Dipartimento di GIURISPRUDENZA
SCUOLA DI DOTTORATO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
Dipartimento di GIURISPRUDENZA
Dottorato di Ricerca in SCIENZE GIURIDICHE – Ciclo XXXIX Curriculum in DIRITTO PRIVATO
IL CONTRATTO DI CONVIVENZA
XXXXXXXX XXXXXXXXXX XXXXX
Matricola 787825
Tutor: XXXX. XXXXX XXXXXXXX
Coordinatore: PROF.SSA XXXXXXXXXX XXXXXXXX
ANNO ACCADEMICO 2015/2016
INDICE
INTRODUZIONE 5
LA CONVIVENZA E LA LEGGE N. 76/2016 8
1. La nuova L. 76/2016: il duplice regime di protezione, legale e convenzionale, della convivenza e le critiche alla scelta legislativa. 8
2. La rilevanza della convivenza prima della L. 76/2016. Cenni. 17
3. La convivenza nel sistema della L. 76/2016 20
4. Segue. Ruolo ed efficacia delle risultanze anagrafiche ex art. 1, comma 37, della L. 76/2016 33
5. I diritti dei conviventi in assenza di contratto 41
I CONTRATTI DI CONVIVENZA NELLA L. 76/2016: NATURA, FORMA E PUBBLICITA’ 53
1. Ammissibilità e caratteristiche del contratto di convivenza prima della Novella 53
2. Segue. Il contratto di convivenza e la giurisprudenza prima della L. 76/2016 66
3. Segue. Finalità e diffusione del contratto di convivenza prima della L. 76/2016 74
4. Il comma 50: tipicità e natura del contratto di convivenza 81
5. La forma del contratto di convivenza prima della Novella 94
6. La forma del contratto di convivenza ai sensi della L. 76/2016 103
7. Il ruolo del professionista: autenticazione e attestazione 116
8. La pubblicità del contratto di convivenza 125
9. Contratto di convivenza, incapaci e rappresentanza 142
IL CONTENUTO DEL CONTRATTO DI CONVIVENZA 151
1. Il contenuto non patrimoniale del contratto di convivenza prima e dopo l’avvento della
L. 76/2016: xxxxxxxx xxxxxx e clausole premiali 151
2. Il contenuto patrimoniale del contratto di convivenza 166
3. Segue. Elezione di domicilio e fissazione della residenza comune. Inventari e ruolo probatorio del contratto di convivenza. 171
4. Segue. Le previsioni relative alla contribuzione e al mantenimento 175
5. Segue. La comunione degli acquisti: il rinvio operato dal comma 53 lett. b) della L. 76/2016 188
6. Segue. Oggetto della comunione convenzionale tra i conviventi: i beni comuni, la comunione de residuo e i beni personali 203
7. Segue. L'amministrazione dei beni in comunione 211
8. Segue. Lo scioglimento della comunione dei beni tra i conviventi e la divisione dei relativi beni 214
9. Termine e condizione nel contratto di convivenza 220
10. Previsioni atipiche per la cessazione della convivenza 227
IL DECESSO DEL CONVIVENTE E I MEZZI CONTRATTUALI PER LA REGOLAMENTAZIONE DELLA SUCCESSIONE 242
1. Previsioni tipiche per la successione del convivente. Il diritto di continuare ad abitare la casa di comune residenza 242
2. Segue. Il diritto di successione nel contratto di locazione 260
3. Strumenti inter vivos di pianificazione della successione per i conviventi: il contenuto
“post mortem” del contratto di convivenza 265
4. Segue. La donazione si premoriar 276
5. Segue: la donazione con patto di riversibilità e la donazione con riserva di disporre . 279
6. Segue: la “società semplice”, strumento per la gestione unitaria del patrimonio dei
conviventi 284
7. Segue: il vincolo di destinazione ex 2645-ter Codice Civile 289
8. Segue. Il mandato post-mortem exequendum 300
INVALIDITA’ E SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO DI CONVIVENZA 302
1. La nullità del contratto di convivenza 302
2. La sospensione del contratto di cui al comma 58 308
3. La risoluzione del contratto di convivenza 310
4. Segue. Accordo delle parti e recesso dal contratto di convivenza 318
CONTRATTO DI CONVIVENZA E DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO 326
1. Cenni sul nuovo art. 30-bis L. 218/1995 326
CONCLUSIONI 334
INTRODUZIONE
Gli ultimi cinquant’anni hanno visto un radicale ed esponenziale cambiamento della famiglia tradizionale e del matrimonio, del ruolo della donna e delle necessità assistenziali all’interno del nucleo familiare.
Le rilevazioni dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) hanno infatti evidenziato come si sia passati da circa 400.000 matrimoni all’anno nel corso degli anni ’60 – in gran misura religiosi e in cui peraltro oltre 70% delle donne era relegato al ruolo di casalinga - all’attuale maggior numero di circa 670.000 unioni libere, cioè nuclei familiari composti da soggetti celibi e nubili.
Il primato del vincolo matrimoniale iniziò a retrocedere negli anni ’70 che registrarono anche l’innalzamento dell’età in cui i coniugi si legavano tra loro, grazie all’introduzione dell’istituto dello scioglimento del matrimonio e all’incremento dell’istruzione femminile.
Negli anni ’90 poi, complici la maggior influenza della cultura dei paesi anglosassoni, l’aumento del livello di occupazione della donna e il calare del sentimento religioso, si sono affacciate nuove forme familiari a cui si è accompagnato un significativo incremento dei matrimoni solo civili.
Per quanto attiene precisamente alla famiglia di fatto, le modalità statistiche sino ad ora non avevano permesso invece una facile e significativa rilevazione delle convivenze esistenti - e non permettono tuttora la rilevazione degli effetti della l. 76/2016 - considerato che tale fenomeno generalmente nella maggioranza dei casi prescindeva da indicazioni pubblicitarie.
Ad ogni modo, con gran ritardo, il Legislatore con la L. 76/2016 ha colmato il divario nella regolamentazione della famiglia di fatto rispetto agli stati dell’Unione.
La Legge infatti, come si vedrà nel proseguo, riconduce effetti giuridici rilevanti alla mera convivenza tra persone anche dello stesso sesso – in parte codificando gli approdi giurisprudenziali già presenti nel panorama - e prevede la possibilità di regolare con uno strumento contrattuale i rapporti patrimoniali tra partners che non abbiano scelto il vincolo matrimoniale.
Gli Autori hanno in parte criticato e in parte plaudito l’intervento legislativo. Ad ogni modo, i primi e principali commenti si sono concentrati sulla natura e sui profili formali del contratto, lasciando in disparte gli aspetti più tecnici e contenutistici.
Si può peraltro già evidenziare che alcune delle nuove previsioni dettate dal Legislatore per il contratto di convivenza potrebbero “nascere morte”. Ci si riferisce in particolare alla possibilità di adottare un regime di comunione degli acquisti da parte dei conviventi, regime che nella prassi è ormai abbandonato anche dai coniugi dato che, in una società in cui sempre più la coppia vede la presenza di due soggetti percettori di reddito da lavoro, risulta svanita la necessità di tutelare il partner debole.
Ugualmente, altre disposizioni sembrano criticabili per l’eccessivo rigore, quale l’impossibilità di apporre condizioni o termini al regolamento negoziale.
Le disposizioni sembrano invece mancanti nella parte in cui non prevedono la possibilità espressa per i conviventi di regolare i loro rapporti patrimoniali in esito alla cessazione del ménage.
Ciò premesso, il presente lavoro, dopo brevissimi cenni sulla famiglia di fatto e sui relativi effetti nel sistema, si concentrerà nel riassumere brevemente i precedenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali circa la legittimità e il contenuto del contratto di convivenza, analizzando parallelamente le nuove previsioni della L. 76/2016 e l’applicabilità delle precedenti elaborazioni anche alle nuove forme negoziali.
CAPITOLO I
LA CONVIVENZA E LA LEGGE N. 76/2016
Sommario: 1. La nuova L. 76/2016: il duplice regime di protezione, legale e convenzionale, della convivenza e le critiche alla scelta legislativa - 2. La rilevanza della convivenza prima della L. 76/2016. Cenni - 3. La convivenza nel sistema della L. 76/2016 - 4. Segue. Ruolo ed efficacia delle risultanze anagrafiche ex art. 1, comma 37, della L. 76/2016 - 5. I diritti dei conviventi in assenza di contratto
1. La nuova L. 76/2016: il duplice regime di protezione, legale e convenzionale, della convivenza e le critiche alla scelta legislativa.
La L. 20 maggio 2016 n. 76 (“Novella” anche nel proseguo) – efficace dal 5 giugno 2016 – ha finalmente introdotto e tipizzato il contratto di convivenza, in parte soddisfacendo le richieste degli interpreti xxxx in oltre cinquant’anni di elaborazione e dedicando così ad esso i commi da 50 a 64 dell’unico articolo che la compone.
La Novella viene a regolare così un ambito che da oltre tempo è rimasto territorio di scoperta dottrinale e giurisprudenziale, un periodo che parte della dottrina - più moderna e attenta all’evoluzione familiare - ha ex post ritenuto dominato da un “vergognoso oscurantismo” che avrebbe lasciato il nostro Paese “alla retroguardia nel mondo che si ritiene civile” (1).
La necessaria fattualità del fenomeno – denotata anche dalle locuzioni atte a identificarla: “famiglia di fatto” e, prima ancora, convivenza “more uxorio” (2) – aveva dato luogo ad un interesse marginale del Legislatore (che aveva previsto solo un regime frammentario di norme atte a connotarlo) e alle difficoltà della dottrina e della giurisprudenza di costruire o ritrovare nell’ordinamento mezzi giuridici idonei a tutelare gli interessi dei partners, non potendo infatti estendersi i principi dettati in seno al vincolo coniugale (3).
(1) OBERTO, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, 59 che osserva, peraltro, come il c.d. “periodo buio” della società italiana e del mondo giuridico avrebbe distolto l’attenzione dai lati problematici della Novella, facendola accogliere positivamente degli interpreti. In particolare, l’Autore si riferisce a lacune, difetti di coordinamento con il sistema civilistico e cd. “cadute di tecnica legislativa” nonché “aperte dimostrazioni di assoluta ignoranza dei più elementari principi dell’ordinamento” che sarebbero presenti nella disciplina dei diritti patrimoniali della convivenza di fatto;
(2) La definizione letterale del fenomeno ha vissuto diverse stagioni, dapprima attraverso il termine “concubinato”, poi “convivenza more uxorio” ed infine “famiglia di fatto”, locuzioni che dimostrano il diverso grado di accettazione sociale del rapporto tra soggetti non legati dal vincolo matrimoniale, alla quale si contrapponeva la “famiglia legittima”, quasi a connotare l’assenza di legalità nel rapporto in esame; cfr. PERFETTI, Autonomia privata e famiglia di fatto. Il nuovo contratto di convivenza, in N.g.c.c., 2016, 12, 1749;
(3) XXXXXXX, I contratti di convivenza tra forma e sostanza, in i Contratti, 2017, 1, 8;
Il nuovo approccio del Legislatore alla famiglia di fatto appare oggi caratterizzato da una duplice disciplina, come acutamente osservato dalla prima dottrina a commento della Novella (4). Ciò rispecchia da una parte la natura stessa della convivenza – quale “rapporto relazionale in ragione di un fatto” – e gli effetti che essa può spiegare all’interno dell’ordinamento, dall’altra la richiesta di lasciare spazio all’autonomia privata dei partners. In particolare, il Legislatore ha deciso di optare per un duplice regime di tutela: l’uno legale e fondato su presupposti applicabili ai partners conviventi in assenza di regolamentazione pattizia, l’altro invece rimesso all’autonomia negoziale degli stessi.
Si possono così individuare all’esito dell’entrata in vigore della Novella due “categorie” di soggetti conviventi, categorie che rispecchiano tale dualismo:
(i) i conviventi c.d. “di fatto”, definiti dall’art. 1, comma 36 della L. 76/2016, quali “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile», a cui sono riconosciuti, per la sola circostanza di soddisfare i requisiti previsti dalla Legge, i diritti contenuti dai commi dal 38 al 49 della Novella, e
(ii) i conviventi – anche qui eterosessuali o omosessuali - stipulanti un contratto di convivenza, soggetti ai quali è attribuita la facoltà di implementare
(4) DI XXXX, I contratti di convivenza, in N.l.c.c., 2016, 4, 694;
il regime legale di cui al punto che precede, disciplinando in via autonoma “i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune” (cfr. comma 50 della Novella) (5),
Il tutto con la doverosa precisazione che - per la dottrina preferibile - la disciplina citata al punto (i) non sarebbe un necessario antecedente temporale di quella di cui al punto (ii) e viceversa. Più specificatamente, anche ai conviventi che abbiano concluso un contratto di convivenza si applicheranno le previsioni dai commi 38 al 48 della Novella e, in più, è plausibile che due soggetti concludano un tale contratto quando ancora non sussistano tra loro i presupposti per la applicazione delle tutele previste dal Legislatore a seguito del solo mero ricorrere del rapporto (6). Si può peraltro affermare sin da ora che il rapporto di convivenza non sorge per effetto del contratto legittimamente concluso, ma necessita dell’ulteriore presupposto
(5) ex multis DE MICCOLIS XXXXXXXX, Unioni civili e convivenze di fatto, Primiceri Editore, 2016, 103, che sottolinea come la conclusione del contratto si tratti di una mera facoltà;
(6) In tal senso, prima della approvazione della Legge in esame, cfr. VENUTI, La disciplina dei rapporti patrimoniali nel D.D.L. Cirinna`, in X. XXXXX e VENUTI, Relazioni affettive non matrimoniali: riflessioni a margine del D.D.L. in materia di regolamentazione delle unioni civili e disciplina delle convivenze, in N.l.c.c., 2015, 1006; ciò emerge anche dalla possibile esistenza di un contratto che non contenga (trattandosi di dato eventuale) l’indicazione della residenza delle parti contraenti ex comma 53, L. 76/2016. Deve invece darsi atto che i contratti di convivenza previsti dal comma 50 della Novella sono riservati ai soggetti che rispettino i requisiti del comma 36, a pena di nullità (cfr. meglio infra);
dell’esistenza del rapporto di affezione e di condivisione della vita, elemento su cui si innesta la (possibile) regolamentazione dell’ambito patrimoniale (7) (8).
Proprio l’esistenza di questo “doppio binario” di tutela e la necessità di soddisfare i presupposti fattuali – e non solo negoziali - richiesti dalla Novella permetterebbero per parte degli Autori di ricostruire ancora oggi “i c.d. contratti di convivenza (…) come accordi che disciplinano nei suoi aspetti economici un rapporto che, nel suo nucleo, non è però un rapporto patrimoniale” ( 9 ), anche se deve ammettersi che all’esito dell’intervento
(7) DI XXXX, op. cit., 695 che conferma la duplicità di previsioni ed effetti della Novella, rilevando quanto segue: “duplice, correlativamente, appare il piano dell’indagine. Da un lato, infatti, muovendo dal fatto della convivenza, rileva e può allora analizzarsi lo svolgimento del rapporto (secondo cioè lo schema fatto-rapporto) al cui interno si innestano (derivando per l’appunto dal fatto e trovando nello stesso compiuto riconoscimento) le situazioni giuridiche soggettive attribuite ex lege ai conviventi in quanto tali; dall’altro, una volta normativamente riconosciuta la possibilità di esplicarsi dell’autonomia privata negoziale, viene in considerazione e costituisce oggetto di approfondimento la fattispecie dell’accordo (sulla cui natura contrattuale o meno si avrà modo di ritornare), deputato ad assicurare specifica disciplina all’assetto patrimoniale con funzione di governo, sotto il profilo squisitamente economico, della convivenza, presupposto, peraltro, dell’accordo medesimo (secondo cioè lo schema fatto-contratto)”;
( 8 ) Occorre precisare che comunque, in assenza di un contratto e nonostante le nuove previsioni, restano privi di regolamentazione i rapporti patrimoniali all’interno della coppia e che “sarebbe stato opportuno disciplinare la sorte dei conferimenti di ciascuno alla vita comune, fatti in adempimento di quel dovere di reciproca assistenza morale e materiale, che è naturalmente connesso con la convivenza”, PACIA, Unioni civili e convivenze, in Jus Civile, 2016, 6, 20; il Legislatore pertanto sembra non aver posto soluzione a tutti i conflitti che la convivenza provocava prima della L. 76/2016;
(9) DELLE MONACHE, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (Alle soglie della
legislativo sembra prevalere la tesi sulla natura contrattuale di tali negozi giuridici (amplius infra).
Ciò non toglie, tuttavia, che, anche se tale considerazione potrebbe implicare una diversa lettura della natura giuridica del fenomeno, allontanandolo dall’ambito contrattuale, tali accordi si possano sottrarre alla disciplina codicistica – ed, in particolare, alle norme dettate dal Legislatore a tutela della libera e consapevole manifestazione del consenso, con applicazione delle previsioni circa i vizi e l’effettività e la simulazione.
Ad ogni modo - rimandate al proseguo le osservazioni circa la natura del contratto - la disciplina disegnata nella L. 76/2016 dal Legislatore è parsa a gran parte degli interpreti “deludente” e irrisolta (10)(11).
regolamentazione normativa delle unioni di fatto), in Riv. dir. civ., 2015, 948, per il quale inoltre non è applicabile il rimedio della risoluzione, non essendo per tale Autore il contratto di convivenza un accordo sinallagmatico bilaterale;
(10) Già prima della Novella, la dottrina riteneva che la regolamentazione della convivenza dovesse essere di natura squisitamente contrattuale, contrastando le affermazioni che di coloro che ritenevano opportuno che il rapporto di convivenza fosse giuridicizzato attraverso un intervento normativo che avrebbe dato rilevanza al mero rapporto di fatto, XXXX, I contratti di convivenza. Dalla legge francese alle proposte italiane, in Not., 2001, 27; contra XXXXXXXX, Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento, in Fam. e dir., 2015, 730 che riteneva, prima della L. 76/2016, la possibilità di desumere diritti e doveri tra conviventi dal generale principio di solidarietà esistente in ciascuna formazione sociale;
(11) Il fatto che l’autonomia contrattuale si possa innestare a completamento della disciplina legale, infatti, sembrerebbe non bastare a spiegare alcune previsioni, a parere della dottrina ispirate più dall’esigenza di limitare gli ambiti dell’autonomia privata che di selezionare le
Innanzitutto, è stata criticata la scelta legislativa di ricondurre diritti al mero ricorre del rapporto tra i partners, soluzione che comprimerebbe l’autonomia di quei conviventi che, proprio con questa volontà di svolgimento della propria vita affettiva, avrebbero voluto evitare ogni effetto nell’ordinamento (12).
Ma le maggiori critiche – e ricostruzioni contrastanti - piovute dalla dottrina sul nuovo testo legislativo riguardano aspetti non regolamentati dalla Novella.
In primo luogo, la L. 76/2016, infatti, nulla ha previsto circa la possibilità di regolamentare la cessazione convivenza, seppur nei suoi soli aspetti patrimoniali (13); previsioni contrattuali attinenti alla cessazione del rapporto – anche per causa di morte – che spesso sono proprio l’ambito in cui maggiormente è necessaria la regolamentazione pattizia. In particolare, maggiori esigenze di certezza e regolamentazione erano state avvertite già precedentemente alla Novella in merito alla gestione patrimoniale della cessazione del ménage: proprio qui il contratto di convivenza avrebbe potuto
convivenze meritevoli di tutela, cfr. GORGONI, Unioni civili e convivenze di fatto, Torino, 2016, 211;
(12) Critico sulla scelta legislativa, prima della introduzione della L. 76/2016 nell’ordinamento, proprio sotto tale profilo XXXXXXX, I patti di convivenza: dalla proposta del Notariato l testo unificato del Senato, in Not., 2014, 4, 354;
(13) XXXXXXX, op. cit., 9;
spiegare la sua funzione anti-processualistica, abbandonando quella programmatica, e salvaguardare gli interessi in gioco delle parti. Lo strumento contrattuale - ritenuto dai più prima della L. 76/2016 da incoraggiare – aveva sempre infatti rappresentato una valida alternativa alle norme del diritto patrimoniale comune e all’applicazione forzata delle poche regole elaborate nell’esperienza giurisprudenziale, permettendo di “decretare l’emersione e, quindi, la rilevanza del rapporto affettivo – e delle sue specifiche caratteristiche
– con riferimento agli interessi patrimoniali scaturenti dal predetto rapporto”
(14).
La strada intrapresa dal Legislatore, tuttavia, non sembra oggi aver fatto esperienza di tale contesto. Come verrà più avanti indicato, infatti, la L. 76/2016 non ha tenuto conto della possibile funzione anti-processualistica del negozio, non avendo previsto tra il contenuto dello stesso né previsioni derogatorie del regime legale né, soprattutto, clausole il cui effetto fosse collegato alla cessazione del rapporto.
Secondariamente, la Novella ha lasciato inalterata la necessità di adozione di strumenti contrattuali atipici per quelle coppie “dimenticate” dal Legislatore (i.e. i soggetti legalmente separati o i conviventi per mutuo aiuto). Infatti, si può già osservare che non trova alcuna giustificazione la limitazione della disciplina del contratto di convivenza alle sole forme di unione che
(14) BALESTRA, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale, Studio Civilistico n. 326- 2012/C, C.N.N., 2012, 3;
rispettino i requisiti dettati dall’art. 1, comma 36, della Novella (15), limitazione purtroppo comprovata dal regime di invalidità del negozio (cfr. comma 57, L. 76/2016).
Ed infine, la proposta - disattesa dal Legislatore - di inserire quale correttivo degli effetti legali ricollegati alla convivenza, nel contratto de quo la sola dichiarazione negativa di esclusione degli effetti legali del rapporto (16).
Pertanto – come è stato acutamente osservato dalla dottrina - la smodata ricerca di un equilibrio tra le diverse esigenze di normazione e autonomia ha prodotto un esito sbilanciato verso l’intervento pubblico nella convivenza (17): il Legislatore, non prendendo in esame le istanze di libera regolamentazione dei rapporti e cercando di tratteggiare stretti confini dell’applicazione e del contenuto del contratto di convivenza, parrebbe così
(15) Sul tema DEL PRATO, L’autonomia dei rapporti familiari, Milano, 1999, 58 e TOMMASINI,
La famiglia di fatto, in Trattato di diritto privato diretto da Xxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, XX, X, 000;
(16) XXXXXXX, op. cit., 353;
(17) Il rischio di interventi “confusionari” era già stato palesato da Cfr. DEL PRATO, Xxxxx di convivenza, in Fam., 2002, 985;
aver aderito all’orientamento dottrinale sfavorevole ad un distaccamento delle convivenze con il diritto di famiglia (18) (19).
2. La rilevanza della convivenza prima della L. 76/2016. Cenni.
Sino all’introduzione della L. 96/2016, nonostante la maggioranza dei Paesi occidentali avessero dettato una disciplina parallela a quella matrimoniale, il Legislatore italiano non aveva ritenuto di dotarsi di una disciplina omogenea che contemplasse i diritti e/o i doveri dei conviventi.
Tuttavia, la disattenzione dell’ordinamento verso la famiglia di fatto non era totale; il ruolo del convivente veniva contemplato in numerose disposizioni che ne tracciavano una sostanziale equiparazione al coniuge, tuttavia era
(18) Cfr. BUSNELLI – XXXXXXXX, La famiglia di fatto, Xxxxx, Padova, I, 798; si consideri peraltro, proprio in tema di mancata recisione del legame tra famiglia di fatto e convivenza, che la Novella, nella previsione dettata circa le modalità di contribuzione pattizie nel contratto di convivenza (cfr. comma 53 della Novella), ha sostanzialmente recepito la formulazione di quanto indicato all’art. 143 Codice Civile per i coniugi, peraltro non senza critiche e diverse letture da parte della dottrina (cfr. amplius infra);
(19) Se la maggior parte della dottrina ha criticato le scelte del Legislatore – ed in particolare sulle omissioni alle istanze che avrebbero in ambito di autonomia privata - deve però evidenziarsi che parte della dottrina ha plaudito alla rigidità e – asserita – tassatività dettata dal testo legislativo, considerato che nella prassi il contratto di convivenza era stato spesso abusivo strumento volto a sottrarre i beni di uno dei partners dai propri creditori, cfr. XXXXXXXXX, Il contratto di convivenza nella L. 20.5.2016, n. 76, in N.g.c.c., 2016, 12, 1738;
comunque assente una disciplina organica, principalmente dettata dalle difficoltà di natura politica e sociale.
Tra gli interventi frammentati già presenti prima della Novella, si possono ricordare: uno su tutti, l’art. 417 Codice Civile - richiamato anche dall’art. 406 Codice Civile in tema di amministrazione di sostegno - che attribuiva il ruolo di componente della famiglia al convivente, permettendogli la proposizione delle istanze di interdizione e inabilitazione; l’art. 5 della L. 40/2004, dettato in tema di procreazione medicalmente assistita, alla cui introduzione conseguiva la chiara equiparazione della coppia convivente a quella coniugata (seppur fosse necessario per tale previsione che i partners fossero di sesso diverso, limitazione oggi non prevista dal Legislatore); l’art. 4, comma 2 della Legge dettata in tema di affidamento condiviso (L. 54/2006) che
- in coordinamento con la riforma della filiazione operata dal Legislatore con la
L. 219/2012 - sanciva l’applicazione del proprio corpo normativo anche ai procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati.
Ciò detto, anche fuori dall’’ambito delle richiamate previsioni e
nonostante l’utilizzo tra gli interpreti dell’espressione “di fatto”, già durante il
c.d. “periodo buio” gli autori prevalentemente avevano ritenuto che la convivenza more uxorio non potesse essere considerata un mero rapporto fattuale, senza riflessi patrimoniali anche in assenza di norme in tema (20).
(20) L’espressione richiamata nel testo era volta solo ad identificare l’origine del rapporto e
non a qualificarlo sotto il profilo della rilevanza giuridica;
Infatti - non è qui la sede per un approfondimento sulla rilevanza della convivenza e sulla sua legittimità, rinviandosi ai numerosissimi scritti in materia
- basti ricordare che la famiglia fondata sulla convivenza godeva di rilevanza giuridica propria, ricondotta nell’alveo delle formazioni sociali previste all’art. 2 Cost. (21). Il tutto, però, con la doverosa precisazione che la giurisprudenza costituzionale aveva sempre negato l’equiparazione formale della convivenza alla famiglia fondata sul matrimonio e salvaguardato il primato dettato dall’art. 29 Cost. (22).
A fronte di tale qualificazione, conseguiva in capo ai conviventi il riconoscimento della sicura presenza di interessi meritevoli di tutela (23).
Ciò aveva indotto gli interpreti a ricercare forme nel sistema del diritto patrimoniale comune e nella disciplina dettata per la famiglia legittima,
(21) AA.VV., La famiglia di fatto. Atti del convegno nazionale di Pontremoli (27-30 maggio 1976), Xxxxxxxxxxx-Xxxxx, 0000; contra TRABUCCHI, Famiglia e diritto nell’orizzonte degli anni ’80, in AA.VV., La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive, Padova, 1986, 34, per il quale “parlare della famiglia di fatto come entità giuridicamente rilevante è un non senso”;
(22) Xxxxx Xxxx. 00 novembre 1986 n. 237, in Foro It., 1987, I, 2353 e, da ultimo, Xxxxx Xxxx. 00 marzo 2009 n. 86, in Corriere giur., 2010, 97, con nota di NASCIMBENE;
(23) La dottrina, peraltro, non aveva mancato di sottolineare come la giurisprudenza avesse ravvisato effetti della convivenza solo nei rapporti dei conviventi verso i terzi, ma mai nei rapporti tra i componenti del ménage, a parte le ricostruzioni operate in tema di restituzione degli apporti. Cfr. IEVA, op. cit., 36 che, su tali presupposti, riteneva opportuno percorre prima dell’introduzione della Novella la xxxxxx xxx XXXX xxxxxxxx (“xxxxx xxxxx xx xxxxxxxxxxx”);
verificando l’applicazione analogica di eventuali istituti coniugali astrattamente sovrapponibili per ottenere dovuta tutela ( 24 ), considerato che la stessa dottrina palesava tale necessità.
3. La convivenza nel sistema della L. 76/2016
Il Legislatore - in parte discostandosi nelle nuove previsioni dai punti di arrivo delle ricostruzioni degli interpreti, elaborate durante il c.d. “periodo buio” - si è preoccupato in prima battuta di definire la famiglia di fatto,
(24) BALESTRA, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale, op. cit., 2, che osserva “il problema della famiglia non fondata sul matrimonio non si porrà nei termini di una rigida alternativa tra non tutela e tutela - e quindi come equiparazione totale alla famiglia legittima
- ma come problema di regolamentazione dei singoli rapporti, siano essi quelli che vedono coinvolti i conviventi tra di loro, ovvero quelli tra genitori e figli o quelli con i terzi. L’esigenza di impedire ogni equiparazione alla famiglia legittima non pare dunque porsi in contrasto con la possibilità che i problemi più scottanti cui la famiglia di fatto può dar luogo, soprattutto nel momento in cui si manifesta la crisi, possano essere risolti attingendo a quei principi espressione della solidarietà tipica dei rapporti affettivi. In questa prospettiva, che finisce col ridimensionare le forti implicazioni ideologiche che la tematica propone, ed apre, conseguentemente, qualche spiraglio in più verso la predisposizione di forme di tutela, l’interprete potrà infatti desumere dalla disciplina della famiglia legittima alcuni principi generali per risolvere i problemi più significativi che si pongono con riferimento alla famiglia di fatto, purché si tratti di principi che abbiano un contenuto essenzialmente generalizzabile”;
prevedendone i requisiti per la sua rilevanza nell’ordinamento e dettandone altresì il regime di accertamento (25).
La L. 76/2016 così recita ai commi 36 e 37: “ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 – (26) - si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile”, ivi aggiungendo che “ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223”.
Da subito si nota come, in linea con la ratio del provvedimento, il Legislatore non abbia discriminato alcun genere: la disciplina delle convivenze è, infatti, rivolta anche a persone di medesimo sesso che formino una coppia.
Sulla scorta dell’esperienza europea, inoltre, il ruolo della sessualità –
alla quale non si accompagna, tuttavia, alcun dovere di fedeltà – connota
(25) Sulla definizione di convivenza il dibattito politico è stato meno concentrato, passando essa quasi inosservata. La motivazione probabilmente è dovuta al ruolo preminente della disciplina delle unioni civili, che ha maggiormente interessato i media; cfr. BLASI, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, 182;
(26) Tale comma 36 menziona erroneamente anche i commi 66 e 67 che riguardano, invece, solo le previsioni di copertura finanziaria per le sole unioni civili, essendo le uniche situazioni giuridicamente volte a provocare l’estensione delle erogazioni previdenziali già previste per il matrimonio e, quindi, un aumento di spesa per le casse statali;
l’intero sistema, facendo sì che la previsione legislativa non possa considerarsi quale una mera e sola regolamentazione della coabitazione o della reciproca assistenza esistenti tra due persone ( 27 ). Infatti, la necessità del sostrato affettivo e sessuale si evince indirettamente dal regime delle preclusioni alla formazione e riconoscimento giuridico del fenomeno, inibita da rapporti di parentela – in analogia con le norme a presidio del matrimonio - e dalla precisazione compiuta dall’art. 1, comma 37, della nuova Legge che richiede ai soggetti necessariamente la formazione di una “coppia” (28).
Sul punto, in sede di dibattito parlamentare è stata ampiamente dibattuta la soppressione del dovere di fedeltà dal catalogo dei doveri derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso che – al pari del comma 36 – contempla solo l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla
(27) XXXXX, op. cit., 188;
(28) Cfr. XXXXX, La nuova disciplina della convivenza di fatto: osservazioni a prima lettura, in xxx.xxxxxxxxx.xx, 2016, che conferma tale lettura e sottolinea l’assenza nell’ordinamento di espliciti riferimenti alla sessualità: “La norma non dice apertamente che le convivenze che intende regolare sono solo quelle i cui componenti hanno una relazione reciproca aperta anche alla sessualità. Pressoché mai il nostro diritto menziona espressamente la sessualità, tranne quando si tratta di stabilire divieti: a quanto pare fa parte delle cose che “non sta bene” dire esplicitamente. Che si riferisca però solo alle convivenze aventi questa caratteristica è indicato in modo inequivocabile, benché implicito, da due elementi: la previsione degli impedimenti derivanti da rapporti giuridici familiari, che riconferma il principio del divieto di incesto; la precisazione che si deve trattare di «due» persone, anzi di una «coppia», che riconferma il principio monogamico. Sono due principi di fondo comuni a tutti gli ordinamenti giuridici di matrice culturale europea”;
coabitazione (cfr. comma 11, L. 76/2016). La dottrina si è così domandata, tenuto conto del parallelismo con il vincolo coniugale che comporta un’ampia gamma di doveri morali da identificarsi sulla scorta di quelli contemplati dall’art. 143 Codice Civile, se, in difetto di un obbligo giuridico di fedeltà gravante su coloro che abbiano dato vita ad un’unione civile, debba ugualmente giungere a ritenere inesistente ogni dovere (morale) di fedeltà per le coppie di conviventi. Sembrerebbe di primo acchito poter concludere che la maggior semplicità del rapporto in esame declini per l’assenza di ogni dovere. Deve però per completezza segnalarsi che, anche in assenza di previsioni in tal senso e contrariamente a quanto sopra precisato, parte della dottrina (29) ha ritenuto che, a causa dello stabile legame affettivo della coppia e dalla necessità che esso sia improntato alla reciproca assistenza morale e materiale (comma 36), sembrerebbe esistente tra i conviventi di fatto “un impegno di esclusività e di rispetto” (30).
(29) XXXXXXXX, La convivenza di fatto. Nozione, presupposti, costituzione e cessazione, in Fam. Dir., 2016, 929 che sottolinea “e, d’altra parte, a conferma della soluzione indicata, può richiamarsi quell’orientamento, emerso in sede di prima interpretazione delle norme dedicate all’unione civile, secondo cui l’omissione del dovere di fedeltà all’interno del comma 11 non è in effetti decisiva, nella misura in cui tale dovere riecheggia nell’ambito di altre disposizioni della L. n. 76/2016 e può in ogni caso ricondursi a quello di assistenza morale e materiale, espressamente richiamato dalla disposizione in questione”;
(30) Cfr. XXXXX, op. cit., 198, per la quale la mancata previsione dell’obbligo di fedeltà per coloro che abbiano dato vita ad un’unione civile mal si concilia, tra l’altro, proprio con il legame affettivo di coppia cui il legislatore fa riferimento nel comma 36 per definire la convivenza di fatto;
Passando all’esame degli elementi fissati dalla Novella, requisiti per rendere rilevante la convivenza nel nostro ordinamento sono:
(i) la maggior età dei soggetti coinvolti nel ménage;
(ii) la stabilità del legame affettivo di coppia;
(iii) la reciproca assistenza morale e materiale;
(iv) la libertà di stato di ciascuno dei partners.
Quanto al primo punto, il Legislatore ha deciso di escludere ab origine la possibilità per i soggetti minorenni di dare luogo a una famiglia di fatto che possa godere delle tutele della Novella; tale requisito sembra dettato senza diversa possibilità di appello. Sul punto, tuttavia, si può avanzare qualche critica di sistema; non è infatti chiara la ratio di escludere soggetti minori di età da un regime sostanzialmente volto alla tutela patrimoniale dei partners e, soprattutto, meno stringente del matrimonio, vincolo a cui i minorenni avrebbero potuto accedere con le dovute autorizzazioni.
Passando al secondo dei requisiti citati, l’elemento maggiormente qualificante la convivenza di fatto nell’impianto della L. 76/2016 è il regime di stabilità del vincolo, che assume diversa connotazione per quanto attiene il profilo interno e quello esterno.
Se nel secondo di tali ambiti (esterno), rilevanza alla convivenza sarà data necessariamente dalla durata – quale sintomo di una unione stabile – nei rapporti interni non potrà, invece, mancare la c.d. “affectio” e cioè un legame affettivo con comunanza di vita sentimentale tra i partners. Tale requisito, peraltro, era già richiesto dalla giurisprudenza prima della Novella al fine di
poter ricavare dalla situazione di fatto – la mera convivenza – una condizione anche di diritto (31) (32).
Per quanto attiene il profilo esterno, invece, l’unico dato per verificare anche dai terzi la stabilità della coppia, in assenza di un dato normativo all’interno della L. 76/2016, sembrerebbe come anticipato essere la durata del rapporto di affezione. Ciò potrebbe evincersi dalla rilevanza - solo probatoria - delle risultanze anagrafiche (cfr. comma 37 e amplius infra) (33), utili a fornire
(31) Cfr., nel periodo previgente alla L. 76/2016, Cass. 21 marzo 2013 n. 7214, in Giust. Civ., 2013, 11-12, I, 2455 secondo la quale “È e rimane infatti ferma la diversità della convivenza di fatto, fondata sull'affectio quotidiana - liberamente e in ogni istante revocabile - di ciascuna delle parti, rispetto al rapporto coniugale, caratterizzato da stabilità e certezza e dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio” e Xxxx. 8 agosto 2003 n. 11975 in Dir. famiglia 2004, 72 per la quale “la convivenza more uxorio si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e regolarità, tanto da venire ad assumere i connotati della c.d. "famiglia di fatto" caratterizzata, in quanto tale, dalla libera e stabile condivisione di valori e modelli di vita (perciò stesso anche economici)”;
( 32 ) Questa scelta del Legislatore è stata quella di escludere dalle tutele e dai diritti riconosciuti dalla Novella le diverse forme di convivenza non fondate sull’elemento affettivo Non trovano pertanto posto all’interno del perimetro della L. 76/2016 le convivenze basate sul mero dato assistenziale o sulle ragioni meramente economiche di coabitazione; cfr. LENTI, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op. cit.: l’Autore, esemplificativamente, cita tra i fenomeni esclusi la convivenza tra due o più anziane sorelle o amiche, rimaste sole, senza altri familiari stretti con cui condividere l’abitazione e la vita quotidiana sottolineando che, seppur tra tali soggetti siano rinvenibili legami affettivi, essi non sono “di coppia” - vale a dire aperti alla sessualità – come richiesti dalla Novella;
(33) Contra LENTI, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op. cit., per il quale il comma 37 - connotato da un testo “burocratese” - sembrerebbe sancire più di una semplice presunzione rilevante per l’accertamento del rapporto: a dire dell’Autore,
una presunzione sul termine di inizio della convivenza (34) e, quindi, un dato verificabile per i terzi e per il Legislatore nell’applicazione dell’impianto normativo. Purtroppo, in assenza di previsioni precise sul punto, per individuare la durata utile a qualificare il rapporto come rilevante ai sensi della
L. 76/2016 (a decorrere eventualmente dalla registrazione anagrafica di cui al comma 37 della Legge in esame), l’interprete dovrà far luogo alla normativa collaterale e all’interpretazione sistematica dell’intero desto della Novella e in particolare:
(i) alle normative regionali in tema di assegnazioni di alloggi popolari, che generalmente rendono rilevanti convivenze di uno o due anni;
(ii) al comma 42 della medesima L. 76/2016, che prevede una durata minima di due anni al diritto di abitare la casa del convivente defunto (35);
infatti, la “stabilità” del rapporto consisterebbe proprio nell’avvenuta dichiarazione di costituire la famiglia anagrafica di cui all’art. 4 del d.p.r. stesso e solo a ciò conseguirebbe il soddisfacimento del citato requisito, pur se questa sia iniziata da un solo giorno. Peraltro, l’Autore si spinge oltre aderendo alla tesi minoritaria e affermando che “al fine di applicare le conseguenze stabilite dai commi successivi della legge stessa, la situazione fattuale di convivenza è presa in considerazione solo se è accompagnata dalla dichiarazione di convivenza come famiglia anagrafica (art. 4 d.p.r. n. 223)”;
(34) XXXXX, op. cit., 188 che osserva come, se si aderisse alla tesi contraria, si dovrebbe accordare stabilità anche alla convivenza iniziata da un solo giorno, purché rispetti il mero dato formale della pubblicità anagrafica;
(35) XXXXX, op. cit., 188. La tesi dell’Autrice non sembra condivisibile su tale punto, non tanto perché si tratti di “criteri astratti” ai quali ricondurre la rilevanza del rapporto, bensì perché tale comma non prevede la durata minima per la convivenza “rilevante”, bensì quella del diritto di godimento accordato al partner superstite;
(iii) alla disciplina dell’impugnazione del matrimonio, che all’art. 122 Codice Civile prevede l’impossibilità di azione di annullamento del vincolo per violenza od errore a seguito della coabitazione per un anno da parte dei coniugi;
(iv) all’art. 6 della Legge sull’Adozione (L. 149/2001), previsione che richiede almeno tre anni di convivenza prematrimoniale affinché si possa essere dichiarati idonei alla procedura.
A ciò si aggiungono, peraltro, gli arresti giurisprudenziali che hanno ricostruito il “fenomeno convivenza” prima dell’avvento della Novella; in particolare, la Suprema Corte ha recentemente ritenuto che, per evitare la delibazione della sentenza di annullamento del matrimonio in sede canonica, fosse sufficiente una convivenza more uxorio di tre anni (36), fissando pertanto in tale lasso di tempo quello che sembrerebbe un periodo valido a soddisfare il requisito della stabilità.
(36) Cass. Sez. Un. 17 luglio 2014 n. 16379, in Guida al diritto, 2014, 33, 14 con nota di XXXXXXXX, per la quale: “Tutte le considerazioni che precedono consentono, perciò, di affermare in modo compiuto che la convivenza dei coniugi, connotata dai più volte sottolineati caratteri e protrattasi per almeno tre anni dopo la celebrazione del matrimonio, in quanto costitutiva di una situazione giuridica disciplinata e tutelata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di "ordine pubblico italiano", secondo il disposto di cui all'art. 797 c.p.c., comma 1, n. 7, osta alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio concordatario” ragionando sulla scorta della precedente pronuncia della Corte Costituzionale che aveva sancito come “il criterio dei tre anni successivi alle nozze si configura come requisito minimo presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto matrimoniale(...)”;
Ad ogni modo, non vi sono dati sicuri a cui l’interprete possa ancorarsi nella ricostruzione della fattispecie, considerato anche che l’assenza del requisito della coabitazione rischia di intaccare il giudizio sulla stabilità del rapporto (37) e che nell’ipotesi di in cui i conviventi abbiano due residenze differenti si potrebbe “incidere in modo significativo nei profili di rilevanza esterna della struttura familiare” (38).
Quanto ai reciprochi obblighi di assistenza, sia essa morale che materiale, tale requisito si aggiunge a quello dei vincoli affettivi e sembrerebbe differenziare il contenuto del comma 36 da quanto previsto dell’art. 4 d.p.r. n. 223 per la convivenza anagrafica, ove tali obblighi non vengono previsti. Parte della dottrina, tuttavia, ha ritenuto tale requisito una precisazione ultronea che, contrariamente al dettato normativo, non richiederebbe “un requisito davvero ulteriore rispetto a quelli dell’art. 4 cit.”, partendo dalla difficoltà di immaginare un legame affettivo in assenza di disponibilità dei partners alla reciproca assistenza morale e materiale. E’ stato inoltre evidenziato che tale requisito – anche se si connota come un palese riferimento al sistema dei doveri nascenti dal matrimonio, ove i coniugi sono obbligati, tra l’altro, proprio all’assistenza morale e materiale reciproca – assume qui un valore diverso rispetto alla disciplina matrimoniale, non avendo alcun contenuto precettivo,
(37) Sul tema cfr. DOGLIOTTI, Famiglia di fatto, in Dig. Disc. Priv., Torino, 1992, 194;
(38) XXXXX, op. cit., 188;
bensì meramente descrittivo (39).
E ancora, la Novella richiede espressamente la libertà di stato dei conviventi affinché possa darsi tutela alla loro condizione; il tutto oltre che escludere la possibilità che venga posta in essere una convivenza rilevante tra persone vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, ricalcando pertanto le norme del codice civile che stabiliscono gli impedimenti al matrimonio. Il matrimonio, quindi, costituisce un impedimento insormontabile che il Legislatore ha deciso di apporre ai conviventi solo in considerazione della sua dimensione formale e che diventa così impediente fino al suo formale scioglimento. Infatti, le convivenze nelle quali vi sia un soggetto separato - sia di fatto che legalmente – sono oggi escluse dall’applicazione delle previsioni
(39) Cfr. LENTI, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op. cit., che sottolinea il contenuto descrittivo della previsione e “che non sono menzionate la contribuzione, la fedeltà e la collaborazione nell’interesse della famiglia”, ritenendo che tali omissioni sarebbero dovute principalmente alle errate convinzioni degli estensori delle norme e nate della sedute parlamentari secondo cui non vi sarebbe famiglia senza matrimonio; il tutto in contrasto con la giurisprudenza, anche comunitaria, per la quale la famiglia nascerebbe per la mersa sussistenza di relazione interpersonali “caratterizzate da quell’intimità che secondo il comune sentire è detta appunto familiare”;
della Novella (40) (41).
La presenza di un requisito così stringente e stridente rispetto alle esigenze dei conviventi crea il rischio di creare un “terzo binario” di tutela o, comunque, comporta difficoltà di coordinamento con la nuova disciplina; si potrebbe pertanto ritenere che le previsioni contenute nella Novella si applichino alle sole convivenze i cui componenti siano di stato libero, mentre i diritti già riconosciuti in precedenza all’entrata in vigore della L. 76/2016 restino comunque a garanzia di tutti i conviventi, indipendentemente dallo stato libero e dalla mancanza dei requisiti previsti dalle nuove norme (42).
(40) La soluzione appare coerente, ancorché discutibile: vero è infatti che la separazione non scioglie il matrimonio e che il Legislatore per essa non ha previsto alcuna eccezione, ma proprio in tali frangenti – e precisamente quando i partners non possono accedere ad un nuovo matrimonio – il contratto di convivenza potrebbe spiegare una maggiore utilità. Peraltro, tale soluzione è prova della generale assimilazione del coniuge separato al coniuge ancora pienamente presente nel vincolo matrimoniale, come si evince peraltro dall’art. 548 Codice Civile in tema successorio; XXXXX, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op. cit.;
(41) Tale soluzione, peraltro, è stato evidenziato essere in conflitto con alcuni importanti arresti giurisprudenziali, tra cui l’indirizzo secondo il quale il coniuge perde il diritto all’assegno qualora inizi una nuova convivenza; ciò in quanto il soggetto ha deciso di costituire un nuovo nucleo familiare che comporta la relativa tutela e perché il nucleo familiare precedente è definitivamente inesistente. Cfr. Cass. 11 agosto 2011 n. 17195, in xxx.xxxxxx.xx. Altri contrasti si hanno in tema di esclusione dell’addebito per violazioni dei doveri matrimoniali successivi al momento in cui la convivenza è divenuta intollerabile, in quanto detti doveri personali nascenti dal matrimonio si estinguono con la separazione (cfr. Cass. 7 dicembre 1994 n. 10512, in xxx.xxxxxx.xx);
(42) XXXXX, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op. cit.,
Quindi le disposizioni della Novella non potranno trovare applicazione ai casi di convivenze composte da soggetti di cui uno sia legato o civilmente unito ad una terza persona, a prescindere dal fatto che il matrimonio (o l’unione civile) sia in uno stato di crisi che abbia dato luogo ad una separazione legale (43). Ma da ciò discende anche che i conviventi vincolati da precedente matrimonio potranno invocare invece i rimedi di diritto comune, rimedi che non sono stati non espressamente vietati dalla Novella, ma solo ignorati (quali l’obbligazione naturale, l’arricchimento ingiustificato, la tutela possessoria, etc.) stante l’assenza di specifiche norme impeditive (44).
Tali considerazioni hanno riflessi anche per quanto attiene il contratto di
che ritiene che il fatto che questi diritti siano menzionati e quindi confermati nella nuova legge resta sostanzialmente irrilevante per i soggetti che non rispettino i requisiti del comma 36 e che quindi le nuove norme dunque, invece di diminuire la complessità e l’incoerenza della disciplina, ottengano l’effetto di aumentarla;
(43) XXXXXX, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, in Fam. Dir., 2016, 10, 969 che critica duramente la previsione di tale impedimento alla convivenza, osservando quanto segue: “In altre parole, occorre constatare che il riformatore del 2016, fuorviato dalla confusione concettuale derivante dall’aver trattato nel medesimo testo normativo di due situazioni così radicalmente di- verse, quali l’unione civile e la convivenza di fatto, ha ritenuto di dover individuare, anche in relazione alla convivenza more uxorio, qualcosa di analogo ad una categoria di “impedimenti”, ad in- star di quanto accade per il matrimonio e l’unione civile. Il sospetto testé rappresentato è, del resto, destinato a ricevere conferma dalla considerazione delle norme in materia di nullità del contratto di convivenza”;
(44) XXXXXX, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, op. cit., 969;
convivenza, quale contratto diretto a regolare i rapporti patrimoniali tra i partners. Proprio la sua tipicità ha portato, infatti, la dottrina a escludere che un soggetto che si trovi nella situazione descritta dalla Xxxxx come impeditiva possa stipulare tale negozio; il pubblico ufficiale incaricato di ricevere o autenticare detto contratto dovrà quindi accertarsi dello stato libero di entrambe le parti contraenti (45). Tale ricostruzione, pertanto, riduce il campo di applicazione – e di utilità – del contratto oggetto del presente studio.
Per quanto riguarda, infine, gli impedimenti derivanti da rapporti di parentela e affinità, ancorché la norma sia generica in quanto non precisa in alcun modo i relativi limiti di grado – come avviene invece di consueto in norme parallele (es. art. 87 Codice Civile) – è necessaria una applicazione analogica con la disciplina del matrimonio per circoscriverne la portata. Se ci si fermasse al dato letterale, infatti, gli impedimenti al riconoscimento di una regolare convivenza risulterebbero più ampi di quelli riguardanti il vincolo coniugale. Dato che tale ricostruzione appare assurda alla dottrina, sembra opportuno valicare il tenore letterale della previsione ed estendere anche ai conviventi di fatto gli stessi limiti di grado previsti nel regime degli impedimenti per il matrimonio (46).
(45) Ciò anche in considerazione del comma 51 L. 76/2016, a norma del quale il notaio o l’avvocato devono attestare la conformità degli accordi “alle norme imperative e all’ordine pubblico”;
(46) XXXXX, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op.cit.;
4. Segue. Ruolo ed efficacia delle risultanze anagrafiche ex art. 1, comma 37, della L. 76/2016
Il comma 37 della Novella prevede testualmente che “Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223” (47).
Tale disposizione ha destato perplessità in dottrina in relazione al ruolo attribuito alle risultanze anagrafiche.
Parte della dottrina – minoritaria –, nel sottolineare che il testo sarebbe “connotato da un poco perspicuo burocratese”, sembrerebbe aver contrastato il dato letterale (48). Il riferimento al “l’accertamento” contenuto nella norma -
(47) Su questo aspetto è intervenuta la recente circolare del Ministero dell’Interno in data 1 giugno 2016 n. 1328 la quale, premessa la definizione contenuta nel comma 36 e richiamato il comma 37 per “l’accertamento” della stabile convivenza e richiamati i successivi commi 52 e 59 per le “registrazioni” conseguenti i contratti di convivenza e la loro risoluzione, permette di analizzare la differenza fra “iscrizione delle convivenze di fatto” che dovrà essere eseguita secondo le procedure già previste e disciplinate dall’ordinamento anagrafico ed in particolare dagli artt. 4 e 13 del D.P.R. n. 223/1989 (espressamente richiamati dal comma 37) e la “registrazione del contratto di convivenza” che costituisce invece un adempimento nuovo per l’opponibilità del contratto ai terzi;
(48) XXXXXXXXX, op. cit., 1736 che ritiene di dividere in tre categorie i gli elementi costitutivi della convivenza rilevante ai fini della L. 76/2016: (i) oggettivi, e cioè i presupposti positivi
per tale corrente di pensiero – sarebbe infatti indice dell’esistenza di una presunzione volta a fissare due principi: il primo che la convivenza rilevante per l’ordinamento abbia inizio con la sola dichiarazione all’ufficiale dell’anagrafe da parte dei partners e il secondo che solo da quel momento essa possa dirsi accertata. Tale dottrina finisce quindi per (i) ricollegare dapprima il requisito della stabilità all’avvenuta dichiarazione sopra richiamata (come peraltro già sopra evidenziato) e (ii) ritenere poi stabile una convivenza – “pur se iniziata da un solo giorno” – purché risultante dal certificato di stato di famiglia. Il tutto, quindi, sulla considerazione che la dichiarazione anagrafica sia non solo uno dei punti caratterizzanti e fondamentali della nuova Legge, ma anche che essa rivesta la natura di presupposto di applicazione della medesima (49).
La dottrina che sposa tale conclusione fonda principalmente il proprio pensiero su: (i) il piano letterale, che farebbe propendere per l’esclusione del comma 37 dalle norme di disciplina, includendola invece in quelle definitorie;
(ii) la ratio della previsione normativa, che diversamente lascerebbe ancorato il fenomeno della convivenza ad un impossibile accertamento in fatto del requisito della stabilità; (iii) la necessità di riconoscere un minino di negozialità
richiesti dal comma 36, quali la presenza dello stabile rapporto affettivo di coppia; (ii) negativi, quale l’assenza di rapporti di parentela o altra unione; (iii) pubblicitari, quale la registrazione anagrafica ai sensi del comma 37;
(49) XXXXX, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op. cit., che peraltro non chiarisce se trattasi di presunzione semplice (iuris tantum) o di presunzione assoluta (iure et de iure);
alla formazione della convivenza giuridicamente rilevante, se non si vuole cadere nella conclusione – da scongiurare secondo tale dottrina – di dover obbligare i conviventi che non vogliano alcun vincolo a effettuare dichiarazioni negative o stipulare contratti di esenzione della disciplina (c.d. contratti di “opting out”), attualmente non previsti (50); ed infine (iv) la considerazione che tale registrazione è l’unica prova concreta che può essere esibita a terzi proprio in quei contesti di rilevanza del fenomeno dettati dalla Novella (cfr. commi 38, 39 e 40) (51).
Se tale soluzione ha il pregio di collegare la rilevanza giuridica della convivenza a un elemento di accertamento estrinseco al rapporto (la registrazione anagrafica), con ovvi riflessi positivi non solo per i terzi ma anche per gli stessi conviventi, tuttavia essa non appare accettabile poiché contraria allo stesso dato normativo.
Altra parte degli Autori – maggioritaria - ha infatti ritenuto che la registrazione anagrafica sia mero strumento di accertamento e non abbia, quindi, alcuna valenza costitutiva del rapporto. Infatti, tale adempimento presso la P.A. si porrebbe nell’ordinamento come dato probante “l’emersione ufficiale dell’instaurata convivenza” e avrebbe solo valore dichiarativo
(50) XXXXXX, La cessazione della convivenza, in N.g.c.c., 2016, 12, 1769 che ha riportato – senza citarne la fonte - che tra le motivazioni volte a ricondurre natura tassativa alla dichiarazione di convivenza potrebbe esservi quella di voler lasciare liberi i partners di evitare l’applicazione della disciplina legale non ottemperando ad alcun obbligo pubblicitario;
(51) XXXXXXXXX, op. cit., 1739;
dell’esistenza del rapporto ( 52 ). Infatti, ricondurre efficacia costitutiva alla iscrizione de qua rischierebbe di tradire lo spirito della Novella che ha impostato – nel solco della tradizione – la rilevanza della sola convivenza nell’ordinamento in ragione della sua esistenza fattuale, segregando in secondo piano i dati formali (53).
Depone, peraltro, in favore di questa tesi il mero dato letterale della norma contenuta al comma 37, che altro non prevede se non che le risultanze anagrafiche abbiano efficacia ai fini di “accertamento” della convivenza (54).
E’ stato, inoltre, sottolineato che collegare alla mera situazione anagrafica prevista dal comma 37 la sussistenza del requisito della stabilità e, quindi, dell’esistenza della convivenze potrebbe avere effetti distortivi.
(52) DOSI, La nuova disciplina delle unioni civili e delle convivenze, Milano, 2016, 139, da confrontare per una attenta analisi sulla disciplina della registrazione della convivenza; ROMANO, Unioni civili e convivenze di fatto: una prima lettura del testo normativo, Notariato, 2016, 4, 333; MECENATE, Unioni civili e convivenze: successioni, forma e pubblicità diritto internazionale privato, in AA.VV., La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, 148;
(53) Così, in sintesi, XXXXXX, op. cit., 1769 che ritiene anche che il contratto di convivenza possa essere stipulato in assenza di dichiarazione anagrafica, in quanto atto a regolare il rapporto ma non a fondarlo;
( 54 ) Cfr. XXXXXX, op. cit., 1769 che sottolinea che il notaio o l’avvocato chiamati ad autenticare il contratto difficilmente potranno non ricusare il proprio ministero, non essendo in grado di verificare la ricorrenza dei presupposti legali senza la dichiarazione anagrafica in esame;
Sarebbe infatti permesso a due soggetti, eventualmente legati da interessi solo collaterali, usufruire dei diritti previsti dalla Novella senza che tra di essi sia sostanzialmente presente un rapporto affettivo stabile.
In più, ai sensi dell’art. 4 del regolamento sull’Anagrafe (D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223), non può dimenticarsi che la famiglia anagrafica è una formazione ben distinta da quella prevista dalla Novella e che, quindi, con quest’ultima non può essere confusa (55).
A fondamento di tale interpretazione maggioritaria, si possono richiamare anche recenti interventi della giurisprudenza, sia in epoca precedente (56) che posteriore alla introduzione della norma in commento (57).
(55) XXXXX, op. cit., 182 che aggiunge come la dichiarazione resa in ordine alla sussistenza di vincoli affettivi quale presupposto per la formazione di una famiglia anagrafica non può essere oggettivamente riscontrata dall’Ufficiale d’Anagrafe;
(56) Cfr. Corte Europea Diritti dell’Uomo 21.7.2015 n. 18766/11 e 36030/11, in N.g.c.c., 2015,
I, 918 che ha diviso il concetto di coppia di fatto dalla mera coabitazione;
(57) Cfr. T.A.R. Venezia 27 agosto 2007 n. 2786, in Foro amm., 2007, 7-8, I, 2305 – pronunciata durante il c.d. “periodo buio” - che aveva precisato come risultasse “ben evidente la sussistenza in capo all'attuale ricorrente di un interesse, anche soltanto morale (…), al corretto svolgersi dell'azione amministrativa in materia anagrafica, affinché i ben diversi istituti della famiglia nucleare (tutelato, come si è visto, in via espressa da disposizioni di rango costituzionale e superstatale) e della famiglia anagrafica (presupposto, viceversa, da una mera legge ordinaria e disciplinato nel dettaglio da un regolamento e da un atto amministrativo a contenuto generale, costituito dalle anzidette note ISTAT del 1992) non siano confusi, anche - e soprattutto - dinanzi alla complessiva percezione dei consociati”
Più precisamente, infatti, il Tribunale di Milano, con ordinanza del 31 maggio 2016, ha ritenuto che “avendo la convivenza natura fattuale, e cioè, traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo”, sottolineando peraltro come “la definizione normativa che il Legislatore ha introdotto per i conviventi è scevra da ogni riferimento ad adempimenti formali. In altri termini il convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa” (58). Quindi, per la giurisprudenza, è la stessa natura fattuale della convivenza che porta a ritenere che questa formazione sociale, anche all’esito dell’introduzione delle nuove norme ad opera della L. 76/2016, non necessiti di essere esternata dai partners a mezzo di una dichiarazione formale per poter nascere; assunto che, pertanto, riconduce la registrazione anagrafica prevista dal comma 37 a strumento privilegiato di prova, ma non a elemento costitutivo del rapporto (59).
(58) Trib. Milano ord. 31 maggio 2016, in xxx.xxxxxx.xx;
(59) XXXXX, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op. cit., in nota, che osserva: “Può al riguardo rilevarsi che la “fattualità” della convivenza non può più oggi contrapporsi alla “giuridicità” della stessa, rispetto dunque a ciò che è avvenuto in passato allorché la dimensione fattuale ha assunto rilevanza per differenziare dalla famiglia fondata sul matrimonio la c.d. famiglia di fatto, in cui cioè risultava assente la formalizzazione dell’unione coniugale ma sussisteva una comunione di vita; già attenta dottrina, ossia PARADISO, sub art. 143, in I rapporti personali tra coniugi (Artt. 143-148), in Comm. Xxxxxxxxxxx, Milano, 2012, p. 132, aveva rilevato, a proposito dei rapporti tra convivenza e matrimonio, che «un eventuale riconoscimento legislativo non potrebbe che condurre, almeno tendenzialmente, a una equiparazione, dove l’unica novità consisterebbe nella sostituzione di
In conclusione, sul ruolo della registrazione anagrafica prevista dal comma 37 della Novella, è preferibile ritenere che, come indirettamente confermato dalla circolare n. 7 del Ministero dell’Interno:
(i) i diritti previsti dalla L. 76/2016 spettino a tutti i conviventi di fatto, sia che essi soddisfino il presupposto del comma 37 sia in assenza della adempimento formale in esame, purché essi riescano a provare la ricorrenza di tutti gli elementi indicati nel comma 36, e
(ii) che - nonostante si sia in presenza degli adempimenti amministrativi previsti dall’art. 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 - sia possibile in ogni tempo dimostrare l’inapplicabilità della disciplina della Novella per assenza di uno degli elementi costitutivi della fattispecie previsti dal comma 36 (60).
un fatto – la convivenza con un minimo di caratteri di stabilità e serietà – all’atto formale di celebrazione del matrimonio»; similmente, nella ricostruzione del tratti caratterizzanti la famiglia di fatto, X. XXXXX, Famiglia legittima e unioni non coniugali, in Le relazioni affettive non matrimoniali, a cura di X. Xxxxx, Torino, 2014, p. 18 ss., il quale peraltro rilevava, alla stregua delle posizioni della dottrina e della giurisprudenza sul punto e in ordine al dibattito in corso sulla necessità o meno di un intervento legislativo, che «l’assenza di regole eteronome rigidamente predefinite potrebbe garantire uno spazio di autonomia maggiore cui rimettere la modula- zione della relazione affettiva non matrimoniale» (p. 39); ID., Famiglia: sostantivo plurale?, in Dir. delle successioni e della famiglia, 2015, p. 66 ss. e, sul punto, p. 88”;
(60) BALESTRA, La convivenza di fatto. Nozione, presupposti, costituzione e cessazione, op. cit., 919;
La dichiarazione anagrafica svolgerà, quindi, una funzione eminentemente pratica e la sua sussistenza permetterà ai terzi - ma anche ai partners all’interno del loro rapporto - di presumere sia il dies a quo dell’inizio della convivenza sia l’esistenza stessa del rapporto, senza però potersi escludere che tale dichiarazione possa essere stata falsamente resa e che gli interessati possano assumerne prova contraria (61).
Rimane, infine, da risolvere il problema relativo alle convivenze già instaurate e non “dichiarate” in anagrafe. La Novella infatti non prevede alcuna disciplina transitoria e la dottrina ha quindi dovuto interrogarsi sul punto, giungendo a sostenere che, in assenza di previsione che disciplini la possibilità di ottenere una certificazione retroattiva della stabile convivenza che fosse già esistente all’entrata in vigore della L. 76/2016, i partners rimarranno “nell’oblio” per quanto attiene il periodo di vita già vissuta insieme e dovranno, quindi, ricorrere ai mezzi probatori comuni – a loro carico - per provare l’esistenza del rapporto nel periodo precedente la Novella. Tale questione non è meramente formale: infatti, la durata della convivenza incide sui diritti riconosciuti ai conviventi, tra i quali su tutti il diritto di continuare ad abitare la
(61) XXXXXXXXX, Unioni civili e convivenze, in Fam. e dir., 2016, 10, 859 che aggiunge come una soluzione diversa da quella proposta potrebbe portare a ritenere erroneamente stabile una convivenza, senza possibilità di prova contraria anche subito dopo l’instaurazione della medesima;
casa di comune residenza dopo la morte del partner e il diritto agli alimenti alla cessazione del rapporto (62).
5. I diritti dei conviventi in assenza di contratto
Come accennato nel primo paragrafo del presente capitolo, la Novella
ha previsto un sistema a “doppio binario”, introducendo:
(i) dapprima una regolamentazione minima e necessaria, di fonte legale, che si applica a tutte le convivenze che rispettino i dettami del comma 36 e
(ii) poi, la possibilità di estensione della tutela in via convenzionale mediante la stipulazione di un contratto di convivenza.
Peraltro, ai soggetti che non rispettino i requisiti del comma 36 della L. 76/2016 – si pensi ad esempio a i conviventi non liberi di stato o entrambi non maggiorenni - rimane applicabile e possibile il ricorso ad altre opzioni di tutela, e più precisamente agli strumenti e agli arresti giurisprudenziali già elaborati prima dell’introduzione della Novella, che si sostanziano essenzialmente nell’irrilevanza giuridica formale della famiglia di fatto o nel diritto comune.
Per quanto attiene ai diritti di fonte legale riconosciuti ai c.d. “conviventi di fatto” dalla L. 76/2016– che saranno, come sopra illustrato, applicabili
(62) BLASI, op. cit., 195 che segnala la tendenza di molti comuni recentemente a istituire la presenza di registri di convivenza e ne ricorda l’utilità in sede processuale, potendo il periodo di vita comune essere provato con qualsiasi mezzo, anche per presunzioni;
indipendente dalla manifestazione di volontà di pubblicizzazione della convivenza, nella forma della dichiarazione anagrafica di cui al comma 37 (cfr. paragrafo che precede) – la dottrina ha rilevato come, in massima parte, si tratti di diritti già riconosciuti da interventi giurisprudenziali (63). La Novella ha avuto così su tali aspetti una mera funzione ricognitiva e codificatoria, tipizzando e rendendo positivi gli arresti giurisprudenziali degli ultimi cinquant’anni (64).
Peraltro verso, la Novella si è anche preoccupata di estendere alcune tutele già previste per i coniugi che la giurisprudenza non aveva ritenuto di applicare analogicamente ai conviventi more uxorio (65). Si pensi, ad esempio,
(63) Si pensi, esemplificativamente, a: (i) la vocazione anomala a per successione nel contratto di locazione sancita all’art. 6, L. 392/1978, articolo oggetto di revisione da parte della Corte Costituzionale (Corte Cost. 7 aprile 1988 n. 404, in Foro it., 1988, I, 2515) nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore a favore del convivente, vocazione ormai riconosciuta normativamente in forza dell’art. 1, comma 44, della L. 76/2016; (ii) la possibilità di nominare il convivente rappresentante per quanto attiene alla scelta di donare i propri organi (cfr. art. 23, comma 2, L. 91/1999) e la possibilità per il convivente di opporsi per iscritto al prelievo come oggi previsto nell’art. 1, comma 40, della Novella; cfr. CENNI, in CNN Notizie del 20 giugno 2016, 2016;
(64) AULETTA, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia?, in N.l.c.c., 2016, 3, 390, che ha rilevato come la Riforma svolge in proposito una (sostanziale) funzione ricognitiva;
(65) Prima della Novella era stata sentita l’esigenza di prevedere sgravi fiscali per i conviventi di fatto, considerato che la convivenza si atteggia comunque a forma di solidarietà sociale – come peraltro disposto dalla legge francese -, esigenza non soddisfatta dalla legge in commento; cfr. IEVA, op. cit., 44;
alla nuova introduzione dell’art. 230 ter Codice Civile che ha finalmente esteso
la tutela ai conviventi la disciplina dell’impresa familiare (66).
Su tali presupposti, la dottrina ha comunque criticato l’impostazione della nuova Legge, sottolineando che la scelta compiuta dal Legislatore dimostrerebbe l’incapacità di prevedere una disciplina organica e sistematica (67)
Passando alla sommaria analisi dei singoli precetti contenuti nelle nuove disposizioni, in breve si può ricordare che il Legislatore ha previsto all’interno della Novella in favore dei conviventi i seguenti diritti:
(i) l’estensione dei diritti già spettanti al coniuge in base all’ordinamento penitenziario (comma 38 della L. 76/2016): senza modificare la previsione generale dell’art. 307, comma 4, c.p., norma che elenca i “prossimi congiunti (…) agli effetti della legge penale” e non comprende il convivente (68), la Novella ha stabilito che “i conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge
(66) XX XXXX, Dell’impresa familiare (art. 230 bis), in Della famiglia (artt. 177-342 ter), a cura di XXXXXXXX, in Comm. UTET, Torino, 2010, 381; XXXXXXXX, Xxxxxx e famiglia non coniugale, in Le relazioni affettive non matrimoniali, UTET., 2014, 425;
(67) XXXXX – XXXXXX, Relazioni affettive non matrimoniali, op.cit.;
( 68 ) È stato osservato però criticamente osservato che tale previsione non estende al rapporto di convivenza alcuna delle norme penali per le quali sarebbe rilevante il rapporto coniugale, né la previsione ricapitola i casi in cui le disposizioni penalistiche riguardanti il coniuge erano già in assenza di organica regolamentazione estese anche ai conviventi: LENTI, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, op. cit.;
nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario”; invero, tale previsione nulla aggiunge con riguardo alle regole di diritto processuale penale e non contiene nulla di davvero innovativo rispetto alla situazione preesistente (69), essendo stato sottolineato che tale previsione potrebbe addirittura restringere la portata dei diritti prima esistenti, richiedendo ora la presenza dei requisiti del comma 36 della Legge;
(ii) il diritto reciproco, in caso di malattia o di ricovero, di visita e di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali del convivente (comma 39): tale previsione – peraltro criticata per il suo tenore letterale definito “giornalistico” (70) – ha il duplice scopo di
(a) attribuire al convivente il diritto di visitare e assistere il partner xxxxxx, affinché a questi vengano garantiti gli stessi diritti che i regolamenti delle strutture sanitarie sull’accesso ai reparti attribuiscono ai familiari del paziente; la dottrina, peraltro, ne ha sottolineato la limitata utilità (71), venendo in rilevo
(69) XXXXXXX, Unioni civili e convivenze di fatto, op. cit., 217 che osserva come il termine famiglia infatti – in linea con le regole europee – è stato inteso dalla amministrazione penitenziaria in senso lato “in modo da inglobarvi la relazione che il detenuto ha stabilito con una persona che può essere comparata a quella con i membri della sua famiglia quand’anche la relazione non sia stata formalizzata”, Circolare D.a.P. 8 maggio 1998, n. 3264/5714;
(70) XXXXX, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, in Fam. Dir., 2016, 10, 933, critico sulla previsione, per il quale il comma in esame sarebbe connotato da una redazione “approssimativa”, “giornalistica” e comunque caratterizzata dalla mancanza del significato giuridico delle regole che stabilisce e delle loro implicazioni”;
(71) GORGONI, Unioni civili e convivenze di fatto, op. cit., 219;
solo nello sporadico caso in cui il regolamento interno della struttura sanitaria sia restrittivo verso i conviventi;
(b) concedere al convivente l’accesso alle informazioni personali del partner, con la precisazione che quelle sanitarie restano normate dal D.Lgs. 196/2003 (72) e potranno essere comunicate soltanto al paziente stesso e alle persone cui questi autorizza la comunicazione (73);
(iii) ai commi 40 e 41 la L. 76/2016 riconosce a ciascun convivente di fatto la facoltà di designare - in forma scritta e autografa ovvero, in caso di
(72) XXXXX, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, op. cit., 933 che precisa come “peraltro, in via di eccezione però, dopo eseguita la prestazione sanitaria per motivi di emergenza senza il consenso del paziente, in quanto in stato di incapacità fisica, legale o natura- le, le informazioni - in vista dell’autorizzazione al loro trattamento - possono essere comunicate a “un prossimo congiunto”, a “un familiare”, a “un convivente” e persino al “responsabile della struttura presso cui dimora l’interessato” (art. 82, comma 2, lett. a, X.Xxx.
n. 196/2003)”. Viene così in rilievo la normativa speciale in tema di dati personali, nella quale il convivente sembrerebbe essere individuato in modo più ampio rispetto a quanto previsto e sancito al comma 36 della Novella per i conviventi di fatto, categoria che è quindi ricompresa in questo novero, senza pertanto necessità di ricorre alla nuova previsione contenuta nel comma 39. Inoltre, l’Autore ha evidenziato l’ulteriore previsione speciale dettata all’interno della L. 91/1999 in tema di persone che si trovano “all’inizio del periodo di osservazione ai fini dell’accertamento di morte”: l’art. 3 di tale provvedimento, dettato sull’espianto di organi da cadavere, sancisce che le informazioni siano date data prima di tutto “al convivente more uxorio” il quale abbia la facoltà di “presentare opposizione scritta entro il termine corrispondente al periodo di osservazione ai fini dell’accertamento di morte” (cfr. art. 23, comma 2);
( 73 ) Sul punto si rinvia allo specifico regolamento emanato dal Garante della Privacy denominato “Strutture sanitarie: rispetto della dignità - 9 novembre 2005”, in www. xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx;
impossibilità, alla presenza di un testimone ( 74 ) - il convivente come rappresentante per l'assunzione di decisioni in materia di salute ovvero per le scelte relative alla donazione di organi e alle modalità delle esequie (75). (76). Tale previsione pone problemi di coordinamento con (i) la possibilità di designazione dell’amministrazione di sostegno e del tutore nonché (ii) con la L.
n. 91/1999 in merito al prelievo di organi per trapianto che prevede la possibilità di opporsi in forma scritta all’espianto al coniuge non separato e al convivente e solo in loro mancanza ai figli e in ulteriore subordine ad altri soggetti (art. 23) senza richiedere precedenti scelte manifestate dal defunto, e lasciando quindi a tali soggetti un margine di discrezionalità più ampio di quello
(74) Critico LENTI, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, op. cit., 933 che evidenzia il linguaggio “atecnico” della locuzione “poteri pieni o limitati”, soffermandosi sulle difficoltà interpretative della norma che pongono interrogativi circa il significato dei termini ivi contenuti;
(75) Alla lettera (a), il Legislatore ha previsto la possibilità di designare il convivente come proprio rappresentante per quanto attiene alla propria sfera personale e sanitaria; GORGONI, Unioni civili e convivenze di fatto, op. cit., 219;
(76) Tuttavia, l’ordinamento non conosce la figura del ‘fiduciario per i trattamenti sanitari’, figura che sembrerebbe introdotta per la prima volta dalla Novella, in parte a discapito di coniugi e figli che non possono godere di analoga disposizione. Presupposto della designazione è che la persona malata sia ancora capace di discernimento; LENTI, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, op. cit., 933 che osserva come la disposizione avrebbe poco rilievo pratico considerato che non sarò idonea a risolvere i casi più delicati, e cioè quelli in cui manchi una designazione a causa del rapido susseguirsi di eventi e che ricoprono la maggior parte dei casi in cui la designazione stessa sortirebbe la sua utilità (es: incidenti);
riconosciuto al rappresentante previsto dalla Novella. La lett. (b) della norma, invece, rinvia alla un testamento, fra le quali vi sono appunto le modalità di trattamento del corpo e il rito funebre (77) (78).;
(iv) i commi 42 e 43, ricalcando in parte le previsioni dettate in favore del coniuge ed estese dalla Novella all’unito civilmente (cfr. art. 540 Codice Civile), attribuiscono al convivente superstite il diritto di continuare ad abitare la casa precedentemente goduta in regime di convivenza per due anni, elevati a tre in caso di coabitazione di figli minori o disabili del convivente superstite, o comunque per un periodo pari alla durata della convivenza se superiore a due
(77) Per ulteriori riflessioni prima della Novella: XXXXX, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, op.cit., 933; l’Autore si chiede se, in presenza di precedenti disposizioni testamentarie in tal senso, la dichiarazione prevista dal citato comma 40 lett. (b) sia idonea a revocarle, giungendo a ritenere che tale possibilità si potrà verificare solo questa sia scritta in modo olografo e dovendosi invece negare “che l’interessato possa revocare le disposizioni contenute in un testamento con uno scritto non olografo o, peggio, con una dichiarazione orale alla presenza di un testimone, fatta poi valere dal fiduciario”;
(78) Quanto alla forma, il successivo comma 41 richiede che la designazione sia contenuto in un documento redatto “in forma scritta e autografa” o in una dichiarazione orale in presenza di un testimone, purché ovviamente diverso dalla persona designata come rappresentante. L’autografia invece – termine ancora una volta a-tecnico – sembrerebbe indicare il maggior requisito della olografia, in simmetria a quanto previsto per la forma testamentaria di cui all’art. 602 Codice Civile. Considerata la genericità del termine, tuttavia non si può escludere che tale dichiarazione debba essere scritta dal paziente in persona, ma non necessariamente tutta a mano, sino a richiederne la sola sottoscrizione in calce; LENTI, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, op.cit., 10, 933 che dichiara di aderire a tale testi, dando conto della conseguente maggiore garanzia di autenticità e della simmetria sistematica con le forme testamentarie, anche considerato quanto previsto dal comma 40, lett. b;
anni, fino ad un massimo di cinque. Tale diritto il diritto di abitazione cesserà qualora il convivente cessi di abitare nella casa o in contragga matrimonio, unione civile o nuova convivenza (cfr. comma 43 e cfr. amplius infra);
(v) al comma 44, il Legislatore riconosce la successione del convivente nel contratto di locazione della casa di comune residenza, prevedendo tale facoltà per il partner in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal vincolo contrattuale (cfr. amplius infra);
(vi) al comma 45, il Legislatore ha altresì previsto agevolazioni per i conviventi in relazione all'inserimento nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare (79), sostanzialmente equiparando la convivenza con il matrimonio nella formazione delle graduatorie (80), soluzione che presenta comunque il rischio - molto realistico - di far proliferare iscrizioni anagrafiche con fini elusivi;
(79) XXXXX, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, op. cit., 941 che ha sottolineato il possibile conflitto tra la norma in parola e la legislazione regionale (art. 117, comma 4, Cost.) e propone una lettura orientata a sciogliere tale discrasia, interpretando che il comma 45 determini solo i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali ovvero che essa esprima un principio generale dell’ordinamento civile, materia in cui vige tuttora la competenza statale;
(80) Le precedenti previsioni richiedevano che la convivenza fosse stata iniziata almeno 2 anni prima della pubblicazione del bando e che ne fosse dimostrata la sussistenza con certificazione anagrafica di stato di famiglia (art. 4 d.P.R. n. 223/1989), come fissato dalla delibera del C.i.p.e. del 13 marzo 1995 (pubblicata sulla G.U. n. 122 del 27 maggio 1995), che conteneva i principi di fondo per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica;
(vii) la Novella ha inoltre finalmente introdotto l'articolo 230-ter nel Codice Civile, per disciplinare ed estendere i diritti dell’impresa familiare (230-bis Codice Civile) al convivente (81): il convivente di fatto, che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa del partner, potrà così vedersi attribuito il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa. Il Legislatore invece non ha esteso al convivente le previsioni dei commi 2, 4 e 5 dell’art. 230-bis Codice Civile, tra cui esemplificativamente il diritto di prelazione in caso di cessione dell’impresa e il diritti di partecipazione all’indirizzo dell’impresa ( 82 ). Parte della dottrina ha sostenuto che tale dimenticanza sia irrilevante, trattandosi di norme che connotano l’istituto dell’impresa familiare in modo essenziale e che quindi debbano per forza essere applicate anche al convivente (83). Tale tesi tuttavia non mi sembra percorribile: l’estensione analogica delle norme previste dall’art. 230-bis Codice Civile creerebbe difficili contemperamenti tra i diritti dei conviventi e quelli dei terzi – si pensi ad esempio alla possibilità di retratto in caso
(81) Cfr. sul tema OBERTO, I contratti di convivenza nei progetti di legge, Padova, 2015, 171,
che proponeva invece una modifica in tal senso dell’art. 230-bis Codice Civile;
(82) VOLPE, Il patto di famiglia, Napoli, 2011, 252;
(83) XXXXXXX, op. cit., 235 e LENTI, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, op. cit., 941 per il quale inoltre “non è chiara la ragione per la quale il legislatore ha scelto di introdurre una nuova norma nel codice, per di più lacunosa, invece di aggiungere il convivente nell’elenco dei familiari, contenuto nel comma 3 dell’art. 230 bis c.c., come sarebbe stato molto più semplice. Se non è pura casualità, la ragione potrebbe essere nell’unica differenza tra l’art. 230 bis, comma 1, c.c. e il comma 46: quest’ultimo non menziona il “lavoro nella famiglia”, accanto al “lavoro nell’impresa””;
di lesione del diritto di prelazione sull’alienazione dell’impesa – considerato che la disciplina in esame si applica anche ai conviventi che non abbiano né stipulato un contratto di convivenza né effettuato la registrazione anagrafica prevista dalla Novella;
(viii) la Novella sembrerebbe ampliare inoltre i diritti del convivente nell’ambito delle misure di protezione, modificando l’art. 712 del c.p.c. con inserimento fra i soggetti che devono essere indicati nella domanda per l'interdizione o l'inabilitazione anche il convivente di fatto (comma 47) e riconoscendo al convivente la facoltà di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno del partner incapace (comma 48). Se la prima previsione pone fine a un disallineamento nella disciplina dell’amministrazione di sostegno (84), la seconda invece appare poco utile (85): non vi erano già infatti limitazioni soggettive per la scelta da parte del Giudice Tutelare dei soggetti che possano assumere gli uffici di diritto privato di tutore, curatore e amministrazione di sostegno. Sembra così preferibile interpretare la nuova previsione come volta a confermare un regime di preferenza del convivente nei confronti dei soggetti terzi ad assumere l’ufficio di amministratore di sostegno
( 84 ) La Novella rimedia alla mancanza di coordinamento tra la legge che ha introdotto l’amministrazione di sostegno (L. n. 6/2004) e il codice di procedura civile. La citata legge aveva infatti riformato l’art. 417 Codice Civile, inserendo il convivente fra i legittimati alla richiesta di apertura del procedimento, ma non lo aveva inserito tra le persone previste all’art. 712, comma 2, c.p.c. per la proposizione dei rimedi tradizionali;
(85) XXXXXXX, op. cit., 236;
amministratore (art. 408, comma 1, Codice Civile) o come tutore (art. 424, comma 3, Codice Civile), unitamente con agli altri soggetti legati all’incapace: il coniuge non separato legalmente, i genitori, i figli, i fratelli e le sorelle e i parenti entro il 4 grado (86);
(ix) la L. 76/2016 dà corso inoltre agli orientamenti giurisprudenziali, ormai costanti e consolidati, che hanno già equiparato il convivente superstite al coniuge nell’ambito della disciplina dell’illecito extra-contrattuale; tuttavia la Novella si preoccupa solo di normare il caso in cui il convivente deceda (87) e non prevede alcun diversificazione tra danno patrimoniale e non, quest’ultimo riconosciuto ormai da copiosa e costante la giurisprudenza (88);
(86) AULETTA, op. cit., 619;
(87) Diversamente dalla giurisprudenza che, già da tempo, ha esteso la tutela aquiliana del convivente alle ipotesi di lesioni non mortali; cfr. Cass. 29 aprile 2005 n. 8976, in Resp. Civ., 2006, 339 con nota di VASAPOLLO e Xxxx. 8 luglio 2002 n. 333305, in Riv. Pen., 2002, 980; cfr. anche Trib. Verona, 26 giugno 2013, in Danno resp., 2014, 627 con nota di XXXXX;
( 88 ) Quanto al danno patrimoniale, il comma 49 – non adeguandosi alla precedente giurisprudenza - attribuisce al convivente il diritto al risarcimento solo qualora il defunto fosse l’effettiva fonte del suo mantenimento. Sul punto, ampiamente, GORGONI, op. cit., 241 e LENTI, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, op. cit., 10, 939 che osserva “Al coniuge non è invece richiesta una prova analoga, argomentando dall’obbligo giuridico di contribuire ai bisogni della famiglia di cui all’art. 143 Codice Civile In applicazione della nuova norma, questa differenza dovrebbe essere cancellata, liberando il convivente dall’onere della prova suddetta. Trattandosi di una nuova norma, dovrebbe però applicarsi unicamente ai conviventi che hanno lo stato libero: per gli altri il risarcimento del danno patrimoniale dovrebbe restare governato dalle regole giurisprudenziali consolidate, senza applicare l’eguaglianza di criteri prescritta dal comma 49”;
(x) infine, al comma 65, è stato disciplinato il diritto agli alimenti alla cessazione della convivenza, diritto che sarà che stabilito dal giudice in presenza dei presupposti previsti dal Legislatore - quali lo stato di bisogno e l’impossibilità di provvedere al proprio mantenimento – e nella misura mutuata dall'art. 438 del codice civile, il tutto per un periodo proporzionato alla durata della convivenza (cfr. amplius infra).
CAPITOLO II
I CONTRATTI DI CONVIVENZA NELLA L. 76/2016: NATURA, FORMA E
PUBBLICITA’
Sommario: 1. Ammissibilità e caratteristiche del contratto di convivenza prima della Novella - 2. Segue. Il contratto di convivenza e la giurisprudenza prima della L. 76/2016 - 3. Il comma 50: tipicità e natura del contratto di convivenza -
4. La forma del contratto di convivenza prima della Novella - 5. La forma del contratto di convivenza ai sensi della L. 76/2016 - 6. Il ruolo del professionista: autenticazione e attestazione - 7. La pubblicità del contratto di convivenza - 8. Contratto di convivenza, incapaci e rappresentanza
1. Ammissibilità e caratteristiche del contratto di convivenza prima della Novella
Il contratto di convivenza è da oltre cinquant'anni sotto indagine da parte della dottrina e della giurisprudenza.
E' doverosa, tuttavia, la precisazione che per contratti di convivenza, già prima della Novella, si intendevano quei contratti il cui oggetto era la
regolamentazione patrimoniale dei rapporti tra i partners, e più precisamente la distribuzione tra di essi del costo della convivenza, l'eventuale previsione di un regime comune degli acquisti e la disciplina della rottura del ménage, anche se dovuta alla morte di uno di essi (89). Esulavano, pertanto, dalla categoria – ed esulano tutt’ora – tutte quelle convenzioni che avevano ad oggetto il lato non patrimoniale di conduzione del rapporto, negozi giuridici che la dottrina aveva già giudicato nulli, sia per mancanza di un rapporto giuridico patrimoniale da regolare, sia per mancanza di alterità rispetto al vincolo matrimoniale (amplius infra). L’obbligo di fedeltà, assistenza e coabitazione avrebbero potuto, infatti, sorgere solo in forza del matrimonio, - vincolo tutt’ora primario nel sistema costituzionale.
Detto ciò, i contratti di convivenza avrebbero potuto e dovuto connotarsi essenzialmente solo per la presenza al loro interno di obbligazioni reciproche di mantenimento e/o contribuzione nel superiore interesse della famiglia (90).
L’esigenza di una regolamentazione negoziale dei rapporti estranei al matrimonio nacque già nei secoli XIII e XIV, potendosi assistere ad esempio alla
( 89 ) XXXXXXXX, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, in BONILINI – CATTANEO, Il diritto di famiglia, II, 533; cfr. Trib. Savona 29 giugno 2002, in Fam. Dir. Per., 2003, 596 con nota di XXXXXXXX su cui meglio infra;
(90) XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., 89;
presenza di “contrats de concubinat” in Francia (91) e di “cartas de macebià e comanerià” in Spagna ( 92 ). Tale esigenza è stata avvertita da almeno un ventennio nei paesi di common law, mentre la situazione europea e italiana manifestava l’esigenza inascoltata di approdare a una soluzione normativa che, ancor prima di attribuire rilevanza giuridica alla convivenza, ammettesse la stipulazione di contratti per la regolamentazione dei rapporti tra i conviventi more uxorio.
Tali esigenze, ancor prima che dal Legislatore, sono state soddisfatte dalla giurisprudenza mediante il ricorso a figure negoziali di diritto comune al fine di superare la “soglia minimale” di tutela tra i conviventi, ancorata ai fragili appigli della disciplina delle obbligazioni naturali o dell’arricchimento ingiustificato (93).
Ad ogni modo, prima della Novella, il contratto diretto a disciplinare i rapporti patrimoniali nelle coppie di fatto era contratto sostanzialmente atipico
(91) cfr. XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., 83 che ricorda AUBENAS, Cours d’histoire du droit privé, VI, Aix en Provence, 1958, 35, che riporta di un “contrat de concubinat” predisposto in Bonifacio (Corsica) dal notaio genovese Xx Xxxxx nel 1287;
(92) XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., 83 che cita XXXXX XXXXXXXX, Las uniones libres, in Xxxxxxxx xx xxxxxxx xx xxxxxxx, XXX, Xxxxxxxxx, 0000, 15 il quale ricorda la Carta de Xxxxx del 1361, sotto il titolo “carta de mancebía e compañería” quale esempio di contratto tra un uomo e la sua concubina, con cui il primo concedeva a quest’ultima determinati diritti sulle sue rendite, oltre che quelli di spartire con lui “pan e mesa e cuchiello por todos los días que (...) visquiéredes”;
(93) XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., 85;
e non rientrava in alcuna fattispecie prevista dal Legislatore - salvo il caso in cui ci si trovasse in presenza di contratti tipici permeati da un diverso fine (94). Da ciò conseguivano, peraltro, gli scontri e sforzi dottrinali per legittimarne l’ammissibilità e disegnarne i relativi limiti ( 95 ), limiti che emergevano dal confronto dello scopo perseguito dai conviventi con la meritevolezza degli interessi in gioco, la cui valutazione peraltro non poteva non essere figlia dell’evoluzione storica e del modo di giudicare la convivenza al di fuori del matrimonio e, quindi, necessariamente mutevole e connotata da un generale sfavore per il fenomeno (96).
In primo luogo, la dottrina e la giurisprudenza del secolo scorso si erano
(94) Cfr. XXXXXXXXX, Gli accordi tra conviventi e riflessi sull'attività notarile, Studio CNN, n. 174-2008/C che ha osservato: “In questa materia, la mancanza di una compiuta disciplina, e la condivisa impossibilità dell'applicazione analogica della disciplina che regola i rapporti personali e patrimoniali tra coniugi, impongono di individuare un parametro generale, che sia idoneo a costituire la giustificazione causale di ogni attività negoziale tra conviventi. Detta esigenza non solo si manifesta in maniera esponenziale per la regolamentazione pattizia del rapporto di convivenza in senso stretto (non regolato positivamente), ma anche per la enucleazione di principi che attengano alla estrinsecazione dell'autonomia privata in settori latamente collegati al rapporto detto; e ciò, laddove possibile, in posizione simmetrica rispetto al rapporto di coniugio, dal quale se ne differenziano non già per la diversità degli interessi da comporre, ma solo per la mancata regolamentazione positiva”;
(95) cfr. sul tema, ex multis: XXXXXXX, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, 150; XXXXXXXX, I contratti tra conviventi “more uxorio”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 737; MOSCATI - ZOPPINI (a cura), I contratti di convivenza, Torino, 2002; DE FILIPPIS, Convenzioni matrimoniali e contratti di convivenza, Milano, 2014, 121;
(96) VILLA, La gatta frettolosa e i contratti di convivenza, in Corr. Xxxx., 2016, 10, 1190;
ritrovate a dover valutare l’ammissibilità del contratto sotto la lente della compatibilità al buon costume. In una società ove la donna era ancora relegata al lavoro domestico - attività che non veniva considerata propriamente economica - un siffatto contratto avrebbe potuto assumere il disdicevole fine della remunerazione della attività sessuale da essa compiuta in favore del partner (97).
In tema, si può ricordare una risalente corrente giurisprudenziale che riteneva nulla la donazione a favore della concubina per contrarietà al buon costume ( 98 ) in quanto strumento volto ad indurre quest’ultima ad intraprendere o continuare la relazione e, quindi, sostanzialmente con fine remuneratorio dei comportamenti sentimentali e sessuali nel ménage (99) (100). La giurisprudenza più recente, tuttavia, tendeva a superare l’eccezione di
(97) XXXXXXXX, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi “more uxorio”, op. cit., 539;
(98) X’XXXXXX, La donazione rimuneratoria, Milano, 1942, 158;
(99) VILLA, La gatta frettolosa e i contratti di convivenza, op. cit., 1190 che cita Xxxx. 30 giugno 1950 n. 1678, in Foro it., 1951, I, 1067; Cass. 18 ottobre 1955 n. 3264, in Mass. Foro it., 1955;
( 100 ) Cfr. XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., 97 che ricorda come proprio i primi commentatori del codice napoleonico portassero ad esempio la donazione remuneratoria di prestazioni sessuali quale classico esempio di negozio contrario al buon costume, osservando la labile distinzione di tale donazione rispetto a quella lecita effettuata allo scopo di convincere una donna a intraprendere una relazione concubinaria (lecita in quanto il motivo non permeava la causa del negozio) avendo la donna, quale unico mezzo di scambio del mantenimento promesso dall’uomo o della res oggetto di donazione, la concupiscenza sessuale;
illegittimità per contrarietà al buon costume mediante dapprima la valorizzazione del lavoro endo-domestico - quindi facendo passare in secondo piano l’aspetto sessuale e non patrimoniale della coercizione alla convivenza ( 101 ) - e, secondariamente, giudicando legittimo lo scopo di reintegrare il partner debole per lo svantaggio sociale in cui il rapporto l’aveva costretto (102). Le maggiori aperture alla legittimità del contratto nell’ottica della compatibilità con il buon costume, tuttavia, arrivavano dalla dottrina. Infatti, contrariamente alle tesi volte a giudicare il contratto illecito per via di quanto sopra esposto, era stato dagli autori sottolineato come “la causa del contratto di convivenza [fosse] finalizzata a regolare il ménage patrimoniale della famiglia di fatto, non già la relazione in sé, salvo che il motivo comune [fosse] rappresentato dal porre il mantenimento come controprestazione della dell’attività sessuale del partner”. Pertanto, la dottrina aveva ricondotto la causa in concreto del contratto non già a remunerazione del comportamento concupiscente del partner, bensì atta a regolare i rapporti patrimoniali del rapporto, senza alcun illecito corrispettivo celato (103). Tale soluzione sembrava
(101) XXXXXXXX, Trattato della responsabilità civile, II, Milano, 2004, cap. II; XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., 97;
(102) Cass. 17 luglio 1948 n. 1147, in Foro it., 1948, 951 e Cass. 12 ottobre 1955 n. 3046, in Rep. Foro it., 1955, 23;
(103) Cfr. DEL PRATO, op. cit., 959, che, tuttavia, faceva salva l’illiceità della famiglia adulterina alla quale l’Autore riconosce potere invalidante di ogni accordo posto in essere a regolamentazione;
essere stata peraltro accolta anche poi dalla giurisprudenza (104).
Tuttavia, il superamento delle eccezioni circa l’ammissibilità di tali negozi in relazione al precetto del buon costume non liberavano il contratto di convivenza dai dubbi di legittimità. Infatti, lo spettro di analisi non si fermava all’esame di quanto sopra evidenziato, ma si concentrava e scontrava anche con:
(i) le qualificazioni degli obblighi nascenti dalla convivenza, annoverati tra le obbligazioni naturali e, quindi, portanti in seno le relative problematiche principalmente attinenti alla possibilità di coercizione delle stesse e alla loro trasformazione in obbligazioni civili (105);
(ii) la sovente presenza di clausole inserite dai partners che prevedano volontariamente obblighi non patrimoniali, quali impegni di coabitazione o di fedeltà, e quindi connotando personalisticamente il negozio;
(iii) la difficoltà di attribuire al convivente superstite diritti dopo la propria morte senza incorrere nei divieti di patti successori (art. 458 Codice
(104) Cfr. Cass. 8 giugno 1993 n. 6381, in N.g.c.c., 1994, I, 339 che ha sancito validità del contratto di comodato concesso vita natural durante alla convivente e così, conseguentemente, ha stabilito la validità degli accordi pattizi volti a regolare rapporti patrimoniali nella convivenza more uxorio;
(105) Tra le tante, Xxxx. 20 novembre 1985 n 5717, in Foro It., 1986 I, 1369 con nota di QUADRI, che conferma le righe tale impossibilità, osservando anche che “la cessazione, ai sensi dell’art. 5, 5° comma, l. n. 898/1970, dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di divorzio in caso di nuove nozze del beneficiario non può essere invocata neppure in via analogica, nell’ipotesi di convivenza more uxorio con un terzo”;
Civile), profilo di cui si tratterà meglio nei capitoli successivi (cfr. amplius infra).
Quanto al primo dei punti citati – che, a ben vedere, ha creato maggior impegno nella giurisprudenza - le domande di ripetizione dell’indebito o di ingiustificato arricchimento, esperite dagli ex-conviventi dopo la cessazione del ménage ed aventi ad oggetto le prestazioni patrimoniali rese a beneficio dell’altro durante lo stesso, hanno costituito banco di prova dei diritti dei conviventi e, più ancora, del relativo contratto.
Infatti, nella ricerca di sussunzione nelle regole di diritto già presenti all’interno dell’ordinamento, le prestazioni eseguite tra i coniugi sono state in prevalenza qualificate dalla dottrina quali adempimenti di obbligazioni naturali. Tale ricostruzione teorica prende le mosse anche dalla diversa dimensione sociale che la convivenza ha assunto nell’ultimo cinquantennio, passando da fenomeno deprecabile e illecito, con profili di lesione del buon costume, a “strumento per realizzare la personalità dei conviventi” (106). Tale tesi, che prese piede avversando la più risalente che ricostruiva le elargizioni al convivente quali donazioni rimuneratorie (107), veniva – nonché viene tuttora – applicata sia alle prestazioni effettuate per mantenimento del convivente sia per quelle conseguenti la fine del ménage. La finalità dichiarata di questa ricostruzione è
(106) XXXXXXXX, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi “more uxorio”, op. cit., 539;
( 107 ) XXXXXXX, Sugli spostamenti patrimoniali effettuati in esecuzione di obbligazioni naturali, CEI, 1987, 887;
quella di escludere la ripetibilità di quanto corrisposto da uno dei partners in ragione della convivenza o della sua cessazione.
Le obbligazioni naturali, infatti, non sono escutibili coattivamente e sono caratterizzate dalla regola della soluti retentio, sicché il convivente che abbia effettuato spostamenti patrimoniali per soddisfare il proprio dovere morale non potrà riottenere quanto corrisposto, non riconoscendo il nostro ordinamento ai doveri morali e sociali di cui all’art. 2034 Codice Civile la caratteristica della giuridicità (108).
Se la teoria ha il pregio di tutelare il convivente debole, essa tuttavia creava problemi dottrinali non di poco conto per l'ammissibilità del contratto che regoli tali profili. La mancanza di un sottostante rapporto obbligatorio civile non permetterebbe infatti la novazione, la dazione in pagamento e la ricognizione dell’obbligazione naturale assunta dai conviventi per mero effetto dell'esistenza del rapporto ( 109 ) e, quindi, la previsione di tali fenomeni all’interno del contratto di convivenza.
(108) Sull’obbligazione naturale in relazione al contratto di convivenza cfr. XXXXX, Patto di convivenza e obbligazioni naturali nel sistema civilistico italiano, in Vita notarile, 2015, fasc. 3, 1135 e ROCCHIO, Obbligazioni naturali tra conviventi "more uxorio"?, nota a Xxxx. 22 gennaio 2014 n. 1277, in Giur. It., 2015, 5, 1092;
(109) XXXXXX, I contratti di convivenza, op. cit., 4 che in nota ricorda la disciplina in vigore sotto il precedente codice che ammetteva la novazione dell’obbligazione naturale, come confermato dalla giurisprudenza del tempo (Cass. 4 luglio 1938, in Foro it., 1938, I, 1547);
Autorevolissimo Autore, infatti, aveva affermato – sul tema generale delle obbligazioni naturali - che “se la causa novandi non è sufficiente (...) a creare sulla base di un'obbligazione naturale un'obbligazione civile, a maggiore ragione si deve ritenere che la nuova obbligazione costituita come strumento per adempiere la prima, non può essere mai un'obbligazione civile. Il negozio destinato a creare il nuovo obbligo, sarebbe irrimediabilmente un negozio senza causa perché nessuna funzione praticamente rilevabile, se si elimini quella di accertamento, potrebbe esercitare sul rapporto preesistente” (110). Alla luce di tale dato anche la giurisprudenza, dopo l’entrata in vigore del codice attuale, aveva avallato tale generale orientamento (111).
Sulla base di queste difficoltà, parte della dottrina aveva ritenuto inammissibile di un contratto di convivenza che desse vita a tali obbligazioni, relegandolo quindi nel campo dei contratti di accertamento (112).
(110) XXXXXX, Esecuzione indiretta di obbligazioni naturali, in Foro it., 1939, I, 41;
(111) Cass. 29 Novembre 1986 n. 7064, In Foro It., 1987, I, 805;
( 112 ) XXXXXXXX, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, op. cit., 536; PERFETTI, op. cit., 1752 che sottolinea come fosse negata per i motivi accennati la possibilità di attuare in forza del contratto di convivenza ricognizioni di xxxxxx, confessioni stragiudiziali e promesse di pagamento;
Tuttavia, con l’avvento della modernità, la dottrina cambiò punto di osservazione (113), cercando di risolvere tale incompatibilità tra forma negoziale ed esistenza di obblighi non giuridici tra i partners.
Parte della dottrina, infatti, aveva sostenuto la legittimità del contratto di convivenza, basandosi sul principio che le cause fondanti le obbligazioni naturali in esse presenti assumessero il mero ruolo di motivi della stipulazione del negozio, dal quale, invece, nascevano vere e proprie obbligazioni civili (114). Infatti, era stato osservato come la promessa contenuta in un contratto ben può avere una sua causa autonoma rispetto all’obbligazione naturale sussistente tra
(113) BALESTRA, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale, op. cit., che osserva sul punto “tali conclusioni si inserivano in un quadro in cui l'attenzione era essenzialmente indirizzata a valorizzare e a collocare la portata delle singole regole e degli Istituti secondo una prospettiva di razionalità sistematica, piuttosto che a porre l’accento sugli interessi tutelabili al cospetto dell’ordinamento nella sua complessità. In epoca contemporanea l'impostazione della problematica deve avvenire su basi diverse, adottando una prospettiva volta a privilegiare gli interessi emergenti dal sistema, ancor più quando essi si riferiscano allo sviluppo della persona umana”;
( 114 ) XXXXXXX, Sugli spostamenti patrimoniali effettuati in esecuzione di obbligazioni naturali, op. cit., 887 che ha sottolineato come l’ipotesi del contratto diretto all’adempimento di una obbligazione unilaterale non possa farsi rientrare nel precetto dell’art. 2034 Codice Civile in quanto la conclusione del medesimo non è effetto dell’obbligazione naturale;
le parti, anche se tramite esso i contraenti raggiungano ugualmente lo scopo di dare esecuzione ad un dovere morale o sociale (115) (116).
Altra parte della dottrina, invece, era approdata a ritenere valido il contratto di convivenza passando per altre vie, in particolare aderendo alla tesi più liberale e ammettendo la possibilità di novare una obbligazione naturale in obbligazione civile (117).
Altra dottrina ancora riteneva ammissibile il contratto di convivenza sulla base della generale meritevolezza degli interessi perseguiti, “sganciando” il generale tema sulla possibilità di conclusione del negozio da quello
(115) XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., che sottolinea “il risultato può essere ottenuto ponendo la prestazione oggetto dell’obbligazione naturale in corrispondenza biunivoca con un’altra prestazione, di natura reale o obbligatoria, la quale a sua volta può costituire oggetto di un’altra obbligazione naturale (per esempio, Xxxxx promette a Caio di adempiere nei suoi confronti un’obbligazione prescritta, in cambio dell’impegno di Caio di saldare a Xxxxx la residua parte di un debito facente parte di un concordato fallimentare)”; cfr. anche OPPO, Adempimento indiretto di obbligazione naturale, in Riv. dir. comm., 1945, I, 186 e DEL PRATO, op. cit., 959 che tuttavia ravvisa il congruente limite posto dall’art. 1322 Codice Civile all’autonomia privata ai patti che pongano in essere la regolamentazione contributiva delle convivenze;
(116) Sul punto è stato anche sostenuto che nel caso “in cui la promessa di adempimento di un obbligo morale o sociale scaturisse da una sola parte determinando l’impoverimento del promittente e l’arricchimento del promissario, il requisito causale dovrebbe essere surrogato dal rispetto della forma solenne prescritta per la donazione”, OBERTO, I diritti dei conviventi, op. cit.;
(117) BALESTRA, Le obbligazioni naturali, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu-Messineo, Milano, 2004, 103;
concernente gli effetti e la disciplina dell'obbligazione ex 2034 Codice Civile (118). In questo filone, viene in rilevo la dottrina che pareva a fondamento della validità dei contratti di convivenza la cd. “causa familiae”, e cioè la giustificazione causale autonoma (119) di accordi afferenti al fenomeno famiglia con particolare riferimento alla regolamentazione dei rapporti in tema di: (i) ricerca della meritevolezza dell'interesse perseguito dai conviventi e (ii) qualificazione del negozio posto in essere (120).
Tale locuzione era già stata coniata peraltro per individuare la causa delle attribuzioni patrimoniali tra coniugi in sede di separazione personale o divorzio (121), ampliando la propria rilevanza in altri settori nell'ambito familiare (122). Tale tesi tuttavia sembrava da alcuni criticata; infatti la dottrina in parte aveva sostenuto che la convivenza morte uxorio non fosse un motivo idoneo,
(118) XXXXXXXX, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi “more uxorio”, op. cit., 534; PERFETTI, op. cit., 1749 che ricorda come fosse stato sostenuto che l’esame complessivo delle pattuizioni contrattuali era non solo idoneo a superare la qualificazione delle previsioni in esse contenute quali obbligazioni naturali contrattualizzate, bensì come elemento costitutivo della stessa famiglia di fatto;
(119) Cfr. BALESTRA, La famiglia di fatto tra autonomia ed eteroregolamentazione, in N.g.c.c., 2007, 202 che concludere per la natura di contratto a prestazioni corrispettive del patto di convivenza;
(120) TRIMARCHI, Gli accordi tra conviventi e riflessi sull'attività notarile, op. cit.;
(122) XXXXXXXX, Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento, op. cit., 729 che ricorda la causa autonoma del contratto di convivenza che si sarebbe fondata sulla reciprocità e sugli apporti di ciascun convivente;
ancorché comune alle parti ed elevata a causa in concreto del regolamento contrattuale, a fondare l’attribuzione di diritti tra i partners anche per il tempo della cessazione del rapporto (123).
2. Segue. Il contratto di convivenza e la giurisprudenza prima della L. 76/2016
Sulla meritevolezza delle finalità perseguite dal contratto e sulla relativa liceità, peraltro, si era espressa anche la giurisprudenza (124) – e in particolare il Tribunale di Savona – a chiusura di un percorso che sembrava già stato compiuto quantomeno nella prassi (125).
A testimonianza della legittimità degli accordi atti a regolare la regolamentazione contrattuale della famiglia di fatto si può ricordare l’arresto giurisprudenziale della Corte di Cassazione che, nei primi anni novanta, aveva confermato come “la convivenza more uxorio tra un uomo e una donna in stato libero non costitui[va] causa di illiceità e quindi di nullità di un contratto
(123) Cfr. sul punto DEL PRATO, op. cit., 959 che riteneva di ravvisare “il sostegno causale
dell’attribuzione (…) nella contribuzione al suo svolgimento”;
(124) Come meglio nel proseguo, il Tribunale di Savona che - con le proprie pronunce in tema rispettivamente del 7 marzo 2001, del 20 giugno 2002 e del 24 giugno 2008 meglio di seguito riportate - è stato il Tribunale più prolifico in materia;
(125) Sul punto può leggersi il pronunciato di Cass. 8 giugno 1993 n. 6381, in N.g.c.c., con nota di XXXXXXXXXX;
attributivo di diritti patrimoniali dall’uno a favore dell’altra o viceversa solo perché il contratto sia collegato a detta relazione, in quanto tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla legge, non è illecita non potendo considerarsi di per sé contraria a norme imperative, non esistendo norme di tale natura che la vietino; né all’ordine pubblico, che compresi i principi fondamentali informatori dell’ordinamento e al buon costume inteso – naturalmente a norma della disposizione del codice civile (v. articoli 1343 e 13454 di tale codice) – come il compresso dei principi etici costituenti la morale sociale un determinato tempo e in un determinato luogo” ( 126 ). Il caso da cui prende le mosse siffatta pronuncia era caratterizzato dall’iniziale richiesta da parte dell’ex-convivente di restituzione di un immobile concesso in godimento al partner con contratto di comodato “in corrispettivo di servizi forniti e fornendi”, vita natural durante,
(126) Cfr. Cass. 8 giugno 1993 n. 6381, in N.g.c.c., 1994, 339 con nota di XXXXXXXXXX meglio di seguito nel testo riportata; sul comodato in funzione di regolamentazione della convivenza, cfr. anche Xxxx. 21 giugno 2011 n. 13592, in Giust. civ. Mass. 2011, 6, 933 che recentemente ha sancito “il comodato, stipulato senza prefissione di termine, di un immobile successivamente adibito, per inequivoca e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di un nucleo familiare di fatto, costituito dai conviventi e da un figlio minore, non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà "ad nutum" espressa dal comodante ai sensi dell'art. 1810, comma 1, ultima parte, c.c., dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi familiare tra i conviventi. Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., solo nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità”;
salvo che la donna avesse posto fine alla convivenza di sua spontanea iniziativa (127).
Con la citata sentenza, la giurisprudenza aveva affermato la legittimità di previsioni contrattuali - nel presente caso atipiche, considerato che il nostro sistema non conosce il comodato vita natural durante, bensì quello a tempo indeterminato (cd. “precario”) – causalmente collegate alla convivenza more uxorio in quanto stipulate prima della sua cessazione e volte a regolare il lato patrimoniale del rapporto, nel qual caso la cessazione e i relativi effetti.
La Corte, peraltro, sulla scorta di quanto evidenziato, continuava sgombrando il campo alle eccezioni dell’ex-convivente attore, ritenendo tale stipulazione in favore del partner non coartante la libertà fondamentale del concedente seppur non avesse condizionato risolutivamente il comodato alla
(127) Cfr. XXXXXXXXXX, Una convenzione patrimoniale nell’ambito della c.d. famiglia di fatto: il comodato vita natural durante, in N.g.c.c., 1994, 339 per una disamina comparatistica della sentenza e per i rilievi critici circa la soluzione giuridica della Suprema Corte che, rigettando la domanda di restituzione dell’abitazione, sembrerebbe – a dire dell’Autore – aver disatteso la circostanze di fatto da cui nasceva il contratto, osservando: “non sempre la mancanza di un patto espresso deve indurre a negare ogni tutela al convivente economicamente più debole , specie dopo la rottura ; in molti casi si può regolare la situazione come se quel patto esistesse, ricostruendone il contenuto, effettivo o virtuale, sulla base di ragionevoli presunzioni, tratte dal carattere concreto del rapporto e dagli apporti hinc et inde. Non sempre per converso, ove un patto esista [nel qual caso il contratto che non preveda la risoluzione del comodato alla cessazione del ménage] , si deve recepirne acriticamente il contenuto in tutta la sua estensione, anche ove esso pretenda di stabile una sorta di iperprotezione per il convivente economicamente più debole, del tutto sproporzionata alla sua posizione di fatto e agli apporti diretti o indiretti da lui dati al comune ménage”;
cessazione del rapporto, non ne aveva previsto la risoluzione. I giudici della Suprema Corte, infatti, avevano ritenuto che “tale asserita penalizzazione non è più configurabile perché il contratto stipulato inter partes non prevede a carico di lui alcuna clausola penale né alcun’altra conseguenza negativa in tale ipotesi”; conclusione dalla quale si può altresì trarre la conferma dell’illegittimità di clausole penali o altri meccanismi penitenziali legati alla conclusione del ménage.
Dopo circa dieci anni, ai medesimi arresti giunse il già sopra citato Tribunale di merito alla quale era stata sottoposta una analoga vicenda, e più precisamente la concessione – per scrittura priva non autenticata – di un diritto di usufrutto a favore del convivente in ragione della regolamentazione degli aspetti patrimoniali del rapporto. Il Tribunale, nel ricordare la generale legittimità degli accordi di convivenza in forza del principio dell’autonomia privata ex art. 1322 c.c., rigettava la domanda di nullità proposta dal titolare della nuda proprietà del bene per asserita assenza di causa del contratto, al fine di ottenerne la restituzione.
Il motivo del rigetto delle domande attoree era basato sulla considerazione che “il contratto di costituzione in usufrutto è da ritenersi valido, trovando il proprio fondamento nella convivenza more uxorio” (128).
(128) Cfr. Trib. Savona 7 marzo 2001, in Fam. Dir., 2011, 5, 529 che, continuando nell’analisi della situazione fattuale del giudizio, osserva che l’ex-convivente proprietario del bene avrebbe potuto riottenere il godimento dell’immobile chiedendo la risoluzione del contratto per mancanza dei presupposti. L’organo giudicante, infatti, nel respingere le domande attoree, osserva come, senza espressamente nominare, il contratto oggetto di giudizio
Come ancora confermato dal Tribunale in parola, i contratti di convivenza era considerati quindi strumenti negoziali atipici leciti in quanto volti a perseguire interessi meritevoli di tutela, purché rispettosi dei canoni dettati dall’art. 1322 Codice Civile.
Inoltre, a tale conclusione doveva aggiungersi, esaminando la pronuncia, l’ammissibilità di convenire prestazioni negoziali unilaterali, e cioè il cui peso economico gravasse solo su uno dei partners - come vedremo principio in parte disatteso dal successivo indirizzo del medesimo organo giudicante – se considerato che l’usufrutto de quo era stato concesso solo a fronte del pagamento delle spese e tasse di acquisto del bene da parte dell’ex-convivente (129).
A breve distanza, lo stesso Tribunale di Xxxxxx tornò a pronunciarsi sul caso di una coppia di conviventi more uxorio che, a regolamentazione dei propri rapporti, decisero durante una breve esperienza di convenire di contribuire egualitariamente alle spese di vita comune. In tale contesto, uno degli ex- partner, dopo la cessazione del rapporto, chiamava l’altro in giudizio
avrebbe potuto considerarsi risolto in forza della presupposizione l’istituto (ie. “implicita condizione risolutiva” per l’organo giudicante) comune a entrambi i partners che il diritto scaturente dal negozio fosse destinato a terminare con il ménage;
(129) Cfr. XXXXXXXXX, La forza della famiglia di fatto e la forza del contratto. Convivenza more uxorio e presupposizione, in Fam. Dir., 2011, 5, 533 che coglie positivamente la pronuncia, auspicando un maggior utilizzo dei mezzi negoziali per la regolamentazione dei rapporti tra i conviventi, piuttosto che un intervento “dall’alto” attraverso una imposizione autoritaria del Legislatore (come invece definitivamente operato con la L. 76/2016);
chiedendone la condanna per l’inadempimento dei doveri come sopra assunti (130). Il Tribunale, analizzando la fattispecie, ebbe avuto modo, risolcando i tratti già delineati dalla precedente sentenza, di affermare la generale liceità del contratto di convivenza, quale strumento atipico ammissibile ai sensi dell’art. 1322 Codice Civile e la forza di legge del medesimo tra le parti.
Ma l’arresto giurisprudenziale in esame è particolarmente interessante in quanto non si limitò a confermare quanto già sopra precisato, bensì vi aggiunse il riconoscimento della funzione anti-processualistica di tali contratti nonché la loro azionabilità in giudizio e, soprattutto, la necessità che – a dire del Tribunale – in presenza di accordi generici che dispongano la parità di contribuzione “occorre far salve le differenti possibilità economiche e lavorative dei componenti in un dato momento”.
La sentenza in esame, pertanto, arrivò a sostenere che il canone di interpretazione di siffatti contratti fosse da ricercarsi nell’art. 143 Codice Civile per il quale “i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”, riconoscendo che in generale le norme sul matrimonio dettate dal Legislatore non dovrebbero applicarsi ai conviventi, ma facendovi una eccezione in forza della “rilevanza e assolutezza” dei principi ivi contenuti.
Tale conclusione peraltro avrebbe potuto condurre a conclusioni diverse interpretazioni e conseguenze distortive del lato meramente letterale delle
(130) Tribunale di Savona 29 giugno 2002, in Fam. Dir., 2003, 6, 596 con nota di XXXXXXXX;
previsioni del contratto di convivenza che, semplicisticamente, contengano un obbligo di contribuzione paritaria tra i coniugi. Per tale motivo, l’arresto giurisprudenziale qui citato e le relative conclusioni sono state criticate dalla dottrina, come meglio si vedrà in proseguo in ambito di parametrazione della contribuzione comune (131).
Infine, sempre il Tribunale citato stabilì, a conferma degli orientamenti dottrinali, che i contratti di convivenza erano da considerarsi “contratti atipici ex art. 1322 c.c. ammissibili e validi in quanto volti a regolamentare interessi meritevoli di tutela (…) da ravvisarsi nella volontà e nella necessità di dare un assetto equilibrato sul piano patrimoniale al rapporto di convivenza more uxorio anche al fine di prevenire ed evitare eventuali liti e giudizi. Del resto la legge non prevedev[a] una disciplina specifica, per cui lo strumento del contratto appar[iva] uno strumento assolutamente idoneo a circoscrivere e formalizzare le regole che i partners stabiliscono e vogliono. Eventuali regole e accordi iniqui per una parte possono poi essere ‘aggiustati’ dall’Autorità Giurisdizionale se adita sulla base degli istituti di diritto privato. E ciò, come prevede la legge in materia di contratto, nel caso, tra l’altro sussista un vizio del consenso” (132).
(131) XXXXXXXX, Le contribuzioni tra conviventi fra obbligazione naturale e contratto, in Fam. Dir., 2003, 6, 598;
(132) Cfr. Tribunale di Savona 24 giugno 2008 n. 549, in Fam. Dir., 2009, 4, 385 con nota di ASTIGGIANO il quale “concorda pertanto con la sentenza in esame laddove precisa che , siccome la legge non prevede una specifica disciplina per la regolamentazione dei precisati rapporti, solo strumento contrattuale appare del tutto idoneo a dare concretezza dell’assetto
Era così ancora una volta confermata la valida natura di tali contratti, quali mezzi atipici volti a perseguire un fine meritevole di tutela. Il Tribunale, peraltro, facendo menzione sia dei vizi del consenso che avrebbero potuto inficiare il negozio ovvero della possibilità di tutela da parte dell’Autorità attraverso la generale disciplina del contratto, implicitamente sembrerebbe fare riferimento alle ipotesi di risoluzione o rescissione e, quindi, confermare incidentalmente la natura di contratti di natura patrimoniale delle figure giuridiche oggetto del presente studio.
Il Tribunale terminava peraltro affermando, tra le righe, che non ogni contratto che fosse intervenuto tra i conviventi sarebbe necessariamente stato permeato di tale causa. L’organo giudicante infatti, nel caso portato al suo esame, ritenne valida la possibile sussistenza di diverse previsioni negoziali intervenute tra i partner quindi senza alcuna rilevanza del o sul ménage, precisando che “il fatto che due persone siano tra loro conviventi more uxorio, così come nel caso siano coniugi, non esclude che in relazione ad una prestazione professionale che uno dei due esegue a favore dell’altro sia pattuito il relativo compenso oppure che, nonostante non sia espressamente pattuito ma nemmeno escluso, l’altro possa richiedere il relativo compenso”.
di rapporti economici disponibili che i partners intendono consensualmente darci; il tutto con la conseguenza che qualora una delle parti, una volta stipulato il negozio, lo ritenga divenuto iniquo, può rivolgersi all’Autorità Giurisdizionale per far valere l’iniquità o la presenza di eventuali vizi della volontà o del consenso”;
Dall’esame delle sopra citate sentenze – allo stato uniche pronunce rinvenibili e commentate – si evince la sostanziale pacifica liceità anche in giurisprudenza dei contratti di convivenza atipici prima della L. 76/2016, dovendosi osservare come non solo pareva lecito a dottrina e giurisprudenza la creazione di appositi contratti atipici, ma altresì l’utilizzo di strumenti tipici (specificatamente, il comodato) per regolamentare il ménage (133).
3. Segue. Finalità e diffusione del contratto di convivenza prima della L. 76/2016
All’esito di tale breve disamina circa l’ammissibilità del contratto di convivenza prima della Novella, si può quindi ricordare che, nella prassi e nella giurisprudenza (134), grazie alle elaborazioni della dottrina, si era così giunti a sostenere la generale ammissibilità di tali accordi. Non sembrava, infatti, più negabile la meritevolezza della finalità di giuridicizzare obbligazioni e rapporti
(133) DEL PRATO, op. cit., 595 che ha osservato come le pronunce giurisprudenziali in tema hanno avuto maggiormente ad oggetto il trasferimento di diritti e pertanto effetti traslativi immediati in esecuzione di un’obbligazione naturale, adempimento ammissibile pacificamente in dottrina. Per l’Autore, prima della L. 76/2016, il terreno di esame della liceità del patto avrebbe dovuto invece essere quello delle prestazioni per la contribuzione del ménage;
(134) Cfr. in giurisprudenza sulla meritevolezza degli interessi perseguiti attraverso un contratto di convivenza si è pronunciato a più riprese il Tribunale di Savona, cfr. Trib. Savona 24 giugno 2008, n. 549, in Fam. dir., 2009, 385, con nota di ASTIGGIANO;
diversamente incoercibili, anche nell’ottica delle nuove prospettive di esame della causa del contratto ai sensi dell’art. 1343 Codice Civile (135).
La dottrina, infatti, aveva definito tale contratto quale strumento atto a regolare “la distribuzione del costo della convivenza tra le parti, il regime degli acquisti durante la convivenza o compiuti precedentemente, ed entro certi limiti la disciplina della rottura della convivenza” (136).
Tuttavia in assenza di regolamentazione da parte del Legislatore, il contratto di convivenza, seppur valido, rimaneva uno strumento atipico (137) (138).
Sulla base degli arresti dottrinali elaborati prima della L. 76/2016, il contratto di convivenza “atipico” sembrava avere nella prassi tre possibili finalità:
(135) PERFETTI, op. cit., 1752;
(136) XXXXXXXX, Le convenzioni matrimoniali tra conviventi more uxorio, op. cit., 463;
(137) XXXXXXXX, I contratti di convivenza, in Fam. pers. e succ., 2006, 43;
(138) Peraltro la finalità dello strumento in esame, volto a garantire l'adempimento di doveri morali e sociali che assumono una specifica connotazione in termini assistenziali-solidaristici, porta all’attenzione un parallelismo con il contratto tipico di donazione: se infatti l’ordinamento tutela il diritto di porre in essere un atto che persegua solo finalità altruistiche quale la donazione, alla dottrina non era parso ragionevole escludere, per ragioni meramente sistematiche e formali, la possibilità di attribuire efficacia al contratto mediante il quale venga assicurato l'adempimento del dovere morale. Fa proprio quest’ordine di idee Trib. Bologna, 16 febbraio 2011, in Fam. dir., 2011, 403, con nota di XXXXXXX;
(i) la regolamentazione patrimoniale della convivenza – unico vero aspetto su cui la Novella sembrerebbe aver posto la propria attenzione (139) – risolta dagli interpreti ipotizzando sia regimi convenzionali di contribuzione (es. obbligazioni di mantenimento o alimentari ( 140 )) sia mediante la scelta di replicare volontariamente un sistema di acquisto in comunione, in analogia con quanto previsto dal Legislatore per i coniugi (141). Accanto a tali previsioni di carattere patrimoniale, la dottrina ipotizzava la presenza di elementi accidentali necessari per contemperare gli obblighi nascenti dal contratto - quali il diritto di recesso per provocare lo scioglimento, affinché il convivente potesse liberarsi dal contratto, (ovvero la previsione di una condizione risolutiva al venir meno
(139) Cfr. sul tema invece TRIMARCHI, Gli accordi tra conviventi e riflessi sull'attività notarile, op. cit., che ha ricordato l’affacciarsi del fenomeno della convivenza assistenziale, ignorato dalla Novella e che richiederebbe invece diverse soluzioni di regolamentazione patrimoniale. Così testualmente: “l'eterogeneità delle figure di convivenza conosciute dalla nostra società impone: - che la valutazione non riguardi più esclusivamente l'astratta liceità di accordi tra conviventi; - che con riferimento all'oggetto dell'accordo tra conviventi non si discorra di aspetti patrimoniali e personali del rapporto con riferimento esclusivo al tradizionale paradigma di convivenza (cd. "famiglia di fatto"); - che si valuti lo spazio di autonomia in questa materia anche con riferimento alla convivenza "more uxorio" tra persone dello stesso sesso, nonché al sempre più frequente fenomeno della cd. convivenza "assistenziale", aggettivazione questa che si ritiene di poter riferire a fenomeni di convivenza tra anziani o disabili e persone in grado di prestare loro l'assistenza necessaria, a prescindere dall'esistenza o meno di rapporti di parentela e/o affinità”;
(140) VILLA, La gatta frettolosa e i contratti di convivenza, op. cit., 1190;
(141) OBERTO, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, op. cit., 381;
del rapporto tra i partners, ora elemento accessorio che sembrerebbe espressamente escluso dalla Novella) ovvero previsioni per rafforzare gli effetti del negozio, come la previsione di clausole penali (142);
(ii) la previsione di una disciplina patrimoniale degli effetti successivi alla cessazione della convivenza – ambito completamente ignorato dalla Novella – con clausole relative, in particolare, al mantenimento di un partner o al godimento dell’abitazione luogo della relazione cessata, accordi che la dottrina aveva ritenuto di poter ricostruire come sottoposti alla condizione sospensiva del venir meno del rapporto (oggi parrebbe inammissibile a causa dei divieti posti dal nuovo testo normativo, salvo quanto di seguito meglio precisato) e le cui finalità e causa in concreto sono stati considerati leciti e meritevoli di tutela
(143) (cfr. amplius infra);
(142) XXXXXXXX, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, op. cit., 541;
(143) BALESTRA, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale, op. cit., che ha osservato: “In assenza di una disciplina assimilabile a quella dettata per i coniugi, il settore dei rapporti patrimoniali palesa situazioni di debolezza bisognose di tutela, che si manifestano in tutta la loro evidenza alla cessazione della convivenza. Invero, la rottura rappresenta il momento in cui con maggiore forza emergono i nodi problematici della fattispecie. Proprio in relazione a tale momento risulta evidente la funzione che potrebbe svolgere il contratto; e, tuttavia, non può trascurarsi come l’evidente utilità che per i conviventi, o almeno per quello economicamente più debole, lo strumento contrattuale presenta, si scontri con le difficoltà insite nella stessa decisione di concludere un contratto che si proponga di disciplinare situazioni a chiara connotazione affettiva, soprattutto allorquando ciò avvenga in una prospettiva di dissoluzione dell’unione”;
(iii) dettare una disciplina per disciplinare gli eventuali diritti del convivente superstite in caso di morte, con la enorme difficoltà di coordinamento che tali pattuizioni avevano – e hanno tuttora, essendo anche tale ambito stato ignorato dal Legislatore della riforma - con il divieto dei patti successori (144).
Ciò detto, le difficoltà dell’introduzione nel sistema del contratto di convivenza prima della Novella non si limitavano alla sua ammissibilità e liceità ovvero all’atipicità del contratto: scoglio alla diffusione del contratto era anche la sua limitata opponibilità a terzi, istanza che sembra, invece, essere stata raccolta dalla Novella.
Infatti, rispondendo alle regole generali in materia contrattuale, l’opponibilità degli effetti dipendeva dall’impiego degli strumenti ordinari previsti dalla Legge (i.e. il regime di trascrizione). Infatti, il sistema di pubblicità esistente tuttavia, messo in relazione al contratto atipico di convivenza, mostrava la sua fragilità e incompletezza, non potendo trovare spazio nella trascrizione l’opponibilità di accordi - con mero effetto obbligatorio - aventi ad oggetti i futuri acquisti o gli obblighi di mantenimento, a causa della tassatività degli atti soggetti a tale forma di pubblicità (145). Ciò escludeva la possibilità per
(144) TRIMARCHI, Gli accordi tra conviventi e riflessi sull'attività notarile, op. cit.;
(145) VILLA, op. cit., 1190 che, proprio a causa dell’inopponibilità del contratto di convivenza prima della Novella, riteneva non possibile replicare un regime patrimoniale degli acquisti previsto sulla falsariga di quello operante ex lege per i coniugi. Infatti, in assenza di specifiche previsioni, sarebbe stato impossibile comprimere la libertà dei terzi inconsapevoli delle pattuizioni dei conviventi. L’Autore, tuttavia, in nota ricorda come altra parte della dottrina
i conviventi di ricreare un sistema di comunione degli acquisti in analogia quanto esistente tra coniugi.
Infine, deve ricordarsi che accanto alla stipulazione di accordi di convivenza, si registrava – e si registra tuttora - la presenza di contratti tipici stipulati dai partners per soddisfare le loro finalità di tutela (si pensi, ad esempio, al contratto di comodato con riferimento alle esigenze legate alla disponibilità di una casa d’abitazione) ( 146 ). La dottrina in tal caso si era interrogata se ogni contratto tipico, strumentalizzato per fini di convivenza, andasse a mutare i propri tratti essenziali e la propria causa, permeando tale finalità sia l’identificazione che la qualificazione degli interessi ad esso sottostanti. La dottrina che si è occupata del problema aveva rilevato come non ogni contratto tipico che fosse stipulato tra conviventi necessariamente
(XXXXXXXX, La famiglia non fondata sul matrimonio, in Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico-pratico, diretto da X. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Vol. I, Torino, 2005, 356) riteneva possibile l’assunzione di impegni di carattere meramente obbligatorio in tal senso tra i conviventi e aventi però mero carattere interno;
(146) XXXXXXXXX, Gli accordi tra conviventi e riflessi sull'attività notarile, op. cit., che ha osservato: “Proprio con riferimento all’attribuzione del godimento di un immobile può farsi l’esempio, tratto da un caso giurisprudenziale, della costituzione del diritto di usufrutto senza corrispettivo da parte di un convivente a favore del partner mediante scrittura privata. La qualificazione in termini di contratto di convivenza (rectius: del contratto in quanto volto a realizzare interessi precipuamente legati alla relazione affettiva) consente di superare l’eccezione di nullità fondata sul difetto di forma nonché quella per mancanza di causa. Il che avviene in tutti quei casi in cui risulti impossibile configurare lo spirito di liberalità del disponente, per esser questi stato mosso dalla volontà di provvedere alle esigenze abitative del partner”;
avrebbe dovuto ritenersi a tale fenomeno inscindibilmente collegato nonché volto a soddisfarne gli interessi, potendo tali contratti riflettere uno spostamento patrimoniale realmente e volutamente disgiunto dalla regolamentazione dei risvolti patrimoniali del legame affettivo. Risultava opportuno, infatti, valorizzare il substrato affettivo sul quale si innestava il rapporto giuridico creato dai partners ( 147 ). Quindi, era necessaria “una sensibilità particolare dell’interprete nel saper cogliere, sulla base di tutte le concrete circostanze accertate, gli interessi concretamente perseguiti dalle parti, all’uopo rifuggendo dalla tradizionale alternativa onerosità-gratuità=liberalità” (148). Tali accorgimenti saranno, peraltro, necessari anche all’esito della Novella, considerato che anche successivamente all’entrata in vigore della medesima potremo riscontrare la presenza dell’uso indiretto di mezzi contrattuali tipici da parte di conviventi.
In conclusione, il contratto di convivenza prima della L. 76/2016 era una forma atipica, ma lecita di regolamentazione degli interessi patrimoniali della coppia. Ad ogni modo, lo strumento – ancorché oggetto di speculazioni dottrinali – non aveva trovato fortuna nella prassi. Durante il periodo dominato dall’atipicità del contratto, infatti, pochissime sono state le coppie che hanno deciso di regolare con tale mezzo il proprio ménage e nessuna pare abbia deciso
(147) BALESTRA, La famiglia di fatto tra autonomia ed etero-regolamentazione, op. cit., 203;
(148) TRIMARCHI, Gli accordi tra conviventi e riflessi sull'attività notarile, op. cit.;
di optare per un regime condiviso degli acquisti, nonostante – come osservato dalla dottrina – non ci fossero particolari impedimenti, nemmeno fiscali (149).
Delineato tale scenario, prima della Novella, a fronte di tutti i dubbi e le perplessità sopra indicate, la stessa dottrina pareva non essere allineata sul ruolo da attribuire al contratto in ipotesi di intervento del Legislatore. Per alcuni autori, infatti, tale negozio avrebbe dovuto essere strumento esclusivo di regolamentazione del nuovo status, mentre per altri detto contratto avrebbe dovuto essere un negozio giuridico concorrente con la disciplina legale; quest’ultima soluzione è stata quella adottata dalla riforma in commento (150).
4. Il comma 50: tipicità e natura del contratto di convivenza
La Novella ha introdotto nell'ordinamento, con la previsione contenuta nel comma 50, la figura tipica del contratto di convivenza, così disponendo “I
(149) XXXXXXXXX, op. cit., 1737 che, dopo aver ricordato il percorso di studio compiuto dal notariato sul contratto anche per agevolare l’introduzione del negozio in esame nella prassi, osserva che tale “fallimento” del contratto di convivenza atipico potrebbe essere stato causato dalla volontà dei conviventi di rimanere liberi e non svilire i rapporti regolando il lato patrimoniale, anche a costo di subire un depauperamento;
(150) Cfr. XXXXXXX, Dal concubinato alla famiglia di fatto, op. cit., 156; QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, Torino, 1998, 41; ZOPPINI, Tentativo di un inventario per il “nuovo” diritto di famiglia: il contratto di convivenza, in MOSCATI - ZOPPINI, op. cit., 29;
conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza”.
Anche se la dottrina ne aveva auspicato una tipizzazione, gli autori che si sono adoperati nell’analisi del recentissimo testo hanno criticato il provvedimento che quindi sembrerebbe non aver accolto le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali: molti dei temi prima affrontati e discussi non sono stati presi in considerazione dal testo normativo (151) (152).
E’ stata poi evidenziata l’inutilità della previsione contenuta nel comma 50 che, a dire della dottrina da ultimo citata, sarebbe connotata da “miseria intellettuale e giuridica”. Se infatti l’ammissibilità del contratto di convivenza era prima della Novella sostanzialmente pacifica, per parte della dottrina l’espressa tipizzazione era comunque auspicabile fortemente per:
(i) attuare una funzione “promozionale”, che avrebbe eliminato inutili e lunghe nonché pretestuose controversie giudiziarie sulla ammissibilità del
(151) XXXXXX, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, op. cit., che ricorda come il Legislatore non abbia neppure considerato lo sforzo dottrinale che nel 2013 ha portato alla redazione di modelli e clausole su iniziativa del Consiglio Nazionale del Notariato che aveva raccolto e vagliato - sotto la direzione e il coordinamento del xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx e dell’Autore citato - un vero e proprio vademecum per la tutela patrimoniale del convivente more uxorio in sede di esplicazione dell’autonomia negoziale;
(152) Cfr. anche XXXXXXX, Nuove norme sui contratti di convivenza: una disciplina parziale e deludente, op. cit., e I contratti di convivenza tra forma e sostanza, op. cit., 1, che ha marcato la mancata disciplina dei rapporti economici conseguenti alla cessazione della convivenza e degli aspetti successori della relazione;
contratto;
(ii) risolvere i nodi ermeneutici che dottrina e giurisprudenza non avevano mancato nel corso degli ultimi anni di segnalare (153).
E’ stato inoltre sottolineato che l’intervenuta tipizzazione del contratto di convivenza, seppur fornisca adeguata soluzione al tema della causa delle attribuzioni patrimoniali tra i contraenti, lascia all’interprete la soluzione dei problemi che la stessa Novella ha determinato, proprio in ragione della non sempre chiara disciplina approntata con riguardo alla fattispecie contrattuale, sia per quanto riguarda il profilo genetico (ossia l’insorgere del contratto con la connessa, relativa, dimensione contenutistica), sia per quanto attiene il profilo dinamico (inerente cioè lo sviluppo del ménage sotto la regolamentazione operata dal contratto), sia, infine, per quanto concerne il profilo estintivo (attinente pertanto alla cessazione dell’instaurato rapporto contrattuale e della convivenza stessa) (154) (155).
(153) OBERTO, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, op. cit.;
(154) DI XXXX, I contratti di convivenza, op. cit., 700 che evidenzia come “la richiamata definizione normativa dei contratti di convivenza ex art. 1, comma 50 ̊, l. n. 76/16 evidenzia, a fronte della riconosciuta possibilità di accedere allo strumento contrattuale, anche la predeterminazione normativa del relativo contenuto, ossia la definizione (quale disciplina) dei rapporti patrimoniali con una scelta di ordine programmatico, volta cioè a regolamentare prospetticamente il profilo economico della relazione instaurata”;
( 155 ) Cfr. anche XXXXXXXX, I contratti tra conviventi more uxorio, op. cit., 744, che già ravvisava l’idoneità di simile fattispecie contrattuale ad assumere un valore programmatico del rapporto;
Per quanto attiene al contenuto tecnico della norma, deve in primo luogo evidenziarsi che il riformatore del 2016 ha tipizzato il contratto di convivenza, senza comunque di inserirlo nel corpus del codice civile (156).
Inoltre, appare subito lampante come le istanze della dottrina pre- riforma siano rimaste in parte inascoltate: lo strumento contrattuale è stato circoscritto ai soli rapporti patrimoniali, diversamente dall’esperienza di altri paesi europei ( 157 ). Attraverso il contratto in questione, infatti, i conviventi potranno regolamentare le modalità di contribuzione, rapportandole alle necessità di coppia e parametrandole alle sostanze di ciascuno, nonché scegliere il relativo regime patrimoniale, ma non potranno certo spingersi oltre previsioni di contenuto patrimoniale; e ciò indipendentemente dalla tesi che si accolga circa la tipicità o meno del relativo contenuto (cfr. amplius infra sul contenuto del contratto). Vero è – come rilevato dalla dottrina – che il
(156) Tecnica legislativa che sembra aver preso piede negli ultimi tempi; si confronti ad esempio la previsione in tema di contratto di affidamento fiduciario operata con la L. 111/2016, entrata in vigore quasi contemporaneamente al provvedimento in commento; la dottrina peraltro ha ricordato che altri progetti avevano previsto una apposita modificazione del Codice Civile: il progetto di legge n. 1563/XV/C del 2 agosto 2006 proponeva l’inserimento di un apposito articolo (il nuovo art. 445-septies Codice Civile) mentre le elaborazioni notarili avevano conclamato l’opportunità di introduzione di un nuovo titolo al libro quarto del Codice Civile rubricato “Del patto di convivenza”, cfr. CIANCIOLO, Unioni civile e convivenze, Maggioli, 2016 , 72;
(157) Cfr. OBERTO, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza,
op. cit., che ricorda il diverso contenuto dei PACS francesi;
Legislatore ha comunque fatto riferimento nel comma 36 all’assistenza non solo materiale, ma anche “morale” quale elemento fondamentale della convivenza giuridicamente rilevante; tuttavia, è stato osservato che tale riferimento non prevede un dovere giuridico, modificabile con il contratto di convivenza, bensì si limita a sancire i presupposti per la constatazione dei presupposti della fattispecie, confermando che i vincoli giuridici di assistenza morale e materiale non nascano né dal rapporto di fatto, né dalla stipula di un contratto (158).
Non sembra dubitabile che, a seguito dell’introduzione della Novella, il contratto di convivenza sia quindi un accordo con cui i conviventi disciplinano i soli aspetti patrimoniali del loro rapporto affettivo.
Passando oltre, la dottrina che ha commentato la norma è sostanzialmente allineata nel ritenere che essa debba essere letta in combinato disposto con l’intero testo normativo. Pertanto, ancorché non espressamente precisato, i sottoscrittori del contratto di convivenza dovranno essere due persone maggiorenni, unite da stabili legami affettivi di coppia e non vincolate da rapporti di parentela (159), affinità, adozione, da matrimonio o da altre unioni
(158) OBERTO, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, op. cit., che evidenzia come la volontà di tratteggiare l’istituto della convivenza attraverso l’indicazione di elementi formali non obbligatori si rilevi anche nella insussistenza di obblighi in relazione alla residenza, la cui mancanza di fissazione - diversamente da quanto accade tra i coniugi che può dar luogo ad addebito nella separazione - non è sanzionata;
(159) Cfr. VILLA, op. cit., 1193 che sottolinea la incoerenza della lettura del comma 50 con il comma 36 in relazione ai limiti parentali. Infatti, come già sottolineato in relazione al regime di tutela della convivenza, è incoerente ritenere che ai soggetti parenti o affini in qualunque grado sia inibita la stipulazione di un contratto di convivenza quando, a norma dell’art. 87
civili, come previsto dal comma 36. La conferma di tale affermazione viene dalla nullità prevista al comma 57 per la mancanza dei requisiti richiesti dal comma 36 (160).
Sembrerebbe, invece, non necessaria la preventiva registrazione ai sensi del comma 37 (161); depongono in tal senso (i) il silenzio del comma 50, che non richiede alcuna pubblicità preventiva alla stipulazione ex comma 37; (ii) la presenza dell’elezione di domicilio del contratto di cui al comma 53, stante a indicare la possibilità di dimora diversa da parte dei conviventi e, quindi, la possibile assenza dei requisiti per ottenere l’iscrizione anagrafica; (iii) la mera possibilità all’indicazione della residenza della convivenza, a conferma che non ne sia necessaria una comune(162) (163).
Codice Civile, il matrimonio è ammesso oltre il terzo grado. L’Autore, quindi, ritiene che la previsione da ultimo citata debba comunque applicarsi per analogia alla convivenza e che quindi, oltre il terzo grado di parentale, sia ammissibile la conclusione del contratto in esame;
(160) PERFETTI, op. cit., 1755;
(161) XXXXXX, op. cit., 1769; contra DE XXXXXXXX XXXXXXXX, op. cit., 103 che ritiene che la stipulazione sia riservata solo a soggetti che abbiano effettuato l’iscrizione anagrafica della propria convivenza;
(163) L’Autore ha altresì esaminato la contraria tesi che vuole che tali contratti siano riservati ai conviventi “registrati” che quindi abbiano effettuato la dichiarazione anagrafica di cui dell’art. 4, D.P.R. n. 223/1989. L’Autore prova a giustificare tale conclusione richiamando l’efficacia costitutiva della dichiarazione all’interno della disciplina della L. 76/2016 e che vi sarebbe una asserita “stretta correlazione” tra il comma 37 che prevede la dichiarazione, il comma 50 ed il successivo comma 52 che stabilisce, ai fini dell’opponibilità ai terzi, l’obbligo di trasmissione del contratto al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione
Diversa dottrina ha invece ritenuto necessaria tale iscrizione per poter addivenire alla lecita stipulazione del contratto (164): è stato infatti osservato che, diversamente, non sarebbe possibile per il professionista autenticante – sia per il notaio che per l’avvocato - accertare la stabilità del rapporto, requisito previsto dal comma 36, e quindi verificare che lo stipulando contratto di convivenza sia conforme ai principi dell’ordinamento (165).
Ad ogni modo, come meglio infra meglio precisato, la mancanza dei requisiti di cui al comma 36 dà luogo alla nullità insanabile del contratto (166).
Tuttavia, quanto all’invalidità del contratto, dopo la L. 76/2016 può assistersi alla presenza di convivenze atipiche, cioè poste in essere da soggetti che non rientrino nel campo di applicazione della citata normativa e che, non
all’anagrafe. Per tale tesi, l’iscrizione del contratto di convivenza presupporrebbe la già avvenuta registrazione anagrafica della convivenza e ai conviventi “non registrati” sarebbero riservati quei soli contratti di convivenza atipici, non opponibili a terzi (XXXXX, La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza, Notariato, 2017, I, 20);
(164) XXXXXXXXX, op. cit., 1739;
(165) Cfr. PERFETTI, op. cit., 1755 che precisa che la stabilità costituisce elemento costitutivo e indefettibile della convivenza, pertanto il suo accertamento deve essere per forza di cose documentale, per scongiurare la nullità dello stipulando contratto di convivenza. L’Autore ammette che sia possibile provare il rapporto diversamente dalla iscrizione anagrafica, ma precisa che il notaio o l’avvocato autenticante non possono compiere tale giudizio di merito in sede di ricevimento del contratto e, quindi, non è lecito attribuire loro una funzione tipica degli organi giurisdizionali;
(166) VILLA, op. cit., 119;
per questo, debbano essere considerate illecite o comunque non meritevoli di tutela (167). Premesso che a tali soggetti non si applicheranno le norme previste dalla Novella, non vi sarebbe comunque ragione di negare la liceità di contratti tra questi ultimi, dovendo concludere che a tali negozi giuridici non saranno applicabili le previsioni dettati dalla Legge in commento - tra cui su tutti i prescritti requisiti di forma - salva l’eventuale applicazione analogica delle stesse (168).
Quanto alla natura giuridica del rapporto delineato dalla Novella, il Legislatore sembrerebbe, a parere di chi scrive, aver sgombrato il campo alle
(167) Cfr. XXXXXXXXX, op. cit., 1740 che ritiene che tali soggetti potranno stipulare contratti regolati dal diritto comune e ricorda, invece, come prima dell’introduzione della Novella, la dottrina maggioritaria sosteneva la possibilità di concludere contratti di convivenza anche tra soggetti che oggi non godrebbero di tale facoltà, come i soggetti legalmente separati;
(168) Cfr. sul punto PERFETTI, op. cit., 1753 che ritiene che detti accordi posti in essere tra “conviventi atipici” possano spiegare utilità qualora tra uno di essi vi possa essere un coniuge separato, ma non ancora divorziato. L’Autore si sofferma inoltre sulle motivazioni di ammissibilità e rilevanza nell’ordinamento della convivenza c.d. “atipica”, tra cui: (i) la funzione strumentale della comma 36, utile “solo” ai conviventi per ottenere il riconoscimenti dei diritti previsti dalla Novella; (ii) la necessità di salvaguardare le convivenze già esistenti alla data di entrata in vigore della L. 76/2016 e composte da partners che non soddisfino i requisiti richiesti dal Legislatore, in quanto non sarebbero maturate comunque le condizioni che le rendono rilevanti; (iii) la possibilità che i conviventi non vogliano effettuare alcuna iscrizione anagrafica ai sensi del comma 37; (iv) la permanenza di convivenza non connotate dalla affectio – definite “paraconiugali” – (es. tra studenti, coabitanti, ecc.) che comunque potrebbero necessitare di regolamentazione contrattuale. L’Autore conclude pertanto ritenendo che, all’esito dell’intervento normativo, i contratti di convivenza tra soggetti che non rispettino i requisiti della Novella continueranno a essere regolati nei modi e nelle forme precedenti alla L. 76/2016;
incertezze precedentemente avanzate sulla qualificazione non contrattuale, essenzialmente basate sul confronto del rapporto con il matrimonio, in quanto entrambi vincoli non aventi asserita natura contrattuale e con riflessi patrimoniali primari che andrebbero di pari passo con quelli morali (169). Anche prima della L. 76/2016, è stato sostenuto che i contratti di convivenza potessero assumere la natura di “negozi non contrattuali di diritto familiare” la cui funzione fosse quella che di integrare nel lato patrimoniale un rapporto – quello della convivenza, appunto – avente già di per se rilevanza giuridica (170). Anche dopo l’introduzione della Novella parte della dottrina ha proposto una visione alternativa di tali negozio giuridici ( 171 ), definendoli come contratti che arricchiscono il rapporto principale in sé dotato di autonoma rilevanza (172). Più precisamente, da tale lettura scaturirebbe la natura non contrattuale del contratto di convivenza, in quanto diretto a regolamentare interessi familiari e a disciplinare economicamente un rapporto che nasca come non patrimoniale. Sarebbe così evidenziata una organizzazione-convivenza modellata in maniera
(169) DELLE MONACHE, op. cit., 948;
(170) PERFETTI, op. cit., 1758;
(171) GRECO, Unioni civili e convivenze di fatto, Xxxxxxxx, 2016, 272 che ha sottolineato che tali contratti potrebbero costituire la fonte di un rapporto obbligatorio che faccia da sfondo alla relazione che le parti instaurano nel contesto di vita familiare;
(172) LIPARI, La categoria del diritto civile, Milano, 2013, 105;
simil-matrimoniale e il contratto in esame diverrebbe quindi alternativo al matrimonio o all’unione civile, cioè modalità di regolamentazione di status, in appoggio alla relazione affettiva. Così, è stato sostenuto che “l’accordo raggiunto, che dà vita a una specifica regolamentazione, fornisce una rappresentazione non squisitamente contrattuale, nel senso che la certa compresenza di aspetti patrimoniali, così come per il matrimonio (e, oggi, per l’unione civile), non assume un rilievo decisivo e determinante ai fini di una connotazione tipicamente contrattuale” (173).
Tale tesi – a dire dell’Autore - sembrerebbe confermata anche dalla disciplina delle questioni attinenti ai profili internazional-privatistici della fattispecie, che ricalca le medesime regole a suo tempo introdotte per la regolamentazione dei profili personali del negozio matrimoniale (174). Aderendo a questa tesi, quindi, il termine “contratto” utilizzato dal Legislatore per definire il fenomeno non sarebbe calzante (175): l’accordo in esame infatti non sarebbe volto a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico, bensì a innestarsi in un rapporto di natura non patrimoniale, regolandone i riflessi
(173) DI XXXX, I contratti di convivenza, op. cit., 716;
(174) DI XXXX, I contratti di convivenza, op. cit., 715;
(175) Sul punto anche PACIA, op. cit., si è ritenuta perplessa del richiamo alla figura delineata dall'art. 1321 e SS. del Codice Civile, in quanto – a dire dell’Autore – il regime del contratto di convivenza sembrerebbe più vicino a quello tipico del matrimonio (si pensi al regime degli impedimenti; della sospensione degli effetti in pendenza del procedimento di interdizione, del divieto di apporre condizioni o termini, del regime delle invalidità, ecc.);
economici (176).
Questa assimilazione alla figura del matrimonio è stata anche confermata avvicinando il contratto di convivenza alla figura di “convenzione normativa o di regime” in considerazione della presunta – dalla dottrina minoritaria – tassatività dei contenuti di cui al comma 53.
Tale conclusione escluderebbe, pertanto, l’applicazione al negozio in esame della disciplina generale dei contratti e avrebbe quale conseguenza che le eventuali lacune che si presentassero dovrebbero essere risolte preferibilmente ricorrendo alla disciplina del matrimonio o dell’unione civile (177).
Tuttavia, già prima della Novella, altra dottrina aveva affermato la piena natura contrattuale del patto di convivenza (178). Si deve ritenere, anche ora, che il contratto di convivenza sia un negozio giuridico di natura prettamente contrattuale e che, più precisamente, trattasi di contratto ad esecuzione
(176) GRECO, op. cit., 272;
(177) XXXXXXXXX, op. cit., 1742;
(178) Cfr. XXXXXXXX, Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento, op. cit., che già prima della L. 76/2016 sosteneva la natura contrattuale delle previsioni in esame, anche attraverso una parallelismo con gli accordi di conduzione della famiglia inseriti nel Codice Civile dalla riforma del 1975 all’art. 144, quali “strumento indispensabile di organizzazione di qualsiasi comunità” e per i quali ritiene applicabile, in via remediale, il principio di esecuzione secondo buona fede;
continuata (179). Depongono in tal senso il dato formale di classificazione della fattispecie – definita come “contratto” ( 180 ), la presenza di obbligazioni perduranti nel tempo (es. il regime di contribuzione e l’eventuale adozione del regime di comunione degli acquisti) e, soprattutto, la limitazione della regolamentazione ai soli rapporti patrimoniali espressamente sembra dal dato normativo (181).
(179) DOSI, op. cit., 209 che osserva come qualificare il contratto ad esecuzione continuata porti a ritenere che l’eventuale recesso ai sensi dell’art. 1373 Codice Civile, ancorché espressamente previsto dalla Novella, non potrà travolgere le prestazioni già eseguite e quindi non potranno mai essere ripetute le elargizioni compiute dai conviventi durante la vigenza del rapporto, producendo quell’effetto ricercato dalla giurisprudenza e ritrovato nell’inquadramento dei precedenti apporti quali obbligazioni naturali;
(180) In senso diverso, precedentemente alla riforma, XXXXX, Il contratto, in Tratt. Xxxxxx- Xxxxx, Milano, 2011, 6, che ritiene che possa ravvisarsi la natura contrattuale nel negozio volto a regolare gli aspetti economici della convivenza, mentre laddove l’accordo verta su aspetti esclusivamente non patrimoniali, esso dovrà ritenersi avere mera natura di dichiarazione di intenti;
(181) Contra DI ROSA, I contratti di convivenza, op. cit., che rileva “L’attuale situazione è, tuttavia, differente, considerato che, quanto alle questioni qui richiamate, l’unico regime patrimoniale consentito all’interno del contratto di convivenza è la comunione legale dei beni (automaticamente afferente al matrimonio che, certamente, non è contratto); altresì, l’eventuale definizione, oltre agli aspetti esistenziali, di profili patrimoniali della vita in comune non è ex se necessariamente identificativa della fattispecie contrattuale (senza peraltro trascurare altri dati, già in precedenza evidenziati, che, in disparte il contenuto patrimoniale, militano in direzione non tecnicamente contrattuale)”;
Il contratto di convivenza, pertanto, quale “vero e proprio contratto” (182) avrà forza di Legge tra le parti (art. 1372 Codice Civile) (183) e la disciplina seguirà i principi di diritto comune dettati per tale figura negoziale.
Ad ogni modo, indipendentemente dalla sua natura giuridica, è necessario verificare se il contratto previsto dalla Novella sia l’unico strumento idoneo a regolare la convivenza con i relativi aspetti patrimoniali o, accanto a questo o in sua sostituzione, possano ammettersi altri strumenti atipici per perseguire il medesimo fine, strutturati come contratti ed espressivi dell’autonomia dei partners.
La dottrina che si è occupata di tale aspetto ritiene non solo che sia possibile continuare anche per i conviventi ai sensi del comma 36 ad utilizzare forme atipiche e parallele di regolamentazione della convivenza, ma che sia anzi necessario per “sfuggire alla dubbia razionalità delle soluzioni, talora ingiustificatamente restrittive” che la Novella ha adottato (184).
(182) PERFETTI, op. cit., 1758 che ha sottolineato come il contratto assolva la funzione di giuridicizzare la reciproca assistenza che scaturisce dal contratto purché, appunto, abbiano ad oggetto abbiano ad oggetto aspetti del rapporto denotati dalla patrimonialità;
(183) Cfr. CALO’, Le unioni civili in Italia, ESI, 2016, 257 che osserva che anche in Francia era stata adottata la scelta di attribuire natura contrattuale ai patti di convivenza, utilizzando lo stesso nomen iuris; l’Autore peraltro osserva che nel paese d’oltralpe tali negozi regolamentino profili sia di natura patrimoniale che personale (cfr. art. 515 code civil);
(184) Cfr. XXXXX, op. cit., 1191; XXXXXXX, op. cit., 8 il quale osserva tuttavia l’assenza di una decisa e chiara politica circa i poteri e i limiti dettati dal Legislatore all’autonomia privata;
Sembrerebbe quindi possibile ritenere che, accanto al contratto previsto dal Legislatore, continui ad essere possibile per i conviventi concludere tutti quegli accordi che possano consentire loro la regolamentazione del rapporto patrimoniale (cd. “contratti tra conviventi”) (185). Tali contratti saranno regolati
– al pari dei contratti di convivenza “atipici” conclusi da conviventi che non rispettino i requisiti di cui al comma 36 – dai principi di diritto comune e, per analogia, dalle disposizioni compatibili della Novella (186), salvo però dover loro negare la possibilità di ottenerne l’opponibilità come assicurata dall’iscrizione anagrafica (187).
5. La forma del contratto di convivenza prima della Novella
(185) PERFETTI, op. cit., 1755; già prima della Novella, la dottrina riteneva lecita la stipulazione ci contratti tipici o atipici, non sussumibili nella categoria dei contratti di convivenza, atti a soddisfare gli interessi patrimoniali dei partners, XXXXXXXX, Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento, op. cit., 730;
(186) PERFETTI, op. cit., 1756;
(187) DOSI, op. cit., 220 che osserva come i conviventi potranno però percorrere la via dell’opponibilità attraverso lo sfruttamento di altri mezzi tipici (es. vincolo ex 2645-ter Codice Civile) e che si tratterà per lo più di accordi volti alla assunzione di reciprochi impegni circa lo scioglimento del rapporto. L’Autore divide così questi “contratti tra conviventi” in due categorie: (i) gli accordi integrativi del contratto di convivenza, integrazioni al regime legale che non potranno tuttavia modificare quest’ultimo in pejus; (ii) gli accordi in vista della cessazione della convivenza, purché essi non si pongano in contrato con il comma 65 che, a dire dell’Autore, appare come il modello legale minimo e inderogabile
Prima dell’ingresso nell’ordinamento della disciplina contenuta nella L. 76/2016 in relazione alla forma del contratto di convivenza, la dottrina al fine di individuare il profilo formale a cui doveva sottostare tale negozio – ancora atipico
- riteneva principalmente che dovesse farsi riferimento alle regole generali: il contratto di convivenza si riteneva, infatti, fosse a forma libera (188).
Si segnala, ad ogni modo, anche la presenza di una tesi contraria, che apoditticamente riteneva che il contratto in esame dovesse rivestire la forma scritta (189).
L’ordinamento ha infatti adottato il principio di libertà della forma, principio che si riteneva atto a regolare anche al contratto di convivenza prima dell’ingresso della L. 76/2016.
(188) XXXXXXX, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit., p. 162; cfr. anche XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., che ha osservato “In linea generale non è richiesto, per la manifestazione di volontà in esame, il rispetto di speciali regole di forma. Così non è necessario l’atto pubblico, proprio perché, almeno di regola, con tale negozio i conviventi intendono disciplinare i reciproci rapporti a prescindere da ogni spirito di liberalità”; cfr. anche BALESTRA, La famiglia di fatto tra autonomia ed eteroregolamentazione, op. cit., 206 che aveva osservato che la forma scritta non fosse imposta nemmeno ad probationem tantum, nonostante le ovvie difficoltà di prova esistenti di tali negozi;
(189) XXXXX, Tecniche contrattuali e convivenze, in Le “nuove famiglie” e la parificazione degli status di filiazione ad opera della L. 219/2012, Milano, 2015, 64 il quale tuttavia non porta motivazioni sul punto;
Era però possibile che il contratto sfuggisse al citato principio e soffrisse requisiti di forma maggiori, tra cui la necessità di conclusione per atto pubblico, in dipendenza del contenuto e dell’effetto ulteriore prodotto.
Esemplificativamente, la forma scritta avrebbe potuto essere comunque necessaria:
(i) qualora l’effetto del contratto fosse stato rientrante tra quelli contemplati dall’art. 1350 Codice Civile (190) e dell'art. 1351 Codice Civile e cioè, conseguentemente alla stipula del contratto di convivenza, si fosse assistito al trasferimento o la costituzione di un diritto reale immobiliare (191) o anche al perfezionamento di un vincolo obbligatorio volto a ottenere tale effetto (cfr. art. 1351 Codice Civile);
(ii) nel caso esso contenesse un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter Codice Civile (cfr. amplius infra) (192);
(iii) per il caso in cui il contratto di convivenza avesse previsto un sistema di comunione degli acquisti futuri, sulla falsariga del sistema della comunione legale, per quegli autori ovviamente che ritenevano ciò possibile (193);
(190) XXXXXXXX, Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento, op. cit., 730, con la precisazione che, qualora ricorressero i presupposti dell’art. 1350 Codice Civile, il contratto di convivenza avrebbe dovuto essere concluso per iscritto;
(191) DEL PRATO, Xxxxx di convivenza, cit., 987;
(192) XXXXX, Tecniche contrattuali e convivenze, op. cit.;
(193) BALESTRA, op. ult. cit. 9, che ha sottolineato come “dovendo trovare applicazione la regola della forma scritta sia nell’ipotesi in cui venga contemplato un meccanismo di coacquisto
(iv) ove si fosse ravvisato uno squilibrio di valore tale da dubitare di essere in presenza di una donazione - diretta – conseguendo a ciò alla necessità di elevare la forma all’atto pubblico con la presenza di due testimoni (art. 48 l. not.) (194); sul punto tuttavia, altra parte della dottrina aveva rilevato correttamente che, fuori dall’opportunità del rispetto della forma solenne al fine di evitare successive contestazioni, nel caso di un semplice squilibrio tra il valore delle prestazioni, le formalità della donazione non sarebbero state comunque necessarie, trattandosi di negozi mixtum cum donatione ( 195 ) e, quindi, da trattate alla stregua di donazioni indirette (196);
automatico sia allorché venga previsto un obbligo al trasferimento della quota”, presumibilmente tale ultima affermazione in ossequio al principio di simmetria ex art. 1351 Codice Civile e alla possibilità che l’acquisto abbia ad oggetto un bene immobile;
(194) OBERTO, in AA.VV., Guida operativa: contratti di convivenza, CNN, 2013, che ricorda gli arresti di Xxxx. 29 novembre 1986, n. 7064, secondo la quale era da ritenersi “nulla, per difetto di forma, la donazione contenuta in una scrittura privata, denominata “transazione”, con cui la parte si obbliga a versare al beneficiario una determinata somma mensile per tutta la durata della vita di quest’ultimo”, ricordando però che la dottrina stenta a ritenere necessaria la presenza dei testimoni nel contratto di convivenza, in quanto negozio volto a soddisfare interessi patrimoniali relativi al ménage convivenza e non ad arricchire spontaneamente il partner. Quindi, anche l’Autore stesso sembra non convinto della propria tesi, concludendo comunque per l’opportunità dei testi quantomeno ai fini tuzioristici;
(195) XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit., che ha portato l’esempio della corresponsione da parte dell’uomo di una somma a titolo di contribuzione per le necessità della donna superiore al valore del lavoro domestico che la stessa si impegnava a prestare;
(196) TORRENTE, La donazione, in Tratt. Dir. Civ. e Comm. a cura di Xxxx e Messineo, Milano, 1956, 43;
(v) ove il contratto avesse contenuto la designazione del convivente quale amministratore di sostegno (197);
(vi) ove le parti avessero voluto beneficiare della presenza di un titolo esecutivo di forma negoziale, quali sono l’atto pubblico e le scritture private autenticate da notaio, di modo da non dover scontare le lungaggini del processo per iniziare l’azione esecutiva in adempimento delle obbligazioni in esso contenute(198).
Altra soluzione, invece, deve essere ricercata e perseguita per quanto attiene agli effetti probatori del contratto; per la dottrina, infatti, prima della riforma i legami affettivi che connotavano e connotano il ménage potevano provocare una situazione di “impossibilità morale (...) di procurarsi una prova scritta”. Non vi è chi non veda, infatti, come vi possa essere un generale imbarazzo accompagnato alla richiesta di formalizzazione da parte di uno dei conviventi (199). Tale imbarazzo insieme al principio di libertà delle forme - ai quali consegue la eventuale mancanza di un documento che possa contenere e sancire l’esistenza dell’accordo - avrebbe potuto creare difficoltà ai contraenti sotto il
(197) XXXXX, Tecniche contrattuali e convivenze, op. cit., 64
(198) XXXXX, Tecniche contrattuali e convivenze, op. cit., 64
(199) XXXXXXXX, Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento, op. cit. 730;
profilo probatorio (200). Corollario di tali difficoltà era la impossibilità di ricorrere alla prova per testi o presunzioni degli accordi di regolamentazione del rapporto, ai sensi dell’art. 2724, n. 2 Codice Civile. Peraltro, come accade spesso nella prassi in relazione alla conclusione di contratti per i quali non è previsto alcun obbligo di forma, era stato consigliato, quindi, di inserire nel documento contenente il contratto di convivenza una clausola che obbligasse le parti al rispetto della forma scritta per le eventuali successive modificazioni e risoluzioni ai sensi dell’art. 1352 Codice Civile (201).
Inoltre, la dottrina pre-riforma aveva esaminato e discusso circa la possibilità – che il Legislatore sembra aver deciso espressamente di escludere – che il contratto di convivenza potesse essere concluso per fatti concludenti, conclusione che avrebbe fatto pertanto ricadere tale negozio nella categoria dei
c.d. ‘contratti di fatto’. E’ stata infatti sostenuta da alcuni Autori tale possibilità, mediante elevazione del mero comportamento ad espressione di concorde volontà per la conclusione del contratto in esame (202). Secondo tale tesi, già la
(200) BALESTRA, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale, op. cit., 8; che osserva, tuttavia, come tale difficoltà si risolvesse solo sul piano probatorio e non sostanziale, considerando inaccettabile che la riconduzione degli obblighi assunti alle obbligazioni naturali potesse essere scongiurata mediante esibizione di atto scritto;
(201) XXXXXX, I diritti dei conviventi, op. cit.;
(202) Cfr. FALZEA, Problemi attuali della famiglia di fatto, in AA.VV. Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988, 52, che sembrerebbe far rientrare detto contratto nello schema dei negozi giuridici di attuazione;