ACCORDO DI PARTENARIATO 2014-2020
ACCORDO DI PARTENARIATO 2014-2020
ITALIA
Sezioni 3 e 4
(Conforme all’articolo 14 del Regolamento UE N.1303/2013)
(settembre 2014)
SOMMARIO
3. Approccio integrato allo sviluppo territoriale da realizzare mediante i Fondi SIE 661
3.1 Disposizioni volte a garantire un approccio integrato all’uso del Fondi SIE per lo sviluppo territoriale di singole aree sub regionali, in particolare le modalità di applicazione degli Art. 32, 33 e 36, corredate dei principi per l’individuazione delle Aree Urbane in cui devono essere realizzate le azioni integrate per lo sviluppo urbano sostenibile 664
3.1.1 Principali sfide da affrontare con il CLLD 664
3.1.2 Investimenti Territoriali Integrati 670
3.1.3 Sviluppo Urbano Sostenibile 672
3.1.4 Principali settori prioritari per la cooperazione nell’ambito dei Fondi SIE tenendo conto, se del caso, delle strategie macroregionali e delle strategie relative ai bacini marittimi 688
3.1.5 Un approccio integrato per rispondere ai bisogni specifici delle aree geografiche particolarmente colpite dalla povertà o dei gruppi di destinatari a più alto rischio di discriminazione o esclusione sociale . 689
3.1.6 Approccio integrato volto ad affrontare le sfide demografiche delle Regioni o a rispondere a esigenze specifiche di aree geografiche caratterizzate da gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici di cui all’Art. 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ove appropriato) 690
4. Modalità per garantire l’efficace attuazione dei Fondi SIE 700
4.1 Valutazione dei sistemi esistenti per lo scambio elettronico di dati e sintesi delle azioni pianificate per consentire gradualmente che tutti gli scambi di informazioni tra i beneficiari e le autorità responsabili della gestione e del controllo dei programmi avvengano mediante lo scambio elettronico di dati 700
4.2 Modalità per garantire la trasparenza e la disponibilità pubblica di dati e informazioni su tutti programmi cofinanziati dai Fondi SIE, ai sensi dell’Art. 115 del Regolamento generale 702
ALLEGATI:
Allegato I: Risultati Attesi – Azioni
Allegato II: Elementi salienti della proposta di XX.XX.XX 2014-2020
Allegato III: Tabella di correlazione tra le azioni dell’Accordo di Partenariato e le azioni della Strategia EUSAIR
Allegato IV: Tavole di raccordo tra Priorità di Investimento e Risultati attesi Allegato al Documento di approfondimento Condizionalità ex ante OT11
3. APPROCCIO INTEGRATO ALLO SVILUPPO TERRITORIALE DA REALIZZARE MEDIANTE I FONDI SIE
La dimensione territoriale della programmazione 2014-2020 costituisce la naturale prosecuzione di un percorso ormai quasi ventennale che, a partire dagli anni ‘90, ha attraversato gli ultimi cicli di programmazione comunitaria operando in stretto raccordo con le azioni intraprese dalla politica aggiuntiva nazionale nel medesimo periodo. Tale esperienza ha visto la sperimentazione di numerosi strumenti attuativi place-based che, guidati da obiettivi di sviluppo locale, hanno fatto leva sul coinvolgimento ed il protagonismo delle istituzioni e del partenariato locale e d'area vasta (tra questi: i PRU, i PRUSST; i Xxxxx Xxxxxxxxxxxx, gli UPP, URBAN I, i Progetti Integrati Territoriali del QCS 2000-2006, URBAN II, i Gruppi di Azione Locale del programma LEADER, i progetti urbani e territoriali promossi dalle Regioni nel 2007-2013). Su porzioni limitate del territorio nazionale, poi, numerose altre esperienze e strumenti di sviluppo locale hanno contribuito a costruire presso le amministrazioni regionali e nazionali una capacità di interlocuzione con gli enti locali e di analisi di scenari territoriali prima inesistente. Da tali iniziative sono stati tratti numerosi insegnamenti, da cui discende l'impostazione di metodo e l'articolazione della strategia 2014- 2020. I principali insegnamenti possono riassumersi nei punti che seguono:
• cercare l’integrazione su scala territoriale attraverso un approccio tematico, mirato e circoscritto, basato su reali e concreti obiettivi comuni, evitando la tentazione di costruire piani territoriali omnicomprensivi e dunque generalisti, ovvero tenendo conto, già in fase di programmazione, della fattibilità e operatività degli interventi e anticipando cosi quanto più possibile eventuali problematiche attuative successive;
• far leva sugli enti di governo locale, investendoli pienamente di eventuali ruoli operativi per la sintesi delle istanze di sviluppo economico territoriale promosse dal basso e, dunque, rafforzando e consolidando tali istituzioni elettive, anche agevolando processi di integrazione, razionalizzazione e riforma capaci di promuovere un nuovo modus operandi amministrativo (lavorare per obiettivi da raggiungere, promuovere approcci client oriented, place based e bottom-up) che duri nel tempo;
• superare posizioni teoriche circa il coinvolgimento ed il contributo del partenariato privato, per attribuirgli un ruolo chiaro e delimitato, commisurato alle sue competenze e capacità di rappresentanza, in un quadro di trasformazioni territoriali governato compiutamente dall’ente pubblico;
• sostenere attivamente gli elementi immateriali dell’intervento territoriale, spesso trascurati a vantaggio di opere pubbliche e contenitori, nella convinzione che l’intervento addizionale profonde i suoi effetti positivi sui beneficiari quando attiva le responsabilità ordinarie in materia di erogazione di servizi pubblici per la cittadinanza.
Al di là di questi punti comuni, che costituiscono le disposizione orientative per promuovere l’azione attraverso gli strumenti di integrazione territoriale (quali ad esempio l’ITI), gli interventi della politica di coesione a livello di ciascun territorio sarà ricercata in modo differenziato in funzione delle caratteristiche sociali, ambientali, economiche delle aree bersaglio, specializzando le modalità di intervento integrate e territoriali consentite in funzione dei punti di forza di ciascun milieux e degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Nei paragrafi che seguono, si fissano gli indirizzi e le disposizioni per l’utilizzo delle due principali modalità di intervento previste dal Regolamento generale dei Fondi SIE (ITI e CLLD) e, successivamente, si stabiliscono le coordinate principali delle due direttrici strategiche territoriali della
programmazione 2014-2020 dedicate rispettivamente alle aree urbane ed alle aree interne, soprattutto per chiarirne i contorni e le differenze.
Quanto agli strumenti ITI e CLLD, essi condividono la finalità di promuovere l’integrazione a livello territoriale di tipologie di intervento e di fondi diversi, di cui cercano di far convergere le regole verso il superiore principio di adattamento e rispondenza alle peculiarità locali. Sono entrambi strumenti che consentono di incrociare risorse per l’attuazione di azioni diversificate tutte calibrate su un determinato luogo (“place based”). Si distinguono però per una serie di aspetti, fra cui: i) il diverso ruolo attribuito ai soggetti locali privati nella definizione e gestione delle strategie di intervento; ii) una diversa ammissibilità delle tipologie progettuali concepibili che, con gli ITI, prevede la possibilità di realizzare anche opere e lavori di rilievo; iii) un ruolo diverso dell’ente pubblico e della delega delle operazioni che, nel caso degli ITI, può contemplare anche la regia regionale (al netto delle operazioni nel campo dello sviluppo urbano sostenibile ex art. 7 punto 2 e 4 del Reg. CE 1301/2013). Queste differenze, con il proprio portato di rischi e vantaggi, rappresentano il criterio guida per le amministrazioni nella scelta fra l’uno e l’altro strumento.
Nei casi in cui l’amministrazione, posta di fronte ad un insieme di problemi e/o di opportunità per un determinato ambito territoriale, ritenga di dover cercare all’esterno, l’intelligenza, l’impulso e/o le soluzioni per rispondervi, lo strumento adottato sarà l’approccio locale partecipativo (CLLD). Quando competenze, soluzioni, leadership e capacità gestionali sono individuate nel mondo dei privati, del terzo settore e dell’associazionismo degli attori locali riconosciuti avere una innovatività e maggiori capacità di risposte, l’amministrazione adotterà processi di autodeterminazione (“empowerment”) delle comunità che lo strumento CLLD è in grado di offrire (cfr. sezione 3.1.1). Viceversa, la manovra di intervento integrata potrà essere configurata come un ITI laddove le competenze istituzionali per la gestione delle trasformazioni del territorio non possano essere delegate a soggetti diversi dagli enti di governo locale (i.e. azioni integrate nel campo della pianificazione territoriale e ambientale) o laddove il ruolo dell’ente pubblico sia dirimente per assicurare parità di trattamento, rispetto delle normative (i.e. aiuti di stato, public procurement), sostenibilità e lunga durata delle operazioni. Il ruolo dei privati nell’ITI non è certamente assente e può essere valorizzato nella fase di proposta e disegno dell’intervento, nonché di sorveglianza esterna sull’attuazione. Tuttavia, data l’esperienza pregressa italiana nel campo dello sviluppo integrato territoriale e urbano con fondi nazionali e comunitari, lo strumento dedicato agli Investimenti Territoriali Integrati (ITI) dovrà essere concepito come possibilità operativa per attuare e realizzare azioni integrate, dove i progetti materiali di trasformazione fisica degli insediamenti siano coerenti nell’ambito di un piano normativo di riferimento. L’approccio integrato allo sviluppo territoriale è dunque la base delle politiche di rigenerazione dei luoghi, per lo sviluppo locale autodeterminato e per lo sviluppo sostenibile di lunga durata. L’Agenda urbana nazionale e la Strategia delle aree interne sono, dunque, fra le due principali sfide territoriali, con cui la politica di coesione 2014-2020 intende cimentarsi. Ambedue le tipologie di aree (quelle urbane, cosi come quelle cd. “interne”) si basano per la loro individuazione su fonti informative che riguardano principalmente la demografia territoriale e la disponibilità di servizi (il concetto di polo in rapporto al quale sono individuate le aree interne, così come la nozione di “urbanità” nell’agenda). In ambedue i casi, i criteri per l’individuazione delle aree bersaglio forniti dal centro sono stati recepiti e adattati da parte delle amministrazioni regionali che, in entrambe le politiche, hanno un ruolo centrale nella sfera dell’attuazione, così assicurando la non sovrapposizione delle aree, la tracciabilità delle scelte o la complementarietà delle operazioni attraverso percorsi partenariali e accordi trilaterali.
Nel merito, l'Agenda urbana (cfr. Par. 3.1.3) si fonda su una strategia comune di livello nazionale finalizzata a rafforzare alcune funzioni di servizio che i poli urbani offrono al resto del Paese, ed è volta a risolvere alcune problematiche specifiche delle grandi agglomerazioni attraverso il potenziamento e l'innovazione
nell'offerta di servizi a cittadini e imprese; la strategia per le Aree Interne (cfr. Par. 3.1.6) punta a sollecitare territori periferici e in declino demografico, spesso connotati da vocazione prettamente rurale, verso obiettivi di rilancio socio-economico, anche agendo, simultaneamente, sul rafforzamento e la razionalizzazione della gestione dei servizi collettivi essenziali e di cura del territorio. Entrambe le politiche richiedono un’innovazione di metodo nella filiera attuativa che è parte sostanziale della rispettiva portata trasformatrice.
Tra le innovazioni di metodo, specificate in maggior dettaglio nei paragrafi a seguire, la dimensione territoriale della programmazione 2014-2020 recepisce le proposte di strumenti territoriali integrati (ITI e CLLD), quali modalità attuative adottabili nell’ambito delle strategie territoriali regionali o nell’ambito della cooperazione territoriale, secondo il criterio di fondo sopra espresso e seguendo gli indirizzi enunciati nei paragrafi che seguono.
Tra le focalizzazioni territoriali della politica di coesione ha un ruolo non di poco conto la programmazione operativa per la Cooperazione territoriale di cui al successivo par. 3.1.4, con cui nei molti territori di confine (interregionale e internazionale) si mira a condividere metodi e modelli unitari e innovativi nella gestione ottimale dei servizi e dell'azione pubblica in generale. Inoltre, ha un simile carattere territoriale la politica che, nell’ambito del FEASR, viene programmata attraverso le filiere territoriali (lunghe e corte) in quanto si attua in luoghi definiti, nei quali vengono messi in piedi e attuati progetti integrati a carattere settoriale (filiere).
3.1 DISPOSIZIONI VOLTE A GARANTIRE UN APPROCCIO INTEGRATO ALL’USO DEL FONDI SIE PER LO SVILUPPO TERRITORIALE DI SINGOLE AREE SUB REGIONALI, IN PARTICOLARE LE MODALITÀ DI APPLICAZIONE DEGLI ART. 32, 33 E 36, CORREDATE DEI PRINCIPI PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE AREE URBANE IN CUI DEVONO ESSERE REALIZZATE LE
AZIONI INTEGRATE PER LO SVILUPPO URBANO SOSTENIBILE
3.1.1 PRINCIPALI SFIDE DA AFFRONTARE CON IL CLLD
Il Community-led local development (CLLD) è uno strumento normato dai Regolamenti comunitari per perseguire finalità di sviluppo locale integrato su scala sub-regionale con il contributo prioritario delle forze locali. IL CLLD si basa sulla progettazione e gestione degli interventi per lo sviluppo da parte di attori locali che si associano in una partnership di natura mista (pubblico-privata) e affidano un ruolo operativo (gestionale e amministrativo) al Gruppo di Azione Locale. Quest’ultimo è chiamato ad elaborare un Piano di Azione Locale per tradurre gli obiettivi in azioni concrete, dotandosi di una struttura tecnica in grado di svolgere tali compiti. Pertanto, a tutte le iniziative che perseguono finalità di sviluppo locale di tipo partecipativo e si ispirano allo stesso metodo, è richiesto di adottare questa denominazione e questo strumento.
Nell’attuazione di strategie di sviluppo locale bottom-up, l’Italia ha accumulato un ricco e diversificato patrimonio di esperienze, susseguitesi a partire dagli anni ‘90 con denominazioni ed in contesti diversi, che vanno messe a frutto anche attraverso la valorizzazione di capacità ed energie già esistenti sul territorio. Nel futuro, le sfide che il CLLD dovrà affrontare sono strettamente legate al contributo che tale strumento potrà concretamente fornire al miglioramento delle politiche di sviluppo, pertanto tutti gli strumenti di tipo partecipativo dovranno essere disegnati a partire da esso. Queste sfide possono essere declinate nel seguente modo:
- migliorare il disegno e l’implementazione delle politiche a favore di specifiche aree, attraverso un maggiore focus territoriale su tali aree in modo da accrescerne l’efficacia;
- promuovere una maggiore qualità della progettazione locale;
- promuovere con flessibilità e su un terreno concreto il coordinamento tra le politiche, con una logica ispirata alla semplificazione sia degli strumenti di governance, sia delle procedure per accedere ai finanziamenti comunitari.
In passato, questi risultati sono stati perseguiti fra numerose difficoltà, con effetti diseguali, ma comunque rilevanti in alcuni territori. In altri casi, sono stati mancati in tutto o in parte per la novità del compito e la prevalenza di logiche amministrative poco compatibili, nonché per l’incapacità di promuovere approcci innovativi da parte delle strutture nazionali o regionali. Il potere disciplinante di una visione condivisa fra i diversi livelli di governo, espressa nelle regole proprie dello strumento CLLD, unitamente alla consapevolezza frutto dell’esperienza del passato, possono consentire nel periodo 2014-2020 di affrontare queste sfide con maggior successo.
Gli obiettivi e le priorità
Lo strumento del CLLD si distingue per la capacità di arruolare forze e competenze del settore privato, in partenariato con gli enti locali, al perseguimento agli obiettivi di sviluppo territoriale. Per questo, gli obiettivi che ciascun piano di azione CLLD perseguirà, saranno finalizzati a precisi ambiti tematici in cui i
partner coinvolti dispongano di competenze ed esperienze specifiche. Al fine di rafforzare la concentrazione finanziaria e orientare le esperienze maturate in tema di progettazione locale su obiettivi realistici e suscettibili di reale impatto locale, gli ambiti tematici su cui puntare devono essere più specifici di quelli utilizzati in passato.
I Piani di Azione1 dovranno concentrarsi su un numero esiguo di ambiti di intervento, non superiore a tre, su cui impostare la progettazione locale 2014-2020. I GAL2 sceglieranno gli ambiti tematici di intervento per i rispettivi piani di azione da una lista definita all’interno dei Programmi regionali con un livello di ampiezza adeguato allo scopo di stimolare e non restringere le possibilità di azione dei GAL. Gli ambiti di intervento scelti dai GAL dovranno essere coerenti con i fabbisogni emergenti e le opportunità individuate per i propri territori, nonché con le competenze e le esperienze maturate dai soggetti facenti parte del GAL, per rafforzare la qualità della progettazione e dell’attuazione degli interventi. All’interno degli ambiti tematici, spetterà ai GAL scegliere le azioni/misure da attivare in funzione dei risultati attesi individuati nel Piano d’Azione. I Programmi Operativi dovranno quindi consentire tutta la flessibilità necessaria ai GAL, secondo lo spirito del regolamento, per la definizione delle azioni coerenti con gli ambiti tematici selezionati, senza limitare la scelta delle misure e sotto-misure ad un menu pre-ordinato dai Programmi. Nel caso in cui il Piano di Azione includa più di un ambito tematico su cui costruire la strategia locale, questi devono essere connessi tra loro per il raggiungimento dei risultati attesi e non essere concepiti come una mera sommatoria di ambiti tematici. Il Piano di Xxxxxx dovrà dunque dimostrare le connessioni e le sinergie tra gli ambiti tematici.
La concentrazione su risultati ben specificati non implica l’elaborazione di una strategia mono-tematica, quanto piuttosto di una strategia che ricerchi e valorizzi i legami tra gli interventi proposti (es. turismo-beni culturali-prodotti tipici). Tale strategia deve avere carattere innovativo (di processo e di prodotto), puntare alla creazione di occupazione in ambito locale e alla valorizzazione di risorse locali, incentivando attività produttive sostenibili sotto il profilo ambientale ed economico-sociale e servizi per la popolazione e l’inclusione sociale.
La lista degli ambiti tematici di intervento, integrabile dai Programmi Operativi Regionali all’atto del suo recepimento, comprende i seguenti:
- sviluppo e innovazione delle filiere e dei sistemi produttivi locali (agro-alimentari, artigianali e manifatturieri, produzioni ittiche);
- sviluppo della filiera dell’ energia rinnovabile (produzione e risparmio energia);
- turismo sostenibile;
- cura e tutela del paesaggio, dell’uso del suolo e della biodiversità (animale e vegetale);
- valorizzazione e gestione delle risorse ambientali e naturali;
- valorizzazione di beni culturali e patrimonio artistico legato al territorio;
- accesso ai servizi pubblici essenziali;
1 L’art. 29 del regolamento comune stabilisce che ogni strategia di sviluppo locale debba articolarsi nei seguenti punti: a) la definizione dell’area e della popolazione interessata; b) una analisi dei bisogni e delle potenzialità dell’area; c) una descrizione della strategia e degli obiettivi; d) la descrizione del coinvolgimento della comunità locale; e) un piano di azione che dimostri come gli obiettivi si traducano in azioni concrete; f) i meccanismi di gestione, monitoraggio e valutazione del piano di azione; g) il piano finanziario, con l’allocazione di ciascun Fondo.
2 Il riferimento ai GAL presente nel documento include naturalmente anche i gruppi di azione costiera (GAC) previsti dal fondo FEAMP.
- inclusione sociale di specifici gruppi svantaggiati e/o marginali;
- legalità e promozione sociale nelle aree ad alta esclusione sociale ;
- riqualificazione urbana con la creazione di servizi e spazi inclusivi per la comunità;
- reti e comunità intelligenti;
- diversificazione economica e sociale connessa ai mutamenti nel settore della pesca
Occorre evitare, nella definizione di ulteriori tematismi, di identificare tipologie di misure o azioni dettagliate, che vincolerebbero la strategia dei Piani di Azione. Vi sono azioni e misure di natura trasversale rispetto agli ambiti tematici sopra menzionati, quali, ad esempio, la formazione del capitale umano, il trasferimento tecnologico, la diffusione delle ICT e così via, che possono rivelarsi funzionali al raggiungimento dei risultati negli ambiti di cui sopra e, come tali, dovrebbero essere inclusi, laddove necessario, nel Piano di Azione. Non appare, quindi, opportuno inserire tali interventi tra gli ambiti tematici su cui concentrare l’intero Piano di Azione.
Per una definizione del ruolo del CLLD nell’ambito degli interventi previsti per la aree interne, si rinvia alla sezione 1.5.4.
I Fondi coinvolti nel finanziamento del CLLD
Nel finanziamento di progetti CLLD in ciascuna regione potranno essere interessati più Fondi, sia pure in modo diverso, in funzione dei territori interessati e degli ambiti tematici di intervento prescelti. L’approccio multi-fondo è da ritenersi preferibile per assicurare una maggiore apertura ed efficacia dei Piani di Azione.
Per assicurare l’utilizzo dello strumento CLLD in forma coerente con le sue potenzialità, occorre che i Programmi regionali allochino una dotazione minima di risorse finanziarie comunitarie e nazionali a beneficio del CLLD. Per il FEASR, il regolamento sullo sviluppo rurale impone una riserva minima di allocazione finanziaria del 5 per cento di ciascun PSR. Per gli altri fondi (FESR e FSE), qualora le Regioni decidano di utilizzarli con modalità attuativa community-led, dovrà essere assicurata una adeguata dotazione di risorse finanziarie, indicativamente comparabile a quella che il Programma di Sviluppo Rurale deve destinare al CLLD all’interno della regione. Il FEAMP determinerà l’ammontare delle risorse che contribuiranno agli interventi community-led a seguito dell’emanazione del relativo Regolamento. Per stimolare la capacità progettuale e realizzativa dei GAL, potrà essere opportuno prevedere la creazione di una riserva finanziaria da assegnare in base al raggiungimento di target prefissati, con criteri e meccanismi definiti nei programmi regionali.
I MECCANISMI DI COORDINAMENTO
L’impiego di più fondi strutturali (approccio multifondo) richiede la necessaria messa a punto di efficaci meccanismi di coordinamento a livello nazionale e regionale.
In ciascuna Regione, sarà necessario creare un Comitato tecnico regionale per l’attuazione dell’intervento community-led al fine di guidare il processo di individuazione dei temi di intervento e la selezione dei GAL sulla base dei piani d’azione proposti e delle caratteristiche del partenariato. Ne faranno parte le Autorità di
Gestione di tutti i Programmi coinvolti (una per ciascun Fondo) ed esperti di sviluppo locale, con il compito di seguire l’attuazione degli interventi CLLD in tutte le loro fasi, nonché di garantire il collegamento con la più ampia politica territoriale della Regione inclusiva della Strategia per le aree interne e dell’Agenda urbana. Detto Comitato si occuperà di definire i risultati attesi e gli obiettivi dell’intervento community-led, le priorità territoriali e tematiche che lo guidano, rendendoli operativi attraverso opportuni criteri di selezione di Piani di Azione e GAL. Per queste ragioni, tale Comitato regionale per l’attuazione (multifondo) dovrà contemplare la presenza di adeguate competenze tecniche per Fondo e potrà includere altre amministrazioni che la Regione eventualmente consideri rilevanti o competenti in relazione agli interventi da attivare. Nello specifico, il Comitato tecnico regionale avrà il compito di:
- individuare le risorse dei vari Fondi da impegnare in ciascun processo di selezione
- definire i criteri di selezione dei Piani di Azione e dei GAL
- valutare i Piani e formulare il parere e le graduatorie alle AdG dei programmi;
- armonizzare i tempi nel funzionamento dei diversi Fondi;
- monitorare le operazioni (finanziario e procedurale);
- definire le modalità/procedure di modifica/emendamento dei Piani di Azione.
La predisposizione e la pubblicazione dei bandi per la selezione dei Piani e dei GAL, l’approvazione della graduatoria, i flussi finanziari e di controllo saranno curati dalle Autorità di Gestione dei Programmi regionali, che dovranno lavorare in modo coordinato, nell’ambito del Comitato di cui sopra, per evitare discrasie temporali. I GAL potranno presentare proposte di Piano mono-fondo o multi-fondo. Nel caso di Piani di Azione finanziati da più fondi, il fondo prevalente in termini di dotazioni finanziarie assumerà il ruolo di fondo capofila (lead) ai fini degli adempimenti previsti dai regolamenti comunitari.
A livello nazionale, la sfida dell’approccio pluri-fondo impone un’assunzione di responsabilità anche per le amministrazioni nazionali capofila di Fondo. A tal fine, appare necessaria la creazione di un Comitato di Pilotaggio nazionale che, con competenze di indirizzo generale e trasversale, rispecchi la composizione dei Comitati regionali e:
- affronti problematiche di carattere tecnico, amministrativo, giuridico e finanziario comuni attinenti la selezione, il controllo e l’eleggibilità delle spese;
- individui iniziative comuni di supporto ai Comitati regionali di attuazione, per migliorare la qualità del coordinamento e la velocità della attuazione del CLLD (su temi quali ad es. la gestione dei flussi finanziari, ecc);
- imposti e conduca attività di monitoraggio e valutazione coerenti con il quadro di riferimento comunitario;
- diffonda al pubblico informazioni sistematiche sullo stato di attuazione e sugli effetti del CLLD.
Per ciò che riguarda la cooperazione interterritoriale e transnazionale in particolare, al fine di evitare che si creino discrasie tra Programmi e ritardi ingiustificati nell’attuazione, verrà stabilito a livello nazionale un sistema di regole e procedure amministrative comuni per la selezione dei progetti di cooperazione e una lista di spese ammissibili.
Il Comitato nazionale dovrà includere anche una rappresentanza delle Regioni.
I TERRITORI INTERESSATI
I territori nei quali applicare il CLLD potranno essere molteplici: rurali, urbani e riconducibili alla pesca3. La loro individuazione dovrà essere effettuata dai Programmi regionali, in modo coordinato dai diversi Fondi, allo scopo di evitare che sullo stesso territorio si sovrappongano due o più GAL e che si duplichino strutture e costi amministrativi. Ciò non esclude la partecipazione di un Gruppo selezionato alla costruzione di un eventuale partenariato costituito tra GAL europei, nell’ambito di programmi di cooperazione transfrontaliera (art. 10 Reg. 1299/13).
La popolazione del territorio interessato alla strategia del CLLD non può essere inferiore ai 10 mila abitanti, né superiore ai 150 mila. Alcune aree rurali di tipo C e D, tuttavia, presentano caratteristiche di densità di popolazione tali da far sì che il valore di 150 mila abitanti possa essere limitante. Pertanto, i Programmi possono ammettere una deroga, in casi delimitati, al limite superiore e comunque fino a un massimo di 200 mila abitanti, in presenza di:
a) territori ad alta densità di popolazione (superiore a 150 abitanti/kmq);
b) territori che superano i 150 mila abitanti inclusivi di aree omogenee dal punto di vista socio- economico, ovvero che richiedono l’inclusione di territori contermini per una più efficace specificazione delle strategie di sviluppo locale attuate con l’intervento dei Fondi.
Nelle aree rurali - con priorità per le aree C e D della classificazione delle aree 2014-2020 e per limitate aree della programmazione precedente4 - il Fondo capofila (lead) dei Piani di Azione sarà in genere il FEASR, in particolar modo laddove le aree tematiche di intervento siano quelle di responsabilità primaria del Fondo medesimo. Le aree costiere e della pesca sono quelle considerate eleggibili dal Programma nazionale FEAMP. In queste aree, il ruolo di Fondo capofila sarà assunto dal FEAMP o anche dal FEASR se si adotterà un approccio pluri-fondo. In caso di sovrapposizione tra area costiera e area del GAL è opportuno che sia il GAL a a coordinare e gestire gli interventi FEAMP, per evitare di duplicare le strutture organizzative.
In alcuni casi, si potranno prevedere progetti di cooperazione inter-territoriale, ad esempio, tra GAL “rurali”, GAL “urbani” e Gruppi di Azione Costiera (GAC) per sviluppare iniziative e interventi comuni che colleghino aree diverse per raggiungere risultati concreti.
Nell’ambito dei programmi cooperazione transfrontaliera Italia-Austria, è previsto l’utilizzo dello strumento CLLD in quattro aree sub-regionali: Terra Raetica, Wipptal, Dolomiti, Carinzia/Friuli. In una di queste aree sub-regionali, segnatamente l’area delle Dolomiti con popolazione superiore a 150 mila abitanti, è prevista la deroga giustificata.
3 Intendendo con questo termine le aree marine costiere, lagunari, lacustri e fluviali.
4 Vale a dire, oltre alle aree rurali C e D, le aree protette e ad alto valore naturale, alcune aree rurali intensive e specializzate (aree B) interessate dalla programmazione leader 2007-2013.
Il ruolo dei Gruppi di Azione Locale ed i criteri di selezione per GAL e Piano di Azione
Il ruolo previsto per i GAL includerà almeno i compiti stabiliti dal Regolamento comune (art. 34.3)5, che a sua volta ciascun Programma dovrà assumere come dimensione minima in riferimento alle funzioni da assicurare ai GAL stessi. Partendo da queste funzioni minime, le Autorità di Gestione potranno eventualmente delegare altre funzioni, ove opportuno.
La realizzazione di progetti secondo le modalità del CLLD impone che ai GAL venga assicurata una dotazione adeguata di risorse finanziarie e che gli interventi siano caratterizzati da una certa «massa critica», pur senza raggiungere livelli di complessità attuativa e gestionale eccessivi. Per tale motivo, è necessario che la dotazione finanziaria pubblica complessiva (comunitaria e nazionale) messa a disposizione di ciascun GAL e Piano di Azione sia delimitata da una soglia minima ed una massima. Queste soglie sono fissate a livelli diversi in relazione al Fondo che svolge ruolo di capofila per l’attuazione di ciascun progetto, indipendentemente dal fatto che le risorse finanziarie ad esso attribuite provengano da un unico o più Fondi Strutturali.
Fondo interessato | Soglia minima (€) | Soglia massima (€) |
FEASR | 3 milioni | 12 milioni |
FESR/FSE | 1 milione | 5 milioni |
FEAMP | 1 milione | 5 milioni |
L’introduzione di una soglia minima per i Piani si giustifica principalmente con riferimento alla passata esperienza e alle realtà più consolidate, allo scopo di evitare proposte di intervento finanziariamente irrilevanti sotto il profilo dell’impatto territoriale. Inoltre, occorre considerare che la gestione di un Piano locale e le relative attività di informazione e animazione territoriale impongono un impiego di risorse umane adeguate alla realizzazione di una strategia efficace. L’esigenza di una soglia massima si associa alla focalizzazione tematica dei piani di intervento, che non costituiscono sottoprogrammi generalisti, e all’eventualità che, in alcuni contesti, nuovi soggetti territoriali poco esperti nella gestione diretta di risorse comunitarie possano essere chiamati a guidare Gruppi di azione locale in virtù delle loro competenze in alcuni ambiti tematici. La soglia massima può essere elevata, in casi debitamente giustificati, di un margine di flessibilità del 20 per cento. Nella definizione della soglia massima non vanno inclusi i progetti di cooperazione interterritoriale e transnazionale, nonché eventuali risorse aggiuntive allocate ai GAL nel corso della programmazione (es. riserva di performance).
Tra i criteri previsti per la selezione di GAL, da definire in modo coordinato a cura dei Programmi regionali, vanno inclusi, oltre alla qualità della proposta progettuale contenuta nel Piano di Azione, la sua
5 Tali compiti sono:
a) costruire la capacità degli attori locali a definire e implementare le operazioni;
b) predisporre procedure e criteri di selezione non discriminatori e trasparenti;
c) assicurare la coerenza con la strategia di sviluppo locale nella selezione delle operazioni, dando priorità a quelle che raggiungono obiettivi e
target della strategia;
d) preparazione e pubblicazione dei bandi o delle procedure per la presentazione di progetti, includendo la definizione dei criteri di selezione;
e) raccolta delle domande di finanziamento e loro valutazione;
f) selezione delle operazioni e decisione sull’ammontare di finanziamento e, laddove rilevante, presentazione delle proposte (di operazioni da finanziare) all’autorità responsabile per una verifica finale dell’eleggibilità prima dell’approvazione;
g) monitoraggio dell’attuazione della strategia di sviluppo locale e delle operazioni finanziate, svolgimento di attività specifiche di valutazione della strategia di sviluppo locale (coerenti con i sistemi di monitoraggio e valutazione dei programmi).
focalizzazione tematica, l’integrazione tra i tematismi prescelti, la coerenza fra l’esperienza e le competenze dei partner associati al GAL e l’ambito di intervento proposto, la capacità amministrativa della struttura tecnica, la previsione di meccanismi attuativi degli interventi che siano capaci di evitare conflitti di interessi e di assicurare efficacia rispetto agli obiettivi del piano locale, la chiara identificazione di risultati realisticamente conseguibili e misurabili.
IL SUPPORTO AL CLLD
Il supporto al CLLD dovrebbe perseguire tre diversi obiettivi:
1) sostegno alla qualità della strategia locale con particolare riguardo alla sua focalizzazione tematica di tipo non generalista e all’individuazione di indicatori di risultato che siano ad un tempo realistici e stringenti;
2) condivisione del metodo e dell’approccio community-led all’interno della filiera di attuazione, attraverso interventi di affiancamento e di formazione rivolti particolarmente ai soggetti che andranno ad utilizzare il CLLD per la prima volta e che per questo presentano un fabbisogno più elevato;
3) efficiente ed efficace funzionamento dei Comitati tecnici regionali nelle diverse fasi di programmazione, selezione e finanziamento dei Piani Locali, finalizzato ad agevolare e snellire la governance e l’attuazione degli interventi, come già sottolineato..
Tale supporto, nelle sue diverse forme, si attua con risorse nazionali eventualmente coordinate con risorse regionali e una struttura tecnica adeguata alle diverse esigenze. Le risorse nazionali potrebbero essere assicurate da programmi di assistenza tecnica nazionali che coprano, tra l’altro, anche le esigenze di supporto dei CLLD.
3.1.2 INVESTIMENTI TERRITORIALI INTEGRATI
L’ITI è uno strumento di programmazione cui le Amministrazioni titolari di programmi potranno ricorrere ogni volta che intendono affrontare esplicitamente le esigenze di uno specifico territorio, facendo leva sull’integrazione di interventi di tipo differente e utilizzando combinazioni di assi prioritari di uno o più Programmi.
In coerenza con l’impronta generale che è stata data per il presente ciclo di programmazione riguardo al complessivo approccio integrato territoriale, nell’applicazione dell’ITI si vuole dare maggiore concretezza rispetto alle passate esperienze, a partire dagli strumenti di pianificazione ordinaria e straordinaria in essere e/o da Accordi di Programma concreti. Si eviterà cosi di ripercorrere lunghi e complessi processi di definizione strategica delle trasformazioni territoriali che non riescono a incidere sulla realtà in termini di progetti realizzati.
L’ITI è lo strumento suggerito per intervenire su un perimetro territoriale definito in funzione di specifici obiettivi da raggiungere, che si tratti della valorizzazione di uno o più attrattori culturali individuati, di una strategia d’area costruita tra gli attori esistenti lungo le rive di un fiume, per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, o per migliorare le relazioni di una città di media dimensione con le aree peri-urbane
che la circondano. L’ITI infatti permette di integrare priorità appartenenti a obiettivi strategici di diversa natura, in particolare offrendo la possibilità di fare leva anche su fondi differenti e di incrociare le potenzialità di più di un Programma. Le Autorità di Gestione si impegnano a predisporre tutti i dispositivi necessari a monitorare i progressi finanziari e procedurali delle singole azioni sottese nell’ambito di uno stesso strumento ITI e di restituirne il quadro dei progressi (anche fisici, oltre che finanziari) nelle sedi appropriate (Rapporti Annuali, Comitato di Sorveglianza, Tavoli con i cittadini). Analogamente, è altresì necessario fornire una panoramica dei territori interessati e dei Fondi che vi intervengono.
In qualità di strumento soprattutto di programmazione territoriale, l’ITI non prevede necessariamente anche la definizione di una delega di attuazione, ma lascia tale decisione alla discrezionalità dei titolari dei Programmi. Non si esclude, peraltro, che l’ITI possa estendersi fino al caso limite di maturazione tale che, Ente attuatore – e delegato – possano anche essere Enti intermedi (Comuni, Associazioni di Comuni, altri) nell’ottica della delega a soggetti più vicini al territorio. Nel caso in cui un ITI sia attuato nel contesto delle strategie di sviluppo urbano, le Autorità urbane saranno comunque responsabili almeno dei compiti relativi alla selezione delle operazioni (ex art. 7 del Reg. CE 1301/2013).
Qualora i compiti di gestione e attuazione siano delegati, si dovranno verificare preventivamente le rispettive capacità amministrative e i dispositivi posti in essere per una buona ed efficace gestione finanziaria. Analogamente, i titolari del Programma, o dei Programmi, a cui uno stesso ITI afferisce, dovranno assicurare una gestione coordinata, dispositivi adeguati e una capacità di risposta chiara e tempestiva che favorisca l’armonizzazione delle procedure per la corretta e celere attuazione da parte del delegato. Accordi su cronoprogrammi e dispositivi gestionali dovranno quindi essere concordati con l’assunzione di un impegno esplicito fra le parti.
Senza precludere la possibilità di un utilizzo più esteso di questo strumento - che potrà essere utilizzato pgni volta che una Regione intenda dare enfasi ad una “priorità programmatica territoriale” per rispondere ad un bisogno o per valorizzare le opportunità di una determinata area sub-regionale, l’ITI risulta particolarmente indicato, benché non esclusivamente, quale modalità per la programmazione integrata collegata con l’applicazione della Strategia nazionale in favore delle Aree Interne.
Questa strategia infatti:
1) si concentra su aree con caratteristiche specifiche (lontane dai servizi di base e con perdita demografica acuta), persegue un approccio integrato con obiettivi strategici specifici legati alle esigenze e le opportunità di tali territori;
2) ha come controparte vicina al territorio Associazioni di Comuni che abbracciano un percorso strategico e progettuale di medio termine, affiancato da un impegno a mettere in comune la gestione di determinati servizi;
3) prevede la partecipazione dei diversi Fondi strutturali al finanziamento del Progetto d’Area attuativo della corrispondente strategia individuata;
4) combina caratteristiche top down (pianificazione partecipata) a caratteristiche bottom up (progetti locali partecipati attuati sulle aree individuate).
Tavola 21
Non applicabile
3.1.3 SVILUPPO URBANO SOSTENIBILE
Le Città occupano un posto centrale nell’agenda europea di sviluppo sostenibile e coesione sociale. Questa priorità strategica territoriale, sostenuta dal Parlamento Europeo, dal Comitato delle Regioni e dalla Commissione europea, che incrocia molti degli ambiti di intervento di Europa 2020 – dall’inclusione sociale alla crescita sostenibile − ha trovato una traduzione operativa nella proposta di Regolamenti per le politiche di coesione 2014-2020.
L’identificazione delle aree urbane come scala di intervento cruciali per lo sviluppo regionale costituisce l’esito di un lungo percorso di elaborazione politica e culturale e di sperimentazione progettuale avvenuto sia a livello comunitario che nazionale.
I riferimenti essenziali per l’impostazione dell’Agenda urbana a livello nazionale sono stati i documenti di orientamento che costituiscono l’acquis urbain communitaire6 .
Tra le sperimentazioni progettuali in campo urbano, i riferimenti più significativi appaiono i Progetti pilota urbani (1989-1994), l’iniziativa comunitaria URBAN I e II (1994-2006), le reti tra le città promosse da URBACT, fino alla pluralità di programmi locali su tematiche urbane condotti nel novero della programmazione dei Fondi strutturali.
Documenti politici e sperimentazioni progettuali sono stati motivati dal riconoscimento di alcune caratteristiche peculiari del modello di sviluppo urbano europeo, tra i quali si annovera: i) la concentrazione nelle città di quote significative della popolazione (circa il 70 per cento del totale) e del sistema produttivo (circa i due terzi del PIL è generato in ambito urbano); ii) la ricchezza e varietà delle configurazioni urbane presenti in Europa, le quali si manifestano nella forma di grandi agglomerazioni metropolitane e come reticolo di città medie fortemente integrate sul piano demografico, economico e funzionale; iii) il permanere nelle aree urbane di alcuni rilevanti squilibri sul piano socio-economico e ambientale, quali la presenza di forme di disagio abitativo, esclusione sociale, difficoltà di accesso ai servizi in grado di incidere sul welfare e la qualità della vita; iv) le sempre maggiori forme di congestione ed inquinamento che producono crescenti pressioni sul capitale naturale.
In Italia – come in Europa – le aree urbane sono i contesti in cui convivono in maniera più esplicita che altrove risorse e criticità, asset rilevanti e nodi irrisolti per lo sviluppo regionale. Tale condizione ha rafforzato nel tempo l’esigenza di adottare un approccio fondato su un più efficace coordinamento di strategie, obiettivi e politiche alle diverse scale di intervento: da un lato, identificando le città come ambiti di applicazione preferenziale per un approccio integrato alla programmazione in cui gli aspetti spaziali, settoriali e temporali dell’azione progettuale siano fortemente coordinati anche attraverso il coinvolgimento degli stakeholders locali (in altre parole, riconoscendo come il montaggio di interventi differenziati, di tipo materiale e immateriale, e il valore aggiunto che da essi può generarsi, se inseriti in una strategia globale e condivisa, costituisca l’unico antidoto per fronteggiare problematiche complesse e talvolta conflittuali quali quelle che si riscontrano all’interno delle città); dall’altro, orientando ulteriormente verso le città il focus politico e finanziario delle politiche di coesione regionale.
6 Fra questi si cita: “La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo” (1997); “Quadro d’azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell’Unione europea” (1998); “La politica di coesione e la città” (2006); la “Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili” (2007); la “Dichiarazione di Marsiglia” (2008) la “Dichiarazione di Toledo” (2010); il report “Cities of Tomorrow. Challenges, visions and ways forward” (2011) e le dichiarazioni finali del Forum “Cities of Tomorrow: Investing in Europe” (2014)
Questa impostazione è influenzata dal perseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 che attribuisce alle politiche urbane ulteriori ed ambiziosi compiti rispetto a quelli già praticati nei precedenti cicli di programmazione, quali il contrasto agli effetti sociali della crisi economica, il supporto ad azioni più efficaci in tema di cambiamento climatico, l’accompagnamento a processi di riforma e riorganizzazione istituzionale. Ciò comporta il rinnovamento dell’approccio place-based che ha già caratterizzato alcune generazioni di politiche urbane alla luce di alcune rinnovate domande di cambiamento, attraverso un ulteriore rafforzamento dell’approccio integrato in settori di intervento fortemente trasversali, quali il capitale umano, l’innovazione sociale, l’innovazione tecnologica, le politiche energetiche.
In Italia, le tematiche e gli indirizzi che connotano la nuova Agenda urbana europea si declinano in relazione alla presenza di alcuni elementi caratterizzanti il modello di sviluppo territoriale del paese:
- il modello del «vivere urbano» è quello tendenziale per la maggioranza della popolazione e genera costantemente nuove istanze per qualità della vita, organizzazione sociale e gestione sostenibile delle risorse di queste collettività;
- le città sono il luogo collettivo principale della diversificazione dei percorsi di intere comunità in cui spesso gli effetti di un rapido sviluppo economico convivono con situazioni di emarginazione e disagio;
- il sistema produttivo si concentra sembre su segmenti di attività che trovano nelle città un momento di produzione e di indirizzo strategico dell’attività economica.
Di fronte a tali fabbisogni e sfide, la legge di riforma costituzionale e amministrativa che prevede la costituzione delle Città metropolitane7 e, più in generale, la modifica delle Province, assegna un ruolo sempre più importante ai Comuni e alle loro Unioni nel governo di problemi e territori molto più ampi di quelli delimitati dai confini amministrativi abituali. Tuttavia, i vincoli di finanza pubblica e la riduzione dei trasferimenti – in un contesto di riforme incompiute su fiscalità locale, decentramento e riorganizzazione degli enti locali – impediscono non solo di dare piena valorizzazione agli investimenti avviati nel recente passato ma anche, in prospettiva, di mantenere gli attuali livelli nei servizi erogati (sociali, culturali, e ambientali, peraltro sempre più a carico del terzo settore) e nella manutenzione ordinaria del patrimonio di infrastrutture esistente. In tale contesto, peraltro, l’urgenza di raccogliere liquidità attraverso la cessione di diritti edificatori alimenta il rischio di usi impropri e inconsistenti degli spazi urbani e del suolo. La politica di coesione comunitaria non può certo costituire l’unico contesto di policy che interviene su questi temi, ma, in linea con gli strumenti ordinari dedicati e capitalizzando sulle sue proprie caratteristiche di metodo partenariale, intende certamente contribuire a conseguire importanti risultati, quali:
- il rafforzamento il ruolo delle istituzioni di governo urbano come soggetti chiave delle strategie di investimento locali, del dialogo interdisciplinare e interistituzionale, cosi come della gestione dei servizi collettivi;
- la corretta declinazione territoriale degli strumenti progettuali per arrivare a risultati condivisi;
- la concretezza attuativa delle innovazioni tematiche previste dai Regolamenti per i Fondi Strutturali Europei (es. inclusione sociale);
- una sintesi efficace ed effettiva tra gli investimenti aggiuntivi e le politiche ordinarie;
7 Legge 7 aprile 2014 n.56,“Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni”.
- esperienze concrete per favorire il percorso di avvio delle città metropolitane e della riforma del livello locale dell’Amministrazione;
- la garanzia del coinvolgimento dei cittadini, della società civile e dei diversi livelli di governo competenti nella definizione e implementazione degli investimenti;
- la limitazione dell’occupazione di suolo, l’espansione urbana incontrollata e l’impermeabilizzazione dei terreni. A tal fine, si ricorda come - sebbene in modo diverso in ciascuna Regione – attraverso gli strumenti di pianificazione ordinaria territoriale e urbana, si debba promuovere la necessità di costituire “piani a crescita zero”, proprio nell’intendimento qui enunciato atto a riqualificare aree ed edifici dismessi o sottoutilizzati.
Le sollecitazioni dell’Unione Europea sostengono lo sviluppo urbano sostenibile prevedendo azioni integrate che sappiano far fronte alle sfide economiche, ambientali, climatiche, demografiche e sociali che si pongono nelle aree urbane, in linea con le disposizioni specifiche dei Regolamenti europei (ex. Art. 7 del Reg. CE 1301/2013). A queste indicazioni, l’Italia intende rispondere con una strategia specifica per le città e per il patrimonio che esse rappresentano, facendo tesoro della esperienza accumulata negli ultimi due cicli di programmazione che ha visto risultati positivi e alcuni insuccessi.
Su queste basi sono stati individuati i cardini della strategia comune dell’Agenda urbana per i fondi comunitari 2014-2020, che si articola in tre driver di sviluppo – ovvero ambiti tematici di intervento prioritari in parte fra loro integrabili – che sono rilevanti anche per le funzioni assicurate dalle città al territorio più vasto che gravita su di esse. La strategia comune dell’Agenda urbana si completa di un quarto driver che potrà essere definito da ciascuna Regione con riferimento alle peculiarità del proprio territorio e della programmazione in essere.
Di seguito i tre driver tematici comuni dell’Agenda urbana, che tengono conto delle sfide economiche, ambientali, climatiche, demografiche e sociali cui le azioni per lo sviluppo urbano sostenibile intendono far fronte ai sensi dell’Art. 7 del Reg. UE 1301/2013, già proposti nel documento “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020” di avvio del confronto partenariale e discussi e approfonditi in varie sedi con amministrazioni regionali, comunali e con i partner socioeconomici.
a) Ridisegno e modernizzazione dei servizi urbani per i residenti e gli utilizzatori delle città
Tenendo conto delle sfide economiche, ambientali e climatiche delle città, verranno sostenuti l’avvio (o la prosecuzione o il completamento) dei piani di investimento per il miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle infrastrutture di rete e dei servizi pubblici delle aree urbane con ricadute dirette e misurabili sui cittadini residenti e più in generale sugli utilizzatori della città.
Gli ambiti di servizio riguarderanno una selezione circoscritta e individuata ex ante delle attribuzioni funzionali assegnate dalla legge a Comuni e Città metropolitane, con priorità per:
- azioni di mobilità e logistica sostenibile, temi per i quali è prevalso l’approccio per grandi opere o il finanziamento occasionale di iniziative con logiche sperimentali, mentre è necessaria e matura l’adozione di soluzioni strutturali sulla frontiera tra regolazione degli usi e gestione di servizi innovativi. A tal fine, la vigenza di un piano urbano di mobilità sarà condizione necessaria affinché i comuni possano accedere alle risorse comunitarie per realizzare interventi di mobilità e logistica sostenibile nel quadro di un approccio integrato, nel quale gli interventi del FESR saranno accompagnati da adeguate misure complementari mirate alla dissuasione dell’uso dei mezzi
inquinanti privati e, laddove necessario, all'agevolazione all'uso di mezzi collettivi e a basso impatto ambientale. (Per questi interventi, valgono interamente il quadro generale, le indicazioni programmatiche ed attuative fornite nella sezione 1.3 dedicata all'Obiettivo Tematico 4, nella sottosezione relativa alla mobilità in ambito urbano.)
- azioni di risparmio energetico e fonti rinnovabili, con priorità al risparmio energetico nell’edilizia pubblica e negli impianti di illuminazione, per abbattere i costi di gestione e le emissioni collegati alle attività delle Amministrazioni comunali.
In coerenza con i piani nazionali e regionali di settore, gli interventi promuoveranno:
- il miglioramento della gestione dei servizi collettivi erogati, facendo leva sulla dimensione tecnologica ed organizzativa con il ricorso agli strumenti propri del paradigma “smart cities” insieme ad azioni di capacitazione istituzionale; laddove si intende per smart cities città in grado di realizzare infrastrutture di rete (acqua, elettricità, telecomunicazioni, gas, trasporti, servizi di emergenza, edificato, attrezzature pubbliche, ecc.), sostenibili e sviluppate nel rispetto dell'ambiente, in grado di migliorare la qualità di vita dei cittadini, attraverso una maggiore accessibilità ed efficienza dei servizi urbani e della loro gestione su più scale territoriali in maniera integrata;
- il loro rafforzamento attraverso interventi in piccole infrastrutture e start-up di nuovi servizi. Questo secondo tipo di progettazione, più complessa e onerosa, è indirizzata prioritariamente alle Regioni meno sviluppate, ma anche più in generale laddove il progetto intenda coprire un deficit di servizio e quindi raggiungere un’utenza in precedenza non considerata.
b) Pratiche e progettazione per l’inclusione sociale per i segmenti di popolazione più fragile e per aree e quartieri disagiati.
Proseguendo il percorso avviato con il Piano d’Azione per la Coesione, la programmazione 2014-2020 finanzierà interventi di inclusione sociale in ambito urbano rafforzando le filiere delle politiche ordinarie ed intervenendo attraverso il coinvolgimento del tessuto associativo e dell’economia sociale.
Tenendo conto delle sfide demografiche e sociali, sono previsti due ambiti di intervento prioritari (da integrarsi e non sovrapporsi con altre azioni previste):
- sostegno alle politiche sociali, attraverso il rafforzamento degli strumenti ordinari esistenti, con particolare riferimento ai servizi per l’infanzia e gli anziani non autosufficienti nelle Regioni meno sviluppate;
- contrasto alla povertà e al disagio, con focus su alcune dimensioni cruciali, tra cui il disagio abitativo, anche mediante interventi di incentivazione o sostegno sociale per persone e famiglie con gravi fragilità socioeconomiche (così come definite, in base a criteri di grave disagio economico e esclusione sociale, nella sezione 1.3 dedicata all'Obiettivo Tematico 98), il disagio occupazionale e l’esclusione relazionale/culturale per target di popolazione emarginata, attraverso la realizzazione di infrastrutture a destinazione socio-culturali (privilegiando la riattrezzatura di spazi esistenti) e,
8 In particolare per quanto riguarda gli interventi del FESR riguardanti il disagio abitativo, essi dovranno essere indirizzati ad alleviare il disagio di soggetti identificati mediante procedure trasparenti e non discriminatorie sulla base della definizione di requisiti atti ad identificare i nuclei familiari (persone o famiglie) in condizione di maggiore bisogno, con riferimento alla condizione economica e ad altre condizioni di fragilità sociale.
soprattutto, azioni immateriali per la partecipazione all’istruzione, la riduzione dell’abbandono scolastico, la diffusione della legalità e la sicurezza degli spazi pubblici.
Le strategie di intervento e gli indicatori di risultato potranno essere declinate secondo due approcci:
- target territoriali a scala sub-comunale, in aree caratterizzate da elevata concentrazione di marginalità e illegalità diffusa (in primis nelle Città metropolitane e nei centri di grandi dimensioni), con parametri e attività di coinvolgimento partenariale coerenti con l’estensione territoriale dei fenomeni di disagio affrontati;
- target di popolazione in situazione di grave esclusione (es. rom, persone senza dimora, anziani, in condizioni di forte disagio socio economico, ecc.), con indicatori che siano in grado misurare i miglioramenti dello standard di servizi e della qualità di vita di quel target specifico di popolazione.
In entrambi i casi, la programmazione porrà limiti parametrici alle spese per la struttura fisica degli spazi, lasciando priorità al contenuto vero e proprio dell’intervento di cura, incentivazione e sostegno. Inoltre, particolare attenzione dovrà essere data alla sostenibilità di gestione nel medio-lungo periodo dei servizi realizzati, garantendo adeguate analisi di fattibilità ex ante, l’individuazione di risorse per lo start-up e l’avvio immediato delle procedure di selezione degli eventuali soggetti gestori, anche contestuale alla progettazione, così da incorporare l’effettivo fabbisogno del gestore. A tal fine, potrà essere prevista l’adozione di strumenti di sviluppo locale partecipativo (CLLD) da attivare alla scala territoriale interessata dall’intervento.
c) Rafforzamento della capacità delle città di potenziare segmenti locali pregiati di filiere produttive globali.
Tenendo conto delle sfide socio-economiche, nel rispetto ambientale per la sostenibilità delle scelte, la programmazione sosterrà interventi volti a far crescere e attrarre l’insediamento di segmenti locali pregiati delle filiere produttive globali a vocazione urbana, con priorità per:
- servizi avanzati per le imprese industriali, agricole ed ittiche, da individuare in stretto raccordo con le Strategie regionali di smart specialization per favore filiere produttive anche esterne, per localizzazione immediata, ai confini urbani;
- imprese sociali, creative e per servizi per i cittadini, con azioni volte a sostenere l’affermazione di nuovi soggetti (giovani imprenditori, terzo settore) capaci di garantire il miglioramento dell’offerta locale nelle filiere dei servizi alla persona, nel welfare inteso sia in senso stretto sia per cultura e creatività e sensibilità ambientale, valorizzando le potenziali ricadute in termini di capacità di creare occupazione e generare servizi pregiati.
L’individuazione delle aree tematiche specifiche e delle azioni da mettere in campo sarà oggetto di un processo di analisi di fattibilità e sviluppo progettuale che vedrà la condivisione delle metodologie su base nazionale per l’identificazione delle concrete potenzialità e dei risultati attesi. I progetti e gli interventi dovranno prevedere il coinvolgimento di presidi stabili di ricerca e innovazione, che saranno incoraggiati a rappresentarsi come attori urbani e a stimolare attività comuni delle rappresentanze degli interessi dell’impresa. In linea con l'articolo 7 del Regolamento FESR e con la Sezione 1.5.3 “Sviluppo sostenibile”, (con riferimento all’art. 8 del Regolamento generale) le Autorità di Gestione e le autorità urbane dovranno integrare la sostenibilità ambientale nell’elaborare le azioni urbane.
Le priorità dell’Agenda urbana sono dunque riconducibili ad un sottoinsieme degli Obiettivi Tematici (OT) della programmazione 2014-2020 e contribuiscono direttamente al raggiungimento dei risultati attesi più generali definiti nel confronto partenariale. Affinché possa essere valutato il carattere "integrato" delle operazioni proposte, i risultati saranno misurati non solo attraverso indicatori comuni, ma saranno integrati da indicatori di output e di attuazione specifici, associati alle azioni previste a livello di Programma. La matrice, sintetica e non esclusiva, degli ambiti potenziali di lavoro è riconducibile prioritariamente al seguente schema:
- Obiettivo Tematico 2 in tema di Agenda digitale (Digitalizzazione dei processi amministrativi e diffusione di servizi digitali pienamente interoperabili; Potenziamento della domanda di ICT dei cittadini in termini di utilizzo dei servizi on line, inclusione digitale e partecipazione in rete); e Obiettivo Tematico 4 in tema di Energia sostenibile e qualità della vita (Ridurre i consumi energetici negli edifici e nelle strutture pubbliche e ad uso pubblico, residenziale e non residenziali; Aumentare la mobilità sostenibile nelle aree urbane).
- Obiettivo Tematico 9 in tema di Inclusione sociale e lotta alla povertà (Aumento della legalità nelle aree ad alta esclusione sociale e miglioramento del tessuto urbano nelle aree a basso tasso di legalità; Aumento dei servizi di cura e potenziamento della rete infrastrutturale e dell’offerta dei servizi sanitari e sociosanitari; Riduzione del numero di persone in condizioni di disagio abitativo e Riduzione della marginalità estrema e interventi di inclusione a favore delle persone senza dimora e delle popolazioni Rom, Sinti e Camminanti).
- Obiettivo Tematico 3 in tema di Competitività dei sistemi produttivi (Diffusione e rafforzamento delle attività economiche a contenuto sociale e Nascita di nuove imprese nelle filiere che hanno bisogno delle economie di contesto urbano).
Come anticipato, la strategia comune dell’Agenda urbana si completa di un quarto driver che sarà definito da ciascuna Regione e che potrà fare riferimento, ad esempio, ai seguenti obiettivi:
- Obiettivo Tematico 5 in tema di Clima e rischi ambientali (Ridurre il rischio idrogeologico e di erosione costiera; Ridurre il rischio incendi e il rischio sismico);
- Obiettivo Tematico 6 in tema di Tutela dell’ambiente e valorizzazione delle risorse culturali e ambientali (Ottimizzazione della gestione dei rifiuti urbani; Miglioramento del servizio idrico integrato per usi civili; Migliorare le condizioni e gli standard di offerta e fruizione del patrimonio naturale e culturale, materiale e immateriale e Migliorare la competitività e la capacità di attrazione delle destinazioni turistiche).
Principi per l’identificazione delle aree urbane
Con riferimento ai tre driver e con l’obiettivo di concentrare lo sforzo della policy negli ambiti urbani che maggiormente possono giocare un ruolo di rafforzamento della competitività e capacità di innovazione del paese, l’Agenda urbana si declina secondo due tipologie di territori che identificano le Autorità urbane rilevanti:
- le 10 città metropolitane individuate con legge nazionale (Bari, Bologna, Genova, Firenze, Milano, Napoli, Roma, Torino e Venezia9; Reggio Calabria10) e le 4 citta metropolitane individuate dalle Regioni a statuto speciale (Cagliari11; Catania, Messina, Palermo12). Per la costruzione ed attuazione dell’Agenda urbana, con riferimento alle Città metropolitane, è previsto anche un Programma dedicato in cui gli interlocutori saranno i Sindaci dei Comuni capoluogo e gli uffici da questi individuati che assumeranno pertanto il ruolo di Autorità urbana con funzioni di Organismo intermedio. Allo stesso modo, saranno incoraggiate la costituzione di partnership e progetti di scala inter-comunale che anticipino e favoriscano l’attuazione della riforma amministrativa. Su queste città si concentrerà l’intervento del Programma Operativo Nazionale (PON) “Città metropolitane” in parallelo ed in modo complementare agli interventi dell’Agenda urbana sostenuti dai Programmi regionali e dai Programmi Operativi Nazionali che intervengono su Obiettivi Tematici rilevanti per i tre driver. E’ importante considerare, quindi, che l’azione del PON “Citta metropolitane” non potrà essere meccanicamente intesa come sostitutiva o alternativa all’azione regionale anche nelle città metropolitane;
- le città medie e i poli urbani regionali, ovvero le aree urbane densamente popolate che costituiscono i poli di erogazione di servizi – essenziali e di rango elevato – per aree vaste significative (in primo luogo i Comuni capoluogo di Regione e Provincia). In questi territori interverranno i Programmi Operativi Regionali che assumeranno come interlocutori privilegiati i Sindaci dei Comuni individuati come città medie e poli urbani regionali, ai fini dell’identificazione degli uffici responsabili del ruolo di Autorità urbana.
9Cfr. art. 22, D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
10 Cfr. art. 23, L. 5 maggio 2009, n. 42.
11Cfr. Regione Sardegna, art. 6, L.R. 2 gennaio 1997, n. 4.
12 Cfr. Regione Siciliana, art. 19 e ss., L.R.6 marzo 1986, n. 9 e s.m.i.
Le città metropolitane in Italia
Per l’individuazione delle aree territoriali (città) poste come target dell’Agenda urbana all’interno dei Programmi Operativi Regionali, secondo un’impostazione condivisa a livello nazionale, ma applicata nei diversi Programmi secondo le rispettive specificità territoriali, è indispensabile scindere due diversi momenti logici le attività di programmazione corrispondenti:
- definizione dei criteri per la individuazione delle aree territoriali potenzialmente interessate dall’Agenda urbana. Occorre identificare alcuni requisiti oggettivi che consentano di circoscrivere l’ammissibilità potenziale di quei territori che effettivamente presentino problemi e opportunità di natura urbana. Oltre ad un criterio prettamente demografico, sarà possibile identificare alcune funzioni tipicamente urbane di servizio a cittadini e imprese residenti in bacini territoriali di area vasta, sul modello dell’esercizio analitico sperimentato per le aree interne (vedi oltre) ma con riferimento a tipologie di servizio di rango superiore. Assumendo come punto iniziale questo criterio, l’Agenda urbana si pone sulla frontiera nell’affrontare le relazioni tra aree urbane e aree interne. Tali criteri dovranno essere chiaramente indicati all’interno dei Programmi Operativi;
- individuazione delle Autorità urbane (AU) titolari di progetti dell’Agenda urbana. Sarà necessario identificare alcuni requisiti in grado di rappresentare l’effettiva capacità dell’Autorità urbana di svolgere le funzioni ad essa delegate ai sensi dei Regolamenti FESR, in particolare riguardo alla selezione e attuazione di interventi, tale da assicurare il pieno rispetto dei tempi e dei profili di qualità anche ai fini della certificazione della spesa. Per l’individuazione delle Autorità urbane i Programmi Operativi potranno:
o prendere in considerazione l’esperienza e performance pregressa nella realizzazione di interventi e spesa effettivamente certificabile, ovvero l’effettiva rispondenza della governance locale e della struttura organizzativa agli obblighi imposti dal regolamento;
o ricorrere a procedure di selezione delle AU, in modo da circoscrive il numero di AU per poi sviluppare congiuntamente un numero limitato di progetti (le “azioni integrate”) in poche città processo di co-progettazione.
In applicazione di quanto previsto dai Regolamenti dei Fondi SIE, per concentrare gli investimenti in aree urbane massimizzandone gli effetti le Regioni, nell’attuare i propri PO, dovranno selezionare un numero limitato e circoscritto di aree urbane motivandone le ragioni e i criteri. Le Regioni potranno valutare se indicare già nel Programma, non solo i criteri di individuazione dei territori target, ma anche le Autorità urbane di riferimento, oppure se limitarsi a descrivere il processo di selezione che applicheranno per la individuazione delle Autorità urbane (metodo e calendario).
In ogni caso, la conclusione della procedura per l’individuazione delle Autorità urbane e delle rispettive strategie di intervento dovrà essere esplicitamente indicata come milestone nel performance framework di ciascun Programma Operativo, per assicurare una rapida conclusione e non incorrere nella lunga durata della fase di gestazione nella programmazione 2007-2013 che, in diversi casi, ha causato ritardi all’avvio dei progetti nelle città, risultati in alcuni casi fatali, precludendo il raggiungimento degli obiettivi nelle priorità urbane dei POR.
Co-progettazione per la selezione delle operazioni
L’Autorità urbana svolgerà i compiti relativi alla selezione delle operazioni, all’interno di un percorso condiviso ex ante con l’Amministrazione titolare del Programma e in stretto rapporto con l’Autorità di Gestione, secondo un’impostazione che può essere definita di “co-progettazione”. Questo è il significato che si intende dare al Reg. FESR, che assegna all’Autorità urbana la responsabilità circa i “compiti relativi almeno alla selezione degli interventi” (art 7.2 bis) e, contestualmente, specifica che l'Autorità di Gestione “può riservarsi il diritto di intraprendere una verifica finale dell'ammissibilità delle operazioni prima dell'approvazione” (art. 7.2 ter).
La traduzione operativa di tale rapporto, nel rispetto delle prassi di programmazione già sperimentate dalle singole Regioni, dovrà:
- attribuire un’ampia autonomia alle Autorità urbane (AU) nella definizione dei propri fabbisogni e nella conseguente individuazione degli interventi richiesta dallo spirito e dalla lettera dei Regolamenti;
- garantire i risultati attesi dagli interventi e la loro coerenza con gli obiettivi di policy identificati nei Programmi Operativi, attraverso la chiara indicazione del contributo di ciascun intervento/azione al conseguimento dei risultati attesi;
- assicurare certezza sui tempi della fase di selezione degli interventi. L’Autorità di Xxxxxxxx (AdG) manterrà un ruolo proattivo di impulso e accompagnamento a sostegno dell’AU, a tutela degli obiettivi di spesa del Programma, mettendo eventualmente in campo condizionalità e schemi premiali oltre a modalità di intervento sostitutivo – da chiarire ex ante nel Programma – da attivare in caso di evidenti e irrecuperabili ritardi nella realizzazione;
- sostenere la qualità della progettazione e della spesa, per garantire la performance in fase attuativa. A tal proposito, è auspicabile che nel processo di selezione l’Autorità di Gestione eserciti
un ruolo di coordinamento rispetto all’identificazione e validazione dei criteri adottati dalle AU per la selezione delle operazioni, oltre a strutturare sin dall’inizio azioni di supporto e condizionalità per le AU che garantiscano la qualità della progettazione e, di conseguenza, la possibilità di certificare tempestivamente la spesa evitando ricorsi giudiziari sulle gare, varianti in corso d’opera o sospensioni dei lavori. Specifica attenzione sarà dedicata ad affiancare le AU su particolari tipologie e tematiche progettuali (tra cui, ad esempio, le azioni immateriali) e a sostenere la realizzazione di studi di fattibilità per gli investimenti (con particolare attenzione alla sostenibilità gestionale ed economico-finanziaria di strutture erogatrici di servizi), anche per mezzo di risorse e strumenti ad hoc (ad es. fondi di progettazione, già in via di sperimentazione in alcune regioni);
- favorire la messa a sistema, capitalizzazione e divulgazione delle conoscenze. Le Autorità di Gestione attiveranno iniziative di coordinamento, scambio e apprendimento per i decisori politici, gli operatori e gli altri organismi coinvolti nell’Agenda urbana nazionale ed europea, per allineare le strategie e gli strumenti di intervento all’interno dei Programmi nazionali e regionali. A tale fine, saranno individuate le modalità più appropriate affinché suddette attività siano sviluppate in partnership con Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), anche attraverso l'affidamento di specifiche deleghe gestionali alle strutture tecniche di supporto (in particolare, la Fondazione IFEL − Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) dell'Associazione, previa attenta valutazione dei requisiti funzionali e organizzativi e la verifica del possesso di adeguata capacità amministrativa.
Nel caso specifico del Programma Operativo Nazionale “Città metropolitane”, le Regioni sono coinvolte direttamente dall’Amministrazione titolare del Programma nel processo di co-progettazione attraverso incontri trilaterali per discutere il merito delle proposte progettuali promosse dalle AU, nella fattispecie i delegati dei Sindaci dei Comuni capoluogo, nonché assicurarne la coerenza con la pianificazione regionale di settore e le sinergie di programmazione necessarie. Tale confronto trilaterale intende, da un lato, assicurare la complementarietà e l’integrazione strategica e funzionale tra gli interventi promossi dai Programmi regionali e nazionali, dall’altro, garantire una chiara demarcazione degli ambiti di intervento su base settoriale, tematica o geografica.
Delega di funzioni alle Autorità urbane
Fatto salvo il riconoscimento del ruolo dell’Autorità urbana nella fase di selezione degli interventi, è prerogativa di ciascuna Autorità di Gestione regionale definire la gamma di responsabilità da delegare alle AU anche attraverso l’identificazione di organismi intermedi.
Sarà compito dell’Autorità di Gestione, in ragione di attente valutazioni circa la capacità amministrativa ed audit di sistema effettuati ex ante, stabilire – anche con declinazione specifica caso per caso – l’opportunità o meno del trasferimento all’AU delle funzioni connesse ai controlli di 1° livello e alla certificazione, in modo da assicurare che gli organismi intermedi operino in Amministrazioni realmente capaci di affrontare il significativo carico amministrativo, di rispettare i principi di terzietà proprie delle attività di controllo, e di conseguire celermente l’accreditamento previsto dall’IGRUE per tali soggetti.
A valle della selezione degli interventi, inoltre, le Autorità di Gestione potranno adottare ulteriori dispositivi a tutela del rispetto dei tempi e della performance di spesa, ad esempio mediante: la certificazione di qualità sulla progettazione (ad es. certificazione ISO 17020), l’attivazione di premialità e sanzioni connesse
all’avanzamento procedurale, o l’obbligo di alimentare i sistemi di monitoraggio come condizione per la liquidazione delle spesa rendicontata.
In ogni caso dovrà essere prevista, secondo le modalità più adatte, l’attivazione di misure di assistenza tecnica a favore delle Autorità urbane.
Azioni integrate e principi di programmazione orientata al risultato
L’art. 7.1 del Reg. FESR stabilisce che “il FESR sostiene […] lo sviluppo urbano sostenibile per mezzo di strategie che prevedono azioni integrate per far fronte alle sfide economiche, ambientali, climatiche, demografiche e sociali che si pongono nelle zone urbane”.
Per garantire il coordinamento e l'integrazione territoriale degli interventi, la strategia di sviluppo urbano perseguita nell’Agenda urbana individua nell’Azione integrata il suo strumento attuativo. Ciò ponendo l’accento sull’integrazione intesa in termini funzionali e di filiera, ovvero tra vari interventi – materiali e immateriali – per perseguire un singolo obiettivo di cambiamento/miglioramento riferibile ad un singolo risultato atteso che si realizza concretamente in uno/a o più servizi/iniziative rivolti ad una specifica tipologia di utenza/gruppo target.
La strategia integrata di sviluppo urbano di ciascuna città sarà articolata in diverse Azioni integrate, tra loro coordinate e sinergiche, ciascuna delle quali sarà coerente con uno dei driver tematici dell’Agenda urbana e assicurerà la massa critica degli investimenti e il conseguimento dei risultati attesi avvenga entro il periodo di programmazione.
Allo stesso tempo, la ricca esperienza italiana in materia suggerisce numerose buone pratiche e alcune cautele, rispetto alle quali nel ciclo 2014-2020 si propongono alcune innovazioni di metodo che interpretano il concetto di “azione integrata” per guidare la progettazione delle AU:
- aderire alla strategia comune dell’Agenda urbana. Le amministrazioni coinvolte nella programmazione definiscono insieme, già nell’Accordo di Partenariato, un set significativo e circoscritto di Obiettivi Tematici e Risultati attesi nell’ambito di una strategia comune da sostenere con l’apposita dotazione finanziaria destinata all’Agenda urbana. Ai tre driver tematici prima richiamati (e già individuati nel documento “Metodi e obiettivi”), a completamento della strategia comune, le Regioni potranno aggiungere una ulteriore priorità secondo specifici fabbisogni che riportino ad altri Obiettivi Tematici. Le AU aderiscono alla strategia comune e identificano autonomamente le operazioni necessarie al loro conseguimento, utilizzando e valorizzando gli strumenti esistenti/vigenti di pianificazione settoriale, di programmazione di investimenti, e di strategia locale;
- identificare poche azioni integrate tematicamente orientate, ciascuna riferita a singoli risultati attesi. Le AU sono invitate − nell’ambito della proposta strategica per l’agenda urbana − a selezionare specifici ambiti di intervento e risultati attesi che si confanno alla interpretazione delle potenzialità/dei problemi della propria città. Su questi propongono le azioni integrate, anche indirizzate su specifici quartieri o aree sub-comunali, assicurando la concentrazione degli investimenti in un numero circoscritto di Azioni integrate che garantiscano un impatto sostanziale e misurabile in termini di risposta a fabbisogni chiaramente individuati. Ciò dovrebbe evitare un processo in cui le AU propongano generali programmi di investimento che, senza una vera e
comune “narrativa”, riguardino numerosi settori con interventi disgiunti tra loro e a limitato impatto;
- perseguire l’attuazione e il rafforzamento delle politiche ordinarie, nell’ambito di strumenti di pianificazione e/o programmazione vigenti. Per assicurare coerenza con la pianificazione regionale di settore e ridurre i tempi necessari alla concertazione locale, senza attendere la formazione ex novo del consenso e i conseguenti accordi multi-livello, le AU daranno priorità ad azioni che attuino e/o rafforzino porzioni significative in termini di risultato – anche se circoscritte e puntualmente individuate, ed in linea con la strategia comune dell’Agenda urbana – di piani e programmi di settore ordinari già esistenti, validati ed adottati dai livelli amministrativi coinvolti (ad es., per il primo driver, interventi dei Piani urbani della mobilità ex L.340/2000, o anche strumenti non normati come strategie per la smart city in diverse città; per il secondo driver, interventi che attuino o aumentino servizi e bacini di utenza dei Piani di zona sociali ex L. 328/2000). Di conseguenza, le strategie integrate di sviluppo urbano e, al loro interno, ciascuna delle Azioni integrate delle città dovranno reggersi sulla pianificazione e gli strumenti attuativi ordinari esistenti, promuovendo – al loro interno – innovazioni significative in termini di coordinamento, accelerazione attuativa e reciproca valorizzazione tra le iniziative in essi previste e tra i singoli settori amministrativi e gli altri soggetti pubblici e privati coinvolti;
- prevedere un approccio che richieda nella progettazione operativa l’integrazione logica, funzionale e di governo amministrativo tra le azioni proposte, riducendo e semplificando il più possibile i passaggi di programmazione. Per rendere effettivamente operativi gli investimenti, le AU ne assicureranno l’integrazione verso il risultato di riferimento, anche attraverso il coordinamento degli interventi da realizzare sotto la responsabilità di settori amministrativi e fonti finanziarie differenti. In tal modo ci si assicura che sia ben progettato il sostegno dell’intero ciclo di vita di un intervento, fino ad assicurare l’attivazione dei servizi e la fruibilità delle opere;
- garantire la trasparenza delle scelte di investimento attraverso momenti di confronto pubblico con la cittadinanza, la società civile e gli altri livelli di governo competenti. Nell’identificare le Azioni integrate le AU garantiscono la trasparenza delle scelte fatte esprimendo motivazioni circostanziate in relazione ai risultati attesi e al raccordo con gli strumenti di pianificazione ordinaria e straordinaria esistenti (che in Italia ricordiamo essere essi stessi oggetti a confronto pubblico ed istituzionale). Inoltre, per definire compiutamente l’impostazione progettuale di interventi di particolare complessità e rilievo strategico, al fine di rafforzarne l’efficacia, le AU assicurano il coinvolgimento della cittadinanza, della società civile e degli altri livelli di governo competenti (ad esempio mediante workshop di progettazione o tavoli partenariali locali), secondo modalità consone rispetto alla specificità del settore interessato;
- assicurare l’integrazione degli aspetti ambientali nella programmazione per lo sviluppo urbano sostenibile. Essendo parte di Programmi Operativi sottoposti a Valutazione Ambientale Strategica ai sensi del punto 1.5.3 “Sviluppo sostenibile” dell’Accordo di Partenariato, le strategie di intervento nazionali e regionali che riguardano l’Agenda urbana saranno oggetto di approfondimenti volti ad assicurare la compatibilità e l’integrazione ambientale, anche in relazione all’adattamento climatico, sia nell’ambito della consultazione sui rapporti ambientali VAS che attraverso le misure di monitoraggio ambientale conseguenti.
Inoltre, le Regioni e l’Autorità di Gestione del PON “Città Metropolitane” potranno avvalersi di strumenti di ingegneria finanziaria, effettuando le attività diagnostiche e di valutazione ex ante, richiesti dall’art. 37.2 del Reg. CE n. 1303/2013, per l’identificazione delle specifiche tipologie e dotazioni finanziarie adeguate con l’obiettivo di perseguire strumenti più efficaci (per i settori di investimento interessati, ad es. in ambito di risparmio energetico) ed efficienti (in relazione alla tempistica attuativa) valorizzando le lezioni da recenti esperienze sostenute con fondi nazionali e/o comunitari nell’intendimento di voler ricercare una maggiore efficacia temporale, diagnostica e una più adeguata appropriatezza degli strumenti. L’identificazione delle tipologie progettuali e delle dotazioni finanziarie per ciascun strumento –con elementi di cautela e adeguati caveat rispetto alle passate esperienze- dovranno essere sostenute dagli esiti della valutazione ex ante. Inoltre sarà necessario che i meccanismi di gestione degli strumenti di ingegneria finanziaria in campo urbano salvaguardino le prerogative delle Autorità urbane in materia di selezione di azioni integrate ed interventi ai sensi dell’art. 7 comma 1 del Reg. CE 1301/2013.
Organizzazione e contenuti specifici del Programma Operativo Nazionale “Citta metropolitane”
Il Programma Operativo Nazionale dedicato alle “Città metropolitane” risponde a molteplici esigenze e a sollecitazioni dei percorsi di policy europea e nazionale:
- la centralità delle Città nell’agenda europea di sviluppo sostenibile e coesione sociale, sostenuta dal Parlamento Europeo, dal Comitato delle Regioni e dalla Commissione europea, che incrocia molti degli ambiti di intervento di Europa 2020 – dall’inclusione sociale alla crescita sostenibile – che richiede un’attenzione ampia nella costruzione della programmazione;
- la concentrazione nelle grandi aree urbane di questioni urgenti di sviluppo e coesione. Il modello del «vivere urbano» è quello tendenziale per la maggioranza della popolazione e genera costantemente nuove istanze per qualità della vita, organizzazione sociale e gestione sostenibile delle risorse di queste collettività, anche perché gli effetti di un rapido sviluppo economico convivono con situazioni di emarginazione e disagio;
- il disegno di riforma costituzionale e amministrativa per l’istituzione delle Città metropolitane13 che, in una fase storica caratterizzata da forti vincoli di finanza pubblica e riduzione dei trasferimenti, assegna un ruolo sempre più importante ai Sindaci dei grandi Comuni nel governo di problemi e territori più ampi di quelli delimitati dai confini amministrativi abituali;
- l’esigenza di rafforzare il ruolo delle istituzioni di governo urbano come soggetti chiave delle strategie di investimento e del dialogo interdisciplinare e interistituzionale, per conseguire risultati condivisi attraverso la sintesi efficace ed effettiva tra gli investimenti aggiuntivi e le politiche ordinarie per la gestione dei servizi collettivi.
La principale motivazione sottesa all’attivazione di un’iniziativa di respiro nazionale dedicata alle aree metropolitane risiede nella possibilità di affrontare congiuntamente e in modo coordinato alcune delle sfide territoriali che interessano tali contesti territoriali.
Come si evidenzia nella sezione strategica introduttiva dell’Accordo di Partenariato, e come emerso e confermato durante le riunioni partenariali tenutesi con i rappresentanti istituzionali e politici (i.e. incontri
13 Legge 7 aprile 2014 n.56 “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni”.
con i Sindaci e con i loro referenti, anche in sede ANCI), i grandi Comuni capoluogo delle Città metropolitane stanno affrontando sfide comuni nel campo della necessità di ottimizzazione dei servizi ai cittadini, della marginalità sociale (nuove povertà), della congestione e del disagio abitativo.
Ad esempio, in tutte le maggiori città si registrano fenomeni di perdita della popolazione meno abbiente (fenomeno cd. delle shrinking cities che ESPON ha registrato per tutte le aree metropolitane europee) che si trasferisce nelle aree sempre più periferiche ed in un numero sempre crescente di necessari spostamenti quotidiani. Il problema della congestione da traffico è reso più acuto da un’assenza di adeguata, integrata ed interoperabile offerta di mobilità alternativa al mezzo privato. Analogamente, è in tutte queste città che si concentrano fenomeni di isolamento e di marginalità, in particolare nei loro quartieri dormitorio di edilizia pubblica caratterizzati da fenomeni di ghettizzazione e stigmatizzazione. A questo si aggiungono problemi di marginalità estrema: una recente ricerca condotta da ISTAT per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha evidenziato come il fenomeno dei “senza fissa dimora” è concentrato esclusivamente nelle grandi città, con picchi maggiori a Milano, Roma e Palermo – realtà del Nord, del Centro e del Sud del Paese dunque accomunate dalle stesse problematiche.
Di fronte a tali sfide, il Programma Operativo nazionale “Città metropolitane”, adottando una logica sperimentale sia nella costruzione del Programma stesso che nel governo della sua attuazione, interviene (in modo complementare ai Programmi Operativi Regionali) per sostenere specifiche e determinate azioni prioritarie che compongono una strategia nazionale unificante per i Comuni capoluogo delle 14 Città metropolitane.
In questa ottica, il Programma intende focalizzarsi esclusivamente sui primi due driver previsti per l’ Agenda urbana nazionale per i fondi comunitari 2014-2020, non intervenendo quindi nei campi di azione dell’OT3 “Competitività delle imprese”, dell’OT5 “Clima e rischi ambientali” e dell’OT6 “Tutela dell’ambiente”, che saranno oggetto dell’Agenda urbana dei Programmi Operativi Regionali. Inoltre, secondo l’impostazione condivisa con le Regioni, il Programma nazionale non concorre direttamente alla realizzazione di grandi progetti infrastrutturali o di mera riqualificazione urbana. Sono anche esclusi dagli obiettivi del PON interventi attinenti all’estensione della banda ultra-larga e delle smartgrid, che troveranno nei Programmi regionali o in altre iniziative nazionali la loro possibile fonte di programmazione e copertura finanziaria.
Senza voler esaurire le esigenze di intervento, il Programma si concentra su alcuni tra i risultati attesi previsti dall’Obiettivo Tematico 2 “Agenda digitale”, dall’Obiettivo Tematico 4 “Transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori” e dell’Obiettivo Tematico 9 “Inclusione sociale”, sulla base di scelte già effettuate nel corso del processo partenariale con i Sindaci, le Regioni e le altre Amministrazioni centrali.
In altri termini, il PON “Città metropolitane” intende concentrarsi sull’applicazione del paradigma della smart city per il ridisegno e la modernizzazione dei servizi urbani per i residenti e gli utilizzatori delle città. L’applicazione di soluzioni “intelligenti” per migliori servizi urbani intesa non solo in senso tecnologico, costituisce, infatti, un ambito unificante delle questioni che le diverse Città si trovano ad affrontare e, insieme, caratterizzante la responsabilità primaria di governo urbano.
Inoltre, ferma restando l’esigenza di focalizzazione comune, il Programma intende dare un segnale di attenzione speciale alla questione della coesione interna delle Città favorendo interventi nella manutenzione dell’infrastruttura sociale di base soprattutto laddove vi siano forti concentrazioni di discriminazione e bisogni sociali, e quindi promuovere social innovation per l’inclusione sociale per i segmenti di popolazione più fragile e per aree e quartieri disagiati.
Infine, verranno incoraggiati la costituzione di partnership e progetti di scala inter-comunale che sperimentino l’avvio di servizi comuni nelle more dell’attuazione della riforma amministrativa (legge 56/2014), garantendo nel breve periodo alcune ricadute e benefici diretti anche per cittadini e territori localizzati al di là dei confini amministrativi del Comune capoluogo. I processi di attivazione dei partenariati di progetto tra i Comuni contigui saranno regolati dagli strumenti messi a disposizione dalla normativa italiana14, in particolare Accordi di Programma e Convenzioni di scopo. I temi progettuali privilegiati per una sperimentazione operativa di scala inter-comunale sono le azioni immateriali afferenti alla mobilità sostenibile e all’agenda digitale.
In coerenza con quanto stabilito dai Regolamenti ed incorporato nella declinazione strategica dell’Agenda urbana, il Programma attribuisce ampia autonomia all’Autorità urbana (l’ufficio designato del Comune capoluogo) nella definizione dei fabbisogni e nella conseguente individuazione degli interventi anche in risposta alla richiesta dei Regolamenti della CE. Con questo si segnala senza ambiguità che – tenuto conto del fatto che le città metropolitane sono entità amministrative in fase di costituzione – il PON “Città metropolitane” non si prefigge l’obiettivo di anticipare assetti istituzionali ed amministrativi che si assesteranno nei prossimi anni. E’ dunque il Comune capoluogo, individuato come Autorità urbana dal Programma ai sensi dell’art. 7.4 del Reg. 1301/2013, che definirà eventuali iniziative ed interventi di area vasta.
Per garantire la coerenza tra gli interventi urbani con finalità comuni che vengono finanziati nell’ambito del Programma nazionale e quelli dei Programmi regionali sono stati avviati Tavoli trilaterali (fra il DPS e le AdG del Programma Operativo e rispettivo Comune Capoluogo) di natura permanente dove sono state stabilite specifiche forme di coordinamento che hanno già determinato una metodologia di lavoro volta a garantire la demarcazione tra gli interventi urbani finanziati nell’ambito dei diversi Programmi.
Il percorso di co-progettazione coinvolge dunque anche le Amministrazioni regionali al fine di renderle partecipi delle scelte progettuali e di complementare l’azione del Programma nazionale con altri interventi: la demarcazione sarà quindi operata su ambito geografico, tematico e/o settoriale. Tale percorso, avviato anche con tutte le città interessate nei primi mesi del 2014, porterà all’identificazione, in ogni Comune capoluogo, di un numero limitato e motivato di Azioni integrate.
L’Autorità di Gestione del Programma, in considerazione della particolare architettura pluri-fondo del Programma e rivolto a Comuni ubicati nelle tre diverse categorie di regione, assumerà tutte le misure necessarie ad assicurare una corretta ed efficiente gestione finanziaria e procedurale con adeguate piste di controllo su ammissibilità e tipologie di spesa nelle tre diverse categorie di regioni, nonché avvio di assistenza e coordinamento tra le città per armonizzare l’interpretazione della normativa e le prassi amministrative degli Organismi Intermedi e dei loro beneficiari.
Le Autorità urbane avranno la responsabilità di selezionare gli interventi e di gestirne l’attuazione. Di conseguenza, i Comuni capoluogo titolari di tale responsabilità saranno chiamati a dotarsi di una struttura organizzativa e di risorse umane e tecniche idonee allo svolgimento dei compiti assegnati, nel rispetto dei Regolamenti dei fondi strutturali.
La capacità attuativa dei Comuni capoluogo di provincia delle aree metropolitane sarà comunque oggetto di una valutazione propedeutica alla delega delle funzioni attribuibili agli Organismi intermedi. Tale delega
14 Si ricorda che gli strumenti principali della programmazione negoziata in campo urbano sono l’intesa istituzionale di programma, l’accordo di programma quadro, il patto territoriale, il contratto di programma, il contratto di area, ecc.
potrà variare in seguito agli esisti delle singole valutazioni della capacità amministrativa necessaria a garantire un approccio integrato fra le azioni finanziate/attuate a livello nazionale, regionale e municipale, evitando la moltiplicazione di strutture gestionali all’interno delle singole amministrazioni. Il Piano di Rafforzamento Amministrativo (PRA) per l’Autorità di Gestione del Programma interesserà, nella misura opportuna, anche le amministrazioni comunali coinvolte nell’attuazione.
Organizzazione dei Programmi operativi regionali in riferimento all’Agenda urbana
I temi e le priorità d’intervento dell’Agenda urbana sono declinate nei programmi Operativi Regionali secondo le specificità di ciascuna Regione all’interno della cornice comune stabilita nell’AP.
Inoltre, le Regioni stabiliscono esplicitamente nei loro programmi le modalità organizzative con cui strutturare gli investimenti dell’Agenda urbana e gli strumenti attuativi, tenendo conto dell’esperienza del passato e dei necessari approfondimenti tecnici rispetto ai modelli previsti dal Regolamento:
- Asse dedicato riferito a diversi Obiettivi tematici. Tale opzione appare preferibile per consentire: i) la semplificazione e riduzione di numero dei processi amministrativi per la gestione finanziaria e contabile del Programma; ii) l’inclusione nell’asse dedicato allo sviluppo urbano del riferimento anche ad obiettivi tematici-OT non presenti nel Programma; iii) la facilitazione dell’integrazione tra FESR e FSE nel caso di programmi pluri-fondo. Nell’adozione di tale opzione, ciascuna Regione sarà chiamata ad individuare e quantificare nell’asse urbano gli OT di riferimento e la corrispondente dotazione finanziaria, elemento che consentirà per ciascun OT presente nel Programma una migliore chiarezza di programmazione tra contributo all’Agenda urbana e agli altri interventi più prettamente settoriali/tematici. Tale opzione consente, inoltre, di misurare l’investimento complessivo per lo sviluppo urbano sostenibile e verificare il raggiungimento/superamento della quota del 5 per cento del FESR e, soprattutto, di garantire al confronto tra Amministrazioni regionali e Autorità urbane maggiore equilibrio, chiarezza, trasparenza e più immediata operatività nel programmare, selezionare e attuare gli interventi;
- Investimento Territoriale Integrato (ITI) per ciascuna Agenda urbana. Tale modello, sebbene possa costituire una novità regolamentare in altri Paesi dell’Unione, è già stato sperimentato in Italia (sia nella presente, che nella passata programmazione) con strumenti dedicati alla progettazione integrata che in alcuni PO FESR (es. Sardegna 2000-2006 x Xxxxxxx 2007-2013) hanno impegnato risorse finanziarie da misure o linee di intervento in distinti assi prioritari. Un’architettura che, a fronte di una notevole complessità amministrativa, non ha realmente condotto a corrispondenti innovazioni di facilitazione di processo o di efficacia di risultato. Anche alla luce di questa esperienza si ritiene opportuno indicare questa opzione solo nel caso in cui la declinazione dell’Agenda urbana sia concentrata in poche aree target e a condizione di un efficace percorso di co-progettazione.
Per entrambi i modelli sarà necessario esplicitare nei Programmi Operativi le assegnazione di risorse dedicate all’Agenda urbana declinandole per Obiettivo Tematico.
Tavola – Indicazione allocativa a livello nazionale per azioni integrate di sviluppo urbano sostenibile cofinanziate dal FESR: valori programmatici
Fondo | Allocazione indicativa per l'Agenda urbana (Euro) | Peso sulle risorse totali del fondo |
FESR | 1.480.502.396 | 7,2% |
FSE | 244.754.571 | 2,3% |
3.1.4 PRINCIPALI SETTORI PRIORITARI PER LA COOPERAZIONE NELL’AMBITO DEI FONDI SIE TENENDO CONTO, SE DEL CASO, DELLE STRATEGIE MACROREGIONALI E DELLE STRATEGIE RELATIVE AI BACINI MARITTIMI
L’Italia partecipa per il periodo di programmazione 2014-2020 a diciannove programmi di cooperazione territoriale15, ivi compresi i programmi transfrontalieri IPA e ENI. I programmi dovrebbero essere presentati alla Commissione europea entro il 22 settembre 2014, come previsto dai Regolamenti.
A parte i Programmi interregionali, che hanno natura e contenuti specifici e si rivolgono indifferentemente a tutti i territori dell’UE, gli obiettivi e le priorità di intervento scelte dai programmi transnazionali e transfrontalieri ai quali partecipa l’Italia offrono ampie opportunità di complementarità con le scelte strategiche adottate dall’Accordo di Partenariato. Nella fase di predisposizione dei Programmi di cooperazione, infatti, si è costantemente tenuto conto di quanto veniva via via definito nell’ambito della preparazione dell’Accordo di Partenariato. Dal confronto con gli altri Paesi partner dei programmi è emersa una generale tendenza a concentrare le risorse dei programmi di cooperazione sugli stessi obiettivi tematici per i quali è prevista la concentrazione delle risorse FESR nel caso dei Programmi in attuazione dell’Obiettivo “Investimenti per la Crescita e l’Occupazione", in particolare privilegiando gli Obiettivi Tematici: 1 “Ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione” (scegliendo soprattutto la priorità d’investimento 1.b, facilitare lo sviluppo di cluster e per migliorare la collaborazione tra imprese, centri di ricerca, amministrazioni, cittadini), 2 “Agenda digitale” (in particolare le priorità d’investimento 2.b e 2.c, per promuovere lo sviluppo di servizi e applicazioni dell’ICT operabili in ambito sovranazionale) e 4 “Transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori” (in particolare le priorità d’investimento 4.b, 4.c, 4.e e 4.f, per promuovere la diffusione delle migliori pratiche, aumentare la consapevolezza delle popolazioni e promuovere modelli organizzativi delle imprese più efficienti). Gli investimenti relativi all’OT3 “Rafforzamento della competitività delle PMI”, se presenti, sono strettamente connessi agli investimenti previsti in attuazione dell’OT1. Non tutti i programmi includono l’OT5 e, se lo includono, privilegiano le azioni rivolte alla gestione dei rischi specifici dell’area di cooperazione: i programmi di cooperazione territoriale, specialmente quelli che interessano le frontiere alpine, hanno infatti esplorato ampiamente, nei periodi di programmazione precedenti, le possibilità di azione congiunta nel campo della mitigazione del cambiamento climatico e ci si aspetta, dunque, che le esperienze accumulate siano ora capitalizzate dai programmi in attuazione dell’obiettivo “Investimenti per la crescita e l’occupazione”. Diversi programmi investono anche nell’OT6 “Tutelare l’ambiente e promuovere l’uso efficiente delle risorse”, in particolare a supporto di azioni di valorizzazione del patrimonio naturale e culturale e per sperimentazioni di metodi innovativi di miglioramento dell’ambiente urbano. Investimenti minori e limitati riguardano l’OT7, in attuazione del quale si prevede di realizzare attività a sostegno della definizione e dello sviluppo dei corridoi transeuropei; i programmi transfrontalieri in qualche caso prevedono di intervenire operando
15 La lista dei programmi, delle aree geografiche e delle risorse FESR assegnate è stata adottata con atto di esecuzione della Commissione europea.
nell’ambito dell’Obiettivo Tematico 4, in relazione alla organizzazione della mobilità sostenibile in ambito urbano o locale. Del tutto marginale è il ricorso agli OT8, 9 e 10, per i quali le basi normative e le regole necessarie per operare efficacemente in modo congiunto a livello transfrontaliero e transnazionale risultano ancora non sufficienti ad assicurare la realizzazione di azioni concrete efficaci e durature. L’OT11 “Capacità istituzionale e amministrativa”, viene al momento incluso solo dai programmi transnazionali, in relazione al sostegno e all’attuazione delle Strategie macroregionali.
Il ricorso alla cooperazione transnazionale sarà incoraggiato in tutte le Regioni italiane, anche in ambito FSE.
I Gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT) che includono partner italiani, registrati in attuazione della normativa nazionale italiana, sono sette. Essi interessano: le isole (ARCHIMED), le aree alpine di confine orientale (EUREGIO-regione senza confini e EUREGIO Tirolo-Alto Adige-Trentino); il parco marino internazionale delle bocche di Bonifacio e il parco naturale Alpi Marittime-Mercantour, l’area urbana Gorizia- Nova-Goriza; la filiera produttiva della ceramica. Tutti i GECT potranno essere beneficiari di progetti di cooperazione, nessuno assumerà ruoli di gestione di Programmi o parti di Programma. Il GECT che riguarda l’area di confine tra Italia e Slovenia e che include le città di Gorizia e Nova Goriza ha manifestato interesse specifico a sviluppare iniziative coerenti con il Programma Italia-Slovenia e, a tal fine, è stato avviato un confronto con la Task-force incaricata di predisporre il Programma.
L’Italia partecipa alla Strategia UE per la regione Adriatico-Ionica (EUSAIR) e alla Strategia UE per la regione Alpina (EUSALP). Da parte italiana è stata condotta un’ampia e sistematica azione di sensibilizzazione e confronto con le Regioni e i partner rilevanti, al fine di garantire che i programmi tenessero conto, nella loro concezione e attuazione delle Strategie (vedi quanto illustrato nella Sezione 2.1.d). L’Allegato III indica una prima selezione dei risultati e delle azioni incluse nell’Accordo di Partenariato, per le quali si rileva una potenziale complementarietà con le azioni della Strategia EUSAIR, individuate dal Piano d’azione predisposto dalla Commissione xxxxxxx00. L’elaborazione della Strategia EUSALP è a uno stato ancora precoce per consentire di definire simili potenziali complementarietà.
L’Accordo di Partenariato non fornisce orientamenti specifici per quanto riguarda il ricorso alla deroga territoriale consentita dall’art. 70 del Regolamento generale, lasciando alle Autorità responsabili dei vari programmi di valutare, direttamente in fase di attuazione, se e in quali casi questo tipo di operazioni sia utile ed opportuno. Le Autorità responsabili per la gestione dei programmi verranno tuttavia sensibilizzate sulle potenzialità connesse all’utilizzo dell’art.70, in particolare con riferimento all’attuazione delle Strategie macroregionali.
3.1.5 UN APPROCCIO INTEGRATO PER RISPONDERE AI BISOGNI SPECIFICI DELLE AREE GEOGRAFICHE PARTICOLARMENTE COLPITE DALLA POVERTÀ O DEI GRUPPI DI DESTINATARI A PIÙ ALTO RISCHIO DI DISCRIMINAZIONE O ESCLUSIONE SOCIALE
Con riferimento alle persone a più alto rischio di discriminazione o esclusione sociale, gli interventi previsti nell’ambito dell’Obiettivo Tematico 9, ai quali si rimanda, rispondono alla logica della presa in carico multidimensionale e dell’approccio integrato nella predisposizione di interventi finalizzati all’inclusione sociale e all’inserimento lavorativo. Nell’attuazione di tale approccio si identificano quali soggetti
16 Swd(2014) 190 final, Commission staff working document, Action plan accompanying the document Communication from the commission to the European Parliament, the Council, the European economic and social Committee and the Committee of the regions concerning the European Union Strategy for the Adriatic and Ionian Region
particolarmente vulnerabili (a più alto rischio di discriminazione e esclusione sociale): le persone con disabilità ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 68/1999; persone svantaggiate, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge n. 381/1991; vittime di violenza o grave sfruttamento e a rischio di discriminazione, minori stranieri non accompagnati prossimi alla maggiore età, beneficiari di protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria; altri soggetti presi in carico dai servizi sociali. In particolare, con riferimento alle persone con disabilità è prevista la definizione di progetti personalizzati, finalizzati all’inserimento lavorativo, con particolare riferimento all’utilizzo del modello ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), nonché il sostegno alle imprese per progetti integrati per l’assunzione, l’adattamento degli ambienti di lavoro, la valorizzazione delle diversità nei luoghi di lavoro.
Per quanto riguarda le aree particolarmente colpite dalla povertà il criterio di riparto sub territoriale delle risorse dedicate al Sostegno per l’inclusione attiva – SIA (cfr. Obiettivo Tematico 9) terrà conto di indicatori relativi alle condizioni economiche e sociali dei territori.
Una particolare attenzione va dedicata alle aree nella quali la deprivazione economica si associa a particolari condizioni di degrado sociale e ad alti tassi di illegalità. Interventi specificatamente rivolti a queste aree sono previsti nell’Agenda urbana e nelle azioni regionali e nzionali relative alla promozione della legalità a fini di inclusione sociale. Inoltre, potranno essere realizzati anche con riferimento alla progettazione integrata, interventi di sviluppo locale realizzati dalla collettività, con riferimento all’obiettivo di favorire la legalità nelle aree ad alta esclusione sociale e migliorare il tessuto urbano nelle aree a basso tasso di legalità, riconoscendo nella legalità un fattore chiave di sviluppo sociale ed economico in particolari contesti territoriali.
3.1.6 APPROCCIO INTEGRATO VOLTO AD AFFRONTARE LE SFIDE DEMOGRAFICHE DELLE REGIONI O A RISPONDERE A ESIGENZE SPECIFICHE DI AREE GEOGRAFICHE CARATTERIZZATE DA GRAVI E PERMANENTI SVANTAGGI NATURALI O DEMOGRAFICI DI CUI ALL’ART. 174 DEL TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA (OVE APPROPRIATO)
Il perseguimento dell’obiettivo di coesione territoriale volto a rallentare il fenomeno dello spopolamento delle Aree interne è presente nella “Strategia Nazionale per le Aree Interne del Paese” – parte integrante del Piano Nazionale di Riforma. A tale obiettivo concorrono i diversi Fondi SIE, secondo un approccio proprio a ciascun Fondo e sulla base dell’analisi dei fabbisogni specifici individuati nell’ambito di ciascun Programma, attraverso un metodo di intervento integrato rivolto al recupero e alla valorizzazione delle potenzialità presenti anche nelle aree marginalizzate e critiche per la tenuta complessiva del territorio nazionale e dei percorsi di sviluppo equilibrato, tendenzialmente sempre meno presidiate e curate da comunità locali attive.
Per contrastare e invertire i fenomeni di spopolamento in queste aree, si intende agire attraverso progetti di sviluppo locale (area di intervento privilegiata per i Fondi europei), integrati da un intervento nazionale (finanziato con Legge di Stabilità 2014) volto ad assicurare alle comunità coinvolte un miglioramento dei servizi essenziali di istruzione, salute e mobilità. Tale miglioramento è necessario per garantire opportunità di vita tali da mantenere e attrarre una popolazione di dimensioni adeguate al presidio del territorio.
In questi territori, il miglioramento dell’organizzazione e della fruizione di tali servizi costituisce una precondizione per lo sviluppo, l’occasione per il radicamento di nuove attività economiche, nonché un fattore essenziale per l’effettivo successo dei progetti di sviluppo locale supportati dalle politiche della programmazione dei fondi comunitari.
Gli obiettivi per lo sviluppo delle Aree Interne del Paese (cfr. Sezione 1.5.4) saranno perseguiti con due classi di azioni congiunte relative a:
I. progetti di sviluppo locale;
II. adeguamento della qualità/quantità dell’offerta dei servizi essenziali.
Il complesso dell’intervento pubblico nelle aree interne può essere distinto in tre blocchi, i primi due corrispondenti alle due classi di azioni finanziate dalla Strategia:
I. le azioni pubbliche specifiche destinate a “Progetti di sviluppo locale” finanziate prioritariamente dai Programmi regionali 2014-2020 cofinanziati dai fondi comunitari (nonché, ogni volta che sia possibile, con il Fondo di Sviluppo e Coesione) in base al quadro strategico esplicitato per le Aree interne nel Programma Nazionale di Riforma e – all’interno di tale inquadramento – alle priorità specifiche individuate nei programmi;
II. interventi di politiche settoriali ordinarie (definite a più livelli di responsabilità, nazionali e regionali), finanziate primariamente con risorse ordinarie addizionali (cfr. Legge di stabilità 2014, art. 1, commi 13-17), per l’adeguamento dell’offerta dei servizi essenziali di istruzione, salute e mobilità realizzati sugli stessi territori interessati dai “Progetti di sviluppo locale”;
III. eventuali ulteriori misure nazionali, di tipo fiscale, assicurativo o di altra natura su cui da più parti sono pervenute sollecitazioni fondate e che vanno rese attuali quali strumenti operativi complementari, e forse essenziali, al successo della strategia.
Per perseguire gli obiettivi della strategia, l’intervento avrà carattere di azione collettiva nazionale e vedrà dunque convergere l’azione di tutti i livelli di governo, dei diversi fondi europei disponibili e dell’intervento ordinario di Comuni (in forma associata), Regioni e Stato centrale.
Prima classe di azioni: progetti di sviluppo locale
Perché la strategia per le Aree Interne, in stretta connessione con la strategia di intervento nelle aree rurali, possa tradursi in interventi capaci di innescare processi di sviluppo è necessario partire dai fabbisogni identificati nelle aree di intervento dei programmi dei Fondi SIE e sulla base della loro differenziazione sul territorio. I fabbisogni di intervento saranno individuati nei Programmi sulla base delle specificità di tali aree e a seguito dell’analisi che verrà effettuata secondo una metodologia comune basata su evidenze oggettive di problemi e opportunità, tenendo conto delle tendenze in atto in assenza di interventi.
L’intervento per innescare processi di sviluppo nelle Aree Interne sarà focalizzato dunque su tali “specificità”, su fattori latenti di sviluppo e su temi catalizzatori e di grande rilevanza, legati anche (ma non solo) alle consistenti potenzialità di risorse “nascoste e non ancora valorizzate” che esistono in queste aree. Per essere efficace tale intervento terrà in debito conto l’analisi della domanda di mercato per individuare quella in grado di generare i processi di sviluppo desiderati, nell’ambito dei fabbisogni e potenzialità individuati in tali aree nel quadro dei rispettivi Programmi.
Esistono certamente anche realtà produttive già localizzate in alcune aree interne che, con un certo grado di successo, servono i mercati globali con prodotti industriali non collegati ai saperi locali. Queste realtà, che non costituiscono la norma, sono considerate nella strategia come alleati co-interessati al
miglioramento delle condizioni socio-ambientali del territorio e di benessere dei suoi residenti. La politica di supporto alla competitività ed alla capacità adattiva di queste realtà produttive esula dalla missione primaria della strategia per le aree interne, che invece guarda con attenzione a questi presìdi, dove presenti, per la forza modernizzatrice che essi rappresentano a livello locale. Le rilevanti presenze industriali operanti in settori competitivi aperti possono contribuire ai progetti di sviluppo delle aree interne attraverso risorse proprie, soprattutto umane a carattere innovativo, nel caso in cui esse decidano di guardare al territorio che le ospita, prendendosi in carico una parte delle responsabilità delle azioni necessarie per il cambiamento di quel territorio.
La strategia di intervento nelle aree interne si concentrerà su temi limitati su cui sarà focalizzato l’intervento di sviluppo locale, in relazione alla missione dei singoli Fondi e alla luce dei fabbisogni e potenzialità di intervento individuati nei singoli programmi. Tenuto conto dell’analisi effettuata, che sarà riportata nei Programmi a giustificazione delle scelte di intervento delle singole Regioni, i temi sui quali focalizzare i progetti di sviluppo locale potranno riguardare, anche se in maniera non esaustiva:
1) tutela del territorio e comunità locali;
2) valorizzazione delle risorse naturali, culturali e del turismo sostenibile;
3) sistemi agro-alimentari e sviluppo locale;
4) risparmio energetico e filiere locali di energia rinnovabile;
5) saper fare e artigianato.
I temi specifici verranno individuati a loro volta nei Programmi in relazione ai fabbisogni enucleati nella diagnosi delle aree interne e in modo concertato tra i diversi Fondi, con il supporto e l’accompagnamento del Comitato Aree Interne. Tali interventi saranno a valere su tutti i Fondi Comunitari (FESR, FSE e FEASR), ciascuno nel rispetto delle proprie regole in termini di priorità di investimento. Per quanto riguarda gli interventi dei Programmi di sviluppo rurale, le azioni relative alle aree interne si inseriranno nell’ambito degli interventi a favore dello sviluppo territoriale equilibrato delle economie e delle comunità rurali, in modo tale da sostenere quelle aree rurali più bisognose di un’azione di riequilibrio territoriale.
Seconda classe di azioni: adeguare i servizi essenziali: istruzione, salute e mobilità
Se nelle aree interne non sono soddisfatti i servizi “essenziali” di cittadinanza, in queste aree non si può vivere e quindi non è immaginabile alcuna sostenibilità a lungo termine dei progetti promossi, se considerati isolatamente dal contesto complessivo dell’organizzazione di vita delle comunità interessate.
Si pone, in primo luogo, una rilevantissima questione di diritto di cittadinanza se una quota importante della popolazione ha difficoltà ad accedere a scuole in cui i livelli di apprendimento e la qualità degli insegnanti sia equivalente a quella garantita nei maggiori centri urbani, a presidi sanitari capaci di garantire i servizi sanitari essenziali (pronto-soccorso, emergenze, punti parto, trasfusioni) e a sistemi di mobilità interna ed esterna adeguati.
In secondo luogo, si entra in un circolo vizioso di marginalità per cui all’emorragia demografica segue un processo di continua rarefazione dei servizi stessi e si pregiudica ogni effetto duraturo della prima classe di azioni.
Il tema della cittadinanza è condizione necessaria alla prospettiva di sviluppo: se in queste aree non sono garantiti i servizi di base, se non se ne monitorano i livelli essenziali e la qualità dell’offerta, è inutile investire in strategie di sviluppo e progettualità. L’intervento della politica ordinaria, in linea con quanto descritto, sarà parte indispensabile e irrinunciabile della strategia e sarà collegato a ciascuna delle iniziative progettuali e strategiche in favore delle Aree Interne realizzate dalla politica regionale e di sviluppo rurale.
A queste azioni sono stati destinati finanziamenti nazionali ad hoc dalla Legge di stabilità in favore delle Aree Interne (cfr. Legge di stabilità 2014, art. 1, commi 13-17)17, finanziamenti che verranno rinnovati sulla base di una valutazione dell’avanzamento della strategia. In aggiunta a questo, potranno anche prevedersi interventi dei fondi comunitari ove ne ricorrano i presupposti per le tipologie di attività comunque previste dall’Accordo di Partenariato e nei limiti di ammissibilità. La finalità di ciascuno di questi interventi rimane quella del sostegno allo sviluppo autonomo, a garanzia di un diritto di cittadinanza effettivamente pieno in termini di qualità della vita e di prospettive di reddito.
L’intervento della politica ordinaria si articolerà quindi in due direzioni:
- a ciascuna filiera dell’offerta dei diversi servizi essenziali sarà garantito un monitoraggio della rete dei servizi, delle diverse soluzioni per l’offerta, delle modalità di accesso e della qualità ottenuta in termini di esiti che queste diverse soluzioni garantiscono sui cittadini;
- per ogni area in cui si interverrà saranno individuate, sulla base della ricognizione dei fabbisogni e delle criticità, le necessarie soluzioni di ribilanciamento nell’offerta programmata dei servizi di base e di incentivo per gli operatori a prestare servizio in queste aree (ad esempio la migliore distribuzione possibile dei plessi scolastici e/o l’apertura di una nuova scuola), anche ricorrendo, quando necessario, a soluzioni innovative per l’offerta dei servizi stessi (come l’utilizzo della telemedicina e la previsione di diagnostica mobile, per la salute).
Il prevalere nelle Aree Interne di Comuni di piccole dimensioni – che nelle aree periferiche costituiscono fino all’86 per cento del totale – implica che un’organizzazione in forma associata (formalizzata in varie forme) e/o consorziata dei Comuni è requisito indispensabile per l’organizzazione dei servizi sul territorio. La programmazione comunitaria in materia di aree interne rappresenta un’occasione unica di spinta a coniugare azioni di sviluppo locale e una gestione associata dei servizi. Questa associazione tra Comuni potrà assumere forme e ampiezza diverse a seconda della natura del servizio preso in considerazione. In alcuni casi – come ad esempio quello della mobilità interna – la scala potrà superare l’associazione dei Comuni e arrivare a una dimensione più ampia, come quella della provincia. In ogni caso, l’esistenza di associazioni adeguate o la previsione di nuove associazioni secondo scadenze pre-stabilite e cogenti sono condizioni indispensabili dell’intervento.
Organizzazione dell’azione
L’attuazione operativa della strategia si articolerà in due fondamentali fasi, che in sequenza possiamo elencare nel modo seguente:
- l’individuazione delle aree nelle quali concentrare l’intervento e l’inserimento delle aree nella programmazione dei Fondi SIE;
17 Il riparto del finanziamento previsto nella Legge di stabilità verrà deciso con Delibera CIPE.
- la preparazione dei Progetti di area e la realizzazione degli interventi da parte delle Autorità di Gestione dei programmi per quanto riguarda i Fondi SIE, nell’ambito del meccanismo attuativo dell’Accordo di Programma Quadro che coprirà anche gli interventi realizzati con altre fonti finanziarie.
Le aree su cui concentrare gli interventi verranno individuate sulla base di indicatori di natura oggettiva, specifici, pertinenti e coerenti con la missione dei Fondi SIE, nell’ambito dei Programmi a seguito dell’analisi dei fabbisogni e delle tendenze in atto. Tali indicatori saranno esplicitati in tutti i programmi SIE nella parte di analisi del contesto e dei fabbisogni, con l’ausilio di un sistema di indicatori denominato “Diagnosi aree progetto”, e nella parte di descrizione delle strategie del Programma. Verrà impiegata una procedura di istruttoria e selezione pubblica effettuata in modo congiunto dalle Regioni, sotto la responsabilità delle Autorità di Gestione dei programmi, e dallo Stato, attraverso il Comitato tecnico aree interne. Tale procedura, che sarà resa pubblica, è basata sull’applicazione di un sistema oggettivo e condiviso di indicatori demografici, economici, sociali e ambientali, raccolti anche attraverso analisi di campo.
Le aree interne da selezionare dovranno avere le seguente caratteristiche:
- appartenere alla classificazione delle aree interne così come definita dalla mappatura nazionale, assicurando adeguata concentrazione territoriale degli interventi, con priorità a zone periferiche e ultraperiferiche (ovvero a zone rurali di tipo C e D per gli interventi a carico del FEASR);
- presentare valori di criticità negli indicatori demografici, economici, sociali o ambientali, indicatori che evidenzino come queste aree abbiano attraversato, anche nel periodo più recente, maggiori problematiche rispetto alle altre aree regionali e tali da consentire adeguata concentrazione territoriale degli interventi.
Nell’ambito di tali aree i soggetti proponenti selezionati dovranno:
- promuovere (o impegnarsi a promuovere) Unioni o Associazioni di servizi effettive, che comprendano un numero sufficientemente elevato di comuni;
- dimostrare una adeguata capacità nel campo della progettazione dello sviluppo locale e aver costituito forme di partenariato per l’attuazione di tale progettazione (attraverso la partecipazione dei Comuni a enti/istituzioni locali quali Parchi, Comunità montane, GAL, distretti, contratti di fiume ecc.).
Nell’ambito di tali aree le operazioni che si riferiscono ai Fondi SIE saranno selezionate sotto la responsabilità delle Autorità di Gestione dei programmi secondo le regole applicabili ai singoli Fondi.
Nello specifico, l’analisi a supporto dell’individuazione delle aree interne su cui concentrare gli interventi prevede una attenta ricognizione che prenda in considerazione i seguenti dati:
- dati di base (tipologie di aree e demografia) e prime informazioni disponibili a livello regionale (l’analisi è effettuata in collaborazione tra la Regione interessata e il Comitato nazionale aree interne);
- dati elaborati ad hoc riguardanti i servizi dell’istruzione, della salute e della mobilità, le dotazioni agro-alimentari, turistiche, culturali e naturali;
- ulteriori informazioni emergenti da incontri partenariali sul territorio della delegazione tecnica di Stato e Regioni con i Comuni e il partenariato socio-economico rilevante.
L’attuazione della strategia dovrà pertanto essere tale da garantire apprendimento sequenziale, trasparente disponibilità delle informazioni e opportune sedi di confronto, nella logica piena del Codice europeo di condotta sul partenariato. Riguarderà, pertanto, un numero limitato di aree (aree-progetto) e verrà avviato inizialmente di norma con una sola area per ogni Regione o Provincia Autonoma. In una seconda fase l’intervento potrà essere allargato alle altre aree selezionate. A livello attuativo la strategia per le aree interne prevede tempi certi per l’attuazione e si doterà di un cogente e aperto monitoraggio dei “risultati attesi”, attraverso opportuni indicatori, e di un confronto delle esperienze realizzate, applicando in modo rafforzato gli indirizzi del nuovo Regolamento UE 1303/2013 (in particolare; art. 96, comma 2, b, ii; art. 114 comma 2).
Con la cooperazione dell’Istituto nazionale di statistica, verrà inoltre assicurato l’aggiornamento continuo delle statistiche alla base della costruzione della cartografia di riferimento per le aree di interesse della Strategia Aree Interne e per gli indicatori rilevanti ai processi di identificazione specifica delle aree oggetto di intervento.
La partecipazione dei diversi Fondi e il ruolo dei diversi livelli istituzionali
Per le aree interne selezionate, il finanziamento degli interventi di sviluppo locale riguarderà tutti i fondi comunitari (FESR, FSE, FEASR), nel rispetto delle loro competenze, e sarà integrato da due condizioni vincolanti, che troveranno puntuale riferimento in accordi espliciti (Accordi di Programma Quadro appartenenti alla strumentazione nazionale) fra Enti locali, Regioni e Amministrazioni centrali.
Ne sono possibili esempi: la riorganizzazione dei plessi scolastici, ovvero la realizzazione di nuovi plessi di qualità in posizione baricentrica nell’area in sostituzione di plessi antiquati e inefficienti nelle singole località; la riorganizzazione dell’offerta sanitaria in modo da assicurare a tutti i residenti rapidità dei servizi di emergenza e avvicinamento di servizio e pazienti per la diagnostica; l’adeguamento dei servizi di trasporto, con particolare attenzione all’accessibilità alla rete ferroviaria.
Allo stesso tempo, le Amministrazioni centrali istituiranno – nell’ambito delle attività del Comitato Tecnico Aree Interne – un monitoraggio aperto delle caratteristiche e dell’efficacia dei servizi, anche finalizzato alla verifica dell’impatto prevedibile delle misure di razionalizzazione e rafforzamento adottate.
Quanto ai Comuni partecipanti a ogni area-progetto, essi realizzeranno (se non già esistenti), forme appropriate di associazione di servizi (anche unioni o fusioni) funzionali al raggiungimento dei risultati di
18 Data la loro natura distrettuale dell’offerta dei servizi alla persona – fatto salvo il parere positivo del Comitato tecnico nazionale aree interne - la perimetrazione di questi interventi potrebbe eccezionalmente non coincidere con quella specifica dell’area selezionata.
lungo periodo degli interventi collegati alla strategia e tali da allineare pienamente la loro azione ordinaria con i progetti di sviluppo locale finanziati.
Le Regioni gestiscono i Programmi Operativi Regionali e i Programmi di Sviluppo Rurale e, pertanto, inseriscono le aree di intervento in questo quadro programmatico e diventano i primi finanziatori delle iniziative della strategia condivisa. In particolare le Regioni – per la loro vicinanza ai territori e per il fatto di avere responsabilità ordinarie in materie decisive per la realizzazione della strategia (oltre alla gestione dei programmi regionali, programmazione territoriale generale e salute), avviano la selezione, propongono le aree di intervento e definiscono nei propri programmi le linee generali delle proprie specifiche strategie d’area, sulla base della procedura di istruttoria e dei criteri condivisi. I criteri per l’individuazione delle aree di intervento e/o le aree individuate, come già evidenziato in precedenza, dovranno essere indicati nei diversi programmi (POR FESR, POR FSE e PSR) e giustificati sulla base dei maggiori fabbisogni rispetto alle altre aree secondo le specificità dei singoli Fondi.
Per ciò che riguarda il contributo del FEASR, le politiche di sviluppo rurale potranno intervenire esclusivamente nelle aree rurali e in particolare in quei comuni classificati come appartenenti alle aree C e D della zonizzazione FEASR. Ciò al fine di concentrare i fondi FEASR nelle aree che presentano particolari e maggiori criticità nello sviluppo. Gli interventi e il relativo peso finanziario degli stessi saranno programmati in modo da garantire la non discriminazione dei potenziali beneficiari.
Le Regioni, inoltre, definiscono all’interno dei POR e dei PSR l’ammontare di risorse dei Fondi (FESR, FSE e FEASR) da destinare all’attuazione di interventi per la strategia, gli obiettivi strategici specifici che intendono perseguire, le modalità di individuazione delle risorse finanziarie mobilitate da ciascun Programma interessato (ad esempio in percentuali dedicate e variabili, a valere sulle diverse priorità o assegnazione attraverso ITI (cfr. Sezione 3.1.2) e un chiaro riferimento alla tempistica di attuazione dei progetti stessi.
Per la programmazione dell’intervento in favore delle aree interne, l’ITI è lo strumento maggiormente indicato, ma non esclusivo, per la sua natura di strumento di programmazione che agevola lo stanziamento di fondi diversi, anche appostati su Programmi differenti e su priorità d’area chiaramente definite. L’ITI dovrà indicare: le aree d’intervento individuate, i criteri utilizzati per la loro individuazione i diversi Fondi coinvolti e il finanziamento totale in favore dell’insieme delle aree interne di una regione. Eventualmente si intenda utilizzare lo strumento del CLLD, occorrerà indicarlo sia nei Programmi sia nella descrizione dell’ITI (cfr. Sezione 3.1).
Le modalità con cui il FESR e il FSE possono contribuire alla strategia per le aree interne sono fondamentalmente:
- la concentrazione di parte delle risorse previste dagli Obiettivi Tematici dei PO – in maniera coerente con gli ambiti selezionati dalla Strategia aree interne e i fabbisogni dei territori – sulle aree selezionate;
- il ricorso all’ITI per assicurare il perseguimento di priorità strategiche territoriali specifiche e l’integrazione con gli altri fondi comunitari;
- una riserva finanziaria specifica per le aree interne all’interno dei bandi relativi all’intero territorio. Le modalità con cui il FEASR può contribuire alla strategia per le aree interne sono fondamentalmente:
- la concentrazione di specifiche misure o di combinazioni di misure per le aree interne, in coerenza con l’analisi dei fabbisogni di ciascun PSR e in modo tale da garantire una priorità per le aree interne selezionate;
- l’utilizzo del CLLD o di progetti pilota previsti dall’art. 35 (cooperazione) del regolamento sullo sviluppo rurale, selezionati secondi le disposizioni pertinenti della regolamentazione sullo sviluppo rurale;
- una riserva finanziaria specifica per le aree interne all’interno dei bandi relativi all’intero territorio.
I Comuni costituiscono l’unità di base del processo di decisione politica e in forma di aggregazione di comuni contigui – sistemi locali intercomunali – sono partner privilegiati per la definizione della strategia di sviluppo d’area e per la realizzazione dei progetti di sviluppo. Per alcuni servizi che richiedono una “visione di area vasta” e che sono di loro competenza – come ad esempio la mobilità – anche le Province costituiscono un interlocutore rilevante nell’ottica della governance multilivello.
Inoltre, il prevalere nelle Aree Interne di Comuni di piccole dimensioni implica che un’organizzazione in forma associata (sia questa più o meno formalizzata) e/o consortile dei Comuni è fondamentale per l’organizzazione efficiente dei servizi sul territorio. I Comuni, che parteciperanno, in forma associata, alla strategia operativa, dovranno pertanto provare di essere in grado di guardare oltre i propri confini, attraverso la gestione associata di servizi essenziali di funzionalità per la strategia stessa (ovvero processi di fusione).
Nelle aree individuate secondo le modalità sopra descritte ed in ogni Regione, sarà avviata la strategia di intervento il cui processo complessivo sarà sostenuto e coordinato dal Centro19, garantendo la coerenza dei criteri adottati. In questo ambito, il Centro definisce e realizza, di intesa con le Regioni, gli interventi di adeguamento dei servizi per l’istruzione di propria competenza, assicura la verifica in itinere dell’attuazione della strategia, promuove il confronto e l’apprendimento dalle esperienze in atto garantendo l’operatività della Federazione delle Aree-Progetto. Realizza, ove opportuno, una specifica (e limitata) attività progettuale di carattere sperimentale e di metodo.
Centro e Regioni – assieme – garantiscono una politica ordinaria coerente nel campo dell’offerta, della gestione e della qualità dei servizi della salute, dell’istruzione e della mobilità.
19 Si denomina “Centro” l’insieme di responsabilità centrali che collaboreranno in maniera congiunta per fornire alla strategia la garanzia e lo sforzo di un’attenzione di ‘sguardo nazionale’ a beneficio delle comunità territoriali interessate e per l’interlocuzione stabile e costruttiva con le responsabilità regionali e con quelle territoriali intermedie.
Il meccanismo attuativo: l’Accordo di Programma Quadro
La Strategia Aree Interne si concretizza attraverso l’individuazione di progetti integrati d’Area, aventi ad oggetto uno o più ambiti di intervento. Lo strumento per inquadrare l’attuazione della Strategia d’Area e per assumere impegni puntuali (nella descrizione progettuale, nel funzionamento e nelle scadenze) fra Regioni, Centro, Enti locali, è l’Accordo di Programma Quadro (APQ) – sottoscritto dalle Regioni, dagli Enti Locali, dall’Amministrazione Centrale di Coordinamento e dalle altre Amministrazioni competenti per materia. Il ricorso all’APQ è necessario in quanto consente la collaborazione con i referenti e i presidi che, a livello locale, regionale e centrale, gestiscono i temi oggetto dell’intervento – e simultaneamente garantisce il legame con i temi che costituiscono i pre-requisiti di riferimento.
Le Regioni potranno favorire la partecipazione di attori rilevanti, soggetti pubblici e privati ricorrendo anche allo strumento del CLLD. In tal caso il GAL interessato parteciperà attraverso modalità opportune agli impegni dell’APQ per le azioni rilevanti comprese nel piano di sviluppo locale, concorrendo agli obiettivi della strategia. Il ricorso al CLLD è particolarmente indicato per quei progetti d’Area che – non coinvolgendo un numero elevato di Comuni – intendono arruolare forze e competenze del settore privato, individuando nelle Comunità locali i soggetti portanti del cambiamento.
La Federazione delle aree-progetto
Le Aree-progetto entreranno a far parte di una Federazione di progetti per le aree interne che offrirà molteplici servizi: monitoraggio e valutazione in itinere del rispetto dei tempi previsti e degli esiti; confronto e assistenza in merito alle criticità; accesso a una banca dati delle pratiche; condivisione dei progressi nel sistema degli indicatori; confronto con le azioni di politica ordinaria.
La Federazione Aree Interne serve a promuovere e facilitare il raggiungimento dei risultati della strategia attraverso la condivisione e la messa in comune di esperienze che facciano proprie e rendano note le istanze di metodo e di merito della strategia. Ciò è possibile non già individuando una figura sovra- ordinata, ma attraverso la costituzione di una “federazione di progetti”. Questa scelta implica la possibilità di costruire e quindi di disporre di una piattaforma di conoscenze e competenze.
Per la partecipazione alla federazione, non sarà rilevante il fondo di finanziamento per i progetti che partecipano: si tratta quindi di progetti che potranno essere finanziati dalla politica regionale (POR), agricola e di sviluppo rurale (PSR), con il fondo nazionale di sviluppo e coesione (FSC) ma anche da finanziamenti ordinari attinenti ad altre politiche settoriali. Non si tratta del vecchio concetto di assistenza tecnica ma piuttosto di una piattaforma di confronto. Il maggior portato di questo strumento è far uscire i singoli progetti dalle esperienze isolate al fine di far progredire nel tempo la capacità dei protagonisti di attuare e innovare la strategia.
La Federazione servirà anche a garantire lo scambio di esperienze tra progetti che concorrono ad un medesimo obiettivo in favore dello sviluppo delle Aree Interne. La Federazione potrà contare su una infrastruttura di riferimento in cui i progetti potranno collocarsi e rendersi visibili e di competenze specifiche con cui i protagonisti dei progetti potranno interagire. In breve la Federazione consentirà agli attori di:
- fruire di servizi di know how rilevanti (metodi di analisi territoriale, statistiche e mappe, metodi di valutazione, capacità di gestione e valutazione progettuale, ecc.);
- entrare in un circuito di informazione e fruire dell’effetto reputazione di partecipazione alla Federazione;
- avere occasioni di confronto e conoscenza reciproca su questioni chiave per lo sviluppo delle Aree Interne;
- creare occasioni di scambio/gemellaggio con aree impegnate su obiettivi simili;
- effettuare attività di comunicazione della Strategia sui territori.
4. MODALITÀ PER GARANTIRE L’EFFICACE ATTUAZIONE DEI FONDI SIE
4.1 VALUTAZIONE DEI SISTEMI ESISTENTI PER LO SCAMBIO ELETTRONICO DI DATI E SINTESI DELLE AZIONI PIANIFICATE PER CONSENTIRE GRADUALMENTE CHE TUTTI GLI SCAMBI DI INFORMAZIONI TRA I BENEFICIARI E LE AUTORITÀ RESPONSABILI DELLA GESTIONE E DEL CONTROLLO DEI PROGRAMMI AVVENGANO MEDIANTE LO SCAMBIO ELETTRONICO DI DATI
La programmazione 2007-2013 è stata caratterizzata da un forte tentativo di approccio programmatico strategico e di raccordo organico della politica di coesione comunitaria con le strategie nazionali. Questo ha reso necessario un rafforzamento dei sistemi informativi utilizzati dalle Amministrazioni responsabili per la gestione e il controllo dei Programmi, volto a garantire oltre alla sistematica raccolta dei dati di realizzazione degli interventi anche al fine di misurarne l’avanzamento, dal punto di vista finanziario, fisico e procedurale, anche l’alimentazione del Sistema nazionale di monitoraggio unitario attraverso specifici protocolli di colloquio basati su web services e su un tracciato dati comune e condiviso con tutte le Amministrazioni.
I sistemi locali in utilizzo, essendo realizzati su una architettura web, possono essere alimentati direttamente dai beneficiari degli interventi e in alcuni casi già prevedono, insieme allo scambio di dati in forma strutturata, anche lo scambio in formato documentale di informazioni funzionali all’attuazione dei Programmi. Già nel periodo di programmazione 2007-2013 dunque, per buona parte dei sistemi in uso presso le Autorità di Gestione, è stato possibile rispettare il principio del “single-input” da parte dei beneficiari.
Lo scambio di informazioni così strutturato ha consentito di conoscere in tempo reale lo stato di avanzamento dei progetti e del relativo iter procedurale, di supportare con dati certi eventuali scelte di riprogrammazione economica e di riallocazione delle risorse e di avere, a livello nazionale, maggiore consapevolezza delle problematiche riguardanti la fase realizzativa.
Nel ciclo 2014-2020, le Amministrazioni titolari dei Programmi devono in alcuni casi migliorare e completare i sistemi informativi, in altri casi predisporre apposite interfacce, con l’obiettivo di raggiungere la complessiva integrazione del flusso informativo, in formato esclusivamente elettronico, dal beneficiario alla Commissione europea, compresi tutti i necessari passaggi intermedi in capo alle diverse Autorità responsabili della gestione e del controllo. Tale integrazione deve coprire tutta la filiera informativa, dalla proposta di ammissione di finanziamento fino alla chiusura dei progetti, permettendo ai beneficiari di inviare e ricevere dati e documenti relativi alla gestione, alla sorveglianza e al controllo, alla certificazione delle spese, alla valutazione.
I sistemi delle Autorità di Gestione devono rispettare il dettato dell’art. 122 comma 3 del Regolamento (UE) 1303/2013, che prescrive che “Gli Stati membri garantiscono che entro il 31 dicembre 2015 tutti gli scambi di informazioni tra beneficiari e un'autorità di gestione, un'autorità di certificazione, un'autorità di audit e organismi intermedi possano essere effettuati mediante sistemi di scambio elettronico di dati” nonché quanto previsto dall’art. 125, comma 2, lettera d), con particolare riferimento alla affidabilità dei sistemi stessi che contengano tutte le informazioni necessarie per la gestione, il controllo e la valutazione dell’attuazione del Programma, garantendo che le informazioni siano fornite una sola volta dal soggetto beneficiario.
La definizione delle modalità tecnico-operative per il rispetto delle predette disposizioni regolamentari è oggetto di accordo tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze RGS-IGRUE (che coordina il Sistema nazionale di monitoraggio unitario) e le altre Amministrazioni interessate.
A livello centrale, il Sistema nazionale di monitoraggio unitario 2014-2020 è impostato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze RGS-IGRUE in continuità evolutiva rispetto al Sistema di monitoraggio unitario 2007-2013, in coordinamento tecnico con il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, le Amministrazioni Centrali capofila per fondo e le stesse Amministrazioni titolari dei Programmi. I requisiti di base applicabili al Sistema di monitoraggio unitario 2014-2020, pertanto, sono in parte una conferma di caratteristiche già esistenti, in parte ne costituiscono un rafforzamento e in alcuni casi rappresentano innovazioni volte a garantire una migliore conoscenza dell’attuazione delle politiche:
- rilevazione dei dati a livello di singola operazione, effettuata mediante sistemi informativi gestionali in uso presso ciascuna Autorità di Gestione;
- rilevazione dei dati afferenti tutti gli interventi della politica di coesione finanziata con risorse comunitarie e nazionali;
- standardizzazione delle modalità e dei contenuti delle rilevazioni anche attraverso vademecum e glossari condivisi;
- riferimento univoco delle informazioni per tutte le esigenze di elaborazioni/rapporti ufficiali riguardanti lo stato di avanzamento dei programmi operativi;
- rilevazione dei dati afferenti tutti i fondi UE 2014-2020 – fondi strutturali, FEASR, FEAMP –
mediante un tracciato informatico comune;
- collegamento tra i dati di pagamento dei singoli progetti risultanti dal monitoraggio con la certificazione delle spese all’UE.
Ai fini della definizione del tracciato unico del Sistema di monitoraggio unitario 2014-2020 è già operativo un Gruppo di lavoro che coinvolge le Amministrazioni centrali capofila per fondo e che ha come scopo la definizione del contenuto del set informativo comune da raccogliere sul sistema centrale per tutti i Programmi comunitari e nazionali afferenti la politica di coesione.
Inoltre, con delibera CIPE n. 124/2012 è stato costituito anche un Tavolo di lavoro fra le Amministrazioni, sia centrali che regionali, titolari di Sistemi di monitoraggio, per la razionalizzazione del complesso delle informazioni rilevate, l’emanazione di linee guida per la semplificazione amministrativa, il contenimento dei costi di progettazione e la facilitazione del confronto dei dati per una più efficiente interoperabilità delle banche dati nazionali e regionali.
20 Tra i sistemi anagrafici di riferimento si evidenziano il sistema indice CUP, con cui il sistema di monitoraggio unitario 2007-2013 ha già attivato una connessione, i codici comunali ISTAT, per la verifica delle localizzazioni, la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC, ex Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture), per i contratti attraverso cui vengono realizzati i progetti, l’anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita a partire dal 2014 sempre presso l’ANAC (art. 33 ter della legge n. 221/2012), i sistemi dell’Agenzia delle Entrate e/o il registro delle imprese per l’identificazione univoca dei soggetti che sono correlati con vari ruoli ai progetti.
4.2 MODALITÀ PER GARANTIRE LA TRASPARENZA E LA DISPONIBILITÀ PUBBLICA DI DATI E INFORMAZIONI SU TUTTI PROGRAMMI COFINANZIATI DAI FONDI SIE, AI SENSI DELL’ART. 115 DEL REGOLAMENTO GENERALE
Portale OpenCoesione
L’Italia – al fine di garantire una comunicazione trasparente ed efficace sulle politiche attuate in Italia mediante i programmi cofinanziati dai Fondi SIE (FESR, FSE, FEASR, FEAMP), nonché i programmi complementari alla politica di coesione dell’UE, così come indicato anche dall’art. 115 del Regolamento (UE) 1303/2013 che richiede la disponibilità di un sito o portale web unico con informazioni su tutti i Programmi Operativi di uno Stato membro con dati, di periodicità almeno trimestrale, sugli interventi e sui relativi beneficiari – intende rafforzare l’iniziativa nazionale OpenCoesione avviata nel 2012 dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (DPS), in collaborazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze RGS-IGRUE, con le Autorità responsabili a livello nazionale della gestione dei Fondi, e con il contributo operativo di tutte le Amministrazioni coinvolte nell’attuazione degli interventi.
Il portale OpenCoesione (xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx.xx) assicura la pubblicazione, con cadenza bimestrale ed in formato aperto, dei dati del Sistema nazionale di monitoraggio unitario sui singoli progetti relativi a tutti i programmi cofinanziati dai Fondi SIE, nonché i programmi complementari alla Politica di coesione dell’UE che costituiscono parte integrante del processo di programmazione pluriennale approvato con l’Accordo di Partenariato 2014-2020. Il portale fornisce inoltre dettagli su risorse, avanzamento finanziario, luoghi e ambiti tematici, soggetti coinvolti, tempi di realizzazione e indicatori di output, assumendo il ruolo di portale unico nazionale e garantendo pertanto la disponibilità dei contenuti richiesti dall’Allegato XII al Regolamento (UE) 1303/2013.
La regolare alimentazione del Sistema di monitoraggio unitario (Cfr. Sezione 4.1 e Allegato II al presente testo) e la disponibilità pubblica su un unico portale nazionale di dati provenienti da tale Sistema consentono inoltre di assicurare, come già indicato nella Sezione 2.4, coerenza e uniformità di trattamento tra Programmi nella definizione e verifica in itinere delle informazioni sull’avanzamento finanziario, fisico e procedurale contenute nel quadro di riferimento per l’efficacia dell’attuazione (performance framework). A tal fine i dati inseriti nel Sistema di monitoraggio unitario, che alimentano le pubblicazioni RGS-IGRUE sull’avanzamento finanziario e il portale OpenCoesione, devono costituire anche la fonte di tutta la documentazione prodotta ufficialmente sull’attuazione dei Programmi, come ad esempio i Rapporti Annuali di Esecuzione (RAE) predisposti dalle Autorità di Gestione dei Programmi.
Il portale OpenCoesione assolve l’obbligo di pubblicazione delle informazioni sugli interventi finanziati e sui beneficiari così come disponibili dal Sistema di monitoraggio unitario 2014-2020. Ciascuna Autorità di Xxxxxxxx può riutilizzare le informazioni pubblicate su OpenCoesione facendo uso degli appositi widget messi a disposizione sul portale nazionale per visualizzare automaticamente sui propri siti istituzionali specifici contenuti, come ad esempio gli elenchi delle operazioni e dei beneficiari, che risultano pertanto costantemente allineati con il portale OpenCoesione.
Le Autorità di Gestione assicurano, invece, la pubblicazione delle informazioni sulle opportunità di finanziamento offerte dai Programmi, su iniziative di consultazione pubblica ed eventuali dati aggiuntivi rispetto a quanto richiesto dal tracciato del Sistema di monitoraggio unitario, notificando ad OpenCoesione, attraverso le opportune modalità per lo scambio elettronico di dati anche in formato aperto, tutti gli aggiornamenti al fine di garantirne evidenza sul portale.
Gruppo Tecnico su qualità e trasparenza dei dati
Al fine di sostenere il processo di miglioramento della qualità dei dati innescato dalla pubblicazione online delle informazioni del monitoraggio, il “Gruppo Tecnico su qualità e trasparenza dei dati”, già istituito nell’ambito del Comitato QSN 2007-2013 come “Gruppo Tecnico per la diffusione e il riutilizzo pubblico di dati e informazioni sugli interventi delle politiche di coesione territoriale”, viene rafforzato per migliorare ulteriormente la collaborazione tra tutte le Amministrazioni che gestiscono Programmi cofinanziati dai Fondi SIE (FESR, FSE, FEASR, FEAMP), nonché programmi complementari alla Politica di coesione dell’UE. Fanno parte del Gruppo Tecnico, coordinato congiuntamente da Dipartimento per lo sviluppo e la coesione (DPS) e Ministero dell’Economia e delle Finanze RGS-IGRUE, rappresentanti designati dalle singole Amministrazioni quali referenti per le attività di monitoraggio e comunicazione.
Il Gruppo Tecnico è la sede di approfondimento di specifiche e articolate problematiche legate ai dati dei sistemi di monitoraggio e alle modalità di comunicazione efficace delle politiche attuate in Italia mediante i programmi cofinanziati dai Fondi SIE, nonché i programmi complementari alla Politica di coesione dell’UE. In particolare, per l’aspetto legato ai dati, il Gruppo Tecnico opera per verificare costantemente la capacità del Sistema di monitoraggio unitario 2014-2020 di monitorare correttamente il complesso degli interventi finanziati, uniformare l’interpretazione delle variabili incluse in tale Sistema, definire standard di pubblicazione e riutilizzo di dati e informazioni non incluse nel tracciato unico. Con riferimento alla comunicazione, nel Gruppo Tecnico si definiscono le opportune modalità di collaborazione tra le Amministrazioni rappresentate, affinché il portale OpenCoesione costituisca lo strumento chiave sia per rappresentare lo stato di attuazione degli interventi finanziati rispetto agli obiettivi prefissati, sia per favorire – attraverso specifiche azioni di “monitoraggio civico” degli interventi stessi – il coinvolgimento e la partecipazione attiva di cittadini, imprese, ricercatori, giornalisti, società civile e partenariato economico- sociale nelle scelte di policy e nella verifica dei risultati ottenuti.