CONTRATTO E RIMEDI EFFETTIVI
Contratto e rimedi effettivi
Corso di Diritto Civile A.A. 201432015
Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx
CONTRATTO E RIMEDI EFFETTIVI
Capitolo primo
Il contratto senza numeri e aggettivi.
1. Diritto europeo e tutele contrattuali ……………………………………….. 1.1 La metafora delle fonti e le tutele contrattuali …………………………. | p. 2 p. 2 |
1.2 La validità ……………………………………………………………... | p. 3 |
1.3 Norme di comportamento …………………………………………….. | p. 5 |
1.4 Problema e sistema ……………………………………………………. | p. 8 |
2. Il diritto ad un rimedio effettivo …………………………………………... | p. 10 |
2.1 L’individuazione di un diritto costituzionale ad un rimedio effettivo …... | p. 10 |
2.2 Il dialogo fra corti e il diritto ad un rimedio efficiente …………………. | p. 12 |
2.3 Rassegna delle Corti europee sul principio di effettività ………………... | p. 14 |
3. Le fonti ………………………….………………………………………… | p. 20 |
4. I contratti dei consumatori e il codice del consumo.( Btc ) ………………… | p. 21 |
4.1 L’iter di approvazione e le scelte compiute …………………………….. | p. 24 |
4.2 La struttura del codice ………………………….……………………... | p. 25 |
4.2.1 La parte seconda. Educazione, informazione, pubblicità ………. | p. 26 |
4.2.2 Le pratiche commerciali scorrette ……………………………... | p. 28 |
4.2.3 La parte terza. Il rapporto di consumo ………………………… | p. 32 |
4.2.3.1 Art. 34. Accertamento della vessatorietà; Art. 35. Forma e | |
interpretazione delle clausole ……………………………… | p. 34 |
4.2.3.2 Nullità di protezione ………………………….…………… | p. 39 |
4.2.3.3 Art. 37. Azione inibitoria ………………………….………. | p. 41 |
4.2.3.4 Art. 38 ………………………….…………………………. | p. 41 |
4.2.4 La parte quarta. Sicurezza e qualità ……………………………. | p. 42 |
4.2.5 La parte quinta e la parte sesta ………………………………… | p. 42 |
4.3 Il livello di protezione fra regole e principi …………………………….. | p. 43 |
4.4 I «diritti fondamentali dei consumatori» ……………………………….. | p. 43 |
4.5 La direttiva sui diritti fondamentali dei consumatori …………………... | p. 44 |
5. Oltre il consumatore ………………………….…………………………… | p. 46 |
6. Il diritto comunitario e la Proposta di un Regolamento europeo sulla vendita | |
………………………….………………………….……………………… | p. 47 |
7. I contratti di impresa ………………………….…………………………... | p. 50 |
7.1 Contratto e concorrenza. Il rapporto fra le due discipline ……………... | p. 52 |
7.2 Il sorgere della legislazione antitrust in America ……………………….. | p. 55 |
7.3 Il dibattito in Italia dalla Assemblea Costituente agli anni ottanta del | |
secolo scorso ………………………….………………………………. | p. 54 |
7.4 Le scelte del legislatore europeo ………………………….……………. | p. 60 |
7.5 La legge 10 ottobre 1990, n. 287 ………………………….…………… | p. 63 |
7.5.1 La disciplina delle intese ……………………………………….. | p. 63 |
7.5.2 L’abuso di posizione dominante ………………………………. | p. 66 |
7.5.3 Le concentrazioni ………………………….………………….. | p. 68 |
7.6 L’abuso di dipendenza economica ……………………………………... | p. 71 |
7.6.1 Abuso di dipendenza economica e abuso di posizione | |
dominante ………………………….………………………….. | p. 71 |
7.6.2 La ratio ………………………….……………………………... | p. 73 |
7.6.3 Le conseguenze dell’abuso: i rimedi …………………………… | p. 73 |
7.6.4 Ambito di applicazione ………………………….…………….. | p. 77 |
7.7 I contratti di distribuzione e l’asimmetria di potere nei contratti di | p. 78 |
impresa ………………………….…………………………………….. | |
7.7.1 I contratti di distribuzione e l’affiliazione commerciale ……….. | p. 78 |
7.7.2 Come si interviene? Con la disciplina della concorrenza, con il | |
diritto dei contratti o con entrambe le discipline?............................ | p. 79 |
7.7.3 La nuova legge sull’affiliazione commerciale (L. 6 maggio 2004, | |
n. 129) ………………………………………………………… | p. 81 |
7.7.4 Diritto dei contratti e regole di concorrenza …………………... | p. 83 |
7.8 La nuova disciplina sui termini di pagamento ………………………….. | p. 85 |
8. Diritti fondamentali e contratto …………………………………………… | p. 87 |
Capitolo Secondo Le regole di validità.
1. Efficacia e validità p. 95
2. Le azioni previste nei Capi XI, XII, XIII, XIV del Quarto libro del Codice
civile
………………………….…………………………………………...
2.1. Qualche raffronto fra disciplina generale e di settore (nullità, annullabilità e “giustizia del contratto”) ……………………………….
p. 96
p. 97
3. La nullità p. 99
3.1. I casi di nullità previsti dal codice …………………………………….. p. 100 3.2. L’azione di nullità ………………………….…………………………. p. 106
3.3. La conversione e la conferma ………………………….……………... p. 109 3.4. La nullità parziale ………………………….…………………………. p. 111
3.5. Gli effetti della nullità nei confronti delle parti e dei terzi …………….. p. 113
3.6. L’evoluzione della nullità in Italia e in Europa ………………………... p. 113
3.7. Nullità speciali “di protezione” ……………………………………….. p. 114 3.8. Una esemplificazione ………………………….……………………... p. 118
3.8.1. Nullità di protezione a tutela del “consumatore” ……………... p. 118 3.9. In sintesi ………………………….…………………………………... p. 120
4. La causa ………………………….……………………………………….. p. 121
4.1. Significato della causa: evoluzione storica …………………………….. p. 121 4.2. La causa in concreto ………………………….………………………. p. 126
4.3. Qualche riflessione sulla causa nel diritto privato europeo …………… p. 129 5. L’oggetto ………………………….……………………………………… p. 132
5.1. La determinatezza o determinabilità dell’oggetto. Una vicenda giurisprudenziale ………………………….…………………………... p. 135
5.2. La determinazione da parte del terzo …………………………………. p. 137 6. il contratto illecito ………………………….……………………………... p. 141 6.1. Norme imperative ………………………….………………………… p. 141
6.2. Violazione di norme tributarie ………………………………………... p. 142
6.3. Contratto contrario a norme penali …………………………………... p. 145
6.4. Contrarietà a buona fede ………………………….………………….. p. 145 6.5. Ordine pubblico ………………………….…………………………... p. 146 6.6. Buon costume ………………………….…………………………….. p. 146
6.7. La meritevolezza dell’interesse ………………………………………... p. 147 6.8. Motivo illecito ………………………….…………………………….. p. 147 6.9. Frode alla legge ………………………….…………………………… p. 148
7. L’annullabilità ………………………….………………………………… p. 153
7.1. Il giudizio di annullamento ………………………….………………... p. 154
8. I vizi della volontà ………………………….…………………………….. 8.1. L’errore. La disciplina del codice civile ……………………………….. 8.1.1. Rilevanza dell’errore. Il requisito dell’essenzialità……………… | p. 157 p. 157 p. 157 |
8.1.2. La riconoscibilità dell’errore …………………………………... | p. 161 |
8.2. Il dolo ………………………….…………………………………….. | p. 161 |
8.2.1. La disciplina del codice civile. I requisiti ……………………… | p. 161 |
8.2.2. Il dolo omissivo ………………………….…………………... | p. 162 |
8.2.3. Il c.d. dolus bonus ………………………….…………………... | p. 165 |
8.2.4. Il dolo incidente ………………………….…………………... | p. 166 |
8.2.5. Xxxxxx e dolo negoziale ………………………………………. | p. 167 |
8.2.6. Dolo del terzo ………………………………………………... | p. 168 |
8.3. La violenza ………………………….………………………………... | p. 168 |
8.3.1. La disciplina del Codice civile. Gli elementi: la minaccia di far
valere un diritto p. 168
8.3.2. Xxxxxxxx e timore ………………………….…………………. p. 169
8.3.3. Violenza di un terzo e violenza diretta contro terzi …………… p. 171 9. Della incapacità ………………………….………………………………... p. 174
9.1. Dalla incapacità alla “protezione delle persone prive in tutto o in parte
di autonomia” ………………………….……………………………... | p. 174 |
9.2. L’annullabilità del contratto per incapacità legale ……………………... | p. 177 |
9.2.1. L’amministrazione di sostegno ……………………………….. | p. 177 |
9.2.2. L’annullabilità degli atti compiuti personalmente dal | |
beneficiario dell’amministratore di sostegno e dall’incapace | |
legale ………………………….……………………………… | p. 181 |
9.3. L’incapacità naturale e la circonvenzione di persone incapaci ………… | p. 183 |
9.3.1. Le situazioni che determinano l’incapacità naturale …………... | p. 183 |
9.3.2. L’annullabilità del contratto e la controversa ratio dell’art. 428 ... | p. 187 |
9.3.3. Il significato del grave pregiudizio e della malafede ………….... | p. 191 |
9.3.4. La disciplina dell’azione ………………………………………. | p. 193 |
9.3.5. Il contratto concluso per effetto del reato di circonvenzione di | |
persone incapaci: i rimedi applicabili ………………………….. | p. 195 |
10. La rescissione e il contratto ingiusto ………………………….…………... | p. 200 |
10.1. Dall’eguaglianza formale al rilievo della disparità di potere ………... | p. 203 |
10.2. Il contratto usurario ………………………….……………………. | p. 203 |
10.3. I contratti bancari ed il “problema dell’anatocismo” ……………… | x. 000 |
00.0. Qualche precisazione sulla giustizia contrattuale …………………... | p. 212 |
10.5. Giustizia e rilievo della disparità di potere …………………………. | p. 213 |
10.6. Una corretta e concreta idea di giustizia contrattuale ……………… | x. 000 |
00.0. La rilevanza positiva della disparità e l’invalidità nelle fonti europee... | p. 216 |
Capito Terzo
Le regole di responsabilità
1. La Buona fede nella formazione e nella esecuzione del contratto ………….. | p. 219 |
1.1 La buona fede nel sistema italiano ……………………………………... | p. 219 |
1.2 L’evoluzione della giurisprudenza italiana ……………………………... | p. 220 |
1.3 Sulla discrezionalità del giudice ………………………….…………….. | p. 221 |
1.4 Sui contenuti della discrezionalità ………………………….…………... | p. 223 |
1.5 La buona fede nel diritto comunitario …………………………………. | p. 223 |
1.6 Le conseguenze della violazione ……………………………………….. | p. 228 |
1.7 La buona fede nella fase di conclusione e di trattative p. 232
1.8 Responsabilità e contratto valido:la svolta giurisprudenziale ………….... p. 236
1.8.1. Regole di responsabilità e di validità ………………………….……. p. 236
1.8.2. La coesistenza fra contratto valido e la responsabilità per la violazione della buona fede nelle trattative ………………………... p. 238
1.8.3. Le asimmetrie informative e la regola di buona fede ………………. p. 240
1.8.4. L’obbligo di informazione fra fattispecie e comportamento ……….. p. 241
1.9. Tipologia della condotta ………………………….…………………… p. 243
1.10. Natura della responsabilità precontrattuale ……………………………. p. 243
1.11. La buona fede nell’esecuzione del contratto …………………………… p. 246 2. L’abuso di diritto ………………………….………………………………… p. 248
2.8. Clausole generali e giudizio di legittimità ………………………………. p. 248 2.9. Il segno dei tempi ………………………….…………………………... p. 249
2.10. Le sentenze di legittimità ……………………………………………… p. 250
2.11. L’abuso di diritto in Italia e in Europa ………………………………… p. 252
2.12. Abuso ed elusione tributaria ………………………………………….... p. 254
2.13. L’abuso della libertà contrattuale ……………………………………… p. 255 2.14. Abuso e buona fede …………………………………………………… p. 258
3. Il rapporto e la risoluzione del contratto …………………………………….. p. 259
4. Il diritto all’adempimento nel diritto privato europeo ………………………... p. 260 4.1. Le soluzioni nazionali …………………………………………….... p. 260
4.2. La disciplina accolta nel DCFR ……………………………………. p. 262
4.3. Diritto all’adempimento e modello europeo ……………………….. p. 263 5. Il recesso ………………………….………………………….………………... p. 264
5.1. Nozione e classificazioni del recesso. Recesso legale e recesso volontario (o convenzionale) ……………………………………… x. 000
0.0. Il recesso nei contratti ad esecuzione istantanea e nei contratti di
durata ……………………………………………………………... p. 266
5.3. Recesso determinativo, impugnativo, di pentimento ………………. p. 267
5.4. Disciplina dell’atto di recesso ……………………………………… p. 270
5.4.1. Rapporto tra figura generale di recesso ex art. 1373 e singoli tipi legali …………………………………………………...
p. 270
5.4.2. Forma e perfezionamento del recesso p. 271
5.4.3. Determinabilità del contenuto dell’atto di recesso …………. p. 273 6. I rimedi risolutori ……………………………………………………………... p. 275
6.1. La risoluzione per inadempimento e la nozione di inadempimento.
La responsabilità contrattuale dalla codificazione agli anni 70 ……... p. 275
6.2. L’interpretazione dell’art.1218 del codice nella dottrina e nella giurisprudenza …………………………………………………….. p. 278
6.3. Inadempimento e colpa in Italia e negli ordinamenti europei ……… p. 282
6.4. L’imputabilità dell’inadempimento nella giurisprudenza italiana …… p. 283 6.5. L’onere della prova ………………………………………………... p. 285
6.6. La gravità dell’inadempimento …………………………………….. p. 287
6.7. L’eccezione di inadempimento …………………………………….. p. 288
6.7.1. L’eccezione di inadempimento e il mutamento delle condizioni patrimoniali ……………………………………. p. 288
6.7.2. L’eccezione di insicurezza …………………………………. p. 289
6.7.3. L’inadempimento anticipato ………………………………. p. 292
6.8. La risoluzione di diritto ……………………………………………. p. 294
6.8.1. La diffida ad adempiere …………………………………… p. 294
6.8.2. Xxxxxxxx risolutiva espressa ………………………………... p. 296
6.8.3. Termine essenziale ………………………………………… p. 299
6.9. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta ……………………... 6.9.1. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta: effetti e | p. 300 |
campo di applicazione ……………………………………... | p. 301 |
6.9.2. L’impossibilità della prestazione e la causa non imputabile ... | p. 303 |
6.9.3. Impossibilità parziale ……………………………………… | p. 303 |
6.9.4. Impossibilità nel contratto plurilaterale …………………… | p. 304 |
6.9.5. Contratto con effetti traslativi o costitutivi ………………… | p. 305 |
6.10. La risoluzione per eccessiva onerosità e il rilievo delle | |
sopravvenienze ……………………………………………………. | p. 307 |
6.10.1. Le sopravvenienze e l’art. 1467 c.c. ………………………... | p. 308 |
6.10.2. La prassi negoziale (la rinegoziazione) ……………………... | p. 310 |
6.10.3. La presupposizione ………………………………………... | p. 312 |
Capitolo Quarto Illecito e contratto
1. Le questioni aperte ………………………………………………... 2. Il contatto sociale ………………………………………………….. 2.1 La distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale | p. 317 p. 319 |
e gli obblighi di protezione …………………………………….. | p. 319 |
2.2 Le ipotesi di responsabilità da contatto sociale ………………… | p. 322 |
2.3 la responsabilità medica e la legge Balduzzi ……………………. | p. 323 |
2.3.1 Il nuovo D.L. 13 settembre 2012, n. 158 ………………. | p. 328 |
2.4 La responsabilità dell’insegnante ……………………………… | p. 332 |
2.5 La responsabilità della Banca ………………………………….. | p. 333 |
2.6 La mediazione tipica …………………………………………... | p. 335 |
2.7 La responsabilità del ex datore i lavoro ………………………... | p. 336 |
2.8 Ulteriori ipotesi ………………………………………………... | p. 338 |
2.9 Profili sistematici ……………………………………………… | p. 339 |
3. La responsabilità aquiliana a protezione del contratto delle relazioni | |
familiari e del mercato. Ammissibilità e limiti ……………………… | p. 341 |
3.1 La violazione del contratto da parte dei terzi …………………... | p. 341 |
3.2 La tutela aquiliana per “indebolimento della posizione | |
contrattuale”. Il caso CIR-Fininvest …………………………… | p. 343 |
3.2.1 Il caso …………………………………………………. | p. 343 |
3.2.2 La sentenza di primo grado ……………………………. | p. 344 |
3.2.3 La sentenza della Corte d’Appello di Milano …………... | p. 346 |
3.2.4 Le reazioni dottrinarie …………………………………. | p. 347 |
3.2.5 La sentenza della Corte di Cassazione …………………. | p. 350 |
3.2.6 Dal problema al sistema. Comportamenti e fattispecie … | p. 352 |
3.2.7 La cumulabilità dei rimedi nel sistema interno e | |
comunitario e il diritto ad un rimedio efficiente ……….. | p. 355 |
3.2.8 Cumulo dei rimedi e compatibilità. La responsablita della | |
Pubblica amministrazione ……………………………... | p. 356 |
3.3 La tutela risarcitoria in presenza di un contratto valido. | |
Responsabilità precontrattuale, contrattuale ex lege o aquiliana …. | p. 358 |
3.3.1 Responsabilità precontrattuale e da contatto sociale …… | p. 358 |
3.3.2 Illecito e contratto oltre la trattativa …………………… | p. 360 |
3.4 Cumulo dei rimedi e danni endo-familiari ……………………... | p. 362 |
3.5 Danni endofamiliari …………………………………………… | p. 364 |
3.5.1 Sulla privatizzazione del diritto di famiglia p. 364
3.5.2 Rapporto fra coniugi e diritti dei singoli ……………….. p. 365 3.5.3 Genitori e figli ………………………………………… p. 368
3.5.4 Diritti danni e comunità familiare ……………………... p. 372
3.6 Il risarcimento del danno per violazione della normativa antitrust ……………………………………………………….. p. 372
CAPITOLO 1 - LA DISCIPLINA GENERALE E LE DIVERSE TIPOLOGIE
1. Diritto europeo e tutele contrattuali.
1.1 La metafora delle fonti e le tutele contrattuali
1.2 La validità
1.3 Norme di comportamento
1.4 Problema e sistema
2. Il diritto ad un rimedio effettivo.
2.1 L’individuazione di un diritto costituzionale ad un rimedio effettivo
2.2 Il dialogo fra corti e il diritto ad un rimedio efficiente.
2.3 Rassegna delle Corti europee sul principio di effettività
3. Le fonti
3.1 La teoria generale del contratto.
4. I contratti dei consumatori e il codice del consumo.( Btc )
4.1 L’iter di approvazione e le scelte compiute
4.2 La struttura del codice
4.2.1 La parte seconda. Educazione, informazione, pubblicità
4.2.2 Le pratiche commerciali scorrette.
4.2.3 La parte terza. Il rapporto di consumo
4.2.3.1 Art. 34. Accertamento della vessatorietà; Art. 35. Forma e interpretazione delle clausole.
4.2.3.2 Nullità di protezione
4.2.3.3 Art. 37. Azione inibitoria.
4.2.3.4 Art. 38
4.2.4 La parte quarta. Sicurezza e qualità
4.2.5 La parte quinta e la parte sesta
4.3 Il livello di protezione fra regole e principi
4.4 I «diritti fondamentali dei consumatori»
4.5 La direttiva sui diritti fondamentali dei consumatori
5. Oltre il consumatore
6. Il diritto comunitario e la Proposta di un Regolamento europeo sulla vendita.
7. I contratti di impresa
7.1 Contratto e concorrenza. Il rapporto fra le due discipline
7.2 Il sorgere della legislazione antitrust in America
7.3 Il dibattito in Italia dalla Assemblea Costituente agli anni ottanta del secolo scorso
7.4 Le scelte del legislatore europeo
7.5 La legge 10 ottobre 1990, n. 287
7.5.1 La disciplina delle intese
7.5.2 L’abuso di posizione dominante
7.5.3 Le concentrazioni
7.6 L’abuso di dipendenza economica
7.6.1 Abuso di dipendenza economica e abuso di posizione dominante
7.6.2 La ratio
7.6.3 Le conseguenze dell’abuso: i rimedi
7.6.4 Ambito di applicazione
7.7 I contratti di distribuzione e l’asimmetria di potere nei contratti di impresa
7.7.1 I contratti di distribuzione e l’affiliazione commerciale
7.7.2 Come si interviene? Con la disciplina della concorrenza, con il diritto dei contratti o con entrambe le discipline?
7.7.3 La nuova legge sull’affiliazione commerciale (L. 6 maggio 2004, n. 129)
7.7.4 Diritto dei contratti e regole di concorrenza
7.8 La nuova disciplina sui termini di pagamento Diritti fondamentali e contratto.
CAPITOLO 1 - LA DISCIPLINA GENERALE E LE DIVERSE TIPOLOGIE
1. Diritto europeo e tutele contrattuali
1.1 La metafora delle fonti e le tutele contrattuali
Le tutele contrattuali sono al centro dell’attenzione degli studiosi per un motivo chiaro.
Si manifestano sempre più le interferenze con le fonti comunitarie e con le trasformazioni di un contratto che si può definire pos-moderno, per segnalare che si sta lasciando alle nostre spalle “un terreno storico definito per inoltrarsi su un sentiero ancora non tracciato bene che attraversa, travolgendole, le fondamenta sociali, politiche e giuridiche del nostro ordine”1.
Xxxxxxx Xxxxxxx ha fissato bene tutto ciò descrivendo, con una metafora, l’apporto di molteplici sorgenti “situate a livelli diversi capaci di creare vortici che soltanto uno sforzo paziente potrà riportare, fra mille ostacoli, entro un alveo fecondo per la vita collettiva”2. Credo da sempre che questo sforzo dia maggiori risultati riflettendo, sulle tutele più che sulla fattispecie, sulla funzione più che sulla struttura degli atti e dei contegni. Niente di nuovo certo.
La scelta di Xxxxxxxx Xxxxxx in tal senso si ha nel 1969, con il saggio sulla funzione promozionale del diritto e nel 1975 con la raccolta di scritti, con un titolo esplicito: dalla struttura alla funzione. L’intento era precisato subito.
Si poneva, in quegli scritti, a confronto la diversità radicale fra lo stato liberale (che tutela, garantisce e reprime) e lo Stato costituzionale che promuove (il lavoro, gli enti intermedi, la cooperazione), incoraggia (il risparmio), agevola (la famiglia), rimuove gli ostacoli per il pieno sviluppo di ogni personalità. La distinzione fra un ordinamento con funzione protettivo-repressiva e un ordine con funzione promozionale era tracciata benissimo. Al primo interessano soprattutto i comportamenti socialmente non desiderati che si reprimono, al secondo i contegni desiderati che si incoraggiano e promuovono3.
Riparto volentieri da quella traccia, dalla distinzione fra norme di organizzazione e norme di comportamento per esaminare come entrambe siano, oggi, la risultante di una pluralità di valutazioni espresse da regole, principi e clausole generali in un contesto da definire, ma altro e diverso dal passato. Cominciamo dalle prime.
1 Così P. GROSSI, Introduzione al novecento giuridico, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 3 ss.
2 U. BRECCIA, Immagini della giuridicità contemporanea tra disordine delle fonti e ritorno al diritto, in Pol.dir., 2006, 3, p. 380- 381.
3 X. XXXXXX, La funzione promozionale del diritto, in X. Xxxxxx, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di filosofia del diritto. Prefazione di M.G. Xxxxxx, Roma-Bari, 2007, p.3 ss.
1.2 La validità.
I vecchi dogmi, si sa, non furono capaci di risolvere il problema della giustizia e della razionalità del contratto perché unificarono nel concetto di causa ciò che non poteva essere compreso in una sola categoria4.
Per tutto il novecento si è andati alla ricerca in Europa di rimedi più efficienti, seguendo ideologie ed esigenze diverse5. Una lucida analisi storica ha posto in luce come la giustizia contrattuale “sia stata un nodo irrisolto del diritto privato italiano fra otto e novecento”, ed ha spiegato bene il perchè. Nel volume si riproducono le decisioni di casi sulle clausole vessatorie, sui patti gravosi, gli interessi usurari e le sopravvenienze, tutte unite dall’intento di dare risposte alle istanze di equilibrio e di protezione in conflitto con i principi cardine dell’individualismo e della dottrina classica del contratto.6
Il problema era già allora chiaro. L’utilizzo insufficiente di tutele e istituti (vizi della volontà, rescissione) in funzione di limite alla forza obbligatoria del contratto e dell’intangibilità dell’accordo. Una prima risposta si tentò nel 1938 nella riforma del codice ove si riproduceva nell’art. 22 le scelte del Progetto italo-francese che aveva ipotizzato un rimedio di grande modernità, ripreso oggi sostanzialmente dei testi dei Principi europei. Dalla iniquità delle prestazioni era presunto un consenso non libero e si attribuiva al giudice il potere, su istanza di parte, di annullare o correggere il contenuto del contratto7.
“La reazione di Xxxxx fu netta (contro giuristi come D’Xxxxxx e Xxxxxxxx). La scelta era un corollario del famigerato dogma della volontà, tipica manifestazione della concezione individualistica propria del diritto naturale ed eredità del liberalismo. Di più. Espressione delle democrazie borghesi asservite al capitalismo non corporativo ispirato da suggestioni della mitologia socialista”. Il modello da seguire era, invece, tedesco e si optò come rimedio
4 v. U. BRECCIA, Causa e consideration, in X. Xxxxxxx (a cura di), Remedies in contract, Padova, 2008, p. 31ss; ed ivi, X. XXXXXXX, Il diritto dei rimedi: invalidità e inefficacia, p. 231 ss., X. XXXXXXXXXX, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, p. 161 ss, X. XXXXXXXXXXX, Rimedi e modello sociale europeo, p. 203, X. XXXXX, Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico (schivando il “terzo contratto”)?, p. 207 ss; X. XXXXXXXXXX, Le ragioni della causa e il problema dei rimedi: l’evoluzione storica e le prospettive nel diritto europeo dei contratti, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxx, III, Milano, 2006, p. 637 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, in Roppo (a cura di), Trattato del contratto, II, Il Regolamento, (a cura di) X. Xxxxxxx, Milano, 2006, p. 97 ss.
5 M.W. HESSELINK, La dimensione politica di un codice civile europeo, in Riv. crit. dir. priv., 2006, pp. 379 ss. e X. XXXXX (a cura di), Giustizia sociale e mercato nel diritto europeo dei contratti, Torino, 2007.
6 X. XXXXXX, La Giustizia contrattuale. Itinerari della giurisprudenza italiana tra otto e novecento, Milano, 2009, XI ss. Le risposte, diverse, che giudici e giuristi forniscono a quei problemi ,in quel contesto storico, affrontano tutte, con diversi risultati e diversa sensibilità, il tema della eguaglianza e dell’equità nei contratti che può tradursi appunto nella formula della giustizia contrattuale che attesta l’esistenza di un problema. L’utilizzo, discusso e discorde, di tutele e istituti (vizi del consenso, rescissione, buona fede, causa, ordine pubblico e buon costume) in funzione di limite alla forza obbligatoria del contratto e alla intangibilità dell’accordo.
7 L’art. 22 di tale progetto precisava: “se le obbligazioni di uno dei contraenti sono del tutto sproporzionate ai vantaggi che egli trae dal contratto e alla prestazione dell’altro contraente, di maniera che, secondo le circostanze, debba presumersi che il suo consenso non sia stato sufficientemente libero, il giudice può, su domanda della parte lesa, annullare il contratto o ridurre l’obbligazione”. U. BRECCIA (Continuità e discontinuità negli studi di diritto privato. Testimonianze e divagazioni negli anni anteriori e successivi al secondo conflitto mondiale, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, I, (28), 1999, pp. 328-334 e 462-464) ricorda lucidamente il dibattito su questa norma. Alle opinioni favorevoli di D’Xxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxx replicò che in tal modo si sarebbe solo codificato un quarto vizio della volontà in linea con “il famigerato dogma della volontà tipica manifestazione della concezione individualistica propria del diritto naturale ed ereditata dal liberalismo”. “E aggiungeva che la vittima del contratto xxxxxxxx dev’essere difesa anche all’infuori di ogni pressione, poiché … dovrebbe essere decisiva… unicamente la illiceità della causa… secondo il modello tedesco della nullità per contrarietà al buon costume”. Tale vicenda è stata ricordata, mirabilmente, da U. BRECCIA, Causa e consideration, cit, p. 31.
all’usura e allo squilibrio per l’illiceità della causa chiamata ad assolvere, appunto, funzioni molto diverse: fondare la giuridicità dell’atto e la giustizia del suo contenuto8.
A ciò contribuì non poco l’ideologia del tempo. Come si è osservato, in modo acuto “tendenze giacobine, hegeliane, fasciste e marxiste suggerirono di contrapporre l’interesse sociale e collettivo all’interesse individuale: l’invalidità fu graduata sui difetti della fattispecie, sicché la violazione dell’interesse collettivo fu considerato un disordine inaudito, mentre la violazione dell’interesse individuale un vizio più lieve”9.
Nella seconda metà del novecento in Francia10 e in Germania11, la giustizia del contratto tornò all’attenzione della dottrina più autorevole e si prese progressivamente atto che la nullità è un rimedio (spesso di protezione) che oltrepassa la fattispecie e si frantuma in una pluralità di statuti che tagliano trasversalmente i modelli nazionali e i testi dei Principi. Sicché essa si “storicizza, si relativizza, si frantuma”12.
Che cosa accade nei tentativi di uniformazione in Europa è noto.
L’abbandono della causa e il riconoscimento del nudo patto è accompagnato da un ruolo forte della buona fede cui è affidato anche il compito di controllo della disparità di potere e dell’equilibrio contrattuale. Scompare il concetto di causa ma non l’esigenza del controllo che ispirava in modo ambiguo quello strumento e l’ideologia sottostante è evidente13.
L’ordine giuridico del mercato ispira il nuovo diritto dei contratti tramite un sistema spontaneo “fatto di scelte contrattuali consapevoli e orientate, sentenze correttive fondate sulla buona fede, sfiducia in controlli demolitivi dell’assetto di interessi voluto dalle parti”14. Basta pensare che la Proposta di regolamento sul diritto comune della vendita in Europa non regola l’azione di nullità.
L’impressione diffusa è che tale visione debba essere ripensata per almeno due ordini di ragioni.
Le Istituzioni si sono mostrate impotenti nei confronti di un capitalismo finanziario globale che ha concentrato in poche reti invisibili le decisioni e il potere che incide sulle
8 U. BRECCIA, Continuità e discontinuità negli studi di diritto privato, cit., p. 328, 462; ID., Xxxxx e consideration, p. 50 ss., 55-56.
9 X. XXXXX, Il contratto, II, a cura di X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, in Trattato di diritto civile a cura di X. Xxxxx, Torino, 2004, p. 523; X. XXXXXXX, Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto privato europeo, Milano, 2011, p. 155 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxxxxxx e rimedi, Padova, 2009, p. 571ss.
10 X. XXXXXXX, L’utile e le juste dans le contracts, in Archiv. Phil.d., 1981, p. 35 ss.
11 X. XXXXXX, Il compito del diritto privato, (1977) trad. it. di X. Xxxxxxxxx, a cura di C.M. Xxxxxxx, Milano 1990, p. 98
mi permetto di richiamare, X. XXXXXXX, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 21 ss.; Id., Diritto dei contratti e costituzione europea. Regole e principi ordinanti, Milano, 2005, p. 83ss.; ID., Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2006. p. 53ss, ma v. in particolare X. XXXXXXX, La giustizia contrattuale in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2003, p. 659 ss.; Il Manifesto intitolato “Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto”, pubblicato in X. Xxxxxxx (cura di), Contrato e costituzione in Europa, Padova, Cedam 2005, e in Riv. crit. dir. priv., 2005, p. 99 ss. e da ultimo X. XXXXXXX, Giustizia contrattuale e rimedi: fondamento e limiti di un controverso principio, in X. Xxxxxxx, Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Milano, Xxxxxxx, 2011,
p.337 ed ivi un’ampia bibliografia. L’opera più ampia e completa sul diritto europeo si deve a X. XXXXXXXXXX e
X. XXXXXXXXX (a cura di), Manuale di diritto privato europeo, 2 ed., Milano, 2013.
00 X. XXXXXXX, Xx contratto in trasformazione, cit., p. 421 ss.
13 U. BRECCIA, Morte e resurrezione della causa: la tutela, in X. Xxxxxxxxx (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, p. 250 ss.; Id., Xxxxx e consideration, cit., p. 36 ss.; X. XXXXXXXXXX, Causa e giustizia contrattuale a confronto: prospettive di riforma, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 411 ss.
14 X. XXXXXXXXX, Il vincolo del diritto positivo per il giurista, in Studi in onore di X. Xxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 1991; Id., Le fonti private del diritto commerciale. Appunti per una discussione, in Riv. dir. comm., 2008, I, p. 599 ss.; ID., Clausole generali,norme generali e principi fondamentali nel diritto commerciale. Riflessioni introduttive , in Orizzonti del diritto commerciale, 2011.
elementari regole di convivenza15. L’ordinamento europeo è oramai un assetto dotato di principi costituzionali che sollecitano strumenti preventivi di controllo sugli atti di autonomia privata. La Corte di Giustizia indica una xxxxxx xxxxxx xxxxx x xxxxxxxx xxx xxxx xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx rispetto da parte degli intermediari finanziari dell’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione proposta. Si rinvia all’ordinamento interno la “disciplina delle conseguenze delle violazioni di tali obblighi, fermo restando il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività previsti dall’art.47 della carta di Nizza”16.
Le linee di sviluppo sono sostanzialmente due.
Sul piano interno l’uso giurisprudenziale della causa in concreto porta ad ammettere “un controllo dell’equità del contratto da parte del giudice, come variante nazionale domestica di una regola generale di controllo equitativo della giustizia degli scambi che si sta affermando in campo internazionale”17 con tale strumento le norme di organizzazione (di validità) hanno trovato la clausola generale che (sostituisce l’art.1374 e) incide sull’atto18.
Sul piano comunitario il diritto ad un rimedio effettivo serve da cornice per ripensare una tutela eliminativa degli effetti che consente, con l’aiuto delle Corti, di foggiare interventi integrativi, correttivi, e/o sostitutivi coerenti, con la storicità dell’assetto di interessi, secondo un’attenzione estranea alle invalidità codicistiche e nazionali, ma tipiche, invece, delle strategie rimediali19.
1.3 Norme di comportamento.
Sulle norme di comportamento e sul loro rapporto con le norme di validità la dottrina si divide. Fra chi reputa che tali regole esprimano valori diversi e contrapposti e chi crede che la distinzione si fondi su criteri mobili capaci di sanzionare in modo più forte certi contegni o di far convivere le due tutele.
E’ noto che la giurisprudenza di legittimità negli ultimi dieci anni afferma che la responsabilità (precontrattuale o aquiliana) non si arresta alle soglie del contratto, ma ne completa la tutela, correggendo con il risarcimento le condizioni sfavorevoli determinate da un contegno scorretto o illecito.
Il rimedio utilizza in pieno le clausole generali (di buona fede e sul danno ingiusto), potenzia l’azione risarcitoria (ai sensi degli art. 1337 e 2043), corregge il contenuto di un contratto valido in presenza di un comportamento riprovato, ed è alla ricerca di un’azione che
15 Mi permetto di richiamare X. XXXXXXX, Il contratto senza numeri e aggettivi, cit.
16 V. sull’ambiguità della Direttiva MIFID in ordine ai rimedi X. XXXXXXXXX, The Bankinter case on Mifid Regulation and contract law, ERCL, 2013, 9(3) p. 267-280.
17 X. XXXXXXXXX, Clausole generali,norme generali e principi fondamentali nel diritto commerciale. Riflessioni introduttive, in Orizzonti del diritto commerciale, 2011; con posizione diverse X. XXXXX, Causa concreta:una storia di successo? Dialogo (non reticente né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, x.000 xx.; X. XXXXXXX, Il ruolo della razionalità cognitiva nelle invalidità negoziali, in Riv. dir. civ., 2013, 5, p. 1105; X. XXXXXXX, Il contratto senza numeri e aggettivi. Oltre il consumatore e l’impresa debole, in Con. impr., 2012, p. 1190 ss. e X. XX XXXX, Giustizia e “materializzazione” nel diritto delle obbligazioni e dei contratti tra (regole) di fattispecie e (regole) di procedura, in Eur. dir. priv., 2013, 3, 797 ss.
18 così X. XXXXXXXXX, Clausole generali, norme generali e principi fondamentali nel diritto commerciale. Riflessioni introduttive, op. cit.
00 x. xx xxxxxx xx profonde e limpide analisi di X. XXXXXXXXXXX, La tutela del consumatore nell’interpretazione delle Xxxxx, Xxxxxx, 0000; ID., Profili sull’integrazione del contratto abusivo parzialmente nullo, in G. D’Amico-X. Xxxxxxxxxxx, Nullità per abuso ed integrazione del contratto. Xxxxx, Torino, 2013, p. 67ss. ed ivi la rigorosissima analisi di X. X’XXXXX, L’integrazione (cogente) del contratto mediante il diritto dispositivo, p. 213 ss.
concorre con le tutele contrattuali, frutto di diverse ricostruzioni della dottrina a seconda che si individui un “vizio incompleto del contratto”, un autonomo danno da scorrettezza, o l’indebolimento di una posizione contrattuale.
Il dialogo nella giurisprudenza teorica e pratica, è noto. Ne ricordo alcuni passaggi.
Si osserva che la legge riconosce la rilevanza della “debolezza” di una parte entro precisi limiti. Sicché l’utilizzo, in tal caso, degli articoli 1337 e 2043 sarebbe incompatibile con la tipicità e la ratio dei rimedi conosciuti e consentirebbe di aggirare i limiti e il fondamento degli istituti contrattuali. Ma la replica può essere altrettanto immediata.
Il rapporto fra illecito e contratto è da sempre al centro della riflessione della schiena giuridica privatistica in Europa. Se in Francia e in Germania si sono avute idee diverse sull’ammissibilità di un concorso fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Italia la riflessione sul danno ingiusto inizia dagli anni sessanta. La sentenza annotata da Xxxxxxx Xxxxx in quel anno, ammette il concorso in caso di informazioni inesatte provenienti da un terzo. Negli anni ottanta la dottrina e la giurisprudenza utilizzano, entro certi limiti, l’azione aquiliana a protezione del contratto. Quanto all’autonomia fra regole di responsabilità e di validità l’ultima sentenza sul tema è chiara e condivisibile: non esistono ostacoli di sistema ad un’azione di risarcimento in presenza di un contratto viziato o anche del tutto valido, per una serie di motivi20.
La sola impugnativa dell’atto può portare ad un risultato impossibile (la restituzione di ciò che non esiste più) o contrario all’interesse della parte. L’autonomia della tutela risarcitoria è oramai espressione di un principio espresso da una pluralità di fonti interne e comunitarie, a partire dall’art. 30 del Codice del processo amministrativo. La responsabilità (aquiliana e contrattuale) attiene alla dimensione funzionale del rapporto e alla valutazione dei contegni formativi ed esecutivi che hanno piena autonomia rispetto alla struttura dell’atto. In questa fase esistono doveri di comportamento la cui violazione legittima una correzione secondo buona fede della vicenda negoziale tramite un risarcimento e un rimedio di questo tipo non è in contrasto con le esigenze di stabilità e certezza dei rapporti giuridici perché la slealtà e l’illecito non possono non avere conseguenze sul piano risarcitorio di natura riparatoria e compensativa21.
Uno sguardo ai Principi e alla giurisprudenza comunitaria conferma il quadro che sopra si è ricostruito per la disciplina interna. Basta un rapido cenno.
L’art. 8.102 dei PECL (Principi di diritto europeo dei contratti) e l’art. 3.102 (cumulation of remedies) del Charter 3 del DCFR affermano la possibilità di un cumulo dei rimedi con il solo limite della compatibilità. Gli art. 7:216 e 7:304 del Charter 7 del DCFR prevedono la possibilità di altri rimedi in presenza di un’invalidità. La Convenzione sulla vendita internazionale di merci agli art. 45 (obblighi del venditore) e 61 (obblighi dell’acquirente) prevedono la possibilità di cumulo fra adempimento, risoluzione e risarcimento. La Proposta di Regolamento relativo ad un diritto comune europeo della vendita, all’art. 29 (Rimedi in caso di violazione di un obbligo di informazione) prevede che il risarcimento non pregiudica
20 X. XXXXXXX, Validità, responsabilità e cumulo dei rimedi, in Danno resp., 2, 2014, p. 150 ss. ed ivi la diversa ricostruzione di X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX e X. XXXXXX, 191,o giù di lì, p. 164 ss.; X. XXXXX, La “retta xxx xxx xx xxxxxxxxxxxx xxx xxxxx?, x. 000 xx; X. XXXXXXX, Il caso Cir-Fininvest e il nesso causale in Cassazione, p. 174 ss.; X. XXXXXX, Xxxx Xxxxxxxxx e risarcimento del danno: di contaminazione e (possibili) duplicazioni, p. 186; P.G. MONATERI, Revocazione ex art.396 c.p.c. e azione risarcitoria: a government of the judges, by the judges and for the judges, p. 189.
21 X. XXXXXXX, op. cit., p. 155 e già ID., La buona fede come rimedio risarcitorio, in Obb. cont., 2008, ora in Diritto privato e ordinamento comunitario, Milano, 2009, p. 271 ss.
l’applicazione dei rimedi previsti nell’art.42 (recesso), 48 (dolo), e negli altri casi di annullamento o inefficacia del contratto22.
La sentenza Courage23 della Corte di Giustizia afferma la compatibilità fra un’azione di danni del consumatore pur in presenza di una nullità del contratto cui lui stesso ha dato causa. Alla Corte era stato richiesto se osta con il diritto comunitario “il risarcimento di un preteso danno subito a causa dell’assoggettamento della parte ad una clausola contrattuale in contrasto con l’art. 85 e ,di conseguenza, se il diritto comunitario osti ad una norma di diritto nazionale che nega ad un soggetto il diritto di fondarsi sui propri atti illeciti per ottenere un risarcimento dei danni”. La risposta è netta. “Qualsiasi singolo è legittimato a far valere in giudizio la violazione dell’art. 85 n. 1 del Trattato, anche qualora sia parte di un contratto che può restringere o falsare il gioco della concorrenza ai sensi di tale disposizione”. “ La piena efficacia dell’art. 85 del Trattato e l’effetto utile del divieto sancito al n. 1 di detto articolo sarebbero messi in discussione se fosse impossibile per chiunque chiedere il risarcimento del danno causatogli da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza”.
Dall’art. 3 e 24 della Costituzione si evince, con un sillogismo chiaro, il principio di effettività della tutela a fronte di diritti e interessi meritevoli. “ Il titolare del diritto deve (poter contare) su mezzi che gli consentano di reagire alla violazione”, e di reazione si può parlare solo là dove vi è proporzione tra tutela e offesa arrecata. Sicché non è in armonia con l’art. 24 una tutela che si esprime in un risarcimento non pari al danno cagionato o al sacrificio subito24.
L’art. 8 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, l’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea esprimono tutti un principio che si manifesta non solo come “ un diritto di accesso al giudizio o all’esercizio in esso di un determinato potere processuale”, ma come “diritto alla misura appropriata alla soddisfazione del bisogno di tutela”25.
La costruzione di un rimedio risarcitorio efficiente a partire da tale principio è scandita benissimo, nel dialogo fra dottrina, Corti Supreme e legge sulla vicenda della responsabilità della Pubblica Amministrazione. Dalla sentenza 500 del 1999, che amplia la nozione di danno ingiusto sino a comprendere la lesione di un interesse giuridicamente protetto, alla delicatissima questione del rapporto fra tutela demolitoria e risarcitoria in presenza di un provvedimento illegittimo dell’Amministrazione. Il conflitto sulla pregiudizialità o meno della eliminazione dell’atto impegna,ai massimi livelli la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato ed è poi affrontata dalla legge nel Codice del processo amministrativo26.
22 Così testualmente in X. XXXXXXX, Validità responsabilità e cumulo dei rimedi, cit. p. 158.
23 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 settembre 2001, C-453/99
24 Cass., sez.un., 23 dicembre 2008, n. 30254
25 Cass. 27 giugno 2013, n. 21255
26 x. X. XXXXXXX, Xxxxxxxx, responsabilità e cumulo dei rimedi, cit. ed ivi “Le sezioni unite della Cassazione hanno rafforzato, sul piano della tutela, la svolta sulla risarcibilità degli interessi legittimi affermando una regola che va ben oltre quella situazione soggettiva. «Se l’ordinamento protegge una situazione sostanziale, in presenza di condotte che ne implicano o non ne consentano la realizzazione, non può non essere negato al suo titolare almeno il risarcimento del danno, posto che ciò costituisce la misura minima e perciò necessaria di tutela di un interesse, indipendentemente dal fatto che la protezione assicurata dall’ordinamento in vista della sua soddisfazione, sia quella propria del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo». Ai sensi dunque degli artt. 24 e 113 Cost. «spetta al loro titolare l’azione e se a questa si aggiunge altra forma di tutela, spetta al titolare della situazione protetta, in linea di principio, scegliere a quale far ricorso in vista di ottenere ristoro al pregiudizio»26 arrecato da una condotta altrui”.
1.4 Problema e sistema.
Tutto ciò che si è descritto in forma estremamente sintetica si può comporre in un quadro omogeneo.
Xxxxxx xx Xxxx fa riferimento ad una nuova stagione delle tutele contrattuali ispirata dal diritto europeo attento a potenziare “strumenti flessibili commisurati ai bisogni più che agli elementi di una fattispecie”27. Così l’adempimento specifico, il ruolo della buona fede, la nuova estensione del danno contrattuale, completano la disciplina dell’atto di autonomia in una direzione diversa da quella dell’inadempimento e il contratto può raggiungere pienamente il suo scopo28.
Mi limito a integrare questa lucida riflessione con un’analisi di ciò che è mutato nel sistema delle fonti e nell’assetto istituzionale. Basta qualche cenno.
La forma democratica voluta dai costituenti è mutata sul piano formale ma è stata scossa anche da eventi epocali nel corso degli ultimi decenni. Le istituzioni non hanno saputo fronteggiare un capitalismo finanziario globale che ha imposto regole e strategie29. Le risposte alla crisi economica hanno determinato mutamenti forti nelle forme giuridiche. Con il Fiscal Compact gli Stati hanno stabilito di rafforzare il pilastro economico dell’Unione, potenziando il coordinamento delle loro politiche economiche e l’art. 81 della nostra Costituzione prevede ora una profonda novità. Lo Stato deve assicurare, con il pareggio di bilancio, l’equilibrio economico e può ricorrere all’indebitamento, non finanziato dalle tasse, solo in casi eccezionali e con procedure speciali. Tutto ciò può incidere sul contenuto di molti diritti fondamentali30.
L’autonomia fra azione di impugnazione e azione di danni risulta nel sistema e nel diritto civile dove si regola in più occasioni il «concorso tra le varie forme di protezione della situazione soggettiva». Nel diritto societario l’art. 2377 c.c. limita la impugnativa della delibera assembleare condizionandola al possesso di una soglia minima di partecipazione al capitale sociale, ma non impedisce il diritto al risarcimento dei danni. Nel diritto del lavoro la giurisprudenza non esclude l’azione di danni quando sia preclusa l’azione di impugnativa del licenziamento. L’art. 1440 del codice civile sancisce espressamente la coesistenza di un contratto valido e di un’azione di risarcimento, in presenza di un contegno illecito della controparte. Da ciò si trae la conclusione che «nei diversi settori dell’ordinamento, sia possibile chiedere il risarcimento senza aver prima ottenuto l’invalidazione dell’atto». Per un motivo chiaro: «l’atto annullabile produce provvisoriamente i propri effetti; l’atto nullo, anche se non produce effetti, lascia dietro di sé, in ogni caso, la traccia di un comportamento»26 illecito che giustifica la reazione dell’ordinamento e legittima un’azione di danni
27 A. DI MAJO, Una New Age per le tutele contrattuali?, in X. Xxxxxxxxx (a cura di), Le tutele contrattuali e il diritto europeo. Scritti per Xxxxxx xx Xxxx, Napoli, 2012, p. 5
28 A. DI MAJO, op. cit., p. 5 ss.
29 Mi permetto di rinviare a X. XXXXXXX, Il contratto senza numeri e aggettivi. Oltre il consumatore e l’impresa debole, in Cont. impr., 2012, 4-5, p. 1190 ss.
30 X. XXXXXXX, Il tempo dei diritti, in Persona e Mercato, 2013, 3, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx ed ivi le “fasi avverse e le fasi favorevoli del ciclo economico”, l’equilibrio di bilancio e le limitazioni alla spesa pubblica, sono entrati come principi ordinatori nei Trattati europei e nella costituzione nazionale. Resta da precisare l’impatto di tali scelte sul contenuto dei diritti perché tutto ciò pesa come un macigno e acuisce alcune critiche insidiose. Dall’idea che i diritti siano un lusso superfluo in un tempo di crisi, ove prevalgono l’esigenze della sicurezza e dell’economia, alla convinzione, mai sopita, che i diritti sociali non siano veri diritti o comunque siano subordinati ai rapporti di forza nella distribuzione della ricchezza, sino alla negazione di ogni loro rilievo nella dimensione del diritto”. Da qui alcune osservazioni forti. L’eccezionalità della spesa pubblica non interamente finanziata dalla tassazione è attaccato sia ideologicamente sia per il suo impatto attuale. Ciò perchè è difficile, se non impossibile, ipotizzare schemi pubblici di protezione sociale in una situazione di pareggio di bilancio, specie in un momento in cui in Italia, e non solo, gli istituti del Welfare debbono essere disciplinati ex novo o ristrutturati con riforme costose non
D’altra parte anche nella tutela giurisdizionale di tali situazioni muta qualcosa. Nel nuovo dialogo fra le Corti la teoria dei controlimiti è superata o attenuata perché frutto, si dice, di una preoccupazione non più attuale. Dal momento che la tutela dei diritti deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme nazionali in potenziale conflitto. Sicché il bilanciamento con le norme CEDU e l’attuazione della carta di Nizza-Strasburgo, in tutti i giudizi delle Corti interne, non può essere volta “all’affermazione della primazia dell’ordinamento nazionale ma alla integrazione delle tutele”31.
Si capisce così come il principio di effettività divenga sempre più regola cardine del sistema costituzionale interno e comunitario32. Gli articoli 24 e 100 della Costituzione, l’art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’art.13 della CEDU e l’art. 47 della Carta di Nizza fanno riferimento al diritto, questi sì intangibile ad una tutela effettiva commisurata alla specifica situazione sostanziale protetta e attuata da strumenti idonei a garantire la piena soddisfazione dell’interesse. Ed è questo il perno attorno cui ruota la dinamica delle tutele dei privati33.
Il senso della contemporaneità che ha radici nella saggezza millenaria del diritto canonico34 sta qui.
Nella rilevanza attribuita, dopo l’astrazione della modernità, ad ogni manifestazione concreta della soggettività e personalità di cittadini e migranti, di anziani minori e disabili, di
sostenibili, spesso, con un aumento della tassazione che ha raggiunto livelli assai elevati. A questo si aggiunge l’impatto di tale scelte in una situazione di medio periodo caratterizzata ancora da scarsa crescita o recessione.
00 X. Xxxxx XXX 00 maggio 2011, Maggio ed altri c. Italia, in Foro it., Rep. 2011, voce Diritti politici e civili, n.177; Corte. cost. 28 novembre 2012, n. 264, in Foro it., 2013, I , con note di X. XXXXXXX e di X. XXXXXXX, ed ivi, 788 con nota di X. XXXXXXXX, Se un diritto umano diventa diritto fondamentale: la CEDU come parametro interposto di costituzionalità, e di X. XX XXXX, Quanto incide l’allargamento dei controlimiti sulla efficacia delle norme CEDU; Xxxxx xxxxx., Xxxxxx Xxx., 00 febbraio 2013, C-399/11 Melloni-Ministero Fiscal su cui v. il commento di X. XXXXXXX, La Corte di Giustizia, il primato incondizionato del diritto dell’Unione e il suo mancato bilanciamento col valore della salvaguardia dei principi di struttura degli ordinamenti nazionali nel loro fare “sistema”, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx; X. XXXXX, Mandato di arresto europeo ed esecuzione di una pena irrigata in absentia, in Corr. Xxxx., 4/2013,8; ID., Da giudice (nazionale) a Giudice (eurocomunitario). A cuore aperto dopo il caso Xxxxxxx, in xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx.
32 X. XXXX, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2012, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx , osserva che (p.17) che la tesi dottrinale dei controlimiti “pare potersi ritenere ormai superata ( o almeno attenuata) soprattutto in quanto fondata su preoccupazioni non più attuali nell’odierni assetto interordinamentale” ed ivi il richiamo a X. XXXXXXX, Dall’unità nazionale all’integrazione sopranazionale, in Dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana. Atti del seminario svoltosi a Roma, Xxxxxxx xxxxx Xxxxxxxx, 00 xxxxxxxx 0000, Xxxxxx, Xxxxxxx, p.9ss.
33 X. XXXXXXX, Validità,responsabilità e cumulo dei rimedi. A proposito del caso Cir-Fininvest, in Persona e mercato, 2013,4, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx
34 P. GROSSI, Diritto canonico e cultura giuridica, in Quaderni fiorentini, 3, 2003, p. 380-381: “la dialettica particolare/universale è fortissima nel diritto canonico e fortissima la valorizzazione del particolare:il peccato non può non essere il singolo peccato del singolo soggetto, e il diritto non può non consistere ne rimedio efficiente volto ad evitare, attenuare, sanzionare quello specifico peccato. Nel diritto della Chiesa, proprio per il suo carattere strumentale, non è il primato della norma generale che viene affermato, ma esattamente il contrario, la considerazione del particolare significa considerazione del re/peccatore che cerca la propria salvezza e in questa va aiutato.” Xxxxx Xxxxxx cita la Somma Teologica di Xxxxxxx x’Xxxxxx e la Questio VII De circumstantiis humanorum actuum la quale “ verte sulle circostanze degli atti umani, età, stato, ignoranza, povertà, luogo, tempo, gravità del danno, conseguenze dell’atto. In altre parole, non basta che cosa si è compiuto e con quale volontà;è rilevante indagare chi sia l’agente, come l’abbia compiuto, dove ,quando, in quali circostanze. E’ quel contesto che il teologo/canonista deve approfondire, se si vuol conseguire pienamente l’ideale del giusto; che in un ordinamento sacro, non è al di là del diritto, ma nazi vi si mescola e con esso si fonde.”v. anche ID., Storia della canonistica moderna e storia della codificazione canonica, ivi,14 1985; Aequitas canonica, ivi, 27 1998; Valori e limiti della codificazione del diritto (con qualche annotazione sulla scelta codicistica del legislatore canonico), in L’eredità giuridica di xxx Xxx X, a cura di X. Xxxxxxxx, Venezia, 2006. Gli scritti sono ora raccolti in P. XXXXXX, Scritti canonistici, a cura di X. Xxxxxxxxx, Milano, 2013).
consumatori ed operatori, di imprese grandi piccole e microscopiche. Tutte dotate di un grado giuridico e non di fatto che l’interprete deve individuare e ricostruire in termini di conseguenze e di risposte.
Questo nuovo ordine positivo e non certo spontaneo deve essere ancora in gran parte costruito ma il metodo è chiaro. Ermeneutica e diritto, legge e giudici sono gli archi portanti di una volta che sarà solida solo se è saldo l’equilibrio delle sue componenti.
La definizione di tutele efficienti è uno strumento primario di questo equilibrio e di questo nuovo ordinamento integrato che tutti siamo chiamati a edificare.
2. Il diritto ad un rimedio effettivo
2.1 L’individuazione di un diritto costituzionale ad un rimedio effettivo.
L’esistenza, i contenuti e l’evoluzione del principio sono stati esaminati con estremo rigore e chiarezza35,negli ultimi anni dalla dottrina sul processo mentre il tema non ha avuto altrettanta attenzione negli studi diritto sostanziale. La prassi giudiziaria, come spesso accade, ha richiamato l’attenzione e indotto a prendere posizione su questa questione essenziale.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione utilizza il principio di effettività, qualificato esattamente come regola-cardine dell’ordinamento costituzionale, volta ad assicurare il diritto «ad un rimedio adeguato al soddisfacimento del bisogno di tutela di quella... unica e talvolta irripetibile situazione sostanziale di interesse giuridicamente tutelato»36.
Il che significa riconoscere la «facoltà di beneficiare di strumenti idonei a garantire la piena soddisfazione dell’interesse azionato», in forza di “un itinerario di pensiero” indicato da precise norme. L’art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’art. 13 della Convenzione europea sui diritti umani e l’art. 47 della Carta europea dei diritti fondamentali. Le quali indicano non solo un diritto di «accesso al giudizio», ma «un diritto alla misura appropriata alla soddisfazione del bisogno di tutela»37.
Durante il corso si tenterà di spiegare quale potenzialità esprimano queste norme nel ripensare contenuto e limiti degli istituti e delle tutele sostanziali.
E’ noto che la Corte costituzionale non ha mai dato un interpretazione univoca dell’art.24 della Costituzione e non è mai stato facile individuare “la portata concreta della copertura costituzionale, stabilendo se essa riguardi solo il diritto al “giusto processo”.. o “anche quello all’effettiva tutela”38 sostanziale. I punti di partenza sono due. La nozione di
35 V. in particolare X.Xxxxxxx, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il proceso civile, in Riv.trim.dir.proc.civ.,2002,p. 1172 ss.; Id., Dal “Giusto Processo” all’effettività dei rimedi: l’”azione” nell’elaborazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, ivi, 2007,p.35ss. ora in Id, La formazione del processo civile europeo…. ,Torino, 2011.
36 Cass. 27 giugno 2013, n. 21255.
37 L’ampliamento della regola di buona fede è coerente con la responsabilità da contatto sociale riconosciuta prima come un’ipotesi affine a quella contrattuale e comunque distinta da quella extracontrattuale (Cass. 21 novembre 2011, n. 24438) e poi ricostruita in guisa di contatto sociale qualificato dallo stesso legislatore, con la previsione specifica di un obbligo di buona fede, caratterizzato da tutti gli elementi dell’art. 1173 c.c. (Cass. 20 dicembre 2011, n. 27648).
38 X.Xxxxx, Tutela specifica e tutela per equivalente,Milano, 2004,p. 56
interesse giuridicamente protetto, nucleo primario della nozione di diritto soggettivo39. Il significato della effettività delle tutele40.
Iniziamo dalla prima.
La protezione di un interesse non può che aprire “tutte le vie della tutela giuridica, secondo il criterio universale dell’adeguamento degli effetti alla sostanza degli interessi espressi dal fatto giuridico”41. Su questo ha insistito la Cassazione nell’aprire la via alla risarcibilità degli interessi legittimi ma non solo. A questa conclusione conduce una corretta qualificazione della rilevanza giuridica e dei rimedi.
Sul primo aspetto. “Ciò che assume rilevanza per il diritto non è la situazione storica, che ha un rilievo diverso in base ai giudizi ed alle scelte che su di essa possono operarsi, ma è il fatto che risponde al criterio di individuazione definito e pensato secondo l’ordine delle valutazioni proprie del formalismo giuridico. Questa qualifica non è il fatto materiale né la conseguenza che da esso promana, è l’essenza giuridica del fatto, ossia la sua rilevanza per il diritto che va tenuta distinta dall’efficacia anche se diverse sono le ricostruzioni concettuali proposte”.42 Sicchè questa essenza giuridica orienta e delimita la tutela sostanziale della situazione soggettiva.
La nozione di effettività conferma questa conclusione.
Con essa si attribuisce “alla tutela sostanziale un’elasticità … propria dei remedies di common law”43 in base ad una lettura attenta dell’art.24 della Costituzione e delle fonti europee di pari rango.
Basta ricordare che l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali riproduce un principio generale del diritto comunitario, vigente da oltre un ventennio 44. Le norme e il principio che la Carta riafferma esigono che si dia attuazione, in Europa, alla pretesa di un rimedio effettivo, inteso come pretesa di adeguati strumenti di tutela e idonee configurazioni processuali capaci di garantire la piena soddisfazione dell’interesse tutelato.
Questa ultima indicazione va precisata, per fugare l’incertezza che il termine rimedi assume troppo spesso45. Per fare un minimo di chiarezza occorre ricordare che la riflessione sul tema presuppone l’esistenza di un interesse protetto46, sicché l’approccio rimediale non incide sull’an della protezione, ma solo sulle modalità di applicazione della tutela più efficiente. Ciò significa che il rimedio non si sostituisce al diritto o all’obbligo sostanziale ma intende fornire uno strumento di tutela adeguata, in presenza di violazioni di interessi e diritti, specie in presenza di forme complesse e fondamentali e di nuovi beni da tutelare.
39 X.Xxxxxx, Gli interessi legittimi e le situazioni giuridiche soggettive, in Riv.dir.civ.,2000,p.683 xx.xx anche la notisima sentenza della Corte di Cassazione n.500 del 1999.
40 L.P. Comoglio, Giurisdizione e proceso nel quadro delle garanzie costituzionali, in Riv.trim.dir.e proc.civ.,1994,p.1076 ss. Citato da X.Xxxxx, Tutela specifica e tutela per equivalente,cit. p. 57.
41 X.Xxxxx, op. cit. p. 59.
42 V. sul punto per una sintesi X. Xxxxxxx, Contratto e rimedi, Padova, 2009, p. 378.
43 L.P. Comoglio, Giurisdizione e processo nel quadro delle garanzie costituzionali, cit. p. 1076.
44 Si veda sul punto il bel saggio di X. XXXXXXX, L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’evoluzione dell’ordinamento comunitario in materia di tutela giurisdizionale dei diritti, in Carta Europea e diritti dei privati, a cura di X. XXXXXXX, Padova, 2002, p. 381 ss. Ma soprattutto X.Xxxxx, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit.
p. 54 ss.
45 V. U. XXXXXX, I Rimedi, in Il diritto soggettivo, nel Trattato di diritto civile, a cura di X. Xxxxx, Torino, 2001, p. 105 ss.; A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv., 2005, 2, p. 341 ss.; ID., Adempimento e risarcimento nella prospettiva dei rimedi, ivi, 2007, p. 2 ss.; X. XXXXXXXXXX, Sapere complesso e tecniche rimediali, ivi, 2005, p. 605 ss.; P.G. MONATERI, Ripensare il diritto civile, Torino, 2006.
46 X. XXXXXX, I Rimedi, in Il diritto soggettivo, cit., p. 108.
Il metodo è anch’esso tracciato. Tale prospettiva di analisi si connota per un rifiuto del formalismo, per un’attenzione alla comparazione, e per la ricerca delle regole operazionali che si celano spesso dietro la retorica dei diritti. Si comprende, così, come tale tecnica si sia diffusa e sia utilizzata in fonti legislative come la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci, i Principi Lando e Unidroit.
Si capisce anche quali vantaggi essa comporti per l’interprete e il giudice.
L’attenzione ai rimedi47 tende ad accorciare, “per così, dire le distanze del mezzo di tutela rispetto all’interesse e o al bene che si intende tutelare”48. Ciò accade con un uso corretto delle clausole generali, ma non solo. Accade anche percependo in pieno l’evoluzione delle forme e degli istituti in tema di eliminazione degli effetti dell’invalidità e del riequilibrio negoziale.
2.2. Il dialogo fra le Corti e il diritto ad un rimedio efficiente.
Quarantasette paesi e 820 milioni di abitanti si riconoscono nella CEDU, ma il Consiglio d’Europa e la Corte di Strasburgo imputano all’Italia disfunzioni gravissime. Quattro Stati occupano il 55% del contenzioso e l’Italia (seconda in questo elenco) non ha fatto nulla per porre rimedio a questo stato. Il nostro paese ha un debito enorme accumulato per i rimborsi per eccessiva durata dei processi.
La classifica redatta dalla Banca Mondiale sull’efficienza del sistema giudiziario in materia contrattuale colloca l’Italia al 103° posto su 189. Con un miglioramento rispetto al passato ( era al 169°) ma con una posizione di grande distanza dai paesi europei. Basta pensare che Francia ,Germania e Austria sono fra i primi sette paesi, Spagna e Gran Bretagna intorno al 60°posto. Che cosa tutto ciò significhi in termini di competitività e di crescita è facile intuirlo.
Insomma problemi sostanziali e processuali premono per un profondo ripensamento culturale e non solo normativo del nostro sistema. E’ necessario un cambio di mentalità con una visione sistemica, un centro e un metodo. Basta qualche cenno ad alcuni problemi e al rilievo alle fonti europee.
Nella giurisprudenza più recente si sta delineando un quadro sistematico generale grazie al dialogo fra le Corti, con alcuni caratteri.
La ricerca di un’unità nella diversità sostenibile. La tendenza della Corte di Giustizia e della Corte EDU ad esprimere principi generali fra i quali il diritto ad un rimedio efficiente acquista sempre più centralità49.
E’ evidente la tensione verso un sistema da costruire nel dialogo fra norme e giudici. Con una centralità del caso su cui è possibile trarre elementi di risposta e di indirizzo generale. Il che evoca l’importanza dell’interpretazione e delle tecniche applicative. Vediamo come.
a) La disapplicazione della norma interna incompatibile, pur riconosciuta anche da sentenze recenti, è delimitata con rigore50. Una direttiva anche se chiara precisa e incondizionata e volta a conferire diritti e obblighi, non può essere applicata in una controversia fra privati di per sé. D’altra parte una norma che contenga un diritto o un
47 A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, 4ª ed., Milano, 2003, p. 13 ss.; ID., Il linguaggio dei rimedi, op. cit., p. 342 ss. 48 A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, cit., p. 355.
49 X.Xxxxxxx, Il tempo dei diritti, in Persona e mercato, 3/2013.
50 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 gennaio 2014 C-176/12, Association de médiation sociale
principio ( che per produrre i suoi effetti deve essere precisato mediante disposizioni interne e comunitarie) non può essere invocata ai fini della disapplicazione51.
b) Il rinvio pregiudiziale appare sempre un controllo diffuso nelle mani del giudice. Non è necessario se la soluzione è auto-evidente o se il problema è già stato risolto dalla Corte di Giustizia. Lo si deve esercitare negli altri casi e ciò comporta una conoscenza piena del diritto comunitario da parte elle Corti di merito e di legittimità52.
c) L’interpretazione conforme assume sempre più spessore e precisione. La norma interna deve essere applicata alla luce del testo e della finalità della Direttiva ( o del principio) per giungere ad una soluzione (interpretativa) conforme all’obbiettivo perseguito da queste fonti. Da qui la ricostruzione di una regola tramite l’interpretazione53.
d) Il controllo della Corte EDU sui diritti sociali e sui limiti di bilancio assumono un significato di grande rilievo orientativo e sul punto occorre soffermarsi.
Si è ritenuto legittima la riserva nazionale sulle proprie politiche sociali solo se priva di ogni profilo di discriminazione e in presenza di una espressa motivazione sulla proporzionalità fra la scelta nazionale e i mezzi impiegati dal legislatore nell’attuarla54. Si è ribadito che i rimedi non devono essere “meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi di natura interna né essere congegnati in modo tale da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione”.55 Da ultimo si è censurato il potere del Curatore fallimentare di sciogliere un contratto preliminare ai sensi dell’art. 72 bis della Legge Fallimentare perché le Corti italiane erano legittimate “unicamente ad esaminare la legalità formale della misura contestata, senza potersi occupare delle sue necessità e proporzionalità alla luce dei principi enunciati nell’art.1 del Protocollo 1 della Convenzione. Sicchè si reputa contrario all’art. 13 CEDU tale istituto “perché il sistema giuridico italiano non ha offerto alla ricorrente garanzie sufficienti contro l’arbitrio e l’interessata non ha avuto a sua disposizione un ricorso effettivo per far valere la sua doglianza a livello nazionale56”
Ce ne è abbastanza per osservare che il principio della effettività delle tutele è uno strumento di ordine e di riduzione della complessità del diritto dei privati che richiede oggi, come alle origini, un’opera sapiente della legge e dei giudici capace di «integrare organicamente, in un unico quadro solido e applicabile»57 vecchi iura e nuove leges, sì da fissare orientamenti condivisi nelle risposte alle esigenze sempre più articolate della vita di relazione.
51 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 febbraio 2013, C- 617/10 e 15 gennaio 2014, cit.
52 CEDU 8 aprile 2014, Dhahbi-Italia.
53 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 gennaio 2014, cit.
54 CEDU, 8 aprile 2014, cit. 53: “per quanto riguarda i “motivi di bilancio” addotti dal Governo, la Corte ammette che la tutela degli interessi di bilancio dello Stato costituisce motivo legittimo della distinzione in questione. Tale scopo tuttavia, non può d per sé giustificare la disparità di trattamento denunciata”.
55 Corte di Giustizia, Grande sez., 19 luglio 2012, Littlewoods v. Her Xxxxxxx’x Commissioners, punti 27,28,31 e il richiamo alle sentenze 7 gennaio 2004, C-201/02, Wels, 19 settembre 2006C-392/04 e C-422/04.
56,CEDU, 4 febbraio 2014 n.25376/06-Ceni c. Italia punti 98,99,100,101 e il richiamo a CEDU 6 giugno 2013 n.38450/05 Xxxxxxxxxxxx e altri contro Russia e a CEDU, 20 giugno 2002, n.50963/99 Al-Xxxxxx c. Bulgaria. 57 X. Xxxxxxxxx, (Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino, 2005, 8) riferisce con tali parole l’opera di Xxxxxxxxxxx nel rigenerare un ordine giuridico. «Nulla di simile era stato fatto prima: E l’obbiettivo era alto: rimodellare il pensiero degli antichi maestri nella forma di un diritto codificato».
2.3. Rassegna delle Corti europee sul principio di effettività.
1) Il diritto a un rimedio effettivo.
A. L’articolo 13 della Convenzione per la salvaguarda dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (comunemente nota come Convenzione europea dei diritti dell’uomo, CEDU) prevede che “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.
B. Questo diritto impone allo Stato membro di riconoscere all’individuo uno strumento che assicuri il rispetto delle libertà e dei diritti previsti dalla CEDU. Esso rientra nel più generale obbligo di solidarietà per cui ciascun Paese contraente si impegna a riconoscere “a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione”.
C. La Cedu ha un proprio organo giudiziario che verifica il rispetto della Convenzione e a cui può rivolgersi ogni individuo (a determinate condizioni). Questo organo giudiziario si chiama Corte europea dei diritti dell’uomo e ha sede a Strasburgo.
D. Prima di presentare ricorso presso la Corte di Strasburgo, l’individuo, in virtù del diritto a un rimedio effettivo previsto dall’art. 13, Cedu, ha il diritto a che a livello domestico (nazionale) vi sia una istanza che gli permetta di ottenere giustizia rispetto ai diritti e alle libertà previste dalla Convenzioni.
E. Il rapporto tra l’istanza interna e la possibilità di ricorso alla Corte di Strasburgo è un rapporto di sussidiarietà. Solo dopo avere esaurito i ricorsi previsti (ex art. 13) a livello interno, l’individuo può presentare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
F. Dal punto di vista dello Stato membro, questo diritto a un rimedio effettivo costituisce un obbligo a prevedere degli strumenti di tutela per posizioni di diritto sostanziali che lo Stato si limita a riconoscere senza avere partecipato alla loro definizione.
G. Dal punto di vista dell’individuo, l’obbligo per lo Stato di predisporre un rimedio effettivo interno gli consente di ottenere giustizia della posizione sostanziale a lui riconosciuta dalla Convenzione senza dover necessariamente rivolgersi al giudice europeo(Corte di Strasburgo).
Giurisprudenza
• (solidarietà) Nel caso Xxxxx v. Poland (26 ottobre 2000) la Corte europea ha riconosciuto che la responsabilità primaria di attuare e far rispettare i diritti e le libertà garantiti dalla Convenzione è affidata alle autorità nazionali in virtù dell'articolo 1, ("Le Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione").
• (sussidiarietà) Nel caso Xxxxxxxxx v. the United Kingdom, 07 dicembre 1976, §48, il giudice di Stasburgo ha sottolineato che il meccanismo di protezione stabilito dalla Convenzione affida ai sistemi nazionali la tutela dei diritti umani. La convenzione lascia a
ciascuno Stato contraente, in primo battuta, il compito di garantire i diritti e le libertà che sancisce. Le istituzioni create dalla Convenzione possono dare il proprio contributo alla tutela dei diritti, ma vengono coinvolte solo una volta che tutti i ricorsi interni siano stati esauriti.
Nel caso Xxxxxxxx v. France 28 luglio 1999, §74, la Corte ha ribadito il rapporto tra il requisito del previo esaurimento dei ricorsi interni e il diritto a un rimedio effettivo e ha affermato che il ricorso deve essere prima presentato all’organo nazionale del caso nel rispetto dei requisiti formali e dei termini previsti nel diritto interno.
• (funzione del rimedio) Nel caso Xxxxx v. Poland la Corte europea ha chiarito che l'articolo 13 della Convenzione garantisce la disponibilità a livello nazionale di un rimedio che assicuri la tutela dei diritti e delle libertà della Convenzione.
2. I tratti dell’obbligo per lo Stato di prevede un rimedio effettivo.
A. La Convenzione impone allo Stato contraente il dovere di prevedere un obbligo, ma, in virtù della c.d. teoria del margine di apprezzamento, lascia a quest’ultimo la facoltà di determinare quale forma di protezione riconoscere per la violazione del diritto o della libertà che la Convenzione riconosce al singolo individuo.
B. La ragione di questa scelta risiede nella consapevolezza della diversità delle varie tradizioni giuridiche a cui appartengono i Paesi membri e della migliore capacità per il legislatore interno di definire un rimedio concretamente idoneo a tutelare il diritto e la libertà convenzionale.
C. Il testo della Convenzione prevede che ogni individuo abbia il diritto presentare un ricorso davanti all’istanza nazionale con cui ottenere un rimedio effettivo quando sia stata violato un diritto previsto dalla Convezione.
D. Col tempo si è chiarito che non è necessario che vi sia una violazione accertata per poter avere il diritto al ricorso interno. E’ sufficiente che il titolare della libertà prevista dalla Convenzione sia in grado di dimostrare la fondatezza della pretesa violazione (“arguable claim”). Pertanto, il diritto a un rimedio effettivo è autonomo.
E. Come altri diritti previsti dalla Convenzione, il diritto a un rimedio effettivo è accessorio a una delle libertà riconosciute al singolo individuo. A livello convenzionale, la pretesa ad un effective remedy accompagna tutti i diritti riconosciuti agli articoli 1-12 nonché dai vari Protocolli che, col passare degli anni, sono stati adottati e che integrano il testo originario della Convenzione.
• (margine di apprezzamento) Ancora nel recente caso Poghosyan e Baghdasaryan v. Armenia (12 giugno 2012) la Corte ha ribadito che la garanzia prevista dall’art. 13 (ossia la disponibilità di un rimedio a livello nazionale per far rispettare - e quindi a valere il mancato rispetto - la sostanza dei diritti della Convenzione e delle libertà) può essere fatta in qualsiasi forma nell’ordinamento giuridico interno. Peraltro, già in casi precedenti, era ricorrente l’affermazione per cui agli Stati membri è concessa una certa discrezionalità quanto al modo e alla forma di protezione interna del diritto e della libertà convenzionale (Chalal v. the United Kingdom, 15 novembre 1996, §145; Xxxxxxx v. Bulgary, 02 febbraio 2006, §142).
• Come chiarito nel caso Xxxxxxxx v. Italy, 29 marzo 2006, §189, dietro questa scelta che lascia un ampio margine di apprezzamento allo Stato in ordine alla forma di protezione del diritto c’è anche la circostanza per cui così facendo si raggiunge una soluzione consona con il sistema nazionale e conforme a quella specifica tradizione giuridica.
Ad esempio con riferimento alla tutela risarcitoria, è più facile per i giudici nazionali fare riferimento agli importi assegnati a livello nazionale per altri tipi di danni - lesioni personali, danni in relazione alla morte di un parente o di danni in casi di diffamazione, per esempio.
• (arguable claim) Smentendo la propria precedente giurisprudenza che subordinava il diritto a un rimedio effettivo all’accertata violazione di un altro diritto, la fondamentale decisione Klass and Others v. Germany (06 settembre 1978) ha modificato l’interpretazione dell’articolo. Essa ha riconosciuto che la disposizione, se letta letteralmente, sembra dire che una persona ha diritto ad un rimedio nazionale solo se si è verificata una "violazione". Tuttavia, una persona non può stabilire una "violazione" davanti ad un'istanza nazionale, se non è prima in grado di presentare con tale autorità una denuncia in tal senso. Di conseguenza, che la convenzione sia effettivamente violato non può essere considerato un prerequisito per l'applicazione dell'articolo 13. A parere della Corte, l'articolo 13 prevede che, qualora un individuo considera di essere stato pregiudicato da una misura presumibilmente in violazione della Convenzione, egli deve avere un rimedio dinanzi ad un'autorità nazionale, al fine sia di avere la sua affermazione decisa e, se del caso, per ottenere un risarcimento. Così l'articolo 13 deve essere interpretato come garanzia di un "ricorso effettivo davanti ad un'istanza nazionale" per chiunque sostiene che i suoi diritti e le libertà previsti dalla Convenzione siano stati violati.
• (autonomia) Tale lettura è stata confermata nella importante decisione Silver and Others v. the United Kingdom (25 marzo 1983 §113) – per cui quando un individuo ha la fondata pretesa di essere vittima di una violazione dei diritti enunciati nella Convenzione, lo stesso dovrebbe avere un rimedio dinanzi ad un'autorità nazionale, al fine sia di avere la sua affermazione decisa e, se del caso, per ottenere un risarcimento – e Xxxxx and Xxxx v. the United Kingdom (27 aprile 1988 §52) – che ha escluso che l'articolo 13 possa essere ragionevolmente interpretato in modo da richiedere un rimedio di diritto nazionale in relazione a qualsiasi rimostranza che un individuo può avere, non importa quanto infondate sua denuncia può essere; al contrario il reclamo deve essere uno fondato.
3. I caratteri del ricorso.
A. Per quanto sia riconosciuta allo Stato la facoltà di determinare la forma di protezione (il ricorso davanti l’istanza interna) per la presunta violazione, la Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta a definire i tratti necessari del ricorso. Questa giurisprudenza è fondamentale per comprendere concretamente quale sia il contenuto del diritto dell’individuo e, corrispettivamente, dell’obbligo del Paese contraente.
Giurisprudenza
• Innanzitutto, sin dal fondamentale caso Golder vs United Kingdom si è affermato che l’art. 13 nel riconoscere il diritto ad un ricorso parla di istanza nazionale (before a "national authority") e non di “tribunale”, “corte” o altro. Pertanto, lo Stato può soddisfare il proprio obbligo anche riconoscendo all’individuo un ricorso presso un organo non giurisdizionale.
• Ancorché non sia un organo giurisdizionale, lo Stato deve assicurare che l’istanza nazionale mantenga alcune garanzie come l’imparzialità e l’indipendenza dall’esecutivo e presenti sufficienti capacità di cognizione dei fatti oggetto del ricorso. Ad esempio, si è riconosciuto conforme all’art. 13 il ricorso presentato davanti il mediatore parlamentare svedese o il cancelliere di giustizia, atteso che si tratta di organi indipendenti, i cui pareri, pur non vincolanti sono seguiti nella prassi dal Governo (Leander v. Sweden 26 marzo1987); al contrario, si è ritenuto non conforme all’art. 13 il ricorso presentato presso l’Autorità inglese che giudica il diniego della concessione del visto perché alla stessa era precluso una concreta valutazione dei fatti (Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx v. the United Kingdom, 28.05.1985).
• Nel verificare se lo Stato contraente abbia soddisfatto la pretesa al rimedio, la Corte non considera il singolo ricorso, ma valuta il sistema interno nel suo complesso: anche se un rimedio può non soddisfare in tutto i requisiti di cui all'articolo 13, può farlo l'insieme delle misure correttive previste dal diritto interno (Silver vs United Kingdom).
• Peraltro, per verificare l’effettività del ricorso interno un ulteriore parametro della valutazione svolta dalla Corte europea è rappresentata dalla materia in cui si inserisce il ricorso nazionale (Klass v. Germany). Qui l’oggetto del ricorso riguardava l’assenza in un’azione giudiziaria con cui poter contestare le misure di controllo della corrispondenza anche prima della cessazione di queste. Riconoscendo la specificità e la legittimità di un “system of secret surveillance”, la Corte ha respinto le doglianze e, per i cittadini interessati da queste misure di sorveglianza, ha ritenuto essere sufficiente la possibilità di adire un giudice dopo aver ricevuto la comunicazione sulla fine del controllo delle comunicazioni.
4. Il parametro dell’effettività.
A. Oltre che sui tratti del ricorso, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo si è concentrata sul carattere di effettività. Tale parametro è ricostruito secondo tre aspetti: accessibilità, efficacia e adeguatezza.
B. (accessibilità) La Corte europea ha ritenuto che il rimedio interno per essere valido (ovverosia sufficiente) debba essere effective in practice as well as in law.
• Così, nel caso Xxxxxxx v. Bulgary, la Corte ha dichiarato la lesione dell’art. 13, atteso che i tempi del procedimento e i costi previsti escludevano per il ricorrente una concreta effettività del rimedio.
C. (efficacia) Innanzitutto, la Corte di Strasburgo ha affermato che, per la determinazione dell’effettività del rimedio domestico, si debba prescindere dall’esito dello stesso: l’effettività del rimedio, ai fini dell’art. 13, prescinde dalla certezza di un esito favorevole.
• (Xxxxxxx v. the United Kingdom, 07 luglio 1989, §122; Pine Valley Developments LTD and others v. Ireland, 29 novembre 1991, §66; Xxxxxxxx Xxxxxxx v. the United Kingdom, 25 marzo 1993,
§40; Lorsé v. the Netherlands, 04 febbraio 2003, §96. Sul punto, già, Swedish Engine Drivers’ Union,
§50.)
D. (efficacia) In secondo luogo, la Corte ha chiarito che per essere effettivo il ricorso interno deve essere efficace, nel senso che deve essere una forma di tutela dotata della capacità di sospendere le possibili violazioni.
• Nella sentenza □onka v. Belgium (5 febbraio 2002 ) la Corte ha ritenuto che la nozione di un ricorso effettivo ai sensi dell'articolo 13 prevede che il rimedio può impedire l'esecuzione delle misure che siano in contrasto con la Convenzione, i cui effetti sono potenzialmente irreversibili.
• In tema si confronti anche il noto caso Xxxxxx v. the United Kingdom, 03 aprile 2001,
§123-127, in cui i giudici di Strasburgo hanno censurato l’ordinamento inglese. Questo, infatti, non prevedeva un rimedio che il ricorrente, detenuto in carcere con un passato di malattie mentali, avrebbe potuto tempestivamente esperire contro la decisione di tenerlo in isolamento per ancora altro tempo.
• In modo simile, la Corte ha dichiarato che costituisce violazione dell’art. 13 Cedu l’assenza di uno strumento che garantisca agli organizzatori di una manifestazione pubblica di ottenere una decisione definitiva sulla liceità del diniego opposto dalle autorità di pubblica sicurezza, prima del momento previsto per lo svolgimento della manifestazione (Xxxxxxxxx x. Xxxxxx, 00 ottobre 2010, §99).
• Per un’applicazione di questa lettura dell’effettività del rimedio nella delicata materia delle espulsioni si vedano Xxxxxx v. Turkey, 11 luglio 2000 §50, Xxxxx x. Belgique, 27 febbraio 2014 §106 e, con riferimento al nostro ordinamento nazionale, Hirsi v. Italy, 23 marzo 2012 §205. In quest’ultima decisione, la Corte ha censurato l’assenza di un ricorso con cui poter verificare la situazione personale di cittadini libici prima della loro espulsione in Libia.
E. (adeguatezza) Il terzo profilo è di straordinaria importanza. Per essere effettivo il ricorso interno deve essere adeguato, ossia di "prevenire la presunta violazione o la sua prosecuzione, o di fornire un adeguato risarcimento per qualsiasi violazione che si era già verificato” (Xxxxx v. Poland).
F. Innanzitutto, un rimedio adeguato vuole dire che quando un individuo contesta la violazione dell’art. 3, Cedu, (proibizione della tortura) il differente diritto a un effettivo rimedio interno impedisce di ritenere sufficiente il mero risarcimento e impone allo Stato lo svolgimento di indagini adeguate, ossia condurre all'identificazione e alla punizione dei responsabili. (Kaya v. Turkey, 19.02.1998 §107 e Xxxxxxx v. Bulgary, 28.10.1998, §117) e il suo esercizio non deve essere ingiustificatamente ostacolato da atti o omissioni delle autorità dello Stato convenuto (Aksoy v. Turkey, 18.12.1996, §95; Aydin v Turkey, 25.09.1997, §103; Xxxx v. Turkey, 28.07.1998, §96; Xxxxx v Turkey, 18.06.2002, §383).
G. Inoltre, l’adeguatezza come parametro per la verifica dell’effettività del rimedio ha riguardato anche la configurazione di una tutela riparatoria, ossia uno strumento che obblighi il responsabile dell’illecito convenzionale a rimuovere ogni conseguenza dannosa (patrimoniale e non patrimoniale) dalla sfera giuridica della vittima della violazione. Sin dai casi Klass e Xxxxxx, la giurisprudenza ha affermato che l’articolo 13 riconosce al singolo il diritto a un rimedio dinanzi ad un'autorità nazionale, al fine sia di avere la sua affermazione decisa e, se del caso, per ottenere un risarcimento.
• La giurisprudenza successiva ha meglio chiarito tale aspetto e, di recente, ha censurato quegli ordinamenti nazionali che non prevedevano un risarcimento del danno patito dai ricorrenti per la violazione di un diritto convenzionale. In questo senso milita il caso Z. and others v. United Kingdom (10 maggio 2001), relativo a un caso di abusi familiari a danno di minori. Dinnanzi alle giurisdizioni interne, la pretesa risarcitoria non aveva trovato accoglimento: come chiarito dall’House of Lords, nell’ordinamento inglese nessuna azione era prevista contro l'autorità locale per la negligenza o per la violazione di obblighi di legge concernente l'esercizio delle loro funzioni in materia di benessere dei bambini sotto i Children Xxx 0000 in materia di custodia dei bambini. Pertanto, i danneggiati avevano deciso di adire la Corte di Strasburgo, dove avevano lamentato la violazione dell’art. 13 per assenza di un provvedimento interno (local) con cui ottenere appropriate redress. I giudici di Strasburgo hanno accolto il ricorso: quando è in gioco un diritto fondamentale con un'importanza come il diritto alla vita e il divieto della tortura, trattamenti inumani e degradanti, il diritto a un rimedio effettivo va inteso come obbligo per le Parti Contraenti affinché, già a livello nazionale, sia a disposizione della vittima o la famiglia della vittima un meccanismo per stabilire eventuali responsabilità di funzionari dello Stato o di enti per atti od omissioni che comportano la violazione dei loro diritti ai sensi della Convenzione. In termini più generali, la Corte ha avuto modo di affermare che nel caso di una violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione, che si collocano come le disposizioni fondamentali della Convenzione, il risarcimento del danno non patrimoniale che sorge dalla violazione dovrebbe, in linea di principio, essere disponibile come parte della gamma di rimedi.
• In termini non dissimili, T.P. and K.M. v. the United Kingdom, 10 maggio 2001, §109, nonché Kontrova x. Xxxxxxxx, 00 maggio 2007 §62-65, in cui, pure, si è affermato che, per assicurare un rimedio effettivo nel caso di violazione del diritto alla vita, lo Stato deve prevedere non solo la possibilità per la vittima di richiedere un accertamento della responsabilità in sede giurisdizionale, ma anche quella di ottenere un indennizzo per i danni morali provocati dalla morte dei propri figli.
• Con riferimento al nostro ordinamento, la Corte (Xx Xxxxx et autres c. Italie, 10 gennaio 2012, §118) ha avuto modo di censurare la mancanza di vie di ricorso utili ed effettive che permettano, a quanti abitano o lavorano in un comune della Campania in cui i rifiuti sono stati abbandonati per le strade, di sollevare, innanzi alle autorità nazionali, motivi attinenti alle conseguenze pregiudizievoli della cattiva gestione del servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti.
H. Peraltro, sempre a proposito della forma di tutela risarcitoria e del parametro di effettività del rimedio, la Corte europea ha sanzionato l’ordinamento interno che aveva accordato una riparazione non adeguata.
• Ad esempio, con riferimento alla riparazione prevista per l’eccessiva durata dei procedimenti giurisdizionali, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che il ristoro accordato dai giudici italiani non fosse sufficiente a riparare il pregiudizio subito dai ricorrenti (Scordino v. Italy, decisione di reciv., 27 marzo 2003). In quel caso, il giudice europeo ha verificato che non vi era alcuna giustificazione per spiegare la discrepanza tra l’ammontare riconosciuto dalla giurisprudenza di Strasburgo e quello accordato in applicazione della legge.
3. Le Fonti
Se nella storia si alternano periodi di grandi sintesi concettuali e fasi di dispersione58 è sin troppo facile collocare il presente in uno dei due momenti. La dilatazione dei mercati e l’accentuarsi della complessità delle fonti hanno prodotto fenomeni simili in ogni ordinamento. Deperisce il ruolo e l’utilità delle tradizionali categorie, cresce il rilievo delle discipline speciali, proliferano in Francia e in Italia nuovi “codici” di contenuto incerto e circoscritto59.
Da qui la domanda se a) la parte generale del contratto abbia ancora una capacità ordinante in presenza di discipline di settore che sembrano assumere un peso ed
58 X. XXXXXXX-X. XXXXXXX, Presentazione, in Tradizione civilistica e complessità del sistema, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxx, Milano, 2006, p. XIII. “La storia del diritto fra medioevo ed età moderna mostra come alle potenti sintesi concettuali si alternino, con relativa puntualità, fasi di dispersione. Così si formò la matrice dello ius comune così le sistematiche umanistiche risposero alla crisi delle grandi scuole italiane e reagirono alla frantumazione legislativa del primo Stato moderno. Così il sistema codice, che fu preziosa sintesi rispetto al caos giurisprudenziale del tardo diritto comune, si rivelò presto inadeguato a dominare i processi di industrializzazione. E così ancora, il panlogismo pandettistico ha retto solo temporaneamente alla dilatazione novecentesca dei mercati, che sembrano trovare – ma potrebbe rivelarsi soluzione anch’essa insoddisfacente – nell’empirismo caratteristico dell’ambiente di common law strumenti più duttili ed appropriati. Nuove generalizzazioni si profilano all’orizzonte…Si amplia la gamma delle clausole generali del contratto, crescono le normative di settore, si realizzano codificazioni di contenuto più circoscritto… Tutto ciò mentre la necessità di ripensare i problemi della contrattualistica su scala comunitaria o addirittura planetaria impone nuove sistemazioni tra le fonti e reclama il coordinamento della giurisprudenza”.
59 X. XXXXXXX-X. XXXXXXX, Presentazione, in Tradizione civilistica e complessità del sistema, cit., p. XIII.
un’importanza capace di dissolvere il sistema dal suo interno; b) se sia possibile trarre da tali discipline principi di rilevanza generale o estendere il loro contenuto con l’analogia legis et juris;
c) se si possa identificare un nucleo di regole generali uniformi a livello sopranazionale. Occorre soffermarsi, in breve, su tutti e tre i quesiti.
Si deve premettere anzitutto che il rapporto fra parte generale e disciplina di settore ha oggi una valenza molto diversa dal passato. Non si tratta di costruire categorie rigide e distanti dai rapporti reali con un metodo (caro al giurista dei primi decenni del secolo XIX), che riconosce giuridicità solo alla norma statale. Formalismo, legalismo, astrazione non sono più i tratti del giurista di oggi, conscio che “la congiunzione fra giusnaturalismo e giuspositivismo”, tipica della scienza giuridica del primo ’900, non si adatta a comprendere la realtà attuale60.
La complessità dei fatti che producono regole muta i termini del problema.
Le fonti si articolano in un ordine diverso dal passato ed assumono sempre più rilievo la Costituzione, la normativa comunitaria e la giurisprudenza della Corte di Giustizia, le pronunzie delle Autorità Garanti e della Corte Costituzionale.
Sul piano culturale il momento della interpretazione e applicazione della norma è inteso sempre più come un “momento interno al processo di produzione della regola”. Sicché “l’imperativo astratto enunciato nella legge diventa positivo … cioè regola positiva di una comunità storicamente positiva, solo grazie all’incarnazione operata da maestri, giudici, operatori”. Tutto ciò esige l’elaborazione “di principi, di ampie cornici ordinatrici, di robusti schemi teorici”61.
Resta da precisare il modo ed è necessaria una premessa.
4. I contratti dei consumatori e il codice del consumo.
La legge 29 luglio 2003 n. 229 consente di predisporre codici di settore al fine di semplificare la normativa con caratteri di novità rispetto al passato. Ciò perché si propone non solo di abrogare norme obsolete e di introdurre norme di coordinamento (come nei Testi Unici), ma anche di predisporre norme di ammodernamento conferendo al legislatore il potere di adattare e aggiornare la raccolta ai sensi e in conformità alla disciplina comunitaria62.
Tale ratio la si è giustificata in due modi diversi.
Si è sottolineato che il legislatore predispone in testi omogenei norme derogatorie al codice civile, il quale viene così a perdere la sua centralità nell’ambito delle fonti privatistiche come esito di un processo di decodificazione iniziato molti anni xxxxxx e giunto ora al suo esito sistematico63. Da qui l’idea che il codice di diritto comune sopravviva solo come disciplina residuale64.
Altri formulano una conclusione del tutto diversa. Secondo questa visione i codici di settore non introducono deroghe eccezionali alla disciplina del codice di diritto comune ma disposizioni complementari a quel testo che anzi recupera una centralità ponendosi “al centro
60 P. GROSSI, Introduzione, in Tradizione civilistica e complessità del sistema, cit., p. 11 ss.
61 P. XXXXXX, op. cit., p. 17. Si prende atto, insomma, che i canoni statuali non esauriscono la giuridicità e si assiste sempre più spesso ad un confronto e ad un’osmosi fra il sistema di civil law e di common law. Come si è osservato, l’interpretazione di fronte alla complessità del sistema sarà cosa diversa dall’esegesi di un testo autorevole, sarà intermediazione fra forme e norme da un lato e valori e bisogni dall’altro, sarà anche definizione e categorizzazione di strumenti percepiti ed inventati dalla prassi bisognosa di consolidazioni teoriche.
62 X. XXXX, I contratti dei consumatori e la disciplina generale dei contratti e del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 2006, 351 ss.
63 v. N. IRTI, ‘Codici di settore’: compimento della decodificazione, in Dir. soc., 2, 2005, p. 132 ss.; e X. XXXX, op. cit., 354.
64 N. IRTI, op. cit., 133.
di un sistema stellare di cui ogni codice costituisce il satellite”65. Il codice del consumo66 conferma questa ultima ricostruzione in una pluralità di disposizioni. Tutte significative.
• L’art. 38 precisa che, per quanto non è previsto nella disciplina di settore, si applica il codice civile e la disposizione non è affatto superflua. Essa rafforza l’idea del valore innovativo delle leggi speciali e la convinzione del codice generale come tessuto connettivo fra di esse. Ma nello scarno dettato di tale articolo emerge qualcosa in più. Si sottolinea una contiguità tra “codice” e “codici” i quali, dove non esiste divergenza, debbono essere letti alla luce dei principi e delle regole della disciplina generale.
• L’art. 1469-bis del codice civile, dopo lo scorporo da tale testo della normativa sulle clausole vessatorie, contiene una disposizione che “rafforza la qualificazione del codice civile come regola fondamentale alla quale ricorrere quando non vi siano regole speciali derogatorie nel codice del consumo”.
• L’art 143 del codice di consumo precisa che è nulla ogni disposizione in contrasto con quelle norme e che al consumatore devono essere riconosciute le condizioni minime di tutela previste in esse o in altre norme più favorevoli al consumatore, anche se le parti hanno scelto una legge diversa da quella italiana.
• L’art. 2 del codice di consumo fissa, come vedremo, alcuni diritti irrinunciabili per il consumatore tracciando una linea di inderogabilità forte che ha un preciso significato.
Sistema coerente di norme speciali rotezione
Da queste norme si trae che esiste un sistema coerente di norme speciali (di protezione) idoneo a derogare alla disciplina generale del contratto Sicché “ogni parte del codice civile (capacità, obbligazioni, diritto della circolazione) può subire una incisiva rielaborazione sistematica” e l’interprete dovrà in tale contesto (codice del consumo e leggi speciali contenenti disposizioni più favorevoli al consumatore v. xxx. 0000-xxx x.x.) xxxxxxxxx xx xxxxx xpplicabili in via diretta o analogica al caso. “Solo ove tale ricognizione dia esito positivo si potrà far luogo alla applicazione della generale disciplina codicistica”. La quale dovrà essere letta in una prospettiva evolutiva che tenga conto della presenza di regole speciali nel sistema generale67.
D’altra parte l’ordine complessivo non può non tener conto della normativa Costituzionale per una serie di motivi.
• Gli art. 2 e 3 di quel testo sostituiscono i diritti e le pari opportunità alla meritevolezza corporativa e alla conformità sociale dell’atto di autonomia.
• L’art. 12 delle preleggi al codice civile, evocato come esempio di chiusura ingiustificata nell’elaborazione dei principi dal solo ordinamento positivo dello Stato, deve saldarsi con l’art. 11 della Costituzione. Il quale consente limitazioni di sovranità e ha con ciò legittimato il giudice nazionale alla disapplicazione del diritto nazionale contrario al diritto comunitario oltre a consentire riforme più intense dello stesso art.138 Cost.
• L’art. 117 nel suo testo attuale ha confermato il primato costituzionale dell’ordinamento comunitario.
• L’art. 111 nell’affermare il fondamento costituzionale del giusto processo esige un sistema che assicuri un pieno equilibrio tra il principio di eguaglianza e la protezione
65 X. XXXX, op. cit., 355.
66 X. XXXX, op. loc. cit.
67 X. XXXXXXXXXX, Commento agli artt. 36-38, in Codice del consumo, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2006, 370 ss., in particolare 386 ss.
giurisdizionale dei diritti, resa effettiva da una corretta ed efficace distribuzione dell’onere della prova.
Da tutto ciò emerge un nucleo precettivo espresso nel riconoscimento, indivisibilità e tutela dei diritti fondamentali, civili e sociali, previsti in tutte le Carte del novecento. Questo ordine è profondamente diverso dal passato perché non è finalistico ma anzi esclude ogni idea di conformità sociale di un atto ad un indirizzo prefissato; non vuole predeterminare il futuro “scegliendone uno perché ritenuto l’unico giusto”68. Lascia al pluralismo politico e sociale il compito di individuare l’indirizzo più adeguato ai tempi, ma fissa con i diritti un limite di contenuto che non può non condizionare anche la libertà di contratto e la costruzione di nuovi rimedi.
Il tutto in coerenza con l’ordinamento comunitario ove il Parlamento e la Commissione invitano a concentrarsi su alcune priorità. La revisione dell’acquis, la selezione di regole flessibili applicabili a diverse tipologie, la rielaborazione del principio di libertà contrattuale alla luce del modello sociale europeo.
Ciò implica precise conseguenze.
Il consumatore pur nella centralità che assume nella disciplina comunitaria e interna non è affatto l’unica posizione69 che appare meritevole di protezione specifica70, mentre la semplice esistenza di un mercato concorrenziale non garantisce l’inesistenza di scorrettezze e abusi71 che richiedono una reazione della legge72 a prescindere dalla qualificazione sociale del soggetto leso 73 .
Il problema insomma è ancora il confronto fra disciplina generale e discipline di settore in un sistema complesso di fonti ed occorre precisare subito un aspetto essenziale.
Le regole del codice di consumo sono estensibili solo in base all’analogia legis e non iuris (art.12 Disp. Prel. c.c.) perché le discipline speciali, per assumere valore generale, debbono imporsi nel sistema generale attraverso una osmosi che deve essere attentamente verificata attraverso le “strutture dogmatiche del discorso giuridico”. Né è consentito un passaggio di regole diretto fra diritti speciali, (ad esempio fra il diritto dei consumatori e i contratti di impresa), senza una “verifica di adeguatezza sulla base del diritto generale”74.
68 X. XXXXXXXXXX, Alle radici della democrazia costituzionale, in Testimonianze, 2007, 453-454.
69 Il codice di consumo, emanato da appena tre anni, è già in parte superato da norme che tutelano il cittadino in una serie di rapporti asimmetrici. Nel primo decreto Xxxxxxx si individua una nuova regolazione del rapporto assicurativo (art. 1), dei contratti bancari (art. 10), e nel secondo decreto si prevedono provvedimenti che attengono alle reti di telecomunicazioni (art. 1), ai carburanti e alle reti autostradali, ai servizi aerei, assicurativi, bancari (art. 3 e 5). In tutti questi casi, si espande la protezione normativa oltre la categoria dei contratti fra un professionista e un consumatore e già si annuncia l’introduzione, anche nel nostro sistema, dell’azione collettiva. Tutto ciò è di estremo interesse nella tutela dei diritti di ogni cittadino consumatore o non consumatore e ci ricorda, casomai ce ne fosse bisogno, che il diritto è una scienza sociale che non procede per salti ma con necessari adattamenti sistematici fra il particolare e il generale.
70 X. XXXXXXXXXX, Diritto privato generale e dritti secondi, in Europa e dir. privato, 2006, 397.
71 X. XXXXXXX, The Law of Contract, London, 1993, 263.
72 X. XXXXXXXXXX, op. cit., 416.
73 X. XXXXXXXXXX, op. cit., 413 e il richiamo di Waterford x. Xxxxxxxxx, Court of Appeal 23.2.2001, in X. XXXX, Note in Law Quart. Rev., 2001, 117, 551. Ma vedi sul punto X. XXXXXXX, Libertà di contratto e disparità di potere, in Riv. dir. priv., 2005, 767 ss.
74 X. XXXXXXXXXX, op. cit., 421. La legislazione di derivazione comunitaria non può ridursi al modello di regole di tutela del c. d. contraente debole, estensibile di per sé in altri contesti attraverso il filtro della meritevolezza dell’interesse (art. 1322 c.c.), utilizzato come canone di giustizia contrattuale. Tale prospettiva è semplicistica e contraddetta dalle stessa disciplina positiva che non è affatto ispirata ad un criterio oggettivo di proporzionalità delle prestazioni, ma alla repressione di abusi e squilibri in presenza di una situazione di disagio di una parte. Le
D’altra parte non è consentita una generalizzazione né sulla base di un asserito generico concetto di giustizia contrattuale della quale singole misure di protezione sarebbero espressione75, né sulla base di un principio di efficienza del mercato di cui consumatore e impresa debole risulterebbero solo agenti di razionalità e non destinatari di regole di specifica protezione76. La prima affermazione è infatti del tutto immotivata e priva di dati oggettivi di riferimento77, la seconda “inverte l’ordine dei valori nel momento in cui accredita la tutela dei consumatori come il falso scopo dell’obbiettivo vero che sarebbe costituito dalla salvaguardia del mercato”78.
Tutto ciò esige una delicata attività interpretativa che iniziamo a compiere.
4.1. L’iter di approvazione e le scelte compiute
La scelta non è stata né facile né indolore. Il legislatore italiano non ha seguito il modello tedesco che ha inserito nel Codice di diritto comune le discipline di derivazione comunitaria, ma si è ispirato al modello francese che ha affiancato al Code civil un corpo unitario di regole speciali. Ma ciò è avvenuto con un’ambiguità che deve essere sottolineata.
È noto che la attuazione della Direttiva Europea sulle clausole abusive fu oggetto di un serrato (79) dibattito proprio sulla sua collocazione nel codice o in una legge speciale. Risolto ogni dubbio, nel primo senso, si discusse sulla modalità di questo inserimento e prevalse l’idea della collocazione nella disciplina generale del contratto, aggiungendo un nuovo Capo (il XIV- bis) al Titolo secondo del Quarto libro del codice civile.
La motivazione fu espressa in modo chiarissimo. Si volle introdurre quelle norme nel diritto comune dei contratti e non in una disciplina o in un contesto speciale, perché si trattava di regole attinenti alla tutela della persona che dovevano essere considerate e disciplinate nel corpo del codice che conosceva, molto prima di altre codificazioni, una norma sulle condizioni generali di contratto (1341) e che prevedeva già singole categorie di contratti, fra cui poteva essere inserita quella dei consumatori, non certo eccezionale rispetto al diritto comune.
Egualmente consapevole fu la scelta sistematica: esclusa la Sezione prima, sull’accordo e quella del Titolo sesto, sulla disciplina delle attività professionali, si scelse di inserire il Capo XIV-bis in coda al Titolo secondo, sulla Disciplina generale del contratto, perché si ritenne di svincolare le nuove norme da qualsiasi elemento essenziale del contratto e di porle in una posizione di autonomia rispetto ai suoi elementi.
leggi di attuazione delle direttive prima ed il Codice di consumo poi, hanno seguito il diverso indirizzo di “una funzionalizzazione dell’agire del singolo”, sia esso consumatore od impresa debole, all’interesse più generale della “regolazione del mercato” (così X. XXXXXXXXX, Tutela del consumatore ed autonomia contrattuale, in Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 1999, 801 ss.). Ciò ha determinato non solo un mutamento di singoli istituti, ma “l’ampliamento dello stesso orizzonte ermeneutico”, tenendo conto che non è la prospettiva del soggetto che orienta ma l’oggettività della regolazione di una serie di rapporti diseguali.
75 v. X. XXXXXXX, Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Europa e dir. priv., 2006, 53 ss.
76 X. XXXXXXXXX, Diritto civile europeo e diritti nazionali: come costruire l’unità nel rispetto della diversità, in Contr. impr. Europa, 2005, 534; ID., Note minime in tema di autonomia privata alla luce della Costituzione europea, in Contratto e costituzione in Europa, a cura di G. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 93 ss.
77 X. XXXXXXX, op. ult. cit., 56-58.
78 X. XXXXXXXXXX, op. cit., 423.
(79) V. G. ALPA, in Codice del consumo, Commentario a cura di X. Xxxx e X. Xxxxx Xxxxxx, Napoli, 2005, p. 25.
Seguendo il parere del Consiglio di Stato e con forti perplessità da parte della stessa commissione che ha redatto il testo, si è scorporato l’intero capo XIV-bis che è ora incluso nel codice di settore. Ciò pone due problemi non secondari.
Il rapporto con la disciplina generale del contratto e l’individuazione del livello di protezione del consumatore nel confronto fra regole principi e diritti, collocati in diversi contesti.
Si può subito anticipare che il Xxxxxx crea un diritto diseguale che deve essere fissato nella definizione attenta delle posizioni soggettive e delle tutele, sulle quali si potrà prendere posizione solo dopo aver esaminato il suo contenuto che è diviso in sei Parti, suddivise in Xxxxxx e Xxxxxxx.
Iniziamo dalla prima.
4.2. La struttura del codice
La prima parte contiene l’enunciazione delle finalità, le definizioni e un analitico elenco di diritti.
Ciò ha indotto ad osservare che il Codice è stato « organizzato secondo la tecnica normativa delle esperienze continentali che dapprima istituiscono il diritto e di poi la tecnica per tutelarlo, cioè il rimedio, a differenza di quanto accade in common law, ove si pensa, si ragiona e si opera sulla base dei rimedi » (80).
Tale affermazione è vera solo in parte come si ricava dalla stessa lettera dell’art. 2 ove il riconoscimento e la garanzia dei diritti e degli interessi individuali e collettivi sono uniti alla promozione della tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associata nonché alla volontà di favorire le iniziative rivolte a perseguire tali finalità. Tali indicazioni inducono a formulare una conclusione diversa, fonte di un’indicazione sistematica chiara (81).
Si avverte l’influsso dell’art 47 della Carta dei diritti fondamentali che riproduce un principio generale del diritto comunitario vigente da oltre un ventennio e che ha pieno valore giuridico (82).
Sono diverse le versioni linguistiche: il testo italiano parla di un diritto ad un ricorso effettivo all’Autorità giudiziaria, mentre il testo inglese di un diritto ad un effettivo rimedio ed un’analoga espressione è contenuta nel diritto tedesco.
La differenza terminologica evoca un problema di sostanza. In Italia l’accento è posto sull’effettività del diritto di ricorrere alle Corti e la categoria di riferimento è l’azione in giudizio (civil law) « secondo un sistema che vede nell’azione e nel relativo diritto un elemento di raccordo fra diritto sostanziale e processo » (83). Le altre versioni sono più sensibili al principio (ubi remedium ibi ius) che mira a garantire « un procedimento di tutela consona alla natura delle situazioni dedotte in giudizio e alla violazione da queste subite » (84). Ed è questa nuova lettura che si consolida sulla base di un’interpretazione attenta delle norme che si trae
(80) X. XXXX, op. cit., p. 18 e il richiamo a A. DI MAJO, I rimedi, in Seminario di diritto privato europeo (8 luglio 2005), a cura del Consiglio Nazionale Forense, Milano, 2005.
(81) V. sul punto X. XXXXXXX, Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Europa dir. priv., 2006, p. 54 di cui si riportano le osservazioni contenute nel proseguo sull’art. II-000 xxx Xxxxxxxx xostituzionale.
(82) Si veda sul punto il bel saggio di X. XXXXXXX, L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’evoluzione dell’ordinamento comunitario in materia di tutela giurisdizionale dei diritti, in Carta Europea e diritti dei privati, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2002, p. 381 ss.
(83) X. XXXXXXX, op. cit., p. 388.
(84) X. XXXXXXX, op. cit., p. 388.
dall’emersione del principio nella elaborazione della Corte di Giustizia (che arricchisce le tradizioni costituzionali comuni e la CEDU) e dalle direttive che sempre più spesso finiscono per incidere sulla tutela processuale che « deve essere costruita in funzione dei bisogni di tutela e delle lesioni subite » (85).
Insomma le norme e il principio che essa riafferma esigono che si dia attuazione alla pretesa di un rimedio effettivo inteso come diritto ad adeguati strumenti di tutela e idonee configurazioni processuali capaci di garantire la piena soddisfazione dell’interesse azionato.
La legge tiene conto di tale indicazione.
C’è ne è una traccia sia nell’art. 140 che sanziona con il pagamento di una somma di denaro l’inosservanza dell’ordine giurisdizionale richiesto dalle associazioni dei consumatori, sia negli artt. 139 e 141 che, unitamente al 140, regolano le azioni inibitorie e l’accesso alla giustizia delle associazioni di categoria. Ma l’indicazione che ci proviene dal diritto comunitario è molto più ampia e non può essere trascurata nella interpretazione sistematica di tutto il codice di settore e nel ripensare la tecnica dei diritti, scandita nel diritto comunitario e interno in modo chiarissimo (86).
Il confronto fra diritti, principi e rimedi sarà dunque la linea di analisi di queste pagine.
4.2.1. La parte seconda. Educazione, informazione, pubblicità
In questa parte il Codice disciplina la fase anteriore alla conclusione del contratto con una scelta di fondo del tutto apprezzabile. Qui è contenuta la disciplina delle pratiche commerciali scorrette, ingannevoli ed aggressive e si precisa per la prima volta un diritto all’educazione (art. 4), dai contenuti incerti. Si individuano precisi obblighi informativi (art. 5) e si dà attuazione ai « diritti fondamentali » ad un’adeguata informazione, a una corretta pubblicità e all’educazione al consumo, riconosciuti ai consumatori dall’art. 2 comma 2 lett. c) del Codice e dall’art. 12 e 169 TFUE (87).
Il contenuto delle norme è ancora diverso.
Nel titolo primo l’art. 4 esprime una finalità e individua il contenuto di un diritto fondamentale all’educazione (art. 2 comma 2 lett. d) che non fonda una situazione soggettiva direttamente applicabile, ma indica le linee che « soggetti pubblici o privati » dovranno seguire per esplicitare « le caratteristiche dei beni e sevizi » e rendere chiaramente percepibili i benefici e i costi conseguenti alla scelta « dei consumatori, con particolare riguardo a coloro che sono
« maggiormente vulnerabili ». Si tratta dunque di un diritto ad una prestazione da parte di soggetti pubblici e privati. Di tenore diverso è il diritto all’informazione.
Nel titolo secondo gli artt. da 5 a 17 occupano il primo capo sugli Obblighi di informazione (art. 5) cui segue un secondo capo sulle Indicazione dei prodotti (artt. 6-12) e un terzo sulle Particolari modalità di informazione (artt. 13-17). Ne risulta una precisa regola su di un obbligo e un corrispondente diritto ad una diretta informazione sulla sicurezza, composizione e qualità dei prodotti e dei servizi, espressa in modo chiaro e comprensibile tenuto conto delle concrete condizioni del rapporto e del mezzo di comunicazione impiegato. La tutela dell’interesse è assicurata da un apparato sanzionatorio descritto in termini generali all’art. 17,
(85) X. XXXXXXX, op. cit., p. 396 ss.
(86) V. le limpide pagine di X. XXXX, op. cit., p. 18 ss.
(87) V. il commento all’intera II parte del Codice di X. XXXXXX ELMI, in questo volume. A tale contributo si farà costante riferimento in queste pagine.
ma ancora una volta diverso a seconda del tipo di contratto e di rapporto. Per la violazione dell’obbligo di informazione in alcuni casi si prevede il diritto di recesso (art. 65 commi 3-4) in altri la nullità (art. 78), in molti altri ancora si tace sulla conseguenza, sicché ai sensi dell’art. 38 si deve ricorrere alle norme del codice civile e alla disciplina generale del contratto. Ove sono due le alternative ipotizzate: attribuire alle norme sulla informazione il carattere di precetti di ordine pubblico economico di protezione, con la conseguente nullità degli atti conclusi in loro violazione o riconoscere in esse norme di comportamento che possono incidere non sulla struttura ma sulla responsabilità delle parti ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c.
Una recente sentenza della Cassazione (88) indica chiaramente questa ultima soluzione, distinguendo fra « elementi intrinseci della fattispecie negoziale che riguardano la struttura e il contenuto del contratto (art. 1418 comma 2) » e « comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto che rimangono estranei alla fattispecie negoziale … la cui illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto ... a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore ». A ben vedere è possibile anche una terza e concorrente indicazione.
Gli obblighi di informazione possono integrare, ai sensi dell’art. 1337 c.c., le norme che valutano contegni e con ciò arricchire ipotesi generali (dolo, errore) o speciali (normativa sulla concorrenza) di invalidità del contratto (89).
Tutto ciò rende evidente la necessità di coordinare l’obbligo e il diritto di informazione con i rimedi più efficienti utilizzabili, stante il contenuto dell’art. 5, non solo dal consumatore ma anche dalla « persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali ».
Nel titolo terzo si dettano regole per la pubblicità e le altre comunicazioni commerciali e le finalità sono chiare. Con esse si intende regolare l’uso di un mezzo che può orientare ma anche falsare le scelte del consumatore o della persona fisica o giuridica cui sono « dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze ». La tutela si estende dunque ad ogni soggetto ed è disciplinata in particolare la pubblicità ingannevole e comparativa (Capo II artt. 19-27) e la forma particolare delle televendite (Capo III artt. 28-32) (90).
Il dato più significativo sta anche qui nell’ulteriore estensione della disciplina alle persone giuridiche e nella modalità di tutela che si arricchisce con il ricorso all’Autorità per la concorrenza ed il mercato (art. 26) e ad organismi volontari e autonomi di autodisciplina (art. 27). Il che fornisce utili ed efficienti strumenti processuali a tutela di un interesse specifico di reazione contro messaggi e comunicazioni scorrette e sleali e contro le modalità ancora più aggressive poste in essere con le televendite (artt. 28-32).
Centrale è la disciplina delle pratiche commerciali scorrette (art. 20) che il D.L. 24 gennaio 2012 estende ora alle microimprese. Con tale disciplina si regola, con analitica precisione, l’attività di influenza sui processi decisionali di rapporti economici e si impone un dovere generale di attenzione verso la “vulnerabilità decisionale” o meglio la autodeterminazione di persone e imprese che assume contorni sempre più precisi. Ciò si affianca al diritto dei consumatori ad un mercato concorrenziale e alla concorrenza leale fra imprese imponendo ai professionisti nuovi doveri e riconoscendo corrispondenti diritti che giustificano idonei rimedi.
(88) Cass., 29 settembre 2005 n. 19024, in Danno e responsabilità, 1, p. 25 con nota di X. XXXXX e X. XXXXXXX, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale.
(89) X. XXXXXXX, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Riv. dir. priv., 2003, p. 241 ss.
(90) V. ancora l’ampia e limpida analisi di X. XXXXXX ELMI, in questo volume.
4.2.2. Le pratiche commerciali scorrette.
Idoneità a falsare il rtamento omico del sumatore
Il Titolo terzo, come ricordato, è stato oggetto della profonda modifica intervenuta ad opera del d.lgs. 146/2007. Esso adesso non tratta più della pubblicità ingannevole e comparativa, ma detta compiutamente la disciplina delle pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra imprese e consumatori, in attuazione della Direttiva CE 2005/2991.
La disciplina riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori. Essa intende tutelare direttamente gli interessi economici dei consumatori lesi dalle pratiche commerciali scorrette e solo indirettamente tutela le attività legittime delle imprese nei confronti di quelle dei loro concorrenti sleali (v. considerando 6, 7, e 8 della direttiva CE 2005/29.). Sicché si può dire che essa protegga direttamente gli interessi dei consumatori e solo in via mediata il mercato e gli altri soggetti del mercato (quali le imprese concorrenti, alle quali è però dedicato, come detto, il d.lgs. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa).
La normativa in esame si applica alle pratiche commerciali tra professionisti e consumatori (art. 19 Cod. Cons.) – e cioè a “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori ” (art. 18, c. 1, lett. d) – poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto e, dunque, prima, durante e dopo la stipula del contratto. Ma va notato che in realtà la maggior parte di tali pratiche si colloca inevitabilmente nella fase precontrattuale o di promozione del prodotto.
Il nucleo della disciplina si trova nell’art. 20 del Codice, che vieta le pratiche commerciali scorrette. Sono tali, ai sensi del c. 2 dell’art. 20, quelle pratiche idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio che esse raggiungono o al quale sono dirette.
La disciplina in esame è dunque innanzitutto finalizzata a far sì che il consumatore possa prendere una decisione consapevole, non alterata indebitamente dal comportamento scorretto delle imprese.
Il che è evidente se si tiene presente che le pratiche idonee a falsare il comportamento economico del consumatore sono quelle pratiche idonee ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una scelta consapevole, inducendolo ad assumere una decisione che altrimenti non avrebbe preso (art. 18, c. 1, lett. e), relativamente non solo a se acquistare un prodotto, ma anche al modo in cui farlo e a quali condizioni (art. 19, c. 1, lett. m).
In tal modo il legislatore vuole vietare ogni indebito condizionamento da parte delle imprese, e, cioè, ogni sfruttamento della posizione di potere rispetto al consumatore volto all’esercizio di una pressione che, anche senza il ricorso alla forza fisica o alla minaccia, limiti notevolmente la sua capacità di scelta (art. 18, c. 1, lett. l).
Si possono pertanto rintracciare anche in questa nuova disciplina i tratti caratteristici che segnano tutta la Parte II del Codice: tutela del consumatore nella fase precontrattuale, divieto di pratiche commerciali che creino o aumentino le asimmetrie informative tra le parti e divieto di alterare indebitamente le decisioni commerciali del consumatore, a protezione della sua libertà di scelta. Sicché pare opportuno il suo inserimento in questa sede.
91 Sulla Direttiva CE 2005/29 v. AA.VV., Le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, a cura di X. Xx Xxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
Pratiche gannevoli
Nel dettaglio, la disciplina in esame distingue le pratiche scorrette in due categorie:
pratiche ingannevoli e pratiche aggressive (art. 20 c. 4).
Le prime sono quelle che contengono informazioni non vere ovvero che, in qualsiasi modo, sono idonee a indurre in errore il consumatore medio, inducendolo a prendere una decisione che non avrebbe altrimenti preso (art. 21 c. 1)92. Esse possono consistere anche in omissioni ingannevoli, qualora siano omesse informazioni rilevanti di cui il consumatore ha bisogno per prendere una decisione consapevole (art. 22). È chiaro allora che le pubblicità ingannevoli, già oggetto di disciplina da parte del Codice e ora regolate nell’interesse delle imprese concorrenti dal d.lgs. 145/2007, rientrano in questa categoria: il che richiederà un delicato coordinamento nell’applicazione delle due normative.
Le pratiche aggressive sono invece quelle che mediante molestie, coercizioni, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limitino o siano idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio, inducendolo ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso (art. 24).
In relazione ad entrambe le categorie di pratiche il Codice (artt. 23 e 26) fornisce un elenco tassativo di ipotesi da ritenersi in ogni caso vietate (c.d. lista nera); ma occorre tenere presente che sono altresì vietate tutte le pratiche che, seppur non presenti in tale elenco, siano ingannevoli o aggressive ai sensi delle definizioni contenute nei descritti artt. 21 e 24, o siano comunque scorrette ai sensi della clausola generale posta dall’art. 20 c. 2, che deve ritenersi una vera e propria norma di chiusura del sistema.
Il punto più delicato dell’intera disciplina è senza dubbio quello legato alla sua applicazione
e ai rimedi azionabili a protezione dei consumatori.
Il Codice, oltre a prevedere un sistema di autodisciplina fondato sui codici di condotta che le associazioni professionali possono adottare e la cui applicazione è affidata agli appositi organismi di controllo previsti negli stessi codici (artt. 27-bis e 27-ter), attribuisce il potere di applicare le norme in esame all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 27).
L’Autorità, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto interessato (e dunque, pare, anche delle imprese concorrenti, come risulta confermato da quanto dispone l’art. 27-ter), avvia un procedimento finalizzato all’accertamento della pratica scorretta e volto a inibire la diffusione o la continuazione della pratica, nonché a eliminarne gli effetti (art. 27 cc. 2 e 8). Inoltre, l’Autorità dispone a carico dell’impresa responsabile una sanzione amministrativa pecuniaria che tiene conto della gravità e della durata dell’infrazione (da un minimo di 5.000 euro a un massimo di 500.000 euro). Contro i provvedimenti dell’Autorità è ammesso solo il ricorso al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
In tal modo il legislatore ha predisposto un accurato sistema di sanzioni volto essenzialmente alla tutela del mercato e dei consumatori considerati collettivamente (e si noti che gli interessi collettivi dei consumatori sono altresì protetti anche tramite le azioni inibitorie che le associazioni di consumatori possono proporre ai sensi dell’art. 140 del Codice), nonché dei concorrenti danneggiati dalle pratiche scorrette.
Xxxxx si dice, però, in merito alla possibilità di invocare altri rimedi, che proteggano individualmente il singolo consumatore danneggiato dalla pratica scorretta93.
92 x. Xxxx. S.U. 15.01.2009, in De Jure, Xxxxxxx, la quale ha stabilito che: «L’apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno distintivo “Light” sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall’esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l’espressione impiegata».
93 V. sul tema dei rimedi, X. XXXXXXXX, Le pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori: l’attuazione della
pporti tra regole di validità
i condotta
La Direttiva CE 29/2005, in proposito, lasciava aperta la possibilità per il legislatore nazionale di prevedere una tutela anche individuale, di fronte al giudice ordinario, ma il Codice non si esprime: sicché la soluzione è rimessa al lavoro degli interpreti.
Sul punto il Codice detta solamente due norme estremamente generiche: da un lato prevede che è fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale a norma dell’art. 2598 c.c. (art. 27 c. 15): il che, però, riguarda esclusivamente la tutela delle imprese concorrenti; e dall’altro dispone che le norme in tema di pratiche commerciali scorrette “non pregiudicano l’applicazione delle disposizioni normative in materia contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità od efficacia del contratto” (art. 19, c. 2 lett. a), con un’apertura alla disciplina generale del codice civile in materia contrattuale, che tuttavia non aiuta a chiarire i rimedi a disposizione del consumatore.
Rimane pertanto affidato all’interprete e alla giurisprudenza il compito di stabilire quali azioni possa esperire un consumatore che, per ipotesi, abbia stipulato un contratto che non avrebbe altrimenti concluso in assenza della pratica scorretta e dell’indebito condizionamento da parte dell’impresa.
Si tratta di compito non affatto facile, che tocca, fra l’altro, il delicato tema dei rapporti tra regole di validità e regole di condotta (o di responsabilità).
Diverse sono le soluzioni possibili.
Secondo una prima ricostruzione i contratti conclusi a seguito di una pratica scorretta sarebbero nulli, ai sensi dell’art. 1418 c. 1 c.c., per violazione di norma imperativa. Il divieto di pratiche commerciali scorrette posto dall’art. 20, c. 1, del Codice del consumo varrebbe infatti come norma imperativa la cui violazione implica la nullità dei contratti in tal modo stipulati dall’imprenditore.
Tale nullità, poi, secondo una tesi ancor più specifica, sarebbe da ricondursi alla categoria delle nullità di protezione, il cui modello paradigmatico è fornito dall’art. 36 dello stesso Codice del consumo. Il che sarebbe opportuno soprattutto in quelle ipotesi in cui il consumatore, in assenza della pratica scorretta, avrebbe stipulato comunque il contratto, ma lo avrebbe fatto a condizioni diverse, per lui più vantaggiose. Sicché, in tal caso, la nullità potrebbe essere azionata solo dal consumatore (nullità relativa) e investirebbe esclusivamente le clausole frutto del comportamento scorretto (nullità parziale).
Si ribatte però che la nullità dei contratti, salvo diverse previsioni di legge, non può derivare dalla violazione di una regola di comportamento – quale è quella consistente nel divieto di pratiche scorrette – commessa da uno dei contraenti nella fase precontrattuale94. La nullità del contratto ex art. 1418 c. 1 c.c. potrebbe infatti sussistere, secondo questa tesi, esclusivamente quando il contenuto del negozio sia di per sé in contrasto con la norma imperativa, ma non quando tale contrasto riguardi solamente il comportamento pre- contrattuale delle parti. Tale soluzione è stata ora accolta dalle Sezioni Unite della Cassazione95, le quali, seppure non in riferimento alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, sono state chiamate a pronunciarsi proprio su tali tesi contrapposte.
direttiva 2005/29/CE modifica il codice del consumo, in Obbl. e contr., 2007, 10, 776 ss.
94 Cfr. Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, I, 1105.
95 x. Xxxx., sez. I, ord. n. 3683 del 16 febbraio 2007, che, non condividendo la soluzione che escludeva l’invocabilità della nullità, fatta propria invece da Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, I, 1105 x. Xxxxxxxx, ha chiesto la rimessione della questione alle Sezioni Unite, che si è pronunciata con sentenza del 19 dicembre 2007, n. 26725, commentata da X. XXXXXXX, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, cit., 1 ss. La Suprema Corte ha ritenuto che la violazione delle norme di comportamento nella fase di formazione e di esecuzione del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge,
Preferibile è dunque la forma del risarcimento per violazione di una norma di condotta che incide nella fase pre-contrattuale secondo il modello dell’art. 1337 c.c.
Secondo questa tesi ogni volta che la volontà negoziale di una parte è condizionata illecitamente dal comportamento della controparte si ha responsabilità di chi si è comportato in modo contrario a buona fede, indipendentemente dalla invalidità dello stesso contratto. Il che significa che anche in presenza di un contratto valido può sussistere una responsabilità precontrattuale della parte che, in modo scorretto, abbia indotto l’altra a stipulare a condizioni svantaggiose. Il che è quanto avviene del resto anche nell’ipotesi del dolo incidente ex art. 1440 c.c.
Aderendo a tale ricostruzione si può facilmente concludere che il professionista che ha posto in essere una pratica scorretta ai sensi dell’art. 20 Codice del consumo è responsabile ex art. 1337 c.c. ed è perciò tenuto al risarcimento dei danni consistenti nella differenza tra le condizioni alle quali è stato stipulato il contratto e quelle che si sarebbero fissate in assenza della pratica scorretta.
nullabilità
elevendite
Altre soluzioni vengono proposte. Secondo una tesi96 i contratti stipulati dal professionista che pone in essere una pratica scorretta sarebbero annullabili per dolo o violenza, a seconda dei casi, quando la pratica scorretta possa integrare gli estremi di tali vizi del consenso. E si sottolinea, a sostegno di ciò, che l’annullabilità è proprio predisposta alla repressione di condotte scorrette tenute nella fase prenegoziale. Non si può però non ricordare, in proposito, che l’ambito di operatività del rimedio dell’annullabilità non coincide affatto con quello dei rimedi collettivi previsti dalla disciplina del Codice del Consumo, in quanto rimangono comunque sensibili differenze tra i presupposti necessari per l’applicazione della disciplina del dolo o della violenza e quelli previsti dal Codice del consumo nella definizione delle pratiche scorrette (si pensi ad esempio che le pratiche scorrette sono tali anche se solo idonee a falsare il comportamento del consumatore o a ingannarlo, mentre il dolo o la violenza devono aver causalmente determinato la stipulazione, o alle differenze in punto di elemento soggettivo).
Il Titolo quarto della Parte II del Codice (artt. 28-32), non toccato dalla riforma dell’agosto 2007, predispone infine una specifica tutela in materia di televendite, che va ad aggiungersi a quella predisposta dalla disciplina in tema di pratiche commerciali scorrette e di pubblicità ingannevole. Si tratta di norme che ripetono sostanzialmente quanto già previsto in generale in tema di pubblicità, creando problemi di coordinamento fra le due discipline. Il che risulta ancor più evidente adesso che la disciplina della pubblicità ingannevole non è contenuta esclusivamente nel Codice, ma è dettata dal d.lgs. 145/07 e dagli artt. 18-27-ter del Codice sotto forma di disciplina delle pratiche commerciali ingannevoli. Le televendite infatti sono
non determina nullità ma responsabilità e può essere causa di risoluzione del contratto quando non siano correttamente adempiuti il dovere di protezione e gli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente. Secondo la Corte, infatti, «il dovere di buona fede ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite». L’evoluzione della legislazione speciale non è di per sé sufficiente a dimostrare lo sradicamento del principio di distinzione tra norme di validità e norme di comportamento perché, del resto, «si tratta sempre di disposizioni particolari, che… nulla consente di elevare a principio generale e di farne applicazione in settori nei quali analoghe previsioni non figurano». La Suprema Corte utilizza la distinzione tra regole di validità e di comportamento, ma correggendola. La clausola contraria al divieto può essere considerata nulla ai sensi dell’art. 1418, comma 1, in base ad una valutazione da operare, caso per caso, conformando la ratio della norma con il risultato programmato dalle parti.
00 x. X. XXXXXXXX, op. cit., 781 ss.
definite come “offerte dirette al pubblico attraverso il mezzo televisivo o radiofonico allo scopo di fornire beni o servizi dietro pagamento di un corrispettivo” e pertanto sono ovviamente soggette anche alle disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa, nonché alle norme sulle pratiche commerciali scorrette. Gli artt. 18-32, in ogni caso, vietano in particolare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura, nonché le televendite che offendano la dignità umana.
Nel Titolo primo della Parte terza si riproduce, con qualche modifica, il capo XIV bis del codice civile (Dei contratti dei consumatori) sottratto alla sua originaria collocazione, ma il nuovo testo è a volte carente proprio dove ci si attendeva un chiarimento
4.2.3. La parte terza. Il rapporto di consumo
L’art. 33 del Codice del consumo riproduce il testo dell’art. 1469-bis del codice civile97, con esclusione del secondo comma contenente la nozione di consumatore, oggi accolta dall’art. 3 che abbraccia tutte le definizioni rilevanti all’interno del nuovo Codice.
«Il primo comma dell’articolo in esame definisce come clausole vessatorie quelle che, nel contratto concluso tra il consumatore e il professionista, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
L’ambito di applicazione soggettivo della disciplina risulta delimitato ai contratti conclusi tra un professionista ed un consumatore, inteso quest’ultimo soltanto come «persona fisica, che agisce per scopi estranei rispetto all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta»98.
Emblematico è il riferimento alla buona fede che conserva l’originaria versione sullo squilibrio “malgrado la buona fede”. Molti avevano segnalato l’errore di traduzione della Direttiva rispetto alle altre versioni nazionali, ove era chiara l’enunciazione di un significato oggettivo della clausola che doveva tradursi in una contrarietà alla buona fede. Mentre il termine malgrado lasciava intravedere un significato soggettivo riferito allo status psicologico del professionista.
Sia il Consiglio di Stato99, nel suo parere, sia la Commissione100 avevano espresso la volontà di correggere il testo, ma alla fine è prevalsa l’idea contraria per il timore, infondato, di violare la delega con una modifica al testo del codice civile. E nella relazione si motiva tale scelta in modo chiaro e non formale. “Il testo attuale offre un maggior livello di tutela al consumatore, permettendo di qualificare come abusive le clausole contrattuali che determinano un significativo squilibrio tra le prestazioni, in danno del consumatore, nonostante la buona fede soggettiva dell’altro contraente, senza richiedere l’accertamento ulteriore della violazione delle regole della buona fede”.
97 «Gli artt. 1469-bis-sexies facenti parte del capo XIV-bis (“Dei contratti del consumatore”) sono stati introdotti nel c.c. dall’art. 25, l. 6 febbraio 1996, n. 52, per dare attuazione alla direttiva 93/13/CEE. L’art. 142 del codice del consumo ha previsto che gli artt. 1469-bis-sexies siano sostituiti da un nuovo art. 1469-bis a norma del quale “Le disposizioni del presente titolo si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”». V. il commento di X. XXXXXXXX, sub art. 33 co. 1, in Codice del consumo, Commentario a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2007.
98 X. XXXXXXXX, sub art. 33, comma 1, in Codice del consumo, cit. Per il significato delle definizioni di consumatore e professionista si veda il commento all’art. 3 del Codice del consumo.
99 Consiglio di Stato, Sezione consultiva, n. 1160/04, Adunanza del 20 dicembre 2004.
100 G. ALPA, Codice del consumo, cit., 25.
La verità è un’altra101. Tale scelta ci isola dagli altri ordinamenti e pone comunque un problema interpretativo e di armonizzazione che induce a propendere, ancora, per un significato oggettivo della buona fede come regola di condotta che integra la norma di validità sul significativo squilibrio. Con ciò non si aggrava affatto la posizione del consumatore, ma si rende coerente la disposizione nazionale con la ratio del legislatore comunitario che punisce uno squilibrio, non oggettivo ma determinato da un contegno del professionista ricavabile nel contesto concreto dell’operazione posta in essere dalle parti e agevolato da una serie di presunzioni legali102. Il contenuto dell’art. 39 rafforza ora tale lettura, come si dirà nel proseguo103.
Art. 33, comma 2
Sulle clausole contenute nella seconda parte della norma sono opportune alcune brevi notazioni preliminari. Si tratta anzitutto non di presunzioni ma di un riparto dell’onere probatorio, diverso da quello previsto dall’art. 2697 c.c.104, per la valutazione di clausole che possono essere classificate secondo una partizione ancora utile per sistemare un materiale assai ampio.
È possibile distinguere fra clausole di squilibrio che determinano, appunto, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto e clausole di sorpresa che “rendono l’esecuzione del contratto molto differente da quella che il consumatore legittimamente potrebbe aspettarsi”. Questa distinzione che era usata da una Proposta di Direttiva, antecedente a quella poi emanata nel 1993, può essere ancora utilizzata suddividendola in una serie di sottocategorie. Per quanto concerne lo squilibrio si possono raggruppare ipotesi che riguardano la disponibilità del vincolo, la responsabilità del consumatore, la responsabilità dell’impresa e, per quanto attiene alla sorpresa, si possono isolare aspetti attinenti alla prosecuzione del vincolo e alla determinazione del regolamento105.
4.2.3.1. Art. 34. Accertamento della vessatorietà; Art. 35. Forma e interpretazione delle clausole.
Criteri rpretativi
L’art. 34106 contiene i criteri per la determinazione della vessatorietà delle clausole e per l’applicazione del relativo regime di disciplina, individuando una serie di criteri e strumenti variamente graduati. Si elencano indici positivi di valutazione delle clausole negoziali,
101 X. XXXX, op. loc. cit., 25.
102 X. XXXXXXX, Diritto dei contratti e costituzione europea, Milano, 2005.
103 X. XXXXX, sub art. 1469-ter commi 1 e 2, in Commentario al capo XIV-bis del codice civile, a cura di C. M. Xxxxxx e F.
D. Xxxxxxxx, Padova, 1999, 727.
Xxxx’interpretazione da attribuire alla buona fede, la giurisprudenza è oscillante.
Il Tribunale di Torino (Trib. Torino, 12 aprile 2000, in Giur. it., 2001, 505) ha ritenuto che la locuzione “malgrado la buona fede” debba «essere intesa e valutata in senso oggettivo e cioè quale lealtà e correttezza nella fase delle trattative» (conformemente anche: Trib. Torino, 7 giugno 1999, in Foro it., 2000, 299).
La Corte d’Appello di Roma (App. Roma, 24 settembre 2002, in Giur. it., 2003, 119) ha, invece, ritenuto che la locuzione “malgrado la buona fede” significhi «nonostante la buona fede», «pur sussistendo la buona fede».
104 P. SIRENA, Presunzione di vessatorietà, in Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, Commentario a cura di X. Xxxx e S. Patti, Milano, 2003, 207.
000 X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 914 ss.
106 Il testo relativo agli artt. 34 e 35 è tratto dal commento di X. XXXXXX, sub art. 34-35, in Codice del consumo, a cura di X. XXXXXXX, Padova, 2007.
formulazioni negative volte a circoscrivere il sindacato giudiziale e circostanze che escludono il carattere abusivo.
Il primo comma dell’art. 34 richiede per il giudizio di vessatorietà l’esame di elementi contenuti nel contratto e di circostanze esterne esistenti al momento della stipulazione del contratto. Con riguardo anche alle clausole di un altro contratto collegato o da cui il medesimo contratto dipenda.
Il riferimento alla natura del bene o del servizio di cui al primo comma della norma deve essere analizzato in modo coordinato con la regolamentazione in concreto degli interessi delle parti e l’assetto dalle stesse predisposto (salve le previsioni dell’art. 33 che individuano una disciplina derogatoria per contratti aventi specifici oggetti); tale considerazione emerge dalla lettura del comma successivo ai sensi del quale la determinazione dell’oggetto delle prestazioni contrattuali, se effettuata in modo chiaro e comprensibile, è irrilevante ai fini dell’iter di accertamento della vessatorietà in ossequio al principio di autonomia privata.
L’ulteriore criterio positivo – rappresentato dalle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto – dà rilievo al contesto che ha determinato la manifestazione del consenso negoziale. Possono dunque rilevare, in via esemplificativa, le modalità con cui il consumatore è addivenuto alla stipulazione del contratto (se sia stata promossa di sua iniziativa ovvero se sia stato indotto da pressioni o condizionamenti), la situazione soggettiva del consumatore al momento della stipulazione negoziale (se si trovava in stato di urgenza o di bisogno), l’entità dello squilibrio (economico o culturale del consumatore) ed il rapporto di “forza” tra le parti107.
Oltre alle circostanze esterne, l’interprete dovrà fare riferimento alle altre clausole del contratto, o alle clausole di contratti collegati o rispetto ai quali il contratto di riferimento si pone in posizione di dipendenza.
La norma fornisce, dunque, due parametri: l’interpretazione complessiva del contratto; e la valutazione di clausole di contratti collegati o dipendenti.
Quanto al primo aspetto, risulta chiaro come il giudizio di accertamento di vessatorietà
«non possa prescindere dalla valutazione complessiva del rapporto contrattuale in cui la clausola stessa è contenuta e che va a comporre. La dimensione sistematica si pone in termini di pari rilevanza con quella letterale: il sospetto di vessatorietà deve essere vagliato alla luce del più ampio assetto predisposto dalle parti, per verificare se la sperequazione che essa determina (o che si presume sussistente) non sia compensata o comunque annullata da altra previsione a vantaggio del consumatore e che riporta in equilibrio l’asse negoziale»108. La seconda dimensione di accertamento concerne le disposizioni di negozi collegati109 o relazionati da nessi di dipendenza110, ampliando così la cognizione del giudice sino alla valutazione della complessa operazione economica avuta presente dalle parti.
107 Quanto osservato è indicativo dello stretto rapporto che sussiste tra il criterio in oggetto e la nozione di buona fede oggettiva.
108 X. XXXXXX, sub artt. 34-35, in Codice del consumo, cit.
109 La nozione di collegamento contrattuale, nata dall’elaborazione dottrinale ed accolta dalla giurisprudenza, rinvia alla sussistenza di un rapporto di dipendenza funzionale tra fattispecie contrattuali strutturalmente autonome volte al raggiungimento di un risultato comune. In dottrina, in modo pressoché unanime, si pone a fondamento del collegamento negoziale l’art. 1322 comma 1 c. c., ovvero l’autonomia contrattuale delle parti, che consente di derogare allo schema tipico dando rilievo all’operazione economica unitaria sottostante.
110 In dottrina si è discusso circa il significato da attribuire a tale rapporto di “dipendenza” contrattuale. L’interpretazione più corretta è quella che riconduce tale nozione al più ampio genus del collegamento caratterizzata, più precisamente, da una relazione unilaterale tra contratti (ovvero: il contratto tra professionista e
Il comma successivo prevede due criteri “in negativo”, ovvero i parametri (determinazione dell’oggetto del contratto ed adeguatezza del corrispettivo di beni o servizi) cui l’interprete non dovrà fare riferimento nel valutare la vessatorietà di una clausola, purché gli stessi siano determinati in modo chiaro e comprensibile.
La norma esprime l’irrilevanza – ai fini del giudizio di vessatorietà – di un controllo di congruità dello scambio, in ossequio alla libertà delle parti di determinare in via autonoma le prestazioni: la vessatorietà di una clausola negoziale non può fondarsi in via esclusiva sulla inadeguatezza economica del sinallagma, quanto sulla distribuzione diseguale di posizioni giuridiche tra le parti. È dunque rilevante il solo squilibrio normativo i cui termini di comparazione sono le posizioni giuridiche delle parti dedotte in contratto, e non lo squilibrio meramente economico.
La formulazione della norma richiede alcune precisazioni.
Se risulta chiara l’esclusione dell’accertamento diretto dell’equilibrio economico ai fini del giudizio di vessatorietà, non vi è nella norma una preclusione generale del ricorso ai citati indici quali elementi funzionali al sindacato di vessatorietà di altre clausole negoziali. «Le clausole determinative dell’oggetto e del prezzo e l’eventuale sperequazione economica possono dunque essere utilizzate quale strumento di valutazione nel giudizio di altre pattuizioni»111, ben potendo essere il profilo economico rilevante anche alla luce di quanto risulta dal diciannovesimo Considerando della Direttiva 93/13112.
Le osservazioni svolte presuppongono la possibilità di individuare ed isolare mediante l’attività interpretativa le pattuizioni determinative dell’oggetto e relative all’adeguatezza del corrispettivo. Tale operazione ermeneutica non è tuttavia sempre agevole, come accade, per esempio, per quelle clausole che nel determinare l’oggetto si combinano con altre pattuizioni. Un esempio è fornito dal citato XIX° Considerando della Direttiva 93/13 con riferimento alle clausole di individuazione dell’oggetto nei contratti assicurativi le quali, frequentemente, celano, oltre al rischio assicurativo (oggetto del contratto), forme di limitazione o di esclusione di responsabilità del professionista, previsioni queste presuntivamente vessatorie113.
consumatore che dipende da un altro contratto) ove invece con “collegamento” negoziale si indica un fenomeno di interdipendenza di tipo bilaterale.
111 X. XXXXXX, sub artt. 34-35, in Codice del consumo, cit.
112 “Considerando che, ai fini della presente direttiva, la valutazione del carattere abusivo non deve vertere su clausole che illustrano l’oggetto principale del contratto o il rapporto qualità/prezzo della fornitura o della prestazione; che, nella valutazione del carattere abusivo di altre clausole, si può comunque tener conto dell’oggetto principale del contratto e del rapporto qualità/prezzo; che ne consegue, tra l’altro, che nel caso di contratti assicurativi, le clausole che definiscono o delimitano chiaramente il rischio assicurato e l’impegno dell’assicuratore non formano oggetto di siffatta valutazione qualora i limiti in questione siano presi in considerazione nel calcolo del premio pagato dal consumatore”.
000 X. Xxx. Xxxx, 0 xxxxxx 0000, xx Xxxx xx., I, 2002, c. 2823 ss. nella quale è contenuto un elenco di alcune delle più comuni clausole volte a regolamentare contratti di assicurazione, ritenute non vessatorie in quanto attinenti all’oggetto del contratto; tra esse, via esemplificativa, si ricorda le clausole che elencano “beni non compresi nell’assicurazione contro il rischio di incendio” o, infine, quelle che individuano “i danni indennizzabili ed i criteri per la determinazione dell’indennizzo”. In senso analogo, X. Xxxx. Xxxxxxx, 00 maggio 2004, in Danno e resp., 2005, p. 558 ad avviso del quale “la clausola che esclude la copertura assicurativa nel caso di veicolo guidato da persona in stato di ebbrezza delimita l’oggetto del contratto e, pertanto, non necessita di specifica approvazione per iscritto”.
Il riferimento ai contratti assicurativi è indicativo dell’importanza di distinguere il piano contenutistico della prestazione delle parti, dal profilo della responsabilità (limitata o esclusa) del professionista modulata nella stessa pattuizione.
Come accennato, la norma sottrae al sindacato giudiziale di vessatorietà le clausole relative alla determinazione dell’oggetto del contratto ed all’adeguatezza del corrispettivo, purché siano formulate in modo chiaro e comprensibile. L’ambiguità e l’assenza di chiarezza legittimano, in applicazione del principio di buona fede, un ampliamento del potere conoscitivo dell’interprete alla congruità economica del contratto.
Tale previsione intende fornire una tutela sostanziale alla parte debole espandendo il controllo giudiziale al cuore del negozio nel caso in cui vi sia il sospetto di un comportamento contrario a buona fede che si traduce nell’ambiguità della formulazione e nella difficoltà per il consumatore di comprendere il preciso significato del rapporto cui è vincolato114. La norma è quindi espressione di quell’obbligo di trasparenza nella redazione delle clausole contrattuali e nella loro prospettazione al consumatore sancito in via generale dal successivo articolo 35.
Il terzo comma dell’art. 34 esclude la vessatorietà delle clausole contrattuali riproduttive di disposizioni di legge o attuative di convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli stati membri dell’U.E. o l’U.E. ciò in quanto gli assetti negoziali che derivano dalla applicazione e riproduzione di tali disposizioni sono da considerarsi equilibrati e non possono contenere forme di vessatorietà.
La norma, identica alla formulazione precedente, non fa tuttavia riferimento alle disposizioni regolamentari a differenza della previsione della Direttiva 93/13 il cui art. 1 comma 2 testualmente disponeva che “le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva”. Al riguardo si sono formati in dottrina due orientamenti, l’uno sostenitore di una interpretazione sostanziale della norma, l’altro più rispettoso della lettera e, pertanto, del riferimento alla “legge” in senso formale e ad atti equiparati; anche nella giurisprudenza di merito sono emersi tali orientamenti con differenti pronunce a favore dell’uno o dell’altro115. Quanto alla prima tesi, si è osservato come l’espressione “disposizioni di legge” debba essere intesa non in senso tecnico-giuridico, quanto nel senso di previsioni esterne alle parti, nel significato, dunque, di diritto obiettivo senza distinzione tra fonte legislativa e regolamentare. Appare tuttavia preferibile l’orientamento che, in ossequio alla lettera della norma, considerato che il legislatore italiano xxx avrebbe potuto recepire la previsione della direttiva, sottopone alla valutazione giudiziale di vessatorietà clausole riproduttive di fonti secondarie.
Per quanto concerne il riferimento alle disposizioni attuative di convenzioni internazionali, si è rilevata la superfluità considerato che la ratifica e l’ordine di esecuzione assurgono al rango di disposizioni legislative e, pertanto, trova per esse applicazione il limite oggettivo sopra esposto.
Ai sensi del quarto comma dell’art. 34 sono escluse dal giudizio di vessatorietà le pattuizioni “oggetto di specifica trattativa individuale”, espressione dell’autonomia privata delle parti ed applicazione del principio di autoresponsabilità, sempreché la trattativa presenti i requisiti della individualità (come espressamente disposto dal legislatore) e dell’effettività. Occorre dunque soffermarsi su detti requisiti e sul loro atteggiarsi agli effetti della previsione in oggetto, questione rilevante anche ai fini probatori.
114 V. al riguardo Trib. Firenze, 19 agosto 2004, in Foro toscano, 2005, p. 35 con nota di DI MARCO; Trib. Firenze, 4 febbraio 2003, in Foro toscano, 3003, p. 7, con nota di XXXXX.
115 Nel senso di una interpretazione formale, Trib. Palermo, 8 marzo 1999, in Danno e resp., 1999, p. 683 e Trib. Palermo, 22 ottobre 1997, Giur. It., 1998, 1608; nel senso, invece, di una lettura più ampia, Trib. Roma, 2 agosto 1998, in Foro it., 1997, I, 3010.
ezza e rensibilità
Requisito fondamentale è l’effettività della trattativa, elemento che impone un’indagine sul carattere sostanziale della negoziazione. Al consumatore deve essere attribuito un effettivo (e non meramente formale) potere di incidere in concreto sul contenuto del contratto; non sono infatti requisiti sufficienti la semplice conoscenza delle clausole, la loro accettazione o la pura e semplice modifica delle stesse: occorre una attività concorrente delle parti diretta a convenire il contenuto del contratto116.
La prescrizione legislativa in termini di individualità e, dunque, la necessità che il consumatore partecipi personalmente alla contrattazione, discutendo e ponendo in essere la trattativa col professionista, ha posto agli interpreti il problema della necessità di una trattativa individuale per ogni clausola contrattuale, ovvero, della sufficienza di una valutazione globale del contratto dalla quale risulti che lo stesso sia stato negoziato tra le parti, estendendo così la trattativa parziale (ed i suoi effetti) alla parte restante del contratto. Deve tuttavia ritenersi che oggetto della valutazione giudiziale in questo contesto non sia il contratto nel suo complesso, ma la singola clausola: la diversa lettura finirebbe per svuotare di significato il requisito della trattativa individuale, legittimando condotte abusive del professionista volte a fornire un’apparenza formale di negoziazione del contratto nel suo complesso.
Tale ricostruzione ha rilevanti effetti pratici, in primis, a livello probatorio: la prova dell’avvenuta negoziazione deve infatti riferirsi alle clausole in modo specifico, non essendo sufficiente la prova di una negoziazione complessiva del contratto, seppure relativa alle pattuizioni maggiormente rilevanti. L’esclusione della vessatorietà è dunque ammissibile solo per quelle clausole per le quali il professionista abbia dimostrato l’avvenuta negoziazione in termini di serietà ed effettività.
Individuata in questi termini la trattativa rilevante ai fini dell’art. 34, assume importante rilievo pratico il profilo dell’onere probatorio.
L’ultimo comma della norma pone a carico del professionista l’onere di provare – in caso di contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali – che le clausole, o gli elementi di clausola siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore. In tale modo il legislatore ha inteso rafforzare la funzione di protezione della disciplina con riferimento alle ipotesi più “rischiose” (i contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari).
Nonostante la norma faccia espresso riferimento ai contratti predisposti unilateralmente mediante moduli o formulari, deve ritenersi che l’onere probatorio della trattativa gravi “in positivo” in testa al professionista anche in tutte le altre ipotesi ove, cioè, il contratto sia stato specificamente predisposto per quella negoziazione. Tale conclusione, che si fonda altresì sul principio della vicinanza alla prova, è sorretta da esigenze di ragionevolezza, parità di trattamento e dalla ratio di tutela e protezione del consumatore, considerato che una diversa interpretazione ne aggraverebbe la posizione da un punto di vista probatorio117.
Il comma 1 dell’art. 35 prescrive a carico del professionista l’obbligo di chiarezza e di comprensibilità nel redigere e nel proporre (tutte od alcune) clausole contrattuali al
clausole
1
16 Sono di per sé sole inidonee a fondare la prova della trattativa le circostanze per le quali le condizioni unilaterali siano state lette ad alta voce, ovvero illustrate o spiegate al consumatore, od ancora oggetto di doppia sottoscrizione.
Trib. Bologna, 14 giugno 2000, in Corr. Giur., 2001, p. 527 ss. (con nota di XXXXX): “la dichiarazione che il consumatore renda in calce alle clausole abusive circa la loro preventiva negoziazione con il professionista, se espresse nell’ambito di contratti di massa, non è sufficiente a dimostrare che sia realmente intercorsa fra le parti una trattativa idonea a vincere la presunzione di vessatorietà di cui all’art. 1469-ter comma 4 c.c.”.
117 In questo senso Cass., 29 settembre 2004, n. 19591, in Rep. Foro it., 2004, Contratto in genere [1740], n. 383.
erpretatio
contra oferentem
consumatore: la chiarezza nella redazione e la comprensibilità della terminologia utilizzata sono elementi funzionali alla effettiva comprensione del rapporto contrattuale.
“Chiarezza” e “comprensibilità” (riunite nella dizione ormai accolta di “obbligo di trasparenza”) non sono concetti sovrapponibili, seppure connessi: dalla prescrizione in termini di chiarezza emerge la necessità dell’utilizzo da parte del professionista di meccanismi redazionali semplici e leggibili nella presentazione del contratto (con riguardo, in via esempli- ficativa, alla dimensione dei caratteri tipografici); dal requisito della comprensibilità risulta il carattere accessibile della lingua e della terminologia utilizzata, la quale deve corrispondere ad un livello di tecnicità ragionevole che consenta una effettiva comprensione.
La violazione dell’obbligo di trasparenza da parte del professionista è indice di vessatorietà e ne configura elemento idoneo a fondare il relativo giudizio in quanto manifestazione di contrarietà a buona fede118.
Il secondo comma dell’art. 35 sancisce il criterio della c.d. interpretatio contra proferentem disponendo che, nel caso in cui il senso di una clausola sia ambiguo, prevalga l’interpretazione più favorevole al consumatore.
La norma contiene un precetto analogo a quello dell’art. 1370 c.c. in tema di interpretazione del contratto in generale, ma a differenza di questo, il suo ambito di applicazione non è limitato ai contratti conclusi sulla base di condizioni generali, di moduli o formulari, ma si estende a tutte le ipotesi di contratti stipulati tra consumatore e professionista.
«Analogamente alle problematiche sorte nell’ambito dell’interpretazione del contratto in generale circa il rapporto tra il principio dell’interpretazione contro l’autore della clausola (ex art. 1370 c.c.) ed il principio di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), si è posta la questione di quale sia il criterio prevalente» nel caso in cui una stessa clausola possa, contestualmente, dar luogo ad un giudizio di vessatorietà o meno. Può infatti accadere che la medesima clausola che comporti un vantaggio per il predisponente ed uno svantaggio per il consumatore sia interpretata sia nel senso della validità che della vessatorietà: in questo caso l’interpretazione in concreto più favorevole per il consumatore sarebbe quella che conduce alla declaratoria di vessatorietà. In dottrina si è sottolineato come la soluzione alla problematica possa desumersi dall’ultimo comma dell’art. 35119 «a mente del quale il principio della interpretatio contra proferentem non si applica nei procedimenti inibitori instaurati ai sensi dell’articolo 37. A fondamento di tale norma vi è l’esigenza di evitare che il professionista, in sede di ricorso avverso clausole dallo stesso predisposte, possa evitare la declaratoria di vessatorietà sostenendo l’applicazione del criterio dell’interpretazione più favorevole al consumatore, garantendo in tal modo la “sopravvivenza” della clausola medesima e della situazione più vantaggiosa. Alla luce di tale previsione in tema di azione inibitoria e dell’esigenza di evitare usi pretestuosi, si è osservato come in caso di possibile, duplice inter- pretazione delle clausole ambigue, il criterio interpretativo sia quello di scegliere sulla base di una valutazione comparativa fra i diritti e gli obblighi che ciascuna interpretazione farebbe
118 In tal senso Trib. Roma, 21 gennaio 2000, in Foro it., 2000, I, 2045, con nota di X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, in Corr. giur., 2000, 496, con nota di X. XXXXXXXX, X. XX XXXX e in Nuova giur. civ., 2000, I, 473, con nota di X. XX XXXX, X. XXXXXX, X. XXXXX.
000 Norma introdotta dall’art. 25 della legge comunitaria 21 dicembre 1999 n. 526 a seguito delle indicazioni espresse dalla Commissione CE, in occasione di un procedimento di infrazione avviato contro lo Stato italiano per imperfezioni nel recepimento della Direttiva 93/13.
sorgere in capo al consumatore, anche se ciò possa condurre alla declaratoria di vessatorietà»120.
4.2.3.2. Nullità di protezione.
ee dizionali
sso fonti europee
La norma prevista dall’art. 36 è segnalata, nella stessa Relazione, come uno degli aspetti fondamentali della disciplina speciale e della scelta del codice di consumo. Il quale non segue, si osserva, il “concetto formale di eguaglianza” del codice di diritto comune ma un orientamento diverso. Basato su “meccanismi di riequilibrio”, nullità di protezione e “strumenti di tutela processuale a carattere associativo, capaci di sopperire alla debolezza economica e professionale del consumatore, visto come individuo singolo”121. Sicché si è sentita la necessità di “riportare detti principi speciali nell’ambito del codice di settore”, ove si sostituisce “il termine efficacia con quello, più tecnico di nullità” nell’art. 36, si è previsto la tutela inibitoria nell’art.37 e si sono richiamate nell’art. 38 le disposizioni del codice civile.
L’art. 36122, dunque, introduce un’importante svolta sistematica, perché al posto dell’inefficacia, che figurava nell’art. 1469-quinquies, prevede come conseguenza della vessatorietà delle clausola la “nullità di protezione”.
L’importanza del mutamento emerge se si considera che il codice del 1942 è stato concepito sulla base di una concezione della invalidità che ha, poi, costituito per decenni, lo “strumento interpretativo della disciplina della nullità”.
Le idee tradizionali in materia erano:
– la irrilevanza dell’atto nullo come tale inadatto ad una gradazione di trattamento;
– la natura “necessariamente pubblica” dell’interesse protetto contrapposto a quello individuale dei contraenti, sicché la figura non si prestava alla tutela di una sola parte contraente.
Da ciò discendeva «una ricostruzione in termini rigidamente bipolari delle invalidità negoziali»123: la nullità, al cui fondamento era posto esclusivamente un interesse pubblico e perciò insanabile, imprescrittibile, assoluta e rilevabile con un’azione di natura dichiarativa; l’annullabilità espressa da un interesse di natura privata e perciò sanabile, prescrittibile, rilevabile soltanto dai soggetti individuati dalla legge. Al fine di graduare il trattamento del regolamento negoziale, si ricorreva, spesso, a forme di inefficacia parziali quanto all’oggetto, o relative rispetto all’ambito soggettivo della sua estensione.
Il quadro tradizionale delle invalidità è entrato definitivamente in crisi con l’influsso delle fonti europee che hanno introdotto le c.d. nullità di protezione, ovvero nullità che tutelano una delle parti del rapporto ritenuta portatrice di un interesse meritevole di un particolare rilievo.
Si tratta di ipotesi di nullità associata a forme di legittimazione relativa del solo contraente protetto, il quale è il solo a poter far valere la nullità (secondo uno schema già previsto nell’art. 1421 c.c.). Si prevedono anche forme di nullità necessariamente parziali, che non comportano mai la caducazione del contratto nella sua interezza, e che si affiancano al diverso criterio dell’art. 1419, primo comma, x.x.
000 X. XXXXXX, sub artt. 34-35, in Codice del consumo, cit.
121 V. Relazione al d.lgs. al codice del consumo, a norma dell’art. 7 della legge 29 luglio 2003 n. 229.
122 Il testo relativo all’art. 36 è tratto dal commento di X. XXXXXXXXXX, sub art. 36, in Codice del consumo, cit.
123 X. XXXXXXXXXX, sub artt. 36, 38, in Codice del consumo, cit.
Il primo comma dell’art. 36 prevede che in presenza di clausole vessatorie nulle il contratto “rimane valido per il resto”, a prescindere dall’intento delle parti (art. 1419, primo comma).
Il terzo comma dispone che la nullità operi “a solo vantaggio del consumatore”. Si tratta dunque di una nullità relativa che può essere annoverata all’interno delle nullità speciali di protezione, come indica espressamente la sua titolazione.
ezione del istributore
Il quarto comma riproduce il penultimo dell’art. 1469-quinquies c.c. sostituendo la “nullità” alla “inefficacia”, senza però mutare il precetto normativo, rispetto al quale è rimasto inalterato il dibattito interpretativo124.
La norma, consente al contraente professionale (il grossista) di riversare sul fornitore (ad esempio il produttore), dante causa, le conseguenze della nullità di una o più clausole abusive125. Della protezione del distributore beneficia, però, al contempo, anche lo stesso consumatore, perché evita che il venditore addossi al consumatore i propri rischi contrattuali, sotto forma di maggior corrispettivo del bene o dei servizi oggetto del contratto.
Il quinto comma dell’art. 36 riproduce il disposto dell’ultimo comma dell’art. 1469- quinquies, con la sola diversa previsione della nullità in luogo della inefficacia. La norma concerne l’ipotesi in cui si sia scelto di applicare la disciplina dettata da un Paese extracomunitario. Il contratto sarà nullo ove presenti un collegamento più stretto con il territorio di uno Stato dell’U. E. e la scelta abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicuratagli dalle norme poste dal “presente capo”126 del Codice del consumo. La disciplina deve essere oggi coordinata con quanto disposto dall’art. 143 dello stesso Xxxxxx, secondo cui “I diritti attribuiti al consumatore dal codice sono irrinunciabili” ed è pertanto “nulla ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni del codice”.
Ne discende che le norme in commento sono di applicazione necessaria, perché, in base a quanto previsto dal secondo comma dell’art. 143, al consumatore devono essere riconosciute le condizioni minime di tutela previste dal codice ove le parti abbiano scelto una legge applicabile diversa da quella italiana.
4.2.3.3. Art. 37 Azione inibitoria.
L’art. 37127 del Codice del consumo riproduce l’art. 1469-sexies c.c., introducendo un nuovo quarto comma che rinvia all’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 140 “per quanto non previsto dal presente articolo”. Contiene un rinvio all’art. 137 al fine di determinare il requisito della rappresentatività delle associazioni dei consumatori.
124 Per una ricognizione ed un convincente tentativo ricostruttivo, X. XXXXXXX, Commento all’art. 1469-quinquies, comma 4, in Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, a cura di X. XXXXXXX, Padova, 1999, p. 191 ss.
125 V. ancora X. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 192-195; X. XXXXX, Commento all’art. 1469-quinquies, 4 comma, in Clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, a cura di Xxxx e Patti, Milano, 2003, p. 1083 ss.
126 Quest’ultima indicazione, riferita testualmente ad un “capo”, in mancanza di una suddivisone in “capi” del Titolo I della parte terza, deve intendersi ragionevolmente come riferita all’intero “Titolo”, cioè agli artt. da 33 a 38 del Codice.
127 Il testo relativo all’art. 37 è tratto dal commento di X. XXXXXXXX, sub art. 37, in Codice del consumo, Commentario a cura di X. XXXXXXX, Padova, 2007.
La tutela prevista dall’art. 37 è di tipo preventivo e collettivo e può essere esercitata con un’azione di carattere generale volta a richiedere all’autorità giudiziaria l’inibizione dell’uso delle condizioni di cui sia accertata la vessatorietà128. Tale tipo di tutela può essere concessa a conclusione di un procedimento ordinario oppure in presenza di “giusti motivi d’urgenza” an- che in sede cautelare.
La legittimazione attiva ad esperire l’azione inibitoria spetta oggi ai soggetti individuati nello stesso art. 37, ovvero le associazioni rappresentative dei consumatori di cui all’art. 137 del Codice del consumo, le associazioni dei professionisti e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. Si deve, inoltre, ricordare che il decimo comma dell’art. 140 prevede che “per le associazioni di cui all’art. 139 l’azione inibitoria prevista dall’art. 37 in materia di clausole vessatorie nei contratti stipulati dai consumatori, si esercita ai sensi del presente articolo” e dunque sono legittimati ad esperire l’azione di cui all’art. 37 anche “gli organismi pubblici indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciuti in altro stato dell’Unione europea ed inseriti nell’elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee”, indicati al secondo comma dell’art. 139.
4.2.4. La parte quarta. Sicurezza e qualità
In tale parte, nel Titolo I (artt. 102-113) si recepiscono, con alcune modificazioni, le disposizioni della Direttiva 2001/95 e si dà concretezza al contenuto del diritto fondamentale di cui alla lett. b) dell’art. 2. Nel Titolo II sulla Responsabilità per danno da prodotti difettosi, (artt. 114-127) si riproducono le disposizioni contenute nel D.P.R. 24 maggio 1998 n. 224 modificate dal D.L. 2 febbraio 2001, n. 25. Nel Titolo III sulla Garanzia legale di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo, si inseriscono nel codice di settore gli artt. da 1519-bis a 1519-octies del codice civile, in tema di vendita di beni di consumo.
4.2.3.4. Art. 38.
L’art. 38129 detta le regole che concernono i rapporti tra il Codice del consumo e la disciplina generale contenuta nel Codice Civile. Si prevede che le norme generali si applicano ai contratti dei consumatori solo per quanto non previsto dal Codice del consumo.
La norma deve essere letta unitamente all’art. 142 del Codice speciale che nell’abrogare gli artt. 1469 da bis a sexies c.c. del Codice civile, introduce,in quel testo, un nuovo art. 1469-bis:
“Le disposizioni del presente Titolo si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal Codice del Consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”.
In tal modo si istituisce un rapporto di specialità tra la fonte generale – cioè il Titolo II del libro IV del Codice civile, Dei contratti in generale – e le norme speciali contenute oltre che nel Codice del consumo anche in “altre disposizioni più favorevoli al consumatore”.
128 X. XXXXXXXX, I contratti con i consumatori, cit., 370.
129 Il testo relativo all’art. 38 è tratto dal commento di X. XXXXXXXXXX, sub art. 38, in Codice del consumo, cit.
Si viene, in tal modo, a creare un insieme coerente di norme speciali – connotate o dalla loro collocazione nel Codice del consumo o dalla loro ratio di protezione del consumatore ovunque siano collocate – contrapposte all’insieme delle norme generali del Codice Civile, con una conseguenza chiara.
In primo luogo l’interprete sarà tenuto a ricercare le norme più favorevoli al consumatore applicabili in via diretta o analogica al caso. Solo in caso di esito negativo si potrà applicare la disciplina del codice civile.
4.2.5. La parte quinta e la parte sesta
La parte finale del Codice detta regole per le soluzioni stragiudiziali e giudiziali delle controversie e prevede alcune disposizioni finali.
Le tre norme del capo quinto riproducono le disposizioni dell’art. 3 della legge n. 281 del 1998 e i relativi problemi applicativi, già esaminati dalla dottrina, senza arricchire o semplificare il quadro normativo precedente. Ne risulta un sistema di azioni e di tutele di grande interesse che rafforza la protezione individuale, formula un aspetto ancora incompiuto delle azioni collettive, munisce il provvedimento del giudice, in alcuni casi delimitati, di una misura di coercizione volta a rafforzare l’ordine coattivo (130).
Nelle Disposizioni finali spicca (art. 142) il nuovo testo dell’art. 1469-bis del codice civile e l’art. 143 ove si prevede l’irrinunciabilità dei diritti del Codice di consumo.
Le due disposizioni hanno un preciso significato e segnano la riflessione teorica sull’intera disciplina. La prima instaura un nesso di specialità fra disciplina generale del contratto contenuta nel Secondo titolo del libro quarto e la disciplina dei contratti dei consumatori, la seconda potenzia i diritti con la negazione espressa della loro negoziabilità. Ne segue un contesto di regole processuali e sostanziali capaci di un orientamento forte che deve essere analizzato con grande attenzione nel proseguo del commento.
4.3. Il livello di protezione fra regole e principi
Come ho cercato di precisare nelle prime pagine di questo volume, il superamento del progetto borghese costruito sulla parità e sul modello dell’uomo medio esige di ripensare la diversità, senza la ricerca di false unità e nel rispetto di alcuni parametri essenziali (131).
La parità delle situazioni soggettive di fronte alla legge e al giudice, garantita, in Italia, espressamente da norme costituzionali (artt. 24 e 111). L’accertamento giudiziale della diversità mediante l’attuazione di una norma o l’uso di clausole generali. La qualificazione giuridica di un fatto che giustifichi il trattamento differenziato (132). L’elaborazione di nuovi
(130) X. XXXXXXX, La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2002, p. 156 ss.; ID., Commento agli artt. 139, 140 e 141 in questo Quaderno. V. in particolare I. XXXXX, Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3 L. 30 luglio 1998, n. 281), in La nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, a cura di X. Xxxxx, Napoli, 1999, p. 136 ss.
(131) V. sul punto il bel libro di X. XXXX XXXXXXXXXX, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una Giustizia « non amministrativa », Milano, 2005, pp. 115, 116, 117-118, 121-122; e X. XXXXXXX, Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Europa dir. priv., 2006, p. 59.
(132) A. ORSI XXXXXXXXXX, op. cit., p. 117.
(133) rimedi sulla base di queste nuove discipline giuridiche differenziate che esigono uno stretto rapporto fra situazioni sostanziali e processo (134).
Il fine dell’elevato livello di tutela dei consumatori che il Codice si propone va dunque valutato in relazione alle norme, ai diritti e ai principi.
4.4. I «diritti fondamentali dei consumatori»
L’emersione di posizioni fondamentali dei consumatori è stata da tempo segnalata e ricostruita in modo lucido e analitico ed è necessario solo un rinvio (135). Preme qui precisare il senso della enunciazione di quelle situazioni, richiamando un pensiero già espresso altrove.
I diritti non evocano, affatto, un’idea astratta di giustizia contrattuale, ma esprimono l’esigenza di una disparità di trattamento per assicurare una regolazione del mercato, attenta alla tutela di colui che è coinvolto in un rapporto di consumo. Ciò perché « Il consumatore è rappresentativo di una dimensione della persona » e di alcuni diritti, appunto, che costituiscono il limite all’attività di impresa » (136). Fra di essi esiste una gradualità che occorre fissare precisando il riferimento al carattere fondamentale e la distinzione fra diritti soggettivi e principi.
a) Occorre considerare anzitutto che l’art. 169 TFUE « impone alla comunità di
« contribuire a tutelare la salute la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori, mentre l’art. 12 TFUE prevede che «nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività dell'Unione sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori». D’altra parte l’art. 41 della Costituzione italiana tutela la libertà di iniziativa economica e vi pone dei limiti a tutela dell’utilità sociale che è attuata dalla legge a tutela della concorrenza e del mercato (137). Tanto che la Corte di Giustizia riconosce anche al consumatore la possibilità di richiedere il risarcimento del danno causato « da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza » (138). Da tale quadro di principi e dalle norme della legge italiana sulla concorrenza, emerge già un diritto individuale e collettivo dei consumatori al mantenimento di un mercato concorrenziale con una tutela, avanti all’Autorità Xxxxxxx e al giudice ordinario competenti per le azioni di invalidità dei contratti, il risarcimento dei danni e l’inibitoria (139).
b) Nell’art. 2 del Codice del consumo si prevedono garanzie dei diritti, interessi e tutele per la protezione di posizioni individuali e collettive e ancora occorre distinguere fra diritti soggettivi e principi non direttamente applicabili. La qualifica di fondamentali non intende equiparare anzitutto tali situazioni ai « diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, ma sottolineare che questi sono i diritti di base garantiti a tutti i consumatori in quanto tali » (140).
(133) X. XXXXXXXXX, (La formazione del contratto e l’inizio di esecuzione. Dal codice civile ai Principi di diritto europeo dei contratti, in Europa dir. priv., 2005, 2, p. 336) parla di rimedi di terza generazione. V. anche A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, ivi, p. 341 ss.
(134) Richiamo testualmente qui quanto contenuto nel saggio (X. XXXXXXX), Giustizia e rimedi nel diritto europeo ei contratti, in Europa dir. priv., 2006, 1, p. 53 ss.
(135) X. XXXX, Codice del consumo e del risparmio, Milano, 1999; ID., Codice del Consumo. Commentario a cura di X. Xxxx e X. Xxxxx Xxxxxx, op. cit., p. 17 ss.
(136) X. XXXX, Codice del consumo, op. cit., p. 21.
(137) X. xxxxx x. 000 xxx 0000 x xx xxxxxxxx della Cassazione a Sezioni unite n. 2207 del 2005.
(138) Xxxxx xx Xxxxxxxxx 00 settembre 2002, C-453/99, (caso Courage) in Foro it., 2002, IV, c. 75 ss.
(139) Sulla tutela prevista dall’art. 33 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 v. ora I. XXXXX, Tutela specifica e tutela per equivalente, Milano, 2004, p. 179 ss.
(140) G. ALPA, Codice del consumo, op. cit., p. 31.
D’altra parte nella « graduatoria dei diritti e degli interessi si conferma la distinzione tra diritti che attengono alla persona e interessi economici che attengono al consumatore » (141) che hanno a loro volta una rilevanza diversa.
c) La tutela della salute (lett. a) è un diritto fondamentale garantito dall’art. 32 della Costituzione italiana mentre i diritti contenuti nelle lett. b), c), d), hanno un rilievo diverso.
d) In tali disposizioni si fa riferimento alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi, alla adeguata informazione e alla corretta pubblicità, all’educazione al consumo. Si tratta di principi che debbono essere tradotti in regole, sicché la posizione soggettiva del consumatore deve essere ricostruita, in tal caso, in base all’affermazione di valore e alla disciplina sostanziale e processuale che, in concreto, tutela tale aspetto nei singoli casi.
e) Particolare attenzione merita il diritto alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali previsto nella lett. e). Con tali situazioni si vuol indicare un contenuto concreto al diritto dei consumatori ad un mercato concorrenziale e si precisa la protezione con un rinvio, anche qui, a norme e tutele. Il diritto alla correttezza trova un preciso riferimento nell’art. 39 che impone al professionista un dovere di buona fede, correttezza e lealtà la cui violazione comporterà sempre una pretesa risarcitoria, oltre alle azioni possibili in relazione al particolare contesto. La trasparenza avrà anch’essa un contenuto più esplicito in altre norme che consentono di far valere anche la invalidità del contratto (v. artt. 33 e 34), ma la sua assenza determinerà comunque una pretesa risarcitoria di natura contrattuale a favore del consumatore. Il diritto all’equità nei rapporti contrattuali non instaura alcuna pretesa ad un’oggettiva proporzione delle prestazioni fra le parti, ma rafforza quelle disposizioni generali (art. 1374 c.c.) e speciali che attribuiscono al giudice di integrare il contenuto del contratto.
f) La promozione e lo sviluppo dell’associazionismo e l’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza (lett. f e g) indicano ancora principi e non diritti e sarà necessario rendere operativo il precetto con regole tratte dalla disciplina sostanziale e processuale.
4.5. La direttiva sui diritti fondamentali dei consumatori
Il D. lsg. 21/2014, attuativo della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori del 2011, merita un’attenta considerazione. Vediamolo da vicino.
L’intento è chiaro. Si vuole sostituire la Direttiva 85/577/CEE del 20 dicembre 1985 ( sui contratti negoziati fuori ei locali commerciali) e 97/7/CE del 20 maggio 1997( sui contratti a distanza) con un nuovo provvedimento che superi la precedente armonizzazione minima con norme che vietano agli Stati “disposizioni divergenti” (art. 4) e consentano, così, un più elevato livello di protezione dei consumatori ai sensi dell’art. 169 del TFUE. Ciò per promuovere un effettivo mercato interno sulla base di regole chiaramente definite. Salva la possibilità degli Stati di estendere tale disciplina ad altri Enti e soggetti.
L’oggetto prioritario è altrettanto chiaro. Stabilire norme sulle informazioni da fornire per i contratti a distanza, per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e per i contratti diversi da quelle due tipologie. Disciplinare il diritto di recesso in tale contesto e “armonizzare talune disposizioni concernenti l’esecuzione e altri aspetti dei contratti fra imprese e consumatori” (cons. 9). Il che senza alterare il quadro disciplinare sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) e con una funzione di completamento degli obblighi di informazione previsti dalla Direttiva del 12 dicembre 2006 (2006/123/CE), relativa ai servizi
(141) X. XXXX, op. cit., pp. 22-23.
nel mercato interno e dalla Direttiva dell’ 8 giugno 2000 (2000/31/CE) sul commercio elettronico.
Significative sono anche le esclusioni. Il diritto contrattuale non è modificato dalla Direttiva su aspetti centrali, perché restano di competenza dei singoli Stati la disciplina sulla conclusione e validità di un contratto, sui “rimedi generali , sulle norme di ordine pubblico economico, (come le norme sui prezzi eccessivi o esorbitanti) e le norme sulle transazioni giuridiche non etiche” (cons. 14)142
In questo contesto il professionista deve fornire al consumatore informazioni chiare e comprensibili commisurate alle “esigenze specifiche dei consumatori” e al loro stato soggettivo di infermità, vulnerabilità, età o ingenuità che è possibile ragionevolmente prevedere, nonché al mezzo usato per il contratto o l’offerta ( cons. 34).
Si distingue fra contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali e contratti diversi. Per questi ultimi si indicano analiticamente le informazioni dovute “qualora esse non siano già apparenti dal contesto” (art. 5.1), per i primi la disciplina è assai più articolata. Si precisa che tali informazioni “formano parte integrante del contratto..e non possono essere modificate se non con l’accordo delle parti” (art. 6.5), instaurando così un legame stretto fra informazione e contenuto del contratto con esiti molto importanti per quanto concerne la conseguenza della violazione. In alcuni casi (art. 6.6 sulle spese aggiuntive o altri costi) il consumatore “non deve sostenere tali spese o costi aggiuntivi”. In altri (art. 27 sulle forniture non richieste) il consumatore” è esonerato dall’obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispettiva”. In ogni caso l’appartenenza delle informazioni al contenuto può condurre a tecniche invalidanti o sostitutive del contenuto omesso con un arricchimento delle tutele.
Il diritto di recesso (art.9), quando la legge lo prevede (contratti a distanza e fuori ei locali commerciali) e salvo le eccezioni previste (nel cons. 49) sarà privo di formalità e avrà un termine eguale che potrà essere prorogato sino a 12 mesi quando il professionista non “ha adeguatamente informato il consumatore prima della conclusione del contratto” (cons. 42 e art. 10) e comporterà il rimborso di tutti i pagamenti e la restituzione ,in un termine di 14 giorni dalla comunicazione del recesso, dei beni (art.10.2).
Particolarmente delicata è la consegna ma la Direttiva non rinunzia a fornire indicazioni precise. Si propone di “chiarire e armonizzare le norme nazionali relative al momento in cui dovrebbe avvenire la consegna” senza peraltro incidere sul luogo e modalità di essa nonché sulle “condizioni e il momento del trasferimento in proprietà” che rimangono soggetti alla legislazione nazionale, secondo il modello ella Convenzione di Vienna. Si dedica attenzione ai rimedi in caso di ritardata consegna (cons.52 -53 e art. 18) e al passaggio del rischio. La Direttiva prevede che il consumatore sia tutelato “contro ogni rischio di perdita o
142 Non sono compresi (art. 3) : i servizi sociali (cons. 29),i servizi prestati da professionisti sanitari a pazienti disciplinati dalla Direttiva del 9 marzo 2011 2011/24/UE ( cons. 30),i giochi d’azzardo (cons.31),i servizi finanziari, i viaggi tutto compreso e la multiproprietà già disciplinate da apposite normative.Sono invece compresi: i contratti “per la fornitura di acqua, gas od elettricità” e “di fornitura di calore ,anche sotto forma di vapore o di acqua calda, da una fonte centrale di produzione verso una pluralità di edifici tramite un sistema di trasmissione e di distribuzione, al fine di riscaldarli (teleriscaldamento)” ( cons. 25); “I contratti di servizi, in particolare quelli relativi alla costruzione di annessi di edifici ( ad esempio un garage o una veranda) e alla riparazione e ristrutturazione di edifici diverse dalla trasformazione sostanziale,.. così come i contratti relativi ai servizi di un agente immobiliare e quelli relativi alla locazione di alloggi a scopo non residenziale”. Con esclusione dei contratti di trasferimento di beni immobili. ( cons. 26) ;i contratti di trasporto di passeggeri, nel solo caso di “tariffe eccessive per l’utilizzo d mezzi di pagamento o in caso di costi occulti”, essendo per il resto tale disciplina soggetta ad altra legislazione della Unione o nel caso di trasporti pubblici e taxi a normative a livello nazionale.( cons. 27); I contratti “di trasporto di merci e il noleggio di autovetture che costituiscono servizi..ad eccezione del diritto di recesso” ( cons. 27)
danneggiamento dei beni che avvenga prima che egli abbia preso fisicamente possesso dei beni.”(art. 20)
Si ribadisce l’importanza di azioni collettive, la irrinunziabilità dei diritti e la loro conoscibilità prevedendo espressamente che “eventuali clausole che escludano o limitino, direttamente o indirettamente, i diritti derivanti dalla direttiva, non vincolano il consumatore.”(art. 25)
Il Testo dichiara infine di rispettare i diritti fondamentali e di osservare i principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e ciò apre una ulteriore riflessione (cons. 66), ancora oltre il consumatore.
5. Oltre il consumatore
La legislazione interna e comunitaria è già oltre la figura del consumatore. Basta qualche indicazione sommaria.
Il codice del turismo si riferisce ad una figura di “acquirente, cessionario..o qualunque persona anche da nominare, purchè soddisfi tutte le condizioni richieste per la fruizione del servizio…relativo ad un servizio turistico”143. La proposta di Regolamento comunitario sulla vendita si rivolge ai consumatori e alle Piccole e Medie Imprese (art. 7 co.1). La Direttiva sui diritti dei consumatori si applica anche “ai contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di prestatori pubblici, nella misura in cui detti prodotti di base sono forniti su base contrattuale”(art. 3 n.1). Il Decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1 (c.d. ‘Salva Italia’), coordinato con la legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, estende alle microimprese la tutela nei confronti delle pratiche commerciali ingannevoli e aggressive (art.7), migliora le informazioni ai consumatori per i prezzi dei carburanti (art. 19) e per le condizioni di assicurazione (art. 34), instaura una tutela amministrativa contro le clausole vessatorie (art. 5), rende più efficace l’azione di classe e introduce il Tribunale delle imprese.
Di fronte a queste regole non è convincente chiedersi se oltre al diritto del consumo144 e alla pretesa categoria del terzo contratto145e dei contratti di impresa146,si possa costruire un concetto di contratto asimmetrico147.
Non occorrono nuove categorie costruite sulle qualità del contraente (consumatore, cliente, impresa debole) ma un metodo nuovo per la disciplina del contratto, regolato da un insieme di fonti da cui si traggono elementi di conformità alla regola e nuove forme di tutela con un’attività di decostruzione e di innovazione che la giurisprudenza italiana ha già iniziato, utilizzando in particolare alcuni strumenti.
La causa concreta e la contrarietà a norme imperative come strumenti di controllo della liceità e validità in un sistema articolato di fonti. I diritti e i doveri costituzionalmente garantiti, come limiti alla libertà di contratto. La buona fede come criterio di responsabilità nella
143 X. XXXXXXXXX, La nuova Direttiva sui diritti del consumatore, in Eur. dir. priv., 2011, p. 905 ss.; G. DE CRISTOFARO, La disciplina dei contratti aventi ad oggetto “pacchetti turistici” nel “codice del turismo”(X.Xxxxxx. 23 maggio 2011,n.79):Profili di novità e questioni problematiche, I e II parte, in Studium Iuris, 11 e 12, 2011, p. 1143 ss:1282ss.
144 X. XXXXXXXXX, La nuova Direttiva sui diritti del consumatore, op. cit. ma v. da ultimo Id., Il contratto di diritto europeo, cit.
145 X. XXXXX e G. VILLA, Il terzo contratto, Bologna, 2008.
146 V. da ultimo sul tema G. DE NOVA, Contratti fra imprese, in Enc. Dir., Annali, IV, Milano, 2011.
147 X. XXXXX, Regolazione del mercato e interessi di riferimento:dalla protezione del consumatore alla protezione del cliente?, in
Riv. dir. priv., 2011, p. 5-7.
valutazione dei comportamenti, precedenti e successivi alla conclusione, con funzione autonoma rispetto al giudizio di validità
Tutto ciò in continuità consapevole con i risultati migliori della dottrina civilistica del novecento che debbono essere consolidati e innovati con forza senza inutili astrazioni. Elemento decisivo è il rilievo giuridico di ogni posizione soggettiva che sia oggetto di una disciplina o di una attenzione normativa sì da precisare diritti e doveri contenuti in norme e in principi da tradurre in regole e in nuove tecniche applicative attente alla definizione di nuove tutele di carattere generale e singolare148.
Resta da indicare come e nel proseguo si indicheranno alcuni percorsi già tracciati.
6. Il diritto comunitario e la Proposta di un Regolamento europeo sulla vendita.
L’approccio europeo ad una disciplina uniforme del contratto, dopo un lungo itinerario, si è rivelato molto timido rispetto alle attese, come risulta sia dalla Comunicazione della Commissione sia dalla Risoluzione del Parlamento europeo149.
Nella prima150 si indica chiaramente la finalità da perseguire e l’oggetto dell’intervento comunitario. I contratti sono alla base di tutte le transazioni commerciali e le divergenze tra i regimi di diritto dei 27 Stati membri sono uno dei principali ostacoli per gli scambi transfrontalieri e per la piena attuazione del Mercato Unico.
Ciò con costi e complessità supplementari per i professionisti e maggiori difficoltà per i consumatori negli acquisti in paesi diversi dal proprio. Quanto ai primi basta pensare che essi dovranno familiarizzare con il diritto e le norme imperative di ciascun Stato nazionale, munirsi di consulenti, aggiornare i propri siti web in relazione a tali diversità con un aumento dei costi che penalizza in particolare le PMI151. D’altra parte si stima che quasi la metà dei consumatori siano scoraggiati da acquistare in altri paesi dell’Unione per l’incertezza dei propri diritti in particolare nelle transazioni on-line.
Da qui gli obbiettivi enunciati chiaramente dalla Commissione.
Si tratta di “rimuovere..le restanti barriere al commercio transfrontaliero, in modo da agevolare i professionisti nelle loro transazioni commerciali e rendere gli acquisti transfrontalieri più semplici per i consumatori”152, fino a creare un corpus unico di leggi uniformi per imprese e consumatori negli scambi transfrontalieri superando le carenze attuali che non sono poche per gli uni e per gli altri.
Il Regolamento di Roma I per le obbligazioni contrattuali consente alle parti di scegliere la legge applicabile e di risolvere il conflitto sulla legge applicabile in caso di assenza di accordo, ma ciò non rimuove la divergenza fra i diversi diritti nazionali. D’altra parte l’art.6, paragrafo 2 di quel testo, impone ai professionisti di uniformarsi al diritto inderogabile di protezione del consumatore vigente nel paese di residenza dello stesso sicché le condizioni
148 X. XXXXXXX, Diritto privato e ordinamento comunitario, cit. p. 98 ss.
149 X. XXXXXXXXXX, L’utopia della codificazione europea e l’oscura realpolitik di Bruxelles dal DCFR alla proposta dei Regolamento di un diritto comune europeo della vendita, in Eur. Dir. priv., 2011, 4, 837 ss.; X. XXXX, Proposta di Regolamento – Diritto comune europeo della vendita, in Nuove leggi civili comm., 2012, 1, 183 ss.
150 COM(2011) 636 del 11 ottobre 2001, in xxx.xxxxxx.xx.
151 La commissione stima in 26 miliardi di Euro ogni anno il giro d’affari a cui le imprese rinunziano per tali difficoltà,v. COM(2001) 636, p. 3.
152 COM(2011) 636 p. 3-4. “E’ stato dimostrato che gli scambi bilaterali tra paesi con sistemi giuridici di origine comune, quali ad esempio la common law o la tradizione giuridica nordica, sono del 40% più intensi rispetto agli scambi tra paesi privi di tale comunanza”
generali di vendita debbono adattarsi ai regimi dei paesi in cui opera l’impresa. E tali difficoltà non sono superate dalle norme esistenti perché la disciplina uniforme non regola l’intera disciplina del contratto e perché essa si applica ai soli consumatori. Per le imprese esistono norme comunitarie e internazionali ma il quadro è altrettanto insoddisfacente. La normativa sui ritardi di pagamento consente un intervento diverso dei singoli Stati mentre la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci non è stata ratificata nel Regno Unito, in Irlanda, in Portogallo e a Malta.
Da qui, dopo un decennio di lavoro sulle ipotesi di unificazione del diritto dei contratti, l’idea di un diritto comune europeo della vendita di cui la Commissione enumera aspetti, efficacia, rapporto con l’acquis e vantaggio per consumatori e imprese. Vediamo da vicino questo impianto di base che dovrebbe essere affidato ,secondo la proposta annunciata, ad un Regolamento del Parlamento e del Consiglio sulla base dello “studio di fattibilità” elaborato da un Gruppo di esperti.
a) il funzionamento e i caratteri.
La disciplina “dovrà far parte del diritto nazionale di ciascun Stato membro a titolo di “secondo regime” di diritto contrattuale” destinato agli scambi transfrontalieri con le seguenti caratteristiche.
- sarà comune a tutti gli Stati membri.
- sarà un regime facoltativo ( sistema di opt-in) che non obbliga professionisti e consumatori.
- avrà ad oggetto i contratti di vendita ed i servizi connessi, con particolare attenzione alla contrattazione on-line.
- si applicherà ai soli contratti transazionale a meno che lo Stati nazionale voglia estendere tale ambito ai contratti nazionali.
- si applicherà ai contratti tra imprese e consumatori (B2C) e a quelli tra imprese (B2B) in cui almeno una delle parti sia una PMI. Resteranno esclusi invece i contratti conclusi fra privati (C2C) e quelli tra professionisti in cui nessuna parte è una PMI perché secondo la Commissione “non vi è al momento alcuna necessità dimostrabile di intervenire su scala europea per questi tipi di contratti transfrontalieri.” Salvo la possibilità degli Stati di ampliare tale regime ai rapporti fra imprese senza alcuna limitazione.
Insomma sarà un identico insieme di norme di tutela dei consumatori con un elevato grado di protezione e allo steso tempo un “corpus completo di norme di diritto contrattuale” attinente ai “diritti e a obbligazioni delle parti e ai rimedi contro l’inadempimento, agli obblighi di informativa precontrattuale, alla conclusione del contratto (compresi i requisiti di forma), al diritto di recesso e ai relativi effetti, alla nullità risultante da errore, frode o iniquo sfruttamento, all’interpretazione, al contenuto e agli effetti del contratto, alla valutazione e agli effetti del carattere abusivo delle clausole contrattuali, alla restituzione a seguito dell’annullamento e della risoluzione nonché alla prescrizione”.
D’altra parte la Proposta compie una scelta riduttiva. Materie “di grande importanza per i diritti nazionali e meno pertinenti per i contratti transfrontalieri (come le norme sulla capacità giuridica,l’invalidità/illiceità o la rappresentanza e la pluralità di debitori e creditori) non saranno trattate dal diritto comune europeo della vendita e continueranno ad essere regolate dalle norme della legge nazionale applicabile ai sensi del Regolamento Roma I”. Resta
,almeno nelle intenzioni, un regime di dimensione internazionale perché sarà applicabile nell’ipotesi in cui una sola delle parti sia stabilita in uno Stato appartenente all’Unione. “I professionisti potranno usare quelle norme con altri professionisti stabiliti all’interno o all’esterno dell’Unione e i consumatori potranno avere una più vasta scelta nel caso in cui professionisti di paesi terzi intendano vendere i loro prodotti nel mercato interno sulla base
del diritto comune europeo della vendita”. Ciò secondo la Commissione conferirà “al diritto comune europeo della vendita la possibilità di assurgere a modello per la definizione degli standard nelle transazioni internazionali nel settore dei contratti di vendita”153.
In definitiva “il diritto comune europeo della vendita sarà un supplemento facoltativo delle norme esistenti di diritto dei contratti, senza sostituirle. Nella pratica, sarà il venditore a prendere l’iniziativa di optare per l’applicazione del diritto comune europeo della vendita; il compratore però dovrà dare il proprio assenso esplicito prima che tale tipo di contratto possa essere utilizzato”. Così, sempre nelle intenzioni, nei contratti B2B dovrebbe essere più agevole accordarsi su una legge neutra ugualmente accessibile ad entrambe le parti nella loro lingua”154.
Tutto ciò con adeguate misure di accompagnamento in ordine ad alcune clausole contrattuali di tipo europeo per aree commerciali o settori di attività, da adottare dopo l’entrata in vigore del testo, dovrebbe risolvere problemi reali di imprese e consumatori e, sempre secondo la Commissione,offrire un approccio innovativo rispettoso del principio di proporzionalità , delle tradizioni nazionali e delle scelte delle parti.
E’ evidente come il contesto sia sin troppo cauto e incompleto. Si limitano gli effetti alla negoziazioni transnazionali, lo strumento è opzionale, non si occupa dei contratti finanziari né degli aspetti alla capacità delle parti e alla invalidità o illiceità dei contratti.
Ancora una volta una spinta decisiva al diritto comunitario si avrà dalla Corte di Giustizia che in tema di contratto e rimedi si è pronunziata di recente in più occasioni155 e si dovrà pronunziare ancora.
7. I contratti di impresa.
Nella dottrina del tempo (1942) l’unificazione dei due codici, civile e di commercio, fu accolta con favore ponendo l’accento sull’arricchimento di tutto il libro quarto e della disciplina del contratto in particolare. Ma muovendo da alcune norme e da recentissime leggi di settore, riferibili al contratto dell’imprenditore o del professionista, è tornata d’attualità la questione di “riportare alla luce una categoria dei contratti commerciali”156, individuata come una delle “nuove frontiere del diritto commerciale”157 e, più in generale, come il sintomo che “non è più tempo di diritto privato generale e che quest’ultimo deve rassegnarsi alla frantumazione” dei diritti speciali la quale lo avrebbe definitivamente dissolto158.
Torna ad affacciarsi l’idea159 che “la partecipazione di un imprenditore ad un contratto e la circostanza che il contratto serva all’esercizio dell’attività d’impresa non possono essere
153 COM(2011) 636 cit. p. 10
154 COM(2011) 636 cit. p. 13
155 x. Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 marzo 2012, C-453/10 (Okresny sud Presov, Repubblica Slovacca c. Xxxx Xxxxxxxxxx,
X. Xxxxxxx, in xxx.xxxxx.xxxxxx.xx. In dottrina v. X. XXXXXXXXXXX, La nullità di protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida, in Persona e Mercato, 2009, I, p. 20 e da ultimo X. XXXXXXXXXX, Note critiche in tema di sanabilità e rinunziabilità delle nullità di protezione, in Persona e Mercato, 2012, 1; X. XXXXX, La nullità delle clausole vessatorie: le pronuncie della Corte di Giusitiza dell’Unione europea e il confronto con le altre nullità di protezione, in Contr. e Impr., 2011, 6, p. 1366.
156 X. XXXXXXXX,Tradizione e rinnovamento nell’unificazione dei codici in Italia, in Tradizione civilistica e complessità del sistema, cit., p. 74.
000 X. XXXXXXXXX, Xx nuove frontiere del diritto commerciale, Napoli, 2006, p. 70 ss.
158 Riporta questa idea di X. Xxxxxxxxx, criticandola in modo del tutto convincente, X. XXXXXXXXXX, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in Europa dir. priv., 2006, 2, p. 406.
000 X. XXXXXXXXX, Xx nuove frontiere del diritto commerciale, cit., p. 17.
senza conseguenze sulla disciplina del contratto”. Le parole e il tono evocano un programma e una rivendicazione precisa.
L’impresa e l’imprenditore emergono nella formazione del contratto (1330 c.c.).
La parte generale del libro Quarto (artt. 1321 -1469) può apparire per la sua astrattezza non più adatta ai bisogni di una società complessa come l’attuale. Il codice specializza la regola quando il rapporto inerisce ad un’attività professionale, come indica l’art. 1176 c.c.
Da ciò si vuol trarre i primi spunti per la ridefinizione della categoria.
A ben vedere tale idea non convince xxxxxxx. Nessuno nega l’importanza delle discipline di settore e dei contratti di impresa in particolare. Ma occorre chiedersi anzitutto se la contrattazione fra imprese “porti a identificare effettivamente un autentico schema generale di contratto sottoposto ad una propria e differenziata disciplina giuridica” e una serie di argomenti porta a escludere tale conclusione160. Vediamoli.
a) L’interesse dell’imprenditore non si traduce in una componente della causa del contratto161.
b) Solo in termini descrittivi quei contratti possono definirsi come una categoria. Essi pongono in luce un problema di disciplina che non è esclusivo dei contratti di impresa ma di ogni atto di autonomia che deve conciliarsi con i bisogni delle parti, le esigenze di regolazione del mercato e gli interessi della generalità162.
c) Se l’analisi si trasferisce dal diritto interno al “diritto europeo” il discorso non muta. I diritti nazionali percorrono strade diverse. Francia e Germania conservano la duplicazione dei codici civile e di commercio, l’Italia la Svizzera e i Paesi Bassi hanno unificato i corpi normativi, in “Inghilterra da circa tre secoli il diritto commerciale è rifluito nel sistema comune perdendo le proprie giurisdizioni separate, mentre negli Stati Uniti si fa capo ad un documento normativo che porta il nome di Uniform Commercial Code”163.
Nelle raccolte di Xxxxxxxx non assume rilievo la nozione di imprenditore ma quella di professionista e le peculiarità più significative concernono non deroghe alla disciplina generale,
160 A FALZEA, Introduzione, in Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato, a cura di P. Sirena, Milano, 2006, p. 4; Id. Il diritto europeo dei contratti di impresa, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 1 ss.
161 La più recente giurisprudenza di legittimità sul sale and lease-back non individua affatto nella presenza di un’impresa l’elemento differenziale per la liceità o meno del contratto ma esige un’analisi attenta sugli elementi dell’affare in concreto realizzati dalle parti. Sarà necessario così che si analizzi l’esistenza o meno di un rapporto antecedente di debito-credito fra i due soggetti, e la proporzione fra il prezzo pattuito per la vendita il valore del bene e l’importo dei canoni e del corrispettivo per il riscatto. Tutto ciò per un controllo sulla liceità di un’operazione che prescinde da una causa tipica d’impresa, ma che trova nella vita aziendale un motivo di possibile utilità del fenomeno da verificare in concreto per evitare abusi e approfittamenti. Ancora. L’art. 9 della legge sulla subfornitura è stato oggetto di un’interpretazione oscillante nel riferire il divieto di abuso di dipendenza economica al solo contratto disciplinato o a tutti i contratti fra imprese. La giurisprudenza più attenta ha recepito la opinione della dottrina prevalente che considera quella disposizione generale per volontà stessa del legislatore che ha ipotizzato, al di là del contesto specifico, l’ambito di estensione della regola a tutti i rapporti tra imprese. Il contenuto della norma è chiaro e di per sé esclude il ricorso improprio ad un concetto che non aggiunge alcunché al contenuto della regola. V. da ultimo Trib. di Bari, ordinanza (Giud. Scoditti), in Foro it. 2005, I, col. 1603 con nota di richiami di X. XXXXXXXXX.
162 V. per tutte queste puntuali osservazioni X. XXXX, I contratti di impresa tra codice civile e legislazione speciale, in Il diritto europeo dei contratti d’impresa, cit., p. 15 ss.
163 V. la lucida e brillante analisi di X. XXXXXXX, I contratti di impresa e il diritto comune europeo, in Il diritto europeo dei contratti d’impresa, cit., p. 95 ss.
“contratta- e ineguale”
quanto l’estensione ai contratti fra imprese delle normative di riequilibrio pensate per i rapporti fra professionista e consumatore.
Il diritto comunitario delle direttive, come vedremo, è una produzione abbondante che può assumere la funzione di base strutturale di un diritto comune europeo164. Ma anche da esso non si individua affatto un corpus omogeneo di regole. Anzi i più significativi interventi diretti, come la norma sull’abuso di posizione dominante, la legge sui termini di pagamento nelle transazioni commerciali, e indiretti, come la normativa sull’abuso di dipendenza economica individuano un particolare settore di contratti fra imprese ove è necessario un riequilibrio a favore della parte più debole.
Emerge così la conclusione che nella prospettiva del diritto contrattuale europeo i “contratti di impresa” sono una delle componenti della tipologia della “contrattazione ineguale”165, senza che la locuzione segnali alcun “aspetto comune che giustifichi una considerazione complessiva”.
Si tratta, insomma, di un aspetto della diversificazione della disciplina del contratto che può atteggiarsi variamente a seconda che le parti siano un professionista e un consumatore (B to c), due professionisti (B to B), due soggetti che non operano professionalmente (c to c) o due professionisti dotati di eguale (b to b) o di diverso potere contrattuale (B to b)166.
Si può concludere che gli elementi di qualificazione dei contratti fra imprese sono sostanzialmente due.
La disciplina del mercato dove si collocano, e le discipline speciali di settore da coordinare con la disciplina generale del contratto.
Su entrambi questi aspetti occorre soffermarsi.
7.1. Contratto e concorrenza. Il rapporto tra le due discipline.
La disciplina della concorrenza tracciata nel codice civile si rivolge ad una struttura di mercato già definita. Al centro del sistema c’è il soggetto di diritto, destinatario di regole eguali e astratte. Un uomo senza qualità, pensato per un ordine economico e giuridico che ha necessità di rapporti semplificati, compatibili con la logica degli scambi del tempo167. Il Titolo decimo del quinto libro prevede limiti solo formali e spaziali per le restrizioni della libera gara,
164 X. XXXXXXX, I contratti di impresa e il diritto comune europeo, cit., p. 99.
165 X. XXXXXXX, op. cit., p. 110 “sia la preponderanza che la debolezza hanno le loro ragioni. Le ragioni dell’utilità dell’impresa, della moltiplicazione della ricchezza globale, dell’efficienza dell’organizzazione della produzione e distribuzione, dal lato dell’imprenditore, soprattutto se in posizione forte. Le ragioni dell’effettiva soddisfazione dei bisogni, della proporzionata redistribuzione della ricchezza prodotta, della salvaguardia e i valori non solo economici, dall’altro”.
166 P. G. MONATERI, I contratti di impresa e il diritto comunitario, in I contratti di impresa e il diritto comune europeo, cit., p. 73, 94.
167 X. XXXXXXX, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, p. 1 ss. ; X. XXXX, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998; X. XXXXXXX, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contr. e impr., 2000, p. 189 ss.; X. XXXXXXXXXX, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Trattato di diritto privato europeo, III, a cura di X. Xxxxxx, 2ª ed., Padova, 2003, p. 3 ss.
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obblighi di contrarre per il solo monopolista legale, una regola di correttezza per ogni operatore (artt. 2595-2601)168.
È superfluo ricordare quanto quelle norme siano oramai lontane dai rapporti reali e per una diagnosi dell’attualità169, serena e rigorosa, occorre ripercorrere il processo evolutivo delle disposizioni che si sono susseguite negli ultimi decenni e tentare di comprendere il senso di ciò che il presente ci riserva. Solo dopo un percorso a ritroso, schematico ed essenziale, è possibile un’analisi attenta dei rapporti fra il contratto e la concorrenza, fra due libertà in cerca, da sempre, di un contesto ordinato di garanzie e di limiti. Ciò per un motivo essenziale.
La legislazione posta “a tutela e protezione della concorrenza, costituisce uno straordinario terreno sul quale misurare la sostanziale unitarietà delle scienze sociali”170. In essa vive il dilemma delle democrazie liberali, impegnate da un lato a fissare il limite oltre il quale il potere privato deve essere frenato, e dall’altro ad individuare una demarcazione del potere pubblico che può divenire oppressivo e dannoso171.
Forze e ideologie diverse si sono confrontate in ogni periodo, nel tracciare un crinale mobile come le esigenze degli uomini, una linea ove confluiscono intersecandosi il pensiero economico, il pensiero giuridico e le scelte politiche di ogni comunità, nazionale o globale. La sintesi, in questo contesto, non può che essere schematica, ma necessaria per ripercorrere con consapevolezza la storia delle idee che esige di separare almeno tre momenti di confronto: a) il sorgere della legislazione antitrust in America, b) il dibattito in Italia dalla Costituzione sino agli anni ottanta del secolo scorso, c) le scelte del legislatore europeo. Iniziamo dal primo.
7.2. Il sorgere della legislazione antitrust in America
Le regole di funzionamento dei mercati sono risposte diverse, in ogni epoca storica, alle imperfezioni della realtà ed è noto che sul finire dell’’800, negli Stati Uniti, si dovette fronteggiare un tentativo delle imprese più efficienti di consolidare il loro potere mediante il ricorso al trust per fini anticoncorrenziali. Attraverso la concessione di deleghe fiduciarie di voto e lo scambio incrociato di partecipazione alle assemblee, “gli amministratori di più società concorrenti decidevano insieme le politiche di prezzo e di mercato, restando ciascuno sotto il controllo degli altri. Si creavano così dei veri e propri cartelli, mascherati sotto l’uso del trust”172.
Se la common-law proteggeva già la libertà di contratto delle parti e la libertà dei terzi contro le pratiche di boicottaggio, lo Sherman act nel 1890 si propose173 di colpire ogni contratto, combinazione o cospirazione che limitasse il commercio fra i vari Stati ed ogni attività volta a creare o a tentare la creazione di una posizione di monopolio (monopolization o attent to monopolize Sez.2). Le sanzioni erano di tre tipi: un’azione penale e un’azione civile, munita di injunction, da parte dello Stato federale; un’azione privata con effetti punitivi volta ad ottenere il triplo del danno subito promossa da chiunque fosse stato danneggiato.
168 Per una sintesi X. XXXXXXXXXXXXX, Concorrenza e antitrust: profili generali, in Trattato di dir. amministrativo europeo, a cura di M. X. Xxxxx x X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, I, p. 512 ss.
169 Sull’esigenza di questo approccio iniziale in ogni attività di riflessione e di elaborazione, v. da ultimo P. BARCELLONA, Diritto senza società. Dal disincanto all’indifferenza, Bari, 2003, p. 9 ss.
170 X. XXXXX, Il Mercato e la tutela della Concorrenza, Bologna, 1997, p. 24.
171 X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, Bologna, 1998, p. 105 ss.
172 X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, cit., p. 14.
173 X. XXXXXXX, Un secolo di filosofia antitrust, Bologna, 1991, p. 38 ss.
xxxxx act
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Act
Economic efficiency
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Le successive disposizioni (il Xxxxxxx act del 1914) integrarono la disciplina con un duplice effetto. Le regole divennero analitiche ma più flessibili grazie al criterio di ragionevolezza recepito dalle Corti ed espresso da una formula che “presupponeva un apprezzamento obbiettivo basato su considerazioni economiche” e un giudizio di discrezionalità “circa la portata più o meno sostanziale di certe pratiche limitative”174. Il Federal Trade Commission Act dichiarò,sempre nel 1914, illegali “gli sleali metodi di concorrenza nel commercio” e nel 1938 la fattispecie fu modificata sino a reprimere “gli atti e le pratiche sleali e ingannevoli” aprendo la possibilità di tutela ai consumatori175.
Gli sviluppi successivi sono scanditi da ulteriori disposizioni normative ma, soprattutto dall’attività delle Corti di Giustizia e della Federal Trade Commission. Un’attività difficile da ricostruire in un quadro organico e lineare di principi. Sono comunque sostanzialmente tre le linee di pensiero che si sono susseguite con maggiore frequenza: la rule of reason tesa a valorizzare le peculiarità del caso singolo con i possibili criteri dell’intento illecito di chi pone in essere l’accordo o dell’effetto che da esso deriva176; la per se condemnation ispirata dalla necessità di reagire all’incertezza di soluzioni discrezionali, distinguendo oggettivamente le situazioni di legittimo potere da quelle di illecito predominio; la valutazione ispirata alla economic efficiency teorizzata dalla Scuola di Chicago che ancora anima il dibattito sulla legislazione antitrust in ogni parte del mondo.
Per decenni la giurisprudenza americana ha oscillato fra la protezione dei piccoli produttori e commercianti e la teoria economica neoclassica che reputava necessario colpire non tanto la libertà di contratto, ma l’intesa che “consenta al prezzo di collocarsi più in alto di quanto accadrebbe attraverso l’incontro non pregiudicato fra domanda e offerta”177. Si sono distinte, nella repressione, le intese orizzontali, vietate per sé e le intese verticali178, illecite solo quando si fosse pregiudicata la libertà del rivenditore, ma si è tornati sempre, seppur con oscillazioni continue, al desiderio di “proteggere la concorrenza” attraverso la tutela “di sane, piccole imprese locali” con un “ritorno, spesso, alle finalità originarie del Xxxxxxx act”179.
D’altra parte la teoria dell’efficienza, elaborata sin dagli anni cinquanta ripensando su base casistica i principi dell’economia classica, ha determinato una svolta nel pensiero e nella giurisprudenza dominante che ancora una volta, però, non ha accolto in modo univoco tali insegnamenti .
Gli economisti di Chicago definiscono restrittiva in termini economici unicamente “la pratica, concertata o unilaterale, che restringe ad libitum di qualcuno la produzione di un bene o di un servizio con conseguente possibilità di incremento dei prezzi”180. La concorrenza è assunta come valore in sé e si reputa che la sua disciplina debba essere depurata da ogni contaminazione, cercando altrove strumenti per realizzare la libertà di contratto e l’efficienza democratica. L’analisi economica del diritto rafforza questa convinzione. L’indicazione che tale metodo fornisce è quella di preferire tra le diverse possibili discipline o soluzioni
174 X. XXXXXXX, Un secolo di filosofia antitrust, cit., p. 46.
175 X. XXXXXXX, op. cit., p. 69.
176 V. il caso Xxxxxxx x. Xxxxxxxx, 1 P. Wms. 181, 24 Erg. Rep. 347 (K. B. 1711) citato da X. XXXXXXX, op. cit., p. 92 ed ivi il contenuto della massima: “Tutti gli accordi contrattuali ove si riscontri una mera restrizione del commercio e niente di più, sono invalidi. Tuttavia questa presunzione è esclusa se circostanze specifiche mostrano che il contratto è ragionevole e proficuo per gli interessi della collettività”.
177 X. XXXXXXXX, Principi di economia, Torino, 1972, trad. it. di Principles of Economics, London-NewYork, 1890, cit. da X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, cit., p. 22 x. x x. 00 xx xxxxxxxxx xxx testo.
178 Mi permetto sul punto di richiamare il volume: X. XXXXXXX, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Diritto dei contratti e regole di concorrenza, Milano, 1983, p. 178 ss.
179 X. XXXXX, op. cit. p. 22.
180 X. XXXXX, op. cit., p. 26.
percorso
interpretative quella più efficiente, idonea a massimizzare il benessere collettivo. Quando c’è un semplice trasferimento di ricchezza “in cui qualcuno perde quello che qualcuno guadagna” l’indicazione è di non intervenire181. Ciò per una ragione chiara. Non sarebbe efficiente la creazione di un apparato complesso e costoso come l’antitrust se il suo scopo si sostanziasse solo nel dare ad alcuni, i consumatori, quello che viene tolto ad altri, le imprese. Il suo compito è l’aumento delle utilità per tutti mentre la giustizia distributiva è un fine di altre forme giuridiche182.
Dopo le incertezze del caso Kodak183, le tesi di Xxxxxx, nel successivo caso State Oil v. Khan184, sono accolte dalla Corte suprema la quale muta orientamento e sottrae al divieto “per sé” la fissazione del prezzo massimo in un’intesa verticale che è, per lo più, giustificata “dalla migliore qualità del servizio reso ai clienti”185, mentre le intese orizzontali mantengono una potenziale illiceità, non senza un certo scetticismo ispirato dal “costo che l’osservanza dei cartelli impone sempre ai suoi membri”186.
Purtuttavia se il percorso dell’antitrust americano si è, in tal modo, allontanato dalle origini e se il dogma dell’efficienza è quello che più si adegua alle attuali tendenze della politica di mercato americano, non si può dimenticare che la Corte Suprema, le altre Corti ed il Congresso “hanno difeso l’antitrust” come un tronco vitale non soggetto all’identificazione con una prospettiva di economicismo esasperato187.
Si sottolinea, in modo autorevole, che l’efficienza allocativa non è mai stata l’unica finalità della legge antitrust, che alcuni correttivi possono agevolare sviluppi creativi senza peccare di dirigismo economico188, che l’analisi economica aiuta ad ampliare lo spettro delle soluzioni possibili ma non è affatto l’unico criterio di giudizio in una società complessa; fallisce dove l’applicazione dei modelli non basta a risolvere i conflitti fra valori diversi189.
La conclusione, per alcuni, è che l’antitrust ha una pluralità di anime, anche in America, ed una finalità non riducibile ad un esercizio meccanico che “fa perdere quel contenuto politico che in una società democratica è la principale fonte di legittimazione di ogni regola”190.
7.3. Il dibattito in Italia dalla Assemblea Costituente agli anni ottanta del secolo scorso
181 X. XXXXXXX, Norme efficienti, Milano, 2003, p. 124.
182 X. XXXXXXX, op. cit.
183 Xxxxxxx Kodak Co. v. Image Technical Services Inc., 112 S. Ct. 2072 1992 ove si restringe il mercato rilevante, sul quale valutare i comportamenti dell’impresa dominante, “alla vendita dei pezzi di ricambio e della riparazione di un determinato macchinario”, X. XXXXX, op. cit., p. 33.
184 State Oil Company x. Xxxx, X. Xx. L. Ed. 2d 27 1997.
185 V. il caso United States v. Xxxxxx Xxxxxxx & Co., 388 U. S. 365,1967, ove la Corte dichiarò illegittime le restrizioni verticali che assoggettavano il distributore al produttore e il caso Continental TV Inc. v GTE Sylvania Inc., 433 U. S. 36, 1977, in cui fu ribaltato il precedente con una chiara adesione alle teorie della Scuola di Chicago. V. sul punto X. XXXXX, op. cit., p. 30 e X. XXXXXXX, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, cit., p. 180 ss.
186 X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, cit., p. 27.
187 Così anche X. XXXXX, op. cit., p. 38.
188 J. E. XXXXXXXX, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, 2002.
189 X. XXXXXXXXX, Federal Antitrust Policy, St. Paul, Minn., 1996, p. 68.
190 X. XXXXX, Le regole del mercato fra Europa ed America. Relazione introduttiva al Convegno “Antitrust e globalizzazione” del 19 settembre 2003, pubblicato su La Repubblica del 20 settembre 2003, p. 15.
ibattito in sede di assemblea ostituente
impresa bblica
In Italia e in Europa si segue un percorso in parte diverso. Si è osservato che nel vecchio continente “il mantenimento della libera concorrenza ... si è posto in primo luogo, quale alternativa ad un intervento statale dell’economia”191; ma questo giudizio va chiarito.
I costituenti dovettero fronteggiare il problema del controllo dei monopoli e del coordinamento fra le attività private e gli obbiettivi dei pubblici poteri. Abbandonata subito ogni ipotesi di soluzione collettivistica192 si discusse a lungo sulle modalità di intervento nei confronti dei fallimenti del mercato.
Xxxxx Xxxxxxx propose di recepire nella nuova Costituzione un’azione decisa contro i monopoli economici, sia naturali che creati per legge da “sottoporre a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta”193, ma la proposta fu respinta eccependo che i controlli avrebbero assunto un carattere “antiliberista di squisita essenza interventista, con uffici, organi, burocrazia di vigilanza”194.
Nella Commissione De Maria195 si fronteggiarono ipotesi diverse. Alcuni pensavano ad un’azione di contrasto dei monopoli, nel rispetto dei canoni di un’economia di mercato, altri all’adozione di strumenti di nazionalizzazione, altri ancora ipotizzavano soluzioni già sperimentate negli Stati Uniti. Quest’ultima scelta fu esclusa con decisione, osservando che “una disciplina delle formazioni monopolistiche condotta con i criteri dello Sherman Act, non poteva condurre affatto a risultati soddisfacenti”196. Il metodo seguito fu un altro.
Come è noto prevalse “il convincimento che l’impresa pubblica governata da una normativa speciale e dotata di poteri altrettanto speciali fosse il modo migliore di regolare l’economia e di contenere il potere delle imprese private”197. Purtuttavia come è stato di recente notato, acutamente, il caso italiano già nel corso degli anni Cinquanta esprimeva un dato che induce a riflettere con attenzione.
Xxxxx dal presentare “una antitesi radicale tra tutela della concorrenza ed interventismo” quell’esperienza “ci mostra una loro pacifica coesistenza e la ricerca di una possibile
191 X. XXXXXXX, Un secolo di filosofia antitrust, cit., p. 27.
192 V. lo stesso intervento di Xxxxxxx Xxxxxxxxx del 16 ottobre 1946 in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori all’assemblea costituente, a cura del Segretariato generale della Camera dei deputati, Roma,1971, VI, p. 554 ss: “si sta scrivendo una Costituzione che non è una Costituzione socialista, ma è la Costituzione corrispondente ad un periodo transitorio di lotta per un regime economico di coesistenza di differenti forze economiche che tendono a soverchiarsi le une con le altre. In questo periodo è evidente che la lotta che si conduce non è diretta contro la libera iniziativa e la proprietà privata dei mezzi di produzione in generale, ma contro quelle particolari forme di proprietà privata che sopprimono l’iniziativa di vasti strati di produttori e, particolarmente, contro le forme di proprietà privata monopolistiche, specie nel campo dei servizi pubblici, che tendono a creare nella società dei concentramenti di ricchezze che vanno a danno della libertà della grande maggioranza dei cittadini, e quindi vanno a scapito dell’economia e della politica del paese”.
193 La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, cit., vol. II, p. 1666. “Il male più profondo della società presente non è la mancanza di programmi e di piani - che ne abbiamo avuti fin troppi - ma è invece l’esistenza di monopoli … chiedo perciò che nella Costituzione sia sancito il principio che la legge non deve creare il monopolio e che quando i monopoli esistono, questi monopoli devono essere controllati”.
194 Così si espresse Xxxxx, in risposta alla proposta di Einaudi, ottenendo un consenso esplicito di altri, tanto che l’idea fu accantonata. v. La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori all'’Assemblea Costituente, cit., p. 1669. La citazione è ripresa da X. XXXXXXXXX, Un confronto che viene da lontano, in Arel, 2002, 2, p. 13 ss.
195 Si tratta della Commissione istituita per svolgere studi e proposte da presentare all’Assemblea costituente v. Rapporto della Commissione Economica presieduta dal Professore Xxxxxxxx De Xxxxx, presentato all’Assemblea costituente, Istituto Poligrafico dello Stato, 1947.
196 Rapporto della Commissione Economica presieduta dal Professore Xxxxxxxx De Xxxxx, presentato all’Assemblea Costituente, cit., II, p 238-40.
197 X. XXXXXXXXX, Un confronto che viene da lontano, cit., p. 14.
. 41 Cost.
processo
vatizzazi e
integrazione tra tecniche diverse, nell’incontro comune tra Ordinamento giuridico e processo economico”198.
Se nell’assetto istituzionale ottocentesco codice e sistema coincidevano199, sino a “costituzionalizzare una certa concezione della vita economica legata all’idea liberistica”200 il nuovo secolo ha allontanato, nelle percezioni dei giuristi ed economisti più avvertiti, l’idea di un ordine spontaneo del mercato capace di generare un equilibrio nei rapporti privati e pubblici. Apparve a molti, in modo sempre più evidente, che “regolazione e gestione sono le due facce di un interventismo economico, diverso nelle sue tecniche, ora indirette ora dirette, ma percepito in modo unitario nella forza travolgente di un’impronta statuale destinata a condizionare pesantemente gli equilibri dell’intera economia nazionale”201.
Certo le opinioni erano e sono assai diversificate e l’art.41 Cost. resta, ora come allora, una norma dall’evidente contenuto anfibologico. A fianco di chi, in epoca coeva alla approvazione del testo, dava una lettura moderna ed evoluta202 del criterio di utilità sociale, letto “in chiave di tutela dei consumatori e di pilastro che “richiede” un diritto della concorrenza”203, non mancarono letture opposte volte a sottolineare il forte dirigismo italiano destinato ad entrare in rotta di collisione con l’assetto istituzionale europeo204.
Del resto la storia economica italiana testimonia questa complessità. Il legislatore intervenne fra il 1931 e il 1933 per salvare gli Istituti di credito, che avevano partecipazioni in industrie strategiche, duramente colpiti dalla crisi del 1929. Nel 1933 fu creato l’I.R.I. Istituto per la Ricostruzione Industriale205 e, dopo il 1936 “lo Stato italiano possedeva una parte dell’industria proporzionalmente più ampia che ogni altro Stato europeo, a eccezione dell’Unione Sovietica”206.
D’altra parte il dibattito parlamentare sulla legislazione a tutela della concorrenza ha languito per decenni in varie commissioni e solo nel 1990 si è approvata una normativa antitrust, ultimi fra le potenze industriali, anticipando la Turchia207.
Solo a partire dagli anni ottanta del secolo passato è mutata la nostra Costituzione economica in virtù degli atti formali dell’Unione Europea e la legislazione di provenienza comunitaria, come si è già accennato, ha innovato profondamente la forma giuridica dei rapporti fra stato e privati. Con la legge 23 giugno 1993 n. 202 (Disposizioni urgenti per la
198 Così X. XXXXX, Ordine e disordine giuridico del Mercato (In margine ad alcuni scritti di Xxxxxx Xxxxxxxxx), in Ordo Iuris. Storia e forme dell’esperienza giuridica, Milano, 2003, p. 345.
199 V. R. XXXXXXX, voce Diritto civile, in Enc. Dir., Milano, 1964, p. 904 ss.
200 X. XXXXXXXXXX, Il diritto privato ed i suoi attuali confini, in Riv. Trim dir. proc. civ., 1961, p. 391 ss.
201 X. XXXXX, Ordine e disordine giuridico del Mercato, cit., p. 348.
202 X. XXXXXXXXX, Ordine giuridico e processo economico, in Problemi giuridici, Milano, 1959, I, p. 47.
203 X. XXXXX (op. cit., p. 353) sottolinea come Xxxxxxxxx sia “stato prontissimo a cogliere le novità competitive che la Scuola di Xxxxxxxx riesce a far filtrare nei primi trattati che avviano la Costituzione europea”. Osserva che quell’opinione “è nata dallo spirito del tempo, dall’economia come oggetto da strutturare e non come ordine spontaneo…è maturata lontana dalle sponde del neo liberismo, in convegni che la battaglia antimonopolistica orientava verso l’intervento pubblico, si è sviluppata sull’onda di una precisa consapevolezza dei possibili abusi messi in atto dai poteri economici”. La conclusione di Xxxxx è che “Libertà dell’interprete, diritto vivente e libera iniziativa economica s’innestano…in Ascarelli in un preciso ordine giuridico del mercato, ora in funzione delle integrazioni solidaristiche agli effetti del gioco economico, ora della tutela dei consumatori e della concorrenza, ora, infine, dell’esercizio pubblicistico, in riserva di caccia di determinate attività economiche”, p. 351.
204 Si veda l’analisi retrospettiva di X. XXXXX, Il mercato nella costituzione, in Quad. cost., 1992, p. 8 ss. ; X. XXXX, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, p. 23; A. XXXXXXX XXXXXX, Tre Costituzioni economiche: italiana, europea, bicamerale, in Id., Sussidiarietà e sviluppo. Paradigmi per l'’Europa e per l’Xxxxxx, Xxxxxx, x. 00 ss.
205 X. XXXX, I cinquant’anni del codice civile, Milano, 1992, p. 24.
206 X. XXXXX, Breve storia della grande industria in Italia-1861-1961, Bologna, s. d., p. 173.
207 Sulle fasi preparatorie della legge italiana x. X. XXXXXXX, Un secolo di filosofia antitrust, cit., p. 295 ss.
rapposi- e metodi
atrice del ritto della ncorrenza
soppressione del Ministero delle partecipazioni statali e per il riordino di Iri, Eni, Imi ed Ina) si è dato avvio al processo di privatizzazione. Nel diritto privato scompare l’uomo senza qualità, il soggetto unico e astratto, mentre l’equilibrio negoziale è posto al centro dell’attenzione del legislatore che amplia la protezione dei consumatori, interviene con regole incisive nella disciplina dei contratti d’impresa, disciplina l’usura in ogni contratto208.
È difficile in tale esperienza storica separare con una cesura netta concorrenza e regolazione.
Esiste certo chi contrappone nettamente i due xxxxxx000. Il passaggio da uno Stato gestore ad uno Stato regolatore assieme alla netta svolta che si verifica con il necessario ritrarsi delle Istituzioni dal controllo diretto di settori vitali dell’economia, sono fatti storici che inducono a contrapporre dirigismo e mercato, economia mista e ordine spontaneo dei rapporti economici210. Ciò può determinare, a volte, una semplificazione. Le Autority sono considerate espressione di uno Stato leggero di un controllo soft, espressione di un ritrovato liberismo che sostituisce lo Stato imprenditore. Ne segue, secondo questa linea di lettura del reale, che “le origini della concorrenza tendono a sottrarsi alla storia dell’interventismo pubblico, calandosi per intero nella (sola) cultura del mercato…mentre Stato gestore e Stato regolatore appaiono tipologie statuali alternative e proprie di epoche radicalmente contrapposte e non comunicabili”211.
In un’ottica diversa un’analisi attenta della storia italiana ed europea sul punto porta ad affermare che “gestione e regolazione, pur diverse nella struttura organizzativa, … rappresentano capitoli diversi, ma contigui di un ordinamento giuridico” che disciplina, in modo diverso, le concentrazioni industriali e i poteri privati. Non si dubita che entrambe le modalità appartengono “al polo pubblicistico e si muovono stabilmente nello spazio dell’autorità politica” nazionale o sovranazionale e ciò significa aver piena consapevolezza che la concorrenza non è “prodotta spontaneamente dal mercato” non foss’altro perché le sue regole devono imporsi sulla libertà contrattuale dei privati.
Insomma, si precisa in modo chiarissimo un’acquisizione teorica di grande significato. “Il diritto della concorrenza ha, nella sua fase di incubazione e di nascita, una matrice eminentemente statale e politica e non può chiudersi esclusivamente all’interno della vicenda della storia del mercato; né sfuggire alla teoria e alla storia del potere pubblico, nel cui alveo...può trovare agevolmente una sua collocazione”. Sicché una visione neoliberista può spiegare “la fondazione teorica del diritto della concorrenza” ma “non è invece in grado di dare una spiegazione convincente alle origini storiche di questo ramo del diritto”212.
Ne sono prova le accuse di interventismo ed antiliberismo mosse, nel dibattito costituente ad Einaudi che aveva proposto di evitare la costituzione di monopoli per legge e di
208 Mi permetto di richiamare X. XXXXXXX, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 21 ss.; ID. (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto del contratti, Padova, 1999; ID. (a cura di) Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, Xxxxxx, 0000.
209 Per una panoramica delle varie posizioni X. XXXXXXX e X. X’XXXXXXX, (a cura di) Regolazione e concorrenza, Bologna, 2000;
000 x. xx xxxxxx ed esemplare analisi di X. XXXX, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 3 ss. ; e il volume collettaneo, Il dibattito sull’ordine pubblico del mercato, Roma-Bari, 1999, p. 3 ss.
211 Per una limpida descrizione di queste due linee di pensiero si veda, ancora, X. XXXXX, Ordine e disordine giuridico del mercato, cit., p. 339.
212 V. ancora X. XXXXX, op. cit., p. 340-342.
ra sottesa alla Carta ubblicana
controllare le concentrazioni monopolistiche private213, ma ne sono prova anche i forti contrasti nel mondo cattolico dopo l’approvazione della costituzione.
Si è osservato che nella Carta repubblicana non “c’è la cultura del mercato, ma c’è la necessità di difenderlo dall’alternativa del regime comunista”. Xxxxxx, si continua, “un sentimento misto che va a posarsi sull’iniziativa economica privata – e sul suo titolare, l’imprenditore – con il duplice intento di difenderlo e di assoggettarlo, non alle regole della concorrenza, ma a programmi e controlli, impulsi, orientamenti pubblici”214. Tale osservazione va rettificata.
È indubbio che il testo dell’art. 41 fu il prodotto dell’incontro della cultura cattolica con le istanze volte a imbrigliare “l’anarchia capitalista”, ma negli anni immediatamente seguenti emersero modi del tutto diversi, anche nella cultura cattolica, di porsi di fronte al problema del controllo del potere imprenditoriale e degli interventi da assumere in concreto215.
Prevalse, come è noto, la linea (di Dossetti, Fanfani, La Pira) favorevole ad intervenire in salvataggio di alcune imprese, (in particolare a Firenze, le Industrie della Pignone)216. Xxxxxx che costituì una “pietra di inciampo nella quale andò ad urtare il liberismo imperante,...oramai lanciato verso il trionfo”. E fu a causa di quella pietra, e dei fatti successivi del 1954 (durante il governo Xxxxxxx sempre a Firenze, con La Pira Sindaco), “che il liberismo, al contrario, iniziò a palesare il suo declino”217.
Se ciò fu una “iattura per il mondo cattolico e la causa di anni di ritardo sulla strada di una sana politica per il nostro paese”218 è molto discusso e discutibile. Certo è che iniziò in
213 La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori all’Assemblea costituente, cit., II, p. 1669 ove sono riportati gli interventi di Ruini (“l’emendamento (di Einaudi) sottopone poi a controllo pubblico i monopoli a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta. Ed è qui che si dispiega la macchina antiliberista dei controlli: controlli di squisita essenza interventista con uffici, organi, burocrazia di vigilanza”) e di Xxxxxxxx che condivise le critiche di Xxxxx tanto che la proposta di Xxxxxxx non fu approvata.
214 X. XXXXX, Il mercato nella costituzione, in Quad. cost., 1, 1992, p. 12.
215 G. LA PIRA, L’attesa della povera gente, LEF, Firenze, 1978; D. ANTISERI, Cattolici e mercato. La grande polemica, Roma, 1996; X. XX XXXXXXXX, Xx Xxxxxx x Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxx, 0000; X. XXXXX, L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo, Edizioni di Comunità, Torino, 1999. Lo scontro fra La Pira e Xxxxxx Xxxxx scoppia nel 1954 in una Firenze inquieta per la grave crisi economica e per una serie di licenziamenti a catena. A Costa che imputava a La Pira di star perdendo il senso delle proporzioni, il Sindaco replica di parlare di cose concrete e di ottenere in risposta la “metafisica economica” di Xxxxx Xxxxx. E di fronte al pericolo di disgregazione dell’economia produttiva della città tuona “Libera concorrenza; iniziativa privata; legge della domanda e dell’offerta e così via: in uno Stato come il nostro, nel quale la quasi totalità del sistema finanziario è statale e in cui i ¾ circa del sistema produttivo sono direttamente o indirettamente, statali! Me lo dica lei, con sincerità: è serio parlare di cose così importanti con tanta disinvoltura? Libera iniziativa: sì, di licenziare, di chiudere, di domandare; ma vediamo di andare oltre: come allora ci si ferma rapidamente!” (X. XXXXXX - G. LA PIRA, Cattolici e Mercato, la grande polemica, Ideazione, 1996, p. 28). Nella polemica interviene di lì a poco Xxxxx Xxxxxx, prendendo posizione contro lo statalismo che è “per definizione inabile a gestire una semplice bottega di ciabattino”. La Pira replica con la fotografia di una città in gravissime difficoltà (10.000 disoccupati, 950 licenziamenti, duemila sfratti, 17milla libretti di povertà, 37 mila persone assistite) e chiede “Che deve fare il Sindaco di una città che si trovi ad avere questa cartella clinica”. Ricorda il caso della Pignone “Se non fossi intervenuto e – non avessi avuto l’adesione intelligente di Xxxxxx – (che aquisì al patrimonio dell’ENI la struttura in crisi) avremmo perduto una preziosa attrezzatura industriale che dà diretto lavoro a 2000 famiglie” “Intervento statalista? Lo chiami come vuole: le etichette contano poco: intervenire si deve, è la norma base di tutta la morale cristiana e umana” (Cattolici e mercato, cit., p. 56-57).
216 Siamo nel 1951 e su quella vicenda si veda X. XXXXX, I cattolici e la piena occupazione. L’attesa della povera gente di Xxxxxxx Xx Xxxx, Milano, 1987; e soprattutto, Xxxx Xxxxxxx … caro Amintore. 25 anni di storia nel carteggio La Pira- Fanfani, Polistampa, Firenze, 2003, p. 155 ss.
217 X. XXXXX, La Pignone nel carteggio La Pira-Fanfani, in Caro Giorgio … Xxxx Xxxxxxxx, cit., p. 107.
218 D. ANTISERI, La Pira, Costa e Xxx Xxxxxx, in Sole 24ore del 5 gennaio 2004, p. 6.
ruolo lle
torità di ranzia
alori da far coesistere
quegli anni, con le partecipazioni statali, un’idea nuova di politica economica che è difficile definire l’inizio dello statalismo. Il predominio dello Stato era iniziato molto prima. Prevalse, questo sì, l’intervento219 sul libero gioco del mercato, di fronte ad una grave crisi economica.
Si comprende allora come sia difficile contrapporre, anche in questa vicenda italiana, concorrenza e intervento pubblico. Si trattò di una scelta di politica economica adeguata ai tempi, frutto di un agire mobile e vigile, non adatto ad essere racchiuso in schemi.
Il confronto con l’oggi può essere illuminante se solo si consideri il ruolo attuale delle Autorità di garanzia. Contro l’idea di una loro funzione arbitrale, espressione di un diritto e di un controllo soft, emerge la realtà di un intervento incisivo e penetrante sull’autonomia privata e la libertà di contratto, tanto da sollevare dubbi sulla rigida predeterminazione di molti contenuti contrattuali e sugli esiti di tali attività che sconfinano, per alcuni, in aspetti di vero e proprio neo-corporativismo220.
Se così è emerge un’ulteriore riprova del legame stretto fra intervento pubblico e tutela della concorrenza. Ciò che distingue le due ipotesi sono le modalità dell’intervento, diverso a seconda della diversità delle epoche storiche e dei problemi concreti da risolvere. Insomma una diversità derivata da scelte di politica economica che inducono ad una conclusione.
La tutela della libertà di concorrenza come la libertà di iniziativa economica e la libertà di contratto trovano il loro fondamento non in percezioni o teorie economiche o su di un ordine spontaneo del mercato ma in una cornice di regole, valori e principi che solo una Costituzione può fornire.
Il nostro ordinamento deve conciliare tre valori strettamente connessi: l’economicità, la giustizia sociale e la libertà individuale221 e ciò esige un criterio di correttezza procedurale che costituisce la base di valutazione di atti e comportamenti in ogni settore di attività, compresa la protezione dell’assetto concorrenziale del mercato222. La collocazione sistematica della legge 287 del 1990 (“Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”) è al riguardo essenziale. Una recente sentenza della Cassazione223 ha ritenuto che la normativa attui il solo primo comma dell’art. 41, ma tale lettura è in contrasto con un’interpretazione sistematica dell’ordinamento interno e comunitario, come ha chiarito una successiva sentenza a Sezioni Unite della Corte (Cass. 4 febbraio 2005 n. 2007).
La struttura della Costituzione italiana è coerente con il modello di Stato sociale di diritto recepito in molte Carte del novecento. L’utilità sociale riassume i limiti posti alla libertà di iniziativa economica e il mercato non è un fine, ma uno dei mezzi di realizzazione dell’“etica personalistica” insita nella disciplina formale224. D’altra parte, la normativa comunitaria, dall’Atto Unico del 1986 in poi, ha fatto sì che la libera concorrenza sia divenuta un “principio istituzionale centrale dell’ordinamento dell’economia” soggetto ad una
219 X. XXXXX, op. cit., p. 112.
220 V. G. GITTI, Autorità indipendenti, contrattazione collettiva, singoli contratti, in Riv. dir. priv., 2003, p. 255 ss. ; X. XXXXXXX, Autorità indipendenti, regolazione del mercato e controllo di vessatorietà delle condizioni contrattuali, ivi, p. 295 ss. 221 X. XXXXXXX, L’argomentazione orientata alle conseguenze, in Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 11 ss. 222 X. XXXXX, Antitrust e teoria della giustizia, cit., p. 21 ss.
223 Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475, in Foro it., 1993, c. 1132 ss.
224 X. XXXXXXX, Persona e iniziativa economica privata nella Costituzione, in Persona e Xxxxxxx, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 1996, p. 33 ss.
regolazione di cui la legge italiana del 1990 è una diretta espressione225. Essa attua i tre commi dell’art. 41 e in particolare l’utilità sociale della quale è “generale e principale garante”226.
Queste considerazioni, nel loro complesso, escludono un carattere autonomo solo pubblicistico e ispirato alla sola logica dell’efficienza delle fattispecie concorrenziali e consentono di identificare i destinatari di tali norme in ogni soggetto interessato al rispetto delle finalità espresse nei Trattati europei e nelle norme costituzionali interne227. I lavori preparatori della legge non smentiscono queste considerazioni. Per superare il contrasto fra chi sosteneva la centralità della tutela dei consumatori e chi anteponeva ad essa altri obbiettivi, fu varata l’attuale disciplina approvata da tutti come soluzione compromissoria, ma coerente con le finalità generali del sistema nazionale, integrato in quello comunitario228.
È questa la peculiarità italiana ma soprattutto europea, se è vero che c’è un filo strettissimo fra il dirigismo di Xxxxxx e le idee ordoliberali della Scuola di Friburgo che determinano il sorgere della normativa sulla concorrenza espressa prima nel Trattato CECA e poi nel Trattato di Roma. Ma questa osservazione ci induce a spostarsi dall’Italia al Unione nata con quell’Atto fondativo.
fferenze n
rdinamen U.S.A.
7.4. Le scelte del legislatore europeo
È noto che le peculiarità dell'antitrust europeo sono marcate dalla sua stessa funzione primaria di favorire e tutelare l'integrazione del mercato. La Comunità nasce per creare uno spazio comune, in passato occupato da aree economiche delimitate dalle legislazioni degli Stati nazionali. Ciò non accade negli Stati Uniti ove esisteva già, sin dai primi interventi, un mercato dotato di una sua operatività229.
Diversi sono gli strumenti di intervento. In Europa si è istituito un organo che ha poteri istruttori e decisori, a fronte del sistema americano basato su Istituzioni (Agencies e Dipartements) che hanno poteri istruttori ma non decisori, mentre sono i privati che possono attivare il procedimento di decisione. Sono diverse ancora la struttura e le finalità degli organi che emergono chiaramente nella casistica e nelle modalità di intervento sulle intese e le pratiche concordate.
Lo Sherman Act mira a reprimere pratiche illecite in sé o irragionevoli ma “quando una ragione c’è, l’intesa non è neppure ritenuta restrittiva”230.
Il divieto comunitario si rivolge, invece, ad ogni ipotesi che abbia per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza salvo il potere di esenzione della Commissione, oggetto di recenti modifiche. L’intervento politico prevale sulle considerazioni economiche e la trasformazione di tali categorie in argomenti giuridici incontra resistenze originarie. È il potere
225 X. XXXXXXX, op. cit., p. 35 ss.
226 X. XXXX, Costituzione e diritto privato nella “tutela della concorrenza”, in Riv. dir. civ., 1993, p. 545 ss. ; X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, cit., p. 440; X. XXXXX, Il mercato e la tutela della concorrenza, Bologna, 2001, p. 229.
227 Così Cass. 4 febbraio 2005 n. 2207, in Danno e Resp, 2005, p. 495.
228 X. XXXXXXXXXX, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, cit., p. 159 ss.
229 X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, cit., p. 47; X. XXXXX, Il mercato e la tutela della concorrenza, cit., p. 169 ss.
230 X. XXXXX, op. cit., p. 49.
del principe che traccia, tenendo conto degli interessi in gioco, il confine fra potere antitrust e libertà di impresa, non lo fa la consistenza costituzionalmente riconosciuta, sul campo, alle specifiche libertà degli uni e degli altri”231. Ciò accade nelle intese orizzontali e più ancora nelle intese verticali ove la rigidità degli organi comunitari ha ancora il fine di evitare la frammentazione, tramite tali accordi, dei mercati contro l’obbiettivo prioritario dell’integrazione.
Ma la diversità appare di tutta evidenza nella repressione dell’abuso di posizione dominante e nelle concentrazioni.
La prima disciplina è la più significativa e le opinioni su di essa le più distanti. L’imposizione di prezzi eccessivi e di condizioni non eque prevista nell’art. 82 del Trattato di Roma pare ad alcuno volta non al ripristino di condizioni concorrenziali, ma alla “regolazione bella e buona dell’impresa in posizione dominante”232, una norma che protegge non la concorrenza ma “i contraenti attraverso meccanismi di regolazione dei prezzi”233. Una funzione estranea, si osserva, alla disciplina antitrust e decisamente contraria alle linee di condotta di oltreoceano234.
Non manca chi separa nettamente, nella legislazione europea, tale norma come “potenziale passepartout a disposizione del potere pubblico che consente di penetrare nei meccanismi più reconditi del funzionamento della grande impresa e correggere i risultati della sua azione, qualora questi si rilevino perversi”.235
La verità è che tale modalità di repressione dell’abuso non si presta ad essere catalogata fra ipotesi di norme concorrenziali o regolative ma attesta anzi la peculiarità della legislazione antitrust che tutela non solo l’astratta efficienza del mercato ma “il pluralismo delle imprese, la tutela della libertà di scelta dei consumatori, gli aspetti redistributivi delle pratiche monopolistiche”236.
Tutto ciò in una concezione dinamica237, coerente con le acquisizioni teoriche di una parte significativa della dottrina che ha ripensato, dopo la prima metà del novecento, il ruolo della concorrenza. La teoria classica, sino agli trenta, ha ritenuto che i prezzi tendano a riequilibrare il mercato in modo rapito e istantaneo quando, in una situazione di concorrenza perfetta, ogni operatore sappia come si comporterà l’altro nelle varie mutazioni di xxxxxx000.
Tale modello è stato ed è utile per molti aspetti ma le critiche più recenti pongono in luce la sua base non realistica rispetto al processo decisionale dei soggetti e agli atteggiamenti che consentono il raggiungimento dell’equilibrio. Non spiega, si osserva, come funzionano i mercati. Da qui la revisione dovuta alle riflessioni fondamentali di Xxxxx, Xxxxxx e alla scuola austriaca con Xxxxxxx in particolare239. Si pone in chiara luce che è lo squilibrio il carattere naturale del mercato. Su di esso domina la scoperta imprenditoriale che “vede il futuro nella
231 ID., op. cit., p. 55.
232 Così X. XXXXX, op. cit., p. 33, ma v. nello stesso senso X. XXXX, Concorrenza ed antitrust, Bologna, 1998, p. 101;
X. XXXXXXXX-X. XXXXXXXXXX, Disciplina della concorrenza nella CEE, Torino, 1996, p. 519; X. XXXXXXX, Antitrust: Leggi antimonopolistiche e tutela dei consumatori nella CEE e negli USA, Bologna, 1988, p. 43; X. XXXXX-X. XXXXXX, EC Competition Law, Butterworths, 2001, p. 328.
233 v. la sintesi efficace di M. R. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, 2003, p. 33-34.
234 X. XXXXXXX, Antitrust, cit., p. 43.
000 X. XXXX, Xx sfruttamento abusivo di posizione dominante mediante imposizione di prezzi “non equi”, Milano,1989, p. 13.
000 X. X. XXXXX, Prefazione al volume di X. XXXXXX, Europa vs. Usa, cit., p. 13.
237 X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e concorrenza, cit., p. 440 ss.
238 Per una sintesi puntuale sul punto v. ora F. GOLFETTO, La concorrenza nella prospettiva della nuova economia, in X. XXXXXXX-F. GOLFETTO, La nuova concorrenza, Milano, 2000, p. 105 ss.
239 I. M. KIRZNER, Come funzionano i mercati, Xxxx, 0000, x. 00 xx.
xxxxxxxxx x
xxxxxx dell’incertezza”, con cui si diventa consapevoli di un guadagno disponibile senza costi o a costi minori.
Sono questi atti creativi, motivati dal profitto, che generano sul mercato un apprendimento reciproco e ne determinano il funzionamento. La scoperta, l’intuito, la scelta sono i veri motori del mercato come aspetti della libertà economica di cui si percepisce l’essenzialità in ogni schema analitico. La grande intuizione sta nell’aver dimostrato che “tutte le argomentazioni a sostegno della libertà intellettuale valgono anche per la libertà di azione”. Il problema concerne la qualità e i fini delle regole che ne disciplinano l’esercizio e sul punto le idee sono molto diverse.
Insomma il “dilemma delle democrazie liberali”240 è risolto in Europa con assoluta peculiarità. La libertà di azione ha le stesse tutele della libertà di pensiero, ma deve sottostare ad analoghi limiti. Regole procedurali devono valere per l’una e per l’altra senza segnare una diversità netta fra la libertà di concorrenza, condizionata da logiche di efficienza, e la libertà di contratto protetta solo contro i vizi della volizione delle parti.
In alcuni casi la disciplina regolativa può agevolare e ripristinare la concorrenza. Comune alle due discipline, come la storia ci ha indicato, è la radice pubblica dell’intervento e una commistione fra due distinte modalità di tutela non può essere motivo di scandalo.
Ancora più evidente si è manifestata la diversa filosofia antitrust in tema di concentrazioni come il recente caso GE-Honeywell ha mostrato con chiarezza241. Il favore per l’efficienza ha condotto gli organi americani ad approvare una concentrazione che è stata, invece, vietata nell’Unione Europea perché idonea a costituire e rafforzare una posizione dominante tramite l’integrazione tra produzione di componenti e acquisto di prodotti finiti. In particolare la Commissione motiva il diniego “in virtù della capacità dell’impresa risultante dall’operazione di offrire pacchetti di prodotti e servizi che non possono essere offerti congiuntamente dai rivali, così riducendo od eliminando la capacità competitiva di questi ultimi”242.
Del tutto evidente come in tal modo si privilegi il mantenimento di una pluralità di imprese sull’efficienza allocativa dell’offerta dei prodotti sul mercato243 secondo un “patrimonio culturale dell’antitrust europeo che risulta dai Trattati e dal testo della Costituzione europea”244. Dagli articoli 2 e 3 del Trattato Ce, 138 co. 2 del Trattato UE sugli scopi dell’Unione, all’art. 3.2 e 3.3 del progetto, sino alle eccezioni al divieto di aiuti concessi dagli stati membri (art.56) e alla espressa prevalenza riconosciuta nel caso Albany, alle finalità sociali dei Mercati rispetto alla stessa normativa sulla concorrenza245.
7.5. La legge 10 ottobre 1990, n. 287
240 X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, op. loc. cit.
241 Comm. CE, 3 luglio 2001, n. 4064/89, in Giur. comm., 2002, II, p. 285, ed ivi C. OSTI e X. XXXXXXXXX, La decisione della Commissione CE sul caso General Electric/Honeywell, p. 311 ss.
242 Comm. CE, 3 luglio 2001, cit., p. 285.
243 Sul problema delle efficienze e su loro rilievo in America e nell’Unione Europea v. C. OSTI – X. XXXXXXXXX,
Falsi amici: le concentrazioni in Europa e negli Stati Uniti, in Giur. comm., 2002, I, p. 153 ss.
244 X. XXXXX, Prefazione, in X. XXXXXX, Europa vs. America, op. cit., p. 13 nel volume si osserva che “L’impegno a rispettare questa concezione allargata dei diritti di cittadinanza al servizio dell’interesse comune attraversa la civiltà europea come un filo rosso” e rappresenta il discrimine con la società americana.
245 V. sul punto X. XXXXXXXX, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’integrazione europea, Bologna, 2003, in part. p. 227; ID., Solidarietà e concorrenza: conflitto o concorso?, in Mercato conc. Reg., 2004, 1, p. 75 ss.
La legge prevede l’istituzione di un Autorità Garante (art. 10) e dispone anche la competenza del Giudice ordinario (art. 33). Vediamo brevemente le figure più rilevanti
7.5.1. La disciplina delle intese
ozione di
intesa
tà delle
e restrittive
Aspetti ntrattuali
L’art. 2, l. 287/90, (così come l’art. 81 Tr. CE), vieta le intese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, falsare o restringere in maniera consistente il gioco della concorrenza nel mercato.
Tramite un’intesa alcune imprese, anziché farsi concorrenza sul prezzo e sulla qualità del bene o del servizio si accordano sulle strategie da tenere sul mercato in modo uniforme. Così facendo esse possono agire come un unico soggetto monopolista, capace di imporre prezzi eccessivi a danno dei consumatori.
La nozione di intesa è tale da comprendere ogni forma di accordo tra imprese che abbia per oggetto o per effetto la restrizione della concorrenza. Di conseguenza con tale termine si intende ogni accordo o pratica concordata nonché le deliberazioni di associazioni di imprese, idonee a predeterminare illecitamente il comportamento sul mercato (art. 2, c. 1).
La nozione è, perciò, molto ampia: nessun rilievo assumono la forma o la natura contrattuale dell’accordo, ben potendo costituire intesa qualsiasi incontro di volontà espresso in qualunque modo o anche meri comportamenti paralleli tacitamente concordati. Ciò che rileva è solamente il coordinamento delle condotte volto a sostituire il libero gioco della concorrenza.
Le intese, dunque, sono vietate se hanno per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza. Ciò significa che l’effetto anticoncorrenziale di un accordo è sufficiente a renderlo illecito, anche se tale effetto non ne costituisce la finalità principale, e, viceversa, anche un’intesa che non produce effetti anticoncorrenziali è vietata se ha tale oggetto.
Le intese possono essere verticali o orizzontali: sono verticali quando intercorrono tra soggetti della catena distributiva (ad es. tra produttore e distributori), mentre sono orizzontali (e vengono definite anche come cartelli) quando intervengono tra concorrenti.
Il citato art. 2 elenca a titolo esemplificativo una serie di intese restrittive della concorrenza: esse possono avere ad oggetto la fissazione dei prezzi di vendita o delle quantità di beni prodotti; oppure possono consistere nel ripartire il mercato fra le imprese, ovvero nell’applicare condizioni diverse a contraenti diversi.
Le intese restrittive (qualora siano stipulate in forma di contratto) sono nulle ad ogni effetto: si tratta di una nullità assoluta (che può esser fatta valere da chiunque) e integrale (colpisce l’intero accordo), per contrasto con norme imperative246.
Sulla disciplina delle intese è necessario un confronto attento247.
Anzitutto la nozione estesa alle pratiche concordate e alle deliberazioni non è affatto incompatibile con il contratto248. Il solo parallelismo dei comportamenti può non essere di per
246 X. XXXXXX ELMI, Concorrenza e mercato, in Le tutele civili delle imprese e dei consumatori, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2005.
247 Per un’analisi complessiva v. X. XXXXXXXXX, Intese restrittive della libertà di concorrenza, in Diritto antitrust italiano, a cura di X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Griffi, L. C. Xxxxxxxxx, Bologna–Roma, 1993, I, p. 145 ss. e da ultimo X. XXXXXXXX, Intese orizzontali e aperture in tema di concorrenza e di mercato nella giurisprudenza della Cassazione, nota a Cass. 1 febbraio 1999, n. 827, in Giur. it., 1999, p. 1223 ss. e, sempre a commento di tale sentenza, L. DELLI PRISCOLI, La dichiarazione di nullità dell’intesa anticoncorrenziale da parte del giudice ordinario, in Giur. comm., 1999, II, p. 223; X. XXXXXXX, Le intese restrittive anteriori alla legge antitrust: legge retroattiva o nullità speciale?, in Giur. it., 2000,
p. 939; X. XXXX, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese anticoncorrenziali, Milano, 2001, p. 20 ss.
sé rilevante, ma è il contatto fra gli operatori che completa la fattispecie, secondo uno schema noto da tempo alla giurisprudenza teorica e pratica che attrae nell’area contrattuale molti fenomeni che erano un tempo esclusi249.
D’altra parte le ragioni della nullità hanno diviso la dottrina che fa riferimento alla illiceità dell’oggetto e della causa250 o al concreto effetto anticoncorrenziale delle intese che sono illecite se hanno per oggetto o per effetto la restrizione della concorrenza251 ed è quest’ultima la ricostruzione più convincente. L’antigiuridicità che si vuol reprimere va oltre la funzione del contratto o la sua meritevolezza e si rivolge alle conseguenze dell’atto contrastante con la tutela della concorrenza e con l’utilità sociale espressa nell’art. 41 della Costituzione. La presenza, comunque, della norma che dispone il divieto ed il rimedio della nullità è sufficiente per comprendere la figura nella previsione ampia dell’art. 1418 c.c.252.
È solo il caso di precisare che la previsione della nullità è accolta con favore dalla stessa analisi economica del fenomeno e che le caratteristiche dell’azione debbono essere ricostruite senza preconcetti dogmatici ma in piena aderenza con le novità profonde del sistema delle invalidità emerse nel nuovo sistema delle fonti.
Sul primo aspetto il teorema di Xxxxx ci insegna che “le parti redigeranno un contratto perfetto quando i costi transattivi sono pari a zero”. In tal caso il contratto è “efficiente perché ogni diritto è attribuito alla parte che lo valuta di più e ogni rischio è addossato alla parte che lo può sopportare al costo più basso”. Al contrario “i contratti sono imperfetti quando le parti sono irrazionali o i costi transattivi sono positivi”253, come nel caso di conseguenze negative per i terzi estranei all’accordo. È evidente che il cartello o l’intesa restrittiva determina un effetto negativo sul mercato contrario all’ordine pubblico e ciò esige un rimedio radicale come la nullità.
mento funzione invalidità
Quanto ai caratteri dell’azione non si può trascurare che è mutata nel sistema delle fonti, come vedremo, la disciplina e la funzione delle invalidità, oggetto di un ripensamento attento nella dottrina recente254. Come si è osservato il codice civile conosce la nullità e la annullabilità, nel diritto privato europeo scompare l’annullabilità e trionfa la nullità, il diritto
248 v. già App. Milano, ord. 13 luglio 1998, in Giur. it., 1999, p. 1897 con nota di X. XXXXXXX, Attività di lobbyng e divieto delle intese restrittive della concorrenza: divagazioni sul tema.
249 X. XXXXXXX, Intese limitative della concorrenza ed effetti sul mercato. Relazione svolta nel corso di dottorato su “Consumatori e Mercato” presso l’Università di Roma Tre, il giorno 8 aprile 2003; v. altresì di recente sulla c.d. responsabilità contrattuale da contatto Xxxx. Sez un. 8 febbraio-27 giugno 2002, n. 9346, in Guida al Diritto, 2002, 28, p. 60 ss.; sul danno provocato dall’alunno a scuola Cass. 27 febbraio-11 giugno 2003, n. 9366, ivi, 2003, p. 54, confermata da Xxxx. 18 nov. 2005, n. 24456, in Danno e Resp., 2006, 1081 ss. Sulla responsabilità della Banca: Cass. S.U. 26 giugno 2007, n. 14712, in Banca borsa, tit. credito, 2008, 567 ss. Sulla responsabilità del medico: Xxxx. 13 aprile 2007,
n. 8826, in Resp. civ. e prev., 2007, 1824 ss. X. xx xxxxxx Xxxx. X.X. 00 dicembre 2007, n. 26724 (che conferma Xxxx. 29 maggio 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, I, 11055) con commento di X. XXXXXXX, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitoria, in Obb. e contr., 2008. Sul regime comunitario x. X. XXXXXXXX-X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxx xxxxx XX, Xxxxxx,0000, p. 470.
250 Così X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2002, p. 433; X. XXXXXXX, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Il contratto e le tutele, Torino, 2002, p. 1999 ss. ; App. Torino 6 luglio 2000, in Danno e Resp., p. 46; X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 402.
251 X. XXXX, Costituzione e diritto privato nella “tutela della concorrenza”, in Riv. dir. civ., 1993, p. 546.
252 v. per tutti X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 741.
253 Il mercato delle regole, a cura di X. Xxxxxx, X. Xxxxxx, P. G. Monateri, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxx, Bologna. 1999, p. 232.
254 X. X. XXXXXXX, Xxxxxxxxxxx x xxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. XXXXXXXXXX, Nullità speciali, Milano, 1995; X. XXXXXXXXXX, Contratto nullo e fattispecie giuridica, Padova, 1995, p. 67; P. M. PUTTI, La nullità parziale, Napoli, 2002.
privato uniforme si disinteressa dell’una e dell’altra, nei Principi di diritto europeo dei contratti ricompare un’invalidità con tratti vicini all’annullabilità255.
Certo è che la figura si allontana definitivamente dall’idea di un vizio interno alla fattispecie. Si relativizza, si frantuma e ciò agevola la riflessione sull’art. 2 della legge italiana anche se non elimina i dubbi interpretativi.
Alcuno reputa che la rilevanza di principio della concorrenza tratto dall’art. 41, comma 2 della Costituzione consenta di affermare l’illiceità del contratto restrittivo anche al di là dei presupposti fissati dalla legge. La soglia merceologica e geografica, si osserva, giustifica l’avvio dell’azione amministrativa mentre al di sotto di tale limite potrebbe essere dichiarata la nullità per l’illiceità della causa del contratto che falsa o restringe la concorrenza256. Tale ricostruzione suscita perplessità perché il giudizio di invalidità di un atto di autonomia sarebbe rimesso alla semplice violazione del principio di libera concorrenza come attuazione dell’utilità sociale, con una perdita totale della fattispecie contenuta nella legge interna e comunitaria che sarebbero aggirate attribuendo al giudice un potere amplissimo che mal si concilia con un giudizio che elimina radicalmente gli effetti di un accordo.
Preferibile è la tesi di una rigorosa interpretazione della indicazione dell’art. 2 che richiede una restrizione “consistente” del gioco della concorrenza “all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”. Il dialogo sul punto è stato fruttuoso. L’area geografica è intesa come parte anche minima del mercato nazionale, purché costituisca un mercato separato e questo viene definito come un insieme di prodotti “abbastanza sostituibili” fra loro dal lato della domanda e dell’offerta. L’interprete non può che decidere sulla nullità dopo aver individuato e motivato tutti questi elementi257.
Il Regolamento comunitario n. 1 del 2003 ha mutato radicalmente i criteri per l’applicazione dei divieti comunitari. Si passa da un regime di autorizzazione ad un regime dichiarativo di eccezione legale per le restrizioni ammesse. Viene meno la necessaria notifica preventiva e le intese che integrano i requisiti del par. 3 dell’art. 81 sono considerate lecite ab initio. Ciò determina una necessità di coordinamento con l’art. 4 della legge del 1990 che parla ancora di autorizzazione in deroga e comporta non facili problemi di adattamento delle due discipline che operano, comunque, su ipotesi diverse.
Una recente
vicenda sprudenzial
e
Utile è il richiamo ad una vicenda giurisprudenziale recente.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha accertato che tutte le principali compagnie di assicurazione nel ramo della responsabilità per la circolazione dei veicoli, avevano posto in essere un’intesa orizzontale (cartello) consistente nello scambio sistematico di informazioni commerciali fra le imprese. Ciò aveva comportato una restrizione della concorrenza e un conseguente aumento dei prezzi assicurativi, ritenuto in cifre il 20% del prezzo delle polizze.
Da qui l’ordine alle imprese di astenersi dal continuare il contegno e la sanzione pecuniaria elevatissima. Il TAR e il Consiglio di Stato hanno confermato queste decisioni.
255 Così, testualmente, X. XXXXXXX, Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, cit., p. 202 ss.
256 X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, cit., p. 444.
257 X. xxx xxxxx Xxxx. 0 febbraio 1999, n. 827 in Giur. it., 1999, 1223 con nota di X. XXXXXXXX, Intese orizzontali e aperture in tema di concorrenza e di mercato nella giurisprudenza della Cassazione; e in Riv. dir. comm. 1999, II, 183 con nota di X. XXXXXX, A proposito della nullità delle intese restrittive della concorrenza concluse prima dell'entrata in vigore della l. 287/90; e in Danno e resp., 2000, p. 57 con nota di X. XXXXXXX-X. XXXXXXXXX, “Interesse pubblico e antitrust: qualche osservazione”.
ntenza Corte di azione a ni Unite
Definizione
Accertata la violazione della norma si era posto il problema della possibile tutela degli assicurati che avevano stipulato un contratto con una compagnia aderente al cartello.
Sono emersi due aspetti controversi:
a) Anzitutto la sorte dei contratti (a valle) individuali esecutivi dell’accordo illecito (a monte). Si è dovuto valutare se il giudizio di disvalore espresso sull’intesa vietata potesse travalicare tale fattispecie e colpire i singoli negozi a valle, e le soluzioni sono state diverse (nullità derivata; illiceità della causa e dell’oggetto; contrasto con norme imperative; nullità di protezione; risarcimento del danno).
b) Si è dovuto poi precisare la competenza giurisdizionale.
Si doveva stabilire se fosse competente il giudice di merito in base al valore (Giudice di Pace o Tribunale) o la Corte d’Appello ai sensi dell’art. 33 della legge che stiamo esaminando.
Si è così verificato un contrasto fra due sezioni della Cassazione.
Secondo Xxxx. 9.12.2002 n. 17475, la legge del ’90 è rivolta alle imprese e non concerne direttamente i consumatori. Xxxxxx, i consumatori potrebbero trovare tutela davanti all’ Autorità Garante o chiedere un risarcimento del danno in forza di uno specifico diritto soggettivo da far valere davanti al giudice competente.
Un’altra sezione della Cassazione (ord. 03.07.2003) ha ritenuto che la legge del ’90 fissi la competenza funzionale della Corte d’Appello e si rivolga ad un’ampia categoria di soggetti e, dunque, tutti i concorrenti, i fornitori e i consumatori danneggiati da atti e fatti correlati alla legge. Ciò perché l’illecito concorrenziale è astrattamente idoneo a propagarsi secondo lo schema della reazione a catena, salvo le categorie generali della causalità e del danno.
Il conflitto è stato risolto dalla Cassazione a Sez. Unite con la sentenza del 4.02.2005 n. 2207, secondo la quale il diritto a chiedere il risarcimento da parte di ogni danneggiato è elemento essenziale della disciplina del mercato e tale orientamento è un criterio ermeneutico della nostra legge che rinvia ai principi dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza. La sentenza precisa che la legge attua i tre commi dell’art. 41 Cost. e non ha un carattere solo pubblicistico. Destinatario è ogni soggetto interessato al rispetto delle finalità espresse nei Trattati europei e nelle norme costituzionali interne. La conclusione è netta.
La legge del ’90, si osserva, non è la “legge degli imprenditori soltanto ma è la legge dei soggetti del mercato ovvero di chiunque abbia interesse formalmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere”258.
258Si riporta la massima della sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207 (in Foro Online): “La legge antitrust 10 ottobre 1990 n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall’altro, che il c. d. contratto «a valle» costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti; pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 c. c., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione «a monte», ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 l. n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d’appello (nella specie, dopo l’irrogazione da parte dell’autorità garante della concorrenza e del mercato a numerose compagnie di assicurazione di una sanzione per la partecipazione a un’intesa restrittiva della concorrenza, il consumatore finale aveva convenuto in giudizio, dinanzi al giudice di
7.5.2. L’abuso di posizione dominante
Ratio
L’art. 3 l. 287/90, come l’art. 00 Xx. XX, vieta l’abuso di posizione dominante all’interno del mercato rilevante.
Per posizione dominante si intende quella posizione di forza economica che consente all’impresa che la detiene di tenere comportamenti indipendenti rispetto ai concorrenti e ai consumatori. Un’impresa in posizione dominante dispone infatti di un potere di mercato tale da essere in grado di fissare i prezzi di vendita senza temere di perdere clienti e cioè senza dover tener conto di quanto facciano eventuali concorrenti. La posizione dominante, pertanto, pur non coincidendo esattamente con il monopolio – che si ha quando nel mercato vi è un’impresa sola – si avvicina molto a questa figura, in quanto il mercato risulta caratterizzato dalla presenza di un’impresa dotata di un grande potere economico e da poche piccole imprese concorrenti.
Detenere una posizione dominante, tuttavia, non è vietato in sé ma solo il suo abuso è punito dalle norme antitrust.
In tal modo si vuole evitare che l’impresa che abbia raggiunto – per meriti propri – tale posizione, ne possa abusare, tenendo comportamenti anticoncorrenziali a danno delle altre imprese e dei consumatori. In particolare risultano vietati i comportamenti volti a escludere le imprese concorrenti rimaste sfruttando la propria supremazia, e quelli volti a imporre ai consumatori prezzi di vendita eccessivi (perché monopolistici e non concorrenziali) o altre condizioni eccessivamente gravose.
Per ragioni analoghe sono vietate anche le concentrazioni tra imprese che possano creare una posizione dominante: le operazioni di concentrazione sono perciò soggette ad un controllo preventivo dell’AGCM, che ne valuta gli effetti, vietando quelle anticoncorrenziali259.
Presupposto della fattispecie è l’individuazione di un mercato rilevante.
C’è un’area delimitata dalla norma che si riferisce ad un mercato geografico e all’estensione del mercato nazionale o di una sua parte rilevante. Ma per determinare il mercato rilevante non è sufficiente l’indicazione spaziale. Occorre individuare il mercato del prodotto o del servizio offerto i quali devono essere beni o servizi non sostituibili con altri260.
xxxx, la propria compagnia di assicurazioni, chiedendo il rimborso di una parte - il venti per cento - del premio corrisposto per una polizza di r. c. auto, assumendo che l’ammontare del premio era stato abusivamente influenzato dalla partecipazione dell’impresa assicuratrice all’intesa vietata)”.
259 X. XXXXXX ELMI, Concorrenza e mercato, Le tutele civili delle imprese e dei consumatori, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2005.
260 Cass., 13 febbraio 2009, n. 3638, in Diritto e Giustizia, 2009, ha precisato che «ai fini della delimitazione del mercato rilevante occorre prendere in considerazione l’estensione geografica in cui l’operazione denunciata si colloca o sortisce effetti (mercato geografico) e l’ambito del prodotto o del servizio che la medesima operazione investe (mercato del prodotto). In merito alla normativa antitrust, per la definizione del mercato rilevante occorre, comunque, fare riferimento sia alla “comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza (in G.U.C.E., C 372, del 9.12.1997) sia ai parametri individuati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, vale a dire la sostituibilità sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta».
V. anche la comunicazione della Commissione Europea del 9.02.2009, C (2009) 864 definitivo, relativa agli orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 del Trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti. Il testo è reperibile al seguente link: xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxx- petition/consumers/index.it.html.
Nullità
L’AGCM ha individuato come criterio fondamentale ai fini della qualificazione del mercato rilevante la sostituibilità del prodotto dal lato della domanda261 e questa delimitazione serve a individuare l’area in cui opera l’impresa.
Determinato il mercato si cercherà di individuare se una o più imprese detengono una posizione dominante e se esiste abuso che è esemplificato in una serie di casi. (art. 3):
a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;
c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
d) subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.
Si tratta di comportamenti tipizzati, che sono l’esemplificazione più frequente nella prassi di un comportamento abusivo.
La definizione di impresa rilevante ai sensi della l. 287/90 non coincide con quella di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c., perché riguarda ogni soggetto, che svolge attività economica, in grado di ridurre la concorrenza nel mercato (nozione di tipo funzionale).
Per quanto concerne l’applicazione della disciplina antitrust alle associazioni di imprese “non ha importanza se svolgono attività d’impresa o economica essendo sufficiente che operino quali enti esponenziali di imprese che operano sul mercato: infatti anche tale attività può avere come scopo o effetto di alterare la concorrenza sul mercato”262.
Al fine di stabilire se sia assoggettabile alla legge antitrust il gruppo di impresa, è necessario capire se questo possa essere configurato come un solo soggetto o come una pluralità di soggetti distinti, perché soltanto in questa ultima ipotesi potrà trovare applicazione la normativa in commento
La Corte di Giustizia e la Commissione sostengono che le imprese dello stesso gruppo debbano essere considerate come unico soggetto. Anche la AGCM ritiene che il concetto di accordo restrittivo della concorrenza presupponga il concorso di due o più soggetti, non soltanto distinti dal punto di vista giuridico, ma anche in grado di operare in modo autonomo sul mercato.
Le disposizioni della legge si applicano sia alle imprese private che a quelle pubbliche o a prevalente partecipazione statale, mentre non si applicano alle imprese che, “per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati”.
A differenza dell’art. 2 che dispone la nullità delle intese, nell’art. 3 non è indicata una sanzione specifica. Preferibile è l’idea che il contratto o le clausole strumento dell’abuso siano nulli ai sensi dell’art. 1418, comma 1. Salvo il risarcimento dei danni subiti dal concorrente o dal consumatore.
La legge antitrust ha adottato un modello misto che prevede un’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) e un’autorità giurisdizionale ordinaria.
261 Cfr. : AGCM 25/96, 2793/95, 45/96 e X. XXXXXX ELMI, Concorrenza e mercato, cit.
262 T. A. R. Lazio, sez. I, 27 marzo 1996 n. 476, in T. A. R. 1996, I, 1193.
La legge istituisce un’Authority, organo collegiale che “opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione” (art. 10), attribuendogli poteri di accertamento di accordi e di intese, sanzionatori e inibitori. L’AGCM istruisce e, alla fine dell’iter procedimentale, emette sanzioni amministrative pecuniarie.
Contro le decisioni dell’Autorità garante si può ricorrere al TAR e al Consiglio di Stato (art. 33).
Vi è anche una competenza concorrente del Giudice ordinario a conoscere le azioni di nullità, risarcimento del danno e ad emettere provvedimenti d’urgenza in relazione alle violazioni delle disposizioni della legge. Si tratta di una competenza funzionale del Tribunale delle imprese.
Definizione
7.5.3. Le concentrazioni
Il termine concentrazione indica “il risultato economico che si ottiene quando si verifica una modifica duratura nella struttura delle imprese interessate, tale che un’impresa incrementa il proprio potere di mercato non già attraverso una crescita interna, ma attingendo a economie di terzi. Con la conseguenza che due o più imprese precedentemente indipendenti vengono poste sotto il controllo di un unico soggetto”263.
La disciplina delle concentrazioni pone in luce un ruolo peculiare del contratto.
In essa si “intrecciano ancora le ragioni non economiche della dispersione del potere economico, del pluralismo e della tutela dei piccoli imprenditori, con le ragioni economiche di efficienza”264 e si manifesta con chiarezza l’apparente paradosso dell’antitrust. La crescita naturale dell’impresa, sino all’acquisizione di una posizione dominante è lecita, mentre la concentrazione per aggregazione contrattuale restrittiva della libertà di concorrenza è vietata.
La ragione sta nell’esigenza di evitare le inefficienze tipiche del monopolio, ma dall’accordo fra le imprese possono derivare utilità produttive ed allocative265, sicché è evidente la necessità di coordinare due modalità di intervento opposte: “la politica dirigistica che vede nell’operare dell’Autorità di controllo un sistema di autorizzazioni e di divieti e la politica liberistica che si affida piuttosto alla ricerca di soluzioni concordate tra gli operatori e le Autorità, in cui gli atti di questa sono preceduti da trattative e seguiti da comportamenti negoziali delle parti con terzi, quali adempimenti delle direttive dell’Autorità”266.
Al di là degli schemi, l’utilità di una cooperazione fra intervento pubblico e comportamenti dei privati costituisce la base della disciplina comunitaria che privilegia “il ricorso ad atti e comportamenti riconducibili alla sfera degli accordi … come comune ricerca delle soluzioni”267, e si affida “alle categorie del diritto privato, in particolare agli istituti dell’autonomia negoziale”. La disciplina è diversa nei singoli ordinamenti nazionali ed è oggetto di riesame anche a livello comunitario, mentre il diritto interno si caratterizza per alcuni aspetti significativi e per un’incertezza in ordine alla sorte delle operazioni vietate268.
263 X. XXXXXX ELMI,Concorrenza e mercato, cit.
264 v. X. XXXXXX ELMI, op. ult. cit. ; C. OSTI, Operazioni di concentrazione, il Diritto antitrust italiano, cit., p. 543 ss.
265 X. XXXXX, Fusioni orizzontali: analisi economica e disciplina comunitaria, Mercato conc. Reg., 2000, II, 211-243; ID.,
Competition Policy. Theory and Practice, Cambridge University Press, 2004, p. 137 ss.
266 Così X. XXXX, Concentrazioni societarie e disciplina della Concorrenza. I rimedi e i limiti alla libertà contrattuale, in Riv. dir. priv., 2003, 4, p. 696.
267 X. XXXX, op. ult. cit., p. 696.
268 V. ancora X. XXXX, op. ult. cit., p. 611 ss., ma anche X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e concorrenza nel diritto Italiano, cit., p. 461-462.
Ipotesi di nefficacia
Manca espressamente un’indicazione normativa sul ricorso ad una negoziazione nella fase anteriore all’accordo, ma l’interpretazione delle norme pone in luce un “modello convenzionale” di intervento. Nell’art. 18 comma L. 287/90 si dice che l’Autorità può autorizzare la concentrazione se le imprese provino di “aver eliminato dall’originario progetto di concentrazione gli elementi eventualmente distorsivi della concorrenza”. Nel comma successivo si precisa che, in presenza di un accordo già raggiunto l’Autorità “può prescrivere le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi”. Tutto ciò in un procedimento che prevede obblighi di condotta per i privati e poteri autoritativi che evocano gli accordi amministrativi già disciplinati dalla legge269.
Quanto alla validità delle operazioni le opinioni sono diverse. Alcuno le reputa valide seppur soggette a sanzioni270, altri invalide per violazioni di norme imperative271, altri ancora nulle solo in caso di divieto espresso dell’Autorità272; più convincente è l’idea che ravvisa in tal caso un’ipotesi di inefficacia “vera e propria ... che rispetta i consueti schemi e canoni ap- plicativi”273.
La tesi è del tutto coerente al tipo di conflitto e di controllo predisposto dalla legge.
Gli accordi di concentrazione, come si è detto, possono essere utili ed efficienti o restringere la concorrenza; l’Autorità interviene con l’imposizione di obblighi e con provvedimenti volti a ripristinare l’interesse generale. Lo schema della condicio juris si presta a descrivere, nel modo più appropriato, il tipo di intervento sull’efficacia di accordi. Solo che occorre distinguere.
Le concentrazioni di rilevanza comunitaria sono soggette ad una “dichiarazione di compatibilità che sospende gli effetti (art. 7 reg. CEE 4064/1989)” mentre quelle di rilevanza interna richiedono un ordine dell’Autorità per la loro sospensione e sono sottoposte ad una condicio juris risolutiva274. Il rimedio dell’inefficacia è il più coerente con le finalità dell’intervento e con la sua incidenza sugli atti compiuti.
7.6. L’abuso di dipendenza economica
7.6.1. Abuso di dipendenza economica e abuso di posizione dominante
È necessario anzitutto un raffronto con l’abuso di posizione dominante e si deve chiarire subito che nell’abuso di dipendenza economica si dà rilievo non alla dominazione di un’impresa sul mercato, ma all’abuso e allo squilibrio nell’ambito di un rapporto negoziale.
Anche se le due normative in altri ordinamenti sono espressione di un ordine concettuale comune.
In Germania già nel 1973 è stata introdotta una novella (la seconda) alla legge del 1957 (GWB) per estendere il divieto di “iniquo impedimento” (Unbillige Behinderung) e di “differente
000 X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx amministrativa e disciplina antitrust, Milano, 1998, p. 479 ss. ; V. DONATIVI, Poteri dell’Autorità in materia di divieto delle operazioni di concentrazione, in Diritto antitrust italiano, a cura di Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx, Bologna, 1993, p. 1007; X. XXXXXXX, Concorrenza e mercato, a cura di Afferni, Padova, 1994, p. 405 ss. e ora X. XXXX, op. cit., p. 708-711.
270 M. S. SPOLIDORO, La disciplina antitrust in Italia, in Riv. soc., 1990, p. 1299.
271 G. DALLE VEDOVE, Concentrazioni e gruppi nel diritto antitrust, Padova, 1999, p. 351 ss.
272 X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, cit., p. 461-462.
000 X. XXXXXXX, Xxxxxxx e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Europa e dir. priv., 2001, p. 493-494.
000 X. XXXXXXX, op. cit., p. 494.
trattamento privo di causa obbiettiva” (Ungleichbehandlung ohne sachlich gerechtfertigen Grund) alle imprese che siano in rapporto con altre in situazioni di dipendenza economica e prive di alternative sufficienti sul mercato275. Il contratto posto in essere in violazione di tali disposizioni, pur non essendo affermato in modo espresso, è ritenuto nullo valutando i suoi fini ed effetti xx xxxxx xxx § 000 XXX000.
Xx Xxxxxxx l’art. 420-1 e 2 del codice di commercio aveva recepito l’art. 8 dell’ordonnance del 1 dicembre 1986 e proibito, alle condizioni indicate, le posizioni dominanti, le situazioni di dipendenza economica e gli abusi anticoncorrenziali277, istituendo un ordine attuato dalla giurisprudenza attenta del Conseil de la Concurrence che è intervenuta a precisare le relative nozioni. La posizione dominante individuale e collettiva e l’abuso di dipendenza economica sono state precisate in ogni settore di riferimento con analitico esame delle pratiche ritenute illecite e imputabili a tali imprese in riferimento ai prezzi, ai rifiuti di vendita, alle pratiche discriminatorie, mentre altrettanta cura si è prestata ad un’esemplificazione delle pratiche che non sono state ritenute abusive278.
L’ultima evoluzione normativa è ancora più significativa. Se con l’ordonnance del 1986 la dipendenza economica era intesa in stretto riferimento alla nozione di dominazione concorrenziale, senza una menzione esplicita alla imposizione di condizioni inique, la legge del 1996 e la recente legge del 15 maggio 2001, n. 2001-420 (Nouvelle régulation économique) innovano profondamente il sistema. Il divieto di abuso della situazione di dipendenza è ritenuto rilevante a prescindere dalla lesione della concorrenza in sé. Scompare ogni riferimento alle possibilità per l’impresa dominata di poter ricorrere ad alternative equivalenti e l’abuso si ha quando si “sottomette il partner commerciale a condizioni ingiustificate”. Sicché pare ad alcuno che si sia manifestata chiaramente “un’ulteriore accentuazione della politica dirigistica volta a proteggere le piccole e medie imprese in quanto soggetti meglio in grado di garantire…la produzione francese”279.
In Italia si è discusso se collocare la norma nella disciplina antitrust o in quella contrattuale.
La fattispecie dell’abuso di dipendenza economica nei disegni originari avrebbe dovuto essere collocata nella L. 287/90 – in materia di concorrenza e mercato – come art. 3-bis, ad integrazione della tutela offerta dal divieto di abuso di posizione dominante (art. 3, L. 287/90). Tale soluzione sarebbe stata perfettamente in linea con quelle adottate da Germania e Francia. L’esclusione della disciplina dalla legge antitrust è stata influenzata principalmente da un parere negativo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che valutò impropria la collocazione della dipendenza economica all’interno della disciplina della concorrenza. Ciò perché, si disse, “le norme antitrust sono disposizioni generali dirette a tutelare il processo concorrenziale in relazione all’assetto del mercato”, mentre la norma relativa alla dipendenza economica “costituisce una regola specifica inerente alla disciplina dei rapporti contrattuali tra
275 M. R. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, 2003, p. 47 e ss. ove si riferisce sul dibattito svoltosi in Germania sul punto. “La maggioranza della dottrina tedesca ha ritenuto che il riferimento alla “dipendenza economica” servisse solo ad estendere l’ambito di applicazione del divieto di discriminazione a situazioni che – pur in grado di porre ostacoli al corretto funzionamento del mercato – non avrebbero potuto essere ricondotte all’interno della posizione dominante, così come definita nel GWB, e pertanto ha ritenuto che tale introduzione non avesse in alcun modo modificato il tipo di interesse tutelato dalla norma”.
276 M. R. XXXXXXX, op. cit., p. 60 ed il rinvio a Xxxxxxx, sb §20, in Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, GWB. Kommentar, Rn. 226, 858.
277 M. R. XXXXXXX, op. cit., p. 67 ss.
278 V. i riferimenti giurisprudenziali contenuti nel siti www. Conseil-concurrence. fr.
279 Così M. R. XXXXXXX, op. cit., p. 100.
le parti, con finalità che possono prescindere dall’impatto di tali rapporti sull’operare dei meccanismi concorrenziali”. Inoltre essa, si disse ancora, “affonda le radici nella tematica del riequilibrio contrattuale e più precisamente nella valutazione del rapporto negoziale tra le parti”. Sicché le patologie di questo rapporto trovano rimedio nel divieto, e conseguente invalidità, di clausole vessatorie “e nelle garanzie stabilite a favore della parte più debole e la loro disciplina va inquadrata, si concluse, nell’ambito delle norme civilistiche relative alle obbligazioni e ai contratti.”
È evidente che nelle parole dell’Autorità Xxxxxxx traspare l’idea che l’interesse protetto dalla disciplina antitrust sia solo quello della efficienza del mercato e non il controllo dei rapporti individuali a cui sono ispirate le norme sul contratto.
Ma a ben vedere tale idea non è condivisibile perché si fonda sull’assunto, non dimostrato, che il diritto antitrust debba occuparsi soltanto del potere di mercato in senso classico280. Così la disciplina della concorrenza avrebbe di mira solo il benessere collettivo mentre il diritto dei contratti potrebbe perseguire una finalità di giustizia distributiva in ordine ad ogni singolo rapporto.
La rigidità di questa schematizzazione contrasta sia con la complessità e la molteplicità di funzioni che si sono storicamente ricondotte all’antitrust, sia con la perdita di benessere derivante dall’abuso di una posizione di dominio relativo, analoga a quella che scaturisce dall’esercizio di una posizione di tipo monopolistico.
L’evoluzione normativa della legge sulla subfornitura conferma queste perplessità.
Nella prima metà del 2000 la X Commissione (industria e turismo) del Senato constatò la sostanziale inattuazione dell’art. 9 della L. 192/98 e ciò si ritenne dovuto alla formulazione della norma che prevedeva la possibilità di agire esclusivamente in sede civile, ad iniziativa di parte, con l’esclusione di interventi d’ufficio da parte di un’ Autorità pubblica.
Al termine dell’indagine la Commissione ha approvato una risoluzione in cui si auspicava l’intervento dell’AGCM a tutela del corretto svolgimento dei rapporti economici e al fine di rendere efficace il sistema delle sanzioni e dei controlli.
La richiesta è stata accolta dalla legge 5 marzo 2001, n. 57, recante disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati, il cui art. 11 ha modificato il terzo comma, attribuendo al giudice ordinario la competenza a conoscere tutte le controversie in materia di abuso di dominanza relativa, comprese le azioni inibitorie e risarcitorie; ha, anche, aggiunto il comma 3-bis, che assegna all’AGCM una specifica competenza in materia.
Le vicissitudini che hanno accompagnato la genesi del nuovo istituto sono state alla base della nascita di una profonda ambiguità intorno al suo ambito di applicazione, che hanno reso l’art. 9 della l. 192/98 una norma “sospesa tra diritto civile e diritto antitrust”281.
7.6.2. La ratio
La ratio della legge sulla subfornitura (l. 192/98) che contiene l’Istituto è chiara. La crisi della integrazione verticale determinata da un bisogno di flessibilità del mercato, induce a nuove strategie aziendali di produzione e di collaborazione esterne alla struttura
280 Ovvero in termini economici, come curva di domanda aggregata discendente, e quindi di una posizione di monopolio, e non di una curva di domanda discendente relativamente ad uno specifico produttore; così C. OSTI, L’abuso di dipendenza economica, in Merc. conc. regole, 1999, I, p. 38.
000 X. XXXXX, L’abuso di dipendenza economica “fuori dal contratto tra diritto civile e diritto antitrust”, in Riv. dir. civ., 2000, p. 389.
imprenditoriale. Le imprese si svuotano e con il ricorso al contratto si decentrano settori sempre più ampi dell’azienda. Il sub-fornitore non produce per il mercato, ma per un committente che tramite il contratto può realizzare forti prevaricazioni. Di qui l’esigenza di una protezione che la legge realizza con tre tipi di intervento: l’esigenza formale, una disciplina dei termini di pagamento e la fattispecie dell’abuso.
La fattispecie dell’abuso di dipendenza economica è descritta nell’art. 9, precisando nel primo comma lo stato di dipendenza economica e nel secondo la nozione di abuso.
I requisiti della fattispecie in esame sono la dipendenza economica e l’abuso, giacché non è rilevante la dipendenza in sé, ma occorre l’abuso esercitato da un’impresa su un’altra.
Il primo requisito ispirato chiaramente dai modelli francese e tedesco, richiede che l’impresa dipendente non abbia “reale possibilità di reperire sul mercato alternative soddisfacenti” e che l’impresa dominante sia in grado di determinare un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi.
Proprio in relazione a questa locuzione si discute quale sia il ruolo che si deve riconoscerle nell’economia della fattispecie. L’utilizzo da parte del legislatore della congiunzione “anche”, per indicare la rilevanza delle alternative soddisfacenti, ha determinato il dubbio se tali alternative debbano essere considerate un elemento della fattispecie. La soluzione preferibile, condivisa da giurisprudenza e dottrina, considera tale requisito essenziale.
Questa tesi è confermata dalla normativa tedesca e soprattutto francese282, modelli ai quali fa esplicito riferimento anche la Relazione ai disegni di legge.
In Francia le pronunce del Consiglio della concorrenza, la magistratura e la dottrina hanno fornito criteri per individuare la dipendenza economica, distinguendo:
a) la dipendenza di un distributore nei confronti del fornitore.
In questa ipotesi si avrà riguardo: alla notorietà della marca; alla parte di mercato detenuta dal fornitore; alla parte che rappresentava il prodotto del fornitore nella cifra d’affari del distributore; all’assenza di soluzioni equivalenti.
b) La dipendenza economica esercitata da parte dei fornitori nei confronti dei distributori.
In questo caso si rende necessario verificare la presenza di alcuni fattori, quali: la cifra d’affari realizzata dal fornitore tramite il distributore; l’importanza del distributore nella commercializzazione dello specifico prodotto del fornitore; le ragioni che hanno determinato la concentrazione delle vendite del fornitore presso il distributore, al fine di accertare se si sia trattata o meno di una scelta obbligata; l’assenza di soluzioni equivalenti283 per il fornitore, ossia dell’effettiva accessibilità a canali distributivi alternativi, in termini di praticabilità economica. Una volta accertata la presenza di questi dati, è opportuno verificare anche se ricorrono ulteriori variabili, quali le risorse finanziarie del fornitore, la notorietà del marchio, la durata e la natura dei rapporti contrattuali intercorrenti tra la parti.
282 Il requisito dell’assenza di alternative equivalenti formalmente eliminato dal legislatore, è stato reintrodotto dalla giurisprudenza: il Conseil de la Concurrence, seguito dalla Court of Appeal e da due sentenze della Court de Cassation hanno sancito che la dipendenza economica non possa che risultare dall’impossibilità nella quale si trovi una impresa di disporre di soluzioni tecnicamente ed economicamente equivalenti sul mercato.
283 M. R. Xxxxxxx, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, cit., p. 73.
L’abuso è descritto con il ricorso ad un elenco di ipotesi attinenti ad ogni fase contrattuale, dal rifiuto di contrarre, all’imposizione di condizioni ingiustamente gravose all’interruzione arbitraria dei rapporti284.
7.6.3. Le conseguenze dell’abuso: i rimedi
Gli ultimi due commi dell’art. 9 della L. 192/98, come modificati dall’art. 11 L. 57/01, sono dedicati al profilo rimediale.
Il comma 3 sancisce la nullità del patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica, attribuendo al giudice ordinario la competenza a conoscere tutte le azioni in materia, comprese quelle inibitorie e risarcitorie. Nei casi in cui la violazione incida anche sul mercato o sulla concorrenza, il comma successivo fa salva l’applicazione dell’art. 3 della L. 287/90 e riconosce l’operatività dei poteri attribuiti dall’art. 15 della legge da ultimo citata, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Il regime applicabile al contratto nullo per abuso di dipendenza economica è del tutto omogeneo alle “nullità speciali” introdotte da molte norme di settore: nullità parziale e necessaria, legittimazione ad agire riservata alla parte tutelata dalla legge285.
L’esigenza di garantire una tutela forte all’impresa dipendente giustifica una deroga all’art. 1419 c.c. e la nullità è “parziaria e necessaria” giacchè l’eliminazione della parte colpita da nullità, pur non essendovi una espressa indicazione della norma, lascia valido il contratto per il resto. Ciò in quanto l’estensione della nullità all’intero contratto, finirebbe per vanificare la tutela introdotta dall’art. 9, volta a proteggere spesso un interesse anche alla conservazione del contratto.
La ratio della norma influenza anche la legittimazione ad agire del contratto nullo per abuso di dipendenza economica. Essendo la nullità disposta nell’interesse di una parte, è sottratta alla controparte e a chiunque altro la possibilità di scelta di decidere se mantenere o eliminare il contratto286.
Come accennato, nel 2001 il legislatore ha modificato l’art. 9 della legge 192/98287, sancendo la competenza del giudice ordinario anche per l’azione inibitoria.
Tale azione è uno strumento di tutela preventiva, rivolto al futuro, la cui peculiarità è quella di reagire ad un illecito già perpetratosi, o in corso, inibendone la reiterazione o la prosecuzione.
L’intervento del legislatore è stato opportuno, perché la tutela di carattere preventivo riveste un ruolo indispensabile, laddove i rimedi a carattere repressivo non siano sufficienti a “compensare” il danno arrecato al titolare di un diritto e ad assicurargli ciò che avrebbe conseguito in assenza del fatto antigiuridico.
284 Si è precisato in giurisprudenza che “Né l’apposizione di un termine, né il diniego di stipulare un nuovo contratto possono, sia pure astrattamente, configurarsi come interruzione arbitraria delle relazioni commerciali” (Trib. Roma, 22-04-2009 in Foro it., 2011, I, 256).
285 X. XXXXXXXXXX, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 227.
286 Sul punto si veda M. R. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, cit., p. 204, secondo la quale “se può avere un senso attribuire la legittimazione ad agire solo al contraente debole quando questi, presa coscienza (e conoscenza) dell’abuso subito possa comunque rivolgersi ad altri (abbia accesso al mercato) ne ha certo di meno quando il contraente si trovi in stato di dipendenza economica. In definitiva pare possa dirsi che la limitazione della legittimazione ad agire leda e non garantisca l’impresa dipendente (rectius che non è sul piano della legittimazione che si risolve il problema dell’effettività della tutela dell’interesse protetto dalla norma)”.
287 Modifiche introdotte dall’art. 11 della L. 5 marzo 2001, n. 57.
L’utilizzo da parte del legislatore del termine plurale “inibitorie”, rispecchia l’idea dei giuristi continentali, secondo cui il comando inibitorio può essere variamente articolato288 e modellato sul comportamento che è stato realizzato. Lo strumento inibitorio consente all’imprenditore vittima di un abuso di dipendenza economica di chiedere al giudice di vietare il comportamento abusivo e di eliminare l’abuso, qualora fosse ancora in atto (inibitoria negativa), o di emettere un ordine volto al raggiungimento di specifici obiettivi (inibitoria positiva)289.
L’art. 11 della legge 57/01 ha anche riconosciuto espressamente alla vittima dell’abuso di dipendenza economica, il diritto di ricorrere al giudice ordinario per ottenere il risarcimento dei danni subiti, senza, tuttavia, qualificare la natura (contrattuale, extracontrattuale o precontrattuale) della responsabilità in esame.
Sulla natura della responsabilità da abuso di dipendenza economica si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione290, qualifcandola di natura contrattuale. Secondo la Suprema Corte la società che invoca la violazione di un abuso di dipendenza economica fa valere necessariamente alcuni squilibri tra diritti e obblighi di una relazione commerciale e dunque di un rapporto regolato da contratto. Ciò perché l’espressione “controversie relative al contratto” è idonea a comprendere sia le controversie in cui il contratto assume la funzione di fonte della pretesa, sia le controversie in cui il contratto è solo un fatto costitutivo della pretesa, congiunto ad altri. Da ciò deriva che “rientrano nelle controversie di natura contrattuale non solo quelle riguardanti il mancato adempimento di un obbligo di prestazione di fonte negoziale”, ma ogni controversia in cui l’attore lamenti la violazione di una “regola di condotta legata ad una relazione liberamente assunta” con la controparte.
D’altra parte la fattispecie in esame presuppone che i rapporti commerciali in cui si concretizza l’abuso siano regolati da contratto. L’art. 9 l. 192/98 fa infatti espresso riferimento alla nullità del “patto” che realizza l’abuso di dipendenza economica.
La legge 57/2001 ha, infine, introdotto nel corpo dell’art. 9 un nuovo comma (3-bis), che si riferisce alle ipotesi in cui l’abuso di dipendenza economica integra anche un abuso di abuso di posizione dominante291.
Fatta salva l’applicabilità dell’art. 3 della L. 287/90, il nuovo comma 3-bis dell’art. 9 prevede che l’AGCM possa procedere alle diffide e sanzioni previste dall’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso un abuso di dipendenza economica rilevante per la tutela della concorrenza e del mercato. L’AGCM può procedere “anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell’istruttoria”.
288 In merito al petitum della domanda inibitoria, in particolare di quella cautelare, è molto acceso il dibattito della dottrina processualcivilistica. Una tesi sostiene che il ricorso debba indicare la misura cautelare che il giudice dovrà adottare, poiché altrimenti si derogherebbe al principio della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in questo senso: X. XXXXXXX, Il nuovo processo cautelare, Torino, 1998, pp. 138-139; F. XXXXXXXX, voce “Provvedimenti d’urgenza”, in Enc. dir., Milano, 1987, p. 870 ss. Un altro filone sostiene, invece, che sarebbe sufficiente, per la parte, precisare i fini dell’azione cautelare proposta, lasciando al giudice il compito di scegliere la misura che più ritiene opportuna, al fine di determinare in concreto il contenuto del provvedimento da emanare, così, per esempio: I. XXXXX, Il petitum cautelare e l’inibitoria in materia antitrust, in Corr. Giur., 2001, p. 377. 289 M. R. XXXXXXX, Le recenti modifiche della disciplina sull’abuso di dipendenza economica in una prospettiva comparatistica, in Europa e dir. priv., 2002, pp. 506-507.
290 Cass. civ. s.u. ord. 25 novembre 2011 n. 24906.
291 X. XXXXXXX, Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2002, p. 3.
Qualora vi sia sovrapposizione delle fattispecie dell’abuso di posizione dominante e del divieto di dipendenza economica si pongono problemi di coordinamento fra le relative discipline. In particolare, si tratta di stabilire se il giudice competente per le azioni di nullità, risarcimento del danno e ricorsi cautelari, sia quello ordinario, come previsto dall’art. 9, l. 192/98 o la Corte d’Appello come sancito dall’art. 33 della legge antitrust.
Secondo un primo orientamento, in caso di sovrapposizione delle fattispecie, dovrebbe ritenersi prevalente la normativa antitrust, per cui la competenza non dovrebbe essere del giudice ordinario, ma della Corte d’Appello. Secondo un’altra interpretazione si dovrebbe ammettere il concorso fra le due normative, e attribuire all’impresa che subisce l’abuso, la possibilità di valutare se risulti per lei più conveniente rivolgersi ad altro giudice di grado diverso. Si ritiene, infatti, che la scelta dell’organo giurisdizionale da parte dell’impresa in stato di dipendenza economica, non possa, in alcun modo, frustare la ratio, rispondente ad esigenze di celerità, della norma che attribuisce alla Corte d’Appello la competenza a pronunciarsi sulle azioni di nullità e risarcimento del danno292.
7.6.4. Ambito di applicazione
Se si ha riguardo al complesso di disposizioni in cui si viene ad inserire l’art. 9, sembra davvero difficile confutare la vocazione generale del suo ambito di applicazione293.
È proprio il tenore letterale della norma che ci fornisce il primo indice significativo: l’assenza nel testo di riferimenti alla subfornitura, presenti, invece, in tutti gli altri enunciati normativi del provvedimento, e il generico riferimento all’impresa “cliente” o “fornitrice”, anziché alla “committente”, come avviene nella restante parte della stessa disciplina, sono chiari segnali del fatto che, per quanto la disposizione sia collocata all’interno della legge sulla subfornitura, l’art. 9 delinea una fattispecie estranea al rimanente contenuto della legge.
Soprattutto sembra significativa l’indicazione, tra le possibili ipotesi di abuso, del “rifiuto di vendere o di comprare”, che non si vede perché dovrebbe riguardare esclusivamente il rapporto di subfornitura, la cui causa soltanto in ipotesi particolari è destinata ad essere integrata dal contratto di compravendita.
Invero, la protezione del solo subfornitore condurrebbe ad un risultato inaccettabile, perché in aperto contrasto con il chiaro dato letterale della norma, che fa riferimento ad ogni impresa, e con la sua ratio.
Anche i lavori preparatori, d’altra parte, sembrano orientare in questo senso, visto che mentre gli articoli contenuti nelle prime proposte di legge erano palesemente legati alla subfornitura, ci si è progressivamente indirizzati verso un’estensione della fattispecie rilevante. Né si può ragionevolmente obiettare che il mancato inserimento all’interno della normativa antitrust possa essere indicativo della volontà del legislatore di limitare l’ambito di applicazione dell’articolo in esame, perché l’evoluzione legislativa rende impraticabile una tale
292 M. R. XXXXXXX, Le recenti modifiche sulla disciplina in materia di abuso di dipendenza economica in una prospettiva comparatistica, cit., p. 507 ss.
293 In giurisprudenza cfr. tra gli altri: Trib. Roma, 30-11-2009 in Foro it., 2011, I, 256: La disciplina dell’abuso di dipendenza economica si applica a tutti i rapporti contrattuali tra imprese, ivi compreso l’appalto di servizi distributivi”. Anche con specifico riferimento alla disciplina del Franchising cfr. Trib. Bari, 22-10-2004, il quale ha precisato: che la disciplina dell’abuso di dipendenza economica si applica a tutti i rapporti contrattuali tra imprese, ivi compreso il franchising Contra: Trib. Roma (pronunce 05.05.2009; 24.09.2009; 19.02.2010 in Foro it., 2011, I, 256; 17.03.2010 in Foro it., 2011, I, 255) secondo cui:“La disciplina dell’abuso di dipendenza economica non è applicabile a rapporti contrattuali differenti dalla subfornitura produttiva”.
forzatura del dato letterale. La riforma ha previsto l’intervento dell’Autorità Xxxxxxx e non sarebbe ragionevole pensare che solo gli squilibri eccessivi nei rapporti tra committenti e subfornitori possano costituire una minaccia paragonabile a quella propria dell’abuso di posizione dominante294.
Un ulteriore dato a conforto della tesi dell’ampia portata applicativa del precetto in esame, sembra potersi ricavare dalla circostanza che in tutti gli altri ordinamenti (cui il legislatore ha fatto riferimento nella redazione della norma) la figura della dipendenza economica non risulta in alcun modo circoscritta ai soli rapporti di subfornitura.
La portata generale della disposizione sembra trovare una decisiva conferma nel comma 3-bis aggiunto all’art. 9 ad opera dell’art. 11 della legge n. 57 del 2001, che ha previsto la possibilità per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ferma restante l’eventuale applicazione dell’art. 3 della L. 287/90, di procedere alle diffide e alle sanzioni di cui all’art. 15 di detta legge qualora l’abuso abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato. L’inserimento dell’abuso di dipendenza economica nell’ambito dell’illecito concorrenziale ne fa una figura di portata generale analoga all’abuso di posizione dominante, nel senso che, come questa, è potenzialmente idonea ad interferire nel funzionamento del mercato, qualunque sia lo specifico ambito di rapporti in cui l’abuso è attuato295.
Ne segue che l’art. 9 è una “clausola generale di valutazione del comportamento di un’impresa relativamente dominante rispetto ad un’altra da essa dipendente”296, applicabile a tutti i contratti tipici e atipici, in tutti i rapporti tra imprese caratterizzati da una dominanza relativa, purché consumata all’interno di un rapporto “business-to-business”297.
7.7. I contratti di distribuzione e l’asimmetria di potere nei contratti di impresa
7.7.1. I contratti di distribuzione e l’affiliazione commerciale.
I contratti di distribuzione rappresentano un punto di osservazione privilegiato per la disciplina europea delle relazioni fra imprese298.
Dalla stessa tipologia del fatto emerge una strutturale diversità di potere delle due parti. Ciò rende necessaria una serie di interventi giurisprudenziali e normativi, interni e comunitari, il cui interesse travalica i confini di tali rapporti. È evidente l’intreccio fra diritto dei contratti e
294A. XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica: “dal caso limite” alla (drastica) limitazione dei casi di applicazione del divieto?, in Foro it., 2002, I, c. 3208.
295 X. XXXXXXXX, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica, Napoli, 2002, p. 270.
296 X. XXXXXXXX, Legge 18 giugno 1998, n. 192. Disciplina della subfornitura nelle attività produttive, in Le nuove leggi civili commentate, 2000, p. 429.
297 Sull’ambito di applicazione della norma che pone il divieto di abuso di dipendenza economica significativa è l’ordinanza del Tribunale di Catania (ord. 5 gennaio 2004, pubblicata in Foro it., 2004, I, 262), il quale non condividendo l’interpretazione restrittiva che “afferma apoditticamente che l’art. 9 si applichi ai soli rapporti di subfornitura”, ha confermato che “l’istituto in esame sia di applicazione generalizzata a tutti i rapporti contrattuali tra imprese aventi natura commerciale, sì da non porsi un problema di applicazione analogica o estensiva dello stesso”. A sostegno di questa tesi il Tribunale ha anche riportato le argomentazioni principali con cui la dottrina ha suffragato l’orientamento estensivo.
298 X. X. XXXXXXXXX, X xxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; ID., Contratti di distribuzione, Enc. Xxxx., 1988; X. XXXXXXXX, Franchising, in Enc. Giur., 1988; X. XXXXXXX, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese. Diritto dei contratti e regole di concorrenza, Milano 1983; e da ultimo, X. XXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un’analisi economica e comparata, Torino, 2004.
della concorrenza e si comprende come il rapporto sia un grande laboratorio per sperimentare le modalità di intervento sul potere, contrattuale e di mercato, dei contraenti.
È noto che la normativa di origine comunitaria (art. 1469-bis) sulle clausole vessatorie esclude i contratti fra imprese e che la Corte Costituzionale (sent. del 22 gennaio 2002 n. 469) ha giudicato infondata la questione di costituzionalità rinviando per la tutela di tali contratti agli articoli 1341 e 1342 c.c. Ma l’insufficienza di tale normativa si è avvertita in modo evidente nei contratti di distribuzione per un insieme di motivi che riassumo brevemente.
La fonte, in tal caso, è quasi sempre un atto unilaterale di concessione di un privilegio o di una facoltà altrimenti non esercitabile dal beneficiario (marchio, Know-How) cui segue l’atto bilaterale di regolazione del rapporto.
Esiste per lo più un atto di scambio e una disciplina (qualitativa e quantitativa) della distribuzione del bene o del servizio, articolata in una pluralità di figure caratterizzate da un “minimo di ingerenza dell’affiliante sino alla quasi subordinazione dell’affiliato”.
Il rapporto299 compone interessi naturalmente antagonisti perché l’affiliato cercherà di giovarsi delle opportunità offerte dalla catena e di mantenere una propria libertà di manovra, l’affiliante tenderà a limitare quella libertà con precisi vincoli imposti dal contratto che è incompleto e lascia al franchisor un potere discrezionale quasi assoluto a fronte di numerosi obblighi assunti dal franchisee300.
Tre sono i momenti in cui emergono i più vivi conflitti: quando si stabilisce la regola, quando questa viene modificata, quando l’aderente è privato della sua posizione. Ciò perché tale soggetto ha investito nel rapporto ed è prigioniero del contratto. La semplice minaccia di modificazione o cessazione lo espone ad un potere di leva dell’affiliante “sicché la sog- giogazione che non poteva presumersi al momento della costituzione del rapporto è cosa fatta con il contratto”301.
Risulta allora chiaro perché tali contratti non tardano ad interessare l’antitrust europeo.
Con le regole che fissano le modalità di appartenenza alla catena e con la diversificazione dei prezzi si finisce per creare mercati diversi all’interno della Comunità, contro l’obbiettivo primario di creare un Unico Mercato senza barriere interne. Da qui il Regolamento ad hoc e l’attenzione della Commissione e della Corte di Giustizia, volta al controllo delle clausole e del
299 Il contratto di franchising di cui alla l. 6 maggio 2004 n. 190 in giurisprudenza è stato descritto come il contratto che “realizza una forma di collaborazione tra imprese, in cui taluni soggetti, i franchisees, commerciano prodotti del franchisor, utilizzandone marchio e know-how, ma mediante una distinta organizzazione, rimanendo soggetti economicamente e giuridicamente distinti del franchisor; ne consegue che se in una gara di appalto il concorrente-franchisor dichiara che talune prestazioni saranno eseguite dai franchisees, non fa riferimento alla propria organizzazione, ma a soggetti terzi, giuridicamente ed economicamente distinti; pertanto, il franchising rientra nella nozione di sub-appalto ai sensi e per gli effetti dell’art. 18 l. n. 55 del 1990, e dei divieti di subappalto ove previsti dall’ordinamento (C. Stato, sez. VI, 09-02-2006, n. 518, in Foro Amm. – Cons. Stato, 2006, p. 516)”. Oppure come il contratto con il quale “un produttore o rivenditore di beni od offerente di servizi (franchisor) ed un distributore (franchisee), al fine di allargare il proprio giro commerciale e di aumentare le proprie capacità di penetrazione nel mercato - creando una rete di distribuzione senza dover intervenire direttamente nelle realtà locali - concede, verso corrispettivo, di entrare a far parte della propria catena di produzione o rivendita di beni o di offerta di servizi ad un autonomo ed indipendente distributore (franchisee), che, con l’utilizzarne il marchio e nel giovarsi del suo prestigio ha modo di intraprendere un’attività commerciale e di inserirsi nel mercato con riduzione del rischio”( Cass. civ., sez. III, 15-01-2007, n. 647 in Foro it., 2008, I, 920).
300 V. per tutti X. XXXXXXXXX, Contratti distribuzione, cit., p. 3 ss.
301 Così X. XXXXXXXXX, op. ult. cit.
contenuto dei contratti302 e da qui anche un interrogativo di fondo sulle modalità di regolazione di tali contratti.
7.7.2. Come si interviene? Con la disciplina della concorrenza, con il diritto dei contratti o con entrambe le discipline?
Nel dilemma (enunciato nel titolo) si sperimenta e si misura la sostanziale unità delle scienze sociali. Diritto, economia, Scienza dell’Amministrazione devono essere tenute presenti nel fissare le regole sull’efficienza e la giustizia delle pattuizioni e nel ricercare il punto di equilibrio fra potere privato e interventi correttivi.
Un’analisi retrospettiva attesta la complessità del problema in ogni ordinamento occidentale.
In America la dottrina classica appare inadatta a dettare regole per contratti incompleti, di lunga durata e complessità ove si genera spesso una dipendenza di una parte. La risposta si trova in una serie di eccezioni di illegalità, frode, errore, elaborate dalla dottrina e recepite poi nel codice di commercio. Ma il problema del contraente imprigionato dal contratto non sfugge all’antitrust che assume due atteggiamenti diversi nel tempo.
Nei primi decenni del ’900 si mira a proteggere la concorrenza, ma anche la libertà di contratto di chi è inchiodato alla sua scelta per l’assenza di alternative. Più di recente, sulla scia delle teorie di Xxxxxx e del giudice Xxxxxx si assume un atteggiamento diverso. La prigionia nel contratto è considerata irrilevante sin quando, al momento della sua conclusione, esisteva una possibilità di scelta dell’affiliato. Si esclude che l’antitrust debba intervenire nella disciplina di un singolo contratto a tutela di un contraente e si privilegia la tutela dell’efficienza (dell’offerta di prodotti sul mercato) rispetto ad ogni altro fine303.
In Europa la prospettiva è diversa.
Come accennato304, in Germania e in Francia si introduce nella legge sulla concorrenza una fattispecie che vieta l’abuso della dipendenza economica di un impresa sull’altra. Si dà rilievo alla dominazione non sul mercato ma nell’ambito di un rapporto negoziale sicché libertà di contratto e libertà di concorrenza tornano ad intrecciarsi. In Germania si prevede sin dal 1973 e poi dal 1980 la protezione alle imprese in situazione di dipendenza economica che non abbiano alternative sufficienti sul mercato. In Francia nell’ordonnance del 1986 si protegge l’impresa che non disponga di soluzioni equivalenti, ma con la legge del 2001 si va oltre. Scompare tale requisito, si prescinde dalla possibilità di ricorso ad alternative equivalenti e si vieta l’abuso che sottomette il partner a condizioni ingiustificate con un chiaro intento dirigista volto a proteggere le piccole e medie imprese, come soggetti in grado di garantire meglio la produzione francese305.
302 Su tale vicenda v. ora il bel libro di X. XXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei conratti, cit., p. 113 ss., e la utile ricostruzione di X. XXXXXXXX, Il franchising nel diritto comunitario, in X. XXXXXXX (a cura di), L’affiliazione commerciale, Torino, 2005, p. 1 ss.
303 V. ancora X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 25 ss.
304 Si veda il paragrafo 3.6.1.
000 X. X. XXXXXXXX-X. XX XXXXXXX, Droit du marché, Parigi, 2002, p. 922; X. XXXXXXX, Abus de dépendence économiche, in RTDcom, 2003,p. 77; v. però nel senso che debba essere ancora provata l’assenza di alternative equivalenti come requisito della fattispecie: Cons. conc. déc. n. 2001, Soc. Sony, BOCCRF,30 ottobre 2001; e Corte di Cassazione francese, 3 marzo 2004, in Foro it., 2005, IV, 278 ss.; in dottrina v. M. R. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, 2003, p. 23 ss., e da ultimo R. NAPOLI, L’abuso di dipendenza economica. Il contratto e il mercato, Napoli, 2004, p. 33 ss.
Nell’antitrust europeo non esiste una disciplina specifica dell’abuso di dipendenza economica, ma l’indirizzo della Commissione e della Corte di Giustizia è del tutto peculiare. Si utilizza l’abuso di posizione dominante restringendo l’area del mercato rilevante (caso Kodak)306. Si dà rilievo alla posizione di grave inferiorità tale da compromettere la libertà di contratto, lasciando ai giudici nazionali il compito di individuare gli strumenti (caso Courage)307. Si sollecita (Reg. 1/2003) l’adozione di leggi nazionali che sanzionino un comportamento unilaterale illecito nei confronti di imprese economicamente dipendenti308.
Da tutto ciò emerge un dato positivo di grande rilievo. Dai diritti nazionali e dal diritto comunitario emerge una rilevanza della asimmetria di potere in piena discontinuità rispetto al principio dell’eguaglianza formale e al dogma del soggetto unico, anche nel settore dei contratti di impresa.
7.7.3. La nuova legge sull’affiliazione commerciale (L. 6 maggio 2004, n. 129)
Anche in Italia309 la diffusione del fenomeno dell’affiliazione e delle catene ha attirato l’attenzione del legislatore che ha emanato un provvedimento volto a riequilibrare la disparità di potere contrattuale nella fase di conclusione e di esecuzione del contratto, ma le scelte compiute, pur apprezzabili per alcuni profili, non hanno risolto affatto ogni problema310. Vediamole da vicino.
La struttura del provvedimento pone in luce più che una disciplina minuta del contratto un intervento di protezione volto ad assicurare la trasparenza del contenuto contrattuale e la correttezza dei contegni delle parti, con l’intento di evitare truffe o comportamenti elusivi e di assicurare efficienza alla catena di distribuzione.
Si interviene sulla definizione e sull’ambito di applicazione dei contratti (art. 1 e 2), tipizzando il solo rapporto di franchising pur in presenza di un’articolatissima gamma di rapporti di distribuzione che restano privi di riferimenti specifici311.
Particolare attenzione è prestata alla fase di formazione con una disciplina minuta e rigorosa. Il contratto deve essere redatto per iscritto (art. 3.1). Almeno trenta giorni prima l’affiliante deve consegnare all’aspirante affiliato una copia completa del contratto corredato da una serie di allegati (art. 4.1). Il contratto ha un contenuto necessario e deve espressamente indicare una serie di elementi fra i quali: gli investimenti e le spese di ingresso, le modalità di calcolo delle royalties e l’indicazione di un incasso minimo, la presenza di un’ esclusiva, il know- how fornito dall’affiliante e l’eventuale apporto su tale bene dell’affiliato, i servizi offerti
306 Xxxxxxx Kodak Co. V. Image Technical Service Inc. ove si restringe il mercato rilevante, sul quale valutare i comportamenti dell’impresa dominante “alla vendita dei pezzi di ricambio e delle riparazioni di un determinato macchinario”; v. la citazione e il commento critico in X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, Bologna, 1998, p. 33.
307 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 settembre 2001, in Foro it., 2002, p. 76 e il commento in X. XXXXXXX, Diritto dei contratti e “Costituzione” europea, Milano, 2005, p. 163 ss.
000 X. X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 113 ss.
309 Per un’analisi delle analoghe leggi francese e spagnola v. G. DE NOVA-C. LEO-A. VENEZIA, Il Franchising, Legge 6 maggio 2004, n. 129, Ipsoa, Milano, 2004, p. 59 ss., p. 222, 225.
310 V. la L. 6 maggio 2004, n. 129 e il commento di X. XXXXXXXXX, Prime note di commento alla nuova normativa in materia di franchising, in Corr. giur., 2004; G. De NOVA-C. LEO-A. VENEZIA, Il franchising, cit., p. 59 ss., p. 222, 225;
X. XXXX, La nuova legge sull’affiliazione commerciale, in Nuove Leggi civ. comm., 2004, V, p. 1154 ss.; X. XXXXXXX,
X’xxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
311 X. XXXX, La nuova legge sull’affiliazione commerciale, cit., p. 1160-1161.
dall’affiliante e le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto (art. 3.4). Se una parte ha fornito false informazioni, l’altra può chiedere l’annullamento del contratto ai sensi dell’art.1439 c.c. e il risarcimento del danno (art. 8).
Analitico è anche l’intervento sull’oggetto del contratto e in particolare sulle prestazioni del franchisor e del franchisee.
Il franchisor deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale (art. 3.2) e deve fornire un effettivo ed efficace konw-how (art.3.4 d). Indicare i marchi utilizzati nel sistema (art.4.1 b) Specificare gli elementi caratterizzanti dell’attività e il numero e la variazione annuale degli affiliati (art.4.1. c, d, e). Descrivere gli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali promossi nei confronti dell’affiliante in relazione all’esercizio della sua attività.
Il franchisee deve sostenere gli investimenti necessari e, in taluni casi, predeterminate spese di ingresso (art. 3.4.a), garantire delle royalties (art. 3.4 b), e deve rispettare la massima riservatezza in ordine al contenuto dell’attività oggetto dell’affiliazione commerciale (art. 5.2). Non può trasferire la sede, indicata in contratto, senza il consenso dell’affiliante, salvo casi di forza maggiore (art. 5.1)
Quanto alla durata la norma è ambigua perché prevede, nel solo contratto a tempo determinato (art. 3.3), l’impegno per l’affiliante di garantire comunque all’affiliato un tempo minimo sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni, salvo l’ipotesi di risoluzione anticipata per inadempienza di una delle parti.
Significativa è anche la norma sul tentativo di conciliazione facoltativo (art.7) e la disciplina transitoria che impone la formalizzazione e l’adeguamento dei contratti in corso, entro un anno dall’entrata in vigore della legge (art.9).
Di particolare interesse sono tre aspetti su cui si concentrerà l’attenzione: a) gli obblighi posti a carico dell’affiliante e le conseguenze della loro violazione, b) la disciplina della durata del contratto e della cessazione del rapporto, c) la fase pre-contrattuale con il relativo regime sanzionatorio. Cominciamo dal primo.
a) La legge, come accade sempre più spesso, pone obblighi di condotta e divieti ma non indica la conseguenza della loro violazione, sicché la soluzione più corretta è rimessa all’interprete che dovrà scegliere fra il solo risarcimento del danno, la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 1° comma o la sanzione più efficiente, ricavabile dal contesto normativo.
Fra le indicazioni più impegnative c’è la necessità che l’affiliante abbia sperimentato sul mercato la propria formula commerciale. La ratio è chiara312. Per evitare l’uso truffaldino o disinvolto dell’affiliazione chi promuove l’ingresso in una catena dovrà essere in grado di dimostrare che la formula commerciale è stata utilizzata in modo efficace e proficuo. Resta da precisare che cosa accada in caso di violazione. L’art. 1418 c.c. prevede che siano nulli i contratti che, pur avendo una causa lecita, siano contrari a norme imperative, sempre che la legge non disponga diversamente. Si tratta pertanto di esaminare se l’art. 3.2 possa considerarsi norma imperativa e se la legge, nel suo contesto, preveda o meno una conseguenza diversa dalla nullità per la violazione dell’obbligo .
È noto che la imperatività si trae dalla protezione di un interesse pubblico o di una categoria di soggetti la cui tutela è assunta come effetto diretto della norma. Vi deve essere, insomma, congruenza fra “invalidità dell’atto e realizzazione degli interessi regolati dalla legge” e adeguatezza fra ratio della disposizione e la nullità del contenuto contrattuale che viola il
000 X. XX XXXX-X. XXX-X. VENEZIA, Il franchising, cit., p. 24-25; A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, p. 7ss.
precetto313. Nel nostro caso la collocazione e il contenuto del precetto esprime a sufficienza “l’utilità generale o di interesse pubblico” relativa al riconoscimento di quelle sole catene di distribuzioni che siano e abbiano dimostrato di essere efficienti sul mercato. D’altra parte manca in modo espresso o implicito nel contesto della disciplina qualsiasi altra sanzione alternativa e ciò conferma l’ipotesi di una nullità che sarà relativa in conformità alla scopo della norma che la prevede314.
Diversa può essere la soluzione in presenza di altri obblighi. Si pensi alla necessità di consegnare trenta giorni prima della conclusione una copia completa del contratto. Si dovrà anzitutto interpretare il richiamo alla completezza in modo conforme alla esigenza di riservatezza sugli elementi essenziali della catena, altrimenti facilmente elusi da una trattativa strumentale. Ma appare in questo caso eccessiva la conseguenza della nullità visto che si tratta, in tal caso, di tutelare la piena consapevolezza e l’eventuale ripensamento dell’affiliato, sicché appare più adeguata la possibilità di recesso e del risarcimento del danno, in caso di conclusione anticipata. Ciò in modo coerente con la normativa speciale con funzione di protezione della piena consapevolezza del contraente tutelato315, salvi, in ogni caso, i rimedi attinenti al contenuto del contratto e ai contegni dell’affiliante.
b) Come si è precisato la posizione dell’affiliato, spesso prigioniero del contratto, è particolarmente delicata nel momento terminale del rapporto. Da qui la necessità di una disciplina della durata, decisa dalla norma in modo incompleto e ambiguo316.
L’art. 3.3, fa riferimento ad un contratto a tempo determinato e prevede, in tal caso, una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni. In caso di violazione di tale requisito, stante la natura imperativa del comando, sembra ipotizzabile una ulteriore nullità parziale e relativa della clausola, con possibilità per il giudice di disporre la sostituzione della durata minima o del tempo necessario “all’affiliato per ammortizzare gli investimenti iniziali”317. Il problema si pone per i contratti a tempo indeterminato. Pensare che in tal caso le parti siano libere di stabilire la durata contrasterebbe, in modo insanabile, con la disciplina precedente vanificando ogni forma di protezione. Sicché si è proposto, in modo coerente, un’interpretazione integrativa. Il diritto di recesso dovrà, in ogni caso, tener conto di un congruo preavviso idoneo a “garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni”. “Un eventuale atto in contrasto con questa previsione sarebbe inefficace318” e comporterebbe un inadempimento dell’affiliante. Trascorso tale periodo torna applicabile l’art.1373 c.c.319.
c) Quanto alla tutela nella fase pre-contrattuale, il contenuto degli articoli 4, 6 e 8 introduce una serie di precetti apprezzabili, con un limite preciso. Nel disciplinare gli obblighi di informazione, esenziali in tali fattispecie, si prosegue l’utile commistione fra regole di validità e di responsabilità. Nell’art. 4 si prevede l’obbligo di consegnare copia del contratto e
313 così in modo limpido X. XXXXXXXXXX, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 43.
000 X. XX XXXX-X. XXX-X. VENEZIA, op. cit., p. 26
315 X. XXXX, La nuova legge sull’affiliazione commerciale, cit., p. 1171 ss.
316 V. sul punto, nel corso del tempo, G. DE NOVA, Nuovi contratti, Torino, 1994, p. 225; L. DELLI PRISCOLI, Franchising e tutela dell’affiliato, Milano, 2000, p. 96 ss.; X. XXXXXX, Somministrazione,concessione di vendita, Franchising, in Tratt. dir. comm. a cura di X. Xxxxxxxxx, XXXX, Xxxxxx, 0000, p. 325 ss.
317Sul punto le osservazioni di G. DE NOVA - C. LEO - A. VENEZIA, Il Franchuising, cit., p. 29; in particolare X. XXXXXXX, Nullità, annullabilità efficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti, 2003, p. 205.
318 X. XX XXXX - X. XXX - X. XXXXXXX, Il franchising, cit., p. 34 e X. XXXX, La nuova legge sull’affiliazione commerciale, cit., p. 1166: “Tutta dedicata ai contratti a tempo determinatola disposizione, in realtà enuncia un principio più generale, suscettibile di operare anche in quelli a tempo indeterminato”.
319 X. XXXX, op. cit., p. 1167; X. XX XXXX - X. XXX - X. XXXXXXX, op. cit., p. 35.
di fornire una serie di notizie dall’affiliante all’affiliato, arricchendo il contenuto dell’art. 1337. Quando però si richiama la normativa sul dolo si dispone l’annullamento del contratto solo se il franchisor abbia fornito false informazioni. Xxxxxx si dice in caso di omissione o di carenza con un arretramento rispetto alla disciplina del codice che è interpretata dando rilievo, in certe ipotesi, anche alla reticenza.
Se, in conclusione, è positivo l’ampio spazio riservato dalla legge alla buona fede e alla nullità di protezione, l’intervento normativo è incompleto e spesso tecnicamente confuso, tanto da rafforzare la convinzione poc’anzi anticipata.
7.7.4. Diritto dei contratti e regole di concorrenza
I correttivi più efficienti alla diversità di potere esigono un confronto fra disciplina antitrust e diritto dei contratti e un dialogo proficuo fra gli studiosi delle due discipline. Dialogo non facile.
Si è cercato di mettere in luce, in estrema sintesi, l’intreccio di discipline nella valutazione dei contratti di distribuzione. Resta da chiedersi quale posizione abbiano assunto gli studiosi dell’antitrust e dell’analisi economica del diritto. La parte più consistente di loro ha considerato la separazione netta fra contratto e concorrenza un vero dogma320. Si è detto e ripetuto che l’antitrust è diretto a tutelare il processo concorrenziale in relazione all’assetto del mercato, mentre il diritto dei contratti detta regole specifiche ad un rapporto. Di tal ché le due discipline avrebbero finalità del tutto diverse. L’efficienza allocativa l’una, l’efficienza distributiva l’altra.
Da tutto ciò segue una distinzione netta fra potere contrattuale e potere di mercato, distinzione cha ha ricadute importanti. Si critica la fattispecie dell’abuso di posizione dominante quando vieta la imposizione di prezzi iniqui e condizioni ingiustamente vantaggiose e Xxxxxxxx Xxxxx è fermo nell’affermare che “questo non è antitrust ma regolazione, bella e buona, dell’impresa in posizione dominante” Una disposizione, si osserva, che “non è volta a ricreare meccanismi concorrenziali, ma a proteggere i contraenti attraverso interventi di regolazione dei prezzi”321. Ma c’è di più. C’è l’adesione di molti alla tendenza efficientistica dell’ultima giurisprudenza americana, tendenza che sfiora anche la nostra Autorità Garante per la concorrenza, se è vero che essa giudica in modo positivo la sostanziale disapplicazione, da parte dei nostri giudici, della fattispecie dell’abuso di dipendenza economica, con la motivazione che l’antitrust non deve occuparsi delle situazioni di squilibrio prevedibili e implicitamente accettate322.
Questa posizione non è convincente e non è coerente con il diritto positivo. Si è già detto che il diritto comunitario (Reg. 1/2003) e il diritto nazionale in molti paesi d’Europa hanno disciplinato l’abuso di dipendenza economica e il potere congiunto del giudice ordinario e dell’Autority, nel valutare le asimmetrie di potere. Su questo percorso “alla ricerca delle intersezioni fra disciplina dei contratti e della concorrenza”323 si stanno incamminando
320 X. XXXXXXXXX, Il contratto e il diritto della concorrenza, relazione al convegno “Il contratto e le Autorità indipendenti”, svolta presso l’Università di Brescia il 22 e 23 novembre 2002.
321 X. XXXXX, Il potere e l’antitrust, cit., p. 54 ss.
322 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 93; v. ora X. XXXXXXX, Le prime pronunzie in tema di “abuso di dipendenza economica”, in
Concorrenza e mercato (a cura di X. Xxxxxxx), Padova, 2005, p. 415 ss., in part. p. 475 ss.
323 X. XXXXXXXXX, LE lab. Newsletter, 2/2004, p. 2.
anche autori sin ora scettici e riottosi. Il confronto va proseguito. Mi limito solo ad alcune indicazioni di metodo324.
La presa d’atto anzitutto che “le asimmetrie di potere sono frutto spesso delle imperfezioni del mercato che non offre alle imprese dipendenti, alternative per sottrarsi alla dominazione”. Sicché le strade dell’antitrust e del diritto dei contratti possono intrecciarsi dato che l’efficienza e la repressione degli abusi sono obbiettivi condivisi da entrambi325. Ciò non significa negare la rispettiva autonomia ma valorizzare le connessioni laddove siano evidenti e utili.
Come ci ha ricordato lo storico la concorrenza non è un prodotto spontaneo del mercato e le sue origini non sono sottratte alla storia dell’intervento pubblico. Tutela della libera gara e interventi correttivi sono entrambi espressione di un’Autorità Politica volta ad imporsi sulla libertà contrattuale326.
Occorre poi aver sempre presente un monito. Non basta evocare il mito della razionalità economica per fronteggiare la complessità dei problemi e non si può identificare giustizia ed efficienza non foss’altro perchè i termini sono entrambi polisensi. Le varie scuole economiche si dividono proprio sul grado di esclusività affidato all’efficienza.
È indubbio, d’altra parte, che l’analisi economica è utilissima. Fornisce strumenti essenziali nello studio degli effetti delle norme sui contegni privati, nell’esame delle coerenze fra mezzi e fini della regolazione. È fondamentale come interpretazione orientata alle conseguenze che amplia gli elementi di valutazione per una decisione corretta. Ma tale modello, come ci ha insegnato Xxxxx Xxxxxxx non è un procedimento di verifica, un dover essere il quale può essere tratto solo dal sistema327. Certo, nessuno ha in esclusiva le chiavi per accedere alle verità racchiuse in questo misterioso collante. La risposta giusta è sempre frutto di un dialogo e la scienza giuridica privatistica è pronta a svolgere il suo compito, insostituibile, anche nel settore dei contratti di impresa.
7.8. La nuova disciplina sui termini di pagamento.
Il d.lgs. 9 novembre 2012 n. 192 recepisce la direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Rispetto al precedente d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, la nuova disciplina si caratterizza per i seguenti tratti innovatori:
a. rimodulazione dei termini entro cui il debitore deve effettuare il pagamento;
b. elevazione del tasso minimo degli interessi moratori;
c. ulteriori limitazioni alla possibilità di derogare, in senso peggiorativo per il creditore, alle condizioni previste dal decreto.
Andando con ordine, la legge attua una direttiva comunitaria ispirata da precisa ratio: colpire la prassi e gli accordi che impongono a imprenditori e professionisti di ricevere le somme loro dovute con ritardi notevoli e ingiustificati rispetto al momento in cui hanno eseguito le prestazioni.
324 Per un’analitica esposizione di tutte le azioni e tutele esperibili in questa sede si veda ora X. XXXXXXX (a cura di), Concorrenza e mercato. Le tutele civili delle imprese e dei consumatori, Padova, 2005.
325 v. ancora X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 151 ss., ma v. ora in particolare X. XXXXXX ELMI, Tutele civile e antitrust, in
Concorrenza e mercato. Le tutele civili delle imprese e dei consumatori (a cura di X. Xxxxxxx), cit., p. 60 ss.
326 X. XXXXX, Ordine e disordine giuridico del mercato (in margine ad alcuni scritti di Xxxxxx Xxxxxxxxx), in Ordo Juris. Storia e forme dell’esperienza giuridica, Milano, 2003, p. 319 ss.
327 X. XXXXXXX, L’argomentazione orientata alle conseguenze, in Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 91 ss.
A tal fine, prima dell’intervento della novella del 2012, il d. lgs. 231/2002 riconosceva piena libertà di accordarsi sulle scadenze e determinare le conseguenze del ritardo, purché tale pattuizione non fosse gravemente iniqua per il creditore. In mancanza di accordo, era previsto un termine unico di trenta giorni.
La nuova disciplina, che si applica non solo ai contratti di vendita di merci o prestazione di servizi stipulati tra imprese ma anche a quelli tra pubblica amministrazione e imprese, mantiene sempre fermo il divieto di iniquità della pattuizione ma distingue328.
Relativamente ai contratti tra imprese, è stabilito che:
a. il termine di pagamento è di trenta giorni, se le parti non prevedono un diverso termine nel contratto;
b. il diverso termine, contrattualmente stabilito dalla parti, non può però essere comunque superiore a sessanta giorni ;
c. le parti possono concordare un termine superiore a sessanta giorni , solo a condizione che tale termine sia espressamente pattuito per iscritto.
Per quanto riguarda i contratti tra imprese o pubbliche amministrazioni, il termine ordinario è di trenta giorni ma può essere esteso fino ad un massimo di sessanta qualora ciò sia richiesto dalla natura o dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione.
Il termine, invece, è ex lege di sessanta giorni qualora parte del contratto sia un'impresa pubblica tenuta al rispetto dei requisiti di trasparenza329; oppure un ente che fornisca assistenza sanitaria e che sia stato riconosciuto a tal fine.
Scaduto il termine entro il quale la prestazione doveva essere eseguita, il debitore cade automaticamente in mora senza bisogno che si renda necessaria alcuna apposita dichiarazione o il compimento di una qualsiasi formalità da parte del creditore: si tratta, quindi, di un’ipotesi di mora ex re.
Ne consegue che, a partire da questo momento, iniziano a decorrere gli interessi moratori che la legge determina in una misura significativamente superiore rispetto a quelli previsti dall’art. 1284 c.c.330
Come detto, la disciplina legale può essere derogata dalle parti ma sono vietati accordi sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardo che siano gravemente iniqui in danno al creditore331.
328 Essa si applica ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo nelle transazioni commerciali, intendendosi tali i “contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano, in via esclusiva o prevalente, la vendita di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”.
329 Trattasi di imprese che hanno relazioni finanziarie con poteri pubblici e per questo tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al d. lgs. 11 novembre 2003, n. 333.
330 In particolare, analogamente a quanto stabilito per i termini di pagamento, la quantificazione degli interessi varia a seconda che si tratti di contratti tra imprese o contratti tra imprese e pubblica amministrazione.
a. nei contratti tra imprese, si prevede che, in caso di mancato pagamento entro i termini stabiliti, il debitore sia tenuto a corrispondere interessi di mora che sono (a) interessi legali di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al tasso di riferimento BCE maggiorato di otto punti percentuali o (b) interessi ad un tasso concordato tra le imprese;
b. nei contratti tra imprese e pubblica amministrazione, si prevede che, in caso di mancato pagamento entro i termini stabiliti, il debitore sia tenuto a corrispondere interessi ad un tasso che non può essere inferiore al tasso legale ossia al tasso BCE maggiorato dell'8%.
331 L’art. 7 prevede espressamente ipotesi da cui si può presumere la grave iniquità ossia la presenza di una clausola che esclude l’applicazione degli interessi di mora o che esclude il risarcimento per i costi di recupero.
In caso di violazione di questo divieto, nel testo antecedente la riforma del 2012 il giudice poteva dichiarare d’ufficio la nullità dell’accordo e “applicare i termini legali ovvero ricondurre ad equità il contenuto dell’accordo medesimo”.
Vale a dire, accertata la nullità dell’accordo, il giudice poteva ricostruire il regolamento contrattuale in due modi: o applicando i termini legali o riconducendo ad equità il contratto. La norma conferiva così all’autorità giudiziaria che avesse accertato la nullità dell’accordo, la facoltà di stabilire anche d’ufficio “una disciplina eventualmente diversa da quella prevista dal d.lgs. 231 del 2002, in materia di termini di pagamento e interessi moratori”332.
La novella del 2012 mantiene ferma la sanzione della nullità in caso di accordo iniquo ed innova con due interventi: (a) introduce i parametri alla stregua dei quali accertare l’iniquità e
(b) esclude il potere del giudice di modificare il contratto secondo criteri differenti da quelli legali.
Per quanto riguarda l’accertamento, bisogna prendere come riferimento “tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l'esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all'importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero”.
La differenza rispetto al testo precedente è evidente333: manca l’espresso richiamo all’obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore. Ciò, infatti, poteva porre maggiori problemi di accertamento.
Diversamente, si richiede di valutare se esiste uno iato tra la prassi commerciale e lo specifico accordo per successivamente valutare se ciò contrasti con il principio di buona fede e correttezza.
Passando dall’accertamento della nullità alle conseguenze, il giudice perde il potere correttivo. Sono richiamati gli articoli 1339 e 1419, II comma, escludendo implicitamente il primo comma dell’art. 1419 c.c.
Si può così ricostruire una disciplina sui ritardi di pagamento nei seguenti termini: il divieto di iniquità è norma imperativa; una clausola contrattuale che la violi determina la nullità di quest’ultima, senza la necessità di valutare se le parti avessero comunque concluso l’accordo con o senza quella clausola.
È così dettato un regime giuridico della nullità che si presenta derogatorio rispetto al tradizionale, molto più vicino alla nullità di protezione. Essa si realizza mediante un potere sostitutivo del giudice che eliminerà la clausola nulla sostituendola con la disciplina legale.
Con riferimento al previgente potere correttivo, questo non può essere introdotto neppure per via interpretativa.
Sebbene la ratio di tale potere fosse giustificata dall’esigenza di tutelare l’interesse pubblico economico, dato che accordi gravemente iniqui avrebbero potuto essere causa di insolvenza per imprese di piccola e media dimensione, con conseguente perdita di posti di lavoro334, la norma è rimasta nella prassi inapplicata e la previsione del solo potere sostitutivo non realizza di meno le esigenze che la norma intende proteggere.
332 X. XXXXXXXXXX, La nullità degli accordi “gravemente iniqui” nelle transazioni commerciali, in Contr., 5, 2003, p. 511. 333 Si considera, in particolare, gravemente iniquo l'accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, abbia come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, ovvero l'accordo con il quale l'appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi
334 X. XXXXXXXXX, Autonomia negoziale e ruolo del giudice, Relazione al II convegno SISDiC tenutosi a Capri il 18- 19-20 aprile 2006, I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale, secondo cui la correzione delle
Inoltre, nel silenzio della legge, non si può ritenere che il giudice sia legittimato a riscrivere il contenuto contrattuale tutte le volte in cui il contratto sia squilibrato.
L’art. 1374 c.c. individua fra le fonti di integrazione del contratto la legge, gli usi e in mancanza l’equità. Ma ciò non significa che l’iniquità sia ragione di invalidità al pari dell’illiceità del contratto. Significa solo che nei casi ammessi dalla legge il giudice può intervenire in via equitativa nel fissare un elemento o un aspetto del contenuto del contratto.
8. Diritti fondamentali e contratto.
Il legame fra diritti e contratto emerge con chiarezza come mano visibile del diritto comunitario su alcuni aspetti essenziali. La piena informazione, il divieto di discriminazione, i principi che derivano dai mercati regolamentati (libertà di accesso,accessibilità economica e buone prassi),le pratiche commerciali scorrette, la salute e la sicurezza nella disciplina dei servizi, il controllo sul contenuto del contratto
335. Ma ciò riguarda ogni altra posizione soggettiva costituzionalmente garantita, non fosse altro perché la Carta dei diritti fondamentali attribuisce piena efficacia ai valori di libertà, eguaglianza e dignità con una sequenza necessariamente unitaria espressa già nell’art. 3 della nostra Costituzione.
Il coordinamento dei due testi dispone che non c’è libertà senza eguaglianza e non c’è eguaglianza senza la tutela della Dignità e i diritti di ogni persona fisica o giuridica, che eserciti o meno un attività economica.
Resta da vedere che uso si può fare e si sta facendo di tali indicazioni essenziali.
Come è stato autorevolmente ricordato di recente, esistono tre orientamenti sul collegamento fra il contratto e le disposizioni costituzionali 336. Il primo, più risalente, nega rilievo diretto al contratto, riconoscendo alle norme fondamentali il solo valore di un contesto ermeneutico. Gli altri seguono una via diversa. Alcuno fissa un legame fra l’autonomia dei privati e il contenuto degli articoli 2 e 32 che descrivono aspetti decisivi della persona e delle sue libertà, altri considera l’iniziativa economica privata, disciplinata dall’art. 41, come diretto riferimento al contratto, vero archetipo di quella attività337.
D’altra parte la Carta di Xxxxx non assume un’indicazione chiara sul punto, limitandosi a disciplinare la libertà d’impresa338 e la Corte CEDU339 affronta il problema in modo ancora indiretto, tutelando l’affidamento ad un rinnovo contrattuale previsto da un opzione, come un bene protetto dal protocollo 11, legando così, in modo ambiguo la pretesa obbligatoria ad un contratto alla protezione della proprietà, secondo uno schema tipico delle codificazioni ottocentesche, ma ampiamente superato nel corso di tutto il novecento.
clausole che prevedono tassi esigui o dilazioni eccessive determinano un finanziamento commerciale celato a spese del creditore (contraente debole), e pertanto alterano la ragione economica del contratto con il quale il debitore (contraente forte) si procura beni e servizi. Conformemente v. X. XXXXXXX, sub art. 33 co. 2 lett. m., in Codice del consumo, Commentario, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2007.
000 X-X. XXXXXXXX, Xx mano visibile del diritto privato europeo in materia normativa. La trasformazione del diritto privato europeo dall’autonomia al funzionalismo nella concorrenza e nella regolazione, EUI Working Papers, Department of Law, 2010, disponibile in xxxx://xxxxxx.xxx.xx/.
336 V. da ultimo X. XXXXXXXXX, Persona e contratto, in Obb. contr., 2012.
337 X. Xxxxxxxxx, op. cit. ma vedi anche X. XXXXXXX, (a cura), Contratto e costituzione in Europa, Padova, 2005.
338 sul punto X. XXXXXXX (a cura), Carta europea e diritti dei privati, Padova, 2002.
000 Xxxxx XXXX, Xxxxxxxx x. Xxxxx Xxxxx, Sez. IV, 24.6.2003 n. 44277
Il problema resta dunque interpretativo e sistematico ma si deve riconoscere che il contratto, come tutti gli altri istituti essenziali del vivere civile (persona, famiglia,gruppi intermedi, proprietà, contratto, testamento) non è privo di una rilevanza costituzionale .340
Di ciò è consapevole la nostra giurisprudenza di legittimità che utilizza il riferimento alla Dignità e ai diritti previsti della Carta dei diritti fondamentali in una pluralità di casi.
Significativa è la motivazione di una sentenza recente che origina dal controllo di una clausola apposta ad un contratto di locazione341.
Il ragionamento segue un percorso preciso. Si osserva anzitutto che l’ordinamento è oggi “un insieme di fonti eterogenee ma reciprocamente armonizzate..secondo un rigoroso rapporto gerarchico al cui vertice è la Costituzione che, in modo diretto o indiretto, assegna a ciascuna di esse la propria funzione normativa”. Si precisa poi che in tale contesto hanno una funzione preminente “quelle norme che attengono ai valori inviolabili della persona umana ed il cui dettato non si esaurisce in formule meramente programmatiche, ma è dotato d’un valore precettivo che le rende direttamente applicabili anche ai rapporti intersoggettivi342”. Si passa poi al contratto precisando che “l’autonomia negoziale non può essere disancorata dalla natura degli interessi sui quali una data disposizione è destinata ad incidere. E poiché ogni interesse è correlabile ad un valore, attraverso l’analisi degli interessi si dovrà individuare quali fra essi estrinsecano valori che hanno nella Carta costituzionale il loro riconoscimento e la loro tutela”.
Ricostruito il contesto normativo si può concludere con chiarezza che “il fondamento costituzionale dell’autonomia negoziale va individuato alla luce di molteplici supporti normativi, in ragione della natura degli interessi affidate alle singole esplicazioni di autonomia e dei valori costituzionali ai quali questi interessi sono riconducibili”. Sicchè “i fondamenti costituzionali dell’autonomia negoziale offrono all’interprete le indispensabili coordinate, alle quali attingere per esprimere sui singoli e concreti atti di autonomia quei giudizi di valore che l’ordinamento affida loro”. Individuata la fonte doverosa è facile individuare poi gli strumenti di attuazione nel caso di specie: “i controlli di meritevolezza degli interessi e di liceità della causa devono essere condotti alla stregua dell’art. 2 della Costituzione che tutela i diritti inviolabili e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà”.
La via è ampiamente tracciata per ulteriori sviluppi che non si fanno attendere.
Anzitutto per determinare, con una interpretazione costituzionalmente orientata, il contenuto del danno non patrimoniale come lesione di un bene giuridicamente protetto343, l’ambito e il fondamento del consenso informato in caso di trattamento sanitario344, il danno da demansionamento di un medico ospedaliero, 345 ma incentrandosi poi sul ruolo che la Carta può avere nel delimitare l’interesse protetto e il rimedio in una serie di ipotesi attinenti alla tutela di stranieri, minori, anziani e disabili. 346
Se la giurisprudenza in tema di riavvicinamento del familiare straniero al minore bilancia gli interessi contrapposti con richiamo specifico agli articoli 7 e 24 della Carta europea 347 in
340 Così ancora X. XXXXXXXXX, op. cit.
341 Cass. 19 giugno 2009, n. 14343 (est. D’Amico), in Foro it. On-line
342 v. già sul punto: Cass., 15 luglio 2005, n.15022; Cass., 31 maggio 2003, n. 8828; Cass., 31 maggio 2003, n. 8827
343 v. le sentenze indicata nella rassegna di X. XXXXX, L’incidenza della Carta di Xxxxx nella giurisprudenza della Cassazione Civile: rassegna giurisprudenziale, in Persona e Mercato, xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx , 4, 2011, p. 327; ed ivi il richiamo a Cass., 10 marzo 2010, n. 5770 e Cass., 13 luglio 2011, n. 15373.
344 X. Xxxx., 0 febbraio 2010, n. 2847; Cass., 28 luglio 2011, n. 16543; Cass., 30 marzo 2011, n. 7237; e altresì C.
Cost. 23 dicembre 2008, n. 438, in Foro it., 2009, 5, I, c. 1328 ss.
345 Cass., 2 febbraio 2010, n. 2352, in Foro it., 2010, 4, I, c. 1145.
346 x. xxxxxx, X. XXXXX, xx. xxx., x. 000
000 x. Xxxx., 00 ottobre 2010, n. 21799, in Giust. civ., 2011, 3.
tema di disabili e di anziani il richiamo agli art. 25 e 26 incide sulle tutele civilistiche in modo assai significativo.
Una prima sentenza decide sulla richiesta di ripetizione di un familiare delle spese anticipate per un disabile, seguito dai servizi sociali che si erano in precedenza accollati gli oneri di collocazione in una struttura dedicata. Il problema era di individuare la fonte del diritto alla restituzione e dell’obbligo del Comune che i giudici di merito avevano negato in mancanza di un atto amministrativo specifico. La Cassazione348 ha precisato che l’obbligo a carico dell’Ente appare nella specie fondato perché può trarsi dal dovere costituzionale di solidarietà nonché dall’art. 26 della Carta di Nizza, al punto che tale diritto è tutelabile utilizzando l’art. 700 c.p.c.. A ciò si fa seguire che l’anticipazione delle spese integra il requisito dell’ utiliter coeptum della negotiorum gestio prevista dall’art. 2028 c.c. e consente così la ripetizione delle somme.
La seconda sentenza è ancora più significativa.
La Corte349 doveva pronunziarsi sulla validità di un contratto concluso fra una anziana affetta da una grave malattia terminale e una badante con cui si cedeva la nuda proprietà di un immobile come corrispettivo di un obbligo di assistenza. Il contratto è qualificato come atipico e il controllo degli interessi è condotto alla stregua dell’art. 25 della Carta intesa “come norma precettiva e non solo programmatica e orientativa per i giudici nazionali” la quale può determinare il giudizio di carenza o illiceità della causa come la delimitazione di un interesse meritevole ai sensi dell’art. 1322 c.c.
Due ordinanze recenti della Corte costituzionale350, in piena sintonia con l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, potenziano il ruolo dei principi costituzionali nella disciplina del contratto.
L’occasione è fornita dalla disciplina della caparra confirmatoria di cui si eccepisce l’incostituzionalità nella parte in cui non dispone..che il giudice possa equamente ridurre la somma dovuta “in ipotesi di manifesta sproporzione”. Ciò perché la norma ( 1385 c.c.) non lascerebbe spazio al giudice per alcun intervento idoneo a ripristinare l’equità oggettiva e il complessivo equilibrio contrattuale351. Ad una tale eccezione la Corte risponde con due ordinanze di manifesta inammissibilità che sollecitano un interpretazione costituzionale di grande incidenza e rilievo, ben oltre la questione della caparra. Basta leggere la motivazione. L’inammissibilità è disposta perché non si tiene conto “dei possibili margini di intervento riconoscibili al giudice a fronte di una clausola negoziale che rifletta (come, nella specie) un regolamento degli opposti interessi non equo e gravemente sbilanciato in danno di una parte. In tali casi si reputa che il giudice possa intervenire d’ufficio dichiarando “la nullità (totale o parziale) ex articolo 1418 cod. civ., della clausola , per contrasto con il precetto dell’articolo 2 Cost., (sui dei doveri inderogabili di solidarietà) che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, 352.
L’autorevolezza di queste affermazioni indicono ad analizzare, punto per punto, la motivazione. I precedenti citati richiamano un indirizzo consolidato.
348 Cass., 6 agosto 2010, n. 18378, in Giust. civ.,2011, 3, p. 680, commentata da X. XXXXX, op. cit., p. 336
349 Cass. 7 febbraio 2011, n. 2945, citata in X. XXXXX, op. cit., p. 337.
350 Corte cost. 24 ottobre 2013 n. 248 e Corte cost., 2 aprile 2014, n. 77
351 Corte cost. 26 marzo 2014, cit.
352 Si ribadisce il potere della norma costituzionale di funzionalizzare “il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato» e si ricordano alcuni precedenti Corte di cassazione n. 10511 del 1999; ma già n. 3775 del 1994 e, in prosieguo, a sezioni unite, n. 18128 del 2005 e n. 20106 del 2009.
a) La penale eccessiva. La prima sentenza ricordata353 affronta il tema della rilevabilità d’ufficio della clausola penale, ma è l’occasione per ripensare il potere correttivo del giudice di fronte ad un atto o un comportamento dei privati non conforme all’ ordine costituzionale vigente. Di più. La motivazione si propone espressamente di superare il formalismo della precedente giurisprudenza per rileggere gli istituti privatistici alla luce del carattere conformativo delle norme e dei principi costituzionali. Con un obbiettivo preciso. Superare l’idea della centralità della volontà dei privati per far emergere l’interesse primario dell’ordinamento al controllo dell’autonomia tramite il ruolo del giudice, il quale deve tener conto di un bilanciamento di “valori” di pari rilevanza costituzionale che confluiscono nel regolamento negoziale. Si richiama l’art. 41 che riconosce la libertà dell’iniziativa economica privata e il concorrente dovere di solidarietà previsto dall’art. 2 che entra, si precisa, nella struttura del contratto come limite interno di ogni situazione soggettiva e transita tramite la buona fede nella valutazione dei comportamenti consentendo di dichiarare inesigibili certe pretese obbligatorie354 e di conformare in base a tale bilanciamento l’essenza stessa del rapporto obbligatorio 355. Tutto ciò è la premessa logica per giustificare l’intervento d’ufficio del giudice come espressione di un potere-dovere volto non a proteggere uno dei contraenti, ma a realizzare un interesse oggettivo dell’ordinamento”, che si specifica e si consolida nell’esigenza” di una “giustizia del caso concreto” che il processo deve assicurare”356 Tale orientamento non si è affermato certo con facilità. Molte pronunzie successive avevano ribadito la tesi tradizionale357 e da qui la pronunzia delle Sezioni Unite che conferma l’indirizzo innovativo in modo netto e analitico358 nel ribattere agli argomenti logico esegetici contrari e nell’affermare ambito e limiti del controllo giudiziale.
Si rileva che non sussiste alcun ostacolo nell’art.112 c.p.c. perché la norma sulla clausola penale (1384) non fa alcuna menzione della necessaria eccezione della parte, sicchè la soluzione contraria può trarsi da una valutazione sistematica di altri casi analoghi ( 1526 e 1934 c.c.). Si ribadisce che l’intervento d’ufficio non è finalizzato alla protezione di una situazione soggettiva, ma di un interesse generale comune ad altri casi in cui l’intervento correttivo del giudice è previsto dalla legge ( 2058 e 1226 c.c.). Insomma si muove dal potere di autonomia e dai suoi limiti che giustificano un intervento correttivo del giudice. Vi sono casi ,si sostiene, in “ cui la correzione della volontà delle parti” è prevista dalla legge che sostituisce la parte dell’atto non conforme. Ve ne sono altri in cui una inserzione automatica della disciplina legislativa non è possibile “perché non può essere determinata in anticipo la prestazione dovuta da una delle parti”. In tali casi “ la misura della prestazione è rimessa al giudice, per evitare che le parti utilizzino uno strumento legale per ottenere uno scopo che l’ordinamento non consente ovvero non ritiene meritevole di tutela, come nel caso appunto di una penale “manifestamente” eccesiva”359.
Il potere correttivo così serve ad un fine preciso. Ricondurre l’accordo, “frutto della volontà liberamente manifestata dalle parti, nei limiti in cui esso appare meritevole di ricevere tutela dall’ordinamento”. Il che è pienamente coerente con il potere di rilevare d’ufficio, appunto, la non conformità di una clausola alle fonti di un ordinamento integrato.
353 Cass. 24 settembre 1999,n.10511
354 Cass. n. 19 del 1994
355 Cass. n. 3362 del 1989, n. 2503 del 1991 ( in tema di fideiussione omnibus), n. 6448 del 1994.
356 Cass. 24 settembre 1999, n. 10511 cit.
357 Cass. n. 5324 del 2003, Cass. 8813 del 2003, Cass. n. 5691 del 2002, Cass. 14172 del 2000.
358 Cass. sez.un. 13 settembre 2005, n. 18128.
359 Cass.sez,un, 13 settembre 0000, x. 00000.
b) L’abuso di diritto. L’ultima sentenza citata completa il quadro360 fissando il tema dell’abuso nel contesto della buona fede oggettiva. La quale, si ricorda, è concretizzata dal valore costituzionale di solidarietà sociale, opera nella fase di formazione ed esecuzione del contratto ed è per il giudice uno strumento di controllo modificativo od integrativo che consente di mantenere “ il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio e della proporzione”.
Da qui la prima conclusione. Deve essere rettificata la concezione rigidamente formalistica contenuta nella sentenza di merito impugnata. La quale nega il potere di controllo del giudice sull’atto di autonomia ( nella specie sul recesso ad nutum), esclude che la buona fede crei obbligazioni autonome, esalta,in un economia di mercato, il ruolo dell’autonoma iniziativa dei privati non soggetta ad un giudizio di ragionevolezza. La presa di distanza rispetto a tutto ciò della Cassazione è netta.
L’abuso è un criterio rilevatore della mala fede e manifesta una “utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obbiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore”. Sicchè la condotta abusiva si ha quando “ nel collegamento tra il potere di autonomia.. ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obbiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede”. In tali casi l’ordinamento rifiuta tutela a diritti e interessi “esercitati con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva e impedisce che si conseguano e si conservino vantaggi derivanti da atti strumentalmente idonei, ma esercitati in modo da alterare la funzione e contrastare” con la correttezza.
Emerge così un principio che consente di esaminare gli atti e di valutare le condotte tutte le volte che si superino i limiti interni ed esterni al diritto. Anche il metodo da seguire è chiaro. Nel caso di contrapposti interessi è essenziale “ la proporzionalità dei mezzi usati” che esige” una procedimentalizzazione nell’esercizio del diritto”.
360 Cass. 18 settembre 2009, n. 20106.
CAPITOLO 2 - LE REGOLE DI VALIDITÀ
1. Efficacia e validità
2. Le azioni previste nei Capi XI, XII, XIII, XIV del Quarto libro del Codice civile
2.1. Qualche raffronto fra disciplina generale e di settore (nullità, annullabilità e “giustizia del contratto”)
3. La nullità
3.1. I casi di nullità previsti dal codice
3.2. L’azione di nullità
3.3. La conversione e la conferma
3.4. La nullità parziale
3.5. Gli effetti della nullità nei confronti delle parti e dei terzi
3.6. L’evoluzione della nullità in Italia e in Europa
3.7. Nullità speciali “di protezione”
3.8. Una esemplificazione
3.8.1. Nullità di protezione a tutela del “consumatore”
3.9. In sintesi
4. La causa
4.1. Significato della causa: evoluzione storica
4.2. La causa in concreto
4.3. Qualche riflessione sulla causa nel diritto privato europeo
5. L’oggetto
5.1. La determinatezza o determinabilità dell’oggetto. Una vicenda giurisprudenziale
5.2. La determinazione da parte del terzo
6. il contratto illecito
6.1. Norme imperative
6.2. Violazione di norme tributarie
6.3. Contratto contrario a norme penali
6.4. Contrarietà a buona fede
6.5. Ordine pubblico
6.6. Buon costume
6.7. La meritevolezza dell’interesse
6.8. Motivo illecito
6.9. Frode alla legge
7. L’annullabilità
7.1. Il giudizio di annullamento
8. I vizi della volontà
8.1. L’errore. La disciplina del codice civile
8.1.1. Rilevanza dell’errore. Il requisito dell’essenzialità
8.1.2. La riconoscibilità dell’errore
8.2. Il dolo
8.2.1. La disciplina del codice civile. I requisiti
8.2.2. Il dolo omissivo
8.2.3. Il c.d. dolus bonus
8.2.4. Il dolo incidente
8.2.5. Truffa e dolo negoziale
8.2.6. Dolo del terzo
8.3. La violenza
8.3.1. La disciplina del Codice civile. Gli elementi: la minaccia di far valere un diritto
8.3.2. Minaccia e timore
8.3.3. Violenza di un terzo e violenza diretta contro terzi
9. Della incapacità
9.1. Dalla incapacità alla “protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”.
9.2. L’annullabilità del contratto per incapacità legale
9.2.1. L’amministrazione di sostegno