Concorso per uditore giudiziario Prova scritta di diritto civile
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Concorso per uditore giudiziario Prova scritta di diritto civile
di Xxxxxx Xxxxxxxxxx
Il preliminare di fronte al principio consensualistico e alle eventuali anticipazioni dei suoi effetti
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Al contratto preliminare l’attuale codice civile dedica specificamente la sola norma dell’art. 1351, la quale, a differenza di quanto generalmente avviene con riferimento ai singoli tipi contrattuali, non fornisce una previa definizione legale dello strumento negoziale considerato. Una risalente tradizione definiva il preliminare, già sotto il vigore del precedente codice che non lo contemplava, come l’accordo in forza del quale le parti assumono l’obbligo di stipulare fra loro stesse, in futuro, un ulteriore contratto già determinato, quanto meno, negli elementi essenziali. Di fronte a tale definizione si pone il quesito di quale sia la funzione che obiettivamente giustifica la scissione del procedimento volto ad introdurre tra le parti un determinato regolamento d’interessi. A spiegare tale scissione non basta, evidentemente, l’intento di fissare in forma vincolante un dato regolamento dilazionandone al contempo l’entrata in vigore, poiché a tale scopo sarebbe sufficiente l’apposizione di un termine iniziale d’efficacia, magari incertus quando, ad un contratto concluso in via definitiva. Secondo un primo orientamento, la scissione si giustificherebbe esclusivamente nel campo dei contratti ad efficacia reale poiché solo in tale ambito avrebbe senso anteporre al definitivo un contratto, il preliminare, produttivo di effetti obbligatori e non anche di effetti reali, discendenti unicamente dal definitivo. La tesi sembra trovare conferma nella circostanza che di fatto il preliminare è utilizzato, in misura prevalente, per i trasferimenti immobiliari. La sequenza preliminare-definitivo costituisce, secondo l’impostazione riferita, lo strumento
negoziale atto a realizzare, nel trasferimento dei diritti reali, la scissione tra titulus e modus adquirendi, scissione rifiutata dal nostro codice – il quale, sulla scia del Code Napoleon, ha accolto il principio del consenso traslativo
– ma presente in altri ordinamenti, come, ad esempio, in quelle tedesco, in cui il trasferimento del diritto consegue ad un negozio (il c.d. modus) che l’alienante, in forza di un precedente contratto (il c.d. titulus), è obbligato a porre in essere. In altri termini il preliminare integrerebbe una deroga convenzionale al principio di cui all’art. 1376, a mente del quale l’effetto traslativo si produce immediatamente in forza del consenso raggiunto con il negozio causale. La tesi sembra confermata dalla prassi del preliminare ad effetti anticipati, secondo la quale l’esecuzione di almeno una delle obbligazioni che discenderebbero dalla stipulazione del definitivo viene anticipata alla conclusione del preliminare. Tale prassi, infatti, sembra corroborare il convincimento che unica vera fonte del regolamento d’interessi sia il contratto preliminare e che le parti rinviino al definitivo solo l’effetto traslativo. Tuttavia l’impostazione surriferita va incontro a delle critiche. Innanzitutto non corrisponde alla realtà, la quale conosce il preliminare di contratti ad efficacia meramente obbligatoria (si pensi, ad esempio, ad un preliminare di locazione). In secondo luogo non è neppure aderente al dato normativo, in quanto dal tenore letterale e dalla strutturazione in due distinti comma dell’art. 2932, si evince chiaramente che il preliminare di contratto ad efficacia reale non esaurisce l’ambito di applicazione dello strumento negoziale considerato. Se, infatti, il preliminare riguardasse esclusivamente i contratti ad efficacia reale, non avrebbe senso che il legislatore abbia dettato un primo comma riferito, in generale, all’obbligo di concludere un contratto, e un secondo comma relativo invece al caso peculiare del contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà. Infine, a smentire la tesi, sta la circostanza che il preliminare è conosciuto anche negli ordinamenti che hanno recepito la distinzione, di tradizione romanistica, tra titulus e modus adquirendi (si pensi, per l’ordinamento tedesco, al Vorvertrag).
Xxxxxx, pertanto, più fondato aderire a quelle teorie che affermano
l’esistenza della funzione tipica della scissione di cui trattasi anche con riferimento ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria. In particolare, è degno di nota l’orientamento secondo cui la giustificazione obiettiva della suddetta scissione va identificata nel controllo delle sopravvenienze, controllo che può essere ravvisato sotto un duplice profilo. Può, innanzitutto, consistere
nella possibilità per le parti di non determinare tutti i punti del regolamento contrattuale, riservandosi di disciplinarli subordinatamente o in conformità al verificarsi di determinati eventi. In tale ipotesi, accertata preliminarmente l’esistenza della volontà delle parti di vincolarsi ad un regolamento parzialmente incompleto, in assenza della quale si sarebbe nella fase delle trattative, ove nello spazio temporale che va dalla stipulazione del preliminare alla stipulazione del definitivo non si verifichino gli eventi previsti dalle parti, il giudice potrà integrare le pattuizioni applicando le norme suppletive. Ma la funzione di controllo delle sopravvenienze svolta dal preliminare può ravvisarsi anche nella possibilità per le parti di far cadere, a seguito di sopravvenienze medio tempore verificatesi, un regolamento contrattuale tra di loro non ancora effettivamente introdotto. Di fronte alla pretesa di una parte relativa alla caducazione del preliminare, l’altra non potrebbe utilmente invocare il rimedio dell’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto. In primo luogo, infatti, è possibile sostenere che il giudice debba rifiutare la sentenza di cui all’art. 2932 in quanto, a seguito della sopravvenienze verificatesi, è venuta meno la base negoziale sulla quale si era formata la volontà delle parti. In secondo luogo, inoltre, secondo una tesi autorevole che argomenta dal carattere esecutivo del giudizio di cui alla norma citata, il giudice, nel pronunciare la sentenza, ha poteri determinativi analoghi a quelli previsti dall’art. 612 c.p.c. Di conseguenza, così come il giudice dell’esecuzione deve stabilire le modalità di esecuzione degli obblighi di fare di cui al titolo esecutivo, altrettanto il giudice chiamato a pronunciare la sentenza ex art. 2932 potrebbe stabilire il modo in cui, alla luce dei mutamenti di fatto intervenuti, l’obbligo avente ad oggetto il contrahere andrebbe attuato, sul piano, ovviamente, del contenuto dispositivo e nel pieno rispetto dei termini dell’accordo raggiunto tra le parti. Così, ad esempio, la giurisprudenza ha ammesso un ampliamento del regolamento contrattuale basato sull’integrazione di equità di cui all’art. 1374.
L’accoglimento dell’una o dell’altra impostazione in ordine alla funzione
tipica della scissione preliminare-definitivo condiziona la risposta all’ulteriore quesito sulla natura giuridica del definitivo. Il problema nasce dal fatto che il definitivo ha insita in sé una carica di ambiguità in quanto è, al tempo stesso, atto dovuto, in virtù dell’obbligo a stipulare nascente dal preliminare, e atto di autonomia, poiché solo con esso si introduce effettivamente tra le parti il regolamento d’interessi. L’orientamento che ravvisa nella sequenza
preliminare-definitivo la funzione di controllo delle sopravvenienze, attribuisce al definitivo natura negoziale, proprio in quanto le parti, ripetendo con la conclusione del definitivo il giudizio di convenienza del regolamento predisposto, realizzano, almeno in parte, le operazioni psicologiche che tipicamente precedono la stipulazione di un contratto. La difficoltà cui la tesi va incontro è costituita dalla doverosità del definitivo, che varrebbe ad escluderne la natura contrattuale e a renderlo atto esecutivo di una regola negoziale già posta. Tuttavia la difficoltà può essere superata considerando il definitivo non isolatamente, ma assieme al preliminare: con esso vi è un’ulteriore verifica dei presupposti del giudizio di convenienza relativo ad un dato regolamento d’interessi, e quindi un’attività di tipo negoziale. D’altro canto, il definitivo può costituire esatto adempimento del preliminare in tanto in quanto siano presenti in esso i requisiti del valido consenso, poiché è proprio quest’ultimo che le parti si sono promesse con il preliminare.
Con riferimento all’eventuale anticipazione degli effetti del preliminare, si è già detto della rilevanza attribuita a questo fenomeno dalla dottrina che delimita l’ambito di applicazione del preliminare ai contratti ad efficacia reale; si deve ora accennare ai peculiari problemi posti dall’anticipata esecuzione di una o di entrambe le prestazioni in caso di preliminare di compravendita.
Innanzitutto ci si è chiesti se i rimedi contro i vizi e le difformità della cosa promessa in vendita potessero essere concessi al promittente acquirente. A prima vista si dovrebbe dare al quesito risposta negativa, essendo i rimedi posti a tutela di chi ha già acquistato la proprietà. Tuttavia la giurisprudenza ha distinto l’ipotesi in cui le parti hanno anticipato l’esecuzione di una o di entrambe le prestazioni, pagando il prezzo e/o consegnando la cosa. In tal modo si è elaborata la già ricordata categoria del preliminare ad effetti anticipati, ricollegando, all’anticipata esecuzione delle prestazioni, un’anticipata tutela del promittente acquirente anche in punto di rimedi contro i vizi e le difformità. Senonché nell’85, con una decisione storica, le sez.un. hanno negato rilievo alla distinzione, affermando che qualsivoglia preliminare di vendita, con o senza effetti anticipati, dà luogo alla stessa protezione in favore del promittente acquirente. Secondo il ragionamento della Corte, la sentenza ex art. 2932 offre un rimedio contro il rifiuto di contrarre, ma non esaurisce la tutela contro l’inadempimento, che è affidata all’azione risarcitoria ex art. 1218, di cui quella volta alla riduzione del prezzo, in caso di vizi e difformità, costituisce manifestazione. Ora, poiché l’obbligazione del
promittente alienante non si riduce alla prestazione del consenso, ma implica il trasferimento di quel determinato bene nella consistenza e con le caratteristiche fissate nel preliminare, l’offerta da parte del promittente venditore di un bene che presenti difformità o vizi, « viola il sostanziale impegno traslativo dello stesso promittente ed abilita la controparte ad utilizzare tutti i rimedi concessi dalle norme generali in tema di adempimento ». Quindi, sul presupposto che l’azione di riduzione sia riconducibile al rimedio generale del risarcimento per inadempimento, le norme sulla tutela dell’acquirente, inapplicabili in via diretta in quanto il soggetto tutelato non ha ancora acquistato la proprietà del bene, potranno essere applicate in via analogica.
Sempre in tema di preliminare ad effetti anticipati, la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate sulla qualificazione giuridica della situazione soggettiva di cui è titolare il promittente acquirente che sia stato immesso anticipatamente nel godimento dell’immobile. Nel silenzio delle parti, si tratta di vedere se quest’ultimo abbia acquistato il possesso del bene. La dottrina e la giurisprudenza sono sul punto oscillanti. Naturalmente la consegna, atto di per sé neutro, non offre elementi per qualificare giuridicamente la relazione materiale dell’accipiens con l’immobile. Decisivo al riguardo è il titolo che si accompagna alla consegna e che deve avere efficacia reale perché possa configurarsi, in capo all’accipiens, l’esercizio di un potere di fatto a titolo esclusivo, conseguendo ad un titolo ad effetti obbligatori la mera detenzione della cosa.
Al fine di sostenere la presenza di una situazione di possesso, alcuni autori si sono affidati ad una anticipazione della rilevanza del definitivo come titolo, posto che di esso si anticiperebbero gli effetti attraverso, appunto, la consegna anticipata. La finzione, sulla quale si basa la tesi, non sembra necessaria ove si ricostruiscano diversamente i rapporti tra preliminare e definitivo. Infatti, se si riconosce a quest’ultimo la funzione di rendere definitivi gli effetti programmati nel preliminare, già il preliminare potrebbe costituire titolo idoneo a giustificare l’inizio dell’esercizio del possesso da parte del promittente acquirente. La situazione conseguente al preliminare di compravendita sarebbe quindi paragonabile a quella che si ha, secondo un certo orientamento dottrinario, in caso di vendita con riserva della proprietà, laddove l’acquirente, non ancora proprietario, è considerato possessore fin dalla consegna, in virtù dell’idoneità del titolo iniziale a produrre gli effetti giuridici finali. Non basta
però osservare che il preliminare tende a realizzare il trasferimento della proprietà: è titolo solo virtualmente traslativo e dunque, sul presupposto che solo i titoli ad effetti reali fanno conseguire all’accipiens il possesso del bene, inidoneo di per sé a rendere il promittente acquirente possessore della cosa.
Risulta pertanto determinante accertare se il promittente riconosca o meno l’altruità del bene goduto: si è al riguardo affermato che, qualora l’intero prezzo sia stato corrisposto, il promittente acquirente può considerarsi legittimato a godere della cosa ad modum domini. Viceversa, qualora il prezzo non sia stato ancora versato, l’animus rem sibi habendi non sarebbe configurabile, perché il diritto all’acquisto è subordinato a tale adempimento anche in caso di esecuzione forzata (ex art. 2932 capoverso). A conferma di tale ultima affermazione può addursi la circostanza che, qualora le parti prevedano che, nonostante la consegna anticipata, il prezzo venga corrisposto successivamente al trasferimento della proprietà, l’iscrizione di ipoteca legale, conseguente al definitivo, è in grado di garantire il venditore, mentre nella fase preliminare una garanzia ipotizzabile è proprio quella di mantenere in capo al venditore il possesso della cosa. In conclusione, nel caso di preliminare di vendita, affinché possa configurarsi in capo al promittente acquirente una situazione di possesso, sembra necessario, oltre al titolo costituito dal preliminare stesso, l’attuazione del contegno esecutivo finale consistente nel pagamento del prezzo. Solo il verificarsi di tale circostanza, infatti, consente di individuare nel promittente acquirente l’animus rem sibi habendi, e quindi di affermare l’acquisto del possesso da parte di quest’ultimo, in quanto di per sé il titolo, essendo solo virtualmente traslativo, manterrebbe in capo al tradens il potere di fatto sulla cosa, esercitato tramite il terzo detentore.