Nel contratto d’opera tra un Ente ed un professionista e’ sempre necessario, oltre la delibera, anche il documento sottoscritto dalle parti CASSAZIONE CIVILE, Sezione II, Sentenza n. 14570 del 30/07/2004
Nel contratto d’opera tra un Ente ed un professionista e’ sempre necessario, oltre la delibera, anche il documento sottoscritto dalle parti CASSAZIONE CIVILE, Sezione II, Sentenza n. 14570 del 30/07/2004
CONTRATTO D’OPERA - Ai fini d'una valida conclusione del contratto la deliberazione dell’ente che conferisce l’incarico al professionista deve successivamente tradursi nel distinto ed autonomo documento sottoscritto dal rappresentante esterno dell'Ente e dal professionista. (Cassazione Civile, sezione II, sentenza n. 14570 del 30/07/2004).
Con la seguente sentenza la Corte ha evidenziato un orientamento gia’ consolidatosi in passato in base al quale si stabilisce che, nel caso del contratto d'opera professionale, quando ne sia parte una pubblica amministrazione e pur ove questa agisca iure privatorum, richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del RD 18 nov. 1923 n. 2240, come per ogni altro contratto stipulato dalla pubblica amministrazione stessa, la forma scritta ad substantiam, che e’ strumento di garanzia del regolare svolgimento dell'attivita’ amministrativa nell'interesse sia del cittadino. Tutto cio’ e’ dal punto di vista giuridico espressione dei principi d'imparzialita’ e buon andamento della pubblica amministrazione contenuti nell'art. 97 della Costituzione. Pertanto, il contratto deve tradursi, a pena di nullita’, nella redazione d'un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell'organo attributario del potere di rappresentare l'Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere (ex plurimus, da ultimo Cass. 21.11.03 n. 17695, 21.5.03 n. 7962, 6.12.01 n. 15486, 5.11.01 n.
13628, 13.12.00 n. 15720, 13.6.00 n. 8023, 8.3.00 n. 2619, 15.6.99 n. 5922, 18.12.98 n. 12712, 23.7.98 n.
7245). Ricollegandosi poi ad altri orientamenti afferma che, ai fini d'una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l'esistenza d'una deliberazione con la quale l'organo collegiale dell'Ente abbia conferito un incarico ad un professionista, ne abbia autorizzato il conferimento, se tale deliberazione non risulti essersi successivamente tradotta nel necessario distinto ed autonomo documento sottoscritto dal rappresentante esterno dell'Ente e dal professionista; detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti di quest'ultimo, ma atto con efficacia interna all'Ente che, almeno ai fini che ne occupano, ha solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimerne la volonta’ all'esterno (e plurimus, Cass. 21.11.03 n. 17695, 21.5.03 n. 7962, 8.3.00 n. 2619, 2.11.98 n. 10956,
23.7.98 n. 7245, 14.2.97 n. 649, 12.5.95 n. 5179, 27.6.94 n. 6182, 27.5.87 n. 4742). Pertanto sulla base di tali
orientamenti conclude col dire che, quand'anche una deliberazione, con la quale l'organo collegiale d'un Ente abbia manifestato la volonta’ d'affidare un incarico ad un determinato professionista, venga a quest'ultimo indirizzata in guisa di proposta ed il destinatario la restituisca sottoscritta e/o accompagnata da altro atto per accettazione, oppure, avuta altrimenti notizia della deliberazione, il professionista direttamente proceda all'esecuzione dell'opera nella stessa prevista, tratterebbesi in ogni caso di procedimento del tutto inidoneo alla formazione d'un valido rapporto contrattuale. Cio’ in quanto non solo la volonta’ dell'Ente non risulta validamente manifestata, non provenendo dall'organo attributario del relativo potere, ed e’ considerazione di per se stessa preliminare ed assorbente per quanto gia’ sopra rilevato, ma anche il procedimento di formazione dell'accordo non risulta idoneo, giacche’ l'incontro del comune consenso non e’ stato formalizzato nei modi prescritti dalle richiamate disposizioni.
CASSAZIONE CIVILE, Sezione II, Sentenza n. 14570 del 30/07/2004 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Xxxx. XXXXXXX Xxxxx - Presidente
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxxxxx - Xxxxxxxxxxx Xxxx. XXXXXX Xxxxx - Consigliere
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxx - rel. Consigliere
Xxxx. XXXXXXXXX DI XXXXX Xxxxx - Xxxxxxxxxxx ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
sentenza
XXXXXXXX XXXX XXXXX, elettivamente domiciliato in ROMA XXXXXX DEI MELLINI 39, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXX X'XXXXXXXXXXXX, che lo difende unitamente all'avvocato XXXXXX XXXXXX, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
COMUNI CAMBIAGO, in persona Sindaco pro tempore XXXXX XXXXXXXXX delibera 1/8/01, elettivamente domiciliato in XXXX XXX XXXXXX 0, difeso dall'avvocato XXXXX XXXXXXXXX, giusta delega in atti;
- controricorrente - e contro
XXXXXXXXXXX XXXX;
- intimata -
e sul 2^ ricorso n. 23255/01 proposto da:
XXXXXXXXXXX XXXX, elettivamente domiciliata in XXXX XXX XX XXXXXXXXXX 00, xxxxxx xx studio dell'avvocato XXXXXXXX XXXXX XXXXX, difesa dall'avvocato XXXXXXXX XXXXX, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
COMUNE CAMBIAGO, in persona del Sindaco XXXXX XXXXXXXXX elettivamente domiciliato in XXXX XXX XXXXX XXXXXX 0, difeso dall'avvocato XXXXX XXXXXXXXX, giusta slega in atti;
- controricorrente al ricorso incidentale - e contro
XXXXXXXX XXXX XXXXX;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1385/00 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 30/05/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/04 dal Consigliere Xxxx. Xxxxxxxx XXXXXXX;
udito l'Avvocato D'XXXXXXXXXXXX Xxxxxx, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento ricorso principale, rigetto ricorso incidentale;
udito l'Avvocato XXXXXXXXX Xxxxx difensore del Comune CAMBIAGO, che ha chiesto il rigetto di entrambi i corsi;
udito l'Avvocato DI XXXXX Xxxxxxxx con delega dall'Avvocato XXXXX Xxxxxxxx, difensore della sig.ra MAMGIACALLI, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale ed accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. XXXXXXX Xxxxx che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
Svolgimento del processo
Con deliberazione in data 8.4.91, la Giunta del Comune di Cambiago affidava all'avv. Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx la consulenza legale per gli atti inerenti alla realizzazione del secondo e terzo lotto dell'area d'accoglienza per la ricreazione fisica e culturale di proprieta’ del Comune medesimo, secondo le condizioni contenute nell'allegato disciplinare, predisposto dal legale, con una previsione di spesa di L. 6.000.000, oltre ad IVA e CPA; come da detto allegato, l'incarico aveva ad oggetto la redazione di pareri scritti su quattro specifici quesiti in ordine alla sospensione dei lavori da parte dell'impresa appaltatrice, che aveva lamentato la mancanza di precisi progetti esecutivi da parte del progettista e direttore dei lavori arch.
Xxxxxxx; con successiva deliberazione del 24.2.92, la stessa Giunta deliberava ancora in favore del legale un
ulteriore stanziamento di L. 4.000.000.
Il 27.10.92 l'Avv. Cimolino inviava al Comune di Cambiago parcella di L. 34.627.400 e accessori, al netto dell'acconto di L. 6.000.000, per attivita’ stragiudiziale svolta tra il settembre 1990 e l'ottobre 1992.
La parcella era contestata dal Comune, che sosteneva d'aver corrisposto per intero i compensi spettanti al legale per le prestazioni autorizzate.
Su ricorso del Cimolino, il presidente del tribunale di Milano, con decreto notificato il 30.6.94, ingiungeva al Comune di Cambiago di pagare all'istante, in forza della predetta parcella come liquidata dal competente ordine professionale, la somma di L. 42.639.854.
L'ingiunto proponeva tempestiva opposizione avverso il decreto e ne chiedeva la revoca, sostenendo che nessun compenso fosse dovuto all'avv. Cimolino per attivita’ anteriori all'incarico affidatogli ed eccedenti i limiti dello stesso; che unica obbligata per il compenso relativo a tali attivita’ doveva esser considerata, ai sensi dell'art. 23/4^ della L. 24.4.89 n. 144, l'arch. Xxxx Xxxxxxxxxxx, all'epoca dei fatti sindaco d'esso Comune; che l'incarico aveva avuto ad oggetto pareri scritti, l'ultimo consegnato il 16.5.1991, per i quali il legale aveva chiesto un compenso - L. 10.340.000 - ben maggiore di quello - L. 6.000.000 onnicomprensive - previsto nel disciplinare; che nell'importo ingiunto non s'era tenuto conto del pagamento di L. 4.000.000.
Il Cimolino resisteva all'opposizione, anche chiedendo ed ottenendo la provvisoria esecutorieta’ del decreto opposto.
Nel frattempo, con atto notificato addi’ 8.6.94, il Comune di Cambiago aveva convenuto il Cimolino innanzi al tribunale di Milano chiedendo l'accertamento negativo di sue obbligazioni nei confronti dello stesso in relazione | alla parcella del 23.10.1992.
Il Xxxxxxxx s'era costituito chiedendo la condanna dell'attore al pagamento della parcella, in via subordinata ex art. 2041 CC. Le due cause venivano, quindi, riunite per connessione.
Con atto 3.4.96, il Comune di Cambiago chiamava in causa Xxxx Xxxxxxxxxxx con azione di rivalsa per quanto fosse stato condannato a corrispondere al Cimolino in relazione alle pretese da questi azionate.
La Mangiagalli, costituitasi, chiedeva il rigetto dell'azione contro di lei proposta dal Comune di Cambiago eccependo che tutte le prestazioni esposte dal Cimolino successive all'8.4.91 erano riconducibili al disciplinare approvato dalla Giunta comunale in tale data; che dette prestazioni, come desumibile dalla parcella presentata dal legale, erano state consentite non soltanto da lei, ma dall'insieme dei funzionari ed amministratori comunali; che unico beneficiario dell'attivita’ del Cimolino era I stato lo stesso Comune di Cambiago.
Il Cimolino estendeva, quindi, le sue richieste nei confronti della Xxxxxxxxxxx e proponeva contro il Comune azione di surroga ex artt. 2041 e 2900 CC per il caso d'insolvenza della terza chiamata.
Con sentenza 1.1.0.98, il Tribunale di Milano - sulla considerazione che la deliberazione della Giunta del Comune di Cambiago in data 8.4.91, ai sensi dell'art. 23 c. 3 del D.L. 2.3.89 n. 66, aveva impegnato il Comune nei confronti dell'avv. Cimolino unicamente in relazione alle attivita’ previstevi ed al compenso - L. 6.000.000
- determinatovi; che, in ogni caso, detto importo era congruo in relazione alle prestazioni stragiudiziali svolte dal legale in esecuzione di detta deliberazione; che non v'era prova del conferimento d'incarichi professionali al di fuori di quelli deliberati dalla Giunta comunale dalla Mangiagalli al Cimolino - respingeva le domande del Cimolino contro il Comune di Cambiago e la Mangiagalli, accoglieva la domanda d'accertamento negativo del Comune di Cambiago e revocava il decreto ingiuntivo.
Avverso tale decisione il Xxxxxxxx proponeva gravame insistendo nelle conclusioni e nelle difese di primo grado e censurando l'impugnata sentenza perche’: contrariamente a quanto ritenutovi, la deliberazione della giunta comunale in data 8.4.91 aveva recepito l'attivita’ di consulenza da lui svolta in precedenza e la sua attivita’ successiva costituiva nient'altro che lo sviluppo dell'incarico conferitogli con la deliberazione medesima, come desumibile dal fondo spese di L. 4.000.000 in seguito concessogli;
tutte le prestazioni esposte nella parcella inviata il 27.10.92 gli erano state richieste dal sindaco Xxxxxxxxxxx o da altri amministratori o funzionar del Comune di Cambiago, punto sul quale aveva dedotto prove orali ingiustificatamente non ammesse; ne’ il Comune di Cambiago ne’ la Mangiagalli avevano mai contestato l'entita’ dei compensi da lui richiesti, sicche’ la valutazione effettuata al riguardo era affetta da extrapetizione; non ara stata esaminata la sua azione di arricchimento senza causa contro il Comune; la Corte Costituzionale, con
sentenza 24.10.97 n. 466, aveva riconosciuto al funzionario tenuto a pagare il compenso per un'opera eseguita nell'interesse d'un ente pubblico locale, l'azione d'arricchimento senza causa contro l'ente stesso e al privato esecutore dell'opera il diritto di sostituirsi al funzionario nell'esercizio dell'azione medesima.
Resistevano la Mangiagalli ed il Comune di Cambiago, quest'ultimo anche riproponendo, in xxx xxxxxxxxxxx, x'xxxxxx xx xxxxxxxx xxxxxx la Mangiagalli e censurando la pronunzia sulle spese.
Dei contrapposti gravami decideva la corte d'Appello di Milano con sentenza 30.5.00, parzialmente accogliendo il principale in relazione alla sola questione della responsabilita’ diretta dell'amministratore, peraltro anche questa limitatamente, e, di conseguenza, condannava la Mangiagalli al pagamento della minor somma di L. 4.733.000 in favore del Cimolino.
Cio’ sulla considerazione che le attivita’ svolte dal Cimolino in adempimento ad incarichi legittimamente conferiti, in conformita’ alle disposizioni normative di cui all'art. 23/3^ del DL 2.3.89 n. 66, fossero esclusivamente quelle demandategli con le deliberazioni di Giunta 3.4.91 e 24.2.92; che tali Incarichi attenessero soltanto, rispettivamente, ai quattro pareri scritti su specifici quesiti redatti tra l'8.4.91 ed il
16.5.91 ed alla consulenza per la "pratica Xxxxxxx"; che, quanto al primo, il gia’ ricevuto compenso di L. 6.000.000, contrattualmente stabilito per il rinvio recettizio dalla deliberazione al disciplinare con espresso riferimento all'art. 1, lettera b), della tariffa approvata con DM 24.11.90 all'epoca vigente, dovesse considerarsi conforme alla tariffa stessa e congruo in quanto pressocche’ coincidente con il massimo previsto; che, quanto al secondo, il compenso di L. 4.000.000, del pari gia’ ricevuto, fosse addirittura superiore alle voci parcellate relativamente alla pratica; che, in relazione a tutte le altre prestazioni non riconducibili agli incarichi legittimamente conferiti, dovesse trovare applicazione il quarto comma del richiamato art. 23 del DL 23.3.89 n. 66, onde il rapporto obbligatorio andava ravvisato non tra il Cimolino ed il Comune bensi’ tra il primo e gli amministratori o funzionari dai quali era stata richiesta la prestazione; che l'azione d'arricchimento ex art. 2041 CC promossa dal Cimolino nei confronti del Comune fosse improponibile per difetto del requisito della sussidiarieta’; che l'azione diretta del Cimolino nei confronti della Mangiagalli meritasse accoglimento nei limiti della fornita prova delle prestazioni dalla stessa effettivamente commissionate ed individuate in parcella per un ammontare di L. 4.733.000; che non potesse accogliersi l'azione d'arricchimento della Mangiagalli nei confronti del Comune, stante il difetto di prova del riconoscimento espresso od implicito dell'utilitas della prestazione da parte di quest'ultimo, e, di conseguenza, non potesse accogliersi neppure l'azione surrogatoria del Cimolino in tale pretesa della Mangiabili.
Tale decisione del secondo giudice veniva impugnata per Cassazione dal Cimolino con ricorso affidato a cinque motivi.
Resisteva il Comune di Cambiago con controricorso.
Resisteva, altresi’, con controricorso Xxxx Xxxxxxxxxxx contestualmente proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato a due motivi.
Al quale ricorso incidentale il Comune di Cambiago replicava con altro controricorso. Il Cimolino ed il Comune di Cambiago depositavano, in seguito, anche memorie.
Motivi della decisione
I due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza e tra loro connessi, vanno riuniti ex art. 335 CPC, ma trattati separatamente in ragione della diversita’ delle questioni propostevi.
1. RICORSO INCIDENTALE. Con il primo motivo, il ricorrente - denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2126, 2237, 2233/1^-2^ CC, 23 e 24 L. 144/89 e succ. mod., 24 L. 794/42 - si duole che la corte territoriale abbia ritenuto congrui i convenuti compensi di L. 6.000.000 e L. 4.000.000 senza rilevare la nullita’ della pattuizione per violazione dei minimi tariffari inderogabili.
Con il secondo motivo, il ricorrente - denunziando violazione degli artt. 115 e 116 CPC in relazione all'art. 2697 CC, 23 e 24 L. 144/89 e succ. mod., del dovere di giudicare iuxta alligata et probata - si duole che la corte territoriale sia pervenuta all'adottata decisione stravolgendo il senso letterale dei documenti acquisiti all'incarto processuale e fornendo una verita’ non riscontrabile nel contenuto degli stessi, cio’, in particolare, relativamente all'estensione dell'oggetto dell'incarico di cui alla delibera 8.4.91, erroneamente ritenuto
limitato alla redazione di quattro pareri e non anche alle problematiche antecedenti e posteriori alla delibera stessa, per la soluzione delle quali egli aveva svolto attivita’ ampiamente documentata e non presa in considerazione.
Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo, il ricorrente - denunziando insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia - si duole che la corte territoriale non abbia fornito adeguate ragioni: della condanna diretta dell'ex sindaco limitata alla somma di L. 4.733.000 in luogo della maggior Dirama di L. 15.681.600 imputabile alle sue determinazioni e desumibile dalla parcella; della reiezione dell'azione surrogatoria nei diritti ex art. 2041 CC dell'ex sindaco verso il Comune; della ritenuta congruita’ delle somme di 6.000.000 e 4.000.000 in relazione agli incarichi svolti pur in presenza di liquidazione da parte del Consiglio dell'Ordine ed in difetto di specifica contestazione da parte del Comune; della mancata ammissione dei mezzi istruttori;
della ritenuta limitazione dell'oggetto degli incarichi conferiti con le delibere 139/91 e 107/92; della ritenuta natura autonoma e limitata dell'incarico conferito con la delibera 107/92.
Al riguardo devesi, preliminarmente ed a valere per l'intera trattazione, evidenziare come alle eventuali carenze del ricorso, alle quali si faccia in seguito riferimento trattando partitamente dei singoli motivi, non possano supplire ne’ rimediare, in quanto non possono essere prese in considerazione indipendentemente dalla loro pertinenza e/o fondatezza o meno, le argomentazioni aggiuntive, nella quali puo’ ravvisarsi maggiore approfondimento degli argomenti se pure comunque inidonee a superarne i vizi d'impostazione, sviluppate in fatto ed in diritto dal ricorrente con la memoria difensiva ex art. 378 CPC, questa potendo essere utilizzata esclusivamente per illustrare e chiarire i motivi gia’ compiutamente svolti con il ricorso od a confutare le tesi avversarie, una non per dedurre nuove censure, o sollevare nuove questioni - salvo siano rilevabili anche d'ufficio ed in tal caso, comunque, solo ove gli elementi di giudizio gia’ risultino dagli atti - ne’, soprattutto, per specificare od integrare od ampliare il contenuto dei motivi originari (l'impugnazione i quali non fossero stati adeguatamente prospettati o sviluppati nel ricorso (e pluribus, recentemente, Cass. 7.7.03 n. 10683, 11.6.03 n. 9387, 15.3.02 n. 861, 6.12.00 n. 15505, 22.11.00 n. 15112, 16.12.99 n. 14167, 2.9.97 n. 8373, SS.UU.
19.5.97 n. 4445).
Xxx’ premesso, devesi rilevare come nessuno dei surriportati motivi, laddove per intero (1^, 2^, 4^, 5^) od in parte (3^ lett. "c" e "d") relativi al dedotto rapporto negoziale tra ricorrente e Comune, meriti accoglimento, non solo in quanto di per se stessi inidonei a giustificare l'annullamento dell'impugnata sentenza, del che in seguito, ma soprattutto in quanto non lo merita l'originaria domanda per una ragione pregiudiziale ed assorbente rispetto a quelle, pur idonee, poste a fondamento della sentenza medesima, id est che, nella specie, non sussiste valido rapporto contrattuale tra il Cimolino ed il Comune non solo, come ritenuto dal giudice a quo, per le attivita’ non specificamente riconducibili a quelle oggetto delle due deliberazioni in discussione, ma neppure per queste ultime.
Come e’ desumibile dalle prospettazioni delle parti negli atti introduttivi della presente fase e dalla sentenza impugnata, il Comune aveva conferito incarichi al professionista mediante deliberazioni di Giunta 8.4.91 e 24.2.92, ne’ nelle dette prospettazioni e sentenza risulta riferimento alcuno ad altre manifestazioni di volonta’, successive alle dette deliberazioni e di esse attuative, con le quali fosse stato stipulato uno specifico contratto d'opera professionale; devesi avere, dunque, per accertato in sede di merito, da un lato, che quale unico preteso fatto costitutivo del rapporto fossero state dedotte e fossero da prendere in considerazione esclusivamente le deliberazioni suddette, e, dall'altro, che, obiettivamente, non fosse intervenuta tra le parti alcuna distinta formale convenzione contenente gli elementi essenziali del contratto e dalle parti stesse ritualmente sottoscritta; ne consegue che, nella specie, nessun contratto d'opera professionale poteva e puo’ ritenersi validamente stipulato e che, pertanto, nessuna pretesa creditoria fondata su titolo contrattuale poteva e puo’ essere utilmente azionata dal Cimolino nei confronti del Comune il Cambiago.
Per il contratto d'opera professionale, quando ne sia parte una pubblica amministrazione e pur ove questa agisca iure privatorum, e’, infatti, richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del RD 18 nov. 1923 n. 2240, come per ogni altro contratto stipulato dalla pubblica amministrazione stessa, la forma scritta ad substantiam, che e’ strumento di garanzia del regolare svolgimento dell'attivita’ amministrativa
nell'interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettivita’, agevolando l'espletamento della funzione di controllo, ed e’, quindi, espressione dei principi d'imparzialita’ e buon andamento della pubblica amministrazione osti dall'art. 97 della Costituzione;
pertanto, il contratto deve tradursi, a pena di nullita’, nella redazione d'un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell'organo attributario del potere di rappresentare l'Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere (e pluribus, da ultimo Cass. 21.11.03 n. 17695, 21.5.03 n. 7962, 6.12.01 n. 15486, 5.11.01 n. 13628, 13.12.00 n.
15720, 13.6.00 n. 8023, 8.3.00 n. 2619, 15.6.99 n. 5922, 18.12.98 n. 12712, 23.7.98 n. 7245).
Di conseguenza, ai fini d'una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l'esistenza d'una deliberazione con la quale l'organo collegiale dell'Ente abbia conferito un incarico ad un professionista, ne abbia autorizzato il conferimento, ove tale deliberazione non risulti essersi successivamente tradotta nel necessario distinto ed autonomo documento sottoscritto dal rappresentante esterno dell'Ente e dal professionista in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti di quest'ultimo, ma atto con efficacia interna all'Ente che, almeno ai fini che ne occupano, ha solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimerne la volonta’ all'esterno (e pluribus, Cass. 21.11.03 n. 17695, 21.5.03 n. 7962, 8.3.00 n. 2619, 2.11.98 n. 10956, 23.7.98 n. 7245, 14.2.97 n.
649, 12.5.95 n. 5179, 27.6.94 n. 6182, 27.5.87 n. 4742).
Quand'anche, dunque, una deliberazione, con la quale l'organo collegiale d'un Ente abbia manifestato la volonta’ d'affidare un incarico ad un determinato professionista, venga a quest'ultimo indirizzata in guisa di proposta ed il destinatario la restituisca sottoscritta e/o accompagnata da altro atto per accettazione, oppure, avuta altrimenti notizia della deliberazione, il professionista direttamente proceda all'esecuzione dell'opera nella stessa prevista, tratterebbesi in ogni caso di procedimento del tutto inidoneo alla formazione d'un valido rapporto contrattuale.
Cio’ in quanto non solo la volonta’ dell'Ente non risulta validamente manifestata, non provenendo dall'organo attributario del relativo potere, ed e’ considerazione di per se stessa preliminare ed assorbente per quanto gia’ sopra rilevato, ma anche 11 procedimento di formazione dell'accordo non risulta idoneo, giacche’ l'incontro del comune consenso non e’ stato formalizzato nei modi prescritti dalle richiamate disposizioni.
Se pure, infatti, la legge sulla contabilita’ generale dello Stato, alla quale fa espresso richiamo la disciplina dei contratti degli Enti locali, consente, ferma restando la forma scritta, la conclusione a distanza del contratto a mezzo corrispondenza, tuttavia tale modalita’ di costituzione puo’ essere utilizzata per i soli rapporti con le imprese commerciali - i quali, per intuibili esigenze di praticita’, possono anche essere definiti nel loro contenuto con riferimento agli "usi del commercio" per quanto concerne sia il prezzo sia le modalita’ d'esecuzione - ma non anche per la costituzione di rapporti complessi, quali quelli aventi ad oggetto il conferimento d'un incarico professionale, la cui costituzione non puo’ aver luogo se non mediante la formazione del suindicato imprescindibile documento, contenente tutti gli elementi essenziali del contratto e dal quale soltanto e non aliunde la sua sussistenza e lo stesso suo contenuto possono essere desunti (Cass. 13.6.00 n. 8023, 15.6.99 n. 5922, 14.3.98 n. 2772, 27.6.94 n. 6182); a maggior ragione non e’, dunque, ipotizzabile la valida formazione del rapporto ove gli elementi costitutivi se ne vogliano desumere per facta concludentia dall'esecuzione dell'incarico da parte del professionista o dalla ricezione ed utilizzazione dell'opera da parte dell'Ente (Cass. 11.9.99 n. 9682, 26.8.97 n. 7997, 12.5.95 n. 5179, 28.11.91 n. 12769), ipotesi quest'ultima che puo’ dar luogo, ove ne ricorrano le condizioni, a legittime pretese, ma a titolo diverso dal contrattuale, id est ex art. 2041 CC, peraltro non dedotto con l'originaria domanda introduttiva del presente giudizio nel rapporto Cimolini-Comune.
Cio’ posto, devesi considerare che la nullita’ del contratto per difetto d'una valida manifestazione di volonta’ da parte dell'uno dei contraenti e, nella specie, altresi’ per mancanza della forma espressamente richiesta ex lege, puo’ e deve essere rilevata d'ufficio anche in sede di legittimita’.
La nullita’, come l'inesistenza, d'un contratto vanno, infatti, rilevate d'ufficio, anche per la prima volta in sede di gravame, ex art. 1421 CC, salva, peraltro, la necessita’ di coordinarne il disposto con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 CPC, dacche’ solo se siano in contestazione l'applicazione o l'esecuzione
d'un contratto la cui validita’ rappresenti un elemento costitutivo della pretesa il giudice e’ tenuto a rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall'attivita’ assertiva delle parti, l'eventuale nullita’ del contratto stesso in quanto ostativa all'accoglimento della domanda per difetto d'una delle sue condizioni, mentre, se la contestazione attiene direttamente all'illegittimita’ dell'atto, una ragione di nullita’ diversa da quella posta a base della domanda introduttiva, come non puo’ esser dedotta per la prima volta in sede di gravame, trattandosi di domanda nuova e di versa rispetto a quella ab origine proposta dalla parte, cosi’ neppure puo’ essere rilevata d'ufficio (Cass. 18.7.02 n. 10440, 5.11.01 n. 13628, 18.5.99 n. 4817, 18.2.99
n. 1378, 10.10.97 n. 9877, 22.4.95 n. 4607, 7.4.95 n. 4064, 9.2.94 n. 1340, 9.1.93 n. 141).
Nella seconda delle considerate ipotesi, l'inammissibilita’ della deduzione in sede di gravame, come anche la non rilevabilita’ d'ufficio, d'una causa di nullita’ del contratto diversa da quella posta a base dell'originaria domanda trovano fondamento nella considerazione che la sanzione della nullita’ e’ comminata in relazione ad una pluralita’ di vizi tassativamente determinati, onde l'azione di nullita’ ha una sua precisa causa petendi, che ne delimita l'ambito agli effetti delle preclusioni processuali, eppertanto l'iniziale proposizione d'una domanda intesa ad ottenere la declaratoria di nullita’ del contratto in relazione ad uno dei detti vizi, come impedisce alla parte di far valere in sede di gravame una diversa causa di nullita’ in quanto, introducendo un tema di dibattito del tutto nuovo e diverso rispetto a quello precedentemente svolto, si tradurrebbe in una mutatio libelli non consentita, xxxx’ anche impedisce al giudice di porre a base della decisione ragioni di nullita’ diverse da quella originaria in quanto, diversamente operando, il giudice stesso travalicherebbe il potere dispositivo delle parti in violazione dell'obbligo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato posto dall'art. 112 CPC. A diversa soluzione devesi, peraltro, pervenire ove la questione della nullita’ del contratto sia stata introdotta nel giudizio non in via d'azione bensi’ in via di eccezione ed il giudice ritenga di rilevare d'ufficio aspetti di patologia del contratto stesso non rilevati dalla parte pur interessata a farne dichiarare l'improduttivita’ d'effetti.
Se, infatti, il potere-dovere del giudice di decidere sulla domanda s'estende necessariamente all'accertamento della sussistenza e della validita’ del contratto dedotto dall'attore, queste costituendo condizioni dell'accoglibilita’ della domanda stessa in quanto intesa ad ottenere dalla controparte l'adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto, la deduzione da parte del convenuto di cause di nullita’ del contratto non puo’ costituire, od essere considerata, domanda giudiziale, non ponendosi in rapporto genetico con il potere- dovere decisionale del giudice d'accertare che non difettino le condizioni suddette, potere gia’ esistente ex lege anche indipendentemente dall'attivita’ assertiva della parte controinteressata e persino nella contumacia di questa.
La questione di nullita’ del contratto, comunque sollevata dal convenuto, non integra, infatti, gli estremi ne’ d'una domanda rioconvenzionale (in quanto il convenuto non chiede un provvedimento giudiziale a se’ favorevole che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti dall'attore con la domanda introduttiva), ne’ d'un'eccizione rioconvenzionale (in quanto il convenuto non oppone al diritto fatto valere dall'attore un proprio controdiritto idoneo a paralizzarlo), ne’, in fine, d'un eccezione in senso stretto o sostanziale (in quanto non ne e’ prevista dalla legge la deduzione ad esclusiva iniziativa della parte, anzi, ne e’ prevista la rilevabilita’ officio iudicis), bensi’ si prospetta solo quale mera difesa (in quanto il convenuto si limita ad allegare l'invalidita’ e, quindi, l'insussistenza d'uno degli elementi constitutivi della pretesa fatta valere dall'attore, id est una determinata circostanza di fatto ostativa all'accoglimento della domanda) che, dunque, non condiziona il preesistente potere-dovere del giudice di rilevare ex officio una nullita’ ravvisabile in aspetti di patologia negoziale. (cfr. Cass. 18.7.02 n. 10440, 5.11.01 n. 13628, 14.3.98 n. 2772, 3.2.98 n.
1099, 2.4.97 n. 2858 in mot., 22.10.1984, n. 5341).
Unico limite alla rilevabilita’ d'ufficio delle nullita’ ex art. 1421 CC in sede di Cassazione e’ ovviamente, per la struttura stessa del giudizio di legittimita’ che non consente nuove indagini od accertamenti in fatto, la preesistenza agli atti della necessaria documentazione delle circostanze ostative a che il contratto possa esser considerato validamente costituito (Cass. 23.10.98 n. 10530, 16.10.98 n. 10265, 19.3.96 n. 2294, 16.1.96
n. 303, 22.2.95 n. 1981) ma tale limite non ricorre nella specie, il difetto di consenso e di forma risultando ex actis dalla narrativa della sentenza impugnata e dello stesso ricorso.
E' appena il caso di rilevare come con la conclusione alla quale questa Corte e’ pervenuta per le ragioni sopra
esposte non possa considerarsi in contrasto il precedente di Cass. 12.11.98 n. 11406, precedente solo in apparenza difforme, giacche’, nonostante la massima, dalla motivazione sembra potersi agevolmente desumere che quel Collegio abbia considerato la questione di nullita’ originariamente sollevata in tale giudizio dal Comune quale domanda introduttiva e non quale eccezione, id est nel segno della prima delle ipotesi in questa sede prese in considerazione, come risulta anche dal rilievo che in detta sentenza non e’ stato affatto affrontato e neppure adombrato il problema dei diversi effetti della prospettazione della nullita’ come eccezione piuttosto che come domanda.
In definitiva, escluso, per le sopra svolte considerazioni, che nella specie sia venuto a giuridica esistenza un qualsivoglia contratto relativamente alle prestazioni da rendersi dal Cimolino in favore del Comune, se ne deve concludere che nessuna pretesa poteva legittimamente azionare il primo nei confronti del secondo a titolo contrattuale, onde l'originaria domanda non poteva, comunque, essere accolta.
In tali termini integrata la motivazione dell'impugnata sentenza, questa, il cui dispositivo e’ conforme a diritto, non e’ soggetta a Cassazione sul punto, rimanendo assorbite tutte le censure, per violazione di norme sostanziali e processuali e per vizi di motivazione, che hanno quale presupposto, erroneo per quanto in precedenza ritenuto ed argomentato, la costituzione d'un valido rapporto contrattuale tra il Cimolini ed il Comune, id est, come gia’ indicato, i motivi 1^, 2^, 3^ lettere "c" e "d", 4^ e 5^.
Ne’ sarebbe stata, comunque, suscettibile di cassazione in ragione dei motivi di ricorso, come - per sola completezza di motivazione atteso il carattere assorbente di quanto in precedenza esposto - brevemente si va ad evidenziare.
Poiche’, in vero, con l'impugnata sentenza si e’ ritenuto che l'incarico avesse avuto ad oggetto solo quattro pareri scritti ed una consulenza, in ordine ad argomenti specifici e limitati, sulla base dell'interpretazione delle deliberazioni 8.4.91 e 24.2.92, avrebbe dovuto il ricorrente prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, con specifiche censure d'erroneita’ di tale interpretazione in puntuale riferimento ai criteri legali d'ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dedotto e dimostrato l'errore nel quale fosse eventualmente incorso il giudice del merito al riguardo, avrebbe potuto procedere ad un'utile prospettazione delle ulteriori questioni d'erronea on inesatta applicazione delle norme sostanziali e processuali assuntivamente violate, xxxxxx’ la disamina di tali questioni presuppone l'intervenuto accertamento dell'eventuale errore sull'interpretazione della volonta’ negoziale e non puo’, pertanto, aver luogo ove manchi tale previo accertamento del possibili vizio che infici sul punto ab origine l'impugnata pronunzia, costituendo tale interpretazione il necessario presupposto logico-giuridico delle conclusioni alle quale il giudice del merito e’ pervenuto poi sulla base di essa.
E' ben vero che il ricorrente, le cui integrazioni della censura sul punto formulate con la memoria sono inammissibili per quanto evidenziato ab initio, ha in qualche modo prospettato con il ricorso una sua personale interpretazione delle deliberazioni de quibus e degli atti prodotti difforme da quella alla quale e’ pervenuto il giudice del merito - il che tra l'altro conferma la validita’ dell'originaria considerazione per la quale i denunziati vizi della sentenza non sarebbero suscettibili di delibazione se non previa attribuzione d'un diverso significato alla volonta’ negoziale (che, giova ribadire, non sussiste in quanto non idoneamente manifestata) assuntivamente espressa dal Comune - tuttavia, quand'anche siffatta irrituale forma di denunzia dell'errore interpretativo, non consentita per mancata specifica deduzione del vizio e della norma violata, fosse stata suscettibile d'esser presa in considerazione, essa sarebbe, comunque, da considerare inidoneamente formulata ed inammissibile.
L'opera dell'interprete, in vero, mirando a determinare una realta’ storica ed obiettiva, qual e’ la volonta’ della o delle parti espressa nel negozio, e’ tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell'ambito dell'applicazione di tali criteri; pertanto, onde far valere una violazione sotto l'uno o l'altro od entrambi i cennati profili, il ricorrente per Cassazione non solo, come gia’ visto, deve fare riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto altresi’ a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati; ond'e’ che, ai fini dell'ammissibilita’ del motivo di ricorso sotto tali profili
prospettato, non puo’ essere considerata idonea - anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente, come gia’ sopra rilevato - la semplice critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non e’ consentito in sede di legittimita’.
In definitiva, resterebbe, in ogni caso, ferma - in quanto non specificamente impugnata e, comunque, pur ammessa ma non concessa l'impugnazione implicita, inidoneamente impugnata - l'interpretazione degli atti resa dalla corte territoriale.
Quanto, in fine, alle residuali censure di cui alle lettere "a" e "b" del terzo motivo, neppur esse meritano accoglimento.
Con la prima, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia riconosciuto in sole L. 4.733.000 il suo diritto d'azione diretta nei confronti dell'ex sindaco con motivazione contraddittoria per avere, prima, affermato il riconoscimento ad opera della controparte di tutte le voci della parcella e, poi, anziche’ imputare alla stessa tutte le pertinenti voci per un complessivo ammontare di L. 15.861.600, gliene abbia imputate solo alcune senza loro specifica indicazione ed omettendone altre.
La doglianza incorre in vizio analogo a quello che imputa alla sentenza impugnata, in quanto non indica puntualmente quali singole voci della parcella e quali corrispondenti singoli importi fossero da addebitare direttamente al sindaco ed, in relazione a ciascuno, per quali precise ragioni, onde difetta della specificita’ richiesta, a pena d'inammissibilita’ del motivo, dall'art. 366 n. 4 CPC, non mettendo questa Corte in condizione di valutare la pertinenza e la decisivita’, ai fini d'una soluzione del punto controverso difforme da quella adottata dal giudice a quo, degli elementi di giudizio assuntivamente non valutati od erroneamente valutati dal detto giudice.
Con la seconda, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia respinto senza adeguata motivazione la sua domanda di surroga nell'azione ex art. 2041 del sindaco nei confronti del Comune.
La doglianza sembra trarre origine da un'inesatta lettura della sentenza impugnata, dal momento che xxx e’ ben evidenziato e dimostrato come, nella specie non potendosi ravvisare - in difetto di prova d'un riconoscimento esplicito od implicito dell'utilitas da parte del Comune ed, anzi, essendosi da quest'ultimo costantemente negata la circostanza senza idonea contestazione di controparte - un diritto un diritto del sindaco all'indennizzo per arricchimento senza causa nei confronti del Comune, neppure si potesse ravvisare il correlativo diritto di surroga vantato dal professionista.
Tale essendo la ratio decidendi dell'impugnata sentenza sul punto, non puo’ fondatamente asserirsi dal ricorrente un vizio di motivazione, ne’ in generale, poiche’ la giustificazione del decisimi e’ stata puntualmente e correttamente fornita, ne’ nello specifico, dacche’ il rilevato difetto di prova in ordine all'insussistenza d'un riconoscimento dell'utilitas non ha formato oggetto di puntuali ed argomentate contestazioni.
Al riguardo non possono essere prese in considerazione le ulteriori argomentazioni svolte in memoria, dovendosi ancora richiamare quanto gia’ ab initio evidenziato 1 in ordine all'inammissibilita’ di ampliamenti ed integrazioni, con la memoria ex art. 378 CPC, delle ragioni di censura originariamente prospettate con i motivi di ricorso.
2 - RICORSO INCIDENTALE. Con il primo motivo, la ricorrente - denunziando violazione dell'art. 23/4^ del DL 66/89 convertito in L 144/89 e vizi di motivazione - si duole che la corte territoriale abbia erroneamente escluso il carattere unitario dell'incarico conferito al Cimolino con le due deliberazioni 139/91 e 107/92 e l'estensione dell'oggetto di esso a tutte le attivita’ espletate dal legale in favore del Comune e connesse alla realizzazione del 2 e 3 lotto dell'area d'accoglienza anche anteriormente e posteriormente all'adozione delle deliberazioni stesse e, quindi, applicato la richiamata norma in difetto del necessario presupposto della carenza d'un legittimo provvedimento autorizzativo; abbia omesso di considerare come il Cimolino non avesse segnalato l'insufficienza dello stanziamento deliberato per le sue prestazioni; abbia ritenuto la sua responsabilita’ in ordine ad alcune attivita’ poste in essere dal Cimolino pur non risultando provato ch'ella le avesse commissionate.
Il motivo non merita accoglimento.
Xxxxxxx, per la prima e la seconda ragione di censura, attinenti al preteso rapporto contrattuale, le medesime
considerazioni gia’ svolte trattando del ricorso principale.
Anzi tutto, nessuna delle attivita’ svolte dal Cimolino in favore del Comune, ne’ quelle oggetto delle deliberazioni qual che ne fosse stata l'estensione, ne’ quelle anteriori o successive alle deliberazioni stesse, aveva trovato supporto in un rapporto contrattuale validamente costituito a seguito di specifica manifestazione della volonta’ dell'Ente in atto scritto firmato dal soggetto attributario del potere d'esternarla e dal professionista, onde correttamente si e’ ritenuto dal giudice a quo che ricorressero, se pur solo per parte delle dette attivita’, i presupposti della responsabilita’ diretta dell'amministratore e tale considerazione e’ assorbente.
In secondo luogo - ma solo per completezza - la ricorrente avrebbe dovuto dedurre l'eventuale errore del giudice a quo in ordine all'interpretazione della pretesa volonta’ contrattuale sotto il profilo della violazione degli artt. 1362 ss. CC e con gli argomenti all'uopo idonei e necessari.
Quanto alla terza ragione di censura, devesi rilevare come il giudice a quo abbia giustificato l'adottata decisione sulla considerazione che la Xxxxxxxxxxx aveva sempre riconosciuto l'effettiva esecuzione da parte del Cimolino delle prestazioni indicate in parcella e non ne aveva, di contro, mai contestato le causali, onde ha imputato alla Mangiagalli quelle prestazioni che, sulla base di quella parcella, risultavano riferibili ad iniziativa dalla stessa assunta.
Trattasi di valutazione rientrante nell'esclusiva competenza del giudice del merito non sindacabile in sede di legittimita’ se non per vizi di motivazione, vizi che, nella specie, risultano solo genericamente e, quindi, inidoneamente allegati.
Va, infatti, tenuto presente come il motivo di ricorso per Cassazione con il quale alla sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione ex art. 360 in, 5 CPC debba essere inteso a far valere, a pena d'inammissibilita’ ex art. 366 n. 4 CPC in difetto di loro specifica indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicita’ nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilita’ razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, e non possa, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non possa proporsi un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame; diversamente, il motivo di ricorso per Cassazione si risolverebbe - com'e’, appunto, per quello in esame - in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita’ del giudizio di legittimita’.
Devesi, infatti, tener presente come, allorche’ sia denunziato, con il ricorso per Cassazione ex art. 360 n. 5 CPC, un vizio di motivazione della sentenza impugnata, della quale si deducano l'incongruita’ e/o l'insufficienza delle argomentazioni svoltevi in ordine alle prove, per asserita omessa od erronea valutazione delle risultanze processuali, sia necessario, al fine di consentire al giudice di legittimita’ il controllo sulla decisivita’ degli elementi di giudizio assuntivamente non valutati od erroneamente valutati, che il ricorrente indichi puntualmente ciascuna delle risultanze istruttorie alle quali fa riferimento e ne specifichi il contenuto mediante loro sintetica ma esauriente esposizione ed, all'occorrenza, integrale trascrizione nel ricorso, non essendo idonei all'uopo il semplice richiamo ai documenti prodotti od alle deposizioni assunte nella fase di merito e la prospettazione degli elementi probatori dagli stessi desumibili quali intesi soggettivamente dalla parte in contrapposizione alle valutazioni effettuate dal giudice di quella fase con la sentenza impugnata in ordine al complesso delle acquisizioni probatorie e/o a quelle di esse ritenute rilevanti ai fini dell'adottata decisione e, tanto meno, inammissibili richiami per relationem agli atti della precedente fase del giudizio.
Nella specie, il motivo, gia’ non inteso a censurare la ratio decidendi ma a prospettare una diversa interpretazione degli accertamenti in fatto, estranea alle valutazioni rimesse al giudice della legittimita’ e per cio’ solo inammissibile, neppure risulta adeguatamente specifico in ordine alle risultanze istruttorie delle quali denunzia l'erronea od insufficiente valutazione, e tale inottemperanza al principio d'autosufficienza del ricorso per cassazione ne e’ ulteriore motivo d'inammissibilita’.
Con il secondo motivo, la ricorrente - denunziando violazione per falsa applicazione dell'art. 23/4^ DL 66/89 conv. L 144/89 e dell'art. 2041 CC nonche’ vizi di motivazione - si duole che la corte territoriale abbia respinto l'azione surrogatoria del Cimolino contro il Comune pur il secondo non avendo mai contestato la rispondenza dell'attivita’ del primo all'attivita’ istituzionale dell'Amministrazione ed all'utilita’ della stessa ne’ la sua effettiva utilizzazione, circostanze idonee di per se stesse ad integrare il riconoscimento dell'utilita’. Il motivo non merita accoglimento. Il riconoscimento dell'utilita’ dell'opera o della prestazione eseguite dal terzo, che costituisce requisito per l'accoglimento dell'azione d'ingiustificato arricchimento nei confronti della Pubblica Amministrazione, sostituendo il requisito dell'arricchimento previsto dall'art. 2041 CC nei rapporti interprivati, puo’ anche risultare in modo implicito da atti o comportamenti della stessa Pubblica Amministrazione dai quali si possa desumere inequivocabilmente un effettuato giudizio positivo circa il vantaggio o l'utilita’ della prestazione, quindi anche in qualsiasi forma d'utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata dalla Pubblica Amministrazione, sempre che la manifestazione di volonta’ sia giuridicamente rilevante, id est provenga dagli organi istituzionalmente rappresentativi di essa; giudizio che, in ragione dei limiti posti dall'art. 4 della legge 20.3.1865 n. 224 8, All. E, e’ riservato esclusivamente alla medesima Pubblica Amministrazione e non puo’ essere effettuato sotto alcun profilo dal giudice ordinario, il quale puo’ essere solo chiamato ad accertare se ed in quale misura l'opera o la prestazione del terzo abbiano avuto effettiva utilizzazione nei modi e con le forme sopra indicati. Nella specie, il giudice a quo ha ritenuto che un apprezzamento positivo dell'utilitas dell'attivita’ del Cimolino non abbia avuto luogo da parte degli organi del Comune di Cambiago attributari del relativo potere, ne’ esplicitamente, ne’ per fatti concludenti qualificati, onde era onere della ricorrente incidentale - come si e’ gia’ notato anche per il ricorrente principale - impugnare tale capo della sentenza per vizio di motivazione allegando e dimostrando, sulla base di specifiche risultanze istruttorie adeguatamente riportate in ricorso, non tanto la mancata contestazione dell'utilitas in discussione, elemento negativo di nessuna rilevanza, quanto piuttosto il riconoscimento della stessa desumibile da determinati comportamenti dei competenti organi comunali ai quali ricollegare il positivo elemento dell'affermazione esplicita di essa o dell'implicita sua ammissione per essersi consentita l'utilizzazione della prestazione. In difetto del che la censura si rammostra inidonea allo scopo. 3 - CONCLUSIONI Non meritando accoglimento alcuno degli esaminati motivi dell'uno come dell'altro ricorso, questi vanno, dunque, entrambi respinti. Si ravvisano, non di meno, giusti motivi per compensare integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimita’. P.Q.M. LA CORTE riuniti i ricorsi, li respinge e compensa integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimita’. Xxxx’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 maggio 2004. Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2004 |