OLTRE LA CSR: LA SOSTENIBILITÀ COME FONTE DI VANTAGGIO COMPETITIVO
OLTRE LA CSR: LA SOSTENIBILITÀ COME FONTE DI VANTAGGIO COMPETITIVO
A cura di: Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxx Xxxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxx
Sommario
CAPITOLO 1: tra CSR e Sostenibilità 3
1.1 Definizione e introduzione al concetto di CSR 3
1.2 Aziende sempre più attente alla CSR 4
1.4 Il concetto di “sostenibilità” 5
1.5 Sostenibilità d’impresa (Corporate Sustainability) 7
1.6 Il Diversity Management: pratica di eccellenza della CSR 7
1.7 La diversità generazionale 8
CAPITOLO 2: Age Management e i casi studio 11
2.3 Gli strumenti e le pratiche di Age Management 13
2.4 Il Digital Divide e l’Age Management 15
2.5 L’impegno dell’Unione Europea nell’Age Management 15
2.7 Sviluppi futuri per il mondo XX 00
Il nostro progetto nasce con lo scopo di individuare nuove pratiche di Corporate Social Responsibility che possano essere adottate dalle imprese per trarre vantaggio competitivo.
A tal proposito, lo studio è stato strutturato in tre parti.
Nel primo capitolo è stato introdotto il tema della CSR, il suo significato e i vantaggi che può portare alle organizzazioni. Le imprese non possono trascurare la loro responsabilità sociale, la quale è considerata uno strumento strategico portatore di benefici alla società, all’ambiente e all’impresa stessa.
Abbiamo deciso poi, di trattare il tema della Diversity, considerata una delle pratiche per eccellenza in campo di CSR nei confronti degli stakeholder.
La consapevolezza che all’interno delle organizzazioni ci sia un patrimonio di diversità rappresentato dalle persone che ne fanno parte, porta inevitabilmente a considerare l’importanza di attuare un percorso di sensibilizzazione e azione sul tema della diversità in azienda. Abbiamo inoltre evidenziato come la semplice presenza di diversità nei luoghi di lavoro non basta di per sé a creare valore, ma per poter essere competitivi sul mercato risulta fondamentale saperla riconoscere e saperla gestire, valorizzandola attraverso politiche specifiche collegate con la strategia d’impresa. Un’attenzione particolare, in tale contesto, merita il tema della diversità generazionale, generatrice di valore, vantaggio competitivo e non ostacolo alle attività di business. Tra le pratiche di Diversity Management, risulta attuale e innovativo l’Age Management che è trattato nel capitolo conclusivo insieme a due casi studio i quali si configurano come best practice di Age Management. In virtù dell’innalzamento dell’età media della forza lavoro, esso si configura come un insieme di pratiche volte alla creazione di ambienti di lavoro all’interno dei quali si possa valorizzare il potenziale di ogni individuo senza che esso sia discriminato in ragione della propria età.
L’Age Management risulta essere un valore aggiunto per le imprese nella misura in cui non si limita esclusivamente al problema di tenere occupate le persone senior al lavoro mantenendo attive le loro diverse capacità, ma deve più ambiziosamente interessarsi di knowledge management tra le generazioni in quanto l’unione tra esperienza e innovazione rappresenta un’arma vincente.
Tra le politiche di welfare alla persona ed alla famiglia, ATM ha avviato una politica di Age management rivolta ai propri dipendenti in considerazione del fatto che il continuo allungamento dell’aspettativa di vita e i cambiamenti sociali in atto, rendono necessario lavorare più a lungo e sostenere una forza lavoro che sia più competente, adattabile e flessibile; il fattore età diventa così di particolare interesse e di possibile intervento.
Telecom, invece, in ambito di Age Diversity ha organizzato numerose attività che hanno lo scopo di superare, se non eliminare, tutti gli stereotipi legati all’età cercando di integrare e valorizzare il più possibile le competenze dei dipendenti senior in azienda con quelle dei junior.
Il presente contributo vuole costituire uno stimolo di apprendimento e riflessione per tutti coloro i quali sono interessati alle possibili strategie messe in atto dalle organizzazioni per ottenere vantaggio competitivo.
CAPITOLO 1: tra CSR e Sostenibilità
1.1 Definizione e introduzione al concetto di CSR
Responsabilità Sociale d’Impresa, o Corporate Social Responsibility (CSR), è un termine ormai entrato a far parte della quotidianità di molte aziende, le quali si impegnano a fare di essa una delle colonne portanti della propria compagnia. Di cosa stiamo parlando?
La Commissione Europea intende la CSR come una modalità di gestione strategica dell’impresa, qualcosa che ne impronta i criteri di conduzione al di sopra dei vincoli legali, e che porta la CSR a livello di un sistema di “governance” delle transazioni e delle relazioni tra l’impresa e i suoi stakeholder.
Così viene definita nella “Green Paper” stilata il 18 luglio 2001: “Affermando la loro responsabilità sociale e assumendo di propria iniziativa impegni che vanno al di là delle esigenze regolamentari e convenzionali cui devono comunque conformarsi, le imprese si sforzano di elevare le norme collegate allo sviluppo sociale, alla tutela dell’ambiente e al rispetto dei diritti fondamentali, adottando un sistema di governo aperto, in grado di conciliare gli interessi delle varie parti interessate nell’ambito di un approccio globale della qualità e dello sviluppo sostenibile.”1
La Commissione Europea ha inoltre proposto in una comunicazione della Commissione una strategia rinnovata dell’UE per la CSR 2011-2014 e una nuova definizione di CSR, intesa come “la responsabilità delle imprese per gli impatti che hanno sulla società”.
Importante dire che proprio dall’anno in corso in Italia come negli altri paesi UE la "rendicontazione non finanziaria" è divenuta obbligatoria per certi tipi di grandi imprese, e alcune attenzioni ad esempio per quanto riguarda l’impatto ambientale sono ormai da considerarsi come vincolanti (anche se solo a livello di comunicazione).
Xxxxxxx Xxxxxxx, professore ordinario di politica economica e titolare della cattedra Unicredit per l’etica economica e la responsabilità sociale di impresa presso il dipartimento di economia dell’Università di Trento, la definisce invece come un modello di governance allargata dell’impresa, in base al quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono all’ osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder.2
Perché si definisce “sociale”? In primo luogo perché oltre agli stakeholder interni all’organizzazione, sono presi in considerazione altri portatori di interessi e altri ordini di problemi, ovvero tutti i soggetti immediatamente a monte e a valle della catena del valore dell’impresa nonché fornitori e clienti.
In secondo luogo, oltre agli stakeholder sono considerati anche i problemi di carattere ambientale che l’organizzazione può causare durante il normale svolgimento della sua attività produttiva.
Cosi intesa, la CSR, viene affiancata dal termine sostenibilità, affermatosi nell’ambito degli studi in materia ambientale.3
È importante ricordare che tra gli stakeholder rientrano anche le future generazioni, ovvero tutti quei soggetti destinati a essere maggiormente colpiti, nei propri fondamentali diritti e dal degrado del sistema ecologico. Questa visione allargata, conduce alla logica della cosiddetta triple bottom line secondo la quale l’impresa deve perseguire tre ordini di risultati: economici, sociali, ambientali. Un’impresa sensibile al sociale, ma incapace di perseguire un progetto di sviluppo in grado di generare ricchezza, è destinata a veder vanificata anche la propria valenza sociale.
L’importanza dei contributi offerti dalla società emergono riflettendo intorno a due situazioni in cui l’impresa viene meno.
1. Quando un’azienda di produzione rilevante per il territorio entra in crisi, si palesa il contributo precedentemente dato ai livelli occupazionali, alla tenuta del tessuto sociale, nonché alla prosperità dei soggetti quali fornitori, agenti trasportatori, clienti.
2. Se in una regione povera di un paese in via di sviluppo non vi sono imprese manifatturiere e di servizi in grado di offrire una prospettiva ai giovani strappati all’indigenza e all’analfabetismo, l’opera umanitaria fin lì realizzata viene vanificata.4
1 Green paper, Bruxelles 18/07/2001
2 La responsabilità sociale di impresa; a cura di Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxx
3 Responsabilità sociale e performance di impresa, Xxxxx Xxxxxxx
Ciò che appare evidente è che per essere definita tale, la CSR deve essere non obbligatoria e le sue politiche devono andare “oltre” ciò che le aziende devono fare per adempiere agli obblighi di legge.
La vera questione è capire il perché le aziende decidano di attuare strategie e politiche volte alla sostenibilità in ogni sua forma quando non sono obbligate, e soprattutto, come traggono da queste politiche, teoricamente non profittevoli, fonti di vantaggio competitivo.
Si sta definitivamente affermando nei paesi a capitalismo avanzato una concezione della CSR basata sul riconoscimento della crescente interdipendenza tra dimensioni economiche ed effetti socio-ambientali delle condotte strategiche, tecnologico-produttive e commerciali delle aziende di mercato. Questo approccio si oppone esplicitamente alla tradizionale visione, codificata in modo esemplare nel motto “the business of business is business “di Xxxxxx Xxxxxxxx secondo cui la CSR consiste nel creare profitto e produrre valore per gli azionisti.
Tuttavia, è essenzialmente negli ultimi quindici anni che tale sensibilità si è diffusa in maniera quasi inarrestabile all’interno del mondo economico e manageriale tra gli attori pubblico-istituzionali di livello nazionale e sovranazionale, nel variegato universo della società civile, nonché nella ricerca accademica.
1.2 Aziende sempre più attente alla CSR
In un’ottica più articolata, appaiono varie le forze che, combinandosi e spesso alimentandosi a vicenda, hanno fornito una notevole accelerazione al processo di sviluppo di un’attenzione, sistematica e trasversale, verso il tema della CSR. Tra i principali fattori alla base di questa tendenza si possono così annoverare:
• I numerosi eventi critici che dagli anni ‘70 in poi hanno prodotto un alto impatto non solo materiale ma anche emotivo e intellettuale nella vita collettiva.
• La presa di coscienza, che i mutamenti innescati dalle dinamiche di globalizzazione, con la crescente influenza degli attori economici trans-nazionali, richiedono ai soggetti maggiormente coinvolti l’assunzione esplicita di un mandato per la governance degli effetti sociali, economici, ecologici e politici connessi allo svolgimento delle proprie attività all’interno di quella che sempre più si configura quale società del rischio.5
• Il dibattito sulle conseguenze per la qualità della vita, dei processi di deregulation e privatizzazione che dagli anni ‘80 hanno investito molteplici attività produttive di servizio tradizionalmente controllate dall’attore pubblico.
• La pressione esercitata dalle varie forze della società civile, le quali chiedono alle imprese di rendere conto e ovviare ai costi sociali delle loro azioni, non solo sul piano delle pratiche apertamente illegali, ma anche a tutto ciò che può essere relegato alla voce “diseconomie esterne” (spreco energetico, degrado ambientale, disoccupazione, effetti sui mercati).
• L’affermarsi dell’idea che l’integrazione della CSR, nel quadro delle proprie strategie produttive, possa rivestire un valore economico diretto generando benefici e vantaggi relativi come: l’innalzamento della reputazione nei mercati e della legittimazione nei territori di riferimento, la soddisfazione e il coinvolgimento dei dipendenti, l’employer branding, la possibilità di nuovi investimenti da parte di finanziatori “etici” attenti all’esigenza dello sviluppo sostenibile e la possibilità di operare in un business environment supportivo.6
1.3 I vantaggi della CSR
Date queste premesse, quali sono nella pratica i vantaggi concreti nell’applicare la Responsabilità Sociale d’Impresa?
I vantaggi sono rilevabili su diversi fronti:
• Business e employer branding: si crea un vantaggio competitivo tangibile nei confronti delle altre aziende che sottovalutano questo aspetto, si favorisce il trasferimento dei saperi e
4 Responsabilità sociale e performance di impresa, Xxxxx Xxxxxxx
5 Back, 2000
6 6 Management e responsabilità sociale Caramazza, Xxxxxxx, Monaci, Pini.
aumenta l’appetibilità dell’azienda dal punto di vista dell’ambizione a far parte dell’organico aziendale;
• clima aziendale: vengono favoriti la motivazione, il dialogo e il coinvolgimento di dipendenti e dei collaboratori, con ricadute positive sulla produttività;
• rapporti con la comunità locale: l’impresa attenta alle esigenze del territorio di riferimento viene percepita positivamente e contribuisce alla qualità della vita con iniziative concrete;
• reputazione e fidelizzazione: la reputazione dell’azienda non può che migliorare in seguito a politiche di CSR coerenti e ben comunicate, contribuendo allo sviluppo di una clientela fedele e motivata;
• relazioni con le istituzioni finanziarie: viene facilitato l’accesso alle fonti di finanziamento grazie ad una riduzione del profilo di rischio e a un’accresciuta autorevolezza.
• rispetto ai clienti (sempre più sensibili alla qualità totale, quindi anche "etica", di prodotti e servizi) e alle istituzioni pubbliche (ad esempio muovendosi volontariamente su certi ambiti sensibili si anticipa la regolamentazione pubblica).
Risulta evidente come l'impegno “etico” di un'impresa sia entrato direttamente nella cosiddetta catena del valore prospettando così l'utilizzo di nuovi percorsi e leve competitive coerenti con uno “sviluppo sostenibile” per la collettività, in sintonia con i principi di ’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.
Come scriveva già, oltre cinquant'anni fa, l'economista italiano Xxxx Xxxxx, all'interno del mercato globale e locale, le imprese non hanno, infatti, un'esistenza a sé stante ma sono enti che vivono e agiscono in un tessuto sociale che comprende vari soggetti, tra cui spicca sicuramente una società civile molto attenta all'operato imprenditoriale.7
Negli ultimi anni sta emergendo a livello mondiale un nuovo concetto che esplicita i principi della Responsabilità Sociale d'Impresa, andando oltre, ovvero il concetto di Valore Condiviso, o Shared Value. Al di là della differenza di nome, l'idea di valore condiviso, sistematizza quanto è già stato sviluppato dalla teoria e dalla pratica in termini di Corporate Social Responsibility e Sostenibilità d'Impresa, contestualizzando il tema della sostenibilità sociale e ambientale su un livello più strategico che deve avere impatti fino alla reale bottom line di business. Le aziende, che rimangono intrappolate in un obsoleto approccio stretto alla creazione di valore, incentrato sulla ottimizzazione delle prestazioni finanziarie a breve termine, sono ormai destinate ad un lento ed inesorabile declino.
Ma cosa intendiamo quando parliamo di “Sostenibilità”? Dal momento in cui risulta essere un termine piuttosto inflazionato, è bene tracciare qualche linea guida per orientarci meglio nei prossimi capitoli.
1.4 Il concetto di “sostenibilità”
Cosa intendiamo quando parliamo di “Sostenibilità”? Dal momento in cui risulta essere un termine piuttosto inflazionato, è bene tracciare qualche linea guida per orientarci meglio nel prossimo capitolo. La definizione più diffusa è quella fornita nel 1987 dalla Commissione Indipendente sull'Ambiente e lo Sviluppo (World Commission on Environment and Development), presieduta da Xxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx, secondo la quale: “L’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai loro” .In tale ottica, la sostenibilità è, dunque, da intendersi non come uno stato o una visione immutabile, ma piuttosto come un processo continuo, che richiama la necessità di coniugare le tre dimensioni fondamentali e inscindibili dello sviluppo: Ambientale, Economica e Sociale.
• Sostenibilità ambientale - Per sostenibilità ambientale si intende la capacità di preservare nel tempo le tre funzioni dell’ambiente: funzione di fornitore di risorse, funzione di ricettore di rifiuti e funzione di fonte diretta di utilità. All’interno di un sistema territoriale per
7 (xxxxx://xx.xxxxxxxxx.xxx/xxxx/Xxxxxxxxxxxxx%X0%X0_xxxxxxx_x'xxxxxxx)
sostenibilità ambientale si intende la capacità di valorizzare l’ambiente in quanto “elemento distintivo” del territorio, garantendo al contempo la tutela e il rinnovamento delle risorse naturali e del patrimonio.
• Sostenibilità economica - La sostenibilità economica può essere definita come la capacità di un sistema economico di generare una crescita duratura degli indicatori economici. In particolare, la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento delle popolazioni. All’interno di un sistema territoriale per sostenibilità economica si intende la capacità di produrre e mantenere all’interno del territorio il massimo del valore aggiunto combinando efficacemente le risorse, al fine di valorizzare la specificità dei prodotti e dei servizi territoriali.
• Sostenibilità sociale - La sostenibilità sociale può essere definita come la capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite per classi e per genere. All’interno di un sistema territoriale per sostenibilità sociale si intende la capacità dei soggetti di intervenire insieme, efficacemente, in base ad una stessa concezione del progetto, incoraggiata da una concertazione fra i vari livelli istituzionali.
In sintesi, il concetto di sviluppo sostenibile si sostanzia in un principio etico e politico, che implica che le dinamiche economiche e sociali delle moderne economie siano compatibili con il miglioramento delle condizioni di vita e la capacità delle risorse naturali di riprodursi in maniera indefinita.
Appare indispensabile, pertanto, garantire uno sviluppo economico compatibile con l'equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale, nel rispetto della cosiddetta regola dell'equilibrio delle tre "E": Ecologia, Equità, Economia. .
In tal senso è possibile costruire una vera e propria piramide della sostenibilità, ponendo alla base proprio la dimensione ambientale che, attraverso la fornitura di risorse naturali, di servizi all’ecosistema e di benessere alla società, svolge un ruolo fondamentale di supporto sia alla dimensione economica che a quella sociale.
Proprio per la sua triplice dimensione ambientale, sociale ed economica, lo sviluppo sostenibile necessita di sostanziali mutamenti nei comportamenti individuali e nelle scelte dei decisori operanti ai diversi livelli (internazionale – nazionale - territoriale) di governo politico ed amministrativo.8
Con riferimento alla società, il termine di sostenibilità sociale, indica un "equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie".9
Il concetto di sostenibilità sociale così definito può essere inoltre distinto in due tipologie:
• sostenibilità forte: se si ammette che il capitale da tramandare alle generazioni future possa essere solo "naturale", cioè che deriva esclusivamente da risorse naturali;
8xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxx_xxxxxxxxxxx.xxxx
• sostenibilità debole: se si ammette che il capitale naturale da tramandare possa essere sostituito da "capitale manufatto", cioè creato dall'uomo.10
1.5 Sostenibilità d’impresa (Corporate Sustainability)
L’idea di sostenibilità d’impresa (SI) è emersa nella letteratura sull’etica degli affari, a partire dalla metà degli anni Novanta, come conseguenza della convinzione comune che l’indagine sullo sviluppo sostenibile dovesse coinvolgere anche le imprese. Tuttavia, sin dai primi studi è emersa l’esigenza di definire i termini e le modalità dell’inclusione del concetto di sostenibilità nell’analisi d’impresa. Nel 1995, un primo gruppo di autori ha affrontato questo problema tentando di introdurre la prospettiva ecologica nelle dinamiche aziendali. A questo scopo, X. Xxxxxx (professore del Dipartimento di Management della American University) e Xxxxxx Xxxxx (professore di Management alla Western Illinois University) hanno suggerito un approccio "multi-livello e multi- sistema" in grado di includere elementi ecologici, culturali, politico-economici, organizzativi e individuali, e hanno descritto le caratteristiche di organizzazioni ecologicamente sostenibili in relazione a ciascun livello. Xxxx Xxxxxxxxxxx (Concordia University), invece, ha ricondotto i quattro aspetti dello sviluppo sostenibile (controllo sulla popolazione, sicurezza alimentare, gestione delle risorse naturali e creazione di economie sostenibili) a quattro meccanismi tipici dell’impresa (qualità di gestione ambientale, strategie competitive sostenibili, trasferimento di tecnologie e controllo dell’impatto sulla popolazione).
In questo schema, gli aspetti ecologici hanno una certa priorità per l’impresa rispetto agli altri fattori come la sicurezza alimentare e il controllo sulla popolazione.
Studi successivi hanno contribuito a chiarire e sviluppare ulteriormente la nozione di SI. In letteratura, è possibile riconoscere un crescente consenso circa una nozione di SI fondata su un’idea di gestione d’impresa che sia in grado di includere tre dimensioni, quella economica, quella sociale ed ambientale.11 L’idea di fondo è che i tre pilastri (economico, sociale ed ecologico) siano legati l’un l’altro in modo da influenzarsi reciprocamente.
1.6 Il Diversity Management: pratica di eccellenza della CSR
Nel nuovo scenario italiano che sta attraversando il superamento della crisi, le aziende devono muoversi per accordare le esigenze del business con quelle di dimensione sociale e personale. Questo conduce al concetto di creating shared value: creare valore condiviso vuol dire che la creazione di valore economico deve svolgersi con modalità tali da creare valore sia per l’azienda che per la società, rispondendo contestualmente agli obiettivi aziendali e alle esigenze di tipo sociale. In questa nuova visione, che comprende anche la dimensione della Corporate Social Responsibility (CSR), è necessario attivare una profonda trasformazione dei comportamenti organizzativi dell’impresa in modo tale da coinvolgere efficacemente, e in modo mirato, tutte le tipologie di stakeholders.
Il tema del Diversity Management è considerato per eccellenza una delle pratiche di CSR; in tale prospettiva è necessario attivare una nuova governance delle politiche e dei processi in modo tale da valorizzare l’apporto di ciascun collaboratore e dei gruppi di appartenenza (gender, giovani, over 55). Sarebbe importante attivare politiche che siano a sostegno di comportamenti organizzativi e gestionali antidiscriminatori e a favore di azioni positive che tendino a valorizzare le differenze e a promuovere le specificità.
È noto che le organizzazioni si configurano come contesti ricchi di collettività quotidiana, rappresentandosi non solo come luoghi fisici ma anche come luoghi sociali in cui le persone trascorrono gran parte del loro tempo e in cui, in un’ottica di obiettivi finali di business, esse devono collaborare e non semplicemente convivere. La consapevolezza che all’interno delle organizzazioni ci sia un patrimonio di diversità rappresentato dalle persone che ne fanno parte, porta inevitabilmente a considerare l’importanza di attuare un percorso di sensibilizzazione e azione sul tema della diversità in azienda.
La prospettiva del Diversity Management si è dapprima sviluppata all’inizio degli anni ’90 negli Stati Uniti per poi affermarsi tra la metà dello stesso decennio e quella del successivo anche nell’area
10 Enciclopedia Treccani, "Sostenibilità"
11 Steurer et al. 2005
Europea, Italia compresa. L’attenzione alla diversità nei luoghi di lavoro pervade oramai tutte le pratiche del mondo aziendale.
Ad oggi possiamo definire il Diversity Management come “un approccio alla gestione delle risorse umane nelle organizzazioni volto alla promozione di un ambiente di lavoro inclusivo, in grado cioè di favorire l’espressione delle differenti predisposizioni, esperienze e identità del personale e di valorizzare ai fini della prestazione d’impresa e del conseguimento dei suoi obiettivi”.12
Analizzando la situazione del nostro Paese, esso è caratterizzato da una crescente diversificazione della forza lavoro causata da diversi fattori:
• l’aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro, quindi la coesistenza dei due generi negli ambienti lavorativi;
• i fenomeni migratori, che oggi colpiscono quotidianamente l’Italia, con il conseguente incremento nel numero di dipendenti non italiani nei luoghi di lavoro;
• l’allungamento della vita media, che ha condotto alla rivisitazione delle politiche di welfare a seguito dell’aumento delle situazioni di compresenza di persone con età, aspirazioni e prospettive differenti legate ai diversi stadi del ciclo di vita in cui si trovano.
Il DM presuppone una concezione secondo cui lo sviluppo, e il successo d’impresa, dipendono dal capitale umano, oltre che da quello tecnologico e finanziario. È in questo contesto che il DM si radica in un approccio Human Resources Management che considera la risorsa umana “l’unico strumento strategico indispensabile e irriproducibile” nell’agire d’impresa.13 La diversità è pertanto essere una condizione complessiva del sistema organizzativo che risulta dall’eterogeneità delle persone che operano e interagiscono nello stesso luogo di lavoro.
Tutto questo è utile nella misura in cui i concetti di DM siano concretamente realizzabili. Il passaggio dalla teoria alla pratica comporta sia processi di sensibilizzazione e pressione istituzionale, sia la nascita di iniziative a favore dell’inclusività come le diversity charters (documenti che obbligano le organizzazioni ad attuare azioni concrete finalizzate alla gestione delle differenze sul luogo di lavoro. In Italia ad esempio è stata istituita la Carta per le pari Opportunità e l’uguaglianza sul lavoro nel 2009).
Le politiche di Diversity Management migliorano l’efficacia aziendale e la qualità delle relazioni sociali. La promozione della diversità ha un effetto positivo, esterno all’azienda, sull’immagine dell’impresa: i clienti, i fornitori ed i consumatori percepiscono in modo molto favorevole le aziende che s’impegno in questo campo.
Le pratiche di Diversity Management hanno effetti positivi all’interno delle organizzazioni in quanto permettono un miglioramento degli stili manageriali, delle competenze e delle performance in aree quali la comunicazione, la gestione del personale, l’individuazione degli obiettivi e la pianificazione. Si ritiene perciò importante, oggi, considerare gli impatti e le implicazioni che la gestione organizzativa delle differenze delle risorse umane ha sulla realtà d’impresa.
Tra le attività e le pratiche di business all’interno di una realtà aziendale che è volta a promuovere la sostenibilità, rientra assolutamente la promozione della Diversity sul luogo di lavoro e l’inclusione nel personale dell’azienda.
1.7 La diversità generazionale
All’interno dell’ampio settore del Diversity Management si colloca la diversità generazionale la quale risulta essere il focus del nostro lavoro nell’esplicazione di come essa sia fonte di scambio, generatrice di valori e non un ostacolo alle attività di business. In questo senso si mira a una gestione proattiva, consapevole, integrata e sinergica delle diversità generazionali in azienda attraverso programmi di formazione e informazione che puntino a sviluppare, in primis nei leader, l’attitudine e le conoscenze per essere capaci di gestire questa specifica complessità. È
12 Culture nella diversità, culture della diversità. Una ricognizione nel mondo d’impresa, Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx, 2012 pag.17
13 Culture nella diversità, culture della diversità. Una ricognizione nel mondo d’impresa, Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx, 2012 pag.25,26
fondamentale, sviluppare, all’interno del CdA e/o della prima linea manageriale, una visione condivisa sull’importanza strategica di questo tema. Importante risulta anche, stabilire i ruoli e le mansioni di coloro che si occuperanno della gestione delle diversità. Essa, potrebbe rivelarsi un elemento di rischio, se non gestita adeguatamente, che origina dal fatto che gruppi eterogenei esprimono valori diversificati che spesso possono condurre a: esclusione, bassa integrazione, conflitto e fraintendimento, uscendo fuori perciò da un contesto di competitività. Se invece è ben gestita, essa risulta essere una risorsa poiché il successo di una organizzazione è l’espressione dell’integrazione delle migliori competenze, conoscenze e abilità di tutti.
Come infatti rintraccia Xxx, uno degli studiosi più autorevoli in questo campo: “Gestire la diversità significa comprendere i suoi effetti e implementare comportamenti, pratiche lavorative e politiche che si rapportino ad esse in modo efficace. (…) Pertanto la sfida comportata dalla gestione delle diversità sta nel creare condizioni che minimizzino il suo potenziale di ostacolo alla prestazione e che, al contempo, xxxxxxxxxxxx il suo potenziale per il miglioramento della prestazione organizzativa”.14
Facendo riferimento ai raggruppamenti anagrafi, le generazioni a partire da metà degli anni ’40, possono essere classificate in Baby Boomers (nati tra il 1945 e il 1964); la generazione X (nati tra il 1965 e il 1980); la generazione Y(nati tra il 1981 e il 2004) e la generazione Z (comprende tutte le persone nate dal 2005 in poi); questa classificazione è utile per comprendere come, per la prima volta, nelle organizzazioni convivono quattro generazioni diverse che portano con sé valori, esperienze e aspirazioni, codici linguistici, riferimenti culturali e simbolici differenti. Ogni generazione si trova a condividere lo stesso luogo di lavoro e, di conseguenza, gli stessi obiettivi aziendali. Inoltre la rivoluzione digitale ha notevolmente acuito la distanza tra le varie generazioni riguardo al modo di relazionarsi alla tecnologia e, di conseguenza, di comunicare. Per questo, ad oggi, i mercati e le aziende vivono un’epoca senza precedenti ponendosi la sfida di cogliere e sfruttare il potenziale innovativo delle nuove e vecchie generazioni e, la loro capacità di farlo, diventa una variabile strategica fondamentale.
Valorizzare la diversità significa mettere ogni generazione nelle condizioni di esprimere al meglio se stessa, il proprio talento e i propri punti di forza; ciò significa che la gestione del personale così vario deve diventare parte, in un’ottica di medio periodo, del piano di organizzazione aziendale favorendo la consapevolezza e il dialogo. Rendere consapevoli i lavoratori dell’esistenza di competenze, specificità e modelli di comportamento differenti, e creare le condizioni per favorire dialogo e comunicazione, sono i primi passi da compiere in questo senso. Il successivo dovrà essere certamente il processo di integrazione tra i diversi gruppi demografici, accompagnato dal consolidamento di una cultura aziendale condivisa. Sono tutte azioni necessarie per trasformare il gap generazionale in valore aggiunto. Come già accennato sopra, la sfida deve partire dall’alto perché, se le differenze generazionali devono essere viste dall’impresa come un’importante fonte di ricchezza e di rinnovamento continuo, è fondamentale che tutti i costituenti di una organizzazione, a prescindere dall’età e dal ruolo ricoperto, condividano l’èthos della stessa.
Ricerche scientifiche condotte nel mondo15, indicano che la poca consapevolezza e capacità dei leader e dei responsabili di trattare con persone appartenenti a generazioni diverse tra loro, si traduce in difficoltà legate alla produttività, alla motivazione, al raggiungimento degli obiettivi, alla performance, al trattenere risorse valide o a individuarne altre con alto potenziale. Da una ricerca svolta dall’osservatorio sul Diversity Management della Sda Bocconi sulla discriminazione in azienda, pubblicata nel 2012, è risultato che la maggior fonte di disagio rilevata è l’età. Si rileva come, dopo i 45 anni, nelle aziende italiane i lavoratori sviluppano un senso di poca considerazione e poca utilità: uno dei tanti fattori possibile potrebbe essere proprio l’arrivo sul posto di lavoro delle nuove generazioni le quali portano con sé un bagaglio di competenze tecnologiche non poco rilevante, anzi fondamentale nell’attuale era della rivoluzione digitale.
Nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di business è importante sottolineare che il sapere, la ricchezza aziendale e l’esperienza non possono rimanere patrimonio dei singoli, ma devono essere trasmesse e diffuse con la finalità di ottimizzare il contributo lavorativo. I lavoratori più anziani e vicini all’uscita dall’azienda devono essere disponibili a dare le loro conoscenze e aiutare
14 Culture nella diversità, culture della diversità. Una ricognizione nel mondo d’impresa, Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx, 2012 pag.24
i giovani nell’inserimento. Di contro, anche le generazioni nuove devono arricchire il patrimonio degli anziani rendendoli capaci di recepire le rivoluzioni del mondo tecnologico e aiutandoli a utilizzare le nuove tecnologie digitali. In questo modo si verrebbero a creare momenti di incontro in cui poter parlare, comprendersi e scambiare idee in un contesto di reciproca condivisione con lo spirito di crescere insieme per raggiungere gli obiettivi aziendali.
Una fotografia attuale del nostro paese mostra come l’Italia è sempre più un Paese di anziani, un dato, questo, confermato dall’ISTAT che nel suo Annuario ha raccolto tutte le statistiche più recenti sul nostro Paese e dal quale emerge che al 31 dicembre 2015 su ogni 100 giovani c’erano 161,4 over 65, rispetto ai 157,7 dell’anno precedente. Tenendo anche in considerazione, come la Riforma Xxxxxxx abbia bloccato tante persone in procinto di andare in pensione e, date quindi le riforme riguardo le nuove politiche di pensionamento, è chiaro come in azienda sia presente sempre in numero maggiore la generazione over 60, la quale si trova a dover lavorare fino ai 70-75 anni.
Il tema dell’Active Ageing è ampio e, se non ben gestito, rappresenta una forte perdita di efficienza delle strutture. È chiaro che gli over 55 costituiscono un “costo” per l’azienda dovuto all’aumento automatico di retribuzione verificatosi durante la carriera in maniera direttamente proporzionale all’aumento di anzianità. Questo spiega l’atteggiamento di tante aziende che, per tagliare i costi, gestiscono in maniera superficiale e frettolosa l’uscita dall’azienda della vecchia generazione. Queste pratiche comportano un rischio non indifferente provocato dalla perdita trasversale e notevole di competenze, data dai mancati processi di Mentoring. La conseguenza di questo modus operandi è il ritrovarsi in azienda con persone impreparate alla perdita di un ruolo e di una identità professionale e frustrate dalla consapevolezza di avere ancora capacità e competenze utili per l’azienda; oppure ancora, di ritrovarsi con persone che, sicure dell’andare in pensione in tempi brevi, si trovano di colpo, a dover prestare il loro contributo all’azienda molto più tempo, con una forte demotivazione come conseguenza. Stando attenti alla gestione di questi processi generazionali è possibile cogliere l’opportunità di considerare le risorse over 55 come trasmettitori di esperienze e conoscenze all’interno e all’esterno.
L’invecchiamento nella nostra cultura ha purtroppo ancora una connotazione negativa ed è pertanto necessario lavorare su un cambio di paradigma culturale con normative politically correct. Andando a ricercare in che modo oggi si possono attuare politiche in tema di diversità in azienda, è stato possibile individuare delle aree di intervento delle quali, una buona parte, coinvolge la funzione di Human Resources.
• Strategie di reclutamento e selezione del personale sulla base di determinati criteri (età, genere, nazionalità, background formativo, ecc.), con il fine di incrementare l’eterogeneità demografico-sociale delle risorse umane;
• programmi di formazione che, se da una parte mirano ad aumentare le opportunità di sviluppo e le capacità dei soggetti “diversi” a cui sono rivolti, dall’altra potrebbero favorire la percezione della diversità come problema e non come una questione organizzativa che coinvolge la realtà aziendale;
• azioni finalizzate all’organizzazione e alla gestione della Diversity, tra le quali rientrano: le attività orientate a favorire un equilibrio tra tempi di lavoro e tempi della vita privata (work-life balance); gli interventi di ri-progettazione spazio-temporale del lavoro mediante la gestione flessibile degli orari (varie modalità di part-time, gestione programmata delle ferie) e la ridefinizione di luoghi fisici dell’attività (telelavoro); iniziative di welfare aziendale in grado di agevolare la qualità dei dipendenti a cavallo tra l’ambito professionale e altre sfere di vita e di investimento personali nel campo della salute (es. sotto forma di assistenza sanitaria), gestione degli impegni familiari (asilo nido aziendale, sportello bancario interno, spesa on-line dalla postazione di lavoro) e del tempo libero (campi estivi per i figli, convenzioni con esercizi commerciali, ecc).
• iniziative di comunicazione formale interna ed esterna e di sensibilizzazione del personale e degli stakeholder nei confronti della Diversity.
Meritano un’attenzione particolare le pratiche di Age Managemnet che saranno approfondite di seguito.
CAPITOLO 2: Age Management e i casi studio
2.1 L’Age Management
Oggi in Italia, gli over 65 sono in costante aumento e per questa ragione oltre che rivedere il mercato del lavoro e i sistemi pensionistici, è necessario porre in essere delle riforme che siano sostenute da adeguati strumenti che supportino le imprese nella gestione delle risorse umane. Si tratta di strategie che coinvolgono tutte le fasi della gestione del personale: dalle politiche di reclutamento, alla formazione aziendale e allo sviluppo di carriera; dalla flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, all’adattamento delle mansioni e dei posti di lavoro; dalle politiche di remunerazione e benefit, a quelle di accompagnamento all’uscita dal lavoro.16 Gli Stati europei stanno attraversando una transizione demografica che, inevitabilmente, ha e avrà delle ripercussioni all’interno del mercato lavorativo. Di conseguenza, è necessario che i luoghi di lavoro diventino la sede principale per promuovere un cambiamento culturale, in grado di favorire la coabitazione di lavoratori di età differenti senza causare fenomeni di discriminazione. Per fare ciò, bisogna promuovere pratiche e strumenti di gestione delle risorse umane che si concentrino, principalmente, sugli squilibri generazionali in azienda. È proprio l’insieme di queste pratiche e di questi strumenti manageriali che riassumono l’Age Management, definito come “l’insieme di quelle misure volte a creare ambienti di lavoro all’interno dei quali ogni individuo possa mettere a frutto il proprio potenziale senza essere svantaggiato in ragione della propria età.”17In altri termini, l’Age Management, considerata come un ramo della Diversity Management, rappresenta tutte quelle iniziative e interventi aziendali che hanno l’intento di valorizzare, identificare e utilizzare i punti di forza dei lavoratori indipendentemente dalla loro età anagrafica. Esso assume l’età come elemento chiave al fine di ottenere un’interpretazione innovativa del rapporto creato fra un singolo individuo e l’azienda, considerando non solo il processo di invecchiamento lavorativo ma anche le trasformazioni che si intersecano con lo stesso cambiamento organizzativo. L’approccio dell’Age Management deve necessariamente partire dalla conoscenza della realtà organizzativa ed avviare sia azioni che sostengano nell’immediato la produttività e l’efficacia aziendale, sia azioni di lungo periodo che tengano conto dell’intero arco lavorativo dell’individuo e delle specificità delle diverse età. Infatti l’obiettivo principale delle strategie di Age Diversity è quello di creare un equilibrio fra le diverse età generazionali all’interno dell’organizzazione aziendale per prevenire ed evitare eventuali conflitti intergenerazionali. Tale processo può essere riassunto nelle seguenti fasi:
• fase diagnostica
• fase della presa di consapevolezza;
• fase dell’identificazione delle criticità;
• fase della definizione di un modello di intervento;
• fase della valutazione dei risultati e follow up.18
La prima fase è quella che si propone l’obiettivo di analizzare la situazione organizzativa dal punto di vista della demografia aziendale. A questa fase segue la presa di consapevolezza da parte del management e l’identificazione delle criticità esistenti attribuibili alle differenti età dei lavoratori. Sicuramente questa operazione necessita di un’analisi più approfondita, in quanto bisogna concentrarsi principalmente sui lavoratori, sulla creazione di eventuali gruppi, sulle funzioni da loro esercitate, sui loro ambiti di competenza e sulle professionalità dalle quali possono emergere maggiori criticità causate dal processo di invecchiamento lavorativo. Le ultime due fasi, rappresentate dalla definizione di un modello di intervento e dai successivi step di follow up dei risultati, si pongono l’obiettivo di trasformare le problematicità derivanti dalle diverse età della compagine dei lavoratori in opportunità reali e di sviluppo. Se consideriamo quanto la variabile età, in combinazione con altre variabili di differenziazione, si stia facendo cruciale nei processi di gestione dei lavoratori, possiamo interpretare l’Age Management come una lente per la messa a
17 FONDAZIONE ISTUD- ASSOLOMBARDA, Age Management Teoria e pratica per la gestione dell’età nelle organizzazioni, Xxxxxx Xxxxxx, p. 9-10
18 FONDAZIONE ISTUD- ASSOLOMBARDA, Age Management Teoria e pratica per la gestione dell’età nelle organizzazioni, Xxxxxx Xxxxxx, p.116
fuoco dei processi di HRM che possono rivelarsi cruciali per il raggiungimento degli obiettivi d’impresa.19
2.2 L’Age Management come fonte di vantaggio competitivo per le aziende
Perché le aziende decidono di mettere in atto questi processi? Quali sono le motivazioni che spingono le stesse organizzazioni ad introdurre dei cambiamenti di natura gestionale ed organizzativa all’interno del loro sistema? La globalizzazione è sicuramente una delle determinanti più significative: la caduta dei confini geografici, il soddisfacimento di nuovi bisogni della clientela, la necessità di integrazione e di apertura internazionale nell’ambito della produzione e del consumo hanno spinto le organizzazioni ad adeguarsi, nel tentativo di mantenere un allineamento rispetto alle richieste di mercato. In altri termini le aziende, di fronte ai continui processi di esternalizzazione, sono obbligate da un lato a concentrarsi unicamente sulle loro principali attività e competenze chiave, dall’altro a ricercare localizzazioni alternative che le mettano in contatto con nuovi mercati, eventuali finanziamenti e fonti di approvvigionamento. Di fronte a contesti iper concorrenziali, l’unica strada da intraprendere per le organizzazioni è il cambiamento stesso. L’evolversi continuo della struttura dei mercati costituisce la regola competitiva dominante.20
Per le aziende sia la capacità di cambiare in continuazione le proprie basi cognitive e sia la creazione di nuove conoscenze rappresentano la fonte di vantaggio competitivo sostenibile. Creare più velocemente conoscenza migliore di quella dei concorrenti significa primeggiare nella soddisfazione dei bisogni dei clienti ed eccellere nel confronto competitivo. L’innovazione tecnico- scientifica, economica e culturale, deve essere realizzata dagli stessi lavoratori che diventano destinatari di nuovi sistemi di gestione e sviluppo azienda. È necessario, quindi, che le organizzazioni costruiscano delle strategie capaci di incanalare i contributi preziosi dei lavoratori e le loro conoscenze in direzione dello sviluppo e dell’innovazione del patrimonio di capitale intellettuale d’impresa. Il rinnovamento deve concretizzarsi nella creazione di nuovi modelli di gestione del capitale umano e nella realizzazione di strategie costruite sulla centralità dell’individuo e sulle sue peculiarità differenti. La diversificazione non deve rappresentare una criticità ma un’opportunità. L’intento è quello di attrarre e mantenere le persone, rendendo la loro diversità un valore aggiunto.
Per questa ragione, le pratiche di Age Management diventano delle vere e proprie risorse per le strutture organizzative, in quanto favoriscono sia l’integrazione generazionale che la trasmissione dei saperi. In altri termini, la gestione della conoscenza è riconosciuta come una delle risorse principali perché crea il successo competitivo delle aziende. Essa, definita anche come il Knowledge Management, è una pratica gestionale a supporto della strategia aziendale, che ha come obiettivo la costruzione di un sapere diffuso all’interno dell’organizzazione mediante un approccio integrato. All’interno del Knowledge Management, la componente più importante è rappresentata dalle persone che sono titolari di gran parte del sapere e, in particolare, della “conoscenza tacita”21, cioè di quel sapere (opposto alla conoscenza esplicita, che è oggettiva e può essere facilmente codificata) che è esprimibile solo con l’azione, con il “saper fare” e che non può essere gestita mediante l’utilizzo di sistemi informativi.22 Il lavoratore maturo non è solo portatore di conoscenze “tacite”, ma è soprattutto portatore di competenze legate alla cultura, all’identità e alla mission dell’azienda. E’ essenziale che le aziende mirino a promuovere la cooperazione intergenerazionale, attraverso la creazione di piccoli gruppi di lavoro di Action Learning per il trasferimento di esperienze e competenze professionali in quanto si ritiene che una relazione tra generazioni improntata alla cooperazione sia uno strumento fondamentale per accelerare il loro sviluppo, per migliorare il loro patrimonio di know-how e per rafforzare il loro vantaggio competitivo.23
In sintesi, le fonti di vantaggio competitivo per le aziende possono essere riassunte in una serie di punti:
19 FONDAZIONE ISTUD- ASSOLOMBARDA, Age Management Teoria e pratica per la gestione dell’età nelle organizzazioni, Xxxxxx Xxxxxx, p117-118
20 Idem
21 Per “conoscenza tacita “ si intende una combinazione, da un lato, di know-how tecnico e conoscenza cognitiva, e, dall’altro capacità di comprensione
22 xxx.xxxx.xx; xxx.xxxxxxxxx.xx
23 www,xxxxx.xx
• cambiamento delle basi cognitive;
• creazione e gestione di nuove conoscenze;
• trasferimento di esperienze e competenze professionali (Knowledge Management);
• realizzazione di una cooperazione intergenerazionale;
• innovazione tecnologica.
2.3 Gli strumenti e le pratiche di Age Management
Dopo aver analizzato i processi che caratterizzano l’Age Management, è doveroso concentrarsi sugli strumenti e sulle pratiche che gli danno attuazione. Ad ogni fase del processo, infatti, corrisponde uno strumento differente.
• Nella fase di diagnosi e della presa di consapevolezza troviamo l’analisi della demografia organizzativa;
• nella fase di identificazione delle criticità è presente il Work Ability Index, la Work Ability Coaching Interview, ed il Quality of Ageing at Work Questionnaire;
• nella fase della definizione di un modello di intervento abbiamo l’Age-related Leadership Concept & Questionnaire;
• nell’ultima fase sono presenti tre tipi di strumenti: l’analisi dei fabbisogni formativi e la rivelazione delle competenze dei lavoratori maturi, la trasmissione delle tacit skills, e la Professional Identity Interview.24
Cosa intendiamo esattamente per analisi della demografia aziendale? Si tratta di una descrizione delle caratteristiche anagrafiche dei lavoratori nella prospettiva dell’Age Management. Tale analisi ha due obiettivi principali:
1. Far emergere gli squilibri anagrafici nella composizione della forza lavoro.
2. Portare alla luce gli eventuali gap relativi alla professionalità, ai ruoli e alle capacità che si potrebbero generare di volta in volta con il pensionamento.
Dopo aver raggiunto questi obiettivi, gli outcome dell’analisi dovranno permettere l’implementazione del processo di awareness raining, il quale deve coinvolgere sia i decisori aziendali, sia l’HR manager che i rappresentanti degli stessi lavoratori. L’analisi della demografia aziendale, oltre ad utilizzare i coefficienti base (medie di età e senior della popolazione aziendale), uniti ai dati di composizione per genere, funzione e mansione, si avvale di due strumenti aggiuntivi: la piramide delle età anagrafiche dei dipendenti dell’azienda e il diagramma che descrive la struttura per età della popolazione aziendale più anziana, considerando quindi gli eventuali processi di fuoriuscita per pensionamento.
Prima di analizzare il Work Ability Index è necessario andare a cogliere il significato della Work Ability, utilizzando la definizione dello studioso finlandese Illmarinen, professore al Finnish Institute of Occupational Health. Egli infatti definisce la Work Ability come “la misura in cui un lavoratore è capace di svolgere il proprio lavoro nel presente e nel prossimo futuro, rispetto alle richieste della propria mansione ed alle proprie risorse mentali e fisiche. (Ilmarinen,2009).25 Inoltre, per Illmarinen, il Work Ability Index è composto da sette dimensioni:
• Work Ability attuale legata al periodo migliore della propria vita;
• capacità di lavoro in relazione alle richieste della mansione;
• numero delle malattie fisiche diagnosticate da un medico del lavoro;
• permessi usufruiti durante gli ultimi 12 mesi;
• stima dell’indebolimento delle capacità lavorative dovuto alle malattie croniche diagnosticate;
• risorse mentali;
• percezioni della Work Ability nei prossimi due anni.26
Uno dei privilegi dell’indice di capacità del lavoro è rappresentato dalla possibilità di poter confrontare i dati, visto e considerato che la misurazione del punteggio può avvenire più volte e ad intervalli di tempo regolari. I dati ottenuti dal questionario sono soggetti agli obblighi della privacy e della riservatezza e la compilazione deve avvenire con l’adesione volontaria da parte del
24 FONDAZIONE ISTUD- ASSOLOMBARDA, Age Management Teoria e pratica per la gestione dell’età nelle organizzazioni, Xxxxxx Xxxxxx, p.119
26 FONDAZIONE ISTUD- ASSOLOMBARDA, Age Management Teoria e pratica per la gestione dell’età nelle organizzazioni, Xxxxxx Xxxxxx, p.123
lavoratore. Dopo aver ottenuto i risultati, le misure di correzione devono rivolgersi principalmente alla categoria di lavoratori con un punteggio mediocre, in quanto se non dotati di un supporto specifico, possono scivolare verso l’incapacità lavorativa nel breve periodo. Fra le iniziative destinate ai lavoratori con un Work Ability Index scadente possiamo segnalare: una cura dell’alimentazione, attività sportive e sociali, hobby e una buona gestione del sonno e del riposo. In questo modo, l’indice evidenzia tutte le misure che possono incrementare la permanenza nell’azienda da parte di soggetti con età differenti.
Come il Work Ability Index, anche la Work Ability Coaching Interview ha l’obiettivo di identificare i livelli di capacità lavorativa di un lavoratore o di gruppi di lavoratori, con il fine di migliorare le condizioni di lavoro, le competenze, i modelli di management e di creare benessere all’interno dell’ambito lavorativo. Tale strumento è composto dal WAI sommato al Work Ability Dialogue. l’indice di capacità lavorativa si concentra principalmente sulla rilevazione delle esigenze fisiche e psichiche, il Work Ability Dialogue, si propone di determinare la percezione che ogni lavoratore ha in merito a tutti gli interventi che possono migliorare la propria condizione lavorativa. Il Work Ability Dialogue non fa che arricchire i dati numerici del Work Ability Index di informazioni utili per l’individuazione di tutte quelle iniziative volte alla creazione di un clima di benessere all’interno dell’ambiente lavorativo. Il questionario deve essere ripetuto ogni due anni, in maniera tale che si possa avere un quadro più approfondito possibile delle azioni implementate. Anche in questo caso si tratta di un questionario compilato in forma strettamente confidenziale.
L’applicazione del Work Ability Dialogue prevede una serie di fasi:
• meeting con i vertici della struttura organizzativa per coordinare le iniziative da attuare e per creare lo steering commitee;
• applicazione del Work Ability Coaching;
• calcolo del Work Ability Index e somministrazione del Wa- Questionnaire;
• intervista individuale con il lavoratore;
• raccolta di dati anonimi e prima riflessione sulle misure di miglioramento delle capacità di lavoro;
• probabile incontro con i lavoratori;
• attuazione delle misure scelte.
Il vantaggio fondamentale del Work Ability Dialogue è che non si sofferma solo sulla misurazione analitica della capacità dei lavoratori, ma indaga sui lavoratori e sulle loro percezioni, domandandogli quali possano essere le iniziative da implementare per favorire la costruzione di un ambiente lavorativo efficiente e sereno.
Il Quality of Ageing at Work Questionnaire rientra fra gli strumenti di age management che si concentrano sulla rilevazione delle criticità riguardanti il processo di invecchiamento lavorativo. Si tratta di un questionario molto accurato e preciso in quanto tramite l’analisi dei dati si esaminano gli effetti che il processo di invecchiamento lavorativo ha all’interno dell’organizzazione. L’obiettivo principale del questionario è quello di sostenere le cariche dirigenziali più alte (manager, responsabili della gestione delle risorse umane) nella gestione delle criticità prodotte dalla variabile età e nella percezione della qualità del lavoro. Le aree in cui si sviluppa il Quality of Ageing at Work Questionnaire sono molteplici: salute, organizzazione del lavoro, stabilità dell’impiego ed economia, conciliazione, soddisfazione, identità professionale, relazioni, competenze.27
Lo strumento denominato Age-related Leadership Concept & Questionnaire indaga sull’età anziana all’interno dell’ambiente lavorativo e più precisamente sui comportamenti discriminatori nei confronti dei lavoratori senior in azienda. Lo scopo principe è quello di indagare sia sulle attitudini e i comportamenti che i leader esercitano nei confronti dei dipendenti maturi, sia sulla percezione che loro stessi hanno in merito al processo di invecchiamento.
L’analisi dei fabbisogni formativi per i lavoratori è uno strumento organizzativo utilizzato da tutte quelle aziende che presentano un settore di attività simile e che sono caratterizzate da un’organizzazione uniforme e omogenea. Nonostante i lavoratori e i loro bisogni siano l’oggetto principale di analisi, il modello coinvolge il management aziendale, i sindacati, gli stakeholder e tutti quegli esperti che intendono ampliare i bisogni dei lavoratori, con l’intento ultimo di realizzare un sistema di conoscenza più sviluppato ed avanzato. Il modello in analisi utilizza strumenti
27 FONDAZIONE ISTUD- ASSOLOMBARDA, Age Management Teoria e pratica per la gestione dell’età nelle organizzazioni, Xxxxxx Xxxxxx, p.128-132
standardizzati come la raccolta di job description, dati anagrafici e misurazione delle competenze cognitive.
La Professional Identity Interview ha l’obiettivo di approfondire a livello individuale le dimensioni costitutive dell’identità professionale, concentrandosi principalmente sul rapporto che il dipendente ha con il proprio lavoro. Si tratta, infatti, di interviste individuali motivazionali che si intersecano con le leve manageriali più adeguate.
2.4 Il Digital Divide e l’Age Management
La strategia più importante messa in campo dalle aziende per valorizzare i lavoratori senior e
junior all’interno del loro sistema è rappresentata dal Mentoring. Essa, infatti, permette di:
• aiutare il personale senior a non avere la percezione dell’abbandono ma a trovare uno spazio di riconoscimento della propria storia, del proprio valore e di condivisione delle proprie competenze di “mestiere”;
• responsabilizzare i lavoratori junior a mettere al servizio dell’azienda sia le proprie competenze professionali che le proprie attitudini relazionali;
• agevolare l’integrazione tra le due culture mediante la realizzazione di uno uno scambio tra l’innovazione portata dai giovani e la struttura valoriale custodita dagli anziani. 28
Accanto al Mentoring, bisogna segnalare un ulteriore strumento che permette ai giovani con poca esperienza ma con una forte competenza digitale di aiutare i lavoratori più anziani a familiarizzare con la tecnologia, alla ricerca di uno scambio reciproco. Tale strumento, denominato Reverse Mentoring, venne utilizzato per la prima volta nel 1999, quando Xxxx Xxxxx, ex Ceo della General Electric, chiese ai suoi 500 top manager di trovare giovani con competenze digitali e informatiche avanzate. È interessante evidenziare come il Reverse Mentoring riesca a fondere le competenze digitali dei giovani e l’esperienza dei senior e a trarre da queste il maggior profitto. Se da un lato gli under 35 trasmettono le loro conoscenze digitali (l’e-calendar o le riunioni a distanza tramite gli strumenti digitali) dall’altro lato i senior comunicano la loro consapevolezza e visione della realtà organizzativa (formulazione di una vision o il raggiungimento di un obiettivo efficace).29
2.5 L’impegno dell’Unione Europea nell’Age Management
Sin dagli anni 90, l’Unione Europea si è impegnata a fondo per la promozione dell’Active Ageing
ed ha basato il suo impegno su alcuni principi di policy:
• permettere a donne e uomini di stare all’interno del mondo lavorativo il più a lungo possibile, con l’intento ultimo di superare le barriere strutturali e di offrire maggiori incentivi;
• consentire a tutte le persone di svolgere un ruolo attivo all’interno della società;
• mettere i lavoratori nella condizione di poter ottenere una buona qualità della vita.
L’Unione Europea si è focalizzata su una questione di fondamentale importanza: riuscire a convincere i lavoratori a rimanere nell’ambiente lavorativo il più a lungo possibile. Per la Commissione europea è importante, attraverso azioni concrete e tangibili, investire sulla prevenzione delle malattie lavorative e promuovere misure di medicina del lavoro più efficienti. Si potrebbe quasi parlare di seconde carriere o posti di lavoro di fine carriera all’interno delle realtà organizzative. In questo senso, un ruolo decisivo è stato giocato dal Fondo Sociale Europeo, principale strumento finanziario con cui l’Unione Europea sostiene l’occupazione negli Stati membri e promuove la coesione economica e sociale. Più precisamente, il Fondo consente di accrescere le opportunità di occupazione dei cittadini europei, promuove lo sviluppo dell’istruzione e punta a migliorare la situazione dei soggetti più vulnerabili a rischio di povertà, attraverso l’utilizzo di buone politiche di Age Management e di politiche di promozione della salute nei luoghi di lavoro.30 Il regolamento prevede il raggiungimento di quattro obiettivi tematici:
• promuovere l’occupazione e sostenere la mobilità dei lavoratori;
• promuovere l’inclusione sociale e lottare contro la povertà;
• investire in istruzione, competenze e apprendimento permanente;
30 FONDAZIONE ISTUD-ASSOLOMABARDA, Age Management Teoria e pratica per la gestione dell’età nelle organizzazioni, Xxxxxx Xxxxxx, p. 62-63
• migliorare la capacità istituzionale e un ‘efficiente amministrazione pubblica.31
Ciò si evince maggiormente all’interno della Stategia europa 2020 che si preoccupa di evidenziare come i lavoratori senior in azienda, attraverso lo scambio di informazioni e buone pratiche, possano creare valore aggiunto. La Strategia punta a rilanciare l'economia dell'UE, sostenibile e solidale, capace di conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Difatti la sfida a cui le imprese sono chiamate a rispondere si basa non solo sull’innovazione tecnologica, ma anche sulla capacità di definire una politica unitaria di ricomposizione tra le generazioni in grado di superare le dicotomie presenti nei luoghi di lavoro e cause di improduttività.32 Di fronte alle linee guida dettate dall’Unione Europea, le politiche messe in pratica dagli Stati membri sono ancora molto diverse e differenziate. Vi sono paesi come la Finlandia che hanno promosso misure dettagliate di Active Ageing, anticipando la stessa Unione Europea e paesi come l’Italia che sono arrivate in ritardo e che ancora fanno i conti con sistemi di contrattazione che facilitano il ricambio generazionale, attraverso sistemi pensionistici eccessivamente generosi. Moltissime aziende, infatti, hanno l’abitudine di gestire i processi di ristrutturazione o crisi aziendali attraverso misure di pensionamento anticipato, che quindi ostacolano l’applicazione delle linee guide emanate dall’Unione Europea. A questa circostanza se ne aggiunge un’altra di fondamentale importanza: la forza lavoro italiana risulta essere meno istruita rispetto a quella degli altri paesi europei e questo limita, inevitabilmente, la capacità innovativa delle aziende italiane. All’interno del quadro nazionale così complesso e disomogeneo, vi sono, però, delle realtà aziendali che si sono distinte per aver valorizzato l’Age Diversity. Queste realtà verranno approfondite nel prossimo paragrafo.
2.6 Casi di best practice ATM Milano
Nei capitoli precedenti sono state analizzate le caratteristiche generali e teoriche del Diversity Management, ora prendiamo in esame un caso di best practice che ha come oggetto la sostenibilità in tema di Age Management: l’Azienda Trasporti Milanesi (ATM).
L’Azienda Trasporti Milanesi, meglio conosciuta come ATM, è nata nel 1931 anno in cui l’Azienda Tranviaria Municipale divenne azienda autonoma e solo nel 1965 ATM assume l’attuale denominazione. Oggi è una società per azioni di proprietà del comune di Milano il cui core business riguarda la gestione del trasporto pubblico all’interno del capoluogo lombardo nonché in altri 46 comuni limitrofi, attività a cui coniuga servizi di mobilità sostenibile come la gestione dei parcheggi, della sosta e della rimozione e custodia dei veicoli in aree comunali, i servizi a chiamata in città e nell’intera area urbana, il car sharing ed infine il bike sharing.
Negli anni le attività ed i servizi offerti alla popolazione sono cresciuti sia per quanto riguarda l’ambito dei trasporti che il settore commerciale e per il tempo libero; ATM si definisce oggi come “un’impresa che progetta e gestisce servizi e sistemi tecnologicamente avanzati per la mobilità sostenibile”. È proprio la sostenibilità il punto di forza del servizio di ATM, sostenibilità intesa a 360 gradi.
Attualmente l’azienda conta circa 9 mila dipendenti tra dirigenti, quadri/funzionari, impiegati, personale di esercizio, ausiliario ed operai di cui ben il 12% ha più di 55 anni, ed è proprio da questi dati che nasce l’esigenza e la volontà di creare un sistema di welfare aziendale basato sull’Age Management.
L’obiettivo di ATM è quello di essere un punto di riferimento ed un fattore decisivo nel sistema della mobilità per quanto riguarda la qualità del servizio offerto, la sicurezza e la competitività, operando in un sistema integrato che prende in considerazione i bisogni dei propri dipendenti nonché gli interessi del territorio e dei suoi cittadini come beneficiari dei servizi erogati.
L’impegno dell’Azienda è perciò quello di garantire puntualità, frequenza, sicurezza, confort ed informazione nell’erogazione dei servizi ai suoi clienti seguendo precisi principi che da sempre hanno caratterizzato positivamente ATM ovvero:
• eguaglianza e imparzialità, offrendo un servizio che sia accessibile a tutti evitando discriminazioni nei confronti di singole categorie o fasce sociali;
• correttezza, analizzando in maniera sistematica il livello di qualità del servizio attraverso indagini che permettano di confrontare qualità erogata con qualità promessa, introducendo, se necessario, azioni correttive;
• partecipazione e trasparenza, ATM crea un rapporto continuo con i suoi clienti tenendoli informati sul servizio offerto e sui criteri di programmazione;
• efficienza ed efficacia, offrendo un servizio che sia in grado di rispondere in modo adeguato e soddisfacente alle esigenze dei clienti ricercando la massima economicità nell’utilizzo delle risorse;
• rispetto dell’ambiente, migliorando le prestazioni ambientali con obiettivi di sostenibilità. L’Azienda si basa su un solido sistema di valori quali la volontà di migliorare continuamente la qualità della vita di chi vive e si muove all’interno del territorio, la volontà di dare la possibilità ad ogni persona all’interno dell’organizzazione di realizzare sé stessa attraverso un percorso di crescita continua, la diffusione ed il rispetto dei principi di legalità, trasparenza, correttezza e lealtà ed infine la ricerca continua e sistematica dell’eccellenza. Tutti questi valori vengono diffusi sia all’interno dell’organizzazione che percepiti all’esterno tra gli utilizzatori dei servizi offerti quotidianamente.
Come già accennato ATM presenta un sistema di welfare molto attento che si impegna ad offrire soluzioni concrete alle necessità quotidiane delle persone che lavorano all’interno dell’azienda, agli ex dipendenti in pensione ed ai loro familiari cercando di accompagnarli in un benessere personale e professionale ed instaurando così un rapporto di fiducia reciproca tra azienda e dipendenti che ha un impatto positivo sui risultati aziendali e sulla qualità della vita della persona ma più in generale dell’intera collettività.
Il sistema di welfare aziendale è promosso dalla funzione dedicata ai Servizi alla Persona e Benessere Organizzativo che si trova all’interno della direzione Formazione, Selezione, Sviluppo e Organizzazione.
ATM per permettere di comprendere con facilità ed in modo immediato come si articola il sistema di welfare aziendale ha elaborato, in collaborazione con Fondazione ATM, una “mappa del welfare” che evidenzia gli ambiti principali di intervento delle iniziative intraprese dall’azienda a favore dei propri dipendenti ed ex dipendenti.
Gli ambiti di intervento sono:
• Welfare alla persona ed alla famiglia con iniziative che hanno lo scopo di supportare i dipendenti e le loro famiglie nella vita di tutti i giorni (es. flessibilità dell’orario di lavoro, integrazione del 30% della retribuzione per congedo di maternità e paternità, nidi aziendali, borse di studio per i figli dei dipendenti,..);
• Welfare sanitario ovvero interventi in ambito di salute, sanità e sicurezza tra i quali si riferiscono le campagne di prevenzione primaria e secondaria realizzate con le migliori strutture ospedaliere del territorio (es. “giochiamo d’anticipo” campagna di prevenzione oncologica e vascolare dedicata alle donne, “prendiamoci a cuore” screening cardiologico dedicato agli uomini che lavorano in azienda,..);
• Welfare sociale che si riferisce agli interventi in ambito di assistenza e previdenza (es. assegnazione di residenze temporanee, consulenza in materia di previdenza, comitato di sostegno e sviluppo finanziario...).33
Tra le politiche di welfare alla persona ed alla famiglia, ATM ha avviato una politica di age management rivolta ai propri dipendenti in considerazione del fatto che il continuo allungamento dell’aspettativa di vita e i cambiamenti sociali in atto rendono necessario lavorare più a lungo e sostenere una forza lavoro che sia più competente, adattabile e flessibile; il fattore età diventa così di particolare interesse e di possibile intervento.
Per implementare iniziative di Ageing ATM ha svolto una ricerca sul clima aziendale avvalendosi del supporto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano rivolta a tutto il personale con età superiore ai 55 anni che aveva come obiettivo quello di analizzare il modo in cui avviene l’invecchiamento al lavoro ed identificare così un piano di azione da realizzare nel biennio 2016- 2017.
In particolare la ricerca ha permesso di comprendere come gli over 55 percepivano la loro appartenenza all’azienda e come si vedevano da lì a 10 anni. Grazie alla ricerca è stato possibile
33 xxx.xxx.xx
individuare una serie di attività che hanno come oggetto la gestione dello stress, percorsi di trasferimento del know-how all’interno dell’organizzazione prima del pensionamento del dipendente, campagne sulla sana alimentazione e molte altre attività sempre in tema di salute, sicurezza, motivazione dei dipendenti e trasferimento delle competenze.
Il piano di azione in tema di Age Management sviluppato da ATM si struttura su 3 colonne portanti ovvero:
• Il cruscotto direzionale dei dati che permette di analizzare tutti i dati raccolti in ottica di età ovvero suddivisione delle età delle risorse presenti all’interno dell’organizzazione.
• Da questi dati è stato possibile agganciare indicatori sanitari per individuare quando le persone, mediamente, iniziano ad ammalarsi e ad avere difficoltà a svolgere il loro compito. Queste sono analisi non consuete che però dovrebbero essere obbligatorie all’interno delle organizzazioni più complesse;
• Tema della salute e sicurezza sul lavoro: che comporta una serie di investimenti consistenti per implementare attività atte all’insegnamento delle migliori tecniche da adottare sul luogo di lavoro per evitare infortuni, avvalendosi del supporto di ingegneri;
• Tema della motivazione e delle competenze con focus particolare sull’obsolescenza delle competenze e sull’apprendimento costante. Persone over 55 sono sempre di più restie al cambiamento, non sono disposte mentalmente a cambiare il loro modo di fare le cose e per questo motivo vi è il rischio che anche la loro motivazione venga meno.
Questo piano di azione molto strutturato è stato fatto con i manager di linea e coinvolgendo i medici del lavoro al fine di potenziare i processi organizzativi interni e coinvolgere l’intera organizzazione nel cambiamento; ogni risorsa deve essere responsabile del suo invecchiamento “attivo” (l’invecchiamento attivo viene definito dall’Oms come «il processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza al fine di migliorare la qualità di vita delle persone anziane»); con questo termine non ci si vuole solo riferire all’essere fisicamente efficienti ma soprattutto continuare a partecipare alla vita dell’organizzazione.
Il tema dell’Ageing riguarda tutti i cicli di vita lavorativi non solo quelli legati alle risorse più anziane presenti in azienda ma anche ai giovani neo laureati che devono in poco tempo affermarsi e diventare importanti per l’intera organizzazione, è un tema quindi che riguarda tutti e non può non essere affrontato da parte delle organizzazioni le quali devono essere in grado di strutturarsi cambiando i propri processi organizzativi.
In questo contesto è fondamentale fare uno switch con le relazioni industriali nel senso che è necessario intervenire e modificare gli accordi di secondo livello tra impresa e dipendenti adeguandoli alle esigenze proprie di ognuno; per chiarire meglio questo aspetto si può usare un esempio molto semplice: non si possono fare accordi sull’orario di lavoro di un dipendente “anziano” senza tenere in considerazione le sue esigenze. ATM in passato ha siglato degli accordi con i propri autisti over 55 che prevedono il loro esonero dal lavoro domenicale e notturno.
Quelle sopra citate sono alcune delle azioni che l’Azienda si impegna a mettere in pratica nei prossimi anni ma già a partire dal 2013 molte cose sono state fatte in tema di Ageing e sostenibilità; stiamo parlando di due importanti iniziative denominate molto simpaticamente “maestri di mestiere” e “nidi per i nonni”.
Tra le due iniziative quella forse di maggiore interesse per il nostro progetto riguarda “maestri di mestiere”; l’individuazione dei Maestri di mestiere è stata fatta congiuntamente dalla Direzione Risorse Umane e dai Dirigenti della linea attraverso segnalazioni ai responsabili e verifiche basate su specifici criteri quali l’età del dipendente, la competenza tecnica e relazionale, i valori e l’etica ed ultimo ma non meno importante il senso di appartenenza aziendale.
L’iniziativa nasce dal bisogno di avere dei maestri all’interno dell’organizzazione ovvero di persone che siano in grado di insegnare il mestiere che hanno svolto da anni e che siano responsabilizzate nel loro compito istituzionale per creare fiducia e riconoscimento reciproci.
ATM attraverso questa attività ha lo scopo di trasmettere un “mestiere-sapere” ai giovani appena inseriti in azienda per evitare che, nel momento in cui una persona più matura vada in pensione, con essa vengano portate via anche le competenze acquisite e le esperienze spesso considerate irripetibili che ha maturato negli anni di onorato servizio, inoltre, obiettivo non meno importante del precedente è quello di trasmettere agli over 50 nuove motivazioni ed aspirazioni al fine di mantenerli efficienti e produttivi per tutto il periodo in cui devono rimanere in azienda prima di andare in pensione.
Con “maestri di mestiere” l’azienda ha inoltre allargato il numero di docenti tecnici interni all’organizzazione sfruttando l’esperienza e le conoscenze degli over 50, migliorando così il processo di selezione e l’inserimento in azienda dei nuovi assunti.
“Maestri di mestiere” si può, anzi è da considerare, come una vera e propria comunità di pratica ovvero un gruppo costituito per trovare risposte comuni a problemi che riguardano il contesto lavorativo. I partecipanti alla comunità accrescono il senso di identità professionale creando una rete che induce al rinnovamento dell’intero processo organizzativo. Come la letteratura insegna, una comunità di pratica infatti si caratterizza: per l’impegno reciproco tra i membri che la compongono in quanto legati da una sorta di comune identità e da stretti legami di fiducia; per la presenza di una responsabilità di tutti i componenti della comunità nella condivisione delle soluzioni ai problemi; strumenti condivisi ed azioni e linguaggi che rappresentano la memoria della comunità.
Grazie alla comunità di pratica è possibile creare un repertorio condiviso di risorse, di struttura e di linguaggio comune che agevolano, nel caso di ATM, il cambio di generazione all’interno dell’organizzazione.
Concretamente il progetto ha avuto la durata di 3 giorni ed ha coinvolto i “maestri” in numerose attività quali:
• Interventi direttamente tenuti dagli over come testimonianze o docenze durante corsi di formazione per neoassunti;
• Affiancamenti ai responsabili della selezione durante i colloqui degli operai;
• Supporto tecnico/comportamentale per i giovani neoassunti.
Atm grazie agli interventi in ambito di Diversity Management ha ottenuto ottimi risultati all’interno dell’intera organizzazione in quanto è riuscita a stimolare e coinvolgere gli over 55 nel cambiamento generazionale che sta avvenendo, rendendo il clima aziendale più disteso e propenso all’aiuto reciproco. In particolare gli “anziani” dell’azienda hanno saputo trasmettere alle giovani leve i trucchi del mestiere appresi in anni di servizio (al contrario di quanto si potesse pensare all’inizio del percorso intrapreso) ed hanno aiutato l’azienda ad anticipare possibili problemi che si sarebbero riscontrati in questo passaggio di testimone.
Il tema della gestione della diversità all’interno delle organizzazioni non è stato affrontato solamente da aziende pubbliche quale è ATM ma molte altre aziende private si sono interessate a questo tema negli ultimi anni, tra queste è bene ricordare Telecom Italia.
TELECOM Italia
Telecom Italia è un’azienda leader all’interno del settore delle telecomunicazioni ed opera in Italia in tre differenti business attraverso 3 marchi ovvero: marchio TIM per quanto riguarda la telefonia mobile, marchio Telecom Italia per la telefonia fissa ed infine marchio IPTV per la televisione via cavo. Da questo si evince il grande impatto che un’azienda come questa ha sia a livello di servizi offerti ai clienti sia a livello di influenza nel mercato di riferimento e sia in termini di Employer Branding.
L’azienda è da sempre molto attenta al tema della diversità tanto da promuovere iniziative al suo interno che hanno come scopo quello di “valorizzare le forme di diversità presenti nel contesto lavorativo” come si può facilmente constatare dalla lettura dell’ultimo bilancio sulla sostenibilità presente sul web.
Telecom Italia non si impegna solo in ambito di Age Management ma soprattutto in tema di Diversity intesa a livello più macro. Per l’azienda è fondamentale valorizzare ogni diversità come forma di arricchimento e stimolo per l’intera organizzazione creando in questo modo un clima aperto al contributo di tutti i suoi componenti.
In questo scenario, le iniziative principali che sono state promosse sono:
• L’inaugurazione a Roma, nel gennaio del 2015, di una Tim Factory ovvero di un luogo di incontro per persone tra loro differenti che possono confrontarsi e confrontare le proprie culture attraverso gruppi di lavoro e/o condivisione di passioni come la lettura, la pittura,..;
• La predisposizione di un e-learning destinato ai dipendenti che hanno a che fare con collaboratori affetti da disabilità permettendogli così di saper gestire la differenza ed interfacciarsi con loro nel modo più corretto evitando scontri e l’insorgenza di problematiche che possono influenzare ed impattare sull’organizzazione;
• L’inaugurazione di un programma di active learning che coinvolge 15 dipendenti talentuosi selezionati in azienda e che devono, in soli 6 mesi, produrre idee, progetti o iniziative in tema di Ageing.34
Quelle sopra citate sono solo alcune delle iniziative di Telecom Italia in quanto l’azienda come già detto è molto attiva nell’ambito della Diversity ed è molto attenta alla salute ed al benessere dei suoi dipendenti.
Focalizziamo ora l’attenzione sul tema oggetto del nostro elaborato. L’azienda che si sta analizzando, per quanto riguarda l’ambito di Age diversity (così viene riportato all’interno del bilancio di sostenibilità) ha organizzato numerose attività che hanno lo scopo di superare, se non eliminare, tutti gli stereotipi legati all’età cercando di integrare e valorizzare il più possibile le competenze dei dipendenti senior in azienda con quelle dei junior.
All’interno dell’azienda ben il 79% dei lavoratori ha più di 40 anni e questo è il risultato del blocco delle assunzioni derivante dall’adesione al Contratto di Solidarietà del 2010 ma soprattutto dalla riforma Fornero che ha aumentato l’età pensionabile dei dipendenti causando una diminuzione del ricambio generazionale nelle aziende ed un allungamento degli anni di servizio in azienda.
Tutte le politiche di Age Management di Telecom Italia sono il frutto di importanti strategie formulate dopo l’analisi dei punti di forza e di debolezza degli over. I punti di forza sono ovviamente molti e di grande rilevanza e tra questi si riscontrano ad esempio il forte senso di appartenenza all’azienda, la grande produttività in tempi relativamente ridotti dovuta all’esperienza maturata in anni di servizio e la versatilità; le debolezze invece, derivano come è normale pensare, dai cambiamenti tecnologici, dall’aumento della richiesta di sapere parlare lingue straniere per poter comunicare con un mercato sempre più globale ed infine problematiche più legate alla salute fisica.
Le iniziative intraprese negli anni da Telecom Italia in tema di Ageing sono molteplici e tra queste è possibile individuarne tre di più rilievo rispetto alle altre e che brevemente verranno qui approfondite.
La prima è chiamata “Maestri di Mestiere” (è curioso notare come questa iniziativa porti lo stesso nome di quella promossa da ATM) e vede lavorare insieme i professori di scuole selezionate su tutto il territorio nazionale e dipendenti di Telecom Italia appartenenti al settore Open Access e con competenze tecniche particolarmente qualificate e capaci di trasmettere con entusiasmo le proprie conoscenze agli studenti al fine di allineare i programmi scolastici con le esigenze aziendali e promuovendo indirettamente attività di Employer Branding.
Una seconda iniziativa molto interessante, quasi particolare e che denota il reale interesse dell’azienda nei confronti dei senior è “Io imparo l’azienda con te”. In questa occasione Telecom Italia ha dato ai suoi dipendenti la possibilità di iscriversi all’università e frequentare un corso di laurea attivato dall’Università Telematica Internazionale Uninettuno tutto a spese dell’azienda. L’iniziativa ha avuto un grande successo tra i dipendenti tanto che ogni anno il numero dei partecipanti ha visto un notevole incremento, come era normale pensare, visto la grande opportunità di crescita nonostante l’età messa a disposizione dalla propria azienda.
L’ultima iniziativa che merita di essere citata è “Navigare insieme” ovvero la creazione di una community che permette l’incontro tra diverse generazioni presenti in azienda con lo scopo di permettere ai giovani di insegnare ai più anziani alcune basi dell’utilizzo dei computer.
Il progetto ha un duplice scopo alla base ovvero colmare le lacune informatiche degli over presenti in azienda e favorire lo scambio di conoscenze e l’incontro tra giovani e non, rendendo così il contesto aziendale più favorevole alla cooperazione ed alla condivisione di esperienze e di saperi. Da questa breve analisi sulle politiche di Diversity Management implementate sia da ATM che da Telecom Italia si percepisce quanto sia diventato importante, all’interno del contesto macroeconomico in cui siamo inseriti ed in cui sono presenti costanti minacce dovute sia alla crisi economica ancora in corso sia agli squilibri del sistema di previdenza, che le aziende adottino strumenti che siano in grado di cogliere le caratteristiche distintive dei propri dipendenti.
Tutto con l’obiettivo finale di poter rendere l’organizzazione un luogo di scambio ed integrazione tra tutti i dipendenti anche se appartenenti a generazioni diversi ed apparentemente molto distanti tra loro permettendo alle aziende di non perdere mai le proprie competenze distintive e di evitare che insieme ai dipendenti vadano in pensione anche le loro capacità.
2.7 Sviluppi futuri per il mondo HR
L’applicazione e la gestione delle politiche di Diversity management all’interno delle organizzazioni spetta, come normale pensare, alla funzione HR. Ma perché proprio le Risorse Umane? La risposta è relativamente semplice, le Risorse Umane rivestono all’interno delle organizzazioni un ruolo di “ponte” tra ciò che è la realtà esterna all’azienda e ciò che rappresenta la dimensione più interna alla stessa.
Questo significa che i manager HR hanno la possibilità di interfacciarsi e comprendere ciò che avviene all’interno del mercato di riferimento traducendo tutti i cambiamenti in atto in nuove strategie aziendali. È proprio questo ciò che è avvenuto con l’introduzione delle pratiche di Diversity Management all’interno sia di strutture organizzative pubbliche che private come quelle precedentemente analizzate.
Il problema che deve affrontare quasi quotidianamente la funzione HR riguarda la creazione e l’implementazione di un ambiente di lavoro e di una cultura organizzativa che sostengano, ma soprattutto diano valore, alle diversità.
Le ultime generazioni di studenti, infatti, agevolati dai progetti universitari (Progetto Xxxxxxx, Progetto Xxxxxxxx), decidono di studiare all’estero e, molto spesso, valutano di rimanere nel Paese che li ha adottati da studenti, anche per lavorare. È chiaro che, con questa forte mobilità di professionisti e competenze, è necessario che le aziende siano pronte ad affrontare i temi della diversità con gli strumenti più adeguati.
In quest’ottica, sono sempre più richiesti e ricercati, in aziende di respiro internazionale, Responsabili delle Risorse Umane con ottime competenze gestionali e che abbiamo già maturato esperienza in contesti internazionali, in cui abbiano avuto modo di gestire professionisti differenti per età e generazione, genere, identità e orientamento sessuale, etnia, cultura e religione, condizioni di salute e disabilità, maternità e background professionale.
A questo proposito negli ultimi anni è nata all’interno delle aziende la figura del Diversity Manager il quale, lavorando a stretto contatto con il responsabile dell’apprendimento e l’Employee Engagement Manager, ha lo scopo di realizzare programmi di carattere educativo che promuovano la comprensione e la condivisione di pratiche di lavoro tra team di lavoro composti da persone eterogenee favorendo l’ottenimento sia di benefici economici per l’azienda in termini di contenimento di costi legati al turnover, aumento della reputazione, riduzione dei tassi di assenteismo, sia psicologici per i lavoratori coinvolti nelle diverse iniziative i quali si sentono più motivati ed in grado di affrontare con più serenità i problemi e le sfide che gli si presentano.
Il diversity manager per poter individuare e implementare le migliori pratiche di DM deve innanzitutto mappare la situazione aziendale attraverso analisi SWOT per individuare le aree di miglioramento, i punti di debolezza, le opportunità e le minacce conseguenti all’introduzione di pratiche per la gestione della diversità oppure avvalendosi di test di valutazione del potenziale sottoposti ai lavoratori dell’azienda i quali hanno così la possibilità di esprimersi in merito allo sforzo dell’azienda ad introdurre pratiche di Diversity, sentendosi coinvolti nelle strategie aziendali e parte integrante di un’organizzazione attenta alle esigenze di tutti.
Come abbiamo analizzato nel nostro studio l’andamento delle nascite e l’allungamento della speranza di vita media lasciano spazio a uno scenario in cui sarà obbligatorio confrontarsi con queste tematiche.
È possibile dunque prevedere un aumento della richiesta da parte delle aziende di specialisti in questo settore, o che quantomeno abbiano competenze approfondite riguardo i temi di Ageing e Diversity. In questo senso sarebbe auspicabile che le varie Università e Enti di formazione inseriscano e potenzino lo studio di queste materie in tutti i corsi dove vengono formati futuri HR, in modo tale da potersi far trovare preparati quando aumenteranno richieste di questo tipo da parte delle organizzazioni.
In questa ricerca abbiamo voluto concentrare i nostri sforzi su una pratica ben definita di Diversity Management, che sta permettendo alle imprese, sia pubbliche che private, di ottenere un vero e tangibile vantaggio competitivo all’interno del mercato di riferimento: l’Ageing Management. Dal momento in cui nel nostro Paese non è ancora diffusa la piena consapevolezza circa l’importanza di prestare attenzione a questo tema, le aziende pionieristiche probabilmente raccoglieranno i frutti del lavoro che stanno attuando negli ultimi anni non solo grazie alla bontà delle politiche attuate, ma soprattutto dall’ulteriore beneficio di essere state tra le prime a comprendere la necessità dell’integrazione intergenerazionale.
Le politiche, per essere efficaci, devono prevedere modi innovativi di gestione delle risorse umane all’interno delle imprese, come ad esempio pratiche di Internal Branding, ovvero meccanismi HR atti a fidelizzare, coinvolgere e sviluppare il personale interno in linea con le strategie aziendali. Prerogativa fondamentale è mantenere la centralità dell’individuo come fonte di trasmissione di conoscenza e di esperienze.
Si è trattato, nel corso di quest’analisi, del Knowledge Management, pratica che si prefigge l’obiettivo di creare un “filo diretto” tra le diverse generazioni presenti nelle aziende, in modo tale da garantire il passaggio di tutte quelle competenze sviluppate durante un’intera carriera e che non possono essere apprese sui libri. Proprio perché queste conoscenze rappresentano spesso punti cardine per le performance aziendali, le imprese non devono correre il rischio di perderle nel momento in cui il lavoratore che le possiede va in pensione.
Questi problemi sono stati chiaramente riscontrati all’interno delle aziende oggetto della nostra analisi, ed in entrambi i casi sono stati sviluppati progetti che hanno avuto lo scopo di agevolare la coesistenza e la condivisione di pratiche tra lavoratori junior e senior. I vantaggi che le aziende hanno avuto dall’implementazione di queste pratiche sono stati diversi, tra i quali è bene menzionare il miglioramento del clima aziendale con il conseguente miglioramento delle performance organizzative, nonché dei benefici derivanti dall’ottimo riscontro sui lavoratori coinvolti.
Soprattutto i senior infatti hanno percepito di essere considerati ancora importanti nello sviluppo organizzativo, nonostante la loro carriera fosse ormai giunta al termine. Questa riflessione non è per niente banale né scontata, in particolare nel mondo attuale, dove la velocità, la capacità di adattarsi, il dinamismo e la flessibilità sono considerati elementi chiave per ottenere successo.
Sempre più si parla della centralità delle Risorse Umane all’interno del processo di generazione del valore, ma quelle aziende che non danno seguito alle dichiarazioni con progetti concreti come quelli che abbiamo visto, non solo non avranno vantaggio competitivo, ma tra pochi anni pagheranno il prezzo di non aver agito nei confronti di quello che potrebbe seriamente essere uno dei fenomeni più importanti della nostra epoca. È necessario, quindi, che la classe manageriale si impegni in primo luogo a non sottovalutare il potenziale danno che l’immobilismo può causare, e in secondo luogo a mettere in atto politiche concrete di Age Management.
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