La stagionalità pluriennale non implica pluralità di contratti di lavoro
PART-TIME VERTICALE E LAVORO STAGIONALE
La stagionalità pluriennale non implica pluralità di contratti di lavoro
di Xxxxxxxx Xxxxxxx
Corte di Cassazione – Sez. lavoro Sentenza 28 ottobre 2009 n. 22823 (Pres. Sciarelli; Cons. Rel. Monaci)
In tema di lavoro stagionale, è valida la pattuizione con la quale le parti dispongono che il rapporto di lavoro stagionale tra loro intercorrente prosegua per vari anni e non si estingua alla fine di ciascuna stagione, essendo qualificabile il relativo rapporto come lavoro subordinato part-time di tipo verticale.
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(Omissis)
FATTO
Il signor X.X. xx convenuto in giudizio la società alfa sostenendo di aver lavorato per questa ultima presso il complesso di piscine e servizi di ristorazione denominato (…) negli anni (…), durante i periodi estivi di apertura degli impianti.
Il ricorrente deduceva la natura subordinata dei rapporti di lavoro, da ritenersi a tempo indeterminato fin dalla prima assunzione, oppure, gradatamente, da quelle successive, e chiedeva che venisse dichiarata appunto l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal giugno 1995, con condanna della società al pagamento di tutte le retribuzioni maturate e delle differenze retributive. Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Roma dichiarava la nullità dei termini apposti ai successivi contratti annuali, e la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, condannava la società a riammettere in servizio il lavoratore a corrispondergli le retribuzioni dall’ottobre 2000, data di offerta delle prestazioni, e fino al ripristino del rapporto, oltre ad una somma a titolo di differenze retributive. Con sentenza n.
5274, in data 24 giugno/10 novembre 2005, la Corte d’Appello di Roma accoglieva in parte l’impugnazione della alfa, e dichiarava che tra le parti si era instaurato un rapporto di lavoro subordinato a partire dal primo giugno 1995 e tuttora in corso, con part-time verticale dal primo giugno a 15 settembre 1995 di ogni anno. Condannava perciò la società a riammettere in servizio l’appellato e a corrispondergli le retribuzioni spettanti, per i mesi sopra indicati, dall’anno 2001 al ripristino del rapporto, oltre interessi e rivalutazione; confermava, infine la somma già riconosciuta in primo grado a titolo di differenze retributive. Avverso la sentenza di appello, notificata il 14 febbraio 2006, la società alfa ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 14 aprile 2006. L’intimato signor X. ha resistito con controricorso notificato, in termine, il 24 maggio 2006. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
DIRITTO
1.1. Nel primo motivo di impugnazione la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222 e segg. x.x., xxx. 000 x.x., x. 0, art. 155 c.p.c., art. 2697 x.x., xxx. 0000 x.x., x. 0, artt. 1362 ss., e 1372 c.c., nonché la carenza di motivazione su di un punto essenziale della controversia. La ricorrente contesta la ricostruzione dei fatti sulla base della quale il giudice del merito ha ritenuto che tra le parti fosse intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e non di semplici contratti di lavoro autonomo.
1.2. Il motivo è infondato, perché le censure proposte si risolvono nella mera riproposizione di questioni di fatto, relative alla ricostruzione dei fatti ed alla valutazione delle prove, che proprio perché tali non possono essere oggetto di un nuovo esame in questa sede di legittimità. In realtà, la ricorrente si limita a contrapporre inammissibilmente le proprie valutazioni a quelle del giudice del merito. Gli elementi
indicati non sono certo significativi: non rileva che sia il contratto di lavoro a tempo subordinato come quello di lavoro autonomo possano essere stipulati anche in forma orale, oltre che in forma scritta. Ugualmente non è rilevante il numero delle ricevute prodotte ed il fatto che si riferissero soltanto ad alcune mensilità. Invece, l’osservanza di un orario di lavoro imposto dalle parti può forse non essere un elemento decisivo, ma costituisce sicuramente un indice significativo nel senso del carattere subordinato del rapporto.
Né sussiste il lamentato difetto di motivazione. Al contrario, la motivazione della sentenza poggia su una precisa ricostruzione e rielaborazione critica degli elementi raccolti, ed in particolare delle risultanze delle prove testimoniali, e non è scalfita dalle generiche contestazioni della ricorrente.
2.1. Nel secondo motivo di impugnazione denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., art. 1325 x.x., x. 0, xxx. 0000 x.x., xxxxx X. n. 230 del 1962, art. 1 e art. 112 c.p.c., e nuovamente la carenza e contraddittorietà della motivazione su punti decisivi della controversia.
Critica la sentenza per avere ritenuto che tra le parti fosse proseguito un rapporto di lavoro nonostante che per ben cinque anni i successivi rapporti di lavoro si fossero estinti per concorde volontà delle parti alla fine di ogni stagione. Secondo la ricorrente non si poteva sostenere che un rapporto di lavoro possa proseguire a tempo indeterminato soltanto per un determinato periodo dell’anno, legato ad esigenze stagionali, dovendosi ritenere, invece, che un rapporto di lavoro stagionale sia destinato a chiudersi entro un periodo di tempo determinato dalla sua stessa causa.
2.2. Il motivo è infondato, e, in ogni caso, parzialmente inammissibile.
Nell’ordinamento italiano tutti i negozi giuridici, anche quelli non specificamente previsti dalla normativa (sia codicistica che speciale), sono ammessi se non specificamente vietati; l’art. 1322 c.c. dispone, infatti, che “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (...). Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. La norma vale non
sono per i contratti in genere, ma anche per quelli di lavoro. Tanto premesso in linea di principio, va rilevato, con riferimento più specifico al caso di specie, che esistono attività economiche che si svolgono soltanto in determinati periodi dell’anno, e che richiedono perciò personale (o un supplemento di personale) solo in questi periodi. La limitazione della prestazione a questi periodi e l’attribuzione al rapporto di una forma di stabilità funzionale alla sua periodica ripetizione risponde così ad esigenze pratiche di entrambe le parti: è interesse dei lavoratori lo svolgimento di un’attività lavorativa in quel determinato periodo dell’anno (oppure almeno in esso), ma è interesse del datore di lavoro poter contare per quel periodo sull’apporto lavorativo di personale già conosciuto e già a conoscenza del lavoro da svolgere.
Queste opposte esigenze appaiono sicuramente meritevoli di tutela, come richiesto dall’art. 1322 c.c., e non vi è perciò ragione per non riconoscere validità ai contratti destinati a soddisfarle. La contrattazione collettiva ha elaborato a questo fine la figura appunto del cosiddetto part-time verticale.
La limitazione temporale in questo caso non fa riferimento, come nel più comune part-time orizzontale, al periodo giornaliero, o settimanale, di svolgimento della prestazione, ma alla sua ripetizione anno per anno in un periodo di tempo determinato (oppure in più periodi determinati).
In sostanza la prestazione part-time si svolge soltanto nel corso di un determinato periodo dell’anno, quello in cui esigenze di carattere economico la rendono necessaria - come appunto nel caso di specie che si riferiva ad attività svolte in un complesso di piscine all’aperto, operative soltanto nella stagione in cui la temperatura è più elevata - ed in questo periodo limitato si svolge a tempo pieno (o addirittura con un sovrappiù di ore straordinarie). Il part-time verticale è perfettamente lecito ed ammissibile non solo quando previsto dalla contrattazione collettiva, ma anche quando concordato dalle parti singole (anche soltanto nel senso di essere imposto dal datore ed accettato dal prestatore).
Una volta che si xxxxxxx, come si deve ammettere, la piena legittimità di questa forma negoziale, la sua ammissibilità deve estendersi necessariamente anche ai rapporti orali, non
formalizzati.
Sul piano della violazione di legge il secondo motivo di impugnazione è dunque infondato.
2.3. In linea di fatto, il giudice del merito ha ritenuto, in base alla propria ricostruzione dei
(Omissis)
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NOTA
fatti, che nel caso di specie, in cui il signor X. svolgeva le proprie prestazioni periodicamente anno per anno nei periodi di apertura degli impianti, ci si trovasse appunto di fronte ad una ipotesi di part-time verticale. La società lo contesta anche in linea di fatto, ma questa censura è inammissibile per le stesse ragioni, già esposte, per cui sono inammissibili quelle contenute nel primo motivo di impugnazione; anche in questo caso la ricorrente ripropone inammissibilmente questioni di fatto non suscettibili di un nuovo esame in questa fase di legittimità. Anche su questo punto, peraltro, la decisione appare correttamente ed adeguatamente motivato. Né appare toccato dalle critiche generiche della alfa. Va escluso, in particolare, che il rapporto a tempo indeterminato sia stato interrotto a causa dello svolgimento di altre attività lavorative, perché queste ultime erano anche esse di carattere stagionale, e - come precisato dalla sentenza a pag. 5 della motivazione - concernevano lavori svolti in periodi ed orari diversi; è connaturato con la struttura del part-time verticale e con le esigenze a cui è destinato ad assolvere che il prestatore sia obbligato a porre a disposizione del datore le proprie energie lavorative nel corso dei periodi, già noti, in cui si svolgerà quella certa attività e sarà necessario il suo apporto. Ciò significa, però, che negli altri periodi dell’anno, in concreto quelli in cui il centro non sarà operativo, il prestatore è libero di dispone altrimenti delle proprie energie, e perciò anche di svolgere una diversa attività lavorativa, che sia a sua volta temporanea, o comunque tale da non interferire con l’adempimento degli obblighi assunti nei confronti del datore di lavoro.
3. In conclusione dunque il ricorso deve essere rigettato perché infondato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 27,00 oltre ad Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 29 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2009
Con la decisione n. 22823 del 28 ottobre 2009 la Corte di Cassazione si pronuncia in materia di contratti di lavoro toccando, nel corso del ragionamento logico giuridico posto a base della decisione, taluni interessanti aspetti contrattualistici generali per poi soffermarsi in modo specifico sulla discutibile funzionalità del contratto di lavoro part-time di tipo verticale, applicato alla stagionalità del lavoro.
I nodi problematici affrontati dalla suddetta sentenza sono invero molteplici. La decisione in oggetto afferisce la richiesta di un lavoratore di vedersi riconoscere la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, relativa retribuzione e conseguente riammissione in servizio per avere espletato - per 5 anni (1995-1999) sempre nel corso del medesimo periodo (1 giugno – 15 settembre) e presso lo stesso datore di lavoro - un’attività prettamente stagionale quale addetto al complesso di piscine in un centro turistico durante l’apertura degli impianti.
La società convenuta alfa, costituitasi in giudizio, oltre a contestare la natura subordinata del rapporto deduceva l’inesistenza di un contratto scritto e rilevava la pluralità di contratti di lavoro (ben 5 uno per ogni anno) estintisi anno per anno per volontà delle parti nonché l’espletamento da parte del ricorrente di altra differente attività lavorativa nel corso dei residui mesi dell’anno.
La Suprema Corte adita con una motivazione che lascia per lo più perplessi
- soprattutto se si pensa ai riverberi nei settori ove per la stagionalità della prestazione si è soliti avvalersi sempre degli stessi dipendenti nel corso degli anni e di semplici contratti a tempo determinato – confermando l’orientamento dei Giudici di primo e secondo grado, ha espresso il principio di diritto secondo cui “in tema di lavoro stagionale, è valida la
pattuizione con la quale le parti dispongono che il rapporto di lavoro stagionale tra loro intercorrente prosegua per vari anni e non si estingua alla fine di ciascuna stagione, essendo qualificabile il relativo rapporto come lavoro subordinato part-time di tipo verticale”.
La paradossalità della statuizione non deriva dalla spiegazione sulla esistenza di un lavoro di tipo subordinato, quanto dalla sussumibilità della prestazione lavorativa all’interno di un unico contratto part-time di tipo verticale.
Orbene sulla linearità della prima parte del percorso giuridico nulla quaestio.
La Corte infatti magistralmente rileva che - in via generale, i rapporti di lavoro esistono anche in mancanza di contratti scritti, potendo essere validi anche se stipulati oralmente - ai fini della prova della sussistenza della stagionalità non interessa, quale sintomo di un contratto stagionale, la produzione di ricevute relative solo a talune mensilità, mentre degno di rilevanza perché indice rilevatore significativo ai fini della riconoscibilità del carattere subordinato del rapporto, anche se non decisivo è l’aver, il ricorrente, osservato nel corso degli anni e mesi di lavoro sempre lo stesso orario di lavoro.
Condivisibile la parte nella quale i Giudici della Suprema Corte riconoscono che secondo la statuizione dell’art. 1322 cod. civ. nel nostro ordinamento giuridico, tutti i negozi, qualora non specificatamente vietati, sono ammessi.
Secondo il principio deducibile dalla sopra esposta norma applicabile anche in ambito lavoristico, risulterebbe essere consentita qualunque tipologia contrattuale purchè teleologicamente diretta al perseguimento degli interessi meritevoli di tutela.
Nel caso di specie la “meritevolezza della tutela” secondo la Consulta deve essere ravvisabile nell’interesse del datore di lavoro e lavoratore a limitare la prestazione ad un determinato periodo dell’anno, a conferire al rapporto una certa forma di stabilità funzionale alla ripetibilità annuale della prestazione.
Ragioni queste sufficienti per poter parlare di contratto part-time di tipo verticale; contratto elaborato dalla contrattazione collettiva e ritenuto dalla Corte, per l’appunto, idoneo, più di qualsiasi altra forma, a soddisfare le esigenze meritevoli di tutela richieste dall’art. 1322 c.c..
Secondo i Giudici di legittimità la esattezza della sua interpretazione dipenderebbe non solo dall’avere individuato nel part-time verticale una forma contrattuale che tenga in debito conto le esigenze di carattere economico che rendono necessaria una prestazione lavorativa limitata ad un dato periodo e che si ripete anno dopo anno, quanto dalla possibilità che il part-time verticale possa essere liberamente concordato dalle parti, nella convinzione che la “piena legittimità di questa forma negoziale, la sua ammissibilità deve estendersi necessariamente anche ai rapporti orali, non formalizzati”.
Risiederebbe proprio in quest’ultimo passaggio la paradossalità della decisione. La Cassazione infatti, almeno ad un primo sguardo, dimostra, con questa decisione, di contravvenire alla normativa in materia di contratto part-time attualmente vigente e a quella esistente al momento dei fatti, l’unica a cui il datore di lavoro avrebbe potuto attenersi negli anni 1995 - 1999.
Il comma 2 dell’art. 5 L. 863/1984 “Misure urgenti a tutela e ad incremento dei livelli occupazionali” così stabiliva: “Il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi per iscritto. In esso devono essere indicate le mansioni e la distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Copia del contratto deve essere inviata entro trenta giorni al competente ispettorato provinciale del lavoro”.
La validità del contratto part-time sarebbe pertanto subordinata alla forma scritta contenente l’indicazione precisa e puntuale delle giornate lavorative, del periodo di lavoro interessato, delle mansioni da espletare.
La necessità della forma scritta sarebbe altresì confermata dalla richiesta di trasmissione del contratto al competente ispettorato provinciale del lavoro.
Si parlerebbe invero, di forma scritta anche nella normativa successiva ai fatti di causa e attualmente in vigore (D. Lgs. 61/2000 “Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES”), sebbene tale indicazione contenuta nell’art. 2 trova un essenziale limite nella statuizione contenuta nell’art. 8 della stessa normativa secondo cui tale forma sarebbe semplicemente richiesta a fini probatori1.
1 Art. 8 D. Lgs. 61/2000: “Nel contratto di lavoro a tempo parziale la forma scritta e' richiesta a fini di prova. Qualora la scrittura risulti mancante, è ammessa la prova per testimoni nei limiti di cui all'articolo 2725 del codice civile. In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su richiesta del lavoratore potrà essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accertata. Resta fermo il diritto alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese antecedentemente alla data suddetta.
2. L'eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto delle indicazioni di cui all'articolo 2, comma 2, non comporta la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale. Qualora l'omissione riguardi la durata della prestazione lavorativa, su richiesta del lavoratore può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale. Qualora invece l'omissione riguardi la sola collocazione temporale dell'orario, il giudice provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni dei contratti collettivi di cui all'articolo 3, comma 7, o, in mancanza, con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonchè delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente la data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione
Nel caso de quo pare che nessuna delle parti invero abbia mai richiamato la normativa del part-time, ma al contrario sembra, dal riferimento alla legislazione contenuta nella sentenza, che parte resistente rivendicasse la pluralità di contratti a tempo determinato, forma contrattuale probabilmente più plausibile e maggiormente utilizzata in similari circostanze, proponendo peraltro, a sostegno della propria tesi difensiva, l’eccezione secondo cui il lavoratore aveva svolto nei residui periodi dell’anno, altra attività lavorativa.
Trattasi pur tuttavia di una deduzione che non incide sulla forma contrattuale in oggetto poiché per la Suprema Corte, anche le ulteriori attività avevano natura stagionale e concernevano prestazioni svolte in periodi e orari differenti pertanto compatibili con la prestazione di addetto alle piscine, in nulla interferenti ma perfettamente in linea con la ratio della previsione contrattuale propria del part- time verticale, concretizzantesi nel mettersi a disposizione solo in un dato arco di tempo prestabilito nel contratto.
Per i Giudici della Consulta “negli altri periodi dell’anno, in concreto quelli in cui il centro non sarà operativo, il prestatore è libero di disporre altrimenti delle proprie energie, e perciò anche di svolgere una diversa attività lavorativa, che sia a sua volta temporanea, o comunque tale da non interferire con l’adempimento degli obblighi assunti nei confronti del datore di lavoro”.
dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa. Nel corso del successivo svolgimento del rapporto, e' fatta salva la possibilità di concordare per iscritto una clausola elastica in ordine alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo parziale, osservandosi le disposizioni di cui all'articolo 3. In luogo del ricorso all'autorità giudiziaria, le controversie di cui al presente comma ed al comma 1 possono essere risolte mediante le procedure di conciliazione ed eventualmente di arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro di cui all'articolo 1, comma 3 (….)”.
Ecco che il prestatore con il contratto part-time di tipo verticale assolta la sua prestazione, anche se superiore nel numero di ore giornaliere o settimanali a quella prevista ex lege, potrà scegliere di svolgere negli altri mesi dell’anno altra attività purchè non interferente nelle giornate e nell’orario di lavoro con quella di addetto alle piscine.
La su esposta deduzione e quella secondo cui sarebbe possibile un contratto part-time in forma orale, potrebbe per certi versi ricollegarsi al principio esplicitato recentemente nella risposta all’interpellanza parlamentare n. 11 promossa il 20 febbraio 2009 dalla Confcommercio, che spiega come non sia necessaria la indicazione della fascia oraria e dei giorni di lavoro previsti.
Premesso che trattasi comunque di un problema affrontato solo nel 2009 mentre i fatti di causa attengono un rapporto di lavoro risalente al lontano 1995, occorre comunque precisare che dall’analisi della risposta è possibile dedurre un indirizzo in toto ripreso e posto a fondamento della sentenza in oggetto.
Stante quanto illustrato dalla Direzione Generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro cui veniva richiesto di esprimersi sulla necessarietà dell’indicazione nei contratti part-time di tipo verticale dei giorni e ore nei quali svolgere la prestazione (in merito a rapporti che si svolgono non tutti i giorni della settimana per otto o più ore di lavoro), può essere interessante il riferimento ad una duplice interpretazione di quanto espressamente previsto dalla normativa, alla ratio dell’istituto nonché al richiamo alla famosa sentenza n. 210 della Corte Costituzionale dell’11 maggio 1992, oggi forse in parte disattesa, che precisava che: “a) se le parti si accordano per un orario giornaliero di lavoro inferiore a quello ordinario, di tale orario giornaliero deve essere determinata la distribuzione e cioè la collocazione nell’arco della giornata; b) se le parti hanno invece convenuto che il lavoro abbia a svolgersi in un numero di giorni alla settimana inferiore a quello normale, la
distribuzione di tali giorni nell’arco della settimana deve essere preventivamente determinata; c) se le parti hanno infine pattuito che la prestazione lavorativa debba occupare solo alcune settimane o alcuni mesi, deve essere preventivamente determinato dal contratto quali (e non solo quante) sono le settimane e i mesi in cui l’impegno lavorativo dovrà essere adempiuto” 2.
All’interpretazione formalistica del part-time verticale cui si è sempre fatto riferimento, secondo cui il contratto deve contenere indicazione precisa delle fasce orarie entro cui la prestazione deve essere eseguita, si oppone quella sistematica che si basa sulle finalità del contratto individuata e specificata finalmente in maniera chiara e puntuale nella risposta alla stessa interpellanza.
La funzione del contratto part-time verticale dovrà ricondursi all’incontro della volontà di due soggetti: il datore che ha interesse ad avvalersi di una prestazione temporalmente limitata solo ad un dato periodo e il lavoratore che si mette a disposizione offrendo la sua prestazione con possibilità di impegnare in altro rapporto il tempo libero.
Il sinallagma contrattuale presuppone una precisa predeterminazione del tempo di lavoro non dovendo il lavoratore offrire la sua disponibilità per un tempo indeterminato tanto da consentirgli di poter preventivare anche lo svolgimento di ulteriori attività nel tempo “libero”.
Logico corollario di quanto appena esposto è il principio secondo cui per l’appunto, nel periodo in cui il prestatore è tenuto a lavorare secondo contratto part- time verticale a tempo pieno non vi sarebbe alcun obbligo di individuare la collocazione temporale delle giornate e orario da osservare.
La Corte nel caso di specie va oltre stabilendo che ci possa addirittura essere un contratto a tempo indeterminato part- time di tipo verticale stipulato oralmente.
Nell’interpellanza si fa altresì riferimento alla adattabilità del su esposto
2 Dal testo dell’interpellanza parlamentare in oggetto.
principio alla normativa precedente e a quella tuttora vigente, autorizzando così in maniera tacita i Giudici della Consulta a decidere in modo sui generis.
Ci si chiede a questo punto quali possano essere nella pratica, le conseguenze legate all’applicabilità di una simile decisione soprattutto in quei rapporti per natura stagionali non disciplinati da contratti scritti, si pensi ad esempio alle prestazioni agricole che in talune zone soprattutto del sud Italia vengono svolte sempre dagli stessi soggetti, negli stessi periodi dell’anno, presso lo stesso datore di lavoro.
Se siffatto indirizzo dovesse essere in futuro confermato si ha ragione di ritenere che i ricorsi di lavoro potrebbero aumentare in maniera esponenziale soprattutto laddove esiste ancora il caporalato e si è soliti fare ricorso a contratti stipulati in forma orale che cessano ad nutum con il solo consenso delle parti tutte le volte in cui la raccolta del prodotto è terminata. Le ripercussioni che l’orientamento potrebbe poi avere nei casi di richiesta, come nel caso di specie, di riammissione in servizio, sarebbero particolarmente pesanti.
Ad avviso dello scrivente almeno per il momento la forma contrattuale più adatta per le esigenze stagionali rimane il contratto di lavoro a tempo determinato seppure con i limiti prescritti dalla L. 368/2001.