Marcello Pedrazzoli
Il regolamento unilaterale dei rapporti di lavoro: solo un reperto archeologico?*
Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
1. Contratto collettivo vs regolamento unilaterale dei rapporti di lavoro: il caso Juventus Football Club S.p.A. 60
2. Dal contratto «cumulativo» di lavoro al «contratto collettivo» (attraverso Messina, Lotmar, Sinzheimer). 60
3. Raffronto fra i trattamenti fissati nel regolamento e nel contratto collettivo sostituito: sono più o meno gli stessi. 62
4. Gli interrogativi di fondo. È disponibile il modo (metodo) di determinare le norme di lavoro? 63
5. Un recente caso di condotta antisindacale (Tribunale Pisa, 2 maggio 2012). 64
6. La costituzione del lavoro per contratto (spunti weimariani). 65
7. Variazioni su libertà sindacale e tutela costituzionale del contratto collettivo. 66
8. Funzioni del contratto collettivo e diritto individuale di autonomia collettiva. 67
9. Conclusioni provvisorie. 68
* Originariamente pubblicato come WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx”.IT – 149/2012
1. Contratto collettivo vs regolamento unilaterale dei rapporti di lavoro: il caso Juventus Football Club S.p.A.
Mi è capitato tra le mani un «regolamento aziendale» - inusitato per gli anni 2000 e anzi … da almeno un secolo – con il quale un datore «disciplina i rapporti di lavoro» con i suoi «dipendenti che svolgono le mansioni di quadro, impiegato ed operaio». Si aggiunge nel regolamento che, con la sottoscrizione, esso «diventa parte integrante del contratto di lavoro individuale» per la ragione che «viene sostituita, relativamente ai suddetti rapporti di lavoro, la disciplina normativa prevista dal C.C.N.L. dei dipendenti dello spettacolo (esercizi cinematografici e cinema-teatrali), in quanto non più adeguata alle esigenze della Società e dei suoi dipendenti». Ovviamente, «per quanto non previsto … si fa riferimento alle disposizioni in vigore per il rapporto subordinato»156. Va poi
rimarcata la chiusa del regolamento. Da un lato c’è la sottoscrizione «per l’azienda»; dall’altro,
«per presa visione e piena accettazione dei contenuti del presente regolamento. Letto, confer- mato e sottoscritto» (segue lo spazio per la firma di una sessantina di dipendenti, indicati nomi- natim in ordine alfabetico).
Non so se una siffatta predisposizione unilaterale, varata dalla Juventus Football Club S.p.A. nel 2003, sia un caso isolato, o se ve ne siano altri, e quanti, della stessa indole. Forse è solo una circoscritta esagerazione torinese, di cui vedremo la consistenza giuridica. Ma forse c’è pure sotto un’aspirazione a reimboccare strade che erano state abbandonate, un segno dei tempi che esprime una insofferenza più estesa, una linea di tendenza più diffusa. Come che sia, la questione merita qualche nota di commento con riguardo ad entrambe le dimensioni evocate, quella con- creta e micro, o quella teorico-culturale, potenzialmente macro.
La chiusa riportata del preambolo del singolare atto in esame – con la sottoscrizione del lavora- tore il regolamento si incorpora nel contratto individuale - richiama la descrizione che, in un an- tico (1905) e non dimenticabile saggio, il giovane Xxxxxx Xxxxxxx offrì del «contratto cumulativo di lavoro». Per il grande processualcivilista i lavoratori lo realizzavano «col firmare successiva- mente un foglio su cui sta scritto il contratto»157, notazione così pedestre da risultare plastica. La
sottoscrizione plurima in successione, insomma, indica che le numerose parti sul versante del lavoro stipulano un contratto col medesimo contenuto per tutte e si impegnano alla sua osser- vanza.
Senonchè da tempo bolliva in pentola, e in quegli anni stava assumendo una forma precisa, una figura di contratto che avrebbe introdotto un radicale mutamento d’ottica nel concepire le fonti di regolazione del rapporto di lavoro individuale e la legittimazione ad amministrarne le vicende. A cavallo del 1900, la manifestazione negoziale descritta in modo tanto incurante da Redenti im- plose, tracimò o comunque si trasformò in una struttura inconfondibilmente diversa, che si con- solida appunto più di un secolo fa. Nel «concordato di tariffe» (Tarifvertrag), già nello schema
156 Nel preambolo citato, si rinvia anche al contratto collettivo sostituito, ma in modo del tutto estrinseco e marginale, e cioè unica- mente «per quanto riguarda i minimi retributivi mensili lordi» (che sono quelli della «tabella retributiva mensile minima per i lavoratori dipendenti delle monosale e multisale cinematografiche»: art. 1, Regol.)
157 REDENTI E., Il contratto di lavoro nella giurisprudenza dei probiviri, in Riv. dir. comm. 1905, I, 365 (ora in Scritti e discorsi giuridici di
mezzo secolo, II, Xxxxxxx Milano, 1962, 556).
normativo viene interiorizzato il rilievo di un potere dei lavoratori organizzati nella determina- zione delle regole di lavoro. Proprio ciò ha concorso, nell’era industriale, al sorgere del «diritto del lavoro» munendolo di un contrassegno che, affiancato alla fattispecie di subordinazione, co- stituisce la genesi della materia e ne identifica l’unicum.
Il passaggio dal contratto cumulativo (o plurilaterale) di lavoro al «contratto collettivo di lavoro» (che è unilaterale o bilaterale, e cioè «qualificato» secondo la sistemazione di Sinzheimer, che apporta un progresso ben visibile) avviene all’insegna di ricostruzioni – che tutti i giuslavoristi attraversano come una sorta di tirocinio obbligato – acutamente escogitate per oltrepassare la portata individualistica del diritto civile borghese, o almeno disimpacciarsi da tale dimensione. Il concordato di tariffe – afferma Xxxxxxxx Xxxxxxx - è un «atto complesso … che riduce una plu- ralità…ad unico paciscente», determinando un vincolo per tutti i singoli ad osservare la tariffa, con una conseguente responsabilità risarcitoria pro quota in caso di inadempimento158. Per Phi-
lipp Lotmar il Tarifvertrag costituisce il portato della rappresentanza dei singoli lavoratori e quando essa è espressiva di una maggioranza di questi, il contratto di tariffa ha efficacia cogente (zwingend) sul singolo159. Quanto al «contratto di norme di lavoro» (Arbeitsnormenvertrag), che per Xxxx Xxxxxxxxxx è frutto di «autodeterminazione sociale», anche se i datori e lavoratori non
sono tenuti ad osservare nei contratti individuali la regola collettiva, se sono associati nelle unioni che l’hanno concordata si adegueranno ad essa per evitare le sanzioni in cui incorrerebbero se non accettano la benefica influenza delle unioni stesse160.
Grazie a queste escogitazioni, il contratto collettivo si impone come una struttura normativa in- dispensabile e diviene lo strumento principe per la realizzazione di quanto era immanente alla coalizione. Ancorchè problematiche, le elaborazioni in esame sortirono un miracolo. Il diritto del lavoro delle società libere (almeno di quelle in ambito continentale), convive da allora e sempre con un dato che è la sua debolezza di fondo: il lavoratore che non voglia organizzarsi è libero di farlo, anzi per taluni questo pure sarebbe il comportamento organizzatorio da lui prescelto161. Per
la libertà negativa di coalizione è ammesso non partecipare: e il free riding del singolo, del resto, è per lo più meno costoso, e spesso egualmente fruttuoso, che partecipare all’azione collettiva162. Consentita questa soluzione non cooperativa del dilemma del prigioniero, il contratto collettivo interiorizza il deficit struttural-funzionale messo in evidenza eppure sancisce il nuovo e diverso tipo negoziale in cui, in modo inconfondibile e starei per dire, irretrattabile, la decisione colletti-
vamente concordata assume rilevanza quasi fonte di diritto oggettivo.
Xxxxxx, cent’anni dopo che era emerso, al culmine della civiltà industriale, come contrassegno
del diritto del lavoro nascente, oltrepassate le autoritative soluzioni corporativistiche e restituito
158 MESSINA Gius., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, in Riv. dir. comm., 1905, 498 ss., 502 (ora in Scritti giuridici, IV, Xxxxxxx Milano 1948, p. IV?
159 LOTMAR Ph., Die Tarifverträge zwischen Arbeitgebern und Arbeitnehmer, in Archiv f. soziale Gesetzgebung u. Statistik, 15. Bd
(1900), 110 ss., nonchè Der Arbeitsvertrag nach dem Privatrecht des Deutschen Reiches, I, Xxxxxxx & Humblot Leipzig 1902, 780 ss. Per una rilettura x. XXXXXX, Saggio sull’efficacia regolativa del contratto collettivo, Padova 1997
160 SINZHEIMER H., Der korporative Arbeitsnormenvertrag. Eine privatrechtliche Untersuchung, II, Die Rechtswirkung, Xxxxxxx & Hum- blot, Leipzig, 1908, passim.
161 Così XXXXXXXXX F., Xxxxxx subordinato e autotutela collettiva, Xxxxxxx Milano 1993, specie cap. III, sez. I (ove il dissenso con Xxxxxxx
sul rilievo della libertà sindacale negativa), nonché pag. 289 ss. Cfr pure quanto si dirà infra, nt da 17 a 21 e testo in corrispondenza. 162 V. per tutti XXXXX M., La logica dell’azione collettiva. I beni pubblici e la teoria dei gruppi (1965), Feltrinelli, Milano 1983, specie p. 56 ss e cap. III.
al regime di libertà sindacale, il contratto collettivo dovrebbe per qualcuno ricedere il posto, dopo uno sviluppo tanto caratteristico e qualificante, ad un atto unilaterale dell’azienda che, con la sottoscrizione del lavoratore, assume la forma della vecchia «locazione cumulativa di opere».
Il regolamento Juventus riproduce in grandissima parte il contratto collettivo cui pretende di su- bentrare, come si evince osservando la struttura e il contenuto dei due testi. Nel regolamento (in quanto aziendale) non sono ovviamente ripetute le clausole del contratto collettivo correlate al suo carattere nazionale (ovvero al suo essere un contratto bilateralmente collettivo), ad esempio i rinvii e le norme di organizzazione negoziale che tale carattere comporta. Ma per il resto si vede, e anzi è molto pronunciato, lo stampo della regolazione collettiva sostituita, sia nella struttura complessiva, che nel testo delle singole clausole.
Dopo le disposizioni iniziali (sul campo di applicazione, per così dire, e sulla classificazione del personale), nel regolamento seguono le tre parti canoniche della contrattazione del dopoguerra: una «regolamentazione comune» (artt. 3-30); la «regolamentazione per i lavoratori con qualifica operaia» (artt. 31-36); la «regolamentazione per i lavoratori con qualifica impiegatizia» (artt. 37- 42). Ripetuta nell’indice la rubrica dei 42 articoli, questo testo corposo (di ben 21 pagine) si chiude nel modo già rimarcato, con una riga tracciata per la firma dei dipendenti, nome per nome.
Quanto alla redazione delle clausole dei due testi, quelle del contratto collettivo si discostano ben poco da quelle del regolamento: il secondo costituisce per lo più un ricalco del primo, anche nelle previsioni più antiquate che sarebbero meritevoli di cambiamento163, al di là delle risalenti parti- zioni già dette. Se il regolamento si discosta dal contratto collettivo, e qualche volta lo fa, è per snellire la redazione del testo, usando espressioni o costrutti vagamente più aggiornati. Altre volte
la variazione è finalizzata a raccordare i materiali normativi in un modo diverso, ad esempio con-
globando nella parte comune un qualche profilo d’istituto, che per il resto rimane disciplinato nell’una e nell’altra parte speciale164.
In alcuni rari punti la discrepanza può determinare trattamenti lievemente diversi, più sfavorevoli al lavoratore, ad esempio nelle ferie annuali. Mentre il CCNL ha in mente, all’art. 19, un periodo di «28 giorni di calendario» che «dovrà avere normalmente carattere continuativo», il Regola- mento, piegando la norma alle esigenze concrete, dispone nell’art. 13 che il periodo feriale sia di 23 (o 25) «giorni lavorativi» e che (solo) due settimane saranno «normalmente godute consecu- tivamente previo accordo con la Direzione». Inoltre non è ripetuta, nel Regolamento, la norma consueta di salvaguardia delle «condizioni di miglior favore» (art. 45, contratto collettivo).
Nel raffronto in esame, se anche non mi sono affaticato al microscopio, la verifica è stata suffi- cientemente puntigliosa per persuadermi che le differenze siano tutto sommato modeste e anzi
163 Così, fra le sanzioni disciplinari viene annoverato come sempre il licenziamento in tronco senza preavviso (art. 26, Regol.; art. 31, CCNL), ma non quello con preavviso. Come si sa, i contratti collettivi in genere sono rimasti molto indietro in questa parte sanziona- toria, per cui in punto a licenziamento danno spesso a vedere di conoscere l’art. 2119, cod. civ., ma non il mondo giuridico successivo alla legge n. 604 del 1966. Almeno una inadeguatezza tanto incancrenito poteva pur essere ovviata, nel 2003, in ambiente FIAT.
164 Così ad esempio per la retribuzione e i suoi elementi: nel Regol. vengono trattati anche nell’art. 6, non solo negli artt. 31 e segg. e 36 e segg.; invece nel CCNL solo negli artt. 52 e segg. e 60 e segg.
minime. Dall’applicazione del regolamento, quindi, non può emergere più di tanto un problema di deteriore trattamento: quale interesse avrebbe il lavoratore, in termini concreti, a «riacciuf- fare» i diritti che il contratto collettivo gli attribuiva, se la nuova disciplina unilaterale non gli as- segna minori vantaggi?
4. Gli interrogativi di fondo. È disponibile il modo (metodo) di determinare le norme di lavoro?
Anche se il regolamento unilaterale dei rapporti di lavoro alla Juventus non pare essere peggio- rativo o ablativo di vantaggi per il lavoratore rispetto al contratto collettivo che soppianta, dob- biamo però chiederci, ovviamente, se l’imprenditore possa lecitamente disporre, in via unilate- rale, una siffatta sostituzione delle fonti regolative del rapporto di lavoro dei suoi dipendenti. In tale ottica, che è l’occasione per riflettere su elementi e tendenze che vanno oltre la contingenza o emblematicità del caso, non preme approfondirne gli aspetti concreti (ad esempio: se la società aveva disdettato in qualche maniera il contratto collettivo sostituito; o se era membro di una associazione che tale contratto aveva siglato, da cui era receduta, quando e come); aspetti che sarebbe indispensabile analizzare se si discettasse invece della ragione o del torto in una contro- versia giudiziaria.
Nell’accingerci ad affrontare la questione sul piano «alto», che concerne i principi fondativi del diritto del lavoro, non può però sottacersi almeno un sottostante aspetto. Sostituire ad un certo momento il contratto collettivo, con un regolamento unilaterale che disciplina i rapporti di lavoro, è situazione che può verificarsi solo sul presupposto concreto di una certa realtà fattuale. Significa che il sindacato non è presente in azienda, né come entità collettiva, né come associati singoli. Significa che, xxxxxxxxxx qualche lavoratore fosse iscritto al sindacato, l’imprenditore conta sulla sua acquiescenza all’operazione: se l’azienda si permette di chiedere al dipendente di sotto- scrivere il regolamento per cui egli trascorre, per così dire, dalla bilateralità alla unilateralità, sarà perché ritiene che il lavoratore non sia in grado di battere ciglio … o non se la senta di batterlo.
Sulla base di questo intuitivo dato di fatto può affermarsi che se l’autonomia collettiva realizza sotto il profilo dinamico l’attività sindacale, con l’operazione in esame entra in sofferenza il prin- cipio di libertà sindacale. In altri termini, per il solo fatto di eliminare il «concordato di tariffa» - la mitica figura-principio in cui si ricompongono libertà e attività sindacale nella loro integrazione dinamica, come fonte della disciplina dei rapporti di lavoro - può ben dedursi che un tale com- portamento datoriale costituisca condotta antisindacale; per cui il relativo provvedimento e i suoi sviluppi sono suscettibili di un ordine di cessazione e di conseguente rimozione degli effetti, a stregua dell’art. 28, Statuto.
Va rimarcato che nella specie sussistono sia l’interesse ad agire, sia l’attualità del pregiudizio ri- chiesti per il sussistere di una condotta antisindacale. Invero, quanto al primo aspetto, se si obietta che alla Juventus non c’è una struttura sindacale o non sono manifesti lavoratori sindaca- lizzati – il che sarà di certo vero - tanto non supera il dato che la legittimazione attiva è congegnata nell’art. 28 a prescindere dalla rappresentatività del denunciante e financo dalla rappresentanza dei lavoratori. Inoltre, è del tutto irrilevante la circostanza che le disposizioni del regolamento non siano svantaggiose rispetto a quelle del contratto collettivo per la ragione che deve essere pro- tetta la possibilità istituzionale della presenza sindacale in azienda: non è il contenuto dell’Ar- beitsnorm il problema, ma il modo della sua determinazione.
Né infine può esserci obiezione sull’attualità del pregiudizio: concretizzandosi, la scelta del me- todo unilaterale-autoritario di determinazione delle regole di lavoro, in una condotta permanente che determina nel tempo l’iterarsi del pregiudizio, il comportamento antisindacale è sempre at- tuale e perdura finchè non intervenga l’inibitoria che lo faccia cessare, e l’ordine di rimuoverne gli effetti, ad opera del giudice.
5. Un recente caso di condotta antisindacale (Tribunale Pisa, 2 maggio 2012).
Tanto riconosciuto, la questione posta è però, dicevo, di portata giuridico-culturale più comples- siva e può essere declinata lungo progressioni più o meno analitiche. In termini oltremodo gene- rali è da chiedersi se l’imprenditore possa imporre al dipendente, o pretendere da lui, che accetti una determinazione delle condizioni di lavoro fissata in via unilaterale dall’imprenditore stesso. La domanda pretende troppo: non è per superare siffatte imposizioni e pretese che nasce il diritto del lavoro, come riprova la sua stessa evoluzione?
Sarà meglio abbassare il tiro e chiedersi, più specificatamente, se l’imprenditore, una volta adot- tato il metodo del contratto collettivo per determinare l’Arbeitsnorm, possa adottare successiva- mente il metodo di determinazione unilaterale. Ha sempre nella sua disponibilità, e in quali limiti o termini, la facoltà di disporre da sé le regole e imporle al dipendente se ne ha la forza? Quid juris se, ad esempio, l’imprenditore si sottrae ad una trattativa seria, ad un confronto «istituzio- nale» con le controparti collettive, con riferimento alla determinazione delle condizioni di lavoro, in particolare nelle materie la cui disciplina è affidata dalla legge alla contrattazione collettiva: un siffatto contegno ostativo o omissivo è deducibile quale condotta antisindacale?
In un recente decreto ex art. 28, Statuto, il Tribunale di Pisa ha affrontato un caso in cui l’impren- ditore aveva ritenuto non già di «dissentire rispetto a concrete proposte regolative» provenienti dalla controparte collettiva, «ma più radicalmente di rifiutare qualsiasi confronto di merito diretto ad una regolamentazione … concordata» con la controparte sindacale, asserendo, di fronte a spe- cifiche richieste di questa, che i rapporti di lavoro dovevano restare regolati dalle staff rules au- toposte unilateralmente dall’azienda.
La chiara illegittimità di un simile contegno, in quanto antisindacale, è affermata dal giudice os- servando come «il contratto collettivo rappresenti nel nostro ordinamento una fonte eteronoma necessaria alla regolamentazione dei rapporti di lavoro in relazione ad una pluralità di aspetti rilevanti ai fini dell’esecuzione delle rispettive obbligazioni delle parti»: onde, per equilibrata di- mostrazione, il datore di lavoro non è legittimato a sottrarsi alla regolamentazione collettiva pre- tendono una disciplina solo unilaterale (tanto più nel caso esaminato, in cui la regolamentazione negata concerneva l’orario di lavoro, in ispecie notturno, per il quale il d. lvo 8 aprile 2003, n. 66 stabilisce rinvii alla contrattazione collettiva)165.
Se poi la trattativa cui l’imprenditore è tenuto viene posta in essere, il fatto che non approdi ad una determinazione collettiva di regole rientra nelle possibilità fisiologiche, per la ben nota ra-
000 X. Xxxxxxxxx Xxxx (Tarquini), 2 maggio 2012 (FLC-CGIL contro EGO).
gione che nel congegno contrattuale le parti hanno l’ultima decisione e quindi l’accordo può man- care. Un dato ostico da digerire in Italia, paese del pressapochismo e degli accomodamenti, che oblitera così la differenza di fondo e di natura esistente fra strumenti partecipativi (o di democra- zia industriale, secondo una concettuologia che ho provato ad accreditare negli anni ’80) e con- tratto collettivo; per cui una distinzione di rilevanza sistematico-costruttiva viene affossata in commistioni che snaturano le portate degli istituti 166.
Scorrendo la giurisprudenza, non si incontrano casi paragonabili, nella cui trattazione emerga un pensiero istituzionale sulla partecipazione e sugli strumenti collettivi di fissazione di regole. In una ormai lontana decisione, la Suprema Corte ha però ritenuto, ad esempio, che violi l’art. 28, Sta- tuto il contegno datoriale di intraprendere trattative dirette con i singoli lavoratori, proponendo loro di sottoscrivere una normativa che nel corso del rinnovo del contratto collettivo dal versante dei lavoratori era stata rifiutata167. Una siffatta situazione, oltre che molto specifica, pare comun-
que assai meno lesiva di quella da cui abbiamo preso le mosse, nella quale un datore di lavoro predispone in via unilaterale una disciplina del rapporto di lavoro, che i singoli lavoratori sotto- scrivono per l’avvenire, con la pretesa che in tal modo non valga più il contratto collettivo e anzi dichiarando di sostituirlo.
6. La costituzione del lavoro per contratto (spunti weimariani).
La domanda se l’imprenditore può cambiare metodo di determinazione delle regole di lavoro, passando per così dire in corso d’opera da quello bilaterale-consensuale a quello unilaterale-au- toritativo, spinge d’istinto a riandare ad antichi discorsi di stampo weimariano. Se in un certo momento, per determinare l’Arbeitsnorm l’imprenditore si avvale dell’accordo con l’unione (Ver- band) - affermava Xxxx Xxxxxxxxxx - prescelto questo metodo, non poteva più tornare indie- tro168 . Quando la modalità unilaterale viene «superata» (aufgehoben, hegelianamente) dalla
«consensualizzazione», la strada da seguire nel porre le regole di lavoro è poi obbligata: la con- trattazione collettiva diventa irretrattabile e il relativo metodo, non essendo più nella disposi- zione, a elemento costituzionale169. Poiché assurge una volta per tutte ad Arbeitsgesetz des Be- triebs, come osservava Xxxxx Xxxxxxxx, «il contratto collettivo non dà luogo ad un mero rapporto
obbligatorio, ma ad una costituzione del lavoro fondata in via contrattuale»170.
In questo argomento viene adombrato una sorta di divieto di regresso, situazione di cui si parla avendo però in mente, per solito, il contenuto precettivo di un disposto. Mentre per illustrare il senso e il valore della regola di lavoro fissata per contratto collettivo viene ad emersione il modo
166 Ho provato a richiamare l’attenzione su questi andamenti in Partecipazione, costituzione economica e art. 46 Cost., in RIDL, 2005, I, p. 427 ss.
167 X. Xxxx. 0 xxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx Xx. 1993, I, col. 2318 ss., con nota di XXXXXXXXX
168 Sempre e ancora X. XXXXXXXXXX, Der korporative Arbeitsnormenvertrag, cit.
169 Xxxxxx compendiosamente da X. XXXXXXXXXX, op. cit., II, primo capitolo, specie pp. 15, 21 ss., 36. Questo andamento è così com- penetrato nell’esperienza tedesca che informa la stessa «codeterminazione» (Mitbestimmung) (anche se gli accordi in cui sfocia – ecco la particolarità sistemica - non sono «tecnicamente» contratti collettivi).
170 X. XXXXXXXX, Die Einwirkung der Reichsverfassung auf das Arbeitsrecht (1924), poi in Arbeitsrecht und Politik, Quellentexte 1918-
1933, a cura di Xx. Xxxx, Xxxxxxxxxxx, Neuwied x. Xxxxxx 1966, p. 1 ss., qui 37 e s.
di determinare – unilaterale o bilaterale – le regole che disciplinano i rapporti di lavoro: una que- stione di metodo se si vuole, ma più esattamente, ora sappiamo, di costituzione.
Di fondo, l’adozione del modo consensuale non potrà essere messa in discussione perché è l’an-
titesi politico-sociale-normativa della modalità unilaterale antecedente. Sulla scia di Xxxx Xxxxxx
- per il quale è «istituto connesso … la tutela di un istituto principale, o di una libertà, attraverso
uno o più istituti accessori che seguono il destino giuridico dell’istituto (o della libertà) principale»
- Xxxxx Xxxxxxx avrebbe detto che la contrattazione collettiva è istituto connesso della libertà di coalizione171.
7. Variazioni su libertà sindacale e tutela costituzionale del contratto collettivo.
Nel discutere degli interrogativi che abbiamo distinto, ci siamo immessi in un cunicolo obbligato, il significato «costituzionale» del contratto collettivo. Questione imponente, e inseparabile dal quadro della libertà sindacale che qualifica, che è da noi declinata, sull’inevitabile sfondo dell’inat- tuazione dell’art. 39, nella perenne preoccupazione di fondare l’efficacia soggettiva e oggettiva del contratto collettivo stesso. Una fatica di Xxxxxx di continuo sollecitata e rilanciata in approfon- dimenti, dei quali non si sa se ammirare di più l’acume, o compiangere il destino di essere da più di sessantanni costretti ad un dibattito inconcludente, effetto e causa all’intempo dell’anomia del nostro ordinamento.
Potendo solo accennare i termini troppo complessi di questo nodo, l’ottica più producente è quella, banalmente, di analizzare il significato della proposizione elementare di cui all’art. 39, 1° comma. La cui formula - staccatisi dalle discordanze datate dei primi commenti alla norma costi- tuzionale – si è evoluta assumendo una inaspettata articolazione di portate, nella vitalità che è universalmente propria dell’istituto della libertà sindacale. Grazie alle riflessioni di Xxxx Xxxxxx000,
più in particolare di Xxxxxxx Xxxxxxx000, nonché di alcuni studiosi più giovani che, a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, si sono cimentati in pregevoli interventi174, si può delineare un approdo possibile, che resta però da esplicare più compiutamente.
Per Xxxxxxx la «fattispecie sindacale» è connessa alla scelta costituente di munire gli «interessi di lavoro», non solo di una «tutela statuale», ma di una «autotutela», nella quale si realizzano la garanzia e il principio di libertà sindacale. Xxx Xxxxxx, di rincalzo, «l’autotutela di interessi non può
171 Libertà di coalizione e costituzione (1932), in X. XXXXXXX, Il diritto del lavoro fra democrazia e dittatura, con introduzione di X. Xxxxxxx, Il Mulino, Bologna 1983, p. 141 ss., 229 ss. 257 ss. Per il richiamo a Xxxxxx, vedasi ovviamente Gli istituti del diritto privato e la loro funzione sociale. Un contributo alla critica del diritto civile (1904, 1929), il Mulino, Bologna 1981.
172 Al di là dell’Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Xxxxxxx, Milano 1960, cfr. la relazione del 1967, La funzione giuridica
del contratto collettivo (Relazione del 1967 al III° Congresso AIDLaSS), in Il contratto collettivo di lavoro, Xxxxxxx, 1968, p. 11 ss., nonché
il commento all’art. 39 Cost. in Commentario Branca, Zanichelli-il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1979, p. 257 ss.
173 Contributo all’analisi dei sindacati di fatto. I. Autotutela degli interessi di lavoro, Xxxxxxx 1963
174 Mi riferisco, oltre a Xxxxxx Xxxxxxxxx, citato alla nt. 6, a X. XXXXXXX, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, Napoli, Jovene 1984; Contratti collettivi e rapporto individuale di lavoro, Angeli Milano 1985; X. XXXXXXX, Contributo allo studio della contrattazione collettiva nell’ordinamento giuridico italiano, Xxxxxxx Milano 1986; X. XXXXXX, Saggio sull’efficacia regolativa del contratto collettivo, Padova, CEDAM 1997; più difficile annoverare fra i giovani il sottoscritto (Qualificazioni dell’autonomia collettiva e procedimento ap- plicativo del giudice. I. La funzione qualificatrice dell’autonomia collettiva, II. Le norme dell’autonomia collettiva nel prisma del sillogi- smo giudiziario, in LD, 1990, p. 355 ss. e 549 ss.), nonché M.V. BALLESTRERO, Riflessioni sull’inderogabilità del contratto collettivo, in RIDL, 1989, I, p. 257 ss.
esprimersi che in forma organizzata», sicchè «l’oggetto immediato del riconoscimento costituzio- nale non è tanto l’organizzazione quanto piuttosto l’attività a questa finalizzata», che esprime l’interesse di una pluralità di soggetti, anzitutto la contrattazione collettiva175. Ma il diritto di or- ganizzazione sindacale, attribuito al singolo, è secondo Xxxxxxx condizionato ad un onere di par-
tecipazione all’azione collettiva che ne sancisce l’inveramento: per la costituzione, la libertà ne-
gativa di coalizione deve valere meno, giustamente, di quella positiva.
In conclusione, lo sviluppo della libertà sindacale è riconosciuto dalla costituzione sulla sola base dell’effettività perché procede (purchè proceda) da uomini liberi e solo conservando tale loro qualità. Questa costruzione imperniata sulla libertà di autodeterminazione del singolo è poi as- surta a passaggio obbligato, la porta d’ingresso per l’individualizzazione di tutte le posizioni che realizzano l’autotutela dell’interesse di lavoro. Xxxxxx Xxxxxxxxx proverà così a istituire, sulla scorta di Xxxxxxx (e, si parva licet, pure dello scrivente), una saldatura nel senso che l’organizzazione sindacale è l’habitat in cui si determina il «comportamento organizzatorio del singolo», essendo proprio questo comportamento l’oggetto della tutela costituzionale. Poiché «dall’insieme della normativa giuslavoristica emerge un atteggiamento di sospetto sulla genuinità della forma indi- viduale di autonomia»176, l’unica autonomia realmente posseduta come tale dal lavoratore è
quella collettiva.
8. Funzioni del contratto collettivo e diritto individuale di autonomia collettiva.
Or sono più di vent’anni, mi domandavo se non fosse un «malinteso» - diventato non si sa come diritto vivente - «che la garanzia della libertà sindacale, e con essa quella dell’autonomia collet- tiva, siano in buona sostanza nella disposizione dell’imprenditore»177. Il dubbio si correlava all’ef- ficacia del contratto collettivo, a cui poteva sottrarsi il datore di lavoro free rider che fosse tanto
accorto da non applicare nei fatti ai suoi dipendenti il contratto collettivo di (teorico) riferimento. Qui ci stiamo interrogando su qualcosa di simile concentrato all’ennesima potenza, e cioè se l’esercizio del diritto individuale di autonomia collettiva, di cui è indubbio il fondamento costitu- zionale, possa dipendere in concreto dalle bizze di un datore di lavoro (con l’aggiunta secondaria se, contro tali bizze si abbia come unico argine la tutela giurisdizionale in materia di condotta antisindacale).
Per superare l’immunizzazione-elusione datoriale ad libitum dalla regola di lavoro concordata col- lettivamente, avevo allora abbozzato l’idea che l’autonomia collettiva avesse pure una «funzione qualificatrice», o «di tipizzazione» della rilevanza del contratto collettivo: nel senso che tutti i partecipanti all’interesse di lavoro in un ambito contrattuale – esercitino o non esercitino la li- bertà di organizzarsi a tal fine – sono assoggettati alla predetta funzione qualificatrice, giacché realizza la premessa maggiore del sillogismo che consente al diritto di essere applicato (in parti- colare dal giudice).
175 Acclarato che «la fattispecie sindacale contemplata nella Costituzione è quella che si esprime in forma organizzata e che coinvolge una pluralità di soggetti: che sia cioè una coalizione o… che sia riferibile ad un interesse collettivo», come massimamente avviene con la contrattazione collettiva (cfr. GIUGNI G., Commento all’art. 39, cit. p. 274).
176 XXXXXXXXX, F., Lavoro subordinato e autotutela collettiva, cit., p. 234 ss., 302 ss.
177 V. Qualificazioni, cit. p. 359.
Forse con qualche addentellato a questi contesto, nell’interrogarsi su «l’assetto normativo che meglio garantisce il libero funzionamento dell’organizzazione sindacale» Xxxx Xxxxxx ha indivi- duato la causa-funzione del contratto collettivo (per entrambe le parti stipulanti) nell’interesse regolativo, e cioè nell’«attitudine a fornire al giudice le regole di giudizio», dovendo il giudice «far ricorso al contratto collettivo quale criterio»178.
Dalle discussioni teoriche, anche risalenti, a quelle più recenti che ho rammentate, nelle stesse legislazioni molta acqua è passata sotto i ponti. Dopo l’Art. 6 del Préambul alla Costituzione fran- cese del 1946, richiamato da quella del 1958 (per il quale «tout homme peut défendre ses droit et intérêts par l’action syndicale et adhérer au syndicat de son choix»), l’art. 28 della ben più recente «Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea», assicura ai lavoratori «il diritto di negoziare e concludere contratti collettivi ai livelli appropriati» (conformemente al diritto comu- nitario e alle legislazioni o prassi nazionali).
Al di là di questi specifici disposti, che il diritto all’autotutela dell’interesse di lavoro tramite con- tratto collettivo più in generale si incorpori nel lavoratore singolo corrisponde al, o è il frutto del, principio personalistico, come si è venuto concretizzando nelle costituzioni del ‘900 e massima- mente nella nostra: nella quale il fondamento lavoristico permea in modo eminente pure le con- dizioni e le possibilità di sviluppo della persona, come singolo e nelle formazioni sociali179.
Concludo queste mie brevi note tornando sul regolamento Juventus. Le forti perplessità che sol- leva sono enfatizzate da un aspetto molto significativo dell’operazione. Il datore emanante il re- golamento non parla per sé, parla anche per (a favore del)la controparte: la disciplina del CCNL viene sostituita perché «non più adeguata alle esigenze della società e dei suoi dipendenti», si afferma. Un atteggiamento del tutto consentaneo a quanto da un paio di decenni è invalso nel nostro paese. Per la diffusa insensibilità al riguardo di una questione di fondo come il conflitto di interessi, non vi è più ritegno nell’affermare che il proprio interesse … è anche quello degli altri in conflitto e anzi … è l’interesse di tutti.
Che il diritto del lavoro fosse in crisi, lo sapevamo e a volte lo diciamo come uno stereotipo. Ma nella pretesa di sostituire quatto quatto il contratto collettivo con un regolamento unilaterale, avverto una sorta di protervia; imbarazzante per come disconosce, con assoluta nonchalance, valori che consideravamo interiorizzati e stabiliti una volta per tutti. Forse perché ignaro, o forse sbruffone, o per un mix di entrambe le cose, è ora comparso qualcuno a mettere fra parentesi le istituzioni di un secolo, abbattendo riflessioni e anche certezze che non eravamo più abituati a vedere sottoposte a smentita. E se si trattasse di un pensiero rivoluzionario, di un pensiero che, kuhnianamente, indica un cambio di paradigma?
178 V. Saggio sull’efficacia regolativa, cit., cap. IV, specie p. 136, 137 ss., 143 s.
179 Ho di recente provato a rileggere l’art. 2 Cost., sulla scorta in particolare di Xxxxx Xxxxxxx, in modo da individuare nel lavoro la prima delle «formazioni sociali» in cui la personalità del singolo può esprimersi e svilupparsi. V. Assiologia del lavoro e fondamento della Repubblica: il lavoro è una «formazione sociale»? in Quaderni Cost. 2011, n. 4, p. 969 ss. (o anche, con qualche variazione, Assiologia del lavoro e fondamento lavoristico della Repubblica, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxx, Jovene Editore, Napoli 2011, I, p. 188 ss.).
Non voglio esagerare, perché il regolamento Juventus, di certo un segno dei tempi, forse è un fatto isolato e qualcosa di caduco. Dopo decenni di neoliberismo imperante, con le conseguenze avanti agli occhi, non c’è da stupirsi se il senso di onnipotenza ha nel mezzo indotto qualche ceo, grande o piccolo, a pensare che il regolamento unilaterale doveva sostituire il contratto collettivo
… per il bene di tutti.
Non volevo però che la cosa non fosse neppure conosciuta e/o neppure avvertita come una for- zatura preoccupante; né lasciarla accadere, accanto ad altre manifestazioni di evidente degrado, nel più assordante silenzio.