigente, alla definitiva eliminazione dei contenuti digitali, sottraendoli agli eredi dell’utente.
Ciò che traspare dall’ordinanza è, dunque, un’espressa opzione in favore del generale principio di trasmissibilità iure hereditatis dei dati conservati in rete.
2. Il problema della successione digitale…
Esordisce l’ordinanza cautelare col rilevare che, per successione a causa di morte, deve intendersi la complessiva vicenda traslativa dei diritti della persona a seguito del suo decesso, che ne estingue la capacità giuridica.
Come correttamente osservato dal Tribunale di Como, principi cardine in materia di successione sono dunque l’universalità e la patrimonialità [Cfr., in questo senso, DE NOVA, Il principio della successione e la destinazione dei beni della produzione, in Riv. dir. agr., 1979, 1, 509; XXXXXXX, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Cicu, Messineo, Xxxxxxx (a cura di), Tratt. Dir. civ. comm., Xxxxxxx, 4a ed., 1999, 244 ss.; XXXXXXXX, Disposizioni generali sulla successione. Artt. 456-461 c.c., in Xxxxxxxxxxx (a cura di), Comm. cod. civ., Xxxxxxx, 2006, 8 ss.].
Sotto il primo aspetto, si insegna infatti che si trasferisce agli eredi l’intero complesso dei rapporti attivi (comprensivo non solo delle proprietà, ma anche di crediti e contratti) e passivi, facenti capo al de cuius. La seconda caratteristica delimita invece l’oggetto della devoluzione ereditaria, che ricomprende i soli diritti e gli obblighi di natura patrimoniale, con la conseguente estinzione di quelli di carattere personale.
Rileva, dunque, correttamente il Tribunale che tutti i problemi connessi all’eredità digitale derivano dal dover conciliare l’impostazione classica del diritto delle successioni, imperniata sul trasferimento di diritti materiali e visibili, con l’idea che possano devolversi agli eredi anche cespiti immateriali e digitali (le c.d. nuove proprietà).
Tale approdo è, tuttavia, un naturale corollario dello stesso principio di universalità su cui si fonda l’istituto successorio, tanto ciò vero che la devoluzione ereditaria dei diritti immateriali, come quello d’autore, è da tempo accettata in dottrina e riconosciuta finanche dal legislatore; ma neppure contrasta, tale impostazione, col principio di patrimonialità, se è vero che, nella materia digitale, la contrapposizione tra diritti patrimoniali e personali ha ormai perduto di senso. In argomento, si è infatti evidenziato che gran parte dei rapporti digitali, come quelli che ruotano attorno ai social network, possiedono rilevanza non solo sul piano dei diritti della persona, costituendo uno strumento di realizzazione della personalità umana nel reticolo delle relazioni sociali, ma hanno anche un loro peso sul piano economico, rappresentando una vera e propria fonte di reddito [cfr. MARINO, Mercato digitale e sistema delle successioni mortis causa, cit., 66].
L’ordinanza allude al caso dei c.d. influencer, che sfruttano nome e reputazione per sponsorizzare brand e prodotti, ma la verità è che il fenomeno è ben più esteso e permea quasi ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Basti pensare a tutti quei profili social, che svolgono attività di divulgazione scientifica, animalista o ambientalista e che, così facendo, promuovono sì valori di interesse super-individuale, ma al tempo stesso svolgono attività d’impresa.
Stando così le cose, appare dunque inevitabile domandarsi quale sia la sorte di tutti i contenuti che, ogni giorno, ciascuno di noi riversa in rete, il che presuppone tuttavia la previa delimitazione di quale sia l’oggetto della successione digitale.
3. … e il suo oggetto.
Il primo interrogativo da porsi attiene, certamente, alla delimitazione dell’oggetto dell’eredità digitale e la risposta che si ricava dall’ordinanza appare del tutto soddisfacente: essa non si riferisce al dispositivo elettronico in sé, smartphone o personal computer che sia, quanto piuttosto ai dati riferibili al de cuius.
Sulla scorta di tale rilievo, il Tribunale respinge dunque la richiesta di condanna ad effettuare lo “sblocco” del telefono, pure avanzata dalla ricorrente in via principale.
Osserva infatti che, sicuramente, lo stesso rientra nella massa ereditaria quale bene mobile di proprietà del de cuius; esso lo è tuttavia diventato, in forza di un contratto di compravendita (o di altro titolo di acquisto), che ha inevitabilmente esaurito i suoi effetti nel momento stesso dell’acquisto, trattandosi pacificamente di un contratto ad esecuzione
c.d. istantanea.
Né potrebbe ritenersi che, dal semplice contratto di compravendita, possano discendere delle obbligazioni ulteriori a carico del venditore, destinate a prolungarsi fino al decesso dell’acquirente, come quella di prestare la propria collaborazione nell’entrare in possesso del bene ereditato. Il paragone prospettato dal Tribunale appare calzante: sarebbe come pretendere ciò, che chi avesse venduto un portagioie al proprio xxxxx causa fosse condannato ad aprirlo forzando la serratura. Evidenzia, d’altra parte, l’ordinanza che ottenere il semplice accesso al telefono potrebbe andare a detrimento degli stessi interessi della parte ricorrente, giacché il produttore dello smartphone non è in grado di accedere al dispositivo, senza provvedere al tempo stesso al ripristino dei dati di fabbrica, cioè alla cancellazione di tutti i dati archiviati sullo stesso.
Il terreno su cui va impostato il dibattito non è, dunque, quello della proprietà o del possesso, dovendosi piuttosto fare ricorso ad altre categorie giuridiche: a) agli istituti in materia di obbligazioni e contratto; b) alla disciplina del diritto d’autore; c) alle norme a tutela dei dati personali.
4. La successione mortis causa nel contratto di fornitura di servizi digitali: il caso della convenzione di intrasmissibilità e la questione della sua validità.
Muovendo da tale impostazione, occorre innanzitutto domandarsi se possa configurarsi un fenomeno di successione a causa di morte nei contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi digitali, tali essendo tutti quei contratti con i quali un soggetto
professionista (c.d. provider) assuma l’impegno di mettere a disposizione dell’utente una piattaforma per la raccolta e per la condivisione di dati informatici.
Il riferimento va, evidentemente, ad una pluralità di rapporti tra loro eterogenei, quali il servizio di social networking o, come nel caso in esame, al contratto di cloud computing, ovvero all’accordo con il quale l’utente acquista il diritto di “depositare” e di archiviare on line, con un’operazione di upload, contenuti digitali di vario genere, che il professionista si impegna a custodire sui propri server, mettendoli a disposizione dell’altra parte [Cfr. XXXXXXX, Xxxxx “nuvola” al negozio: il contratto di cloud computing, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 4, 970 ss.; NOTO LA DIEGA, Il cloud computing. Alla ricerca del diritto perduto nel web 3.0, in Eur. Dir. priv., 2014, 2, 577 ss.].
Sul punto, un’accorta dottrina ha correttamente messo in luce che la risposta al problema dipende, in buona sostanza, dalla natura fiduciaria del rapporto, a seconda cioè che lo stesso sia caratterizzato o meno dall’intuitus personae [Cfr. MARINO, Mercato digitale e sistema delle successioni mortis causa, cit., 143 ss.].
Infatti, in mancanza di una regola generale, si afferma solitamente che le posizioni contrattuali si trasmettono automaticamente dal defunto al suo erede, salvi i casi in cui la legge attribuisca espressamente carattere fiduciario al rapporto [Cfr. XXXXXXXX, Rapporto contrattuale e successione a causa di morte, Xxxxxxx, 1990, passim; XXXXXXXXX, Contratto e successioni, in Roppo (a cura di), Tratt. del contratto, Xxxxxxx, 2006, 405 ss.]. In alcune ipotesi, come nel caso del contratto di mandato (art. 1722, n. 4 c.c.) o di quello di appalto, quando la persona dell’appaltatore sia stata motivo determinante del contratto (art. 1674 c.c.), si esclude infatti espressamente la continuazione del rapporto dopo la morte di una delle parti; in altri, come nel caso della locazione (art. 1614 c.c.), dell’affitto (art. 1627 c.c.), del comodato (art. 1811 c.c.) o del conto corrente (art. 1833 c.c.), è invece attribuito agli eredi o alla parte superstite il diritto di recedere dal negozio.
In questa direzione, osserva il Tribunale che, mentre alcuni contratti di prestazione di servizi digitale, come quelli conclusi col gestore di un social network, presentano un carattere strettamente personale (giacché l’identità dell’utente rileva sul piano della causa concreta e conforma l’oggetto del contratto), altri risultano agevolmente trasmissibili agli eredi. È questo il caso del contratto di cloud computing, giacché la prestazione del servizio di archiviazione e custodia dei file non dipende affatto alla persona dell’utente ed appare anzi del tutto neutra rispetto alle sue caratteristiche individuali [in questo senso, MARINO, Mercato digitale e sistema delle successioni mortis causa, cit., 170].
Ciò non esclude, tuttavia, che la devoluzione successoria possa essere esclusa pattiziamente, attraverso una clausola negoziale che valga a rendere strettamente personale un rapporto, astrattamente trasmissibile iure hereditatis. È questo il caso delle
c.d. convenzioni di intrasmissibilità [su cui x. XXXXXXXX, op. cit., 81 ss.], che il Tribunale ritiene perfettamente valide e compatibili con i contratti di prestazione di servizi digitali,
anche sotto il profilo della disciplina consumeristica, giacché non fanno altro che delimitare, da un punto di vista temporale, l’oggetto del contratto.
Gli effetti di una simile clausola non operano, tuttavia, necessariamente sui contenuti archiviati in rete, dovendosi invero distinguere tra il regime della successione a causa di morte nel rapporto contrattuale, comportante la prosecuzione del servizio oltre la vita del de cuius, e la sorte dei dati generati dall’utente e archiviati in rete; si è infatti correttamente evidenziato in dottrina che l’interesse che muove gli eredi e, più in generale, i familiari dell’utente consiste nell’ottenere l’accesso ai contenuti riferibili al de cuius, più che nel proseguire le sue attività in rete [Cfr. MARINO, op. cit., 171].
Il tema si sposta, dunque, dal piano della successione nel contratto al problema della successione nei dati personali del de cuius, quale oggetto di un autonomo bene della vita, suscettibile di devolversi agli eredi.
5. La devoluzione mortis causa dei diritti sui contenuti digitali: la tutela del diritto d’autore.
Impostato in questi termini il dibattito, osserva correttamente il Tribunale che, a trasmettersi agli eredi, non è il solo rapporto contrattuale intercorso col provider ma gli stessi contenuti digitali riversati on-line dal de cuius (fotografie, video, documenti, messaggi di posta elettronica, etc.), se e in quanto questi ultimi costituiscano l’oggetto di un autonomo diritto soggettivo.
È questo il caso di tutti quei dati che rientrano nella disciplina del diritto d’autore, siccome idonei a soddisfare i requisiti di creatività e di originalità, ai sensi degli artt. 1 e 2 legge n. 633/1941, riconducibili al concetto di fotografia ex artt. 87 ss. legge cit., oppure contenenti “corrispondenze epistolari”, ai sensi e per gli effetti degli artt. 93 ss. [sul tema,
v. DE SANCTIS, Il carattere creativo delle opere dell’ingegno, Xxxxxxx, 1971, passim; AMMENDOLA, voce Diritto d’autore: diritto materiale, in Dig. disc. priv. - Sez. comm., IV, Utet, 1989, 372 ss.; XXXXXX, Il contenuto del diritto d’autore, in Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Xxxxxxxxxxxx, 2020, 686 ss.]; l’opera dell’ingegno integra, infatti, in sé considerata, un autonomo bene della vita, suscettibile di rilevanza tanto sul piano personale (quale diritto alla paternità e all’integrità dell’opera ex art. 20), quanto in un’ottica patrimoniale (quale diritto di sfruttamento economico).
Secondo l’impostazione tradizionale, a devolversi in successione, sarebbero soltanto i diritti di sfruttamento economico dell’opera, sempre che non siano stati ceduti a terzi, a titolo oneroso o gratuito, durante la vita del de cuius. Una recente dottrina [Cfr. MARINO, Mercato digitale e sistema delle successioni mortis causa, cit., 184 ss.], cui la pronuncia in esame mostra di aderire integralmente, ha tuttavia osservato che i contenuti ditali, specie quelli condivisi sui moderni social media, coniugano inevitabilmente in sé tanto la dimensione personalistica, quanto quella patrimoniale: un post pubblicato in rete
costituisce, al tempo stesso, un’espressione della personalità morale del suo autore e un’opera creativa suscettibile di sfruttamento economico.
Da qui, l’idea, ripresa nell’ordinanza cautelare, che, a devolversi in successione, siano tutti i diritti aventi ad oggetto i digital contents, nelle loro indissociabili implicazioni personali e patrimoniali, dalla quale discende, quale corollario, la nullità non già della convenzione d’intrasmissibilità del contratto di fornitura di servizi digitali, bensì della sola previsione che autorizza il prestatore del servizio alla chiusura dell’account e ad eliminare i contenuti. Una simile clausola finisce, infatti, col configurare un’indebita interferenza, operata dalla disciplina del contratto, nella vicenda di trasmissione, dalla sfera giuridica del de cuius a quella dei suoi successori, delle situazioni giuridiche relative ai contenuti digitali nel loro complesso. Fondamento della nullità dovrebbe, dunque, essere il divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c., trattandosi sostanzialmente di un accordo con cui il disponente esclude taluni diritti da una successione non ancora aperta [cfr. CASS., sez. II, 21 novembre 2017, n. 27624, in Dejure ove si legge che “configurano un patto successorio sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera e propria istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un "vinculum iuris" di cui la disposizione ereditaria rappresenti l'adempimento”].
Tanto basta al Tribunale per accogliere il ricorso, ordinando alla resistente di mettere a disposizione dell’erede tutti i contenuti archiviati nell’account.
6. I diritti degli eredi sui dati personali del defunto.
Non si spinge il Tribunale, nell’ordinanza in esame, ad affermare espressamente un generale principio di trasmissibilità, iure successionis, di tutti i dati archiviati in rete dal defunto. Eppure, riteniamo che tale sia la naturale conseguenza del ragionamento svolto: venuta meno la facoltà, prevista nel contratto, di disfarsi dei contenuti conservati nei server, il provider è tenuto a rimettere agli eredi l’integrità dei file.
Alcuni potrebbero, peraltro, non essere soggetti alla disciplina in materia di diritto d’autore, mancando, ad esempio, dei necessari caratteri della creatività e dell’originalità.
Così facendo, il Tribunale ha dunque riconosciuto, in capo all’erede, il generalizzato diritto di accedere ai dati informatici del proprio xxxxx causa.
Ciò posto, riteniamo che il fondamento di tale diritto non possa che essere tratto, in mancanza di una disciplina omogenea al livello sovranazionale, proprio dall’art. 2- terdecies d.lgs. n. 196/2003, citato dalla stessa ordinanza cautelare [cfr., in questo senso, Trib. Milano, 9 febbraio 2021; Trib. Bologna, 25 novembre 2021; Trib. Roma, 9 febbraio 2022; più in generale sul tema, v. RESTA, L’accesso post mortem ai dati personali: il caso Apple, in Nuova giur. civ. comm., 2021, 3, 678 ss.]. Il Regolamento UE 2016/679 (GDPR),
al Considerando 27, esclude infatti di poter essere applicato ai dati personali delle persone decedute, lasciando quindi gli Stati membri liberi di introdurre norme in materia.
Si è dunque osservato, in dottrina, che alcuni ordinamenti nazionali hanno optato per l’esclusione di forme di tutela postuma dei dati personali, una volta che il titolare sia venuto a mancare; altri invece, come l’Italia, hanno previsto un apparato rimediale che si prolunga oltre la vita dello stesso [Cfr. RESTA, La successione nei rapporti digitali e la tutela post-mortale dei dati personali, in Contr. impr., 2019, 1, 85 ss.].
In questo solco, si colloca l’art. 2-terdecies d.lgs. n. 196/2003, nel disporre che “i diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione” (comma 1). Fanno eccezione alla regola i casi in cui l’esercizio di tali diritti sia limitato direttamente dalla legge o dallo stesso interessato (comma 2), con dichiarazione scritta che deve risultare in modo non equivoco e dev’essere specifica, libera ed informata (comma 3), ferma in ogni caso la possibilità di revocarla o modificarla (comma 4).
La norma si chiude, infine, con la precisazione che “in ogni caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi” (comma 5).
Essa è stata variamente interpretata, in dottrina, come in giurisprudenza, e ci pare che l’impostazione maggioritaria, sconfessata dall’ordinanza in esame, sia quella che vede nella norma non già la fonte di una vicenda successoria, bensì di una pretesa esercitabile iure proprio e facente capo, direttamente, ai prossimi congiunti [cfr. M. XXXXXX, Memoria ed oblio: due reali antagonisti?, in Riv. dir. media, 2019, 3, 23 ss.].
Una simile impostazione, che pure trova conforto nel dato letterale della norma, non appare pienamente in grado di spiegare come possa l’esercizio di un determinato diritto sopravvivere al suo titolare [così, nel riferirsi ad una forma di legittimazione c.d. straordinaria, DELLE MONACHE, Successione mortis causa e patrimonio digitale, Xxxxxxx, 2008, 465; ID., Successione mortis causa e patrimonio digitale, in Nuova giur. civ., 2020, 2, 460 ss.]; né si concilia con la previsione che autorizza il titolare del trattamento a vietare l’esercizio di tali diritti da parte dei congiunti. Ad essa, si affianca dunque una diversa ricostruzione che vede, nella norma, la fonte di un acquisto a titolo derivativo, ovvero di una fattispecie successoria, caratterizzata, sul piano soggettivo, dal subentro di un nuovo dominus nella titolarità del diritto e, su quello oggettivo, dalla derivazione dello stesso dalla sfera giuridica del de cuius per causa di morte [cfr. MARINO, Mercato digitale e sistema delle successioni mortis causa, cit., 219; in senso sostanzialmente conforme, v. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 389 ss.].
Se tale impostazione ha dunque il pregio di collocare l’istituto, da un punto di vista sistematico, nel diritto delle successioni, aprendo definitivamente al subentro dell’erede
nei diritti sui dati informatici del defunto, essa sconta tuttavia il limite di una scarsa aderenza al dato testuale della norma, in particolare, laddove allude al fatto che “i diritti (…) concernenti i dati delle persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione” (comma 1).
Ci sembra, tuttavia, che l’incipit della disposizione possa agevolmente spiegarsi con un’estensione dei diritti sui dati del defunto a soggetti diversi dai suoi eredi [così anche MARINO, op. cit., 221 s.], che agiscano per un interesse proprio, dipendente da quello dell’interessato, in veste di mandatario dell’erede, o infine per ragioni familiari meritevoli di tutela. È quest’ultimo il caso del familiare non chiamato all’eredità oppure del chiamato stesso, che, per una qualsiasi ragione, non voglia o non possa accettare l’eredità: pur non acquisendo la generalità dei diritti del defunto, anche costoro potrebbero infatti risultare portatori di interessi, di carattere personale o morale, su specifici dati informatici.
Si pensi al nipote che xxxxxx di entrare in possesso dell’unica fotografia che ritrae il nonno ancora in vita, o al figlio, pretermesso dall’eredità paterna o decaduto dal diritto di accettarla, che intenda ottenere la corrispondenza intrattenuta dai suoi genitori.
Diversa è, invece, la posizione di chi subentri nella titolarità di tutti i dati informatici del defunto, quale chiamato alla sua eredità, eventualmente per testamento; questi potrà, infatti, far valere i propri diritti sulla generalità dei dati informatici del de cuius, sempre questi non ne abbia in qualche modo circoscritto l’acquisto, ai sensi dei commi 2 e 3. Una simile limitazione andrà, tuttavia, opposta dal prestatore del servizio e dovrà risultare in modo inequivoco da un atto scritto, oltre a dover essere libera, informata e, soprattutto, specifica, cioè riferita a dati informatici determinati, dovendosi ritenere del tutto inadatta allo scopo la mera clausola di stile che autorizzi la loro distruzione.
Una previsione del genere, pur valida ai sensi del comma 2, mancherebbe, infatti, di rispettare il canone della specificità imposto dal comma 3.
Tale accordo, inoltre, non potrà mai andare a discapito dei diritti patrimoniali derivati agli eredi dalla morte dell’interessato, oltre che del loro diritto di difesa (comma 5), con ciò dovendosi intendere tutti quei casi in cui, dall’ostensione dati del de cuius, dipenda la protezione di interessi diversi e ulteriori da quello al puro e semplice accesso ai contenuti digitali.
In tutti questi casi e ai soli fini della tutela dei dati personali, l’erede sarà dunque da considerare un soggetto “terzo” rispetto alla posizione del de cuius, con ciò giustificandosi la necessità di operare il bilanciamento d’interessi, cui allude la stessa ordinanza in esame, con quelli degli eventuali controinteressati. In tutti gli altri casi, cioè quando si realizzi una successione nei dati personali del de cuius, l’esigenza di tutelare l’altrui riservatezza dovrà invece essere specificamente opposta, in forma di eccezione, dal titolare del trattamento, quale soggetto incaricato ex art. 6 Reg. UE 2016/679 di assicurarne la liceità.
7. Conclusioni
Le considerazioni che precedono rispondono solo ad alcuni dei molteplici interrogativi sollevati dall’ordinanza in commento; pronuncia, che ha il merito di tentare un inquadramento sistematico dell’istituto, nelle categorie del diritto civile classico, senza tuttavia perdere di vista la fondamentale esigenza di fornire una risposta di giustizia alle nuove sfide della modernità. Da questo punto di vista, il vero impatto della pronuncia è quello di riconoscere, ai dati informatici dell’individuo, un valore che esula dalla pura e semplice sfera dei diritti della personalità, configurandoli come parte integrante del suo patrimonio immateriale, suscettibile di cadere in successione.
A tale conclusione, si giunge peraltro non dilatando il concetto di patrimonialità o negando in radice uno dei presupposti della successione mortis causa, bensì prendendo atto di un’indiscussa realtà nell’attuale contesto economico-sociale, cioè che i contenuti e i dati digitali dell’individuo sono una fonte di ricchezza tanto per chi li realizza, quanto per i soggetti che si occupano del loro trattamento.
Negare loro ingresso al patrimonio ereditario vorrebbe dire, quindi, sconfessare una delle caratteristiche dell’economia contemporanea, che si fonda, tra le altre cose, proprio sulla circolazione dei dati conservati in rete.
Bibliografia essenziale
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