Le nuove regole degli ammortizzatori sociali ALTRI CONTRATTI
R.S.U. Siae Microelettronica
Le nuove regole degli ammortizzatori sociali ALTRI CONTRATTI
Il lavoro coordinato a progetto | pag. | 1 |
Collaboratori con partita IVA | pag. | 4 |
Lavoro a tempo parziale | pag. | 6 |
Lavoro intermittente o a chiamata | pag. | 7 |
II lavoro occasionale o accessorio | pag. | 10 |
Legge n° 92/2012 art. 1 | pag. | 12 |
II LAVORO COORDINATO A PROGETTO
Le modifiche operate dalla Legge di riforma al decreto istitutivo del lavoro coordinato a progetto (d.lgs. 276/2003) hanno il preciso obiettivo di razionalizzare l'istituto e di evitare che lo stesso sia utilizzato dai datori di lavoro in forma distorta per nascondere un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente.
Le modifiche, che si applicano solo ai contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della nuova legge (art. 1, e. 25), sono ad ampio raggio e toccano diversi punti:
1) si sopprimono le due nozioni alternative a quella del "progetto", cioè la possibilità agganciare il rapporto ad un "programma" di lavoro e "fase" di esso: requisiti che ne allargavano in modo significativo le modalità organizzative della prestazione lavorativa. Il Ministero del lavoro, all'alba della Riforma Biagi, aveva descritto il "programma" di lavoro e la "fase" di esso come "un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale", ma piuttosto un'attività orientata, per caratteristiche, alla produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali;
2) si nega la possibilità di identificare il progetto con una mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente;
3) si esclude che il progettò possa comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi;
4) oltre a descrivere dettagliatamente i contorni del progetto si impone anche di individuare il risultato finale da conseguire;
5) per le mansioni non di elevata professionalità, si disincentiva il ricorso al progetto che abbia modalità di esercizio analoghe a quelle dei dipendenti del committente;
6) il corrispettivo concordato deve rispettare i minimi di retribuzione previsti dai contratti
collettivi che saranno appositamente concordati per questo tipo di contratto;
7) viene eliminata la possibilità per il committente di recedere dal contratto con un semplice preavviso;
Modifica alla nozione di progetto
L'art. 1, co. 23, della Riforma, esclude - come già accennato - che il progetto possa "consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente". Ciò vuoi dire che è negata la possibilità di assegnare al lavoratore a progetto un incarico che abbia ad oggetto un'attività identica a quella istituzionale del committente cioè l'attività tipica che caratterizza la sua missione di business. Questo fenomeno è evidentemente più accentuato in tutte quelle realtà aziendali che non dispongono, o ne dispongono in misura molto ridotta, di lavoratori dipendenti fissi, dove quindi potrebbe attribuirsi in larga misura ai lavoratori a progetto il raggiungimento degli obiettivi economici desiderati, tolti i quali non residuerebbe alcuna organizzazione strutturata ed organizzata attraverso l'ausilio di lavoratori dipendenti.
Sotto l'aspetto più strettamente formale, la Riforma impone da una parte di scrivere nel contratto (come già in passato), in modo puntuale, il contenuto caratterizzante del progetto e dall'altra di individuare il "risultato finale che si intende conseguire" (art.1, e 23, lett. b).
La mancanza di individuazione di uno specifico progetto porta alla sua riconduzione al lavoro subordinato a tempo indeterminato. L'opera di trasformazione automatica ex legge è operata attraverso una presunzione legale assoluta che non ammette prova contraria. Il Legislatore della Riforma ritiene che l'articolo 69, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, debba interpretarsi "nel senso che l'individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato" (art. 1, e. 24).
Maggiori tutele per il lavoro a progetto
Sono state anche rafforzate le tutele per il vero lavoratore autonomo a progetto.
La più interessante è certamente quella che impone il rispetto di un corrispettivo minimo di retribuzione da riconoscere al lavoratore a progetto, sulla scorta di quanto previsto dai contratti collettivi che saranno appositamente sottoscritti.
Precisamente, il nuovo testo dell'art. 63, co. 1, del D.lgs. 276/2003, dispone che "II compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e, in relazione a ciò nonché alla particolare na tura della prestazione e del contratto che la regola, non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati."
Rispetto alla formulazione precedente, viene confermato l'obbligo di proporzionare il corrispettivo alla quantità e qualità del lavoro, con la soppressione, però, del precedente riferimento ai compensi normalmente corrisposti nel luogo di esecuzione del rapporto. Ciò in quanto, ora, il parametro di riferimento per la quantificazione del compenso è dato dai minimi previsti da appositi contratti collettivi per il lavoro autonomo coordinato a progetto.
Bisognerà vedere con quali formule le parti sociali definiranno i minimi corrispettivi e come, nel far questo, riusciranno a combinare le due distinte volontà (forse inconciliabili) del Legislatore che da una parte impone il rispetto di un corrispettivo minimo "sindacale" e dall'altra pretende che il compenso sia svincolato dar "tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa" (art. 61, co. 1, D.lgs. 276/2003). Pensando, per esempio, alla lunga esperienza che sulla materia delle "tariffe" hanno accumulato gli ordini professionali e alle difficoltà di applicazione soprattutto delle misure minime di recente abrogate, qualche riserva rimane circa l'effettiva capacità delle parti sociali (abituate a costruire tabelle retributive solo ed esclusivamente agganciate al parametro tempo, cioè il tempo che il lavoratore dipendente mette a "disposizione" del datore di lavoro) di arrivare ad accordi collettivi che siano improntati sulle dinamiche di quantificazione del corrispettivo tipiche del lavoro autonomo.
Recesso con preavviso, ma solo per il lavoratore
Viene eliminata la possibilità per il committente di recedere dal contratto anticipatamente rispetto alla scadenza del termine con un semplice preavviso. In precedenza il recesso poteva essere libero con preavviso se pattuito espressamente (come è ancora il recesso del collaboratore). Ora, la nuova norma lo ammette solo per giusta causa o per inidoneità professionale del collaboratore impeditiva della realizzazione del progetto (art. 1, e. 23, lett. e), che novella l'art. 67, e. 2, d.lgs. n. 276/2003), In questo modo il lavoratore a progetto gode di una stabilità per il periodo pattuito simile a quella del lavoratore subordinato a termine che è licenziabile solo per giusta causa
COLLABORATORI CON PARTITA IVA
La riforma del lavoro porta con sé anche la tanto discussa razionalizzazione delle collaborazioni rese dai titolari di partita IVA.
La legge di riforma (art. 1, commi 26 e 27) vuole contrastare il ricorso alle collaborazioni rese dai titolari di partita IVA quando queste facciano pensare, per dimensioni e per modalità di esercizio, ad un rapporto di lavoro autonomo non genuino.
La tecnica utilizzata prevede l'inserimento di un nuovo articolo all'interno della disciplina dedicata al lavoro a progetto contenuta nella Biagi (art. 69-bis, Capo I, Titolo VII, del D.lgs. 276/2003), affiancato da una interpretazione autentica del comma 3, primo periodo, dell'art. 61 del medesimo D.lgs, 276/2003. Viene sancito che le prestazioni lavorative rese da persona titolare di partita IVA sono considerate rapporti di collaborazione coordinata e continuativa se l'incarico professionale presenta almeno due dei seguenti caratteri (nuovo art. 69-bis, comma 1, D.lgs. 276/2003):
a) la collaborazione abbia durata complessivamente superiore a 8 mesi per due anni consecutivi (il riferimento ai due anni consecutivi è stato introdotto dall'articolo 46-bis della Legge 7 agosto 2012, n. 134 che ha convertito il Decreto 83/2012, cosiddetto "Decreto Sviluppo);
b) il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, costituisca più dell'80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni consecutivi (anche qui il riferimento ai due anni è stato introdotto dalla citata Legge 134/2012);
c) il lavoratore autonomo disponga di una postazione "fissa" di lavoro presso una delle sedi del committente.
Presunzione legale a prova contraria limitata
La soluzione legislativa adottata introduce una presunzione legale relativa. Il comma 1 dell'art. 69-bis precisa che è ammessa "prova contraria da parte del committente". Per effetto di tale presunzione, anche se si tratta dei soli caratteri di tipo quantitativo come la durata e il fatturato, la presenza di una collaborazione coordinata e. continuativa diventa un fatto "vero" che non necessita più di essere supportato da altri elementi accusatori.
Nessun valore, in tal modo, viene più attribuito ai requisiti qualitativi del rapporto di lavoro (autonomia e coordinamento della prestazione), mentre si predilige l'uso di meccanismi agganciati ad elementi che facilmente possono essere individuati e misurati (fatturato e durata) ancorché avulsi dalle modalità di attuazione effettiva del rapporto di lavoro, Aver introdotto attraverso una presunzione legale una deroga ai principi generali sulla ripartizione dell'onere della prova, comporta uria posizione particolarmente agevole per la parte che vorrà sostenere l'abusività del lavoro autonomo con "fattura".
Risulta evidente che la posizione scelta del Legislatore determina uno stato di perenne provvisorietà della forma contrattuale liberamente scelta dalle parti per regolare il rapporto di lavoro perché, anche in funzione di quanto si è detto e si dirà in tema di lavoro a progetto e riduzione della flessibilità di alcuni contratti di lavoro speciali, chi non opterà per il lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato dovrà vivere gli sviluppi del contratto temendo costantemente una sua conversione automatica.
La scelta di limitare poi la possibilità della prova contraria al solo committente e non anche al lavoratore autonomo non è condivisibile perché potrebbe anche danneggiare quest'ultimo.
Immaginiamo il caso di un lavoratore autonomo che per anni ha versato alla gestione Inps degli artigiani che si ritrova, suo malgrado, nella Gestione Separata.
Un regime a doppia riqualificazione
I commi 4 e 5 del nuovo articolo 69-bis, individuano le conseguenze sanzionatone per chi incorre nella presunzione legale ossia l'applicazione integra le della disciplina del lavoro a progetto.
IIregime sanzionatone si applica fin da subito ai soli rapporti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della legge (18 luglio 2012), mentre per i rapporti in corso a tale data, al fine di consentire gli opportuni adeguamenti, si applicherà solo dopo che sia decorso il 18 luglio 2013 (dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge).
E' bene ricordare che "l'integrale applicazione della disciplina sul progetto" (Capo I, Titolo VII, D.Lgs. 276/2003), in caso di rapporti di lavoro autonomo con partita IVA travolti dalla presunzione legale in precedenza analizzata, comporterà quasi sempre la sanzione prevista per le ipotesi di collaborazioni coordinate e continuative sprovviste di Uno specifico progetto.
L'esperienza sul campo, infatti, porta a presumere, con una certa attendibilità, che la mag- gior parte delle prestazioni di lavoro regolate con fattura, che si ritrovino travolte dalla presunzione legale, risulteranno evidentemente sprovviste di uno specifico progetto e dunque subiranno una doppia riconversione legale:
1) ai sensi del 1° comma dell'art. 69-bis saranno riqualificate come collaborazioni coordinate e continuative;
2) successivamente, "per effetto del comma 4 del lo stesso articolo, in mancanza di un progetto specifico, subiranno anche la sanzione del comma 1, art.69, del D.Lgs. 276/2003, che riconduce ipso facto alla trasformazione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato, sin dalla data di costituzione del rapporto.
Con il comma 5, del nuovo art. 69-bis, la norma tenta invece di mitigare gli effetti devastanti che sotto il profilo assicurativo potrebbero ricadere sul lavoratore. Viene previsto che quando la prestazione lavorativa subisce la scure della riqualificazione, gli oneri contributivi derivanti dall'obbligo di iscrizione alla gestione separata dell'INPS, sono a carico per due terzi del committente e per un terzo del collaboratore. Nel caso in cui il giudice imponga al lavoratore l'assolvimento dei relativi obblighi di pagamento, a questi è dato il diritto di rivalersi nei confronti del committente.
LAVORO A TEMPO PARZIALE
Non è facile comprendere il motivo per cui uno strumento contrattuale ben congeniato come il part-time possa aver generato nel tempo una massa così consistente e costante di revi- sioni normative. Dalla riforma dell'istituto operata con il D.lgs 25 febbraio 2000, n. 61, attuativo di una specifica disposizione comunitaria, gli interventi sulla norma sono stati numerosissimi e cadenzati con ritmi davvero ingiustificati, per accentuare la flessibilità, a volte per limitarla e altre volte ancora per ripristinare lo status precedente.
Il paradosso sta nel fatto che il contratto part-time raramente si presta a quegli usi distorti; anzi, per come è strutturato molto spesso si presenta come unica alternativa per favorire l'inserimento e il reinserimento
nel mondo del lavoro di giovani, donne, lavoratori anziani in difficoltà occupazionali e, non da ultimo, anche per la ricollocazione dei "giovani pensionati" che il nostro disarticolato ed iniquo sistema pensionistico è riuscito nel tempo a produrre. Ne consegue che, anche se lo strumento è assolutamente utile al mercato del lavoro, particolarmente a quello femminile, le ripetute e costanti modifiche non fanno, altro che allontanare i datori di lavoro meno strutturati (micro e piccole imprese) che notoriamente non amano le complicazioni legali.
Venendo alle novità della Riforma, ancora una volta l'attenzione del legislatore è concentrata sulle clausole flessibili ed elastiche, con un intervento che si può certamente catalogare tra quelli riduttivi della flessibilità, in netta controtendenza rispetto ai recenti interventi operati in senso opposto. Ricordiamo l'art. 22, e. 4, legge n. 183/2011, che oltre ad eliminare la burocratica convalida innanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro dell'accordo di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale, ammetteva la pattuizione di clausole flessibili ed elastiche anche in assenza di disciplina collettiva, e la riduzione del preavviso minimo di utilizzo delle medesime da 5 a 2 giorni.
Ora si torna alla regolamentazione delle clausole flessibili ed elastiche in vigore prima della Legge 183/2011, aggiungendo, tuttavia, la possibilità per i contratti collettivi di prevedere "condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l'eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche". In sostanza, i contratti collettivi potranno stabilire nuove regole che consentiranno al lavoratore di tornare sui suoi passi, eliminando o modificando unilateralmente i termini dell'accordo sulle clausole,
LAVORO INTERMITTENTE O A CHIAMATA
II lavoro intermittente rappresenta per il Legislatore della riforma lo strumento contrattuale a più alta concentrazione di abusi, tanto che in prima battuta si era pensato di riproporre, per la seconda volta in pochi anni, la sua completa eliminazione. Al contrario, l'impianto definitivo della legge n. 92/2012 porta soltanto una riduzione della flessibilità insita nel contratto "intermittente", che tuttavia, per alcuni aspetti di gestione pratica dell'istituto (vedi obblighi di comunicazione), snatura la funzione tipica del contratto, nato per far fronte a esigenze organizzative e produttive contingenti e non sempre preventivabili.
Per cominciare, la Riforma rivede il campo di applicazione del contratto. Dal 18 luglio scorso, il ricorso al lavoro intermittente sulla base del requisito di età ana-grafica del lavoratore viene notevolmente compresso. Il contratto di lavoro a chiamata sarà utilizzabile per i soggetti con più di 55 anni di età e per i soggetti con meno di 24 anni di età, introducendo per questi ultimi l'ulteriore condizione che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età. In altre parole il Legislatore ha inteso ulteriormente ristringere il campo di applicazione per i più giovani nei seguenti termini:
• ai fini della stipula del contratto il lavoratore non deve aver compiuto 24 anni;
• ai fini della effettiva prestazione di lavoro intermittente il lavoratore non deve aver compiuto 25 anni.
Ne deriva che l'assunzione potrà essere operata fino al giorno precedente il compimento del ventiquattresimo anno di età, ma la prestazione lavorativa intermittente potrà essere resa sino al giorno antecedente al compimento dei 25 anni. L'intenzione del Legislatore è abbastanza chiara: impedire che un contratto di lavoro intermittente stipulato da un giovane con meno di 24 anni possa proseguire indefinitamente. Sul punto, il Ministero del Lavoro ha già fatto sapere che gli ispettori del lavoro, in presenza di tale violazione, contesteranno al datore di lavoro la sanzione della "trasformazione" del rapporto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato.
E' stata abrogata la disposizione che consentiva di ricorrere, sempre e comunque, al lavoro intermittente per prestazioni da rendersi nel fine settimana, nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali e nei periodi ulteriori eventualmente predeterminati dalla contrattazione collettiva.
Lo scenario che si presenta dal, 18 luglio 2012, in ordine al campo di applicazione del contratto intermittente è dunque quello schematizzato nel riquadro in basso
La disciplina transitoria
Importante è anche la disciplina transitoria che consentirà il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa. La Riforma prevede che i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data del 18 luglio 2012, che non siano compatibili con le novità introdotte, cessano di produrre effetti a partire dal 18 luglio 2013 (decorsi .dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge).
Ne deriva che sin da subito, cioè a far data dal 18 luglio 2012, non è anzitutto possibile sottoscrivere contratti di lavoro intermittente secondo la previgente disciplina. Nello specifico, non è più possibile (da subito) stipulare contratti a chiamata con soggetti dai 24 anni e fino ai 55, e non è più possibile utilizzare lavoratori a chiamata in occasione dei
periodi "predeterminati" salvo contrattazione collettiva, in quanto l'articolo 37 del decreto Xxxxx che ne consentiva il ricorso è stato abrogato con decorrenza 18 luglio 2012.
Il periodo transitorio di 12 mesi, dunque, interagisce solo sui contratti di lavoro intermittente già in essere al 18 luglio 2012, i quali, come detto, dal 18 luglio 2013 "cesseranno di produrre effetti", e l'eventuale prestazione che non rispetterà questo termine sarà considerata al pari del lavoro "nero" (Xxx Xxx. circolare 18/2012)
La comunicazione preventiva della chiamata
Infine l'intervento che ha subito le più aspre critiche dal mondo imprenditoriale: l'introduzione a carico del datore di lavoro di un obbligo di comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro che preannuncia la "chiamata" in servizio del lavoratore intermittente.
L'art. 35 del D.Lgs. n. 276/2003, nella nuova formula introdotta dalla Riforma, stabilisce che prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare fa durata della stessa con modalità semplificate, cioè con strumenti comuni come il telefono cellulare ("SMS"), il fax o la posta elettronica. Le istruzioni specifiche e le modalità applicative della comunicazione sono state demandate ad un apposito decreto del Ministero del lavoro di concerto con il Ministero della pubblica amministrazione e semplificazione, i quali tuttavia non avranno un obbligo vincolante in tal senso perché la legge n. 92/2012 si esprime in termini di "facoltà" e non di "necessità" (letteralmente viene usato il temine "possono").
Il Ministero del lavoro, tuttavia, ha già fornito un primo assaggio dell'ipotetico scenario che potrebbe presentarsi dopo l'adozione del decreto accennato (Xxx Xxx. circolare 18/2012), che a parere di chi scrive non è affatto conforme al dettato legislativo.
Le prime (contraddittorie) istruzioni ministeriali
Viene precisato innanzi tutto che la comunicazione preventiva per ogni chiamata è obbligatoria, senza eccezioni, per tutti i contratti a chiamata, stipulati sia precedentemente al 18 luglio 2012 che successivamente.
Con riguardo alla comunicazione a mezzo e-mail, potrà essere utilizzata anche la posta elettronica ordinaria non certificata, purché le comunicazioni siano indirizzate esclusivamente agli indirizzi di posta istituzionale delle Direzioni Territoriali del Lavoro.
La comunicazione "semplificata preventiva" deve avere le seguenti caratteristiche:
• contenere i dati identificativi del lavoratore ovvero dei lavoratori in caso di un'unica comunicazione valida per più lavoratori;
• indicare con esattezza il giorno o i giorni in cui si prevede l'impiego dei lavoratori nell'ambito di un periodo non superiore ai 30 giorni dalla comunicazione (es: i giorni 15, 18 e 21 di agosto 2012, per un totale, in questo caso, di 3 giorni di lavoro; oppure i giorni dal 15 al 22 di agosto 2012, per un totale, in questo caso, di 8 giorni di lavoro);
• non è necessario comunicare anche l'orario in cui il lavoratore sarà occupato nell'ambito della singola giornata;
• il carattere "preventivo" è rispettato se la comunicazione è antecedente all'effettivo impiego, ancorché trasmessa nello stesso giorno di inizio della prestazione.
• potrà essere modificata o annullata in qualunque momento attraverso l'invio di una successiva comunicazione, da effettuarsi sempre prima dell'inizio della prestazione di lavoro; in assenza di modifica o annullamento della comunicazione già inoltrata, gli ispettori ministeriali riterranno la prestazione lavorativa comunque effettuata per i giorni indicati, e il datore di lavoro sarà invitato a sostenere il costo retributivo e quello contributivo anche se la prestazione di lavoro non è stata effettuata.
L'eventuale chiamata del lavoratore in giorni non coincidenti con quelli inizialmente comunicati (anche solo per la diversa collocazione temporale degli stessi) comporterà, oltre al predetto onere retributivo e contributivo, la contestazione della sanzione per mancata comunicazione preventiva (da euro 400 ad euro 2.400).
Uri tale carico di adempimenti e di rischi difficilmente potrà essere digerito dalle imprese, anche in considerazione del fatto che una delle preferenziali forme di comunicazione indicate dal legislatore è proprio quella delI' SMS, attraverso la quale sarà possibile temperare l'obbligo della comunicazione preventiva quando questa riguardi un numero molto limitato di lavoratori, più vicini ad una sola unità che non altro. Al contrario, invece, è evidente come la semplificazione evocata non potrà essere raggiunta, nemmeno con tale strumento, quando il datore di lavoro abbia in forza un numero di lavoratori intermittenti superiori alle due o tre unità al massimo.
In merito è paradossale come il Ministero del lavoro, nella circolare in esame, possa chiudere il paragrafo dedicato alla comunicazione preventiva degli intermittenti con una raccomandazione ai propri ispettori che contrasta dichiaratamente tutti i presupposti della severa linea precedentemente impostata.
Ci riferiamo all'inciso dove viene precisato che "il personale ispettivo adotterà la massima prudenza e cautela nella identificazione dei fenomeni da sanzionare in quanto va comunque assicurata la semplificazione degli adempimenti comunicativi proprio in relazione alla specificità dell'istituto che nasce per far fronte a esigenze organizzative e produttive anche contingenti e non sempre preventivabili".
II lavoro occasionale o accessorio
Le modifiche ih materia di lavoro accessorio (ed. voucher lavoro) si caratterizzano per un drastico sfoltimento del quadro normativo e per una significativa riduzione dei soggetti che possono utilizzarlo.
Innanzi tutto viene ribadito dal Legislatore che il lavoro accessorio è, per sua natura, un impiego occasionale, o meglio non può rispondere ad esigenze ordinarie del committente bensì ad esigenze "meramente occasionali". In origine questo carattere dominante del lavoro accessorio non era affatto pacifico. L'accessorietà della prestazione era misurata esclusivamente in termini di valore che il Legislatore aveva diversamente stabilito a seconda del settore di attività e dello status del lavoratore. Ben potevano i beneficiari della prestazione utilizzare un lavoratore attraverso il voucher anche quando la prestazione non fosse una tantum. Conia Riforma, invece, si conferma la linea che ammette lo strumento del voucher essenzialmente per colmare "spazi" non coperti da altri istituti ordinar!, consentendo di ricondurre nella regolarità possibili attività saltuarie e di scarso valore economico che altrimenti sarebbero svolte abitualmente "in nero".
Con la riformulazione integrale dell'alt. 70 del D.Lgs. n. 276/2003, scompare l'elencazione delle attività lavorative di natura occasionale che consentivano il ricorso all'istituto, sostituite da una disposizione che prevede essenzialmente limiti di carattere economico. Ne deriva che lo status del lavoratore (salvo quanto si dirà in seguito per i voucher in agricoltura) non ha più alcun rilievo ai fini della legittimità del lavoro accessorio, e quindi il ricorso al voucher è consentito, sempre e comunque, nel limite dei tetti economici su base annua così come riordinati dal Legislatore della Riforma.
Altra importante novità riguarda la misura dei compensi pagabile attraverso il voucher lavoro. Viene imposto un diverso regime dei compensi per le prestazioni di lavoro accessorio basato su due limiti annui concorrenti:
1) il primo fissato a 5.000 euro (annualmente rivalutato sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente), commisurato a quanto ricevuto, nel corso dell'anno solare, dalla "totalità dei committenti"; quindi si tratta di un tetto massimo assoluto per ciascun lavoratore accessorio;
2) il secondo fissato a 2.000 euro (anche qui annualmente rivalutato sulla base della variazione dell'indice ISTAT), commisurato a quanto ricevuto, nel medesimo anno solare, da ciascun singolo committente che abbia la natura di "imprenditore commerciale o professionista". ,
Ai fini del rispetto della nuova disciplina, occorrerà pertanto verificare se il committente è un "imprenditore commerciale o professionista". In caso positivo la prestazione nei suoi confronti non potrà dar luogo a compensi maggiori di euro 2.000 di voucher, fermo restando che si dovrà tenere sotto controllo anche il progressivo annuo dei compensi ricevuti da tutti i committenti che non dovrà superare i 5.000 euro. Sulla questione del limite economico, il Ministero del lavoro ha precisato (Circolare 18 del 18 luglio 2012) che l'espressione "impren- ditore commerciale" voglia in realtà intendere qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, che opera su un determinato mercato, senza che l'aggettivo "commerciale" possa in qualche modo circoscrivere l'ambito settoriale dell'attività di impresa alle attività di intermediazione nella circolazione di beni.
Aggancio alla prestazione oraria
I carnet dei nuovi voucher vengono agganciati alla prestazione "oraria" e non più come in passato svincolati dal qualunque parametro temporale. L'art. 72, co. 1, del Dlgs 276/2003, come modificato dalla Riforma, prevede infatti che "i beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati". Il valore nominale del singolo voucher, peraltro, sarà fissato con decreto del Ministro del lavoro, tenuto conto del parere delle parti sociali, e periodicamente aggiornato. Resta immutata la copertura assicurativa del lavoratore. E' utile ricordare sul punto che il voucher è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
Altro aspetto di interesse è la novità che riguarda gli extracomunitari impiegati con il lavoro accessorio (co. 4, art. 70, Dlgs 276/2003): i compensi percepiti sono computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.
Utilizzo transitorio dei vecchi voucher
Anche per il lavoro accessorio viene disciplinato il periodo di transizione dalla vecchia alla nuova normativa (art. 1, comma 33, della Legge 92/2012). La disposizione stabilisce che "resta-fermo l'utilizzo, secondo la previgente disciplina, dei buoni per prestazioni di lavoro accessorio (...), già richiesti alla data di entrata in vigore della presente legge e comunque non oltre il 31 mangio 2013". In sostanza i buoni già acquistati potranno essere spesi entro il 31 maggio 2013 rispettando la precedente disciplina anche e soprattutto in relazione al campo di applicazione del lavoro accessorio (destinatari e limiti economici). Raggiunto il 31 maggio 2013, resterà solo la possibilità di presentare istanza di rimborso all'lnps per i voucher non spesi.
LEGGE 28 giugno 2012 , n. 92
Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita. (12G0115)
Art. 1.
Disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore
La presente legge dispone misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione, in particolare:
a) favorendo l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili e ribadendo il rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato, cosiddetto «contratto dominante», quale forma comune di rapporto di lavoro;
b) valorizzando l’apprendistato come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro;
c) ridistribuendo in modo più equo le tutele dell’impiego, da un lato contrastando l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento con riguardo alle tipologie contrattuali; dall’altro adeguando contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento, con previsione altresì di un procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle relative controversie;
d) rendendo più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell’occupabilità delle persone;
e) contrastando usi elusivi di obblighi contributivi e fiscali degli istituti contrattuali esistenti;
f) promuovendo una maggiore inclusione delle donne nella vita economica;
g) favorendo nuove opportunità di impiego ovvero di tutela del reddito per i lavoratori ultracinquantenni in caso di perdita del posto di lavoro;
h) promuovendo modalità partecipative di relazioni industriali in conformità agli indirizzi assunti in sede europea, al fine di migliorare il processo competitivo delle imprese.
2. Al fine di monitorare lo stato di attuazione degli interventi e delle misure di cui alla presente legge e di valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini, sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego, è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con le altre istituzioni competenti, un sistema permanente di monitoraggio e valutazione basato su dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan). Al sistema concorrono altresì le parti sociali attraverso la partecipazione delle organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale dei datori di lavoro e dei lavoratori.
3. Il sistema di cui al comma 2 assicura, con cadenza almeno annuale, rapporti sullo stato di attuazione delle singole misure, sulle conseguenze in termini microeconomici e macroeconomici, nonché sul grado di effettivo conseguimento delle finalità di cui al comma 1. Il sistema assicura altresì elementi conoscitivi sull’andamento dell’occupazione femminile, rilevando, in particolare, la corrispondenza dei livelli retributivi al principio di parità di trattamento. Dagli esiti del monitoraggio e della valutazione di cui ai commi da 2 a 6 sono
desunti elementi per l’implementazione ovvero per eventuali correzioni delle misure e degli interventi introdotti dalla presente legge, anche alla luce dell’evoluzione del quadro macroeconomico, degli andamenti produttivi, delle dinamiche del mercato del lavoro e, più in generale, di quelle sociali.
4. Allo scopo di assicurare il monitoraggio e la valutazione indipendenti della riforma, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e l’ISTAT organizzano delle banche dati informatizzate anonime, rendendole disponibili, a scopo di ricerca scientifica, a gruppi di ricerca collegati a università, enti di ricerca o enti che hanno anche finalità di ricerca italiani ed esteri. I risultati delle ricerche condotte mediante l’utilizzo delle banche dati sono resi pubblici e comunicati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
5. Le banche dati di cui al comma 4 contengono i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute ed eventuali altre informazioni utili ai fini dell’analisi di impatto e del monitoraggio.
6. L’attuazione delle disposizioni dei commi da 1 a 5 non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica ed è effettuata con le risorse finanziarie, umane e strumentali previste a legislazione vigente.
7. Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme le previsioni di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo.
8. Al fine dell’applicazione del comma 7 il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
9. Al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 1, il comma 01 è sostituito dal seguente:
«01. Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro»;
b) all’articolo 1, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Il requisito di cui al comma 1 non è richiesto nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentrati, che in luogo dell’ipotesi di cui al precedente periodo il requisito di cui al comma 1 non sia richiesto nei casi in cui l’assunzione a tempo determinato o la missione nell’ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’articolo 5, comma 3, nel limite complessivo del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva»;
c) all’articolo 1, comma 2, le parole: «le ragioni di cui al comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «le ragioni di cui al comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 1-bis
relativamente alla non operatività del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo»;
d) all’articolo 4, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:
«2-bis. Il contratto a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 1-bis, non può essere oggetto di proroga»;
e) all’articolo 5, comma 2, le parole: «oltre il ventesimo giorno» sono sostituite dalle seguenti:
«oltre il trentesimo giorno» e le parole: «oltre il trentesimo giorno» sono sostituite dalle seguenti: «oltre il cinquantesimo giorno»;
f) all’articolo 5, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Nelle ipotesi di cui al comma 2, il datore di lavoro ha l’onere di comunicare al Centro per l’impiego territorialmente competente, entro la scadenza del termine inizialmente fissato, che il rapporto continuerà oltre tale termine, indicando altresì la durata della prosecuzione. Le modalità di comunicazione sono fissate con decreto di natura non regolamentare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da adottare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente disposizione»;
g) all’articolo 5, comma 3, le parole: «dieci giorni» sono sostituite dalle seguenti: «sessanta giorni» e le parole: «venti giorni» sono sostituite dalle seguenti: «novanta giorni»;
h) all’articolo 5, comma 3, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «I contratti collettivi di cui all’articolo 1, comma 1-bis, possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione dei predetti periodi, rispettivamente, fino a venti giorni e trenta giorni nei casi in cui l’assunzione a termine avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato: dall’avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente. In mancanza di un intervento della contrattazione collettiva, ai sensi del precedente periodo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, provvede a individuare le specifiche condizioni in cui, ai sensi del periodo precedente, operano le riduzioni ivi previste»;
i) all’articolo 5, comma 4-bis, al primo periodo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «; ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 1 del presente decreto e del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato».
10. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 13, comma 1, lettera a), sono soppresse le parole da: «in deroga» fino a: «ma»;
b) al comma 4 dell’articolo 20, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «È fatta salva la previsione di cui al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368»;
c) all’articolo 23, il comma 2 è abrogato.
11. All’articolo 32, comma 3, della legge 4 novembre 2010, n. 183, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto, il
termine di cui al primo comma del predetto articolo 6, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, è fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del secondo comma del medesimo articolo 6 è fissato in centottanta giorni»;
b) la lettera d) è abrogata.
12. Le disposizioni di cui al comma 3, lettera a), dell’articolo 32 della legge 4 novembre 2010,
n. 183, come sostituita dal comma 11 del presente articolo, si applicano in relazione alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013.
13. La disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
14. Gli articoli 54, 55, 56, 57, 58 e 59 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono abrogati.
15. Nei confronti delle assunzioni effettuate fino al 31 dicembre 2012 continuano ad applicarsi le disposizioni abrogate ai sensi del comma 14, nella formulazione vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.
16. All’articolo 2 del testo unico dell’apprendistato, di cui al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo la lettera a) è inserita la seguente:
«a-bis) previsione di una durata minima del contratto non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, comma 5»;
b) al comma 1, lettera m), primo periodo, le parole: «2118 del codice civile» sono sostituite dalle seguenti: «2118 del codice civile; nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato»;
c) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro; tale rapporto non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a dieci unità. È in ogni caso esclusa la possibilità di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato di cui all’articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, può assumere apprendisti in numero non superiore a tre. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443»;
d) dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti:
«3-bis. L’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Dal computo della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti di cui al presente comma sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, al di fuori delle previsioni del presente decreto, sin dalla data di costituzione del rapporto.
3-ter. Le disposizioni di cui al comma 3-bis non si applicano nei confronti dei datori di lavoro che occupano alle loro dipendenze un numero di lavoratori inferiore a dieci unità».
17. All’articolo 4, comma 2, del testo unico dell’apprendistato, di cui al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, le parole: «per le figure professionali dell’artigianato individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento» sono sostituite dalle seguenti: «per i profili professionali caratterizzanti la figura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento».
18. La disposizione di cui all’articolo 2, comma 3, del testo unico dell’apprendistato, di cui al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, come sostituito dal comma 16, lettera c), del presente articolo, si applica esclusivamente con riferimento alle assunzioni con decorrenza dal 1° gennaio 2013. Alle assunzioni con decorrenza anteriore alla predetta data continua ad applicarsi l’articolo 2, comma 3, del predetto testo unico di cui al decreto legislativo n. 167 del 2011, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge.
19. Per un periodo di trentasei mesi decorrente dalla data di entrata in vigore della presente legge, la percentuale di cui al primo periodo del comma 3-bis dell’articolo 2 del testo unico di cui al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, introdotto dal comma 16, lettera d), del presente articolo, è fissata nella misura del 30 per cento.
20. All’articolo 3 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 7, dopo il numero 3) è aggiunto il seguente:
«3-bis) condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l’eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche stabilite ai sensi del presente comma»;
b) al comma 9 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Ferme restando le ulteriori condizioni individuate dai contratti collettivi ai sensi del comma 7, al lavoratore che si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 12-bis del presente decreto ovvero in quelle di cui all’articolo 10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il predetto consenso».
21. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 34:
1) al comma 1, le parole: «ai sensi dell’articolo 37» sono soppresse;
2) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con più di cinquantacinque anni di età e con soggetti con meno di ventiquattro anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età»;
b) all’articolo 35 è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«3-bis. Prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms, fax o posta elettronica. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, possono essere individuate modalità applicative della disposizione di cui al precedente periodo, nonché ulteriori modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie. In caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124»;
c) l’articolo 37 è abrogato.
22. I contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge, che non siano compatibili con le disposizioni di cui al comma 21, cessano di produrre effetti decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
23. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 dell’articolo 61 è sostituito dal seguente:
«1. Ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale»;
b) al comma 1 dell’articolo 62, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b) descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire»;
c) l’articolo 63 è sostituito dal seguente:
«Art. 63
(Corrispettivo) -
1. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e, in relazione a ciò nonché alla particolare natura della prestazione e del contratto che la regola, non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati.
2. In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto»;
d) al comma 1 dell’articolo 67, le parole: «o del programma o della fase di esso» sono soppresse;
e) il comma 2 dell’articolo 67 è sostituito dal seguente:
«2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa. Il committente può altresì recedere prima della scadenza del termine qualora siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. Il collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro»;
f) all’articolo 68, comma 1, e all’articolo 69, commi 1 e 3, le parole: «, programma di lavoro o fase di esso» sono soppresse;
g) al comma 2 dell’articolo 69 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a
progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
24. L’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
25. Le disposizioni di cui ai commi 23 e 24 si applicano ai contratti di collaborazione stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.
26. Al capo I del titolo VII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dopo l’articolo 69 è aggiunto il seguente:
«Art. 69-bis
(Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo). -
1. Le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
a) che la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore a otto mesi nell’arco dell’anno solare;
b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare;
c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
2. La presunzione di cui al comma 1 non opera qualora la prestazione lavorativa presenti i seguenti requisiti:
a) sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;
b) sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233.
3. La presunzione di cui al comma 1 non opera altresì con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni. Alla ricognizione delle predette attività si provvede con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare, in fase di prima applicazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sentite le parti sociali.
4. La presunzione di cui al comma 1, che determina l’integrale applicazione della disciplina di cui al presente capo, ivi compresa la disposizione dell’articolo 69, comma 1, si applica ai rapporti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Per i rapporti in corso a tale data, al fine di consentire gli opportuni adeguamenti, le predette disposizioni si applicano decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
5. Quando la prestazione lavorativa di cui al comma 1 si configura come collaborazione coordinata e continuativa, gli oneri contributivi derivanti dall’obbligo di iscrizione alla gestione
separata dell’INPS ai sensi dell’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, sono a carico per due terzi del committente e per un terzo del collaboratore, il quale, nel caso in cui la legge gli imponga l’assolvimento dei relativi obblighi di pagamento, ha il relativo diritto di rivalsa nei confronti del committente».
27. La disposizione concernente le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in albi professionali, di cui al primo periodo del comma 3 dell’articolo 61 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l’esclusione dal campo di applicazione del capo I del titolo VII del medesimo decreto riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sè a determinare l’esclusione dal campo di applicazione del suddetto capo I del titolo VII.
28. All’articolo 2549 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Qualora l’apporto dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l’unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato».
29. Sono fatti salvi, fino alla loro cessazione, i contratti in essere che, alla data di entrata in vigore della presente legge, siano stati certificati ai sensi degli articoli 75 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
30. I rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro instaurati o attuati senza che vi sia stata un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, ovvero senza consegna del rendiconto previsto dall’articolo 2552 del codice civile, si presumono, salva prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La predetta presunzione si applica, altresì, qualora l’apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui all’articolo 69-bis, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, introdotto dal comma 26 del presente articolo.
31. All’articolo 86 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il comma 2 è abrogato.
32. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 70 è sostituito dal seguente:
«Art. 70
(Definizione e campo di applicazione). -
1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente. Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso di un anno solare, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attività lavorative di cui al presente comma possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano in agricoltura:
a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e
grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università;
b) alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
3. Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.
4. I compensi percepiti dal lavoratore secondo le modalità di cui all’articolo 72 sono computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno»;
b) all’articolo 72, comma 1, dopo le parole: «carnet di buoni» sono inserite le seguenti: «orari, numerati progressivamente e datati,» e dopo le parole: «periodicamente aggiornato» sono aggiunte le seguenti: «, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali»;
c) all’articolo 72, comma 4, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «La percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali è rideterminata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze in funzione degli incrementi delle aliquote contributive per gli iscritti alla gestione separata dell’INPS».
33. Resta fermo l’utilizzo, secondo la previgente disciplina, dei buoni per prestazioni di lavoro accessorio, di cui all’articolo 72 del decreto legislativo n. 276 del 2003, già richiesti alla data di entrata in vigore della presente legge e comunque non oltre il 31 maggio 2013.
34. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo e le regioni concludono in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano un accordo per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento, sulla base dei seguenti criteri:
a) revisione della disciplina dei tirocini formativi, anche in relazione alla valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto formativo;
b) previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell’istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività;
c) individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza;
d) riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta.
35. In ogni caso, la mancata corresponsione dell’indennità di cui alla lettera d) del comma 34 comporta a carico del trasgressore l’irrogazione di una sanzione amministrativa il cui ammontare è proporzionato alla gravità dell’illecito commesso, in misura variabile da un minimo di 1.000 a un massimo di 6.000 euro, conformemente alle previsioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.
36. Dall’applicazione dei commi 34 e 35 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
37. Il comma 2 dell’articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:
«2. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato».
38. Al secondo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, la parola: «duecentosettanta» è sostituita dalla seguente: «centottanta».
39. Il termine di cui all’articolo 6, secondo xxxxx, primo periodo, della legge 15 luglio 1966,
n. 604, come modificato dal comma 38 del presente articolo, si applica in relazione ai
licenziamenti intimati dopo la data di entrata in vigore della presente legge.
40. L’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:
«Art. 7. -
1. Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.
2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.
4. La comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.
5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.
6. La procedura di cui al presente articolo, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.
7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile.
9. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro di cui al comma 3, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni».
41. Il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare di cui all’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, oppure all’esito del procedimento di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 40 del presente articolo, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva; è fatto salvo, in ogni caso, l’effetto sospensivo disposto dalle norme del testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Gli effetti rimangono altresì sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato.
42. All’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo»;
b) i commi dal primo al sesto sono sostituiti dai seguenti:
«Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.
Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità
risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.
Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.
Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all’articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore
o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.
Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all’ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all’ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo»;
c) all’ultimo comma, le parole: «al quarto comma» sono sostituite dalle seguenti:
«all’undicesimo comma».
43. All’articolo 30, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «L’inosservanza delle disposizioni di cui al precedente periodo, in materia di limiti al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto».
44. All’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, al secondo periodo, la parola:
«Contestualmente» è sostituita dalle seguenti: «Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi».
45. All’articolo 4, comma 12, della legge 23 luglio 1991, n. 223, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo».
46. All’articolo 5 della legge 23 luglio 1991, n. 223, il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Qualora il licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all’articolo 18, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12, si applica il regime di cui al terzo periodo del settimo comma del predetto articolo
18. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo articolo 18. Ai fini dell’impugnazione del licenziamento si applicano le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni».
47. Le disposizioni dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.
48. La domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento di cui al comma 47 si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro. Il ricorso deve avere i requisiti di cui all’articolo 125 del codice di procedura civile. Con il ricorso non possono
essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 del presente articolo, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi. A seguito della presentazione del ricorso il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti. L’udienza deve essere fissata non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso. Il giudice assegna un termine per la notifica del ricorso e del decreto non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza, nonché un termine, non inferiore a cinque giorni prima della stessa udienza, per la costituzione del resistente. La notificazione è a cura del ricorrente, anche a mezzo di posta elettronica certificata.
Qualora dalle parti siano prodotti documenti, essi devono essere depositati presso la cancelleria in duplice copia.
49. Il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura civile, e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda.
50. L’efficacia esecutiva del provvedimento di cui al comma 49 non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato ai sensi dei commi da 51 a 57.
51. Contro l’ordinanza di accoglimento o di rigetto di cui al comma 49 può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all’articolo 414 del codice di procedura civile, da depositare innanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore. Con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 del presente articolo, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti. Il giudice fissa con decreto l’udienza di discussione non oltre i successivi sessanta giorni, assegnando all’opposto termine per costituirsi fino a dieci giorni prima dell’udienza.
52. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato, anche a mezzo di posta elettronica certificata, dall’opponente all’opposto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione.
53. L’opposto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva a norma e con le decadenze di cui all’articolo 416 del codice di procedura civile. Se l’opposto intende chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella memoria difensiva.
54. Nel caso di chiamata in causa a norma degli articoli 102, secondo comma, 106 e 107 del codice di procedura civile, il giudice fissa una nuova udienza entro i successivi sessanta giorni, e dispone che siano notificati al terzo, ad opera delle parti, il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l’atto di costituzione dell’opposto, osservati i termini di cui al comma 52.
55. Il terzo chiamato deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell’udienza fissata, depositando la propria memoria a norma del comma 53.
56. Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale non è fondata su fatti costitutivi identici a quelli posti a base della domanda principale il giudice ne dispone la separazione.
57. All’udienza, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti nonché disposti d’ufficio, ai sensi dall’articolo 421 del codice di procedura civile, e provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione. La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
58. Contro la sentenza che decide sul ricorso è ammesso reclamo davanti alla corte d’appello. Il reclamo si propone con ricorso da depositare, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore.
59. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile.
60. La corte d’appello fissa con decreto l’udienza di discussione nei successivi sessanta giorni e si applicano i termini previsti dai commi 51, 52 e 53. Alla prima udienza, la corte può sospendere l’efficacia della sentenza reclamata se ricorrono gravi motivi. La corte d’appello, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammessi e provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione.
61. In mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’articolo 327 del codice di procedura civile.
62. Il ricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore. La sospensione dell’efficacia della sentenza deve essere chiesta alla corte d’appello, che provvede a norma del comma 60.
63. La Corte fissa l’udienza di discussione non oltre sei mesi dalla proposizione del ricorso.
64. In mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’articolo 327 del codice di procedura civile.
65. Alla trattazione delle controversie regolate dai commi da 47 a 64 devono essere riservati particolari giorni nel calendario delle udienze.
66. I capi degli uffici giudiziari vigilano sull’osservanza della disposizione di cui al comma 65.
67. I commi da 47 a 66 si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.
68. I capi degli uffici giudiziari vigilano sull’osservanza della disposizione di cui al comma 67.
69. Dall’attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 47 a 68 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ovvero minori entrate.