Introduzione
Introduzione
1. Le sopravvenienze nei contratti a lungo termine, il tempo e l’alea contrattuale
Il tema delle sopravvenienze contrattuali da sempre interessa sia gli studiosi di diritto, sia i giuristi della prassi. A riguardo si è scritto molto e molto ancora si scriverà per un motivo ben chiaro: può facilmente accadere che un contratto stipulato tempo addietro, in determinate circostanze, oggi non corrisponda più agli interessi economici delle parti, interessi sussistenti al momento della conclusione dell’accordo. Prima dell’esecuzione di un contratto, infatti, non è per nulla insolito che si verifichino degli eventi sopravvenuti, ossia delle circostanze, di fatto o di diritto, non controllabili né prevedibili dalle parti (dunque non imputabili ad esse), che turbano il normale svolgimento del contratto e lo fanno deviare dal binario originariamente predisposto dai contraenti. Ecco che in tali casi l’accordo negoziale difficilmente potrà essere attuato, in quanto le utilità che le parti si erano ripromesse di raggiungere finiscono per modificarsi o addirittura venire meno1.
È evidente come il rischio di tali perturbazioni riguardi in primo luogo i contratti di durata o a lungo termine, poiché essi prevedono intrinsecamente, e anche per la stessa volontà delle parti, un lungo lasso temporale tra la conclusione del contratto e il suo termine ultimo di esecuzione. Mentre, infatti, nei contratti ad esecuzione istantanea, i quali si esauriscono in un unico atto in via immediata o differita, il fattore tempo non incide largamente, o comunque le possibilità di una sopravvenienza sono ridotte, nei contratti di durata (e ancora di più in quelli di lunga durata) il tempo diventa un elemento centrale ai fini del contratto. Tali contratti, per l’appunto, si caratterizzano per il fatto di diluire nel tempo le prestazioni: sono ad esecuzione periodica se le prestazioni vengono eseguite in momenti diversi, mentre sono ad esecuzione continuata se la prestazione è unica e ininterrotta. Non c’è dubbio che in questi ultimi contratti a lungo termine, il tempo caratterizzi in toto la prestazione stessa, coinvolgendo pure la causa del contratto: «essendo persistente nel tempo l’interesse da soddisfare, durevole dev’essere la realizzazione del diritto o della diversa situazione giuridica cui è affidata la tutela dell’interesse»2.
Per i motivi sopra espressi, tale ricerca mira ad approfondire i rimedi esistenti e potenziali per eccessiva onerosità sopravvenuta, in particolar modo nei contratti di lunga durata, in quanto sono quelli in cui si possono verificare maggiori problemi sia di natura giuridica, sia di natura economica. Solo in tali ipotesi contrattuali, infatti, le parti investono risorse per allestire un’operazione negoziale duratura che possa garantire un interesse proiettato durante un periodo medio-lungo3. Il programma temporale predisposto determina dunque il tipo contrattuale, la causa e gli interessi delle parti che, non essendo istantanei
1 Cfr. X. XXXXX, Recesso e rinegoziazione. Riflessione sui potenziali rimedi nel caso di sopravvenienze nei contratti di durata, Pisa, Pacini Giuridica, 2019, p. 23.
2 X. XXXXXXX, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, Milano, Cedam, 2018, p. 12. L’Autore rifiuta la teoria per cui i contratti di durata predispongano sempre un adempimento durevole della prestazione, dando invece più importanza alla durata del soddisfacimento dell’interesse.
3 Cfr. X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, Jovene,
1996, p. 13.
ma tendenti alla continuità e alla regolarità dell’esecuzione, sono rispettati solo se vengono a loro volta rispettate le previsioni temporali pattuite4.
Bisogna dunque non cadere in banali semplificazioni e operare delle diversificazioni. È pur vero che qualsiasi contratto che prevede una distanza temporale tra la conclusione e l’esecuzione sia potenzialmente oggetto di perturbazioni contrattuali, ma è anche vero che non tutti i rapporti di durata presentano tale problema. Nei contratti ad esecuzione differita, ad esempio, c’è una distanza tra la costituzione del rapporto e l’adempimento, ma il tempo funge soltanto da termine entro cui adempiere, in quanto le parti rinviano ad un momento futuro l’adempimento: qui non c’è alcun investimento per far fronte ad un’esecuzione duratura delle prestazioni e dunque non si rilevano particolari criticità. I problemi più rilevanti invece, come anticipato, riguardano i contratti di lunga durata.
Un altro tema da trattare in via preliminare è quello dell’alea contrattuale, in quanto, come si vedrà meglio nel capitolo 1, si tratta di un concetto particolarmente rilevante nella disciplina codicistica dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, sia con riferimento all’alea normale, sia con riferimento ai contratti aleatori veri e propri. L’alea, o rischio, contrattuale è la possibilità, con riguardo a contratti non eseguiti o in esecuzione, che non si realizzi correttamente il programma pattuito dalle parti, a causa di eventi sopravvenuti inimmaginabili (in primis impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità sopravvenuta) che inficiano l’allocazione degli interessi. Normalmente ciascuna parte si sottopone a tale rischio in quanto intrinseco alle fattispecie contrattuali, tant’è che non ogni evento di concretizzazione del rischio comporta una reazione rimediale da parte dell’ordinamento. A riguardo rileva il concetto di alea normale del contratto: si intende con esso il rischio naturale accettato dalle parti e compatibile con lo strumento contrattuale. È evidente, infatti, che al momento della stipula di un atto negoziale le parti devono essere consapevoli di affrontare un certo margine di rischio che rientra nella normalità. Il discrimine sta nella prevedibilità delle sopravvenienze: se i contraenti potevano prevedere un certo rischio e lo hanno accettato, in tal caso non ci sarà di per sé tutela. Qualora invece ci sia un turbamento imprevedibile, tale da produrre uno squilibrio tra le prestazioni che le rende non più esigibili, si supera l’alea normale e si entra in una zona suscettibile di tutela (ad esempio, la risoluzione contrattuale)5.
Come si vedrà nel corso della trattazione, le parti possono ripartire il rischio tramite l’inserimento di apposite clausole di adeguamento automatico o di rinegoziazione, cioè moderni strumenti manutentivi atti a revisionare il contratto; inoltre, la scelta dello stesso tipo contrattuale consente di individuare il carico di rischio che ogni contraente si addossa. L’alea normale, dunque, individua il limite entro cui i rischi rimangono a carico delle parti e si sostanzia nell’incertezza dell’affare concluso: un evento straordinario e imprevedibile che travalichi tale limite consente di mettere in campo i rimedi previsti dall’ordinamento, poiché rende le prestazioni, ad esempio nel caso dell’eccessiva onerosità, troppo gravose e non più in linea con la causa del contratto.
4 Cfr. X. XXXXXXX, La rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell’equilibrio contrattuale, Padova, Cedam, 2006, p. 2. Cfr. X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, Jovene, 1996, pp. 82-83.
5 Cfr. X. XXXXXXX, La rinegoziazione del contratto, Padova, Cedam, 2006, pp. 11-16; Cfr. X. XXXXXXX, Sopravvenienze, squilibri contrattuali e ruolo della presupposizione, Milano, Xxxxxxx, 2016, pp. 52-55.
2. Il quadro rimediale odierno
I rimedi per fronteggiare le sopravvenienze si distinguono tradizionalmente in due tipologie: i rimedi ablatori o estintivi, che portano all’eliminazione del contratto; i rimedi manutentivi, volti a conservare il rapporto negoziale. Si distingue inoltre tra rimedi legali e convenzionali: i primi sono previsti dalla legge e sono tendenzialmente estintivi, come la risoluzione contrattuale (si ricordi tuttavia che l’art. 1467 c.c. consente anche la riconduzione ad equità), mentre i secondi sono previsti discrezionalmente dalle parti e tendono a salvaguardare il rapporto contrattuale, adeguandolo alle sopravvenienze. Nel capitolo 2 si analizzeranno alcune clausole del secondo tipo, quali ad esempio quelle di adeguamento automatico e di rinegoziazione. Alcuni strumenti rimediali poi possono trovare la propria fonte sia nella legge sia nella volontà delle parti: a questo proposito ci si riferisce al recesso e alla rinegoziazione. Va sottolineato in questa sede come sia i rimedi ablatori, sia quelli manutentivi, incidano pesantemente sull’atto negoziale, indipendentemente dall’esito dell’intervento.
Durante il corso del presente scritto si cercherà di analizzare come i classici rimedi estintivi stiano diventando sempre più insufficienti a salvaguardare gli interessi delle parti: soprattutto nei contratti a lungo termine, si ritiene che l’effettiva tutela degli interessi in gioco meglio si possa ottenere con una collaborazione tra i contraenti, al fine di conservare l’accordo negoziale, per non mandare in fumo le trattative svolte, i costi già sostenuti per l’operazione economica ed eventuali rapporti fiduciari tra i contraenti. Non di rado, infatti, la ricerca di un nuovo contraente e la stipulazione di un nuovo contratto possono rilevarsi complesse e poco conformi alle esigenze di elasticità del mercato globale, che richiede alle imprese una sempre maggiore velocità di adattamento e una capacità di perseguire efficacemente i loro interessi. Si ricordi inoltre come alcuni rimedi estintivi siano spesso giudiziali, cioè richiedano necessariamente l’intervento del giudice: si sommano, dunque, ulteriori costi economici e temporali, anche sotto il profilo processuale.
Per tali motivi, sempre più di frequente si fa ricorso a strumenti manutentivi, che si rivelano nella prassi più flessibili al fine di raggiungere lo scopo contrattuale, nonostante la sopravvenienza di eventi imprevedibili. Tramite il rimedio della revisione in generale si consente di modificare la realtà contrattuale esistente al momento della stipulazione, superando le perturbazioni sopravvenute, e di adeguare il contratto alla nuova situazione, garantendone la stabilità e il perseguimento degli interessi. Bisogna anche sottolineare come lo stesso Codice civile persegua l’obiettivo di conservare, se possibile, i contratti: l’art. 1367 c.c., in materia di interpretazione del contratto, prevede che “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”. Se è vero che tale norma opera solo in via residuale, qualora non si possano applicare i criteri interpretativi degli articoli precedenti, e solo se le parti non vogliono mantenere vivo il rapporto, è anche vero che l’ordinamento prende una posizione netta, consentendo al giudice di far sopravvivere nel dubbio gli effetti giuridici del contratto.
Un ulteriore problema, di cui non ci si occuperà direttamente, ma che si ritiene necessario accennare, è la dicotomia tra sopravvenienze tipiche e atipiche. Le prime sono previste dalla legge (eccessiva onerosità sopravvenuta, impossibilità sopravvenuta) o dalle parti (clausole di adeguamento o di
rinegoziazione), e ne è previsto anche il relativo rimedio; quelle atipiche, al contrario, sono quelle non previste da alcuna fonte e dunque sprovviste di xxxxxx. La dottrina tradizionale, basandosi sulla teoria della causa in astratto, ritiene le sopravvenienze atipiche irrilevanti, e dunque non meritevoli di rimedi, per cui la parte da esse svantaggiata deve sopportarle e non può sottrarsi alla prestazione. Un orientamento più recente, invece, vi dà rilevanza, e propone una rivisitazione del contratto in senso manutentivo, sulla base soprattutto, ma come si vedrà non solo, del principio della buona fede oggettiva6. È evidente come le sopravvenienze atipiche, accertata la loro rilevanza, mettano in crisi il sistema rimediale, in quanto potenzialmente vanno ricercati caso per caso rimedi ulteriori e possibilmente flessibili7. Si ritornerà sull’argomento quando nel capitolo 1 si tratterà della teoria dell’obbligo legale di rinegoziazione, introdotto inizialmente nel nostro ordinamento, sia pur con alcune critiche, come rimedio primario per fronteggiare le sopravvenienze atipiche e ora sotto la lente della dottrina e delle istituzioni, per introdurlo in via tipizzata nel Codice civile.
3. L’influenza europea e internazionale
Nell’analisi dell’argomento oggetto del nostro lavoro non si potrà prescindere dalla disciplina giuridica europea e internazionale. Dal punto di vista europeo si farà riferimento in particolar modo ai Principles of European Contract Law (PECL) e al Draft Common Frame of Reference (DCFR). La prima raccolta è stata elaborata tra il 1982 e il 2002 dalla Commissione Lando, un gruppo di giuristi presieduto da Xxx Xxxxx che, comparando i vari ordinamenti europei, ha stilato un corpus di principi. Si parla a questo riguardo di diritto scientifico. I PECL sono articolati come vere e proprie norme giuridiche, che possono sia essere funzionali a risolvere un caso pratico, sia a costruire il corpo contrattuale, qualora le parti li richiamino espressamente. Tali principi, che non sono legalmente vincolanti in quanto soft law, hanno assunto nel tempo sempre maggiore rilevanza nella costruzione e nella circolazione dei modelli giuridici europei e nei ragionamenti dei giuristi e dei giudici. Si tratta dunque di un diritto sovranazionale non vincolante, utile sia per creare un’interpretazione uniforme dei principi contrattuali a livello europeo, sia per integrare il diritto applicabile al contratto qualora questo abbia dei vuoti di normativa8.
Non troppo diversa è la struttura del DCFR: l’Action Plan 63/01 del 2003 della Commissione europea9 mirava a stabilire un quadro comune di riferimento
6 L’orientamento è mutato con la sentenza Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490, in cui la Corte ha affermato che la causa del contratto non è la sua funzione economico sociale, bensì la sintesi degli interessi reali che il singolo contratto è diretto a realizzare; si è affermata così la teoria della causa in concreto, alla luce della quale le sopravvenienze atipiche, incidendo sulla causa contrattuale, rilevano ai fini della tutela rimediale. A causa di tali sopravvenienze, dunque, potrebbero non essere più realizzabili gli interessi concreti delle parti e le prestazioni diventerebbero inutili: ecco che la causa del contratto, considerata in concreto, diventa uno strumento di controllo delle sopravvenienze.
7 Cfr. X. XXXXXXX, Osservazioni intorno a sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, in “Europa e diritto privato”, n. 1, giugno 2019, pp. 586-587; cfr. X. XXXXX, Recesso e rinegoziazione, Pisa, Pacini Giuridica, 2019, p. 46.
8 Cfr. P. SIRENA, La scelta dei Principles of European Contract Law (PECL) come legge applicabile al contratto, in Rivista di diritto civile, maggio-giugno, 2019, pp. 607-612.
9 An Action Plan. Communication from the Commission to the European Parliament and the Council: a more coherent european contract law (15-03-2003/C 63/01). Per approfondire il testo
v. xxxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXXX:0000:0000:XXX:XX:XXX.
(CFR) al fine di creare in materia contrattuale una terminologia comune, dei principi comuni e dei modelli coerenti, aggiungendo un ulteriore strumento opzionale (soft law) in tale area giuridica. Successivamente, nel 2008 fu emanato il DCFR redatto da una commissione di tecnici presieduta dall’accademico tedesco von Bar. Tale documento, in realtà, non si occupa solo di diritto contrattuale, delineando un’armonizzazione più completa del diritto privato patrimoniale. Tali strumenti di soft law hanno sicuramente spinto gli ordinamenti nazionali ad armonizzare le discipline interne; tra i tanti, come si vedrà nel prosieguo della ricerca, l’ordinamento francese è stato fortemente influenzato da essi nella riforma del Code civil. Inoltre, da più parti si auspica che queste fonti abbiano la stessa influenza sulla riforma del Codice civile italiano in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta. Sia i PECL che il DCFR favoriscono una cultura giuridica comune, nonostante non riuscirono a convincere gli Stati nazionali a costituire un vero Codice civile europeo; probabilmente rimarranno sempre i diritti nazionali, anche a causa del rafforzamento dei sovranismi, a rappresentare la base del diritto privato europeo10.
Ai fini della nostra trattazione rileva soprattutto l’art. 6:111 dei PECL, in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta. Tale articolo vuole impedire che il costo derivante da una perturbazione imprevedibile ricada solo su una parte. A tal fine, i PECL concedono al giudice un certo potere per intervenire sull’autonomia contrattuale: le parti, infatti, spesso non introducono clausole adeguate a far fronte a tali eventi, oppure le clausole inserite non sono sufficienti. Si ricorda che i PECL sono generalmente derogabili, per cui le parti possono applicare le norme che desiderano, e possono anche stabilire che un eventuale mutamento delle circostanze non influisca sull’esecuzione del contratto. I rimedi contenuti nell’art. 6:111 trovano applicazione solo in circostanze eccezionali, quando il contratto è diventato eccessivamente oneroso: il comma 1 ricorda, infatti, il principio di inderogabilità del contratto, che deve essere dunque rispettato anche se la prestazione è diventata più onerosa per l’aumento del costo di una prestazione o per la diminuzione del costo della prestazione che il contraente deve ricevere. Talora non è facile distinguere tra una prestazione che richiede uno sforzo irragionevole e una prestazione solo più difficoltosa: in tali casi spetta al giudice pronunciarsi. Va inoltre ricordato che non si sta parlando dell’impossibilità sopravvenuta, che, a differenza dell’eccessiva onerosità, presuppone un impedimento per l’appunto impossibile da superare, e che, se totale, può portare solo alla fine del rapporto contrattuale.
Qualora dunque la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, il comma 2 indica i requisiti che devono sussistere affinchè le parti siano tenute alla rinegoziazione per trovare amichevolmente un accordo di modifica contrattuale. In primis, come già ricordato, deve esserci una completa perturbazione degli
10 Per approfondire sul punto vd. P. SIRENA, La scelta dei Principles of European Contract Law (PECL) come legge applicabile al contratto, in Rivista di diritto civile, maggio-giugno, 2019, pp. 608-621; X. XXXXX, Diritto privato di derivazione europea, diritto privato europeo e regolazione dei contratti transnazionali nel mercato interno europeo, in Comparazione e diritto civile, novembre 2012, pp. 1-49; X. XXXXXXX, Riforma del Codice civile e diritto privato europeo: verso un’armonizzazione “in senso debole”?, in P. Sirena (a cura di), Dal fitness check alla riforma del codice civile. Profili metodologici della ricodificazione, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, pp. 291-303; D. DE RADA, Codice Civile Europeo tra criticità e rilievi critici, in Rivista del diritto commerciale, fascicolo 2, 2013, pp. 323-369.
eventi, a causa della quale il contratto, anche se eseguibile, diventa insostenibile per una delle parti per l’accrescimento dei costi di adempimento, o per la perdita di valore della controprestazione. Se si verifica un semplice squilibrio tra le prestazioni, il modello dell’eccessiva onerosità non rileva, né il giudice ha poteri di intervento. Inoltre, il mutamento delle circostanze deve verificarsi dopo la conclusione del contratto e non deve poter essere preso in considerazione al momento della conclusione dello stesso da una persona ragionevole, cioè assennata e attenta ai propri interessi. Infine, si deve verificare che il rischio da mutamento non debba essere sopportato da chi lo subisce, altrimenti non si applica tale disciplina.
In presenza di tali requisiti, le parti sono tenute a intavolare trattative per modificare o eventualmente sciogliere il contratto. Le trattative devono essere condotte secondo buona fede. Nel caso in cui si verifichino perdite derivanti dal rifiuto di una parte di intavolare trattative, o dalla rottura di esse in violazione della buona fede, il giudice, ex comma 3, potrà condannare al risarcimento dei danni la parte che non si è attenuta a tale modello di comportamento. Qualora le parti non riescano a raggiungere un accordo, potranno adire il giudice, cui l’art. 6:111, comma 2, delega ampi poteri: egli infatti può risolvere o modificare le clausole contrattuali. In primis, deve cercare di conservare il contratto, chiedendo alle parti di fare un ulteriore tentativo di rinegoziazione, anche col supporto di un mediatore. Se ciò non riesce, il giudice può modificare le clausole (non però l’intero contratto) per far sì che le perdite e i vantaggi aggiuntivi siano ripartiti equamente tra le parti. Come extrema ratio, il giudice può sciogliere il contratto se le parti non trovano un accordo sulla modifica, o se il tenerlo in vita sia ipotesi peggiore dello scioglimento. I poteri del giudice devono ovviamente essere usati con cautela, affinchè non incidano eccessivamente sui rapporti contrattuali11.
Per quanto attiene al DCFR, l’art. III – 1:110 riprende sostanzialmente la formulazione dei PECL. Esso ricorda la vincolatività del contratto anche se la prestazione è diventata più onerosa. Se tuttavia l’esecuzione di un’obbligazione diviene troppo onerosa a causa di un eccezionale cambiamento delle circostanze, la parte onerata, dopo aver tentato in buona fede l’adeguamento delle condizioni contrattuali, può chiedere al giudice di variare la prestazione, al fine di renderla più ragionevole ed equa rispetto alle sopravvenienze, oppure di risolverla alle condizioni dettate dal tribunale stesso12.
Anche a livello internazionale si è sentita l’esigenza di garantire uno strumento mediante il quale armonizzare i diversi ordinamenti, tramite l’individuazione dei principi comuni alla maggior parte dei sistemi giuridici e l’elaborazione di una normativa comune applicabile ai contratti internazionali, che potesse semplificare i rapporti giuridici tra ordinamenti spesso molto diversi fra loro. Inoltre, per quanto concerne il nostro tema, statisticamente sono i contratti internazionali quelli che più di altri rischiano di subire delle sopravvenienze. A tal fine l’UNIDROIT ha emanato nel 1994 i Principles of International Commercial Contracts (PICC), revisionati poi nel 2004, nel 2010 e nel 2016. Tali principi possono avere la funzione sia di dirimere controversie contrattuali e giudiziali, sia di guidare i legislatori nazionali a intraprendere un’armonizzazione in materia contrattuale. Inoltre, possono diventare parte integrante di un contratto internazionale qualora le parti espressamente li richiamino: questo consentirebbe
11 Per approfondire il punto v. X. XXXXXXXXXX, Principi di diritto europeo dei contratti (edizione italiana), Milano, Xxxxxxx, 2001, pp. 361-366.
12 Cfr. Draft common frame of reference. Outline edition, Xxxxxxx, European Law Publishers, 2009.
alle parti di “parlare la stessa lingua” (tuttavia, è necessario che tali principi non contrastino con le norme inderogabili della legge applicabile al contratto)13.
In materia di eccessiva onerosità è prevista nei PICC una sezione apposita, la seconda, denominata Hardship ossia, letteralmente, difficoltà, avversità. È stato scelto tale termine poiché le clausole di hardship già erano conosciute nella prassi contrattuale per far fronte a eventi sopravvenuti, clausole riconducibili, quanto meno astrattamente, alle clausole di adeguamento che preservano l’equilibrio economico del contratto in corso di esecuzione14. L’art. 6.2.1 ribadisce il principio dell’obbligatorietà del contratto, per cui l’adempimento deve essere rispettato anche se la parte subisce delle perdite, o anche se per essa la prestazione non ha più significato; tuttavia, tale principio non è assoluto poiché, qualora sopraggiungano circostanze tali da alterare sostanzialmente l’equilibrio del contratto per l’accrescimento dei costi della prestazione o per la diminuzione del valore della controprestazione, si verifica una situazione di hardship che giustifica l’applicazione degli articoli successivi15. L’art. 6.2.2 elenca i requisiti affinchè si verifichi la hardship: oltre alla sostanziale alterazione dell’equilibrio contrattuale, è necessario che gli eventi che causano la hardship si verifichino o vengano a conoscenza della parte svantaggiata dopo la conclusione del contratto, e che non potessero essere ragionevolmente presi in considerazione dalla stessa parte al momento della conclusione dello stesso. Inoltre, gli eventi che determinano tale situazione devono essere al di fuori del controllo della parte svantaggiata, né questa deve aver assunto il rischio di tale mutamento circostanziale (anche implicitamente). La hardship può assumere rilevanza solo riguardo alle prestazioni ancora da eseguire, e se la prestazione è stata solo parzialmente eseguita la hardship può cadere solo sulle prestazioni ancora da eseguire. È poi evidente, in base a quanto enunciato in questa introduzione, che tale rimedio riguarda soprattutto i contratti di durata. La definizione di hardship è generale, e spesso i contratti commerciali contengono previsioni più precise, considerando anche determinati aspetti particolari delle obbligazioni. Può inoltre accadere che i casi più gravi di hardship integrino forza maggiore, in quanto la linea di demarcazione tra esse spesso non è così netta: vi sono, infatti, eventi che, pur rendendo la prestazione non impossibile, ma soltanto ragionevolmente insostenibile, si fanno rientrare nella forza maggiore. In tali casi spetta alla parte decidere quale rimedio richiedere16.
13 Cfr. X. XXXXXXX, L’efficacia dei principi UNIDROIT nei contratti internazionali¸ in Diritto e diritti, n.10, marzo 2002; ad esempio, nei contratti internazionali cui si applica la legge italiana è molto frequente che sia inserita una clausola di hardship, in quanto il nostro ordinamento adotta un rimedio estintivo del rapporto, ossia la risoluzione.
14 Cfr. X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, Jovene,
1996, p. 207 ss.
15 L’aumento del costo della prestazione è sopportato solitamente dalla parte che deve adempiere l’obbligazione non pecuniaria, e può essere dovuto all’aumento sostanziale del prezzo delle materie prime, o all’introduzione di norme di sicurezza che richiedono procedure molto più costose; la diminuzione del valore, invece, può riguardare obbligazioni sia pecuniarie che non, e può essere dovuta a drastici mutamenti nel mercato (ad esempio, l’inflazione) o all’impossibilità di realizzare lo scopo della prestazione, che deve essere conosciuto o conoscibile da entrambe le parti (divieto di edificare su un terreno acquistato a tal fine). La diminuzione del valore deve inoltre essere oggettivamente misurabile: v. Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, Milano, Xxxxxxx, 2011, pp. 229-230.
16 Per approfondire l’ipotesi della forza maggiore v. Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, Milano, Xxxxxxx, 2011, pp. 253-256; X. XXXXXXXXXX, Principi di diritto europeo dei contratti (edizione italiana), Milano, Xxxxxxx, 2001, pp. 426-431; A. FRIGNANI, X. XXXXXXXX, Il
Infine, all’art. 6.2.3 si illustrano gli effetti della hardship. Il primo comma afferma che, in caso di hardship, la parte svantaggiata possa chiedere la rinegoziazione del contratto, senza ingiustificato ritardo e indicando i motivi su cui la richiesta è basata: la parte dunque può chiedere la rinegoziazione delle clausole originarie del contratto per adattarle alle perturbazioni contrattuali. Tale richiesta non è ammissibile se nel contratto vi è una clausola di adeguamento automatico (ad esempio, una clausola di indicizzazione), ma se tale clausola non contempla gli eventi che hanno determinato la hardship, allora la rinegoziazione è possibile. La richiesta di rinegoziazione, poi, deve essere presentata il più presto possibile, e deve indicare i motivi su cui si fonda la richiesta, a meno che non siano ovvi, per consentire all’altra parte di fare le sue valutazioni: il ritardo nell’avanzare la richiesta e la mancata indicazione dei motivi possono incidere sulla decisione riguardo l’esistenza della hardship e sulle sue conseguenze. Il comma 2 afferma che la richiesta di rinegoziazione non dà alla parte svantaggiata il diritto di sospendere l’esecuzione, per evitare abusi di tale rimedio: la sospensione ci potrà essere solo nel caso di circostanze straordinarie. A differenza dei PECL, non si fa riferimento alla buona fede e alla correttezza; tuttavia, si ritiene che la parte svantaggiata debba chiedere la rinegoziazione in buona fede, cioè non con finalità tattiche o pretestuose, e che entrambe le parti nella rinegoziazione si comportino in modo costruttivo, dando tutte le informazioni necessarie e non comportandosi in modo ostruzionista17.
Il comma 3 precisa che, se entro un ragionevole periodo di tempo, che dipende dalle circostanze e dalle complessità del caso specifico, le parti non raggiungono un accordo, ad esempio perché la parte che riceve la richiesta la ignora, o perché semplicemente le parti non giungono ad un risultato, esse potranno ricorrere al giudice. Il quarto e ultimo comma consente infatti al giudice, qualora accerti un’ipotesi di hardship, di risolvere il contratto, oppure di modificarlo, al fine di ristabilire l’equilibrio originario. Visto che la risoluzione non dipende da inadempimento, gli effetti della stessa potranno essere diversi e dipenderanno dai tempi e modi previsti dal giudice stesso. Per quanto riguarda la seconda possibilità, il giudice cercherà di ridistribuire le perdite tra le parti, ad esempio riadattando il prezzo. È importante ricordare che il giudice potrà risolvere o modificare il contratto, qualora ciò sia ragionevole: se nessuna di tali soluzioni risulta adeguata, il giudice potrà invitare le parti a ritentare la rinegoziazione, oppure mantenere semplicemente il contratto così come era stato stipulato originariamente18.
In conclusione, si ritiene utile ricordare altri strumenti che possono servire per fronteggiare le sopravvenienze contrattuali. La Camera di Commercio Internazionale (ICC) ha predisposto delle clausole standard che le imprese possono inserire nei contratti internazionali: le clausole più attinenti al nostro tema sono la ICC Force Majeure Clause e la ICC Hardship Clause. Tali clausole sono state riviste ed aggiornate nel marzo 2020: rispetto alla versione del 2003, si sono previste sia una short form che una long form per la ICC Force Majeure,
contratto internazionale. Diritto comparato e prassi commerciale, Padova, Cedam, 2010, pp. 293- 310.
00 X. Xxxxxxxx XXXXXXXX dei contratti commerciali internazionali, Milano, Xxxxxxx, 2011, p. 236.
00 Xxx. Xxxxxxxx XXXXXXXX dei contratti commerciali internazionali, Milano, Xxxxxxx, 2011, pp. 227- 237; X. XXXXXXX, La rinegoziazione del contratto, Padova, Cedam, 2006, pp. 61-86.
mentre con riguardo alla ICC Hardship Clause si sono ampliate le opzioni a disposizione delle parti in caso di verifica dell’evento19.
Da ultima, ma non meno importante, va menzionata in questa introduzione la Convenzione di Vienna del 1980 in materia di compravendita internazionale di beni mobili che, soprattutto per il contratto di cui si occupa, ricopre un ruolo particolarmente rilevante nei contratti internazionali. Tale Convenzione, infatti, si applica nei contratti di vendita di beni mobili se le parti contraenti hanno la sede degli affari in Stati aderenti alla Convenzione, o se le regole di diritto internazionale privato identifichino il diritto di uno Stato contraente come applicabile al contratto (le parti possono comunque decidere di non applicare tale Convenzione, o di derogare ad alcune sue parti: cd. opt out). Va detto in primo luogo che tale Convenzione non ha una norma specifica per l’eccessiva onerosità sopravvenuta; tuttavia, è di particolare interesse l’art. 79, il quale prevede che “una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta a un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non si poteva ragionevolmente attendere che la prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, ch’essa la prevenisse o la superasse o che ne prevenisse o superasse le conseguenze”. Se dunque vi sono tali presupposti, oltre al fatto che la parte inadempiente abbia fatto tutto il possibile per evitare l’impedimento e che abbia informato l’altra parte dell’impedimento e delle conseguenze dello stesso, il soggetto potrà essere esente da responsabilità. Tuttavia, l’impedimento ex art. 79 deve rendere la prestazione impossibile (in tutto o in parte), e non semplicemente più difficoltosa o più onerosa: tale norma, infatti, è simile agli articoli 7.1.1 PICC e 8:108 PECL in materia di forza maggiore20.
4. Gli obiettivi della trattazione e le prospettive di riforma
La ricerca in questo lavoro mira a illustrare i potenziali rimedi per eccessiva onerosità sopravvenuta, cercando di metterne in luce gli aspetti negativi e le criticità, al fine di dare un quadro per quanto possibile chiaro e completo del tema. Nella prima parte si analizzerà il panorama italiano: nel capitolo 1 si tratteranno i rimedi legali, ossia la disciplina codicistica e l’obbligo legale di rinegoziazione; nel capitolo 2 i rimedi convenzionali, ossia le clausole integranti contratti, quali ad esempio quelle di adeguamento e di rinegoziazione; nel terzo capitolo si illustreranno il disegno di legge delega 1151/201921, con cui si consente al Governo di intervenire, tra le altre cose, in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta, riformando il nostro Codice civile per avvicinarlo alle fonti sovranazionali e ai maggiori ordinamenti europei, nonché l’impatto che ha avuto la pandemia Covid-19 sui rapporti contrattuali di durata. Per comprendere meglio le possibili ricadute di tale riforma, nella seconda parte si effettuerà una
19 Per approfondire le nuove clausole di hardship e di forza maggiore con i relativi modelli messi a disposizione dalla ICC v. xxxxx://xxxxxxxxx.xxx/0000/00/xxxxxxxx-xx-xxxxx-xxxxxxxx-x-xxxxxxxx-x- cura-del-prof-xxxxx-xxxxxxxxxx-presidente-della-commissione/; xxxxx://xxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxx/xxx- force-majeure-and-hardship-clauses/; xxxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxxx/x/xxxx/xxxxx-xxxxxxxx-x- hardship-le-clausole-elaborate-dalla-camera-di-commercio-internazionale.html.
20 Cfr. X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto internazionale. Diritto comparato e prassi commerciale, Padova, Cedam, 2010, pp. 437-498.
21 Tale disegno di legge delega per la revisione del Codice civile è stato presentato al Senato in data 19 marzo 2019 ed è stato assegnato alla 2° Commissione permanente (giustizia) in sede referente il 27 marzo 2019. È tuttora in corso di esame.
comparazione con l’ordinamento francese, mostrando la situazione pre e post riforma del Code civil, riforma con cui la Francia ha abbandonato le rigidità ottocentesche del principio pacta sunt servanda e si è avvicinata al panorama delle fonti internazionali. Nelle conclusioni, infine, si cercheranno di unire i tasselli illustrati nelle precedenti sezioni al fine di svolgere un commento conclusivo in chiave comparata delle discipline italiana e francese, mantenendo sullo sfondo i principi europei e internazionali.
Ci si accinge, dunque, ad analizzare una tematica complessa e frammentata; un accumulo di strumenti rimediali che si intrecciano tra loro, mettendo in luce l’esigenza di avere regole nuove che si sappiano adattare alle circostanze sempre diverse che possono sorgere nell’attività contrattuale. È ormai acclarato come la staticità non sia più compatibile con il commercio globale, e i soggetti economici richiedono una disciplina giuridica flessibile che sappia rispondere efficientemente alle sopravvenienze. A tutto ciò si aggiunge una carenza di regole generali in tema di adeguamento del contratto, e una giurisprudenza creativa che tenta di colmare lacune in modo frammentario. Insomma, un quadro disordinato e complesso, un lavoro non semplice, ma tuttavia necessario.
Parte I
Il sistema italiano. Gli attuali rimedi per eccessiva onerosità sopravvenuta e il disegno di legge delega 1151/2019
CAPITOLO 1 - RIMEDI LEGALI
1. La disciplina codicistica
Il regime normativo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta risale all’entrata in vigore del Codice civile del 1942. Il Codice civile italiano del 1865, infatti, optò per il principio della vincolatività (cd. pacta sunt servanda): ritenendo rigidamente immodificabili gli accordi contrattuali, non si previde alcuna norma che consentisse di risolvere il contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta1. Non si diede, dunque, alcuna importanza a eventuali sopravvenienze intervenute successivamente alla conclusione del contratto. L’unica eccezione a tale sistema fu dovuta all’avvento della Grande Guerra, che portò con sé fenomeni speculativi e disfunzioni economiche: il legislatore del tempo, infatti, dovette introdurre il d. lgs. lt. 739/1915, secondo cui la guerra era considerata caso di forza maggiore con riguardo sia all’impossibilità della prestazione, sia alla sua eccessiva onerosità sopravvenuta2.
Solo il Codice civile del 1942 introdusse una disciplina relativa all’eccessiva onerosità negli articoli 1467, 1468 e 1469, tuttora vigenti. Tale normativa, che sarà approfondita nel prosieguo del capitolo, rispose alla necessità di porre riparo a squilibri contrattuali sopravvenuti rispetto alla stipulazione del contratto, che rendono lo stesso xxxxxxxx a rispettare gli impegni economici delle parti. Si affermò così, soprattutto all’art. 1467 c.c., la clausola rebus sic stantibus, con cui l’ordinamento reagisce ad alterazioni contrattuali, e consente di mantenere l’equilibrio tra le prestazioni originarie3. L’ordinamento, grazie a tale clausola, tiene conto del fatto che le parti contraenti, nei contratti di durata, si vincolano, considerando la situazione di fatto in quel momento: è necessario, perciò, potersi adattare ad eventuali sopravvenienze, per riequilibrare l’assetto negoziale, e tutelare così le effettive volontà delle parti4.
Tuttavia, il principio pacta sunt servanda non è stato abbandonato: l’art. 1372 c.c. prevede, infatti, che il contratto ha forza di legge tra le parti, garantendo la certezza e la stabilità del rapporto negoziale. Il contratto vincola legalmente le parti contraenti a quanto da esse stabilito nell’accordo stesso. Pare dunque che tale previsione non consenta il riconoscimento di eventi sopravvenuti, né che essi possano incidere sull’esecuzione del contratto.
1 Cfr. X. XXXXXX, Eccessiva onerosità, Bologna, Zanichelli, 2010, p. 3.
2 Cfr. X. XXXXXXX, La rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell’equilibrio negoziale, Padova, Cedam, 2006, p. 3.
Per approfondire l’analisi giuridico-economica relativamente alla prima guerra mondiale, v. F. ECCA, Diseconomia di guerra. Il sovraprofitto nel primo conflitto mondiale, in X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxx (a cura di), Conflitti. Antichità, Archeologia, Storia, Linguistica, Letteratura, Roma, UniversItalia, 2017, pp. 177-187. L’Autore, in particolare, contesta la gestione del conflitto attraverso paradossi, citando il successivo decreto 890/1915, per cui “non era ammissibile la domanda di risoluzione del contratto fondata sulle condizioni create dallo stato di guerra”.
3 Cfr. X. XXXXXXX, La rinegoziazione del contratto, pp. 4-5.
4 Cfr. X. XXXXX, Recesso e rinegoziazione. Riflessione sui potenziali rimedi nel caso di sopravvenienze nei contratti di durata, Pisa, Pacini Giuridica, 2019, p. 23.
Ci si è dunque chiesti se debba prevalere uno dei due principi in esame, o se invece si debba intendere il principio pacta sunt servanda come principio che vincola all’adempimento di un contratto, e la clausola rebus sic stantibus come regola che svincola le parti da un accordo diventato non più corrispondente alla volontà dei singoli. A parere di chi scrive, va sottolineato in primis come l’ordinamento non debba garantire che i contraenti stipulino contratti per loro convenienti, in quanto è nella logica del mercato e dell’alea normale dei contratti che un contraente possa ottenere più benefici rispetto all’altro contraente: la clausola rebus sic stantibus, dunque, non dovrebbe comportare una revisione equitativa delle condizioni contrattuali, ma solamente ripristinare la situazione originaria inficiata da eventi imprevedibili e sopravvenuti.
Si è giunti a ritenere diffusamente che il principio pacta sunt servanda riguardi essenzialmente i contratti ad esecuzione istantanea, mentre la regola rebus sic stantibus attenga maggiormente alle esigenze di flessibilità nei contratti di durata: in tali contratti, infatti, l’applicazione alla lettera dell’art. 1372 c.c., nel caso di eventi sopravvenuti, non consentirebbe alle parti di realizzare l’originario accordo, e obbligherebbe le stesse ad eseguire un contratto sostanzialmente diverso da quello voluto5.
I principi in analisi, dunque, sono solo formalmente in contrasto tra loro, poiché la possibilità di risolvere o rivedere il contratto salvaguarda la vincolatività dello stesso, e riporta nei termini originari l’assetto voluto dalle parti6. Il legislatore ha così preferito inserire nel nuovo Codice civile alcuni strumenti per reagire agli squilibri imprevedibili, in nome della giustizia contrattuale e della volontà delle parti, accogliendo così la teoria oggettiva sviluppatasi a riguardo in dottrina7.
Gli strumenti predisposti a tal fine dal legislatore, tuttavia, sono sostanzialmente estintivi: come si vedrà nei successivi paragrafi, il rimedio principe previsto dal Codice civile è la risoluzione del contratto, che scioglie il vincolo e che, quindi, elimina in toto l’intero rapporto contrattuale. Soltanto in presenza di eccezionali presupposti, il Codice consente la revisione del contratto mediante la sua riconduzione ad equità, che quindi si caratterizza, sia in generale sia nella prassi, come un rimedio del tutto secondario. Dopo aver illustrato i due rimedi alternativi tra loro, si analizzeranno anche le previsioni in materia di contratti con obbligazioni di una sola parte e di contratti aleatori.
5 Tra gli altri, X. XXXXX, Recesso e rinegoziazione, p. 23.
6 Cfr. X. XXXXXXX, La rinegoziazione del contratto, pp. 8-9.
7 Cfr. X. XXXXXXXXXX, X. XX XXXXX, Manuale di diritto civile. Vol.3: il contratto, Milano, Xxxxxxx, 2008, p. 998. Gli Autori riportano le posizioni dottrinali sul fondamento della disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta: secondo la teoria soggettiva, minoritaria in dottrina, il rimedio della risoluzione trova fondamento nella volontà delle parti, che lega il mantenimento del contratto al mantenimento della situazione di fatto al momento della stipulazione; secondo la teoria oggettiva, invece, la risoluzione sarebbe una reazione dell’ordinamento che ritiene irragionevole che un contratto debba permanere nel tempo, nonostante sia venuto meno il suo equilibrio originario. Si tratta, dunque, di un rimedio volto a garantire l’equilibrio economico del contratto. Pare, invece, una forzatura la teoria per cui la risoluzione dovrebbe garantire la causa del contratto, poiché questa esaurisce la sua funzione al momento della stipulazione dello stesso. Per ulteriori approfondimenti v. X. XXXXXX, Xxxxxxxxx onerosità, p. 18; X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx e rimedi nella sopravvenienza contrattuale, in Jus civile, gennaio 2013, pp. 4-9.
1.1 La risoluzione contrattuale
In base all’art. 1467 c.c., nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, o a esecuzione differita, un evento straordinario e imprevedibile, verificatosi prima dell’esecuzione delle prestazioni dovute, che determina l’eccessiva onerosità di una prestazione, giustifica la risoluzione del contratto. Tale previsione fu introdotta dal legislatore del 1942: questo, infatti, si rese conto che era necessario codificare un principio generale in grado di rispondere alla possibilità che, quotidianamente e non solo in xxx xxxxxxxxxxxxx, xx verificassero sopravvenienze contrattuali, tali da alterare l’originario assetto contrattuale8.
L’ambito di applicazione di tale norma è limitato ai contratti a prestazioni corrispettive: in particolare, a esecuzione continuata o periodica, ovvero differita. Nei contratti a esecuzione continuata, la prestazione prosegue continuamente sino al momento in cui si conclude. Nei contratti a esecuzione periodica, le varie prestazioni si susseguono in via intervallata nel tempo. Nei contratti a esecuzione differita, la prestazione si sostanzia in un unico atto e si esegue a distanza di tempo rispetto alla stipulazione9. Si può affermare, dunque, che solo nell’esecuzione differita si può ragionevolmente ravvisare il rischio che sopraggiunga un evento imprevedibile, che renda improvvisamente gravosa la prestazione, anche accessoria, a carico di una parte. Si ritengono esclusi da tale ambito applicativo i contratti a titolo gratuito e i contratti associativi10. Inoltre, si è precisato che il rimedio della risoluzione non può operare se la controprestazione è stata attuata o eseguita interamente; può, invece, operare se la controprestazione sia stata solo parzialmente eseguita, altrimenti si rischierebbe di causare una disparità di trattamento rispetto ai contratti tutelati dall’art. 1468 c.c., che sarà analizzato nei prossimi paragrafi11.
Va sottolineato che l’art. 1467 c.c. afferma che la parte tenuta alla prestazione che è divenuta eccessivamente onerosa può chiedere la risoluzione: ciò significa che è legittimata all’utilizzo di tale rimedio non solo la parte che deve ancora adempiere, ma anche quella comunque gravata dall’eccessiva onerosità12. Bisogna così avere riguardo solamente allo squilibrio contrattuale sopravvenuto, e non al vantaggio iniquo in capo alla parte che deve ricevere la prestazione diventata eccessivamente onerosa13. Infine, bisogna escludere dall’ambito applicativo di tale disposizione i contratti ad esecuzione istantanea, ossia quelli la cui prestazione si esaurisce in un solo fatto simultaneo, o molto vicino nel tempo, alla conclusione del contratto. Si pensi, banalmente, a una
8 Cfr. X. XXXXXXXXX, L’eccessiva onerosità sopravvenuta, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2012, p. 7.
9 Cfr. X. XXXXXX, Eccessiva onerosità, Bologna, Zanichelli, 2010, p. 56.
10 La sentenza della Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 1507 (data di decisione 6 novembre 1997), ha affermato che ai contratti con struttura associativa, quali i consorzi, non sono applicabili gli artt. 1465 e 1467 c.c., mancandovi una contrapposizione di interessi ed attesa la comunanza degli scopi da perseguire, il che esclude l'esistenza di un nesso di interdipendenza sinallagmatica che esiga il mantenimento dell'equilibrio delle prestazioni, cui sono tenuti rispettivamente il consorziato ed il Consorzio.
11 Cfr. X. XXXXXX, Eccessiva onerosità, Bologna, Zanichelli, 2010, pp. 64-65; cfr. X. XXXXXXX, Art. 1467 x.x. xxxxxxxxxx, xxxxxxxxxx xx X. Xxxxxxxxxxx, xx Xxxxx x’Xxxxxx.
12 Secondo la sentenza Xxxx. civ., sez. II, 21 febbraio 1994, n. 1649 (data di decisione 16 giugno 1993), il rimedio della risoluzione ex art. 1467 c.c. non è applicabile a favore del contraente che abbia già ricevuto la controprestazione, consistente in una somma di denaro, e che deduca la sopraggiunta svalutazione.
13 Cfr. X. XXXXXX, Eccessiva onerosità, Bologna, Zanichelli, 2010, p. 66.
vendita istantanea, in cui il venditore consegna il bene e l’acquirente, nello stesso momento, paga il prezzo.
Bisogna ora approfondire il concetto di eccessiva onerosità, in quanto il legislatore non ne dà una definizione. Tale presupposto è evidentemente essenziale ai fini dell’operatività del rimedio risolutorio, per cui devono essere individuati i caratteri della sopravvenienza che giustificano l’azione di risoluzione per eccessiva onerosità. In primo luogo, l’eccessiva onerosità deve essere considerata in senso oggettivo, e non soggettivo. Si ritiene, come peraltro indicano le fonti sovranazionali, che una prestazione sia eccessivamente onerosa quando si verifica un significativo aggravio del valore di una prestazione rispetto all’altra, o quando la controprestazione subisce un’importante diminuzione del suo valore. La difficoltà ad adempiere, dunque, non rileva ai fini dell’applicazione di tale disciplina: il solo fatto che il debitore veda diminuire la propria capacità economica di adempiere non consente di considerare la prestazione eccessivamente onerosa. Le peggiorate condizioni patrimoniali in cui si trova il debitore rientrano nell’alea normale, e non legittimano l’attivazione del rimedio in analisi. È necessario, dunque, analizzare la prestazione e la relativa onerosità solo ed esclusivamente da un punto di vista oggettivo: per fare ciò, è necessario considerare sia la prestazione che la controprestazione, poiché altrimenti si rischierebbe di sovrapporre l’eccessiva onerosità con la mera difficoltà di adempimento14.
Per individuare l’eccessiva onerosità vanno così raffrontati i valori delle prestazioni al momento della conclusione del contratto, e quelli al momento dell’adempimento. A riguardo, rileva l’intervallo temporale, non necessariamente lungo, tra la conclusione del contratto e la sua esecuzione15. Tale argomentazione, inoltre, ci fa comprendere la grande differenza tra l’istituto oggetto della trattazione e l’impossibilità sopravvenuta: il primo, infatti, ha una connotazione qualitativa, in quanto solo nei modi sopra descritti si può parlare di onerosità eccessiva, mentre nel caso dell’impossibilità sopravvenuta prevale il criterio quantitativo, che consente di affermare se una prestazione è possibile o meno.
Un’ulteriore presupposto per l’operatività dell’art. 1467 c.c. è il fatto che l’eccessiva onerosità sopravvenuta deve essere causata da eventi straordinari e imprevedibili. Chiaramente, non è immediato definire la straordinarietà e l’imprevedibilità, e ciò causa problemi di certezza e specificità della previsione nella prassi. Di certo, in via primaria si può affermare che si tratta di due concetti diversi, a volte coincidenti, ma non necessariamente. Con il termine imprevedibilità si intende che il contraente, sulla base dell’ordinaria diligenza, non abbia potuto tenere conto dell’evento sopravvenuto: si tratta, dunque, di un criterio soggettivo, che viene però oggettivato, in quanto è basato sulla capacità e sulla conoscenza che si può chiedere all’uomo medio. È imprevedibile un evento se risulta logicamente improbabile durante l’esecuzione del contratto16. Tale presupposto, dunque, completa la previsione concernente l’alea normale: come già accennato nell’introduzione, ciascuna parte assume su di sé al momento della stipulazione, con la dovuta diligenza, il rischio degli eventi che
14 Cfr. X. XXXXXX, Eccessiva onerosità, Bologna, Zanichelli, 2010, pp. 136-138.
15 Cfr. X. XXXXXXXXX, L’eccessiva onerosità sopravvenuta, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2012, pp. 50-53.
16 Cfr. X. XXXXXXXXX, L’eccessiva onerosità sopravvenuta, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2012, pp. 59-60; cfr. X. XXXXXX, Eccessiva onerosità, Bologna, Zanichelli, 2010, pp. 181-183; cfr. X. XXXXXXXXXXX,
X. XXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Xxxxxxx 2019, pp. 682-684.
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