FONDO ASILO, MIGRAZIONE E INTEGRAZIONE (FAMI) 2014-2020
Progetto co-finanziato dall’Unione Europea
FONDO ASILO, MIGRAZIONE E INTEGRAZIONE (FAMI) 2014-2020
Obiettivo Specifico 1 Asilo - Obiettivo Nazionale 1. Accoglienza Asilo
MANUALE SULLA
AUTONOMIA ABITATIVA
DEI RIFUGIATI
per la casa
xxxxxx.xxx
Camminare domandando
Facendo le cose si scoprono le mancanze, affrontandole si trovano soluzioni. Così è nato questo manuale.
Siamo partiti dal nostro lavoro quotidiano e dalla possibilità di pensiero e di riflessione che il progetto Fra Noi ci ha dato. Osservando i primi dati, i primi risultati delle azioni intraprese con i beneficiari è emerso con chiarezza il tema principale ancora da risolvere, ossia l’autonomia abitativa. Ad oggi non abbiamo risposte pronte, non abbiamo chiarezza né modelli definiti di percorsi. Tale questione supera di gran lunga l’autonomia lavorativa, problematica che abbiamo capito meglio come affrontare e per cui abbiamo costruito modelli di azione con interventi strutturati e affrontati con chiarezza e funzionalità.
Per affrontare con cognizione di causa l’autonomia abitativa abbiamo provato a ragionare sulle risorse che potevamo usare e scoprire, a partire dalla rete attivata nel e per il progetto Fra Noi.
Il risultato è questo manuale, esito di due tipi di ricerca, fra loro molto diverse ma forse proprio per questo complementari.
Il globale ed il locale possono essere visti come i due lati della stessa
medaglia.
Da qui ci siamo mossi per sviluppare le due parti di questo manuale fra loro differenti, divergenti anche graficamente ma utili per farsi una prima idea, complessiva e complessa, di ciò che viene fatto per trattare il tema dell’autonomia abitativa. Troverete, di seguito, una prima parte vicina e concreta, costruita grazie alla collaborazione con Xxxxxx, nata da una ricerca sul campo fatta presso i partner della rete impegnati tutti i giorni a scontrarsi
con le difficoltà nella ricerca di alloggi, nella presentazione di garanzie, nella costruzione di una comunità che sappia riconoscere il lavoro fatto e che, fidandosi dello stesso, metta a disposizione le case in cui i beneficiari possano, da soli, costruire finalmente il proprio futuro. Tale parte inizia con una esplorazione del tema tramite la realizzazione di un questionario Delphi presso i partner della rete, prosegue con un approfondimento di tre situazioni specifiche (Matera, Monza e Rimini) tramite focus group, per portare poi nello scritto anche le voci ed i pensieri degli operatori e delle operatrici che tutti i giorni si trovano ad affrontare la questione e che ogni volta provano ad inventare qualcosa di nuovo per risolverla.
Una seconda parte invece, di più ampio respiro, che grazie alla competenza, ai consolidati rapporti preesistenti e alla disponibilità pro bono offertaci dallo studio Latham&Watkins per il tramite di Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxxxx Xxxxx Xx Xxxxxxx, illustra i luoghi, gli scritti e le decisioni attraverso le quali il tema viene affrontato dalla Commissione Europea.
Chiudiamo questa breve prefazione ai due lavori sottolineando come gli stessi siano solo un primo spunto, un primo sguardo al tema, che sicuramente necessità di ulteriori approfondimenti per costruire strumenti condivisi ed efficaci al fine di rispondere al meglio ai bisogni delle persone con cui lavoriamo e per proporci efficacemente nei territori in cui ci troviamo ad operare.
Per provare a guardare la luna e, a partire da trattati già firmati e da politiche già scritte, immaginarci la visione di un futuro costruito da chi crede veramente a quello che fa e che persegua con tenacia nel proprio lavoro fino alla concreta realizzazione.
Che sia solo l’inizio di un viaggio
Consorzio Farsi Prossimo Consorzio Comunità Brianza
Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx Xxxx
Indice
PERCORSI IN ATTESA a cura di Xxxxxx
SEZIONE 1. RIFUGIATI E CASA 8
APRIRE IL DIBATTITO 10
LA TRANSIZIONE ABITATIVA 16
FOCUS 1 17
IL QUADRO NORMATIVO 18
FOCUS 2 18
SEZIONE 2. VERSO UNA CASSETTA DEGLI ATTREZZI 27
FOCUS 3 32
SCHEDA 1: CONDIZIONE LAVORATIVA E DISPONIBILITÀ ECONOMICA 35
SCHEDA 2: RETI SOCIALI E TERRITORIALI 41
SCHEDA 3: IL MERCATO PRIVATO 47
SCHEDA 4: L’OFFERTA ABITATIVA PUBBLICA E SOCIALE 55
SEZIONE 3. LINEE DI INDIRIZZO E SVILUPPI DI SISTEMA 63
APPENDICE. TRE CASI TERRITORIALI: MATERA, MONZA E RIMINI 69
RIFERIMENTI 78
MEMORANDUM SULL’EDILIZIA SOCIALE E IL
DIRITTO DELL’UE a cura di Latham&Watkins
POLITICHE SOCIALI E EDILIZIA SOCIALE NEI TRATTATI DEI DIRITTI FONDAMENTALI: LA POSIZIONE DELLE ISTITUZIONI DELL’UNIONE 82
STRUMENTI DELL’UNIONE EUROPEA UTILIZZABILI PER IL FINANZIAMENTO DELL’EDILIZIA SOCIALE 88
LA DISCIPLINA DEGLI AIUTI DI STATO E L’EDILIZIA SOCIALE 90
PERCORSI IN ATTESA
un manuale partecipato
sulla transizione abitativa
dei rifugiati
SEZIONE I
RIFUGIATI
E CASA
Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017 (Anci, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes,
Servizio Centrale dello SPRAR in collaborazione con UNHCR).
“Straordinaria accoglienza” 2018/2019 (In
Migrazione SCS).
Fuoricampo 2017 (Medici Senza Frontiere).
Rapporto Annuale SPRAR 2016.
Rifugiati: la sfida della transizione
APRIRE
IL DIBATTITO
La categoria dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale è per definizione impossibilitata a ritornare nella propria casa, perché se lo facesse metterebbe a rischio la propria vita.
L’assenza di un luogo dove stabilire la propria dimora e l’aver richiesto la protezione internazionale, danno a queste persone il diritto di inserirsi in percorsi di accoglienza. Il sistema dell’accoglienza ha un duplice obiettivo: prestare soccorso ai richiedenti asilo, garantire un luogo dove vivere, mangiare, relazionarsi ad altre persone in attesa dell’esito della domanda e assicurare l’acquisizione di strumenti per l’autonomia, verso l’inclusione sociale, lavorativa e abitativa in uscita dal sistema.
In questo manuale si tratterà della transizione abitativa dei rifugiati dopo la conclusione del percorso di accoglienza, come primo momento in cui gli strumenti per l’integrazione sono messi alla prova e in cui può sostanziarsi un esito positivo della transizione abitativa o, al contrario, determinarsi l’ingresso in un ciclo di marginalità ed esclusione. Perché è così importante e urgente occuparsi di rifugiati e casa?
Nel 2016 sono state presentate 123.600 domande di protezione internazionale;
7.498 richiedenti protezione internazionale sono stati ricollocati in Italia da altri paesi. L’anno successivo, il 2017, sono state presentate 130.180 domande di protezione internazionale: al 15 luglio 2017 erano 205.000 i migranti presenti nelle strutture di accoglienza (Hotspot, CAS, SPRAR), 178.338 invece i posti messi a bando dalle Prefetture nei CAS, per un totale di 158.607 persone ospitate. Il sistema di seconda accoglienza, lo SPRAR, ospita invece attualmente 31.313 persone. Sono almeno due le questioni centrali rispetto all’inserimento dei richiedenti protezione internazionale nei sistemi di prima accoglienza, e dei titolari di protezione in quelli di seconda accoglienza.
La prima è legata al numero di persone che non concludono il percorso di accoglienza e fuoriescono dalle strutture prima della fine del progetto. Nel
Solo il 41.3% esce dallo SPRAR
concludendo il proprio percorso di integrazione socio economico. Il 44% dei progetti
SPRAR non ha realizzato alcun inserimento abitativo.
2017 sono 100.000 le persone uscite dai centri di accoglienza governativi per richiedenti asilo e rifugiati. Nel 2016 sono uscite dalla rete SPRAR 12.171 persone di cui solo il 41.3% ha concluso il proprio percorso di integrazione (inserimento socio-economico); il 29.5% ha abbandonato volontariamente l’accoglienza prima della scadenza dei termini; il 25.6% ha raggiunto la scadenza dei termini ma non ha acquisito gli strumenti utili all’integrazione; il 3.5% è stato allontanato per decisione del progetto; lo 0.2% ha scelto il rimpatrio volontario assistito.
La seconda ha a che vedere con l’attivazione di progetti volti all’autonomia abitativa del soggetto e al suo effettivo inserimento abitativo al momento dell’uscita. I dati presentati in seguito suggeriscono una difficoltà del sistema nel garantire ai beneficiari dell’accoglienza una transizione in un’abitazione in autonomia, alla fine della permanenza in struttura.
Sono 652 i progetti SPRAR attivati sul territorio. In questi, sono stati realizzati
12.595 interventi volti a favorire l’acquisizione di una condizione abitativa autonoma (meno del 5% dei servizi erogati nel complesso): in media 32 interventi a progetto. Il 66% dei progetti attivati nella seconda accoglienza ha realizzato almeno un inserimento abitativo; il 35.3% ha promosso fino a 5 inserimenti e il 15,6% ne ha promossi tra i 6 e i 10. Le difficoltà maggiori riscontrata dai progetti di inserimento abitativo sono state legate a (I) precarietà lavorativa dei beneficiari (79.3% dei progetti) (II) diffidenza mostrata dalle agenzie immobiliari e dai proprietari degli immobili (45.8% dei progetti) (III) mercato immobiliare (caparre o affitti troppo elevati) (32.2%) 4) assenza di reti di connazionali cui potersi appoggiare in presenza di altre reti instabili (4.1%).
Secondo un’indagine Istat condotta nel 2014 in 158 comuni italiani, il l’58.2% delle persone senza dimora è di origine straniera. A questo va aggiunto il fatto che l’8,9% degli stranieri abita presso il luogo di lavoro, il 7,3% alloggia presso parenti o altri connazionali e il 19% vive in una casa di proprietà. Si tratta di una condizione fortemente sotto rappresentata nel dibattito pubblico e negli interventi in termini di politiche, la cui urgenza ha chiamato in causa anche l’UNHCR che raccomanda sia fornito supporto ai rifugiati nella ricerca di un alloggio nella fase successiva al riconoscimento del titolo e che siano adottate misure di prevenzione dell’homelessness.
RacCCONTAMI 2018 – 3°
censimento dei senza
dimora a Milano (Fondazione Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx).
Seconda indagine sulla condizione delle persone che vivono in povertà estrema 2014 (Istat, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, fio.PSD e Caritas Italiana).
Istituto Scenari Immobiliari sulla condizione abitativa degli immigrati pubblicati dal Dossier Statistico Immigrazione 2017
(Idos 2017).
UNHCR Report finale “Focus group sul tema dell’integrazione” (aprile 2017).
Third overview on housing exclusion in Europe 2018 (Xxxx Xxxxxx Foundation – FEANTSA).
Xxxxxx X., Xxxxxx
X. 0000. Living in Limbo. Forced
Migrants Destitution in Europe. JRS Europe (pag.6)
The State of Housing in the EU 2017 (Housing Europe).
Politiche contro, destitution ed esclusione
Questi dati sono poco rassicuranti in un quadro che vede i richiedenti asilo, i rifugiati e i diniegati tra i profili emergenti delle persone senza dimora e in generale come una popolazione a rischio di povertà abitativa. Un fenomeno che riguarda sia gli ostacoli all’accesso all’abitazione, sia il rischio di entrare in percorsi di marginalità e di esclusione abitativa e sociale connessi alla mancanza di abitazione. I rifugiati rappresentano uno dei profili sociali più esposti al rischio di esclusione abitativa, in cui forme di marginalità sociale si intersecano al disagio abitativo, dando luogo a condizioni di deprivazione abitativa (si vive in strada o in sistemazioni informali), e aumentano il rischio di rimanere in condizioni di precarietà estrema. A determinare questo svantaggio, contribuiscono alcuni elementi legati alla condizione propria degli immigrati, ma giocano un ruolo fondamentale anche gli ostacoli imposti dal mercato delle abitazioni e dalle stesse istituzioni.
Nel dibattito pubblico negli ultimi anni è stato introdotto un termine che ben descrive il ruolo di alcune politiche pubbliche nel determinare processi di marginalità socio-abitativa degli immigrati: destitution. Per destitution si intende la “mancanza dei mezzi per soddisfare i bisogni di base - quali casa, cibo, salute o istruzione - come conseguenza di una politica dello Stato che esclude certi migranti dal godimento di diritti fondamentali e dalle forme ufficiali di assistenza o limita severamente il loro accesso a tale sussistenza e, nello stesso tempo, li priva di ogni effettiva possibilità di migliorare la situazione”. È importante sottolineare, inoltre, che ciò accade non solo per chi abbandona o è espulso dal sistema di accoglienza, o non ottiene la protezione internazionale, ma anche per coloro ai quali è stato riconosciuto il diritto all’accoglienza e alla permanenza sul territorio.
Casa: i limiti del mercato abitativo
Il mercato abitativo in Italia presenta una serie di caratteristiche, divenute nel tempo quasi strutturali e che, per i singoli e per le organizzazioni che li supportano, potrebbero costituire delle barriere all’accesso. Barriere ancor più evidenti per soggetti in transizione, usciti da un percorso di accoglienza e indirizzati verso l’autonomia alloggiativa.
L’Italia è un paese di proprietari: il 72% degli alloggi occupati è di proprietà. Una dinamica in cui il mercato dell’alloggio in locazione risulta residuale, nonostante una crescente domanda, e rappresenta meno del 20% dello
In Italia solo il 15% dello stock abitativo è in locazione
stock abitativo. Solo il 15% dello stock abitativo disponibile è in affitto sul mercato privato e solo il 4% è in affitto sociale. Questo dato è centrale poiché la popolazione rifugiata, e di sovente quella immigrata in generale, non ha patrimonio, né una stabilità economica tale da rivolgersi al mercato della compravendita, concorrendo così sul mercato della locazione.
Il secondo elemento critico è la distribuzione della proprietà. L’Italia è un paese di piccoli proprietari, che hanno in maggioranza una sola casa disponibile per il mercato della locazione. Quella che viene chiamata nuclearizzazione dell’offerta, nella pratica ha come conseguenza il fatto che nell’interazione con il mercato privato, chi cerca casa abbia generalmente interlocuzioni ‘uno a uno’ con singoli proprietari e che, di contro, i proprietari non costruiscono economie di scala che permettono una gestione più flessibile del proprio patrimonio. A fare da sfondo le oltre 7.072.984 abitazioni non occupate o occupate da persone non residenti, che mettono in luce i limiti di un sistema normativo che non favorisce la messa a disposizione per la locazione del patrimonio esistente.
15° Censimento della popolazione e delle abitazioni 2011.
RIFUGIATI
31.313
persone presenti negli SPRAR
158.607
persone presenti in CAS
66,2%
sprar
ete
dei progetti attivati negli SPRAR ha realizzato almeno un inserimento abitativo
persone uscite dalla rete SPRAR
471
652
12.171
interventi a progetto di tutela legale
progetti SPRAR
35,3%
tra 1 e 5 interventi
15,6%
tra 6 e 10 interventi
9%
sistema accoglienza
71,9%
dellÕ
tra 11 e 20 interventi
3,8%
tra 21e 30 interventi
2,6%
dell’offerta abitativa destinata alla proprie
tˆ
à
3,7%
pi
più
di 30 interventi
dello stock
abitativo è in
affitto sociale
TRA I
IL QUADRO
41.3%
ha concluso il percorso di integrazione
1 29,5%
lÕ
ha abbandonato
l’accoglienza
o
32
interventi a progetto volti all’autonomia abitativa
246
interventi a progetto di tutela
psico-sociosanitaria
3,5%
stato allontanato per decisione del progetto
0,2%
ha scelto il rimpatrio volontario assistito
33,8%
14,8%
casa
dello stock abitativo in affitto sul mercato
58,2%
dei progetti attivati negli SPRAR non ha realizzato alcun inserimento abitativo
privato
delle persone senza dimora di origine straniera
è
A I PROFILI EMERGENTI DELLE PERSONE SENZA DIMORA CI SONO I RIFUGIATI, I RICHIEDENTI ASILO E I DINIEGATI
LA TRANSIZIONE
ABITATIVA
Una questione da affrontare a più livelli
Come è possibile esplorare le transizioni abitative dei rifugiati per comprendere i fattori che ostacolano o facilitano l’avvio di carriere abitative di successo, in condizioni alloggiative adeguate? L’approccio che ha guidato questo lavoro è stato quello di guardare a questa fase di passaggio come una fase nella quale possono concretizzarsi stati di vulnerabilità abitativa.
Con vulnerabilità abitativa si intende non tanto una condizione irreversibile o cronica di precarietà e inadeguatezza dell’abitazione, quanto piuttosto la condizioni in cui la capacità di autodeterminazione di un soggetto - la possibilità di compiere una scelta sulla base dei propri progetti e desideri - è limitata o minacciata dal sistema di risorse a disposizione.
Quando ci si riferisce al sistema di risorse, si intende l’insieme di risorse e caratteristiche degli individui (per es. il reddito disponibile), dei sistemi relazionali e sociali in cui le persone e le organizzazioni sono inserite (per esempio la loro rete territoriale) e dei sistemi istituzionali (per es. i criteri di accesso all’edilizia pubblica basati su particolari requisiti di residenza).
Il tema della transizione abitativa viene affrontato in questo lavoro osservando l’interazione tra diverse dimensioni di scelta e diversi sistemi di risorse, considerando a quale livello è possibile attivare delle leve di intervento e quali attori possono essere coinvolti. Nella fase di transizione in uscita dall’accoglienza, il rifugiato si trova maggiormente esposto ad alcuni fattori di rischio che intervengono nell’avvio della propria “carriera abitativa”, determinando una discrepanza tra le reali possibilità e le necessità, aspirazioni e aspettative personali. Questo approccio permette di guardare al tema prestando attenzione ad alcuni elementi che lo caratterizzano: la transitorietà della fase che si osserva, i fattori ostacolanti che emergono, le risorse messe in gioco e i possibili interventi.
Proprio per la sua natura di supporto operativo per gli operatori SPRAR, questo manuale si concentrerà sulla fase che precede l’accesso dei rifugiati a un’abitazione - la preparazione, la ricerca, la negoziazione con i proprietari
- come altrettanto importante rispetto alla fase che segue, riguardante il mantenimento della casa e le sue caratteristiche. Inoltre, la lente della vulnerabilità abitativa permette di considerare questa fase come temporanea
- uno stato in cui si entra e da cui si può uscire - e non invece lineare e consequenziale, che vede la (com)presenza di diversi elementi su diversi livelli. In questo senso, la situazione individuale del rifugiato non si caratterizza passivamente, ma interagisce con le caratteristiche dell’organizzazione e del contesto in cui si inserisce, tanto a livello relazionale quanto in riferimento alle peculiarità del sistema istituzionale - dell’accoglienza e dell’abitare - in cui la transizione si compie.
Focus 1
“Più che quattro mura e un tetto”
Quali sono le condizioni minime per considerare un alloggio adeguato? Sono almeno quattro gli elementi-chiave individuati dall’ONU:
• la sostenibilità, ovvero la possibilità di sostenere i costi dell’alloggio e le relative spese, che idealmente non dovrebbero superare il 40% del reddito del nucleo familiare.
• L’adeguatezza, in riferimento alle caratteristiche fisiche e strutturali dell’abitazione, tanto agli spazi di vita quanto agli spazi di relazione.
• La sicurezza del possesso, l’esercizio di un diritto di titolarità rispetto alla proprietà o alla locazione esclusiva dell’alloggio.
• Il contesto sociale, ovvero la non privazione del sistema di risorse relazionali, parentali e amicali.
(Right to adequate housing 2009 - UN Report)
IL QUADRO
NORMATIVO
Il diritto alla casa in Italia
Il quadro normativo entro il quale esploriamo la transizione abitativa dei rifugiati è un elemento centrale per comprendere la cornice all’interno della quale si concretizzano ostacoli e opportunità. Se, da un lato, il tema del diritto alla casa può essere affrontato con un approccio universalistico, la categoria giuridica dei rifugiati costituisce un profilo di potenziale fragilità che determina l’interesse per un approccio categoriale. La conoscenza dei diritti che fanno da sfondo all’azione delle organizzazioni coinvolte nel sistema di accoglienza sembra in questo senso un elemento imprescindibile per collocarne e rafforzarne l’azione. Qual è l’approccio al tema del diritto alla casa nel sistema giuridico italiano e quali sono le previsioni le e tutele per i rifugiati?
Il diritto alla casa è ampiamente riconosciuto dalla legislazione internazionale come parte del nucleo centrale dei diritti umani fondamentali. È introdotto e regolato sotto varie forme da numerose dichiarazioni, convenzioni e carte sottoscritte a livello internazionale, a partire dalle quali ciascun paese ha strutturato la propria legislazione nazionale. Le stesse fonti internazionali lo riconoscono e tutelano indipendentemente dalla provenienza nazionale, religione e appartenenza di genere.
Focus 2
Il diritto alla casa e il trattamento dei cittadini stranieri nelle fonti internazionali
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani - 1948 Art. 25 c. 1: “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo
all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari [...].”
Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali - 1966
Art.11 (1) “Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la loro famiglia, che includa un’alimentazione, un
vestiario, ed un alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare l’attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l’importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero consenso.”
Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia - 1989 Art. 27 c. 3 “Gli Stati parti adottano adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare i genitori e altre persone aventi la custodia del fanciullo ad attuare questo diritto e offrono, se del caso, un’assistenza materiale e programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario e l’alloggio.”
Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale - 1965
Art. 5(e)(iii) “In base agli obblighi fondamentali di cui all’art. 2 della presente Convenzione, gli Stati contraenti si impegnano a vietare e ad eliminare la discriminazione razziale in tutte
le forme ed a garantire a ciascuno il diritto all’eguaglianza dinanzi alla legge senza distinzione di razza, colore od origine nazionale o etnica, nel pieno godimento, in particolare, dei seguenti diritti: [...] il diritto all’alloggio”.
Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati - 1951 Art. 21 “In materia di alloggi, gli Stati Contraenti concedono, per quanto siffatto problema sia disciplinato da leggi e ordinanze
o sia sottoposto al controllo delle autorità pubbliche, ai rifugiati che risiedono regolarmente sul loro territorio il trattamento più favorevole possibile e in ogni caso un trattamento non meno favorevole di quello concesso, nelle stesse circostanze, agli stranieri in generale.”
Convenzione OIL n 97 sulle migrazioni per motivi di lavoro - 1952
Art. 6 c. 1 (iii) “1. Ogni Stato membro per il quale sia in Art. 6 vigore la presente convenzione si impegna ad applicare, senza discriminazione di nazionalità, razza, religione o sesso, agli immigranti che si trovano legalmente entro i limiti del suo territorio, un trattamento che non sia meno favorevole di quello che esso applica ai propri dipendenti in relazione alle seguenti materie : a) nella misura in
cui queste questioni sono regolate dalla legislazione o dipendono dalle autorità amministrative : [...] l’alloggio. “
Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri loro famiglie - 1990
Art. 43 c. 1(d) “I lavoratori migranti beneficiano della parità di trattamento con i cittadini dello Stato di impiego, per quel che concerne: [...] l’accesso all’alloggio, ivi compresi i programmi sociali alloggiativi, e la protezione contro lo sfruttamento in materia di affitti.”
Principi guida degli sfollati - 1998
Principio 18 (2) b) “Tutti gli sfollati interni hanno il diritto a godere di un adeguato standard di vita. [...] Le autorità competenti, a prescindere dalle circostanze, e senza
discriminazione alcuna, forniranno e garantiranno agli sfollati interni un sicuro accesso, almeno a: [...] b) riparo e alloggio di base [...].”
Raccomandazione Generale 30/2004 - Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale invita gli stati membri a “garantire il pari godimento del diritto a un’abitazione adeguata per cittadini e non cittadini,
in particolare evitando la segregazione abitativa e assicurandosi che le agenzie per la casa si astengano dal mettere in atto pratiche discriminatorie”.
Carta Sociale Europea (riveduta) -1996
Articolo 31 - Diritto all’abitazione
“Per garantire l’effettivo esercizio del diritto all’abitazione, le Parti s’impegnano a prendere misure destinate:
1) a favorire l’accesso ad un’abitazione di livello sufficiente;
2) a prevenire e ridurre lo status di “senza tetto” in vista di eliminarlo gradualmente;
3) a rendere il costo dell’abitazione accessibile alle persone che non dispongono di risorse sufficienti.”
Articolo 16 - Diritto della famiglia ad una tutela sociale giuridica ed economica
“Per realizzare le condizioni di vita, indispensabili al pieno sviluppo della famiglia, cellula fondamentale della società, le Parti s’impegnano a promuovere la tutela economica, giuridica e sociale della vita di famiglia, in particolare per mezzo di prestazioni sociali e familiari, di disposizioni fiscali e d’incentivazione alla costruzione di abitazioni adattate
ai fabbisogni delle famiglie, di aiuto alle coppie di giovani sposi, o di ogni altra misura appropriata.”
Articolo 30 - Diritto alla protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale
“Per assicurare l’effettivo esercizio del diritto alla protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale, le Parti s’impegnano: a prendere misure nell’ambito di un approccio globale e coordinato per promuovere l’effettivo accesso in particolare al lavoro, all’abitazione, alla formazione professionale, all’insegnamento, alla cultura, all’assistenza sociale medica delle persone che si trovano o rischiano di trovarsi in situazioni di emarginazione sociale
o di povertà, e delle loro famiglie; b a riesaminare queste misure in vista del loro adattamento, se del caso.”
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea - 2002
Articolo 34.3 “Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali.”
Sentenza del 24
marzo 1988, n. 404 Corte Costituzionale
Riforma dei canoni, legge 431/1998.
Decreto Ministeriale 22 aprile 2008 (Ministero delle Infrastrutture).
Piano Nazionale di Edilizia Abitativa,
D.p.c.m del 16 luglio 2009.
Le previsioni costituzionali e legislative italiane sul diritto alla casa fanno emergere profili di debolezza, rispetto ad altri contesti nazionali e al quadro sovranazionale.
In Italia, il diritto alla casa, ossia la disponibilità di uno spazio idoneo a garantire l’armonico sviluppo psico-fisico dei soggetti, non è tutelato in modo espresso. L’unico riferimento normativo è contenuto nell’art. 47, co. 2, Cost., che attribuisce alla Repubblica il compito di favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà. Sebbene, dunque, il diritto alla casa non sia riconosciuto come diritto sociale dal dettato costituzionale, si è andato delineando come tale sulla base della giurisprudenza costituzionale che dai primi anni ‘80 si è espressa ancorandolo all’art. 2, 3 e 47 della Costituzione e quindi alla sfera dei diritti inviolabili della persona. Nonostante ciò, è assente una definizione minima del contenuto del diritto all’abitazione, per cui la previsione dell’art. 47 è da intendersi come programmatica: affinché sia attuata è necessario un intervento legislativo e amministrativo successivo, subordinato all’effettiva disponibilità di risorse pubbliche da destinargli. In questo senso, il diritto alla casa diventa “condizionabile” alle risorse effettivamente disponibili in un determinato momento storico e dunque rischia di essere “compresso”, anche se mai eliminato del tutto. Da un lato dunque, il diritto alla casa rimane oggi un diritto non esigibile e non impugnabile in sede giudiziale, se non in alcuni specifici casi e relativamente alla rivendicazione di altri diritti; dall’altro emerge una disomogeneità di attuazione tra il livello nazionale e quello regionale, che nel contesto italiano concorre alla normativa sulla casa e alla gestione dell’edilizia pubblica attraverso le Agenzie casa regionali (ex-IACP). In Italia il contesto giuridico e normativo prevede nei fatti tre modalità di azione pubblica a garanzia del diritto alla casa: la regolamentazione dei canoni, riformata con la legge 431/1998 verso una progressiva liberalizzazione; il supporto all’offerta, sia attraverso l’edilizia pubblica (sovvenzionata) che con i contributi economici all’edilizia convenzionata; il supporto alla domanda, attraverso l’erogazione di contributi. La normativa più recente in materia, che ha tracciato un nuovo corso, sta nel Decreto Ministeriale del 22 aprile 2008 che introdotto nella normativa italiana il termine “alloggio sociale”, aprendo a una partecipazione diretta del privato sociale alla produzione di alloggi a canone calmierato. Il Piano di edilizia abitativa (D.P.C.M. del 16 luglio 2009), ha introdotto alcune azioni miranti a rilanciare l’offerta abitativa sociale (pubblica, ma anche del privato sociale), tra cui l’introduzione di fondi immobiliari istituzionali a sostegno della nuova produzione, e a introdurre misure di sostegno all’alloggio per categorie in disagio abitativo.
Il trattamento dei titolari di protezione internazionale
Il quadro rimane simile nel caso dei cittadini stranieri presenti sul territorio, i quali sono titolari di un diritto all’abitazione - come appena delineato - nei casi e nei modi consentitigli dalla legge, in conformità alle norme e ai trattati internazionali. Le norme che tutelano l’accesso all’abitazione degli stranieri, si articolano in maniera differente sulla base della condizione giuridica degli stessi e dei loro familiari. In questo senso, per chi accede al territorio italiano per fare richiesta di protezione internazionale, l’ordinamento (sia comunitario che nazionale) prevede un trattamento specifico, in quanto gli si riconosce sia il diritto di ingresso sul territorio, sia una condizione più delicata e meritevole di una speciale protezione. Per quest’ultima ragione, si prevede che l’alloggio stesso sia fornito direttamente (o indirettamente) dallo Stato italiano in quelle che sono le fasi di prima e di seconda accoglienza, fino all’ottenimento del riconoscimento dello status. Se in questa fase l’emergenza alloggiativa è prioritaria per ragioni di sussistenza immediata e temporanea a tutela di chi ha presentato domanda di protezione, nella fase successiva all’acquisizione del titolo, la possibilità di accedere a un alloggio diventa una questione di integrazione sociale. Sotto questo secondo aspetto, per i titolari di protezione internazionale valgono le stesse norme in vigore per i cittadini non comunitari, sottoposti alle stesse condizioni dei cittadini italiani, nell’accesso alle forme di sostegno per l’accesso agli alloggi pubblici, al mercato della locazione privata o all’acquisto della prima casa . Rispetto alla necessità di considerare l’accesso alla casa dei titolari di protezione internazionale come prioritaria, si esprime anche il “Piano nazionale d’integrazione dei titolari di protezione internazionale” (condiviso nell’ambito del Tavolo di Coordinamento Nazionale insediato presso il Ministero dell’Interno nel 2017). Quest’ultimo, individuando l’accesso all’alloggio e alla residenza come parte di quelle misure e strumenti di attuazione dei percorsi di inclusione sociale, prevede alcuni indirizzi di ordine generale ma non uno stanziamento di risorse specifiche per implementarli. Viceversa, raccomanda a Regioni e Comuni di prevedere nei rispettivi piani per l’emergenza abitativa: 1) percorsi di accompagnamento per i titolari di protezione in uscita dall’accoglienza, verificando anche la possibilità di includerli negli interventi di edilizia popolare e di sostegno alla locazione; 2) programmi di accompagnamento alla fuoriuscita da insediamenti informali nei centri urbani, anche attraverso la ricognizione degli edifici pubblici in disuso da destinare all’abitare sociale. Sempre
Decreto Legislativo 18 agosto 2016
numero 142.
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 - “Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”
su questa linea, si suggerisce di considerare la condizione dei titolari di protezione internazionale nella stessa predisposizione dei bandi per l’assegnazione delle risorse nell’ambito degli interventi di edilizia popolare e di sostegno alla locazione.
A fronte di queste indicazioni generali, la normativa italiana non prevede alcuna azione a livello nazionale rivolta in modo specifico all’integrazione sociale (e dunque, in seconda battuta e per quanto detto finora, anche alloggiativa) dei titolari di protezione internazionale. Viceversa, queste azioni possono essere previste a livello locale, dagli enti aderenti al sistema SPRAR.
SEZIONE II
VERSO UNA
CASSETTA
DEGLI ATTREZZI
GUIDA ALLA
LETTURA DELLE
SCHEDE
Affrontare la transizione abitativa: il punto di vista dei territori
La seconda sezione di questo manuale vuole indagare alcuni elementi essenziali dei processi di transizione abitativa dei titolari di protezione internazionale, emersi trasversalmente dal lavoro condotto nei territori di progetto. Tali elementi, approfonditi in una serie di schede tematiche presentate in seguito, possono intendersi come leve per disegnare percorsi di transizione abitativa efficaci.
In questa prima sezione ci si concentrerà sugli elementi trasversali emersi dalla consultazione di soggetti diversi nei territori, consultazione che ha permesso di sintetizzare sia gli ostacoli incontrati dagli individui e dalle organizzazioni che le soluzioni principali utilizzate per affrontarli.
A seguire, le schede tematiche riassumeranno, questione dopo questione, gli apprendimenti generati, e le strategie e gli strumenti potenzialmente replicabili per l’intero sistema SPRAR, che si sviluppano intorno a quattro temi principali: la condizione lavorativa e la disponibilità economica dei rifugiati, le reti sociali e territoriali dei rifugiati e delle organizzazioni che gestiscono l’accoglienza, la struttura del mercato dell’alloggio, l’offerta abitativa pubblica e sociale.
I nodi problematici della transizione abitativa
Cosa conta di più?
Il metodo di lavoro utilizzato ha consentito di porre alcune questioni, ricorrenti in alcuni casi, particolari e interessanti in altri, a più riprese e attraverso più livelli della governance territoriale. È stato chiesto ai soggetti coinvolti di concentrarsi sulla propria esperienza riguardante il tema della casa con riferimento ai rifugiati. Trattandosi di partner che si occupano a vario titolo dell’accoglienza, li si è sollecitati chiedendo loro di esprimere un’opinione
riguardo a quali caratteristiche - a livello individuale, dell’organizzazione e del contesto - incidano sulle possibilità di inserimento abitativo dei rifugiati e con quale grado di rilevanza. Per esempio, sono stati interrogati su quale sia il ruolo della condizione lavorativa ed economica e della rete sociale dell’individuo, quale quello delle competenze dell’organizzazione e della sua rete territoriale e come incidano le caratteristiche socioeconomiche del contesto in cui ci si trova ad operare.
Per quanto riguarda le caratteristiche individuali, sono state individuate come centrali la condizione economica, le competenze linguistiche, la capacità di adattamento ai contesti, la rete sociale e la conoscenza del territorio. Rispetto a questi elementi, le posizioni emerse appaiono indicare che la condizione economica è quella più rilevante. A questa seguono le competenze linguistiche e il capitale sociale dei rifugiati. Decisamente meno importanti sembrano essere sia l’orientamento al territorio che la capacità di adattamento ai contesti. Le risorse individuali possono essere già in possesso dell’individuo, possono essere (facilmente o difficilmente) acquisite, oppure mobilitate sollecitando altri soggetti presenti nelle reti (etniche, sociali). Costituiscono comunque un “capitale di partenza” in grado di ampliare notevolmente le possibilità di scelta e, in definitiva, di rafforzare la capacità di autodeterminazione dei soggetti migranti. L’attenzione rivolta alle risorse individuali dei rifugiati emerge come un elemento irrinunciabile per chi lavora nell’accoglienza e allo stesso tempo come una variabile che, confrontandosi con altri elementi organizzativi e di contesto, rischia di diventare secondaria. Per questa ragione, rimane un fattore che può fare la differenza nella transizione abitativa solo quando si interviene anche su altri aspetti. Rimane un tema su cui le organizzazioni insistono molto, soprattutto mettendo in evidenza quali punti di forza possano agevolare una buona transizione abitativa. In particolare, dalla consultazione con gli attori emerge la centralità della “tenacia” e della “resistenza” nel confrontarsi con problematiche e ostacoli indipendenti da loro, e la “resilienza” o “flessibilità”, descritta come capacità di adattamento al contesto, anche in risposta ai limiti strutturali che lo caratterizzano.
Con riferimento alle caratteristiche delle organizzazioni che incidono in questa transizione, sono state riportate le reti territoriali, la conoscenza della normativa, l’attenzione ai progetti individuali, l’intermediazione (non solo economica) e le risorse abitative proprie delle organizzazioni. Le posizioni emerse sono molto eterogenee, e le medesime caratteristiche sono state considerate a volte poco, altre molto rilevanti, come nel caso delle risorse abitative proprie; in generale, l’integrazione della propria organizzazione nelle reti territoriali è ritenuta dagli operatori e dalle operatrici come la caratteristica più significativa, mentre la conoscenza della normativa in materia abitativa
quella meno rilevante.
Infine, le dimensioni individuate a livello di contesto territoriale riguardano aspetti diversi della cornice entro cui si muovono le organizzazioni e i rifugiati. Si tratta del mercato del lavoro e dell’alloggio, della presenza di requisiti favorevoli per accedere alla casa, dell’attivazione della società civile e del pregiudizio. Da un lato, è ribadita la centralità delle caratteristiche del contesto dal punto di vista socioeconomico e dunque le opportunità lavorative che offre, ricollegandosi alla centralità della condizione economica individuale. Allo stesso tempo fattori come il pregiudizio, il razzismo e la discriminazione crescente si concretizzano in ostacoli all’accesso che si sommano al fattore economico. Un ulteriore elemento di contesto emerso è il quadro normativo che regola l’accesso alla casa, che mette in campo requisiti di accesso all’abitazione spesso escludenti per questa categoria di persone.
Come affrontarli?
L’obiettivo di fare luce sui punti critici e i fattori ostacolanti che incidono maggiormente nella transizione abitativa è capire quali possibili leve siano state attivate dai territori e quali soluzioni possono essere messe in campo e rese replicabili.
Il lavoro di ricerca ha evidenziato che le organizzazioni che si occupano di accoglienza lavorano prestando attenzione soprattutto alle opportunità lavorative di inserimento nel mercato del lavoro, tanto a livello di competenze e aspettative individuali quanto in relazione alle opportunità dei mercati locali del lavoro, alle competenze linguistiche, ai progetti individuali, all’integrazione dei rifugiati nelle reti territoriali, all’attivazione della società civile e all’orientamento al territorio.
Sembrano invece più carenti le attivazioni riguardanti i temi del superamento del pregiudizio, dell’attivazione delle reti sociali (valorizzazione delle competenze relazionali e del patrimonio di contatti, integrazione nelle reti territoriali), dell’adattamento alla struttura del mercato dell’alloggio privato, pubblico e sociale (capacità di intermediazione tra domanda e offerta, risorse abitative proprie dell’organizzazione).
Quando sollecitati su quali aspetti vorrebbero curare di più nella progettazione e nell’attivazione di percorsi e iniziative, è interessante notare come le stesse organizzazioni vorrebbero occuparsi di affrontare il tema del pregiudizio e della discriminazione, lavorare con la società civile e occuparsi della diversificazione dell’offerta. Emerge dunque un interesse a uscire dai confini dell’azione prevista dal sistema dell’accoglienza, che si scontra con la difficoltà, o impossibilità, di attuare misure ad hoc.
In termini progettuali si delinea un’attenzione verso aspetti legati alle
caratteristiche di contesto e dell’organizzazione, mentre è assente il livello individuale del rifugiato. Quest’ultimo infatti è un tema su cui le organizzazioni si interrogano quotidianamente, poiché i soggetti presenti nell’accoglienza - in particolare negli SPRAR - sono già destinatari di servizi progettati il più possibile a livello individuale, con l’obiettivo di garantire l’integrazione sociale in uscita dall’accoglienza.
Infine, è importante riportare come le modalità di lavoro espresse dai diversi SPRAR sul tema della transizione abitativa siano molto articolate, e solo in alcuni casi, parzialmente, le attività che verranno richiamate nelle schede possono essere considerate acquisite.
Un ostacolo trasversale: la reputazione
Nella transizione abitativa dei rifugiati - come spesso accade alla più ampia categoria degli stranieri - è emerso il tema della reputazione negativa di questi soggetti agli occhi degli attori con cui si relazionano nella ricerca della casa. La cattiva reputazione si declina in un intersecarsi di pregiudizi nei confronti dei rifugiati, fino a concretizzarsi in discriminazione nell’accesso all’alloggio. Sebbene tra i soggetti coinvolti e consultati, il tema venga riportato usando termini diversi, emerge l’idea che i pregiudizi delle agenzie di intermediazione, dei proprietari di immobili e dei residenti o vicini possano costituire una vera e propria barriera all’accesso, spesso insormontabile. La diffidenza, la mancanza di fiducia, la perpetuazione di stereotipi sulla popolazione straniera e il razzismo, possono rendere del tutto inefficaci le altre risorse attivabili. Il tema reputazionale si pone come trasversale agli altri fattori chiave nella transizione - di cui si parlerà nelle schede successive - aumentando gli ostacoli a livello individuale e di intervento delle organizzazioni. Nonostante la centralità attribuita a pregiudizio e razzismo, poche organizzazioni dichiarano di realizzare progetti, percorsi e iniziative su questo tema. È un elemento che ricorre nei loro interventi anche quando sono stati progettati per agire su altre dimensioni, ad esempio sulle risorse sociali o sull’inserimento lavorativo. Si tratta prevalentemente di microinterventi che giocano sul piano relazionale tra i diversi attori quando si incontrano (per es. tra rifugiato e proprietario quando si trova una casa idonea e bisogna negoziare l’ingresso e le condizioni), e meno sul piano dell’advocacy (per es. progetti di più ampio respiro che affrontano con la società civile e a livello istituzionale il tema del razzismo e delle discriminazioni). Nel tentativo delle organizzazioni di intervenire sugli aspetti reputazionali, emerge come centrale l’immagine stessa dell’organizzazione nel territorio in cui
opera e la sua capacità di intermediazione. Da quanto emerso da questo lavoro, il termine “intermediazione” assume un significato molto distante dalla definizione che ha nell’uso comune. Solitamente infatti, l’intermediazione si riferisce a un’attività di mediazione e quindi a un’azione esercitata da un ente per favorire accordi fra altri o per far loro superare i contrasti che li dividono. Nei contesti osservati, l’attività di intermediazione attribuita alle organizzazioni che seguono (anche) l’uscita dall’accoglienza più che lavorare sulla riduzione della distanza tra le parti, trovando un compromesso e mediando eventuali posizioni contrastanti, lavora sui pregiudizi dei proprietari privati e delle agenzie nei confronti dei futuri inquilini. Nel farlo, assume sia il ruolo di garante rispetto alla sostenibilità economica, sia si fa filtro (o specchio) della reputazione dei rifugiati che godono (o possono godere) della luce riflessa della reputazione dell’ente, che per questo va sempre curata e supervisionata.
Focus 3
Perché parliamo di manuale partecipato: il metodo
Il percorso che ha portato alla stesura del manuale è stato caratterizzato da diverse fasi di ricerca e approfondimento. A partire da una rassegna di letteratura internazionale e dall’analisi di dati quantitativi, sono stati selezionati alcuni casi studio sul tema dei rifugiati e dell’abitare in Italia e in Europa, da cui sono emersi alcuni elementi da approfondire e validare, o confutare.
Si è quindi proceduto coinvolgendo piccoli gruppi di interlocutori attivi sul territorio di Milano e Monza (un totale di 40 persone), rispetto al fenomeno migratorio e al tema della casa. Sono stati organizzati due laboratori pensati come momenti di condivisione orizzontale e
interdisciplinare, per sottoporre le prime riflessioni emerse dalla fase di ricerca e stimolare l’emersione di nuovi contenuti. Parallelamente, sono stati consultati i partner del progetto sono stati consultati, attraverso due ondate di
questionari somministrati ai partner del progetto, utilizzando un approccio mutuato dal metodo Delphi, uno strumento d’indagine che ha l’obiettivo di giungere a una convergenza di opinioni su un tema complesso, interpellando testimoni privilegiati del processo indagato. Il primo questionario,
sottoposto ai 43 partner di progetto, ha indagato quali caratteristiche costituiscono i punti di forza e di debolezza
- individuali, dell’organizzazione e del contesto - rispetto alle possibilità di inserimento abitativo dei rifugiati in uscita dall’accoglienza. Il secondo questionario, somministrato
ai rispondenti alla prima ondata, è stato costruito a partire da quanto emerso dalla prima ondata, e si è concentrato in particolare sulle pratiche messe in campo nei territori.
L’obiettivo dell’indagine era comprendere se e come le organizzazioni riescono ad incidere sui fattori che
ostacolano o favoriscono la transizione abitativa dei rifugiati, e cosa vorrebbero essere in grado di fare (o di fare meglio).
Infine, sono stati condotti tre approfondimenti territoriali in Lombardia, Xxxxxx-Romagna e Basilicata, attraverso metodi di indagine qualitativa e di co-ricerca con le
organizzazioni sollecitate dal percorso, di cui si parlerà negli approfondimenti in Appendice.
Come leggere le schede
Nelle quattro schede che seguono verranno presentati i nodi problematici e centrali emersi dal lavoro di ricerca e dalla consultazione dei territori: condizione lavorativa e disponibilità economica (Scheda 1), reti sociali e territoriali (Scheda 2), struttura del mercato dell’alloggio (Scheda 3) e offerta abitativa pubblica e sociale (Scheda 4).
Si parla di nodi problematici facendo riferimento alle questioni che nella transizione abitativa dei rifugiati rappresentano delle criticità a livello individuale, di organizzazione o di contesto. Ci si riferisce a quei fattori che ostacolano l’accesso e il mantenimento dell’abitazione e con i quali gli individui e le organizzazioni si confrontano, provando ad intervenire. Ciascun nodo mette in luce aspetti diversi all’interno dello stesso tema – che sia la condizione economica, le reti sociali, l’offerta dentro e fuori dal mercato privato – e come incidono sul tema della casa.
Nelle schede viene approfondita la relazione tra questi fattori e la modalità in cui ciascuno incide sulla transizione abitativa dei rifugiati. Per ciascun nodo, verranno poi presentate sinteticamente alcune possibili soluzioni
emerse dalla consultazione dei territori e estendibili ad altri territori e progetti SPRAR.
Nella lettura delle singole schede è necessario tenere in considerazione la reputazione negativa dei rifugiati, appena presentata come nodo problematico emerso come trasversale a tutti gli altri, persistente e comune a tutti i territori intercettati. Tenere ben presente questo elemento che trasforma una caratteristica individuale in un ostacolo all’accesso alla casa, per ragioni legate invece alle caratteristiche del contesto, diventa essenziale per leggere le difficoltà e le soluzioni attivate dai territori.
SCHEDA 1
CONDIZIONE
LAVORATIVA
E DISPONIBILITÀ
ECONOMICA
L’accesso a un’abitazione in locazione presuppone il pagamento di un canone, sia questo di mercato o in forma agevolata nel pubblico o nel privato sociale. Il pagamento del canone rappresenta la prima spesa da sostenere per aver diritto di godimento dell’abitazione stessa, a cui si sommano alcuni contributi una tantum - la cauzione se prevista dal contratto - e periodici, come il pagamento delle utenze.
La condizione economica, determinata in larga parte, se non esclusivamente, dalla posizione lavorativa, emerge come l’elemento che, a livello individuale, incide maggiormente sulle possibilità di accedere e di mantenere un’abitazione. La condizione di precarietà economica in cui possono versare (anche) i rifugiati agisce su un duplice livello: restringe le opzioni di scelta abitativa e riduce le possibilità di accesso ad alcune opzioni, facendo emergere trattamenti discriminatori nell’accesso alle case nel mercato privato.
NODI PROBLEMATICI
Restrizione delle possibilità di scelta dell’abitazione
La capacità economica di sostenere il costo dell’abitazione è una delle pre-condizioni per poter accedere a una locazione in affitto e mantenerne il godimento. La scarsità di risorse economiche per il sostegno del canone d’affitto si definisce nel confronto con il prezzo delle abitazioni nel mercato privato. In questo senso, al netto delle caratteristiche endemiche del mercato immobiliare nei diversi contesti territoriali, le opzioni abitative disponibili si riducono al diminuire della disponibilità economica. Non solo aumenta il rischio di non avere opzioni a cui accedere - diverse tipologie di casa al canone che ci si può permettere - o di dover adattare le proprie esigenze e desideri a ciò che si ha a disposizione, ma le alternative a disposizione rischiano di non garantire gli standard minimi di adeguatezza dell’abitazione.
Riduzione delle possibilità di accesso ad alcune soluzioni alloggiative La sola disponibilità economica per il pagamento mensile del canone d’affitto non è sufficiente a consentire l’accesso all’opzione selezionata. In vista della stipula di un contratto, il proprietario - o in vece di questo l’agenzia immobiliare - può richiedere al futuro inquilino una serie di garanzie a pagamento dell’affitto: un contratto di lavoro con determinate caratteristiche, le precedenti buste paga, un numero variabile di mesi di cauzione.
Da un lato, vi è una difficoltà di inserimento lavorativo, nonostante l’avviamento
- durante la permanenza nello SPRAR - di percorsi di formazione e tirocinio finalizzati all’assunzione e all’integrazione lavorativa. Dall’altro, anche nel
SCHEDA 1 CONDIZIONE LAVORATIVA E DISPONIBILITÀ ECONOMICA
REPUTAZIONE
caso in cui i titolari di protezione siano regolarmente assunti, la loro posizione nel mercato del lavoro li vede spesso svolgere lavori scarsamente o nulla qualificati con contratti precari e grigi, quando non del tutto irregolari.
Anche qualora il singolo riuscisse a sostenere il costo dell’affitto, può capitare che non sia in grado di dimostrare al proprietario o all’agenzia di essere economicamente autonomo.
Non solo infatti, ai fini della firma del contratto i privati o le agenzie richiedono di base alcune garanzie economiche, ma queste ultime diventano spesso consistenti nel caso dei rifugiati. Per esempio, viene richiesto di poter dimostrare l’esistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e/o l’anticipo di 6 o 12 mensilità di canone d’affitto al momento della firma del contratto. Questo tipo di precondizioni, che rendono difficile, se non impossibile, soddisfare le richieste dei proprietari per molti rifugiati in uscita da percorsi di accoglienza, emergono solo nelle negoziazioni con questa categoria di persone, mentre sono assenti - o di molto attenuate - nell’interazione con la popolazione locale.
LE SOLUZIONI DAI TERRITORI
Il tema della condizione lavorativa e della disponibilità economica è prioritario negli interventi di chi si occupa di accoglienza; quest’ultima in particolare, e il supporto economico che fornisce, è da considerarsi una condizione temporanea. Dalla consultazione dei territori sono emerse molteplici pratiche legate a questo nodo problematico, ma solo alcune nascono con lo specifico obiettivo di associare il lavoro sulla disponibilità economica a quello sull’autonomia abitativa.
Interlocuzione con il Servizio centrale SPRAR per l’estensione dei tempi del contributo per alloggio
Il primo strumento utilizzato dalle organizzazioni per affrontare il tema della disponibilità economica è quello dei contributi SPRAR già messi a disposizione dal sistema stesso. Nell’ambito dell’integrazione abitativa, il sistema prevede che la persona in uscita possa accedere o a un contributo di uscita - pari a 250
€ una tantum - o a un contributo per l’alloggio e per l’acquisto degli arredi. Le due categorie di contributi non sono cumulabili, per cui non è possibile beneficiare di entrambe, e solo la seconda può essere utilizzata per superare l’ostacolo delle garanzie economiche. Il contributo per l’alloggio e per gli arredi può essere richiesto dall’organizzazione che gestisce lo SPRAR al Servizio centrale, quando la persona in uscita dal progetto trova una collocazione abitativa e gli viene intestato un contratto della durata minima di un anno.
SCHEDA 1 CONDIZIONE LAVORATIVA E DISPONIBILITÀ ECONOMICA
In questo caso, può beneficiare di un contributo che copra sei mensilità di affitto o eventuali costi di cauzione o d’agenzia. Sebbene le mensilità di affitto che il contributo d’uscita consentirebbe di anticipare al proprietario possano costituire una sufficiente garanzia economica che lo convinca ad acconsentire alla firma del contratto, non sempre sono sufficienti.
In alcuni contesti, è stato osservato che quando l’organizzazione segue l’uscita di persone in condizioni di vulnerabilità la cui transizione abitativa è resa impossibile dalla richiesta di garanzie ulteriori, si apre una interlocuzione con il Servizio centrale SPRAR. Riportando al Servizio le caratteristiche dei rifugiati in uscita e le difficoltà oggettive che potrebbero essere superate con una disponibilità economica superiore, l’organizzazione chiede un’estensione delle mensilità coperte dal contributo fino a un massimo di dodici. Questa garanzia di copertura economica annuale, approvata dal Servizio centrale, diviene l’elemento dirimente per l’intermediazione con il proprietario.
Attivazione di percorsi mirati di inserimento lavorativo e di convenzioni e partenariati con intermediari professionisti del mercato del lavoro
Un elemento ricorrente nell’attività delle organizzazioni coinvolte nei progetti SPRAR riguarda un investimento consistente sul tema del lavoro e dell’inserimento dei richiedenti e (poi rifugiati) nel mercato del lavoro locale. L’inserimento lavorativo è visto non solo come fonte di reddito necessario alla sussistenza, ma come strumento per favorire l’integrazione sociale e allo stesso tempo valorizzare il percorso del singolo, di fronte alle Commissioni Territoriali e nell’interfacciarsi con attori spesso portatori di pregiudizi, come i proprietari di casa. Con questo fine, le organizzazioni lavorano per l’attivazione di percorsi mirati di inserimento lavorativo, che valorizzino le competenze dei rifugiati e li avviino in percorsi il più possibile regolari e tutelati o che gli permettano di avere, al momento dell’uscita dallo SPRAR, una minima autonomia economica e gli strumenti per continuare la ricerca attiva di lavoro. In alcuni contesti, è emerso un approccio interessante che lega a doppio filo la fase di ricerca del lavoro a quella successiva di ricerca della casa, occupandosi e preoccupandosi sia dell’esigenza di garanzie economiche - il lavoro in quanto tale come fonte di reddito - sia della reputazione dei rifugiati in quanto stranieri. Questo approccio consiste nella creazione di accordi formali o informali con alcuni professionisti del mercato del lavoro, coinvolgendoli come garanti dei rifugiati - che siano in cerca di lavoro o già occupati.
Alcuni esempi: si attiva una convenzione con un’agenzia accreditata per il lavoro che diventa il punto di riferimento per richiedenti e rifugiati e la stessa costruisce dei piani individualizzati sia per la ricerca del lavoro sia per l’erogazione di contributi per l’accesso al mercato della locazione; un’altra
SCHEDA 1 CONDIZIONE LAVORATIVA E DISPONIBILITÀ ECONOMICA
modalità coinvolge i consulenti del lavoro del territorio, i quali, d’accordo con l’organizzazione e conoscendo quali figure professionali possono essere utili ai propri clienti, si fanno sponsor dei rifugiati in cerca di lavoro, garantendo sulla base della conoscenza personale degli stessi.
SCHEDA 1 CONDIZIONE LAVORATIVA E DISPONIBILITÀ ECONOMICA
SCHEDA 2
RETI SOCIALI
E TERRITORIALI
Gli individui possiedono risorse sociali quando, all’interno delle reti in cui sono inseriti, sono connessi ad altri individui, con diversi gradi di intensità e qualità dei rapporti. Le relazioni sociali che si stabiliscono diventano importanti in sé, quando consentono all’individuo di avere accesso a risorse possedute da altri o gli permettono di attivarsi per trarre un beneficio dal fatto stesso di essere inserito nelle reti. Lo stesso vale per gruppi di individui e quindi per le organizzazioni che possiedono un capitale sociale in termini di relazioni con altre organizzazioni del territorio in cui operano.
Nel caso dei rifugiati, la migrazione e il percorso di inserimento nella società di arrivo, portano alla trasformazione della propria rete sociale di riferimento, con la necessità di costruire nuove relazioni sociali. Ciò avviene all’interno di un sistema territoriale di accoglienza nel quale le organizzazioni sono già presenti, anche se non necessariamente impegnate in quell’ambito di lavoro, e in cui gli operatori (a loro volta inseriti in reti sociali) e gli ospiti possono diventare nuovi nodi della rete sociale del richiedente asilo, poi rifugiato.
Parlando di casa e di transizione verso una condizione alloggiativa autonoma, le risorse sociali mobilitate o attivabili dal soggetto e il capitale di rete degli enti che lo accolgono diventano centrali. L’importanza delle reti incide, infatti, sulla ricerca di opportunità abitative, sulla possibilità di accedervi e sulla capacità di mantenerne il possesso.
NODI PROBLEMATICI
Difficoltà a reperire alloggi tramite reti di conoscenza informale
Quando guardiamo alla fase precedente all’uscita, nella quale il rifugiato, in autonomia o affiancato dall’organizzazione, si attiva per la ricerca della casa attraverso diversi canali, l’offerta abitativa con cui si confronta è già limitata (cfr. Scheda 3). Da questo punto di vista, diventa utile moltiplicare le occasioni di incontro con l’offerta, spaziando dalle opportunità di alloggi di proprietà pubblica o del privato sociale, alla ricerca di case disponibili sul mercato privato (attraverso agenzie, siti specializzati e contatti personali). In questa fase, è proprio nell’attivazione di contatti personali che emerge un primo importante ostacolo per i rifugiati, che in molti casi hanno potuto costruire legami con un numero ridotto di persone. In particolare, emerge la scarsità di connessioni con cittadini/e italiani/e residenti nella stessa area, o come potenziali proprietari di casa o come contatti privilegiati da cui partire per accedere a nuovi contatti.
Difficoltà di intermediazione tra domanda e offerta
La partita della casa, come si vedrà nella Scheda 3, si gioca prevalentemente
SCHEDA 2 RETI SOCIALI E TERRITORIALI
nel rapporto tra la domanda - i rifugiati in uscita dall’accoglienza - e l’offerta abitativa - per lo più caratterizzata da proprietari privati nativi.
In questa relazione si concretizzano, da un lato, le difficoltà a far incontrare i bisogni non complementari di proprietario e inquilino e, dall’altro, le difficoltà linguistiche legate alla comunicazione e quelle inficianti le possibilità di comprensione (fattore culturale). Chi ne racconta afferma che trascendono la fatica della comprensione linguistica e riguardano l’idea che i proprietari hanno rispetto al rapporto tra il futuro inquilino, rifugiato, e la casa. Questo rapporto viene immaginato (o è stato esperito) come non adeguato al corretto mantenimento dell’abitazione e delle regole di convivenza e di locazione declinate secondo parametri culturalmente differenti. Non sempre le organizzazioni appaiono in grado di presidiare in maniera strutturata la prima interazione tra proprietari e futuri inquilini, fondamentale a impostare quella che potrebbe diventare una vera e propria (inter)mediazione. È possibile che in questa prima fase, si lasci l’accompagnamento al volontarismo dei singoli operatori, senza che l’avviamento di un dialogo tra i punti di vista di proprietari e inquilini venga percepito come un compito dell’organizzazione, o richieda l’ingaggio (o la presenza) di una figura professionalmente competente.
Posizione ambigua dei proprietari in mancanza di garanzie non economiche sull’affidabilità
Stabilire delle relazioni con le persone del luogo dove ci si è stabiliti, soprattutto per chi proviene da un altro contesto nazionale, permette la creazione di una sorta di “identità” spendibile nella ricerca della casa e che può fungere da garanzia. La garanzia non è solo economica - conoscere qualcuno che garantisca economicamente (cfr. Scheda 1) - ma riguarda anche gli aspetti che sulla base di stereotipi e pregiudizi alimentano la diffidenza dei proprietari. L’assenza, o la scarsa estensione, di una rete sociale in cui i rifugiati sono inseriti, o la presenza di contatti prevalentemente tra la comunità nazionale di appartenenza o tra gli altri ospiti, gioca a sfavore di questi ultimi quando si confrontano con eventuali pregiudizi da parte dei proprietari. Infatti, la ricerca di una casa è ostacolata da un lato da quella che i proprietari vedono come scarsa affidabilità economica (cfr. Scheda 1), dall’altro dalla diffidenza e dalla riluttanza a dare in locazione il proprio immobile a uno straniero. Lo straniero non solo è associato a maggiori rischi da un punto di vista della cura della casa, ma su di lui o su di lei non si sa nulla, non lo o non la si conosce e, cosa più importante, non si possono raccogliere informazioni tramite altri contatti personali e conoscenze in comune.
SCHEDA 2 RETI SOCIALI E TERRITORIALI
REPUTAZIONE
Difficoltà a costruire reti esterne al progetto SPRAR per entrare in contatto con altri attori
Le organizzazioni che gestiscono l’accoglienza, in particolare i progetti SPRAR, rivestono un ruolo-chiave nella costruzione di reti di sostegno per i soggetti in uscita dall’accoglienza, non solo perché hanno il compito di preparare il terreno in vista dell’uscita, ma perché il loro patrimonio di contatti coincide spesso con l’unica fonte di opportunità abitative da presentare ai rifugiati. Da questo punto di vista, però, è emersa la difficoltà delle organizzazioni che gestiscono gli SPRAR di entrare in relazione con altri soggetti al di fuori del perimetro del progetto stesso. Costruire reti esterne all’accoglienza, che coinvolgano attori diversi sul territorio, potrebbe moltiplicare il proprio capitale sociale e quindi rafforzare il ruolo dell’organizzazione che sta ancora seguendo il rifugiato nell’avere accesso anche a soluzioni abitative transitorie post-accoglienza.
LE SOLUZIONI DAI TERRITORI
Le riflessioni sul ruolo delle reti sociali e territoriali nella transizione abitativa hanno fatto emergere due livelli su cui è possibile agire. Il primo riguarda l’organizzazione e la necessità di progettare interventi che mobilitino risorse articolate attraverso un approccio di rete, che sappia sollecitare diversi attori intorno alla risoluzione della questione abitativa. La seconda riguarda la necessità di costruire, rinforzare diversificare i legami sociali dei soggetti in condizione di forte vulnerabilità abitativa.
Promozione dell’integrazione dei rifugiati nei contesti territoriali di accoglienza
Il lavoro sulle reti sociali dei rifugiati inizia dalla creazione di occasioni di incontro tra questi e il tessuto sociale in cui sono inseriti. In particolare, gli enti si attivano organizzando momenti aperti alla cittadinanza nei quali i rifugiati siano parte attiva - per esempio parlano di sé e della propria storia migratoria
- con il duplice obiettivo di farli conoscere, tentando di intaccare diffidenze e pregiudizi qualora esistano, e di creare uno spazio esterno allo SPRAR in cui siano effettivamente presenti persone appartenenti a realtà diverse (famiglie, mondo religioso, imprenditori, …). In maniera simile, dalle pratiche dei territori è emersa la promozione di attività di volontariato che, essendo già di per sé considerate utili per il percorso legale (per es. per preparare l’audizione in commissione territoriale) e, in caso di “volontariato professionalizzante”, a volte anche per quello lavorativo, possono lavorare sull’immagine dei rifugiati e dell’organizzazione che se ne occupa, agli occhi della società civile.
SCHEDA 2 RETI SOCIALI E TERRITORIALI
Coinvolgimento delle reti etniche amicali nel reperimento di soluzioni alloggiative
Se è vero che i rifugiati rischiano di far fatica ad accedere a reti sociali “native” e dunque ad avere contatti personali con autoctoni, esterni agli SPRAR, è anche vero che spesso sono già inseriti in reti etniche amicali o legate ad altre attività (per es. religiose, o legate alla pratica sportiva). In alcuni contesti, in cui la transizione abitativa vede i rifugiati muoversi in totale autonomia, le reti di connazionali (o miste rispetto alla provenienza, ma non rispetto allo status) sono nei fatti l’unico modo per accedere a una casa, anche se temporaneamente o in condizioni precarie. Diventa prezioso dunque conoscerle, farne una mappatura e, soprattutto, coinvolgerle attivamente nelle fasi di ricerca della casa con l’obiettivo di poterle utilizzare come un’opportunità per reperire soluzioni alloggiative.
Costruzione del capitale reputazionale dell’organizzazione
L’immagine e la reputazione positiva dell’organizzazione rispetto alla sua affidabilità e al tipo di lavoro che svolge con i rifugiati possono diventare un innesco virtuoso di rapporti con proprietari che si rendano poi disponibili a locare i propri immobili. Uno dei canali attraverso i quali l’organizzazione ha modo di farsi conoscere e costruire il proprio capitale reputazionale è la collaborazione stabile con le agenzie immobiliari del territorio. Queste ultime non solo hanno accesso a una serie di contatti con i proprietari e possono fare una prima “azione filtro” rispetto alle esigenze dell’organizzazione e del rifugiato, ma qualora condividano l’operato dell’organizzazione, possono operare una prima mediazione con i proprietari più scettici. In questo senso, la reputazione dell’organizzazione che collabora con una o più agenzie immobiliari sul territorio, può creare nuove occasioni di conoscenza reciproca tra rifugiati e proprietari, già in parte basate sulla fiducia.
Attivazione di sportelli per la casa
Gli sportelli per la casa gestiti dall’Ente locale, in collaborazione con le associazioni del territorio, sono stati a volte attivati, o se ne è potenziato il funzionamento, con l’obiettivo di coinvolgere proprietari privati divenuti nel tempo “solidali”. Si tratta di proprietari disposti a dare in locazione il proprio immobile ai rifugiati inseriti nelle reti di accoglienza. A questi proprietari, a cui viene anche proposto di affittare gli immobili a canoni calmierati, viene garantito l’avviamento di servizi di accompagnamento all’abitare per i nuovi inquilini.
SCHEDA 2 RETI SOCIALI E TERRITORIALI
Individuazione di specifiche figure professionali che si occupano di orientare i rifugiati sul territorio
Le reti sociali possono consentire ai rifugiati di avere accesso ad alcune informazioni riguardanti il “sistema casa”, pubblico, privato e privato sociale, in mancanza delle quali può essere pregiudicata la loro possibilità di interagire con questo sistema con successo, usufruendo di servizi o di agevolazioni. Se in alcuni casi questa condivisione di informazioni può essere (e viene) fatta in attività sporadiche e con altri fini (per esempio miranti all’orientamento al territorio), le organizzazioni che si occupano di accoglienza possono individuare figure professionali specifiche al loro interno. Queste ultime possono diventare “tutor” e attivare percorsi di mediazione abitativa per il rifugiato, orientandolo e guidandolo all’interno di un sistema molto diverso da quello da cui proviene e per cui probabilmente necessita di accompagnamento e mediazione.
SCHEDA 2 RETI SOCIALI E TERRITORIALI
SCHEDA 3
IL MERCATO
PRIVATO
Il mercato privato della locazione rappresenta oggi il bacino principale di offerta abitativa per la popolazione straniera (il 64,7% vive in affitto) e nello specifico per i titolari di protezione internazionale che affrontano l’uscita dal sistema dell’accoglienza. L’80% degli alloggi in locazione sono oggi in affitto sul libero mercato, una scelta in parte obbligata per chi affronta la transizione abitativa. Quali sono le principali caratteristiche di questo stock abitativo e come interagiscono con il percorso di ricerca casa dei rifugiati?
NODI PROBLEMATICI
Scarsità dell’offerta di alloggi in affitto
La prima questione che è importante tenere presente nel percorso di sostegno alla ricerca casa dei titolari di protezione è l’ampiezza dello stock abitativo in locazione all’interno del mercato immobiliare. In Italia meno del 15% dello stock immobiliare è disponibile per il mercato libero della locazione. Un’offerta marginale e residuale su cui competono diversi profili che non possono (o non vogliono) acquistare la propria abitazione: studenti, lavoratori temporanei, famiglie a basso reddito sono alcuni degli esempi più ricorrenti. Profili sempre più diversificati che si rivolgono a vario titolo a questo specifico segmento di mercato abitativo, influenzandone l’accessibilità. Altro elemento peculiare del mercato della locazione italiano è la sua distribuzione: un patrimonio nuclearizzato, distribuito cioè tra tanti piccoli proprietari, per cui il singolo alloggio rappresenta una fonte di reddito decisiva per il benessere famigliare. Questa dinamica influenza fortemente l’accessibilità del patrimonio in locazione, favorendo l’introduzione di criteri di accesso formali e informali, che spesso risultano escludenti per la popolazione rifugiata. Allo stesso tempo la dispersione dell’offerta abitativa rende lo stock meno accessibile per i limiti informativi insiti in questa struttura di mercato, e per le modalità di locazione - sovente affidate al passaparola.
Inaccessibilità economica degli alloggi a causa degli alti costi di mercato Uno degli elementi centrali che determinano il difficile ingresso nel mercato privato dei rifugiati è il valore di mercato degli alloggi in locazione. Basti pensare che, in media, le famiglie straniere a basso reddito spendono il 36,8% del proprio reddito per l’abitazione . L’affitto, sempre più attrattivo per un numero maggiore di profili, ha registrato negli ultimi anni una dinamica costante di aumento del prezzo medio che ha reso il mercato sempre meno accessibile per nuclei familiari composti da un solo componente a basso reddito, come la maggioranza delle persone in uscita dal sistema SPRAR (secondo i dati dell’Atlante SPRAR
SCHEDA 3 IL MERCATO PRIVATO
Le stime dell’Istituto Scenari Immobiliari sulla condizione abitativa degli immigrati pubblicati dal
Dossier Statistico Immigrazione - Idos 2017 dicono anche che l’8,9% abita presso il luogo di lavoro,
il 7,3% alloggia presso parenti o altri connazionali e il 19,% vive
in una casa di proprietà.
Tra il 2017 e il 2018 c’è stata una crescita media del valore degli affitti del 3,1% (SoloAffitti e
Nomisma 2018).
del 2017, l’83% dei rifugiati all’interno del sistema SPRAR è monocomponente). Un fattore questo, che spinge chi esce dall’accoglienza a prediligere soluzioni in coabitazione, che spesso danno esito a situazioni di sovraffollamento - il 41% delle famiglie straniere vive in un’abitazione sovraffollata - o a condizioni non idonee. La competizione sul mercato dell’affitto spinge i rifugiati a rivolgersi all’offerta di mercato più compromessa: a quelle abitazioni che non trovano altri mercati a cui rivolgersi, ad esempio per il basso stato di manutenzione o per la localizzazione delle strutture. All’interno di questo quadro problematico pesano le caratteristiche specifiche dei mercati locali, dalle grandi città in cui i tassi di crescita dei costi nel mercato privato sono esasperati (+10,2% a Milano, del +10,9% a Bologna, del +7% Roma secondo i dati Nomisma) , alle città turistiche dove il mercato degli affitti stagionali erode quello abitativo perché più profittevole. Tale dinamica è acuita dall’assenza nel contesto italiano di una politica attiva per il contrasto allo sfitto che permette ai potenziali locatori di rimanere in attesa dell’offerta che incontra la rendita prefissata prima di mettere in affitto il proprio stabile.
Prevalenza di un’offerta temporanea poco accessibile
Il processo di transizione abitativa mette spesso in evidenza la necessità di fare affidamento anche su modalità temporanee di fruizione dell’alloggio. L’uscita dallo SPRAR, come evidenziato dagli operatori, rappresenta un momento di passaggio fondamentale nelle traiettorie di autonomia dei rifugiati. L’idea stessa di transizione mette in luce la possibilità che questo passaggio non sia lineare e che necessiti di diversi momenti, aggiustamenti e maturazioni. Chi esce da un percorso di accoglienza può esprimere un bisogno temporaneo associato, ad esempio, alla ridefinizione della carriera lavorativa, spesso legata alla presenza di tirocini, al desiderio di ricomporre legami famigliari e amicali, o ad altre necessità di mobilità. L’offerta temporanea, sempre più centrale nel mercato dell’affitto (18% dei contratti di locazione), si rivolge, però, alle fasce di reddito medio-alte, e risulta poco accessibile per i rifugiati in uscita dai percorsi SPRAR. Va, inoltre, considerata la poca articolazione dell’offerta abitativa nelle tipologie edilizie disponibili, raramente pensate per utilizzi temporanei e condivisi.
Criteri discriminatori di accesso e nell’intermediazione
La struttura del mercato libero dell’abitazione, e in particolare la predominanza della piccola proprietà, mettono al centro del processo di transizione, gli ostacoli reputazionali che i rifugiati devono affrontare per l’accesso all’alloggio. La centralità del giudizio tra i criteri di scelta dei conduttori ha messo in luce la presenza di criteri di accesso “nascosti” che rappresentano uno dei principali fattori ostacolanti per la popolazione in uscita dall’accoglienza. Un fattore,
SCHEDA 3 IL MERCATO PRIVATO
REPUTAZIONE
questo, che di sovente rende meno efficaci le politiche di sostegno diretto alla domanda (contributi una tantum, copertura delle mensilità di locazione, etc.).
LE SOLUZIONI DAI TERRITORI
Molti dei fattori ostacolanti evidenziati riguardano fattori esogeni all’operato delle organizzazioni, trattandosi di limiti e di vincoli di contesto connessi alla struttura e all’organizzazione del mercato abitativo privato. Di seguito si proverà ad evidenziare le strategie messe in campo dalle organizzazioni che influenzano positivamente la transizione abitativa dei rifugiati superando o aggirando le resistenze di contesto del mercato privato.
Formazione sulla normativa che regola l’accesso al mercato dell’alloggio e affiancamento nell’interazione con le agenzie per la casa e con i proprietari
L’avvio di percorsi di formazione e orientamento alla normativa sulla locazione e sulle modalità di reperimento delle informazioni rappresentano una prassi comune nel percorso di autonomia abitativa dei rifugiati. Diverse esperienze hanno evidenziato la centralità di formare personale competente intorno al tema della normativa e dei diritti dei locatari, capace di trasferire nel tempo le competenze necessarie ai residenti SPRAR. Tale passaggio di competenze è apparso più efficace quando è stato realizzato non solo in momenti dedicati, ma durante altre attività promosse all’interno dell’accoglienza, dall’insegnamento della lingua ai momenti di socialità libera. Allo stesso tempo è emersa la difficoltà, anche per i profili con più risorse, di operare la ricerca di affitto in totale autonomia sul mercato privato, sia per questioni di orientamento tra i diversi strumenti, sia per ragioni di difficile interazione con i locatori e le agenzie immobiliari, anche a causa delle questioni reputazionali riportate in precedenza. Si tratta di un ostacolo che, in alcuni casi, è stato superato dalla mediazione degli operatori che hanno assunto una funzione specifica di accompagnamento e tutela nelle fasi di primo contatto. Un ruolo di garanzia leggera che in alcune esperienze ha permesso di superare le diffidenze iniziali e si è avvantaggiato del sistema di garanzie reputazionali messe in campo dagli enti gestori (cfr. Scheda 2).
Attivazione dei datori di lavoro per la ricerca dell’alloggio
Diversi progetti SPRAR hanno da tempo avviato relazioni con imprese locali per il collocamento dei titolari di protezione. In generale l’inserimento lavorativo rappresenta un’area maggiormente presidiata all’interno dei percorsi di
SCHEDA 3 IL MERCATO PRIVATO
autonomia in uscita dal sistema di accoglienza e in alcuni casi è risultato decisivo per la ricerca casa, non unicamente per il tema delle garanzie economiche. In particolare, l’attivazione dei datori di lavoro all’interno del percorso di transizione abitativa ha rappresentato un elemento qualitativamente rilevante. Questa attivazione è stata spesso mediata dagli operatori del sistema SPRAR che nei diversi casi analizzati hanno contattato direttamente le aziende in cui venivano svolti i tirocini formativi e gli inserimenti lavorativi con l’esplicita domanda di sostegno attivo nella ricerca casa. Un meccanismo informale che fa leva sulla mobilitazione di risorse reputazionali da un lato, e sugli investimenti patrimoniali degli imprenditori italiani, dall’altro.
Collaborazione stabile delle organizzazioni con le agenzie immobiliari del territorio
Le agenzie immobiliari rappresentano un possibile strumento di accesso al mercato privato dell’alloggio anche per i titolari di protezione internazionale. Nelle prassi raccolte si possono evidenziare tre elementi su cui è centrale l’attivazione delle organizzazioni. Il primo riguarda la necessità che la relazione con le agenzie sia comunque accompagnata in prima istanza dagli operatori. Le agenzie immobiliari rimangono degli operatori di mercato e in diversi casi attivano criteri a tutela dei locatori che si rivolgono loro, e che possono risultare escludenti rispetto alla scelta alloggiativa dei rifugiati. Per tale ragione, è necessaria una prima garanzia da parte degli operatori sull’affidabilità del titolare. In secondo luogo, è risultata decisiva l’attivazione delle agenzie non su casi singoli, ma attraverso la costruzione di collaborazioni stabili (protocolli di lavoro condiviso, convenzioni, etc.…) con gli enti gestori. Questo aspetto permette alle agenzie di condividere alcuni criteri utilizzati per il matching con l’offerta, che aiutano gli operatori ad orientarsi rispetto alla possibilità di rivolgersi o meno a questo settore, e in secondo luogo permettono alle agenzie di contattare gli enti gestori nel caso riscontrino offerte di mercato rispondenti alla loro utenza. Infine, la relazione con le agenzie può risultare vantaggiosa se il progetto SPRAR riesce a mobilitare risorse aggiuntive o garanzie economiche a sostegno della transizione abitativa. Questo può risultare in un incentivo per questi operatori, garantendo la solvibilità (anche se in maniera limitata nel tempo) dei titolari.
Ente pubblico come garante economico e reputazionale con i proprietari, attraverso i propri servizi di presa in carico
I titolari di protezione internazionale sono spesso seguiti anche al di fuori del sistema SPRAR dall’Ente locale attraverso diversi interventi legati ai servizi sociali. Da giugno 2018, ad esempio, i titolari di protezione internazionale residenti da almeno due anni in Italia possono aver accesso al reddito di inclusione (REI)
SCHEDA 3 IL MERCATO PRIVATO
che implica anche l’adesione ad un percorso personalizzato messo a punto dai servizi sociali. Nella ricerca della casa la presenza di un percorso strutturato e la garanzia del sostegno del soggetto pubblico hanno rappresentato in alcuni casi un elemento decisivo reputazionale nelle interlocuzioni con i proprietari.
Collaborazione con le agenzie sociali per la locazione come mediatori con le proprietà
In diversi contesti territoriali, in particolare nei medi e grandi centri urbani, l’attore pubblico ha messo in campo politiche di intermediazione mirate a favorire l’ingresso di redditi medio-bassi all’interno del mercato privato della locazione attraverso l’introduzione di ‘Agenzie sociali per la locazione’. Queste strutture assumono connotati e attivano strumenti diversi a seconda degli ambiti territoriali e rappresentano ancora delle sperimentazioni per il contesto italiano, sebbene siano sempre più diffuse. In generale il loro operato è connesso alla possibilità di offrire garanzie economiche o leve fiscali per i proprietari che mettono a disposizione il loro patrimonio a canoni calmierati, solitamente attraverso la promozione del canone concordato (frutto di accordi territoriali tra sindacati e rappresentanze dei locatori). Il target dei rifugiati è raramente preso in considerazione dall’azione delle Agenzie sociali. Laddove le organizzazioni attive nel sistema SPRAR e i Comuni hanno costruito legami diretti con le Agenzie - più o meno strutturati - è stato possibile attivare percorsi di garanzia e di intermediazione anche per alcuni titolari di protezione. Non sempre l’offerta di abitazioni intercettate da queste strutture corrisponde ai bisogni e alle possibilità dei titolari di protezione internazionale, ma la collaborazione con altri attori del sistema SPRAR ha permesso di includere de facto i rifugiati in alcune iniziative a sostegno della domanda.
Affitto diretto da parte degli enti gestori di prima e seconda accoglienza di appartamenti da subaffittare in coabitazione ai beneficiari
Alcune esperienze hanno messo in campo strumenti di azione diretta all’interno del mercato privato dell’alloggio. Tra questi sembra centrale l’attivazione di appartamenti in locazione per i titolari di protezione internazionale in uscita dal sistema dell’accoglienza. Nello specifico, di fronte alla difficoltà di superare le barriere reputazionali ed economiche, alcune organizzazioni hanno cominciato ad operare come intermediari sul mercato affittando appartamenti di medie dimensioni, che vengono poi subaffittati in maniera temporanea in coabitazione. Questa modalità ha messo in luce come le competenze maturate da diverse organizzazioni nell’ambito dell’accoglienza risultino delle leve importanti per permettere a questi soggetti di operare all’interno del mercato abitativo, valorizzando le proprie competenze gestionali. Tale modalità permette ai titolari
SCHEDA 3 IL MERCATO PRIVATO
di protezione internazionale di avviarsi all’autonomia abitativa all’interno di appartamenti in coabitazione, modalità scarsamente regolamentata nel mercato libero dell’alloggio e che spesso nasconde economie sommerse e dinamiche poco tutelanti. L’intermediazione tra proprietà e utenti delle organizzazioni, inoltre, permette di intercettare risorse aggiuntive e di affiancare il percorso abitativo con interventi di accompagnamento per i soggetti più fragili. Va inoltre riportato che questa modalità di azione si è conclusa in diversi casi con l’intestazione del contratto di locazione ai gruppi di inquilini stabilizzati nel tempo, permettendo alle organizzazioni di terminare il proprio ruolo di garanzia.
SCHEDA 3 IL MERCATO PRIVATO
SCHEDA 4
L’OFFERTA
ABITATIVA
PUBBLICA
E SOCIALE
Secondo dati recenti l’edilizia sociale in Italia si attesta al 3,7% dello stock abitativo. Un’offerta residuale che comprende gli alloggi di edilizia abitativa pubblica e un crescente numero di alloggi messi in campo dal privato sociale. Questo patrimonio edilizio costituisce una potenziale risorsa per i percorsi di uscita dal sistema dell’accoglienza, ma oggi risulta poco accessibile per il cumularsi di fattori ostacolanti per i titolari di protezione internazionale. Quali sono le principali caratteristiche di questa offerta abitativa e come interagisce con il percorso di ricerca casa dei rifugiati?
NODI PROBLEMATICI
Offerta marginale dello stock abitativo pubblico e processi di destitution L’offerta abitativa pubblica è costituita in Italia da oltre 750.000 abitazioni di cui circa il 6% risulta vuota e inutilizzata . Un’offerta fortemente marginale che negli anni ha subito una continua riduzione a causa dei processi di alienazione e delle difficoltà gestionali degli ex-IACP. Questo patrimonio è concentrato nei grandi e nei medi centri dove raggiunge anche quote superiori al 10% dell’offerta complessiva.
Dall’introduzione dell’articolo 40 del T.U. 286/98 i titolari di protezione internazionale hanno il diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni Regione o dagli Enti locali (cfr. Sezione I - Il quadro normativo). A fronte della apparente apertura della norma vanno però considerati tre fattori principali di esclusione che ricadono fortemente sulla popolazione rifugiata.
Il primo riguarda la marginalità dell’offerta, che nel tempo ha prodotto in quasi tutto il patrimonio nazionale lunghe liste di attesa per l’accesso. Il secondo elemento, strettamente connesso al primo, riguarda i criteri di definizione della priorità di accesso al patrimonio abitativo (cosiddetti meccanismi di ordine). Questi sono definiti su base regionale e si costituiscono di un mix di indicatori di disagio economico e sociale (come il reddito, la composizione del nucleo familiare, l’invalidità, ecc..) che determinano l’ordine di ingresso nel patrimonio pubblico favorendo quei gruppi sociali definiti multiproblematici, a cui la maggior parte dei rifugiati in Italia non appartiene, trattandosi soprattutto di uomini (o donne) giovani e single. Infine, si aggiungono i processi di destitution dei titolari di protezione internazionale e cioè quei processi normativi di introduzione nelle politiche (anche) abitative di restrizioni che producono un’esclusione selettiva degli stranieri dalle misure di protezione e d’inclusione sociale (cfr. Sezione I – Aprire il dibattito). Tra questi basti pensare ai vincoli
SCHEDA 3 L’OFFERTA ABITATIVA PUBBLICA E SOCIALE
di tempo di residenza per l’accesso all’edilizia pubblica (si pensi al vincolo di almeno 5 anni di residenza regolare sul territorio) introdotti da diverse normative regionali e locali, oppure alla premialità attribuita all’anzianità di residenza per il calcolo dei coefficienti di selezione per l’ingresso, che, premiando i lungo-residenti, nei fatti penalizzano la popolazione rifugiata.
Debolezza del terzo settore abitativo sia in termini di offerta, sia di stratificazione degli attori
Nel contesto italiano, il settore abitativo in locazione viene spesso definito come ‘polarizzato’ tra l’offerta pubblica e l’offerta sul libero mercato. Questa definizione è utile a rappresentare la mancanza all’interno di questo stock di un’offerta intermedia dedicata a target che non possono accedere al mercato privato, per motivi economici o bisogni specifici, ma che allo stesso tempo non riescono nemmeno ad accedere all’edilizia residenziale pubblica. Un settore scarsamente sviluppato nel contesto italiano, che guarda al privato sociale come possibile leva per la sua espansione, ma che sconta un forte ritardo sia per l’inadeguatezza dei soggetti del terzo settore, sia per l’assenza di meccanismi di intervento nel settore abitativo che ne agevolino realmente l’ingresso. Questo mercato intermedio ha avuto modo di espandersi solo in alcuni contesti specifici, in cui il differenziale tra i valori di mercato e i costi di gestione era tale da ipotizzare progetti con affitti calmierati che rendessero al contempo possibile la sostenibilità economica.
Difficile accesso all’informazione e assenza dei rifugiati tra i target preferenziali dell’edilizia sociale
Il mercato intermedio, anche quello molto sociale, si compone oggi di un articolato panorama di progetti, dagli alloggi temporanei per studenti ai progetti di housing first per la popolazione senza dimora. Questa complessa composizione mette in luce due problemi che ostacolano fortemente la possibilità di accesso per i titolari di protezione internazionale: l’accesso alle informazioni e la trasparenza delle modalità di accesso. In particolare, lo spostamento dall’utilizzo di graduatorie unificate, tipiche dell’edilizia residenziale pubblica, a modalità di accesso differenziate progetto per progetto, sta avendo come esito un processo di sottrazione dalla sfera pubblica di questa nuova offerta, che predilige oggi interventi per quelle fasce di popolazione capaci di garantire una solvibilità economica. Bisogna, inoltre, considerare che il cosiddetto housing sociale si fonda sull’individuazione di target e categorie sociali specifiche che raramente riguardano profili sociali tipici dei titolari di protezione internazionale (es. anziani soli, famiglie numerose, studenti) e che di rado la condizione giuridica dei rifugiati viene considerata
SCHEDA 3 L’OFFERTA ABITATIVA PUBBLICA E SOCIALE
REPUTAZIONE
tra i criteri di individuazione di profili fragili. Si tratta di una mancata inclusione che determina una barriera all’ingresso in diversi progetti. Questo processo di esclusione si evidenzia anche nei progetti di uscita dalle condizioni di estrema esclusione abitativa come i progetti housing first in cui i rifugiati costituiscono solo una parte residuale.
LE SOLUZIONI DAI TERRITORI
Nonostante le criticità evidenziate, i territori hanno messo in luce la centralità di aprirsi a un mercato diverso dell’alloggio capace di guardare anche alla categoria dei rifugiati. Un’area ancora poco presidiata dalle organizzazioni che sta emergendo però come strategia per l’accompagnamento all’autonomia, dinanzi a dei vincoli di contesto impattanti per le carriere abitative dei titolari in uscita dal sistema SPRAR.
Mappatura delle opportunità abitative fuori dal mercato privato. Un’attività intrapresa in diversi territori è la mappatura delle opportunità territoriali di housing sociale sviluppate dal terzo settore e dal privato sociale. Opuscoli informativi, siti e altri strumenti di diffusione possono costituire alcuni output materiali di questa attività. Allo stesso tempo è interessante sottolineare come questa lavoro sia risultato efficace quando alla ricerca delle soluzioni si è affiancato il contatto diretto con gli enti che gestiscono le iniziative di housing sociale. In questi casi l’azione di mappatura è stata un volano per la costruzione di relazioni tra enti, che nel panorama articolato dell’housing sociale rappresentano un capitale prezioso per l’orientamento dei titolari di protezione internazionale. La costruzione di legami ha permesso, in alcuni casi, l’attivazione di filiere di collaborazione interessanti tra il sistema SPRAR e l’emergente terzo settore abitativo.
Appoggio alle reti informali per attivare soluzioni temporanee che affrontino le emergenze abitative in fase di transizione
Pare interessante evidenziare come diversi percorsi di autonomia abitativa rilevati nei territori si siano appoggiati alle reti informali nell’affrontare il percorso di transizione abitativa. Come più volte ricordato, il percorso verso l’autonomia abitativa non può essere considerato lineare, e l’uscita dallo SPRAR in particolare rappresenta un momento critico dove i titolari si trovano esposti a diversi rischi di caduta in processi di esclusione sociale e abitativa. In diverse occasioni, quando gli enti e i titolari non sono riusciti a reperire risorse abitative, si sono affidati a reti informali per attivare soluzioni temporanee.
SCHEDA 3 L’OFFERTA ABITATIVA PUBBLICA E SOCIALE
Anche se poco evidenti, queste soluzioni giocano un ruolo fondamentale nel percorso di transizione abitativa perché presentano soglie di accesso minime, ma sono in grado di rispondere con grande elasticità alle fasi più emergenziali che si verificano eventualmente lungo il percorso. Queste strutture, che di sovente vedono forme di riconoscimento istituzionale parziale, rappresentano un sistema di reti di sicurezza che è risultato efficace quando ha permesso ai titolari di protezione di proseguire le relazioni formali e informali avviate all’interno del percorso SPRAR, in particolare per ricerca alloggio e lavoro. Non sempre queste strutture e queste soluzioni possono essere considerate soddisfacenti rispetto ai quattro parametri della sicurezza alloggiativa (cfr. Focus 1) e per questo è necessario che svolgano una funzione da volano che sia temporanea, funzionale ai percorsi di uscita, evitando così che questi diventino il preludio di processi di esclusione.
Coinvolgimento degli enti pubblici, privati e del terzo settore in tavoli di progettazione per soluzioni abitative inclusive
In diversi territori la difficoltà emergente nei processi di transizione abitativa dei titolari di protezione internazionale è stata affrontata attraverso lo sviluppo di tavoli di confronto tra amministrazione pubblica, enti del terzo settore abitativo e soggetti gestori dei progetti SPRAR. Queste esperienze sono state giudicate positivamente, specie nei centri di medie dimensioni, quando sono state capaci di esprimere progettualità comuni - dalla candidatura di progetti FAMI, all’inclusione all’interno dei Piani di zona di azioni specifiche. Lo scarto è stato rappresentato dalla volontà di costruire tavoli di progettazione che guardassero specificatamente alla transizione abitativa e alla costruzione di strumenti di intervento per l’allargamento dell’offerta o per il sostegno della domanda (per esempio i fondi di rotazione o i bonus di ingresso). All’interno della costruzione di queste reti la disponibilità e il ruolo del soggetto pubblico locale è apparso decisivo ed è stato spesso facilitato dal ruolo ricoperto nel sistema SPRAR.
Investimento in progetti di social housing e housing first da parte degli enti che gestiscono le strutture di accoglienza.
Alcuni soggetti impegnati all’interno del sistema dell’accoglienza hanno cominciato a operare in maniera singola o in partenariato con altri enti alla definizione di progetti di accompagnamento verso l’autonomia abitativa, per facilitare il percorso dei rifugiati in uscita dal sistema di seconda accoglienza. A partire dal riconoscimento delle competenze acquisite nella gestione di alloggi e di comunità anche abitative all’interno dei progetti SPRAR diversi enti hanno avviato progetti che mettessero a valore patrimonio proprio (si
SCHEDA 3 L’OFFERTA ABITATIVA PUBBLICA E SOCIALE
pensi ad esempio agli enti ecclesiastici) o di terzi (anche reperiti attraverso le reti attive nell’accoglienza) all’interno di progetti di avvio all’autonomia abitativa. Diversi di questi sono stati nominati come progetti di housing first, appartamenti singoli, in cui i titolari compartecipano all’affitto nella misura del 30% del proprio reddito. In alcuni casi, questi percorsi possono anche aprirsi a utenti e a target diversi dai soli rifugiati. Possono includere un ventaglio di iniziative diverse e a canoni differenziati con l’obiettivo di costruire progetti la cui combinazione di risorse garantisca un equilibrio economico interno, ad esempio aprendosi anche ai mercati del turismo, agli studenti, e al lavoro temporaneo.
SCHEDA 3 L’OFFERTA ABITATIVA PUBBLICA E SOCIALE
SEZIONE III
LINEE DI
INDIRIZZO
E SVILUPPI DI
SISTEMA
Nella sezione finale vengono presentate alcune linee di indirizzo che sono state individuate con il supporto e il lavoro di consultazione degli enti e delle organizzazioni coinvolti. Le ipotesi di sviluppo prendono in considerazione i sistemi di risorse, gli attori coinvolti e le buone prassi riscontrate nei diversi territori. Il risultato è la costruzione di linee di indirizzo che guardano ai diversi interlocutori del sistema di accoglienza, interrogando sia il livello di policy e l’orientamento dei fondi FAMI, sia le prassi organizzative e di intervento degli enti coinvolti nella loro attuazione. In un quadro di politiche incerto e in mutamento – la legge 43/2018 ha modificato le previsioni del d.lgs.142/2015 che aveva abrogato il d.lgs. 140/2005 - quest’ultimo livello sembra essere quello più rilevante poiché interroga direttamente il mandato delle singole organizzazioni e perché chiama in causa la possibilità di ‘sconfinare’ fuori dal sistema SPRAR per costruire un approccio integrato e di filiera, coinvolgendo quindi una pluralità di attori e di soluzioni nell’attuazione di percorsi di transizione abitativa dei titolari di protezione internazionale.
Le linee di indirizzo formulate rispondono a tre macro-obiettivi individuati come rilevanti per il percorso di autonomia abitativa dei rifugiati:
1. Rafforzare l’agency dei titolari di protezione internazionale, intendendosi essi stessi quali prime risorse da attivare per una transizione abitativa efficace;
2. Allargare l’offerta abitativa dedicata (anche) ai titolari di protezione internazionale;
3. Sostenere e accompagnare i percorsi di (inter)mediazione.
Ogni linea di indirizzo può agire su dimensioni differenti: il rafforzamento e potenziamento delle reti - sia individuali che organizzative; lo sviluppo di risorse interne agli enti e alle organizzazioni interne al sistema SPRAR - dagli enti locali al terzo settore; lo sviluppo di dispositivi e meccanismi per favorire i percorsi di transizione abitativa e un più generale sviluppo del sistema casa-accoglienza
SISTEMI DI RISORSE
ATTORI COINVOLTI
BUONE PRASSI
RETE
ORGANIZZAZIONE
DISPOSITIVI
RAFFORZARE L’AGENCY DEI TITOLARI DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE COME RISORSE PER LA TRANSIZIONE ABITATIVA
Valorizzare il capitale umano e culturale dei rifugiati per lavorare sul loro capitale sociale, rendendolo il più possibile funzionale alla ricerca dell’alloggio, e stimolare la loro capacità di attivare tale capitale in autonomia.
Valorizzare le risorse relazionali delle reti di connazionali in cui i rifugiati sono già inseriti, come potenziali alleati nel reperimento di soluzioni abitative autonome.
Introdurre all’interno dei progetti SPRAR una figura di ‘responsabile della transizione abitativa’ con competenze specifiche sul tema dell’orientamento all’offerta abitativa (dalla normativa, alle modalità di accesso in autonomia all’alloggio).
VERSO L’ALLARGAMENTO DELL’OFFERTA ABITATIVA PER I RIFUGIATI
Costruire reti di piccoli proprietari che rendano disponibile, anche temporaneamente, il proprio patrimonio abitativo, incentivando il coinvolgimento sia attraverso meccanismi economici sia attraverso logiche mutualistiche (fare rete e offrire consulenza amministrativa).
Coinvolgere i grandi proprietari in progetti di solidarietà abitativa qualificando il loro patrimonio e definendo modalità contrattuali calmierate.
Valorizzare le competenze organizzative maturate nella gestione dell’accoglienza per l’avvio di progetti abitativi anche temporanei, a partire dall’uso o dalla conversione del patrimonio immobiliare dell’organizzazione o da quello delle sue reti.
Reperire fondi da destinare all’affitto diretto di immobili anche a prezzi di mercato per progetti abitativi transitori.
Ridefinire i criteri di accesso ai servizi abitativi pubblici
estendendoli ai profili specifici che caratterizzano i rifugiati.
Accedere al patrimonio pubblico sottoutilizzato (e/o fuori standard) per destinarlo a progetti abitativi post-accoglienza.
VERSO IL RICONOSCIMENTO DELLA CENTRALITÀ DEI PERCORSI DI (INTER) MEDIAZIONE
Promuovere strumenti finanziari condivisi (per es. fondi di rotazione per la casa) attraverso il coinvolgimento di enti pubblici, privati e del terzo settore, a partire da tavoli di progettazione condivisa.
Potenziare l’azione di mediazione con le proprietà da parte delle agenzie sociali per la locazione, introducendo competenze specifiche nell’organizzazione.
Costruire tavoli permanenti volti all’attivazione di una filiera di professionisti del mercato della casa e del lavoro.
Costituire gruppi di persone, già inserite e attive nella società civile, che affianchino i rifugiati in transizione, in tutte le fase di ricerca della casa, facilitando percorsi di conoscenza e creazione di contatti.
Comunicare all’esterno dell’organizzazione le esperienze di integrazione abitativa di successo, per favorire lo scambio e il passaparola positivo tra gli stakeholder del mercato immobiliare.
Lavorare sulle potenzialità dei mercati dell’accoglienza turistica
per sostenere progetti di inserimento abitativo.
APPENDICE
TRE CASI
TERRITORIALI:
MATERA, MONZA
E RIMINI
MATERA
9-11 ottobre
TRE CASI TERRITORIALI: MATERA, MONZA E RIMINI
MONZA
16-18 ottobre
Laboratorio partecipato
con partner di progetto
Interviste
con operatori delle cooperative con rifugiati
RIMINI
22-24 ottobre
Laboratori partecipati
con i partner di progetto con la rete territoriale
Interviste
con testimoni privilegiati
Laboratori partecipati
con i partner di progetto con la rete territoriale
Interviste
lÕ
con testimoni privilegiati con operatori del accoglienza
Focus group
con i rifugiati
Visite a casi studio
lÕ
76
con operatori del accoglienza con i rifugiati
Visite a casi studio
PERSONE COINVOLTE NELLE ATTIVTÀ
COSA È STATO FATTO PER FRA NOI SUL TEMA CASA?
MATERA
MONZA
FONDI A RIMBORSO DELLE SPESE PER IL PAGAMENTO DELLE UTENZE E DELLE MENSILITÀ D’AFFITTO
RIMINI
FONDI A RIMBORSO DELLE SPESE PER IL PAGAMENTO DI 6 MENSILITÀ D’AFFITTO
PRODUZIONE DOCUMENTAZIONE COMPROVANTE CAPACITÀ DI MANTENERE L’ALLOGGIO VALUTAZIONE OPPORTUNITÀ ABITATIVE FUORI DAL MERCATO PRIVATO CONFRONTO CON SINDACATI
I CONTESTI TERITORIALI
MATERA
MONZA
RIMINI
• Debolezza politiche abitative e sociali
• Alti tassi di disoccupazione
• Scarsità di patrimonio sfitto
• Scarsità di patrimonio pubblico e sociale
• Elevati prezzi di mercato
• Contesto in cambiamento (Matera 2019)
• Limitata estensione dell’accoglienza
• Limitata estensione della città
• Crescente diffidenza e razzismo
• Elevato numero di sfratti esecutivi
• Poca edilizia sociale per i rifugiati
• Soluzioni per emergenza abitativa
• Aumento di richieste di accesso al REI
• Riduzione tra prezzi di locazione min- xxx Xxxxxxxx di patrimonio pubblico e sociale Contesto territoriale contenuto
• Sistema di seconda accoglienza esteso
• Diffidenza e razzismo “costanti strutturali”
• Industria del turismo sviluppata
• Affitti stagionali
• Elevati prezzi del mercato
• Immobili per la locazione compromessi
• Terzo settore attivo sul tema rifugiati
• Reti informali molto sviluppate
• Attore pubblico attivo sul tema abitativo
• Sperimentazioni transizione abitativa
• Diffidenza verso la popolazione straniera
STRATEGIE E INDIZI DI BUONE PRATICHE
• Lavoro d’équipe con scambi costanti tra le diverse aree di intervento, con formazione e aggiornamento costante sui temi della mediazione.
• Costruzione di una rete al di fuori dell’organizzazione per coinvolgere attivamente le agenzie immobiliari e alcuni proprietari “solidali”.
• Lavoro comunicativo e relazionale sulla reputazione dell’organizzazione, con l’obiettivo di comunicare di cosa si occupa e in che modo, e innescare un passaparola positivo.
• Attivazione di soggetti terzi non direttamente connessi al tema casa.
• Costruzione di una rete al di fuori dell’organizzazione per coinvolgere attivamente le agenzie immobiliari, anche per facilitare la mediazione con i proprietari.
• Contatto con una rete abitativa informale presente sul territorio.
• Ridefinizione del ruolo dell’operatore dell’accoglienza: da sostegno a figura centrale in tutto il processo di transizione.
• Sviluppo di attività per favorire le relazioni tra gli ospiti SPRAR e i residenti e sperimentazione di dispositivi per l’integrazione.
• Presenza di uno sportello stranieri rivolto a tutti i cittadini stranieri che svolge anche il ruolo di polo di informazione e orientamento sul tema abitativo.
• Attività di mediazione attraverso l’agenzia dell’affitto per promuovere lo sviluppo di canoni più accessibili .
• Percorsi innovativi di transizione abitativa dalla sperimentazione dell’housing first all’accoglienza in famiglia.
La cooperativa Il Sicomoro, partner del progetto Fra Noi per la Basilicata, oltre a gestire un progetto SPRAR gestisce una casa di riposo per anziani. Da qui parte il ragionamento: immaginare una “Proprietà di Comunità”. Il progetto si basa su un patto tra generazioni portatrici di due esigenze particolari ma non in contrasto. Da un lato anziani soli (o soli in alcuni momenti dell’anno) per i quali un trasferimento in una casa di riposo rappresenta un costo. Dall’altro i migranti in cerca di appartamenti.
Si immagina, quindi, la creazione di un fondo di comunità “Dopo di noi”, che vada a coprire i costi della casa di riposo per quegli anziani che vogliono inserirvisi e non possono sostenerne il costo. Il progetto funziona solo se si è in grado di avviare il fondo. Le case di proprietà di queste persone anziane, rimaste vuote, verranno gestite dalla cooperativa con un duplice fine: da un lato per creare forme di housing sociale in cui inserire i migranti in cerca di casa (ma non solo). Dall’altro, in alcuni momenti dell’anno, utilizzarle per “turismo sociale” - sfruttando il fatto che sia un settore in crescita nella città - per andare ad alimentare un fondo di garanzia che sostenga sia il progetto di housing che il fondo di comunità. Si prevede inoltre, nelle abitazioni usate a scopo turistico, un inserimento lavorativo dei migranti che vivono nell’housing sociale.
Nell’immaginare la partenza di un progetto simile, sono emersi due grandi limiti: uno finanziario, legato alla difficoltà di reperimento dei fondi per l’avvio, per cui sarebbe necessario cercare interlocutori; e uno più ‘culturale’. In merito a quest’ultimo, si è intravisto un ostacolo nel presunto attaccamento degli anziani materani alle proprietà e la riluttanza a immaginarne un utilizzo diverso. Allo stesso tempo, rimane emergente e urgente la richiesta di assistenza per la popolazione anziana, ed è sempre più difficile farvi fronte da parte delle famiglie, anche a causa dello spostamento in altre aree del territorio della rete familiare più giovane.
TRE SPUNTI PROGETTUALI
Nel lavoro effettuato a Monza, emerge con ricorrenza, da più punti di vista e prospettive (degli operatori di progetto, dei soggetti della rete territoriale, dei beneficiari), la necessità che l’operatore dell’accoglienza assuma un ruolo di pivot nel corso di tutto il processo di transizione abitativa dei titolari di protezione internazionale. Questa riflessione nasce dalla convinzione che un’azione efficace a favorire i processi di transizione debba lavorare tanto sull’ampliamento dell’offerta abitativa, quanto soprattutto sul rinforzo della domanda, attraverso la capacitazione dei soggetti beneficiari degli interventi. In questo senso, la figura dell’operatore sembra poter garantire una maggiore e più sensibile attenzione al titolare di protezione internazionale nel corso dell’intero percorso di accoglienza e integrazione, di cui la transizione abitativa costituisce una fase: può scongiurare atteggiamenti assistenziali e infantilizzanti, considerando i beneficiari degli interventi come soggetti attivi e pari, portatori di risorse, ma anche influenzati dalle proprie e altrui aspettative.A partire da questa premessa, il riposizionamento dell’operatore al centro dei percorsi di raggiungimento dell’autonomia abitativa passa quindi da alcuni aspetti del lavoro nell’accoglienza: la formazione degli operatori rispetto a competenze specifiche sul tema casa, sulla normativa di riferimento, sulla contrattualistica; l’orientamento ai servizi territoriali e al mercato locale della casa, e l’accompagnamento dei beneficiari (accompagnamento educativo, e accompagnamento materiale nelle visite e nei colloqui); la mediazione, culturale e abitativa; il lavoro di rete (connessione ai soggetti e ai progetti del territorio) e di équipe (rafforzamento reciproco di competenze e di “posizionamento”); l’analisi del percorso e la valutazione degli esiti (follow-up).
Alcune azioni potrebbero riguardare: attività di formazione specifica, rivolta agli operatori, e di formazione generica dei beneficiari sugli aspetti più pratici della gestione domestica (tipologie di contratti, utenze, gestione appartamento, glossario degli annunci) e l’organizzazione di momenti di confronto tra pari (comunità di apprendimento rispetto, ad esempio, alla gestione del bilancio familiare o degli spazi comuni in appartamento condiviso).
Durante i laboratori promossi per la costruzione del manuale, le reti di Rimini e Ravenna mobilitate intorno all’accoglienza hanno sviluppato ipotesi per la costruzione di un sistema integrato per la transizione abitativa. Il lavoro di connessione di progetti, letture e visioni sviluppato durante i focus group ha permesso di definire una pista di lavoro condivisa che è stata denominata Rete Casa Rimini. Il punto di avvio di questa riflessione è la frammentazione delle azioni rivolte all’autonomia abitativa dei rifugiati e la complessa articolazione delle modalità con cui i rifugiati accedono all’alloggio in uscita dal sistema SPRAR. L’idea della rete è quella di avviare un percorso di sistematizzazione dell’offerta solidale ampliando la partecipazione a soggetti oggi poco riconosciuti, ma che l’esperienza dimostra essere cruciali per il buon esito del processo, dalle reti etniche ai datori di lavoro. L’ipotesi è che, includendo questi soggetti in una rete più ampia, sia possibile sviluppare incentivi e favorire un controllo rispetto alla loro azione.
Le leve di cui potrebbe disporre la rete per aggregare i diversi attori che mettono a disposizione il proprio patrimonio abitativo sono la disponibilità di tutor abitativi che seguano il percorso abitativo dei rifugiati, svolgendo un ruolo di doppia garanzia, sia rispetto al locatore sia rispetto alla tutela della sicurezza abitativa del locatario. Allo stesso tempo la rete permetterebbe di sviluppare azioni di comunicazione istituzionale che lavorino sul tema della reputazione della popolazione rifugiata, ampliando in questo modo la rete degli aderenti. Per superare alcuni limiti delle esperienze già presenti sul territorio è apparso utile immaginare dispositivi di garanzia economica che si aggiungono alla presenza del tutor sia per i proprietari - copertura delle mensilità di morosità in attesa dell’uscita - che per i rifugiati - copertura dei costi di caparra, fondi rotativi per la copertura dell’affitto.
Infine la rete svolgerebbe un ruolo di valorizzazione delle competenze utili alla transizione abitativa sviluppate dai titolari di protezione internazionale attraverso dei percorsi orientativi.
RIFERIMENTI
Anci, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Servizio Centrale dello SPRAR in collaborazione con UNHCR. 2017. Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017.
ASGI. Xxxxx X., Xxxxxxx X. (a cura di). 2009. Scheda pratica. L’accesso degli stranieri all’alloggio.
Fio.PSD (Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora). 2008. Report. La situazione italiana per le persone in grave esclusione abitativa e senza dimora.
Fondation Xxxx Xxxxxx, FEANTSA. 2018. Third Overview of Housing Exclusion in Europe 2018.
Fondazione Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx. 2018. RacCCONTAMI 2018 – 3° censimento dei senza dimora a Milano.
Housing Europe. 2017. The State of Housing in the EU 2017.
IDOS. 2017. Dossier Statistico Immigrazione.
In Migrazione SCS. 2018. Straordinaria accoglienza. I Rapporto.
Istat. 2011. 15° Censimento della popolazione e delle abitazioni 2011.
Istat, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora e Caritas Italiana. 2014. Le persone senza dimora: seconda indagine sulla condizione delle persone che vivono in povertà estrema.
Xxxxxx X., Xxxxxx X. 0000. Living in Limbo. Forced Migrants Destitution in Europe. JRS Europe
Medici Senza Frontiere. 2018. Fuori campo. Insediamenti informali, marginalità sociale, ostacoli all’accesso alle cure e ai beni essenziali per migranti e rifugiati. II Rapporto.
Medici Senza Frontiere. 2016. Fuori campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale. I Rapporto.
Ministero dell’Interno. 2017. Piano nazionale d’integrazione dei titolari di protezione internazionale.
Ministero delle politiche sociali. 2015. Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia. Approvate in Conferenza Unificata il 5 novembre 2015.
Xxxxxxxx X., Xxxxxxxxx X. (a cura di).2018. Prima la casa. La sperimentazione Housing First in Italia. FrancoAngeli.
Nomisma, Soloaffitti. 2018. Il mercato della locazione in Italia. Il trend e le prospettive alla luce delle più recenti novità fiscali.
OHCHR, UN HABITAT. The right to adequate housing. Fact Sheet n.21 (Rev.1).
Xxxxxxxx X.0000. “I muri e le barriere. Il disagio abitativo tra crisi del welfare, crisi del mercato e trasformazioni della famiglia”. Rassegna Italiana di Sociologia. 1, 39, pp. 43-73.
SPRAR, Cittalia. 2016. Rapporto Annuale SPRAR. Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati.
SPRAR, Cittalia. 2017. Rapporto Annuale SPRAR. Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati. #SPRARincomune.
Ranci C. 2002. “Fenomenologia della vulnerabilità sociale”. Rassegna Italiana di Sociologia. 4, pp. 521-552, doi: 10.1423/8191.
Tosi A. 2017. Le case dei poveri. È ancora possibile pensare un welfare abitativo? Mimesis Edizioni. UNHCR. 2017. Focus group sul tema dell’integrazione. Rapporto finale.
MEMORANDUM
SULL’EDILIZIA
SOCIALE E IL
DIRITTO DELL’UE
1 Trattato sull’Unione europea, GU C 202 del 7.6.2016, pagg.
13–388.
2 Articoli 5(1), 4(1) e
13(2) TUE.
3 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, GU C 202 del 7.6.2016,
pagg. 1–388.
POLITICHE SOCIALI E EDILIZIA SOCIALE NEI TRATTATI E NELLE CARTE DEI DIRITTI FONDAMENTALI E LA POSIZIONE DELLE ISTITUZIONI DELL’UNIONE
Trattato sull’Unione Europea e Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea
Il Trattato di Lisbona ha rafforzato la dimensione sociale dell’Unione europea (“UE”) riconoscendo nei trattati i valori sociali dell’Unione e includendo nuovi obiettivi sociali. L’articolo 3 del trattato sull’Unione europea (“TUE”)1 annovera tra gli obiettivi dell’Unione la piena occupazione, il progresso sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e la protezione sociale. Il pieno riconoscimento degli obiettivi sociali nei trattati istitutivi non ha soltanto un significato simbolico. Esso implica altresì una migliore integrazione di tali obiettivi nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche europee.
Detto questo, l’elaborazione e l’attuazione delle politiche sociali sono tuttora di competenza degli Stati membri dell’Unione europea (“Stati membri”), che sono liberi di adottare regole atte a disciplinare questioni sociali specifiche nella misura in cui non siano in contrasto con gli orientamenti e le linee guida dell’UE. Le politiche sociali sono, infatti, considerate più efficaci se applicate al livello degli Stati membri piuttosto che a livello UE. Pertanto, in conformità al principio di sussidiarietà di cui all’articolo 5 TUE, nel settore delle politiche sociali l’UE svolge un ruolo di indirizzo, coordinamento e integrazione dell’azione degli Stati membri. Ciò, nella misura in cui gli Stati membri siano in grado di perseguire gli obiettivi legati a specifiche politiche sociali autonomamente e in misura sufficiente. In particolare, il sistema delle competenze dell’UE è fondato sul principio di attribuzione. Tale principio regola sia la ripartizione verticale delle competenze tra Stati membri e UE, sia la ripartizione orizzontale tra le istituzioni dell’UE.2 Il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”)3 stabilisce la ripartizione delle competenze tra Stati membri e UE nell’ambito delle politiche sociali. Ai sensi dell’articolo 4 TFUE, l’UE e gli Stati Membri hanno competenza concorrente in materia di coesione sociale e di politiche sociali solo in relazione agli aspetti definiti specificamente nel TFUE. Inoltre, l’articolo 5 TFUE attribuisce all’UE la competenza a fornire orientamenti per il coordinamento delle politiche degli Stati membri. L’UE svolge dunque un ruolo di indirizzo in campo sociale. Peraltro, ai sensi dell’articolo 9 TFUE, nel
definire ed attuare le sue politiche e azioni in altri settori, l’UE deve tener conto 4 Articolo 9 TFUE.
delle esigenze connesse alla promozione di un elevato livello di occupazione, alla garanzia di un’adeguata protezione sociale, alla lotta contro l’esclusione sociale e all’esigenza di garantire un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana.4
Il titolo X della parte III del TFUE reca disposizioni specifiche in materia di politiche sociali. In particolare, ai sensi degli articoli 151 e 153 TFUE, l’Unione europea e gli Stati Membri sono tenuti, tra le altre cose, ad adottare misure atte a migliorare le condizioni di vita, mantenere tutele sociali appropriate, combattere l’esclusione sociale e modernizzare i regimi di protezione sociale. A tal fine, gli articoli 152 e seguenti definiscono, in sostanza, il sistema di cooperazione tra gli Stati membri nella delineazione delle politiche sociali e di coordinamento delle medesime. Le istituzioni dell’Unione europea, i comitati istituiti in seno alle medesime e le parti sociali svolgono un ruolo fondamentale nel perseguimento delle suddette finalità di cooperazione e coordinamento. Ad esempio, l’articolo 160 TFUE attribuisce al Comitato per la protezione sociale il compito di seguire la situazione sociale e lo sviluppo delle politiche di protezione sociale negli Stati membri e nell’UE, nonché di agevolare gli scambi di informazioni, esperienze e buone prassi tra gli Stati membri e con la Commissione europea (“Commissione”).
Infine l’articolo 14 TFUE stabilisce che, in considerazione dell’importanza dei servizi di interesse economico generale (“SIEG”) e del ruolo che rivestono nella promozione della coesione sociale e territoriale, l’UE e gli Stati membri hanno l’obbligo di provvedere affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni economiche e finanziarie che consentano loro di assolvere i propri compiti. Al riguardo, il Protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale allegato al TFUE evidenzia l’impegno assunto dagli Stati Membri in merito al raggiungimento di un livello elevato di qualità, sicurezza e accessibilità dei SIEG.
5 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, GU C 202 del 7.6.2016,
pagg. 389–405.
6 Consiglio d’Europa. Carta sociale europea, del 18 ottobre 1961, STE n°035.
7 Consiglio d’Europa. Carta sociale europea (riveduta), del 3 maggio 1996, STE n°163.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
In virtù dell’articolo 6(1) TUE, l’UE riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Carta”), proclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 da Parlamento europeo, Consiglio e Commissione.5 Ai sensi del medesimo articolo, la Carta ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Essa ha dunque un effetto giuridico vincolante e può essere invocata dinanzi ai giudici nazionali. Questo riconoscimento ha un peso rilevante in materia sociale in quanto la Carta garantisce i diritti sociali a tutte le persone che risiedono nel territorio dell’UE.
In particolare, l’articolo 34(3) della Carta riconosce il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa. La disposizione in oggetto è volta a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà. L’articolo 34(3) della Carta è ispirato all’articolo 13 della Carta sociale europea6 e agli articoli 30 e 31 della Carta sociale riveduta.7 Esso deve essere rispettato dall’Unione nel quadro delle politiche fondate sull’articolo 153 TFUE e secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Inoltre, deve essere rispettato dai singoli Stati membri, i quali non possono adottare leggi che si pongano in contrasto con i diritti fondamentali sanciti nella Carta. Una simile condotta verrebbe infatti considerata alla stregua di una violazione del diritto dell’Unione europea.
La Carta sociale europea
La Carta sociale europea è un trattato del Consiglio d’Europa, adottato a Torino nel 1961, entrato in vigore nel 1965 e rivisto a Strasburgo nel 1996. La Carta riveduta è entrata in vigore nel 1999. Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Tutti gli Stati membri dell’UE sono anche Stati membri del Consiglio d’Europa. Essi sono dunque tenuti a rispettare i diritti umani e le libertà riconosciuti nella Carta sociale europea e sono soggetti al meccanismo di controllo a tal fine istituito.
Ai sensi dell’articolo 151 TFUE, nel definire la loro politica sociale, l’UE e gli Stati membri devono tenere presenti i diritti sociali fondamentali definiti
nella Carta sociale europea. Nell’interpretare le disposizioni dell’UE che garantiscono i diritti fondamentali, la stessa Corte di giustizia dell’Unione europea fa spesso riferimento alla previsioni della Carta sociale europea che garantiscono i medesimi diritti.8
La Carta sociale europea sancisce agli articoli 16, 30 e 31, rispettivamente, il diritto della famiglia ad una tutela sociale giuridica ed economica, il diritto alla
8 Sentenza della Corte dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers’ Federation
e Finnish Seamen’s Union / Viking Line ABP e OÜ Viking Line Eesti, C-438/05,
ECLI:EU:C:2007:772,
punto 43; Sentenza
dicembre 2007,
protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale e il diritto all’abitazione. della Corte del 18
Ai sensi dei sopra menzionati articoli, condizioni essenziali per garantire l’effettivo esercizio dei diritti in questione sono, inter alia, la costruzione di abitazioni adatte ai fabbisogni delle famiglie, nonché l’adozione di misure destinate a favorire e promuovere l’effettivo accesso ad abitazioni di livello sufficiente e a rendere il costo delle abitazioni accessibile alle persone che non dispongono di risorse sufficienti. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa si sono dunque impegnati a promuovere l’accesso all’abitazione attraverso misure di sostegno.
La posizione delle istituzioni dell’Unione europea
Le istituzioni dell’UE ricoprono un ruolo attivo nella promozione di misure di sostegno all’edilizia sociale volte a garantire l’inclusione sociale, la coesione e la lotta contro la povertà.
L’impegno congiunto delle istituzioni dell’UE a garantire l’accesso all’edilizia popolare e all’assistenza abitativa è stato recentemente sancito nel “Pilastro europeo dei diritti sociali”, proclamato e firmato il 17 novembre 2017 dal Consiglio, dal Parlamento europeo e dalla Commissione.9 Il diritto all’alloggio è sancito nel Principio 19, secondo cui (i) le persone in stato di bisogno
Laval un Partneri Ltd, C-341/05, ECLI:EU:C:2007:809,
punto 90; Sentenza della Corte del 10 giugno 2010, Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) v. Xxxxxxx Xxxxx and Xxxxxxx Xxxxxxx and Xxxxxxx Xxxxx
and Xxxxx Xxxxxxxxx,
Cause riunite
C-395/08 e C-396/08, ECLI:EU:C:2010:329,
punti 30-32.
9 Comunicazione della Commissione al
Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, del 26 aprile 2017, Istituzione di un pilastro europeo dei diritti sociali,
COM/2017/0250
final; Proposta di proclamazione interistituzionale sul
devono avere accesso ad alloggi sociali o a un’assistenza abitativa di qualità, pilastro europeo dei
(ii) le persone vulnerabili hanno diritto a un’assistenza adeguata e ad essere protette da potenziali sgomberi forzati, e (ii) ai senzatetto sono forniti alloggi e servizi adeguati al fine di promuoverne l’inclusione sociale. Il Principio 19 va al di là di quanto sancito dall’articolo 34(3) della Carta in quanto garantisce non solo il diritto all’assistenza abitativa, ma anche il diritto di accesso all’edilizia popolare. Esso va anche al di là di quanto sancito degli articoli 30 e 31 della Carta sociale europea in quanto prevede l’accesso all’edilizia popolare per le persone che versano in stato di bisogno e non solo per coloro che non dispongono di risorse adeguate.
diritti sociali, del 20 ottobre 2017, 8693/17
SOC 296 EMPL 222
EDUC 161 SAN 172
ECOFIN 32 COM(2017)
- 251 final, reperibile all’indirizzo web https:// www.consilium.europa. eu/it/press/press- releases/2017/11/17/ european-pillar-
of-social-rights- proclamation-and- signing/.
10 Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 giugno 2013 sull’edilizia popolare nell’Unione europea (2012/2293(INI)), GU C 65 del 19.2.2016,
pagg. 40–55.
11 Risoluzione del Parlamento europeo del 14 settembre 2011 su una strategia dell’UE per i senzatetto, GU
C 51 E del 22.2.2013,
pag. 101.
12 Dichiarazione del Consiglio del 6 dicembre 2010 su
“L’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale: lavorare insieme per combattere la povertà nel 2010 e oltre”, Consiglio dell’UE, 3053a sessione del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori, Bruxelles, 6 dicembre 2010, GU
C 333 del 10.12.2010,
pag. 8.
13 Comunicazione della Commissione, del 3 marzo 2010,
intitolata “Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, COM(2010)2020, pag.
19; Comunicazione della Commissione, del 16 dicembre 2010,
intitolata “La Piattaforma europea contro la povertà e l’esclusione sociale: un quadro europeo per la coesione sociale e territoriale”, COM(2010)0758.
Il Parlamento europeo ha a più riprese ribadito che il diritto ad un alloggio adeguato ed economicamente accessibile è un diritto fondamentale e condizione preliminare per l’effettivo esercizio di altri diritti fondamentali, quali il diritto a una vita dignitosa. Ai sensi del diritto internazionale e dell’UE, le autorità nazionali, regionali e locali degli Stati membri hanno il diritto e il dovere di definire la propria politica edilizia e di intervenire per garantire che tale diritto fondamentale sia difeso nei rispettivi mercati immobiliari. Gli Stati Membri sono liberi di determinare il modo in cui il settore dell’edilizia sociale debba essere organizzato e finanziato, nonché le tipologie di nuclei familiari idonei a ricevere aiuto.10
In considerazione della complessità dei diversi strumenti previsti dall’UE e della necessità di garantire la coerenza tra i medesimi, il Parlamento europeo ha incoraggiato la Commissione a definire un quadro di azione europeo per l’edilizia sociale e ad agevolare gli Stati membri nell’adozione di misure adeguate. Secondo il Parlamento europeo, infatti, occorre garantire un adeguato grado di coerenza tra i vari strumenti strategici utilizzati dall’UE per affrontare la questione. Tali strumenti includono, inter alia, gli aiuti di Stato, i fondi strutturali UE, la politica energetica, le azioni di lotta contro la povertà e l’emarginazione sociale e la politica sanitaria. Il Parlamento europeo ha inoltre sottolineato che i finanziamenti da parte di fondi strutturali dovrebbero essere allocati all’edilizia abitativa in favore di gruppi emarginati per contrastare la mancanza di fisse dimore negli Stati Membri.11
Con il sostegno del Consiglio,12 nell’ambito della strategia Europa 2020 la Commissione europea si è impegnata ad attuare una “Piattaforma europea contro la povertà” che comprende, tra le altre misure, un sostegno mirato da parte dei fondi strutturali per l’inclusione sociale.13 Peraltro, l’edilizia sociale assume una posizione chiave nel raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 poiché contribuisce a garantire livelli elevati di impiego, inclusione e coesione sociale, a promuovere la mobilità della manodopera e a combattere il cambiamento climatico e la povertà energetica tramite l’ammodernamento del parco immobiliare.
L’approccio della Commissione alle politiche di promozione degli alloggi per rifugiati è analogo a quello adottato dalla medesima istituzione in materia di edilizia popolare. In particolare, la Commissione ritiene che la responsabilità delle politiche edilizie ha rilevanza nazionale e gli Stati Membri possono finanziarla con fondi pubblici come compensazione di servizio pubblico (previo controllo della compatibilità come aiuto di stato), richiedere finanziamenti ai fondi strutturali UE,
nonché alla Banca europea per gli investimenti (“BEI”).14
14 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al
È opportuno, infine, menzionare che le dichiarazioni e risoluzioni del Consiglio e del Consiglio, al Comitato
pag. 11.
europeo e al Comitato
sull’integrazione dei
Parlamento europeo e gli atti di soft law di definizione delle politiche predisposti economico e sociale dalla Commissione non hanno carattere giuridico vincolante e non sono pertanto delle regioni, del 7 giugno vincolanti per gli Stati Membri e la Corte di giustizia dell’Unione europea (“Corte”). 2016, Piano d’azione Benché tali atti non rivestano carattere vincolante, essi sono essenziali per la cittadini di paesi terzi, comprensione della politica UE in materia di edilizia abitativa sociale e forniscono COM/2016/0377 final,
una guida per l’interpretazione della normativa UE.
15 Regolamento (UE) n. 1304/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013
, relativo al Fondo sociale europeo e che abroga il regolamento (CE) n. 1081/2006 del
Consiglio, GU L 347 del 20.12.2013, pagg.
470–486.
16 Regolamento (UE) n. 1301/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17
STRUMENTI DELL’UNIONE EUROPEA UTILIZZABILI PER IL FINANZIAMENTO DELL’EDILIZIA SOCIALE
Attraverso i cosiddetti fondi strutturali e di investimento europei, l’Unione europea fornisce finanziamenti in relazione a una grande varietà di progetti e programmi, ivi inclusi i programmi di sviluppo regionale e urbano e i progetti finalizzati all’inclusione sociale. Tra i fondi strutturali e di investimento europei si annoverano il Fondo sociale europeo (“FSE”), il Fondo europeo di sviluppo regionale (“FESR”) e il Fondo di coesione (“FC”).
Il FSE rappresenta uno dei principali strumenti finanziari dell’UE a sostegno delle politiche nazionali volte a promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e tutti i tipi di discriminazione. Ciascuno Stato membro è tenuto ad attribuire a progetti aventi tali finalità almeno il 20 % delle risorse garantite dall’FSE.15 Il FSE contribuisce finanziariamente alle misure nazionali di sostegno alla politica di protezione ambientale, ivi incluse le misure di sostegno all’efficienza energetica e all’uso di fonti energetiche rinnovabili nell’edilizia
al Fondo europeo di
dicembre 2013 , relativo sociale. Il FESR fornisce sostegno finanziario a progetti volti allo sviluppo e
sviluppo regionale e a disposizioni specifiche concernenti l’obiettivo “Investimenti a favore della crescita e dell’occupazione” e che abroga il regolamento (CE) n. 1080/2006, GU L 347 del 20.12.2013,
pagg. 289–302.
17 Regolamento (UE) n. 1301/2013, articoli 5(4) (c), 5(9)(a), 5(9)(b).
all’adattamento strutturale delle economie regionali, ai cambiamenti economici, al potenziamento della competitività e alla cooperazione territoriale in tutta l’UE. Il Regolamento (UE) n. 1301/2013 definisce le priorità d’investimento dell’FESR.16 Rientrano nel novero delle le priorità d’investimento dell’FESR
(i) i progetti per l’efficienza energetica, la gestione intelligente dell’energia e l’uso dell’energia rinnovabile nel settore dell’edilizia abitativa, ivi inclusa l’ediliza sociale, (ii) gli investimenti in infrastrutture sociali volti a promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e discriminazione, e (iii) i progetti di sostegno per la rigenerazione economica e sociale delle comunità sfavorite nelle aree urbane e rurali.17 Il FC incoraggia, inter alia, gli investimenti che portano benefici all’ambiente in termini di efficienza energetica e di uso di fonti energetiche rinnovabili. Tali investimenti possono contribuire, indirettamente, anche all’accesso ad un alloggio adeguato ed efficiente.
Tra gli altri strumenti finanziari dell’UE sono compresi, a titolo esemplificativo:
• Il Fondo asilo, migrazione e integrazione 2014-2020 (“FAMI”). Il FAMI è stato istituito con Regolamento UE n. 516/2014,18 con l’obiettivo di promuovere una gestione efficace dei flussi migratori e lo sviluppo,
l’attuazione e il rafforzamento di un approccio comune alle tematiche 18 Regolamento
dell’asilo, dell’integrazione e del rimpatrio.
(UE) n. 516/2014 del
Parlamento europeo
istituisce il Fondo
abroga le decisioni
modifica la decisione
• Il Fondo europeo per gli investimenti strategici (“FEIS”). Il FEIS è gestito e del Consiglio, del dalla Banca europea per gli investimenti e sostiene gli investimenti 16 aprile 2014 , che strategici in settori chiave, quali i progetti sociali, l’istruzione, la sanità, le Asilo, migrazione e infrastrutture, l’efficienza energetica e l’ambiente. In particolare, rientrano integrazione, che tra le operazioni di finanziamento e di investimento della Banca europea 2008/381/CE del per gli investimenti le operazioni funzionali agli obiettivi di promozione Consiglio e che
delle infrastrutture sociali e dell’economia sociale e solidale.19 Beneficiari n. 573/2007/CE e
di sostegno possono, dunque, essere anche le organizzazioni senza scopo n. 575/2007/CE del
Parlamento europeo
di lucro.
e del Consiglio e la
CE del Consiglio, GU
• Il Fondo di aiuti europei agli indigenti (il “FEAD”) sostiene gli interventi decisione 2007/435/
promossi dagli Stati membri per fornire un’assistenza materiale agli L 150, 20.5.2014, p.
indigenti.
168–194.
(UE) 2015/1017 del
Se sono concessi direttamente dall’Unione, i finanziamenti garantiti attraverso 19 Regolamento
strategici, al polo
giugno 2015 relativo
i fondi strutturali e di investimento europei o altri strumenti finanziari dell’UE Parlamento europeo non rientrano nella nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107(1) TFUE. . e del Consiglio del 25 Solo i vantaggi concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali al Fondo europeo possono qualificarsi come aiuti di Stato. Tuttavia, ogni qual volta le risorse per gli investimenti utilizzate per finanziare i progetti e gli investimenti in questione vengono europeo di consulenza
trasferite ad autorità pubbliche nazionali che godono di discrezionalità nella sugli investimenti e al
portale dei progetti di
determinazione dei beneficiari e dei relativi importi, rientrano nella nozione investimento europei
di risorse statali di cui all’articolo 107(1) TFUE.20 Prima di essere attuate, le e che modifica i
1291/2013 e (UE)
relative misure di supporto pubblico devono pertanto essere notificate alla regolamenti (UE) n.
Commissione e da quest’ultima autorizzate.
n. 1316/2013 – il
Fondo europeo per gli investimenti strategici, GU L 169, 1.7.2015, pp.
1–38, articolo 9(g)(v).
20 Si veda, a titolo di esempio, Sentenza della Corte, 6 luglio 2017, Nerea, C-245/16, ECLI:EU:C:2017:521;
Sentenza del Tribunale, 28 novembre 2008, Hotel Cipriani e a. vs Commissione delle Comunità europee, Cause riunione T-254/00, T-270/00 e T-277/00, ECLI:EU:T:2008:537.
LA DISCIPLINA DEGLI AIUTI DI STATO E L’EDILIZIA SOCIALE
Brevi cenni
Il controllo degli aiuti di Stato nell’UE è una componente essenziale della politica di concorrenza e rappresenta una salvaguardia necessaria per lo sviluppo del mercato interno. Le norme UE richiedono agli Stati membri di verificare se gli aiuti di Stato rappresentano uno strumento strategico adeguato per raggiungere gli obiettivi di interesse comune. Il sistema di controllo degli aiuti di Stato contribuisce pertanto ad evitare un utilizzo dispendioso delle risorse pubbliche.
Per mezzo del regime di controllo degli aiuti di Stato, il TFUE stabilisce anche i limiti alla discrezionalità degli Stati Membri nel fornire supporto attraverso fondi pubblici alle iniziative volte all’accesso all’edilizia sociale.
Le disposizioni in materia di controllo degli aiuti di Stato sono numerose e traggono origine dal TFUE, dal diritto derivato, dal cosiddetto soft law e dalla giurisprudenza della Corte, che costituisce la fonte principale per l’interpretazione delle rilevanti disposizioni del trattato. La presente sezione è volta a fornire un quadro conciso delle norme in materia di aiuti di Stato applicabili alle misure di supporto dell’edilizia sociale.
l’Articolo 107 TFEU e la giurisprudenza della Corte
L’articolo 107(1) TFEU stabilisce che le misure di supporto pubblico che rientrano nella nozione di aiuto delineata dallo stesso articolo sono in principio proibite. Questa proibizione non è tuttavia assoluta. I paragrafi 2 e 3 dello stesso articolo 107 TFEU e l’articolo 106(2) TFUE contengono un certo numero di deroghe al divieto, soddisfatte le quali gli aiuti di Stato possono essere considerati compatibili con il mercato comune e quindi autorizzati. L’applicazione di tali deroghe necessita l’esame dei progetti di aiuto di Stato da parte della Commissione, come previsto dall’articolo 108 TFEU.
Il controllo europeo degli aiuti di Stato si basa, infatti, su un sistema di autorizzazione ex ante. L’articolo 108 TFEU dispone che gli Stati membri notifichino alla Commissione qualsiasi progetto diretto a istituire o modificare
un aiuto di Stato (obbligo di notifica preventiva) prima di procedere alla sua esecuzione e non possono darvi esecuzione prima che sia stato autorizzato dalla Commissione (obbligo di sospensione). Pertanto, salvo casi particolari, gli Stati membri non possono concedere aiuti di Stato a meno che la Commissione non abbia adottato una decisione che statuisce che l’aiuto in questione può beneficiare di deroga alla previa notifica ai sensi degli articoli 107(2) e (3) o 106(2) TFUE.
Gli aiuti concessi in violazione dell’obbligo di notifica preventiva e/o di sospensione e senza previa approvazione della Commissione sono automaticamente considerati “aiuti illegali”. In base alle norme procedurali vigenti, la Commissione è tenuta a ordinare il recupero presso il beneficiario di qualsiasi aiuto illegale che risulti incompatibile con il mercato comune. Inoltre, la Corte ha riconosciuto che i giudici nazionali sono competenti a decidere se le procedure di notifica siano state soddisfatte e, in caso contrario, ad ordinare il recupero dell’aiuto e dei relativi interessi.
Alla luce di quanto sopra, il primo passaggio di analisi previsto dal sistema di controllo degli aiuti di Stato è volto a stabilire se una misura di supporto pubblico costituisca o meno un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107(1) TFUE, e, dunque, se la Commissione abbia competenza ad esaminare la misura in questione. La nozione di aiuto di Stato è un concetto giuridico oggettivo definito direttamente dal TFUE,21 come interpretato dalla giurisprudenza della Corte.22 La competenza a determinare se una misura di aiuto notificata costituisca aiuto di Stato è conferita alla Commissione, la cui valutazione in merito può essere oggetto di impugnazione davanti alla Corte. La Commissione è vincolata dalla nozione oggettiva di aiuto e nell’applicarla dispone unicamente di un limitato margine di discrezionalità, in particolare in situazioni che richiedono valutazioni economiche complesse23 o la verifica di errori manifesti compiuti dagli Stati membri nel definire un servizio come SIEG.24
L’articolo 107(1) TFUE definisce le condizioni cumulative che una misura di supporto pubblico deve soddisfare affinché possa considerarsi un aiuto di Stato. In particolare, rientrano nella definizione di aiuto di Stato le misure di supporto concesse dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsano o minacciano di falsare la concorrenza, nella misura in cui incidono sugli scambi tra gli Stati membri. Affinché una misura possa essere qualificata come aiuto di Stato è, dunque, in primo luogo necessario che il beneficiario della stessa sia un’impresa. In secondo luogo, è necessario un intervento da parte dello Stato
21 Sentenza della Corte di giustizia del 22 dicembre 2008, British Aggregates/ Commissione,
C-487/06 P, ECLI:EU:C:2008:
757, punto 111.
22 Sentenza della Corte di giustizia del 21 luglio 2011,
Alcoa Trasformazioni/ Commissione,
C-194/09 P, ECLI:EU:C:2011:497,
punto 125.
23 Sentenza della Corte di giustizia del 22 dicembre 2008, British Aggregates/
Commissione, C-487/06 P, ECLI:EU:C:2008:757,
punto 114, e la sentenza della Corte di giustizia del 2 settembre
2010, Commission/ Xxxxx, C-290/07 P, ECLI:EU:C:2010:480,
punto 66.
24 Sentenza della Corte del 12 febbraio 2008, British United Provident Association Ltd
(BUPA) / Commissione delle Comunità europee, T-289/03, ECLI:EU:T:2008:29,
punti 166-169 e
172; Sentenza del Tribunale del 15 giugno 0000, Xxxx Xxxxx, XX contro Commissione, ECLI:EU:T:2005:218,
punto 216.
25 Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, C/2016/2946, GU C 262, 19.7.2016, pagg.
1–50.
26 Sentenza della Corte di giustizia del 12 settembre 2000, Xxxxxx e altri, cause riunite da C-180/98 a C-184/98, ECLI:EU:C:2000:428,
punto 74; sentenza della Corte di giustizia del 10 gennaio 2006,
Cassa di Risparmio di Firenze SpA e altri, C-222/04, ECLI:EU:C:2006:8,
punto 107.
27 Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, C/2016/2946, GU C 262, 19.7.2016, pagg.
1–50.
28 Sentenza della Corte di giustizia del 29 ottobre 0000, Xxx Xxxxxxxxx, cause riunite da 209/78 a 215/78 e 218/78, ECLI:EU: C:1980:248,
punto 88; sentenza della Corte di giustizia del 16 novembre 1995, FFSA e altri, C-244/94, ECLI:EU:C:1995:392,
punto 21; sentenza della Corte di giustizia del 1o luglio 2008, MOTOE, C-49/07, ECLI:EU:C:2008:376,
punti 27 e 28.
o attraverso risorse dello Stato. In terzo luogo, la misura di sostegno deve conferire un vantaggio selettivo al beneficiario. Infine, la misura deve produrre
o minacciare di produrre effetti distorsivi della concorrenza e sugli scambi tra Stati Membri. La Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato fornisce precisazioni sui principali concetti inerenti alla nozione di aiuto di Stato alla luce della giurisprudenza della Corte.25
Per ciò che concerne la nozione di impresa, secondo la costante giurisprudenza della Corte essa abbraccia qualsiasi ente che esercita un’attività economica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento.26 La qualificazione di un determinato ente come impresa dipende interamente dalla natura delle sue attività e non dallo stato giuridico dell’ente in questione ai sensi del diritto nazionale. La questione se esista o meno un mercato per determinati servizi dipende dal modo in cui essi sono organizzati nello Stato membro interessato e può quindi variare da uno Stato membro all’altro.27 Inoltre l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato prescinde dal fatto che l’ente sia stato o meno costituito per conseguire degli utili. Anche gli enti senza scopo di lucro possono, infatti, offrire beni e servizi su un mercato.28 Qualora ciò non avvenga, essi non sono soggetti al controllo sugli aiuti di Stato. Ciò è vero anche nell’ipotesi di misure statali concesse direttamente
o indirettamente attraverso organizzazioni senza scopo di lucro a persone fisiche o altre organizzazioni senza scopo di lucro che non svolgano attività economiche. Infine, gli enti che svolgono sia attività economiche sia attività non economiche sono considerati imprese solo per quanto riguarda le prime attività.29
Ai sensi dell’articolo 106(2) TFUE, le imprese che forniscono SIEG sono sottoposte alle regole sugli aiuti di Stato contenute nel TFUE nella misura in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, de jure o de facto, della specifica missione loro affidata. Pertanto l’obbligo di notifica preventiva e l’obbligo di sospensione si applicano altresì alle compensazioni finanziarie concesse da un’autorità pubblica ai fornitori di SIEG che rientrano nella nozione di aiuto di Stato.
Ciò è confermato anche dall’articolo 14 TFUE, che prevede espressamente che gli Stati membri devono adempiere ai loro obblighi di garanzia di un elevato livello di servizi di interesse generale adottando misure conformi agli articoli 106 e 107 TFUE.
La condizione del vantaggio economico di cui all’articolo 107(1) TFUE assume
particolare rilievo ai fini della valutazione circa la possibile qualificazione di una determinata compensazione per la prestazione di SIEG come aiuto. Per soddisfare tale condizione, una misura di sostegno pubblico deve offrire un vantaggio economico che il beneficiario non potrebbe ricevere in condizioni normali di mercato, ossia in assenza di intervento dello Stato. Nella sentenza Altmark30 la Corte ha chiarito le condizioni alle quali le compensazioni degli obblighi di servizio pubblico non costituiscono aiuti di Stato a causa
29 Sentenza del
Tribunale del 12
dicembre 0000, Xxxxxxxxx xx Xxxxx/ Commissione,
T-128/98, ECLI:EU:T:2000:290,
punto 108.
del 24 luglio 2003,
dell’assenza di vantaggio economico. In particolare, la Corte ha individuato le 30 Sentenza della Corte
seguenti condizioni cumulative:
Altmark, C-280/00, ECLI:EU:C:2003:415,
punti 88-93.
i.l’impresa beneficiaria deve essere effettivamente incaricata dell’adempimento
di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi devono essere definiti in modo
chiaro;
31 Comunicazione della Commissione
ii. i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono sull’applicazione delle
essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente;
norme dell’Unione europea in materia
compensazione
iii. la compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire di aiuti di Stato alla
interamente o in parte i costi originati dall’adempimento degli obblighi di concessa per la
servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti agli stessi nonché di un prestazione di servizi di
margine di utile ragionevole;
interesse economico generale, GU C 8 dell’
Si veda anche la Guida
economico generale, e
iv. quando la scelta dell’impresa da incaricare dell’adempimento di obblighi di 11.1.2012, pagg. 4–14. servizio pubblico non venga effettuata nell’ambito di una procedura di appalto relativa all’applicazione pubblico, il livello della necessaria compensazione deve essere determinato ai servizi di interesse sulla base di un’analisi dei costi che un’impresa gestita in modo efficiente in particolare ai servizi
avrebbe dovuto sopportare per adempiere tali obblighi.
sociali di interesse
generale, delle norme dell’Unione europea
Tali condizioni sono meglio specificate dalla successiva giurisprudenza della in materia di aiuti di
Stato, di appalti pubblici
Corte e dalla Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme e di mercato interno,
dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alle compensazioni concesse SEC(2010) 1545 def.
per la prestazione di SIEG.31
del 7 dicembre 2010.
32 Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia
di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale, GU C 8 dell’ 11.1.2012, pagg. 4–14,
punti 51-51.
33 Sentenza della Corte del 12 febbraio 2008, British United Provident Association Ltd
(BUPA) / Commissione delle Comunità europee, T-289/03, ECLI:EU:T:2008:29,
punti 171 and 224.
34 Sentenza della Corte del 10
dicembre 1991, Merci Convenzionali Porto di Genova SpA contro Siderurgica Xxxxxxxxx
SpA, causa C-179/90, ECLI:EU:C:1991:464,
punto 27; Sentenza della Xxxxx xxx 00 xxxxxx 0000, XX- Link A/S contro De Danske Statsbaner, causa C-242/95,
ECLI:EU:C:1997:376,
punto 53; Sentenza della Corte del 18 giugno 1998, Corsica Ferries France / Gruppo Antichi Ormeggiatori del porto di Genova e a., causa C-266/96, ECLI:EU:C:1998:306,
punto 45.
35 Sentenza della Corte del 12 febbraio 2008, British United Provident Association Ltd
(BUPA) / Commissione delle Comunità europee, T-289/03, ECLI:EU:T:2008:29,
punti 166-169 e
172; Sentenza del Tribunale del 15 giugno 0000, Xxxx Xxxxx, XX contro Commissione, ECLI:EU:T:2005:218,
punto 216.
La nozione di servizio di interesse economico generale
Alla luce della prima condizione Xxxxxxx, la nozione di SIEG assume particolare rilievo ai fini della qualificazione di una compensazione come aiuto. Affinché una compensazione costituisca un vantaggio economico, infatti, i beneficiari devono essere incaricati dello svolgimento di una specifica missione – i.e. un SIEG – per mezzo di un atto che può assumere la forma di un atto legislativo o regolamentare o di un contratto,32 e i loro obblighi di servizio pubblico devono essere definiti in maniera chiara. Tale requisito comporta, innanzitutto, la definizione del SIEG in questione.33 In generale, l’affidamento di una specifica missione di servizio pubblico implica la prestazione di servizi che un’impresa, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura o alle stesse condizioni. Gli Stati Membri non possono attribuire obblighi specifici di servizio pubblico a servizi che vengono già forniti — o che possono essere forniti — da imprese operanti in normali condizioni di mercato in modo soddisfacente e a condizioni coerenti con il pubblico interesse, quali il prezzo, le caratteristiche qualitative oggettive, la continuità e l’accesso al servizio.
La nozione di SIEG è un concetto in evoluzione. Esso dipende, tra l’altro, dalle esigenze dei cittadini, dagli sviluppi tecnologici e del mercato e dalle preferenze sociali e politiche nello Stato membro interessato. La Corte ha stabilito che i SIEG sono servizi che presentano caratteri specifici rispetto alle altre attività economiche.34 Secondo la giurisprudenza consolidata, gli Stati Membri godono di un ampio margine di discrezionalità nel definire un determinato servizio come SIEG e nel compensare il prestatore del servizio. Le competenze della Commissione al riguardo sono limitate alla verifica di errori manifesti compiuti dagli Stati membri nel definire un servizio come SIEG e alla valutazione degli eventuali aiuti di Stato connessi alla compensazione.35 Nell’ipotesi il settore di riferimento sia regolato da norme specifiche dell’UE, la discrezionalità degli Stati membri è soggetta ad esse.
La discrezionalità degli Stati membri in materia discende direttamente dalle previsioni del Protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale allegato al TFUE. Tale Protocollo stabilisce che le autorità nazionali, regionali e locali godono di una vasta discrezionalità nel fornire, commissionare e organizzare SIEG il più vicini possibile alle esigenze degli utenti. Ciò, in ragione del riconoscimento della diversità tra i vari SIEG e delle differenze nelle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse.
I servizi volti a favorire l’accesso ad alloggi sociali possono essere definiti come SIEG
Nella Risoluzione dell’11 giugno 2013 sull’edilizia popolare, il Parlamento europeo ha asserito che le politiche nazionali in materia di edilizia sociale sono parte integrante dei SIEG poiché aiutano a favorire la soddisfazione del fabbisogno di alloggi, facilitare l’accesso alla proprietà, promuovere la qualità degli alloggi, migliorare gli alloggi esistenti e adeguare le spese di alloggio alla situazione delle famiglia e alle risorse degli occupanti. In tale contesto, il Parlamento europeo ha dunque espresso preoccupazione in relazione alla definizione restrittiva di edilizia sociale data dalla Commissione nel quadro della disciplina degli aiuti di Stato e ha affermato nuovamente che le autorità pubbliche sono libere di determinare le modalità di organizzazione dell’edilizia
36 Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 giugno 2013 sull’edilizia popolare nell’Unione europea (2012/2293(INI)), GU C
65 del 19.2.2016, pagg.
40–55, punti 3 e 12
37 Parere del Comitato delle regioni, “Verso un’agenda europea per l’edilizia abitativa sociale”, CdR 71/2011
definitivo, ECOS-V/014.
2, del trattato sul
l’applicazione delle
Commissione, 2012/21/
sociale in conformità con l’articolo 14 TFUE e il Protocollo 26 allegato al 38 Decisione della TFUE.36 Ha dunque invitato la Commissione a precisare la definizione di edilizia UE, del 20 dicembre sociale, sulla base di uno scambio di esperienze e prassi di eccellenza tra gli 2011, riguardante Stati membri e tenendo conto del fatto che l’edilizia popolare è concepita e disposizioni dell’articolo gestita in modi diversi a livello nazionale, regionale e locale. La posizione e le 106, paragrafo preoccupazioni del Parlamento europeo sono condivise dal Comitato europeo funzionamento
delle regioni.37
dell’Unione europea agli aiuti di Stato sotto forma di
In particolare, la Decisione della Commissione 2012/21/UE (“Decisione SIEG compensazione degli
C(2011) 9380], GU L 7
pubblico, concessi a
di servizi di interesse
2012”)38 specifica le condizioni soddisfatte le quali determinate categorie di obblighi di servizio aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico determinate imprese concessi a determinate imprese incaricate della gestione di SIEG sono de incaricate della gestione jure compatibili con il mercato interno ai sensi dell’articolo 106(2) ed esenti economico generale dall’obbligo di notifica di cui all’articolo 108(3) TFUE. Ai sensi della Decisione [notificata con il numero
SIEG 2012, i servizi rispondenti ad esigenze sociali in materia di edilizia sociale dell’ 11.1.2012, pagg.
sono qualificati come SGEI39 e le compensazioni per tali servizi sono esenti 3–10.
dall’obbligo di notifica preventiva. Tuttavia il considerando 11 della Decisione SIEG 2012 identifica quali servizi di edilizia sociale esenti dall’obbligo di notifica preventiva soltanto i servizi volti a fornire alloggi “a cittadini svantaggiati o a
gruppi sociali più svantaggiati che non sono in grado di trovare un alloggio a 39 Si veda, in tal
condizioni di mercato a causa di limiti a livello di solvibilità”. Unici destinatari senso, anche la Guida
dei servizi che godono del beneficio in oggetto sono dunque i cittadini e i relativa all’applicazione
ai servizi di interesse
gruppi svantaggiati.
economico generale, e in particolare ai servizi
generale, delle norme
In risposta ad un quesito rivolto alla Commissione da un membro del Parlamento sociali di interesse
europeo, nel 2017 il Commissario europeo per la concorrenza Xxxxxxxxx xxxx’Unione europea in
materia di aiuti
40 Con riguardo alle restrizioni applicabili alla discrezionalità degli Stati Membri nella
definizione del sostegno
all’edilizia sociale, il Parlamento europeo ritiene che la definizione di edilizia sociale fornita dalla Commissione nell’ambito della disciplina degli aiuti di Stato è eccessivamente restrittiva. E’ in tale contesto che nel 2017 il Parlamento europeo ha sollevato la questione inviando un quesito in merito al Commissario europeo per la concorrenza Xxxxxxxxx Xxxxxxxx.
Xxxxxxxx ha asserito che gli Stati membri dispongono di un notevole potere discrezionale nel definire come SIEG i servizi rispondenti ad esigenze sociali in materia di edilizia sociale.40 Per rientrare nella nozione di SIEG, tuttavia, i servizi per l’edilizia sociale devono rispondere ad un’esigenza pubblica, i.e., la fornitura di alloggi a cittadini svantaggiati o a gruppi socialmente meno favoriti. Il Commissario ha precisato che gli Stati membri non possono definire un SIEG nel settore dell’edilizia sociale in modo così ampio da andare al di là della risposta a questa esigenza pubblica. In ogni caso, a detta del Commissario, la Commissione ha in passato accettato l’esigenza di garantire una certo mix sociale e la coesione sociale come validi obiettivi di interesse generale per i quali possono essere concessi aiuti di Stato ai sensi della Decisione SIEG 2012.41
In linea con la menzionata posizione, nel caso olandese sugli aiuti di Stato per progetti a vantaggio delle società di edilizia residenziale sociale (“caso olandese”),42 la Commissione ha preteso che i Paesi Bassi circoscrivessero la fornitura di alloggi sociali a un gruppo chiaramente definito di persone svantaggiate o a gruppi sociali svantaggiati. La normativa olandese di
all’indirizzo web
41 Il quesito è accessibileriferimento, infatti, non circoscriveva la fornitura di alloggi sociali da parte
xxxx://xxx.xxxxxxxx. xxxxxx.xx/xxxxx/ document/E-8-2017- 001712_EN.html.
dei fornitori di edilizia sociale a un gruppo target chiaramente identificato. Gli impegni successivamente proposti dalle autorità olandesi hanno identificato il gruppo target di persone svantaggiate attraverso molteplici fattori, il principale
Risposta del commissariodei quali consiste nella soglia di reddito. In ragione della soglia di reddito
Vestager alla domanda scritta
da parte di MEP Xxxxx Xxxxxxxxx (S&D) (E-001712/2017),
accessibile all’indirizzo web xxxx://xxx. xxxxxxxxxxxxx.xx/ resource-974/on-the- right-track-to-getting- more-clarity-on-the-eu-s- approach-to-housing.
e degli altri fattori stabiliti, il 43 % della popolazione olandese ricade nella definizione di persona svantaggiata. La Commissione ha ritenuto che il 43
% della popolazione olandese possa costituire un “gruppo target specifico di cittadini svantaggiati o gruppi sociali più svantaggiati, incluso un margine atto a garantire l’eterogeneità sociale”.43 Alla luce di ciò, si potrebbe ritenere che gli Stati Membri godano effettivamente di un certo grado di discrezionalità nell’identificare i beneficiari ultimi delle misure di sostegno per l’accesso
all’alloggio.
La prassi decisionale della Commissione annovera tra le misure di supporto ai servizi di edilizia sociale che possono qualificarsi come compensazioni per SGEI, inter alia, le seguenti misure:
• La messa a disposizione di alloggi ad affitti agevolati;
• L’assegnazione di fondi per prestiti immobiliari
• La messa a disposizione di prestiti ipotecari;
• I regimi di edilizia a prezzi accessibili intesi a fornire alloggi a costi ridotti;
• I regimi di sovvenzioni per gli affitti e sistemi di sovvenzioni per persone anziane e disabili e per nuclei familiari socialmente svantaggiati;
• La fornitura di infrastrutture ausiliarie nel campo dell’edilizia popolare, come strade, negozi, aree giochi e ricreative, parchi, terreni, spazi aperti, luoghi di culto, fabbriche, scuole, uffici e altre costruzioni o terreni e altri lavori e servizi analoghi, necessari per garantire un contesto adeguato per l’edilizia popolare.44
43 Decisione della Commissione C(2009) 9963, del 15 dicembre 2009, relativa agli aiuti di Stato E 2/2005 e
N 642/2009 — Paesi Bassi — Aiuto esistente e aiuto specifico per progetti a vantaggio delle società di edilizia residenziale sociale, punti 40, 41 e 73.
Commissione relativa
Regolamenti, decisioni e comunicazioni che 44 Decisione della
89/2004 - Irlanda
disciplinano le compensazioni degli obblighi agli aiuti di Stato N
di servizio pubblico
- Garanzie a favore della Housing Finance Agency (HFA),
della Commissione
abitativa finanziati
Il Regolamento (UE) n. 360/2012 della Commissione disciplina l’applicazione Programmi di edilizia degli articoli 107 e 108 TFUE agli aiuti di importanza minore – cosiddetti aiuti dalla HFA, GU C 131, de minimis concessi ad imprese che forniscono SIEG.45 Ai sensi dell’articolo 28.5.2005; e Decisione 2 di tale Regolamento, se l’importo complessivo delle sovvenzioni concesse relativa alla causa
Loan guarantee for
a un’impresa che fornisce SIEG non supera 500.000,00 EUR nell’arco di tre N 395/05 - Irlanda -
esercizi finanziari, tali sovvenzioni non incidono sugli scambi tra Stati Membri social infrastructure
e, pertanto, non sono considerate aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107(1) schemes funded by
the Housing Finance
TFUE.
Come anticipato, una misura di supporto in favore di prestatori di SIEG per l’edilizia sociale che rientra nella definizione di aiuto di Stato può comunque
Agency (HFA), GU C 77, 5.4.2007.
(UE) n. 360/2012
soddisfare le condizioni poste dalla Decisione SIEG 2012 per l’esenzione 45 Regolamento dall’obbligo di notifica preventiva di cui all’articolo 108(3) TFUE. A tal fine, della Commissione, in primo luogo, beneficiari ultimi dei SIEG per l’edilizia sociale devono essere del 25 aprile 2012,
relativo all’applicazione
cittadini o gruppi sociali svantaggiati, identificati sulla base di specifici degli articoli 107
parametri. Ai fini della sua applicabilità, la Decisione SIEG 2012 richiede e 108 del trattato
concessi ad imprese
dell’Unione europea
generale, GU L 114 del
la soddisfazione di altre condizioni. In particolare, essa prevede specifici sul funzionamento requisiti in relazione all’atto di incarico e la selezione del fornitore di SIEG, agli aiuti di importanza obblighi di separazione contabile per i casi in cui il fornitore di SIEG svolga minore («de minimis») anche attività al di fuori dell’ambito del SIEG, ben definiti parametri per la che forniscono servizi determinazione della compensazione per i SIEG, criteri di controllo per evitare di interesse economico
il rischio di sovracompensazione, etc. Soddisfatte tutte condizioni di cui alla 26.4.2012, pag. 8.
Decisione SIEG 2012, i prestatori di SIEG per l’edilizia sociale possono essere esentati anche nel caso in cui la compensazione superi la soglia generale di
46 Decisione SIEG
2012, considerando 11
e considerando 12.
47 Comunicazione della Commissione – Disciplina dell’Unione europea relativa agli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico (2011), GU C 8, 11.1.2012, pag. 15.
48 Sentenza della Corte dell’8 maggio 2013, Libert e a., Cause riunite C-197/11 e
C-203/11, ECLI:EU:C:2013:288.
49 Decisione della Commissione C(2009) 5658, del 13 luglio 2009, relativa agli aiuti di Stato N 358/2009
— Ungheria, Support scheme for housing loans; Decisione della Commissione C(2009) 9243, del 24 novembre 2009, relativa agli aiuti di Stato N 603/2009 – Ungheria, Modification of the Hungarian support scheme
for housing loans N 358/2009; Decisione della Commissione C(2011) 4154, del 9
giugno 2011, SA.32993 (2011/N) – Ungheria, Further prolongation of Hungarian guarantee for housing loans.
50 Decisione della Commissione C(2009) 9876, del 4 dicembre 2009, relativa agli aiuti di Stato N 463/A/2008
– Francia, Aides fiscales
à l’investissement outre-mer (logement social).
compensazione stabilita dalla Decisione SIEG 2012 – i.e., EUR 15 milioni – e il periodo di affidamento dell’incarico ecceda il limite di 10 anni stabilito per gli altri SIEG.46
Gli aiuti di Stato che non rientrano nel campo di applicazione della Decisione SIEG 2012 devono essere notificati alla Commissione. Possono tuttavia essere da quest’ultima dichiarati compatibili con l’articolo 106(2) TFUE se sono necessari per la gestione dei SGEI in questione e non incidono sullo sviluppo degli scambi in misura contraria all’interesse dell’UE. Per raggiungere tale equilibrio devono essere soddisfatte le condizioni di compatibilità stabilite dalla Commissione nella comunicazione recante la disciplina relativa agli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico (“Comunicazione XXXX 0000”).47 Tali condizioni riguardano, inter alia, l’atto di incarico che specifica gli obblighi di servizio pubblico, la durata del periodo di incarico, il rispetto delle norme dell’UE sull’aggiudicazione degli appalti, l’assenza di discriminazione, le modalità di calcolo della compensazione, l’importo della compensazione e l’assenza di sovracompensazione, gli obblighi di separazione contabile, gli incentivi all’efficienza, etc.
Linee guida per la predisposizione di modelli di finanziamento nel settore dell’edilizia sociale conformi alle regole dell’Unione sugli aiuti di Stato
conclusioni della
Il caso olandese e il caso Libert e a. (“caso belga”)48 forniscono linee guide 51 Ad oggi, la Corte per la predisposizione di modelli di finanziamento nel settore dell’edilizia non ha messo sociale conformi alle regole dell’Unione sugli aiuti di Stato. In entrambe i in discussione le
pendente davanti al
solo sotto il profilo
casi, la Commissione e la Corte hanno sottoposto i modelli di finanziamento Commissione in quanto all’edilizia sociale a un approfondito esame. Altri esempi da cui trarre spunto ha analizzato il caso nella predisposizione di modelli di finanziamento dell’edilizia sociale sono procedurale. Tuttavia il la decisione della Commissione sul regime di aiuto ungherese a favore dei procedimento è tuttora mutuatari (“caso ungherese”),49 volto alla riduzione degli espropri durante Tribunale, che ha il
la crisi, e il regime di aiuti fiscali francese a sostegno dell’edilizia sociale compito di valutare le
del caso. Si vedano,
nei territori d’oltremare (“caso dei territori francesi d’oltremare”).50 La questioni sostanziali
Commissione ha autorizzato entrambi i regimi di aiuto.
Il caso olandese
Ordinanza del Tribunale, 12 maggio 2015,
Stichting Woonlinie e a. / Commissione europea, T-202/10
RENV, EU:T:2015:287;
Corte, 15 marzo
Il caso olandese fornisce un contributo rilevante nella delineazione dei confini Sentenza della
Woonlinie e a. /
della discrezionalità di cui godono gli Stati Membri nella definire i servizi per 2017, nella causa l’edilizia sociale come SIEG e del potere della Commissione nel verificare C-414/15 P Stichting l’assenza di errori manifesti nella suddetta definizione. La decisione della Commissione europea,
e nella causa
Commissione ha confermato che le misure di supporto adottate dall’Olanda EU:C:2017:215
sono conformi alle regole sugli aiuti di Stato. In particolare, la Commissione ha C-415/15 P Stichting
ritenuto che la misura inizialmente notificata dall’Olanda costituisse un aiuti Woonpunt e a. /
Commissione europea,
di Stato. Sulla base degli impegni proposti dai Paesi Bassi, la Commissione EU:C:2017:216.
ha successivamente ritenuto che la misura fosse compatibile con il mercato interno ai sensi dell’articolo 106(2) TFUE, in quanto conforme alle previsioni di cui alla Decisione SIEG 2012.51
I Paesi Bassi hanno notificato alla Commissione due successivi regime di aiuti di Stato a vantaggio di associazioni senza scopo di lucro attive nel settore dell’edilizia sociale. In particolare, beneficiari del regime sono associazioni attive nell’acquisizione, costruzione e locazione di alloggi destinati principalmente a “persone e gruppi sociali svantaggiati”, nella costruzione e manutenzione di infrastrutture ausiliari nonché nella costruzione e locazione di edifici di pubblica utilità. Le medesime associazioni operano anche nei settori
della costruzione e locazione di edifici a uso commerciale.
Le misure originariamente notificate dall’Olanda consistevano in:
• Garanzie di Stato per finanziamenti concessi dal fondo di garanzia per la costruzione di alloggi popolari;
• Sovvenzioni e finanziamenti di progetti da parte del Centraal Fonds voor de Volkshuisvesting (fondo olandese per l’edilizia sociale);
• Vendita di terreni da parte delle autorità municipali a prezzi inferiori rispetto al valore di mercato;
• Prestiti da parte della Bank Nederlandse Gemeenten.
52 Decisione della Commissione C(2009) 9963, del 15 dicembre 2009, relativa agli aiuti di Stato E 2/2005 e
N 642/2009 — Paesi Bassi — Aiuto esistente e aiuto specifico per progetti a vantaggio delle società di edilizia residenziale sociale, punto 40.
53 Ibidem, punto 41.
54 Ibidem, punto 73.
La Commissione ha qualificato le sopra menzionate misure come aiuti di Stato e ha ritenuto che il servizio pubblico oggetto delle misure in questione non fosse indirizzato a un gruppo chiaramente identificato di persone svantaggiate o a gruppi sociali svantaggiati.52 Al fine di garantire che le misure in questione fossero compatibili con il mercato interno, la Commissione ha proposto all’Olanda di modificare il regime di aiuti in esame in modo tale da:
• circoscrivere l’accesso agli alloggi sociali a un gruppo chiaramente identificato di persone o a specifici gruppi sociali svantaggiati;
• garantire la separazione contabile tra le attività commerciali e le attività senza scopo di lucro delle associazioni beneficiarie, prevedendo conti separati e sottoponendo le stesse ad adeguato processo di audit per le attività di servizio pubblico e le attività commerciali;
• adattare la fornitura di alloggi sociali alla domanda da parte di persone o gruppi sociali svantaggiati.
Le autorità olandesi hanno definito il gruppo target di persone svantaggiate in riferimento a molteplici fattori, il principale dei quali consisteva in una soglia massima di reddito pari a 33.000,00 EUR. Circa il 43% della popolazione olandese ricadeva in quella definizione53 e veniva ritenuto dalla Commissione europea “un gruppo target specifico di cittadini svantaggiati o gruppi sociali più svantaggiati, incluso un margine atto a garantire l’eterogeneità sociale”.54
Gli impegni proposti dai Paesi Bassi contenevano inoltre alcuni obblighi, quali, a titolo di esempio:
• non sostenere progetti commerciali o progetti ordinari di infrastruttura pubblica, separare le attività commerciali dalle attività di servizio pubblico;
• concedere edifici destinati a uso commerciale in affitto a conduttori a 55 Ibidem, punto 53.
un canone inferiore al canone di mercato, limitando in quel momento i vantaggi di cui godono i beneficiari;
• limitare il sostegno a quanto strettamente necessario per evitare la sovracompensazione e organizzare gli appalti per i lavori di costruzione.
La Commissione europea non ha sollevato preoccupazioni riguardo al fatto che il regime di aiuti in questione avesse un’applicazione illimitata nel tempo.55
Il caso belga
Nel caso belga, la Corte di giustizia europea ha esaminato alcune disposizioni belghe recanti misure di sostegno all’edilizia sociale alla luce delle norme del TFUE in materia di libera circolazione delle persone, libera prestazione dei servizi, libera circolazione dei capitali, nonché degli atti adottati in esecuzione delle stesse e delle regole dell’UE in materia di aiuti di Stato.
La novità in questo caso è che la Corte ha ritenuto che le misure pubbliche a sostegno dei SIEG possono essere esentate sulla base sia delle regole UE sul mercato interno sia delle regole UE sugli aiuti di Stato.
In particolare, la normativa belga oggetto del procedimento:
1. subordina la cessione di immobili situati in taluni comuni designati dal governo fiammingo (“comuni bersaglio”) ad una “condizione specifica”, secondo la quale tali beni possono essere “ceduti” – vale a dire venduti, concessi in locazione per più di nove anni o sottoposti ad un diritto di enfiteusi o di superficie – solo a persone che, secondo il parere di una commissione di valutazione provinciale, presentano un “legame sufficiente” con detti comuni.
2. impone, in determinati casi, un “onere sociale” ai lottizzanti ed ai committenti. Tale onere consiste in sostanza nella destinazione di una parte del loro progetto di costruzione alla realizzazione di alloggi popolari ovvero il versamento di un contributo. Tali operatori economici beneficiano, come controprestazione, di diversi incentivi fiscali e di meccanismi di sovvenzionamento. In particolare, gli operatori beneficiano dei seguenti incentivi e sovvenzioni:
• applicazione di un’aliquota ridotta dell’IVA sulla vendita di alloggi e di un tasso ridotto dei diritti di registrazione per l’acquisto di un terreno edificabile
• garanzia di recupero per gli alloggi costruiti
• sovvenzioni di infrastrutture
diretti a compensare l’onere sociale cui sono soggetti i committenti ed i lottizzanti, e
• riduzione dell’imposta sulle persone fisiche ottenuta nell’ambito della conclusione di convenzioni di ristrutturazione
• diminuzione forfettaria della base imponibile dei diritti di registrazione
aventi la finalità di “riadattare” terreni ed immobili. Secondo la Corte, se è vero che il beneficiario di quest’ultime misure è una persona fisica, ciò non toglie che procurano indirettamente un vantaggio alle imprese attive nel settore delle ristrutturazioni immobiliari.
56 Sentenza della
Corte, 8 maggio 2013, Libert e a., Cause riunite
C-197/11 e C-203/11, ECLI:EU:C:2013:288,
punti 39-47.
La Corte ha ritenuto che le disposizioni di cui al punto 1 costituiscono manifestamente restrizioni alla libera circolazione delle persone e dei capitali, nonché alla libera prestazione dei servizi. In particolare, esse impediscono alle persone che non dispongono di un “legame sufficiente” con i comune bersagli di acquistare terreni o costruzioni edificate su questi ultimi, di prenderli in locazione per una durata superiore a nove anni o ancora di contrarre su di essi un diritto di enfiteusi o di superficie. Inoltre, le suddette disposizioni dissuadono i cittadini dell’UE che possiedono o prendono in locazione un immobile nei comuni bersaglio dal lasciarli per soggiornare sul territorio di un altro Stato membro o di svolgervi un’attività professionale. Inoltre, ad avviso della Corte, la circostanza che gli immobili situati in un comune bersaglio non possono essere venduti o dati in locazione a qualsiasi cittadino dell’Unione, bensì soltanto a quelli che possono dimostrare di avere un “legame sufficiente” con il comune in questione, restringe manifestamente la libera prestazione di servizi delle imprese immobiliari di cui trattasi. Infine, le misure nazionali in oggetto subordinano investimenti immobiliari ad un previo procedimento di autorizzazione diretto a verificare l’esistenza di un “legame sufficiente” tra il potenziale acquirente o locatario di un immobile ed il comune bersaglio in questione, restringendo così la libera circolazione dei capitali. L’obbligo di sottoporsi a un siffatto procedimento è, infatti, idoneo a dissuadere i non residenti dall’effettuare investimenti immobiliari in uno dei comuni bersaglio della Regione fiamminga.56
La Corte ha poi analizzato se, secondo la giurisprudenza consolidata, le disposizioni nazionali di cui al punto 1 possono tuttavia essere giustificate in quanto perseguono un obiettivo di interesse generale, sono adeguate a