UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Psicologia Generale
Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica Tesi di Laurea Magistrale
Accordo tra paziente-terapeuta nella valutazione dei tratti maladattivi di personalità: uno studio su un gruppo di pazienti con disturbi alimentari
Patient-therapist agreement in the assessment of maladaptive personality traits: a study on a group of patients with eating disorders
Relatrice
Prof.ssa Gioia Bottesi
Laureanda: Xxxxxxx Xxxxxxxx
Matricola: 2014839
Anno Accademico: 2021-2022
Indice
Introduzione 5
Capitolo 1
Il modello dimensionale dei disturbi di personalità del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) 7
1.1 Il modello categoriale 7
1.2 Il passaggio dal modello categoriale al modello dimensionale 14
1.3 Il modello dimensionale 18
1.4 I tratti maladattivi di personalità del modello dimensionale 22
Capitolo 2
L’accordo sé-altro -altnella valutazione dei tratti maladattivi di personalità 31
2.1 L’utilizzo del Personality Inventory for DSM-5 (PID 5) e del Personality Inventory for
DSM-5 Informant Form (PID-5-IRF) per la valutazione dell’accordo sé-altro… 31
2.2 L’accordo tra auto- ed etero- valutazione della personalità adattiva e patologica 34
2.3 L’accordo tra auto- ed etero-valutazione dei tratti maladattivi di personalità
basati sull’AMPD 39
2.3.1 L'accordo tra paziente-terapeuta nella valutazione dei tratti maladattivi di personalità 44
Capitolo 3
La ricerca. 50
3.1 Obiettivi e ipotesi 50
3.2 Metodo. 53
3.2.1 Partecipanti 53
3.2.2 Strumenti 55
3.2.3 Procedura 58
3.2.4 Analisi statistiche 59
3.3 Risultati 60
3.3.1 Grado di accordo sé-altro tra paziente e terapeuta in riferimento ai domini
e alle sfaccettature 60
3.3.2 Associazione tra il livello di accordo sè-altro e la durata della relazione terapeutica e il numero di ore trascorse con il paziente 62
3.3.3 Confronto tra i punteggi auto- ed etero-riferiti 64
3.4 Discussione e conclusioni 67
Bibliografia… 76
Introduzione
L’area dei disturbi della personalità (DP) costituisce un ambito ancora molto controverso della psicopatologia. Fino alla quarta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV; American Psychiatric Association [APA], 2000) i DP sono stati concettualizzati solo all’interno di una prospettiva categoriale, secondo la quale costituiscono sindromi cliniche distinte qualitativamente. Di questo approccio sono stati individuati molti limiti nel corso del tempo, tanto da far emergere la necessità di un modello alternativo che fosse in grado di superarli e infatti, la sezione III della quinta e ultima edizione del DSM (DSM-5), include il modello alternativo per i disturbi di personalità (Alternative Model of Personality Disorders; AMPD). L’AMPD è stato elaborato dal Personality and Personality Disorders workgroup che, oltre a essersi occupato della ricerca e della concettualizzazione dell’AMPD, ha lavorato alla creazione di uno strumento self-report: il Personality Disorder Inventory for DSM-5 (PID-5).
Il self-report è da sempre utilizzato come strumento principale nell’assessment della personalità; tuttavia, una vasta letteratura ne ha messo in evidenza diversi limiti e ha suggerito che le misure ricavate da informatori esterni (informant-reports) sono in grado di fornire informazioni utili sugli individui. Gli studi presenti in letteratura hanno preso in considerazione diverse tipologie di informatori: partner intimi, amici e parenti; tuttavia, è stata sottolineata la potenzialità dell’impiego del terapeuta, ove possibile, come etero- valutatore: la sua professionalità e la sua esperienza, in associazione alla relazione instaurata con il paziente, consentirebbero una maggiore oggettività nella descrizione della personalità (Xxxxxx & Xxxxxx, 2017). Nonostante questo, un solo studio si è focalizzato sull’analisi dell’accordo sé-altro avvalendosi dei terapeuti come etero-valutatori (Xxxxxx et al., 2018).
Alla luce delle scarse ricerche presenti in letteratura, nello studio corrente, lo scopo generale è stato quello di indagare l’accordo tra auto- ed etero- valutazione tra paziente-terapeuta in un gruppo clinico costituito da pazienti con disturbi dell’alimentazione, utilizzando gli strumenti e il modello interpretativo dell’AMPD. A partire dallo scopo generale, sono stati indagati tre obiettivi specifici.
Nel primo capitolo verrà illustrato modello categoriale del DSM-5 con i limiti che hanno portato i ricercatori alla creazione dell’AMPD. In aggiunta, verrà descritto l’AMPD e nello specifico i criteri A e B, i 5 domini e le 25 sfaccettature di cui si compone.
Il secondo capitolo sarà dedicato alla descrizione dell’utilizzo del PID-5 e del Personality Inventory for DSM-5 Informant Form (PID-5-IRF) nell’ambito della ricerca sull’’accordo sé-altro. Successivamente, verrà presentata la letteratura che si è interessata all’accordo sé-altro nell’ambito dei tratti maladattivi di personalità ponendo attenzione sia a quella che ha utilizzato come modello interpretativo l’AMPD, sia agli studi che hanno usufruito di modelli interpretativi diversi. Infine, si tratteranno gli studi che si sono concentrati sull’accordo tra pazienti e terapeuti e verrà messa in evidenza l’importanza e la necessità di integrare il confronto tra l’auto-valutazione e l’etero- valutazione nei contesti clinici.
Nel terzo capitolo verrà illustrata la ricerca condotta attraverso la descrizione degli obiettivi e le ipotesi dello studio, i partecipanti, gli strumenti utilizzati, la procedura, le analisi statistiche condotte e i risultati emersi. Infine, sarà prima discusso e argomentato quanto è emerso e successivamente verranno messi in evidenza i limiti della ricerca, le prospettive future e le implicazioni teoriche e cliniche.
Capitolo 1
Il modello dimensionale dei disturbi di personalità del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5)
1.1 Il modello categoriale
Il termine “personalità” deriva dall’etrusco “Phersu” e dal latino “persona”, tradotto è “maschera” e farebbe riferimento alla maschera indossata dagli attori che, interpretando i loro personaggi in grandi anfiteatri e dovendo farsi sentire da tutto il pubblico, parlavano da una piccola apertura a imbuto attraverso la quale potevano diffondere meglio il suono della propria voce (Lingiardi & Xxxxxxxx, 2014). Secondo questa interpretazione etimologica, la personalità sarebbe un’amplificazione delle caratteristiche individuali del personaggio rappresentato dall’attore, e ciò a suo tempo aveva lo scopo di far conoscere al pubblico quali comportamenti e atteggiamenti aspettarsi da lui; inoltre, la maschera poteva essere considerata l’interfaccia fra ciò che appare all’esterno e l’interiorità dell’individuo (Lingiardi & Xxxxxxxx, 2014). Con il tempo, il concetto di personalità non ha fatto più riferimento al termine “maschera” e dunque a qualcosa che appare, ma ha preso in considerazione l’individuo nella sua totalità, con tutte le sue caratteristiche; oggi, con il termine “personalità” si tende a indicare una modalità strutturata di motivazioni, pensieri, affetti e comportamenti che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un individuo e che risulta da fattori temperamentali, dello sviluppo e dell’esperienza sociale e culturale (Lingiardi & Xxxxxxxx, 2014). Xxxxx (2007) ha affermato che, nonostante molti autori formulino la definizione di personalità in modi diversi, l’idea centrale rimane sempre la medesima: la personalità è un sistema di parti che comprende componenti come la motivazione, le emozioni, i modelli mentali e il sé. Sia Funder (2006) che Xxxxxx & Xxxxxxx (2005) hanno affermato che la personalità fa riferimento a quelle caratteristiche dell’individuo che rappresentano i pattern di sentimenti, pensieri e comportamenti. Un’altra definizione descrive la personalità come l'insieme di tratti e meccanismi psicologici all'interno dell'individuo, organizzati e relativamente duraturi, che influenzano le sue interazioni e adattamenti all'ambiente intrapsichico, fisico e sociale (Xxxxxx & Xxxx, 2005, p. 4).
I DP hanno una lunga storia in psicopatologia (Xxxxxxxxxxx & Xxxxxxx, 2005; Xxxxxx, 2011), e sono stati centrali nei sistemi di classificazione degli psichiatri descritti nella fine del XIX e nell'inizio del XX secolo (Schneider, 1923), così come nei modelli teorici dei primi scrittori psicoanalitici (Xxxxxxxxx & Xxxxxx, 2019). Il DSM definisce la personalità con le seguenti parole: “pattern costante di percepire, rappresentarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di sé stessi, che si manifesta in un ampio spettro di contesti sociali e personali. Soltanto quando questi tratti di personalità sono rigidi e disadattivi e causano una significativa compromissione funzionale o un disturbo soggettivo, denotano DP” (p. 749). La personalità è una componente estremamente importante dell’essere umano, influenza quasi ogni dominio della vita: la scelta della professione, la qualità delle relazioni, l’estensione della rete sociale, le attività preferite e il livello di attività preferito, il modo di affrontare le problematiche di ogni giorno, la volontà di infrangere le regole e, in generale, il livello medio di benessere (Xxxxx et al., 2017). I DP sono definiti dalla persistente difficoltà a formarsi un’identità stabile positiva e a intrattenere con gli altri relazioni profonde e costruttive (Xxxxx et al., 2017). Nella popolazione generale, tutti hanno comportamenti, pensieri o reazioni che paiono simili ai sintomi dei DP, ma un vero e proprio disturbo è caratterizzato da modalità estreme, inflessibili e disadattive, le quali trovano espressione proprio nei tratti tipici del disturbo; i pattern di sintomi tipici di ogni DP iniziano a presentarsi circa nella prima età adulta, e sono presenti in svariati contesti della vita dell’individuo; solitamente, gli individui con uno o più DP o più hanno difficoltà con la loro identità e le loro relazioni, e tali problemi persistono per anni (Xxxxxxxxx & Xxxxxxxx, 2014). Il DSM-5 è stato pubblicato nel 2013 ed è l’ultima versione proposta dall’APA; in quanto tale, presenta delle differenze per quanto riguarda la classificazione dei DP (e non solo) rispetto alle edizioni precedenti. I criteri diagnostici delineati nel DSM-III e nel DSM-IV e l'introduzione dell'asse II avevano lo scopo di focalizzare l'attenzione su queste sindromi nella pratica clinica e di promuovere la ricerca sulla loro diagnosi, epidemiologia, psicobiologia, decorso clinico e trattamento (Xxxxxxxxxx et al., 2019). I modelli basati sui sintomi, tipicamente operazionalizzati attraverso l’intervista diagnostica, e i modelli dei tratti, tipicamente operazionalizzati attraverso questionari di auto-valutazione, riflettono concezioni storicamente concorrenti per la diagnosi dei DP (DP): la sezione II comprende l'approccio categoriale utilizzato già dalla pubblicazione del DSM-III (APA, 1980), in cui i DP sono definiti sulla base della presenza o assenza di 7-9 sintomi, tipicamente valutati tramite intervista (Lingiardi & Xxxxxxxx, 2014). Coloro che hanno sostenuto il mantenimento di un modello teorico categoriale hanno affermato che i DP hanno bisogno di cut-off clinici per essere utili, e sono quindi costrutti categorici (il che significa che dovrebbero essere misurati tramite intervista clinica); viceversa, coloro che hanno creduto fermamente nell’introduzione di un modello dimensionale, hanno sostenuto che la personalità sia un concetto fondamentalmente dimensionale, e quindi i DP debbano essere valutati
dimensionalmente (tramite self-report) (Xxxxxxxxxx et al., 2019). Il DSM-5 mantiene un modello descrittivo e a-teorico, teso a consentire la possibilità di effettuare una diagnosi senza basarsi su un particolare modello teorico del funzionamento mentale specifico, ma sulla base di sole evidenze direttamente osservabili o auto-riferite dal paziente; oltre a essere descrittivo e a-teorico, l’approccio del DSM-5 e delle edizioni che lo hanno preceduto è categoriale (Lingiardi & Gazzillo, 2014). Per “categoriale” si intende che le diverse sindromi sono concettualizzate come entità distinte da confini ben precisi e distinguibili le une dalle altre, sulla base della presenza o assenza di un numero ridotto di segni e sintomi (Lingiardi & Gazzillo, 2014). Per ogni disturbo è, infatti, stato elaborato un set di criteri diagnostici la cui identificazione implica un livello di inferenza estremamente ridotto e, per rendere conto all’eterogeneità delle manifestazioni cliniche di uno stesso disturbo, è avvenuto un passaggio da un approccio monotetico, che invece caratterizzava le precedenti edizioni, a uno politetico: al fine di effettuare una diagnosi non è più necessario che siano presenti tutti i sintomi proposti per quel determinato disturbo, ciò che fa la differenza è che siano soddisfatti solo un certo numero di sintomi specifici per ogni disturbo, quello che viene definito “cut-off” (Xxxxxxxxx & Xxxxxxxx, 2014).
All’interno del DSM-5 (APA, 2013) i disturbi di personalità sono raccolti in tre gruppi, o “Cluster” sulla base di alcune analogie descrittive: il Cluster A include il disturbo paranoide, schizoide e schizotipico; questi disturbi sono tutti caratterizzati da comportamenti insoliti o eccentrici. Il Cluster B include il disturbo antisociale, il borderline, l'istrionico e il narcisistico; gli individui con questi disturbi spesso appaiono caratterizzati da amplificazione, emotività o imprevedibilità; infine, nel Cluster C sono presenti: il disturbo evitante, dipendente e ossessivo compulsivo; gli individui con questi disturbi spesso appaiono ansiosi o timorosi (APA, 2013). Circa 1 persona su 10 soddisfa i criteri diagnostici per un DP e la stima di prevalenza per ogni disturbo si aggira intorno al 9,1% (Xxxxx et al., 2017). Inoltre, secondo Frankenburg e Xxxxxxxx (2004), data la complessità e l’elevata prevalenza, i DP sono associati ad alti costi a carico della società; questo, secondo Xxxxxxx (2011), è dovuto in parte alla loro frequente co-occorrenza con problemi legati alla salute e altri disturbi mentali in comorbidità̀. Spesso i DP tendono, infatti, a presentarsi in comorbidità con un altro disturbo psicologico, in particolare con il disturbo depressivo maggiore o i disturbi d'ansia: i dati mostrano che gli individui con un DP hanno 7 volte più probabilità di soffrire di un disturbo d'ansia o dell'umore in confronto a chi non ne soffre, e quattro volte più probabilità di manifestare un disturbo da uso di sostanze; sono soprattutto i disturbi del Cluster B a mostrare un’elevata associazione con queste psicopatologie (Xxxxx et al., 2017).
In generale, è stato dimostrato ampiamente in letteratura che tutti i disturbi del cluster A sono caratterizzati da somiglianze fenomenologiche alla schizofrenia (Mittal et al., 2007). Il primo DP presente nel gruppo A è il disturbo paranoide, la caratteristica essenziale di questo disturbo è un pattern di diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri, tanto che le loro motivazioni vengono interpretate come malevole (APA, 2013). Il disturbo paranoide di personalità è stato considerato uno dei tre DP più fortemente associati con la riduzione della qualità della vita (Xxxxxx, Xxxxxxxxx, & Xxxxxxxx, 0000; Xxxxx et al., 2004), ed è stato associato ad una diminuzione del funzionamento globale come misurato dalla Global Assessment of Functioning Scale (GAF) (Xxxxx et al., 2005). Xxxxxxxxxxx e i suoi collaboratori (2013) hanno descritto come caratteristica principale del disturbo paranoide di personalità la tendenza permanente di certi individui non psicotici a rispondere agli altri con sospetto, questa componente è stata da decenni notata da esperti della salute mentale, uno dei primi fu Xxxxxxxxx (1921), e il disturbo paranoide di personalità è stato presente in ogni edizione del DSM, compresa la prima. L'accettazione del disturbo paranoide di personalità nella nomenclatura ufficiale ha quindi preceduto quella del disturbo schizotipico di personalità, che non è stato introdotto fino al DSM-III, ma da allora, ha in gran parte sussunto il disturbo paranoide di personalità nella ricerca e nella pratica clinica. Infatti, Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx e i suoi collaboratori (2013) dall'introduzione del DSM-III, il disturbo paranoide di personalità è stato tra i meno studiati fra tutti i DP, con relativamente poche indagini empiriche specificamente dedicate ad esso nella letteratura pubblicata.
Il secondo disturbo tipico del gruppo A è Il disturbo schizoide di personalità, il quale è caratterizzato da un pattern pervasivo di Distacco dalle relazioni interpersonali e da una gamma ristretta di espressioni emozionali in contesti sociali (APA, 2013). I pazienti con questo disturbo non sentono alcun desiderio di avere relazioni sociali, né traggono alcun piacere da esse; infatti, sono persone solitarie che preferiscono attività individuali, difficilmente hanno amicizie intime e non provano interesse o piacere per le attività sessuali, raramente si emozionano intensamente e tipicamente sono indifferenti alle lodi o alle critiche (Xxxxx et al., 2017). Il disturbo schizotipico, invece, è caratterizzato essenzialmente da un pattern pervasivo di deficit sociali e interpersonali, da distress acuto e ridotta capacità riguardanti le relazioni affettive; tipiche sono anche le distorsioni cognitive e percettive e l’eccentricità del comportamento (APA, 2013). Gli individui con disturbo schizotipico di personalità contemplano credenze idiosincratiche come il "pensiero magico", o la convinzione che la mente abbia la capacità di cambiare il mondo fisico, in modo più prominente, gli individui disturbo schizotipico di personalità esibiscono sospettosità, idee di riferimento e, in fasi più complesse, distorsioni percettive come le illusioni (Xxxxxxxxxxx et al., 2013). Tuttavia, pur essendo
pervasivi e disturbanti per il paziente, questi sintomi simili a quelli psicotici, non portano a una compromissione funzionale prolungata, a ricoveri multipli e all'esposizione a lungo termine a farmaci psicotropi (Chemerinski et al., 2013). D'altra parte, individui con questo disturbo mostrano anche deficit al livello sociale, ben descritti da un criterio chiave presente nel DSM-5: "mancanza di amici stretti o confidenti diversi dai parenti di primo grado" (APA, 2013, p. 645). Studi recenti hanno ipotizzato che questi deficit potrebbero derivare da tratti schizotipici come la mancanza di empatia (Dinn et al., 2002; Xxxxx et al., 2008; Xxxxxxx & Xxxxxxxxx, 2004; Pickup, 2006) o da una consapevolezza emotiva alterata (Xxxxxxxxx et al., 2006).
Passando al cluster B, il primo disturbo presente nel DSM-5 è il disturbo antisociale di personalità, la cui caratteristica essenziale è un pattern pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri (APA, 2013). Il disturbo antisociale di personalità ha alla base un processo di pensiero disfunzionale profondamente radicato e rigido che si concentra sull'irresponsabilità sociale ed è manifestato attraverso comportamenti di sfruttamento, delinquenziali e criminali senza rimorsi (Xxxxxx et al., 2021). Il disprezzo e la violazione dei diritti altrui sono manifestazioni comuni di questo DP, che mostra sintomi che includono il mancato rispetto della legge, l'incapacità di sostenere un lavoro coerente, l'inganno, la manipolazione per il guadagno personale e l'incapacità di instaurare relazioni stabili (Xxxxxx et al., 2021). ll disturbo antisociale di personalità è l'unico DP che non è diagnosticabile nell'infanzia, infatti, prima dei 18 anni, al paziente deve essere stato precedentemente diagnosticato con un disturbo della condotta a partire dall’età di 15 anni, per giustificare i criteri diagnostici del disturbo antisociale di personalità (Xxxxxx & Xxxx, 2019).
Il secondo disturbo tipico del cluster B è il disturbo borderline di personalità, le caratteristiche essenziali di quest'ultimo sono un pattern pervasivo di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé, dell'umore e una marcata impulsività (APA, 2013). I segni clinici del disturbo includono dis-regolazione emotiva, aggressività, impulsività, autolesionismo ripetuto e tendenze suicide croniche, che rendono questi pazienti frequenti utenti di strutture dedicare alla cura della salute mentale (Lieb et al., 2004). Il loro comportamento imprevedibile, impulsivo e potenzialmente autolesivo, può comprendere gioco d'azzardo, spese insensate, attività sessuali indiscriminate e abuso di sostanze; spesso questi individui non hanno sviluppato un senso di sé chiaro e coerente, e talvolta vivono notevoli oscillazioni in aspetti basilari della personalità quali valori, ideali e scelte professionali (Lieb et al., 2004). Individui con questo disturbo non gradiscono la solitudine, hanno intensi timori di abbandono, esigono costantemente l'attenzione altrui e sono soggetti a un cronico senso di depressione e di vuoto, durante i periodi di forte stress possono manifestarsi transitori sintomi psicotici e dissociativi (Xxxxx et al., 2017). Il terzo disturbo presente nel cluster B è il disturbo
istrionico di personalità, caratterizzato da un'emotività pervasiva ed eccessiva, e da un comportamento che è sempre alla ricerca di attenzione (APA, 2013). Gli individui con questo disturbo hanno bisogno di catturare l’attenzione dagli altri per sentirsi bene con se stessi e sono particolarmente a disagio in situazioni in cui non sono al centro dell'attenzione, usano una varietà di metodi per catturarla nei contesti sociali: fra questi sono inclusi l'essere sessualmente provocanti o seducenti in contesti in cui ciò è inappropriato e quando non hanno un particolare interesse sessuale nelle persone di cui cercano l'attenzione (Candel, 2019). Questi individui spesso usano l'aspetto fisico, compresa la scelta dell'abbigliamento, l'acconciatura o il trucco per attirare l'attenzione, ma non solo, anche il loro modo di parlare e l’atteggiamento appaiono spesso drammatici e teatrali (Candel, 2006).
L'ultimo disturbo appartenente al cluster B è il disturbo narcisistico di personalità, la cui caratteristica essenziale è un pattern pervasivo di arroganza, necessità di ammirazione e mancanza di empatia (APA, 2013). La letteratura ha mostrato la possibile presenza di diversi sotto-tipi di disturbo narcisistico di personalità: il sottotipo grandioso, considerato “palese”, ha una corrispondenza stretta con i criteri del DSM-5; il sottotipo vulnerabile, "nascosto", è ben coperto dagli attuali criteri diagnostici; e il sottotipo più sano, "ad alto funzionamento" (Xxxxxxx et al., 2015). Il sottotipo grandioso, è caratterizzato da una palese ricerca di attenzione, pretesa di diritti non legittimati, arroganza e livelli bassi di ansia, questi individui possono essere socialmente affascinanti, nonostante siano ignari dei bisogni degli altri, e si presentano come approfittatori nelle relazioni interpersonali (Xxxxxxx et al., 2015). Al contrario, il sottotipo vulnerabile, "fragile", è caratterizzato da una maggiore inibizione, angoscia visibile, ipersensibilità alle valutazioni degli altri e invidia cronica, ha la tendenza a valutarsi in relazione al confronto con gli altri (Xxxxxxx et al., 2015). Dal punto di vista interpersonale questi individui sono spesso timidi, esteriormente auto-efficienti e ipersensibili alle offese, mentre nascondono una segreta grandiosità (Xxxxxxx et al., 2015). Entrambi i tipi sono straordinariamente assorbiti da se stessi (Xxxxxxx et al., 2015). Molti individui con disturbo narcisistico di personalità fluttuano tra stati grandiosi e depressivi, a seconda delle circostanze della vita, mentre altri possono presentare caratteristiche miste (Xxxxxxxxxxx, 2009; Xxxxx & Xxxxxxxxxx, 2010). Oltre ai sottotipi grandioso e vulnerabile, esiste un gruppo che è stato descritto come "ad alto funzionamento", "esibizionista" o "autonomo": questi individui, appaiono grandiosi, competitivi, in cerca di attenzione e sessualmente provocatori, dimostrano un funzionamento adattivo e usano i loro tratti narcisistici per avere successo, ma, a causa del loro alto livello di funzionamento, a prima vista gli individui di questo gruppo possono non sembrare avere un DP, e la diagnosi di disturbo narcisistico di personalità può essere trascurata nella valutazione diagnostica (Xxxx et al., 2008).
Passando all'ultimo cluster, il cluster C, il primo disturbo presente è il disturbo evitante, caratterizzato da un pattern pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità interpersonale (APA, 2013). Persone con disturbo evitante di personalità vengono descritte come desiderose del contatto con gli altri ma lo evitano attivamente a causa dell’ansia che questo provoca in loro: temono infatti di essere rifiutati, criticati o disapprovati (Xxxxxx, 1991). Il disturbo evitante di personalità spesso si manifesta in concomitanza al disturbo d'ansia sociale, probabilmente perché i criteri diagnostici di queste due condizioni sono molto simili, inoltre sembra ci sia una sovrapposizione tra la vulnerabilità genetica per entrambi i disturbi (Xxxxx et al., 2017). Nel cluster C è presente anche il disturbo dipendente di personalità, la cui caratteristica essenziale è una necessità pervasiva ed eccessiva di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente e timore della separazione (APA, 2013). L’elemento più evidente, sul piano cognitivo, emotivo e comportamentale, del disturbo dipendente di personalità consiste nella ricerca costante di figure protettive, accudenti e incoraggianti, con cui stabilire e mantenere un legame significativo e stabile nel tempo, la persona dipendente persegue questo sulla base della convinzione di essere un individuo debole e bisognoso, incapace di badare a se stesso e la cui felicità dipende completamente dalla vicinanza di una persona forte e supportiva, e quando una relazione intima finisce, ne cercano con urgenza un'altra che la sostituisca (Xxxx et al., 2005). L'ultimo DP presente nel cluster C è il disturbo ossessivo compulsivo, la cui caratteristica essenziale è la preoccupazione per l'ordine, il perfezionismo e il controllo mentale e interpersonale, a spese di flessibilità, apertura ed efficienza (APA, 2013). Bara e i suoi colleghi (2005) hanno riassunto alcune componenti tipiche del disturbo ossessivo compulsivo di personalità: il perfezionismo, corrispondente all’esagerata attenzione ai dettagli, alle procedure, alla sistematizzazione e all’organizzazione e ciò avviene spesso a scapito del risultato finale; l’ ostinazione, infatti gli individui con questo disturbo appaiono testardi, insistono ostinatamente affinché le cose siano fatte secondo le loro regole e presentano spesso una spiccata freddezza al livello relazionale, caratterizzata dal disagio nell’esprimere emozioni calorose. La letteratura ha dimostrato che il disturbo ossessivo compulsivo di personalità è nettamente distinto dal disturbo ossessivo compulsivo, il primo non è caratterizzato dalle ossessioni e dalle compulsioni che invece contraddistinguono il secondo, nonostante ciò, le due condizioni si presentano spesso in comorbidità (Xxxxx et al., 2014).
1.2 Il passaggio dal modello categoriale al modello dimensionale
Nei quasi quattro decenni da quando l’approccio categoriale è stato introdotto, è stato criticato per diversi motivi (Xxxxx & Xxxxxxx, 2020). Un problema che è stato ampiamente evidenziato in letteratura ha fatto riferimento all’elevata comorbidità tra DP, in virtù della quale molti pazienti a cui viene diagnosticato un DP soddisfano criteri per più di un disturbo (Xxxxx et al., 2005; Xxxxxx et al., 1992; Xxxxxxxxx, et al., 2005). Sempre nel DSM IV-TR, quello che molto spesso è accaduto è che la complessità e la variabilità dei disturbi che la maggior parte dei pazienti presentava non poteva essere adeguatamente descritta dalle categorie diagnostiche presentate nel manuale (Lingiardi & Xxxxxxxx, 2014). Un’ulteriore critica che è stata mossa al modello categoriale e politetico del DSM- IV-TR ha riguardato il fatto che potesse penalizzare la diversità nella manifestazione clinica di uno stesso disturbo; per fare un esempio, due pazienti a cui viene diagnosticato un disturbo borderline possono presentare tratti anche molto diversi fra loro, o molto simili, ma vissuti in modo del tutto diverso; a dimostrazione di ciò, nella letteratura è riportato che esistono 256 modi differenti per soddisfare i criteri DSM-IV-TR per il disturbo di personalità borderline (Xxxxxxxx et al., 2004). Questo problema di “coverage” inadeguata, a cui la letteratura ha provato a rimediare incrementando il numero di categorie diagnostiche, ha messo ancor più in discussione la scelta di adottare un modello esclusivamente categoriale, a-teorico e descrittivo per la diagnosi di disturbi mentali. Anche secondo Xxxxxxx e Xxxxxxxx (2013), il problema fondamentale del sistema diagnostico dei disturbi di personalità di DSM-III, DSM-III-TR, DSM-IV e DSM-IV-TR è stato ricondotto all’ approccio teorico utilizzato, basato sull’assunto che la personalità possa prendere la forma di specifici sottotipi. Molti ricercatori hanno sottolineato la mancanza di dati empirici per supportarne l'esistenza (Dentale & Xxxxxxxx, 2013; Eaton et al., 2011; Xxxxxx et al., 2005). Secondo la visione che hanno proposto Xxxxxxx e Xxxxxxxx (2014), la personalità varia continuamente ed emerge dalla confluenza dei tratti di personalità, i quali formano una struttura dimensionale robusta e gerarchica (Xxxxxx et al., 2005), che è considerata universale a livello culturale, sia se misurata attraverso strumenti self-report, sia attraverso strumenti informant-report, suggerendo che vi sono processi biologici fondamentali alla base delle sue varie componenti. Un altro limite riscontrato in letteratura ha fatto riferimento al fatto che il sistema DSM-IV-TR non fosse al passo coi tempi, con i moderni approcci medici e con le moderne soglie diagnostiche; la diagnosi di DP con l’uso del DSM-IV-TR ha utilizzato solo una classificazione dicotomica con soglie fissate arbitrariamente (metà o più della metà per i criteri pari; più della metà per criteri dispari), piuttosto che basarsi su dati (Xxxxxx et al., 2002). Sempre Dentale e Xxxxxxxx (2014) hanno evidenziato un ulteriore oggetto di critica è riferibile al fatto che le categorie diagnostiche sembravano non esaurire tutta la gamma della psicopatologia della personalità
realmente esistente. In aggiunta, in un’importante meta-analisi, Xxxxxxx & Xxxxxxx (2004), hanno chiarito che il disturbo di personalità non altrimenti specificato (NAS) è una delle più comuni diagnosi nei setting di ricerca e frequentemente diagnosticato anche nella pratica clinica. I due autori hanno continuano spiegando che, nella pratica clinica, quello che accade è che, ad esempio, quando l’individuo soddisfa criteri per più di un DP, allora all’individuo viene diagnosticato il NAS. Individui a cui è stato diagnosticato un DP NAS presentano in genere una considerevole compromissione del funzionamento (Xxxxxxx et al., 2005; Xxxxxxx et al., 2007; Xxxxxxx, et al., 2008), ma questo tipo di diagnosi, di per sé, non ì indica nulla sulla natura della disfunzione nella personalità del paziente. Infatti, seguendo alla lettera il DSM-IV-TR, il DP NAS, dovrebbe essere usato solo quando il disturbo di personalità non soddisfa i criteri per nessuno specifico DP (Xxxxxxx & Xxxxxxx, 2004). Ciò ha portato all’evidenza di una scarsa copertura dei casi di diagnosi di DP, con conseguenti alti tassi di diagnosi di DP NAS (Xxxxx et al., 1997). Alle numerose critiche, si sono aggiunti i dati meta-analitici sulla convergenza fra diverse interviste strutturate e fra interviste strutturate e questionari, i quali hanno indicato livelli di concordanza piuttosto bassi, suggerendo che i criteri diagnostici proposti non si prestavano a essere facilmente operazionalizzati: ciò è dimostrato dalla scarsa validità convergente dei diversi strumenti sviluppati per valutare i DP all’interno del DSM- IV-TR (Xxxxx, 2007). Infine, è importante sottolineare che i criteri diagnostici dei DP presenti nel DSM-IV-TR, pur facendo riferimento a costrutti tipicamente utilizzati per descrivere le caratteristiche della personalità (ad esempio i tratti di personalità), non sono stati supportati da un modello teorico riconosciuto scientificamente che sia in grado di dar loro un ordine e una sistematicità adeguati (Dentale & Spagnoli, 2014).
Queste sono solo alcune delle numerose critiche che sono state mosse rispetto al DSM-IV-TR e hanno portato alla necessità di sviluppare un manuale nuovo, aggiornato: il DSM-5. Quest’ ultimo, ha coinvolto la collaborazione di centinaia di professionisti della salute mentale, che per più di dodici anni hanno collaborato al raggiungimento di un unico manuale più utile clinicamente e più rigoroso dal punto di vista empirico (Lingiardi & Xxxxxxxx, 2014). Infatti, nel DSM-III e successivamente nel DSM-III-TR è stato introdotto un sistema multi-assiale, mantenuto sino al DSM-IV-TR, il quale permetteva di valutare i pazienti lungo cinque dimensioni o assi ortogonali: l’Asse I, preposto alla diagnosi delle sindromi cliniche; l’Asse II, preposto alla valutazione delle condizioni psicopatologiche della personalità e del ritardo mentale; l’Asse III, dedicato alla rilevazione delle condizioni mediche generali del paziente; l’Asse IV, preposto ai problemi psicosociali e ambientali a cui il paziente è esposto; l’Asse V per la valutazione del funzionamento globale (Lingiardi & Gazzillo, 2014). I disturbi di personalità sono stati codificati sull’Asse II del DSM-IV TR, e se il
comportamento di un individuo avesse soddisfatto i criteri per più di un DP, il clinico avrebbe dovuto annotare tutte le relative diagnosi di DP in ordine di importanza; anche i tratti di personalità non adattivi specifici, che non raggiungevano la soglia per un DP, potevano essere elencati sull’Asse II (Dereboy et al., 2018).
Il DSM-IV-TR è stato sottoposto a un processo di revisione durato ben 13 anni, che ha condotto a una proposta di radicale rinnovamento dei criteri per la diagnosi dei DP (Xxxxxxx & Spagnoli, 2014). In generale, il DSM-5 raggruppa tutti i disturbi che il DSM-IV-TR suddividendo in disturbi di Asse I e Asse II in un unico asse. Per quanto riguarda i DP, riconferma i dieci disturbi proposti dalle edizioni precedenti, introducendo sella sezione III, nella parte "Misure e modelli emergenti", un modello dimensionale definito “alternativo” della diagnosi dei DP (Xxxxxx et al., 2016). Come anticipato nel paragrafo precedente, la classificazione dei DP nel DSM-5, Sezione II rimane praticamente immutata rispetto alla precedente edizione .Nel febbraio del 2010, l'APA ha pubblicato la prima bozza provvisoria del DSM-5 elencando i criteri diagnostici, il razionale sottostante, e dati di ricerca che supportavano le modifiche introdotte affinché i professionisti interessati potessero inviare commenti e/o suggerire cambiamenti ulteriori (Lingiardi & Gazzillo, 2014). Tra le novità contenute nella prima bozza, c’è stata la proposta di introdurre un sistema di valutazione dimensionale dei DP che mirava all'eliminazione di ben 5 dei 10 DP elencati nel DSM-IV-TR: si trattava del disturbo paranoide, schizoide, narcisistico, istrionico e dipendente; questa proposta è stata però oggetto di numerose critiche, (Xxxxxxxxx & Xxxxxxxx, 2014).
Dato questo continuo dibattito sul fatto che i DP fossero meglio rappresentati come categorie o come dimensioni, Xxxxxxxxx et al. (2007) hanno chiesto ai membri dell'Associazione per la Ricerca sui DP e della Società Internazionale per lo Studio dei DP possibili alternative di classificazione da poter inserire successivamente nella nuova edizione del manuale. Una netta maggioranza dei partecipanti al sondaggio ha sostenuto un approccio misto dimensionale-categoriale alla diagnosi di DP come l'alternativa più auspicabile per il DSM-5. Coerentemente, il Personality and Personality Disorders workgroup del DSM-5 ha proposto un ibrido dimensionale-categoriale che ha cercato di trovare un equilibrio tra l'introduzione di nuovi elementi dimensionali, come richiesto dagli esperti nel campo, pur preservando la continuità con il modello categoriale già presente nel DSM-I-VTR, con un ragionevole supporto della ricerca (Xxxxxx et al, 2011). Questa proposta si è rivelata controversa e, sebbene approvata dalla task force del DSM-5, alla fine è stata respinta dal consiglio di amministrazione dell’APA. Così, i criteri diagnostici dei DP sono stati riprodotti essenzialmente alla lettera dal DSM-IV nella sezione principale (Sezione II) del DSM-5 (Xxxxxx et al., 2016).
L'approccio raccomandato dal gruppo di lavoro è stato incluso nella Sezione III del DSM-5, con la raccomandazione implicita che questo modello fosse considerato un approccio meritevole di ulteriori studi di approfondimento (Xxxxx et al., 2020).
L'AMPD combina dunque l'approccio categoriale, descrivendo sei specifici DP, con la misurazione dimensionale del funzionamento di sé, del funzionamento interpersonale e dei tratti (Xxxxxxx, et al., 2020). In riferimento alla critica che era stata mossa rispetto all'eccessiva comorbidità dei disturbi di Asse II del DSM-IV-TR, la proposta del DSM-5 nella sezione dedicata ha incluso un sistema per descrivere la personalità degli individui, evidenziando quelle dimensioni di tratto che, se portate all’estremo, non permettono l’adattamento, e ha escluso una serie di DP (paranoide, schizoide, istrionico, dipendente), rappresentandoli con un numero più ristretto di specifiche categorie (Xxxxxxx, et al., 2020). In secondo luogo, per evitare di perdere informazioni rilevanti circa le differenze fra pazienti che condividono la stessa diagnosi, nel DSM-5 è previsto che i tratti patologici vengano esplicitamente misurati, permettendo così una più chiara valutazione dell’eterogeneità tra gli individui; in terzo luogo, a proposito dell’inadeguatezza del DSM-IV-TR alla questione delle soglie diagnostiche, il DSM-5 è rimasto fedele alla pratica della medicina moderna che prevede di separare la valutazione della gravità (Criterio A) da quella dei relativi livelli dei tratti individuali (Criterio B) (Xxxxxxx, et al., 2020). In quarto luogo, in relazione all'instabilità della diagnosi del DSM-IV-TR dovuta a una quantità eccessiva di errore casuale, il nuovo sistema si è basato su una valutazione più organizzata e sistematica dei costrutti rilevanti (Xxxxxxx, et al., 2020). Il DSM-5 è in grado di garantire l’identificazione di tutti gli individui con disturbi di personalità, anche di coloro che non soddisfano i criteri per uno degli specifici tipi, attraverso un sistema che descrive il funzionamento della personalità e la valutazione dei tratti maladattivi (Xxxxxxx, et al., 2020). In questo modo, nei casi in cui in passato si ricorreva alla categoria DP NAS senza ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche di personalità della persona, ora invece essa potrà essere descritta sulla base del livello di funzionamento della personalità e dei livelli di tratto (diagnosi di DP tratto-specifica) (Xxxxxxx, et al., 2020). Infine, diversamente dal precedente sistema, i criteri del modello alternativo del DSM-5 si basano su modelli ampiamente articolati sul piano teorico e supportati a livello empirico, quali lo studio del concetto di Sé e delle relazioni interpersonali oltre che il Five Factor Model (FFM), i quali rientrano nell’ampia tradizione di ricerca della psicologia della personalità (Xxxxxxx, et al., 2020).
1.2 Il modello dimensionale
Secondo l’AMPD, affinché possa essere effettuata una diagnosi di DP, è necessaria la presenza di compromissioni significative nel funzionamento di sé e nel funzionamento interpersonale, con l’aggiunta della presenza di uno o più tratti patologici; la disfunzione di personalità così descritta è inflessibile e pervasiva in un’ampia gamma di situazioni personali e sociali, e la disfunzione è relativamente stabile nel tempo dall'adolescenza o dalla prima età adulta (Roche, 2018). In aggiunta, oltre a essere pervasivo attraverso i contesti e stabile nel tempo, il disturbo, per essere diagnosticato, dovrebbe non essere meglio spiegato da un altro disturbo o condizione medica (ad esempio, da effetti dell'uso di sostanze, condizioni di salute, o ambiente socioculturale) (Roche, 2018).
Il criterio A dell’AMPD è incentrato sulla compromissione del funzionamento di sé e delle relazioni interpersonali ed è specificatamente adattato a ciascun DP (Xxxxxx et al., 2011). Dunque, il criterio A descrive la gravità della compromissione della personalità attraverso la disfunzione personale e interpersonale (Xxxxxx et al., 2011), volta a rappresentare ciò che tutti i DP hanno in comune (Roche, 2018). Questa descrizione ha fornito probabilmente una definizione più precisa del DP rispetto alla definizione esistente nella sezione II del DSM-5, e ha affrontato la questione della co-occorrenza diagnostica riconoscendo che molti DP condividono la disfunzione personale e interpersonale come loro patologia principale (Roche, 2018). Il funzionamento del sé è caratterizzato da alcuni indicatori: identità (senso di sé come individuo unico con confini chiari, autostima positiva e accuratezza dell'auto-valutazione), auto-direzionalità (obiettivi a breve e lungo termine, standard di comportamento, auto-riflessione); il funzionamento interpersonale, invece, è definito dall’ empatia e intimità (Roche, 2018). Il criterio A è operazionalizzato utilizzando il Livello della Scala di Funzionamento della Personalità (LPFS; APA, 2013), che organizza la gravità della disfunzione di personalità lungo due dimensioni (Roche, 2018). Un'attenta valutazione del Criterio A fornisce al clinico importanti informazioni sul livello di rischio che vengano attuati comportamenti estremi e sulla prognosi, e fornisce una chiave di lettura per la valutazione del cambiamento comune a tutti gli individui con diagnosi di DP (Xxxxxxxx et al., 2011). A parità di condizioni, più grave è la patologia di personalità di un paziente, maggiore è il rischio di comportamenti estremi (ad esempio, danni a sé o agli altri, abbandono del trattamento e problemi criminali) e meno ottimista può essere il clinico per un trattamento regolare con guadagni lineari, rapidi e duraturi. Ad esempio, gli individui con gravi disfunzioni di personalità possono aver bisogno di trattamenti che richiedono maggiori risorse, come l'ospedalizzazione o approcci multimodali (ad esempio, gruppo combinato e individuale) (Xxxxxxxx et al., 2011).
Una revisione dei dati empirici e degli scritti teorici che hanno mostrato l'importanza del funzionamento del sé e del funzionamento interpersonale nella gravità complessiva della patologia di personalità è stata influente nell'architettura dell'AMPD (Xxxxxx et al., 2016). L’APA (2013) sintetizza nel DSM-5 gli elementi di funzionamento della personalità come illustrato nella seguente tabella.
Gli elementi di funzionamento della personalità secondo il DSM-5 (Criterio A)
Sé: | Interpersonale: |
1. Identità: esperienza unitaria di sé, con chiari confini tra sé e gli altri; stabilità della stima di sé e correttezza dell'autovalutazione; attitudine alla gamma dell'esperienza emozionale e capacità di regolazione di essa. | 1. Empatia: comprensione e valorizzazione delle altrui esperienze e motivazioni; tolleranza di punti di vista differenti; comprensione degli effetti del proprio comportamento sugli altri. |
1. Autodirezionalità: perseguimento di obiettivi esistenziali coerenti e significativi sia nel breve sia nel lungo periodo; utilizzo di standard interni di comportamento costruttivi e pro- sociali; fruttuose capacità auto- riflessive. | 2. Intimità: profondità e durata del rapporto con gli altri; desiderio e capacità di vicinanza; comportamento improntato al rispetto reciproco. |
(Xxxxxxxxx & Xxxxxxxx, 2014, p. 304)
Il criterio B include cinque tratti patologici di personalità, che riflettono le differenze individuali nel modo in cui la patologia di personalità si manifesta (Xxxxxxx et al., 2012). E Questi cinque tratti
di ordine superiore includono una serie di sfaccettature correlate, non tutte chiaramente indicate dal nome del tratto di ordine superiore. La teoria dei tratti ha avuto una lunga tradizione in psicologia, in particolare clinica, nell’ambito della comprensione e misurazione del funzionamento della personalità; i diversi tratti sono integrati per caratterizzare il funzionamento di un individuo (Xxxxxx et al., 2016). L’inserimento del Criterio B ha migliorato il sistema diagnostico esistente incorporando dimensioni, specialmente quelle coerenti con decenni di letteratura empirica, e ha permesso la sostituzione di una diagnosi DP NAS non specifica con una descrizione "specificata dal tratto", che i clinici possono utilizzare per una più precisa comprensione della struttura di personalità dei propri pazienti (Roche, 2018).
Oltre a redigere il modello ibrido dei DP, il Personality and Personality Disorders workgroup ha sviluppato uno strumento di valutazione dei tratti utile per la pratica clinica e un questionario self- report di 220 item, il PID-5 (Xxxxxxx et al., 2011), al fine di valutare i tratti presenti nel Criterio B (Xxxxxx et al., 2016). Infatti, Il criterio B è stato operazionalizzato utilizzando proprio il PID-5 (APA, 2013; Xxxxxxx et al., 2012), che organizza le difunzionalità della personalità nei cinque domini di tratti patologici. Una valutazione dettagliata dei tratti del Criterio B consente al clinico di sviluppare una formulazione specifica per il paziente, basata sul modo particolare in cui la personalità dello stesso interagisce con il proprio ambiente; quindi, in generale, questo modello dei tratti aiuta il clinico a sviluppare una formulazione idiografica, che implica particolari strategie di trattamento che mirino ai problemi specifici del paziente (Xxxx et al., 2015). I tratti maladattivi valutati nel Criterio B verranno descritti nel paragrafo successivo.
Per quanto riguarda l’utilità clinica dell’AMPD, essa è a oggi poco consolidata; per questo, l'utilità clinica percepita è tra le ragioni principali che portano alla persistenza del modello categoriale nel DSM-5 (Xxxxxx & First, 2015). In letteratura sono ora disponibili numerosi esempi di casi per l'utilizzo dell'AMPD per sviluppare piani di trattamento, e suggeriscono generalmente l’accettabilità tra i clinici (Xxxxx et al., 2014). Tuttavia, non esistono ancora delle tecniche terapeutiche che si basino sulle interpretazioni ottenute dall’AMPD, sebbene recentemente Xxxxxxx e collaboratori (2018) abbiano cercato di fornire una struttura preliminare per guidare la pratica attuale e la ricerca futura. L'evidenza a sostegno di trattamenti psicologici disponibili per le singole categorie di DP non è particolarmente forte, fatta eccezione per il disturbo borderline (Xxxxxxx et al., 2015). In letteratura è emersa la necessità di costruire linee guida per il trattamento delle caratteristiche del DP così come concettualizzato dall'AMPD: una sfida nello sviluppo di tali linee guida è rappresentata dal fatto che l'AMPD affronta il problema dei DP in un modo diverso dal quadro categoriale del DP (Xxxxx et
al., 2017). L'AMPD non afferma l’esistenza di tipologie cliniche specifiche che possono essere efficacemente discriminate le une dalle altre e che sono essenzialmente omogenee, perché l'evidenza empirica ha mostrato costantemente che la comorbidità e l'eterogeneità sono pervasive nella classificazione psichiatrica; ne consegue che gli sforzi per abbinare un certo trattamento a un certo tipo di diagnosi inevitabilmente sono falliti, perché certi tipi di diagnosi non possono essere identificate in modo affidabile (Xxxxx et al., 2017). Il principale vantaggio dell'AMPD rispetto al modello categoriale di DP risiede attualmente nella sua migliore capacità di articolare le caratteristiche specifiche dei problemi di personalità (Xxxxxxx, 2018). Xxxxxxx e collaboratori (2018) si sono concentrati sulla ricerca di un trattamento efficace partendo dalla prospettiva dell’ AMPD; in generale, è importante valutare attentamente la disfunzione di personalità del criterio A usando strumenti di valutazione validati; idealmente, questa valutazione dovrebbe includere metodi multipli, tra cui ciò che viene auto-riferito dal paziente, la valutazione del clinico, la valutazione di fonti esterne (informatori) e dovrebbe coinvolgere la collaborazione tra tutte queste parti che entrano in gioco nel processo di trattamento (Xxxxxxx, 2018). Ne consegue l’importanza di valutare attentamente i tratti di personalità del criterio B usando misure validate; di nuovo, questo dovrebbe idealmente includere metodi multipli, sviluppare una formulazione coerente e olistica dei problemi del paziente basata su questi dati e una valutazione dell'ambiente sociale del paziente e delle risorse di trattamento (Xxxxxxx, 2018). Questa formulazione dovrebbe includere una posizione riguardante l'enfasi relativa alle tecniche relazionali e comportamentali, così come interventi specifici basati sulle evidenze della letteratura di ricerca in psicoterapia (Xxxxxxx, 2018). Inoltre, dovrebbe includere suggerimenti riguardanti l'intensità e la durata del trattamento e un piano per valutazioni regolari di follow-up al fine di determinare i progressi e considerare qualsiasi aggiustamento necessario (Xxxxxxx, 2018). Infatti, di estrema importanza è la valutazione regolare del raggiungimento degli obiettivi del trattamento e può essere utile focalizzare le valutazioni di follow-up su sottoinsiemi della valutazione di base che corrispondono alla disfunzione generale della personalità (Criterio A) ai tratti maladattivi specifici (Criterio B) e a qualsiasi altra difficoltà rilevante (Xxxxxxx, 2018).
In letteratura sono state presentate sempre più prove a favore del fatto che l'approccio presente nella Sezione III sia valido nell’identificazione dei DP (Xxx et al., 2013; Xxxxxxx et al., 2013; Xxxxxxx et al., 2012). Tuttavia, il futuro dei costrutti dei DP rimane incerto (Few et al., 2013), sia il modello categoriale che dimensionale forniscono informazioni clinicamente utili sul funzionamento della personalità (Xxxxx et al., 2007; Xxxxxx et al., 2015). Sono state ottenute prove significative a favore del fatto che gli approcci dimensionali producono diagnosi più affidabili e valide (Markon et al., 2011), e che i casi diagnosticabili basandosi sull’approccio categoriale siano
di raro riscontro nella pratica clinica (Xxxxxx et al., 2012). Ciononostante i clinici e i ricercatori che hanno usato operazionalizzazioni categoriali rimangono esitanti a passare al territorio dimensionale; non sorprende che i ricercatori che si sono occupati della personalità e che hanno considerato le differenze individuali come costrutti basati su un continuum probabilmente favoriscano il modello dimensionale, mentre i professionisti che hanno utilizzato un approccio psichiatrico per diagnosticare e trattare i problemi clinici probabilmente preferiscano il modello categoriale (Xxxxxxxx-Astrup & Xxxxxxxxx, 2016).
1.3.1 I tratti maladattivi di personalità del modello dimensionale
Come descritto nel capitolo precedente, l’AMPD annovera tra i criteri fondamentali per la diagnosi di un DP il Criterio B, che si riferisce alla presenza di uno o più tratti maladattivi di personalità (APA 2013). I tratti di personalità possono essere definiti come: “Modalità relativamente stabili di sentire, percepire, comportarsi e pensare in un'ampia gamma di situazioni” (APA 2013). I tratti, nella sezione III, sono stati organizzati in 5 domini: Affettività negativa (in contrapposizione a stabilità emozionale), Distacco (in contrapposizione a estroversione), Antagonismo (in contrapposizione a disponibilità), Disinibizione (in contrapposizione a coscienziosità) e Psicoticismo (in contrapposizione a lucidità mentale); a loro volta, all’interno di questi sono presenti 25 sfaccettature di tratto (trait facets) specifiche, che sono state identificate sulla base di revisioni meta analitiche e dati inerenti le relazioni fra i tratti e le diagnosi di DP del DSM-IV (APA, 2013). La scelta dei tratti di personalità che sono stati inseriti in questo modello è stata fortemente influenzata dal FFM o Big Five elaborato da XxXxxx e Costa (1983); infatti, i 5 domini sopra elencati sono le varianti disadattive dei 5 domini presenti nel Big Five e sono simili anche a quelli previsti nel PSY-5 (Suzuki et al., 2015). L’ AMPD è stato sviluppato ex novo, con l'intenzione di catturare in modo completo l'universo della patologia di personalità piuttosto che riprodurre esplicitamente una struttura a priori come è il caso del FFM (Suzuki et al., 2015). Anche se il modello del tratto si concentra su forme psicopatologiche, sono stati inseriti tratti di personalità funzionali e adattivi (come per esempio: Estroversione, Socievolezza, Coscienziosità e Lucidità mentale); la consapevolezza della loro presenza è di estrema importanza, dal momento che possono essere considerati una risorsa per facilitare il coping e il recupero funzionale (APA, 2013). Domini e sfaccettature sono intesi in senso dimensionale e lungo uno spettro che contempla le manifestazioni opposte della caratteristica in oggetto (Lingiardi & Xxxxxxxx, 2014). I domini dei tratti di personalità comprendono uno spettro di
sfaccettature della personalità più specifico e che tendono a manifestarsi insieme: per esempio, ritiro e anedonia sono specifiche sfaccettature del tratto del dominio del Distacco (APA, 2013). A differenza dei sintomi che possono essere presenti o assenti, tutti gli individui possono essere collocati sullo spettro delle dimensioni di tratto; ciò significa che i tratti di personalità si applicano a tutti in gradi diversi; a loro volta, i tratti di personalità si collocano su un continuum con due opposte polarità: ad esempio l'opposto del tratto insensibilità è la tendenza a essere empatici (APA 2013), oppure, l’opposto dello Psicoticismo è la lucidità mentale (Lingiardi & Gazzillo, 2014). All'interno del DSM- 5 è esplicitato che gli individui con un marcato tratto di qualsiasi tipo non presenteranno necessariamente quel tratto in ogni momento e in tutte le situazioni, anzi: i livelli di tratto degli individui possono anche cambiare nel corso della vita. Alcune variazioni sono molto comuni e riflettono la maturazione: un esempio lo si può trovare tra gli adolescenti i quali hanno, in genere, livelli di impulsività più elevati rispetto agli adulti o agli anziani, mentre altri cambiamenti riflettono esperienze personali individuali (APA, 2013).
Il comitato direttivo dell’APA (2013) descrive i domini e le sfaccettature come illustrato in tabella.
Domini e sfaccettature di tratto
Domini e aspetti (Opposte polarità) | Definizioni |
Affettività negativa | Esperienze frequenti e intense di alti livelli di una vasta gamma di emozioni negative (per es., ansia, depressione, senso di colpa/vergogna, preoccupazione, rabbia) e delle relative manifestazioni comportamentali (per es., autolesività) e interpersonali (per es., dipendenza). |
Labilità emozionale | Instabilità delle esperienze emozionali e dell’umore; le emozioni, che insorgono |
facilmente, sono intense e/o sproporzionate rispetto a eventi e circostanze. | |
Ansia | Sensazioni di nervosismo, tensione o panico in reazione a differenti situazioni; frequente preoccupazione per gli effetti negativi delle passate esperienze spiacevoli e le eventualità negative future; sensazioni di timore e apprensione in situazioni di incertezza, prospettando il peggio. |
Angoscia di separazione | Timore di rimanere soli a causa del rifiuto da parte di - e/o della separazione da - figure significative, che nasce da una mancanza di fiducia nelle proprie capacità di prendersi cura di sé stessi, sia fisicamente sia emotivamente. |
Sottomissione | Adattamento del proprio comportamento a interessi e desideri, reali o presunti, di altre persone, anche quando ciò è antitetico ai propri interessi, bisogni o desideri. |
Ostilità | Sentimenti di rabbia persistenti o frequenti; rabbia o irritabilità in risposta a offese e insulti di poco conto; comportamento meschino, malevolo o vendicativo. Si veda anche Antagonismo. |
Perseverazione | Persistenza in un'attività o in un particolare modo di fare le cose molto più a lungo di quanto risulti funzionale o efficace; continuare nello |
stesso comportamento nonostante ripetuti fallimenti o palesi motivi per interromperlo. | |
Depressività | Si veda Distacco. |
Sospettosità | Si veda Distacco. |
Affettività ridotta (mancanza di) | La mancanza di questo aspetto caratterizza i bassi livelli di Affettività negativa. Si veda Distacco per la definizione di questo aspetto. |
Distacco (vs. Estroversione) | Evitamento dell'esperienza socio-emozionale, comprendente sia il ritiro dalle interazioni interpersonali (che vanno da quelle casuali quotidiane ai rapporti di amicizia, alle relazioni affettive) sia ridotta capacità di provare ed esprimere gli affetti, in particolare limitata capacità di provare piacere. |
Ritiro | Preferenza per il restare da soli piuttosto che con gli altri; reticenza nelle situazioni sociali; evitamento di contatti e di attività sociali; mancanza di iniziativa nel contatto sociale. |
Evitamento dell’intimità | Evitamento di relazioni intime o affettive, di stretti legami interpersonali e di relazioni sessuali. |
Anedonia | Incapacità di trarre godimento da/ impegnarsi in/ o trovare l'energia per le esperienze della vita; deficit nella capacità di provare piacere o interesse per le cose. |
Depressività | Sentimenti di scoraggiamento, infelicità e/o mancanza di speranza; difficoltà nel riprendersi da tali stati d'animo; pessimismo circa il futuro; vergogna e/o senso di colpa pervasivi; sentimenti di scarsa autostima; pensieri di suicidio e comportamento suicidario. |
Affettività ridotta | Scarsa reazione a situazioni emotivamente eccitanti; ridotta capacità di provare ed esprimere le emozioni; indifferenza e freddezza nelle situazioni comunemente coinvolgenti. |
Sospettosità | Attesa di - e sensibilità ai - segni di malevolenza o aggressività interpersonale; dubbi sulla lealtà e la fedeltà degli altri; sensazione di essere maltrattati, usati e/o perseguitati dagli altri. |
Antagonismo (vs. Disponibilità) | Comportamenti che mettono l'individuo in contrasto con le altre persone, tra cui un esagerato senso della propria importanza e una concomitante aspettativa di essere trattati in modo speciale, così come un’insensibile mancanza di empatia verso gli altri, che comprende sia l'inconsapevolezza degli altrui |
bisogni sia la tendenza a usare gli altri in funzione del proprio vantaggio. | |
Manipolatorietà | Uso del sotterfugio per influenzare o controllare gli altri; uso di seduzione, fascino, loquacità o piaggeria per raggiungere i propri fini. |
Inganno | Disonestà e fraudolenza; fuorviante presentazione di sé; esagerazione o invenzione di eventi nel racconto. |
Grandiosità | Convinzione di essere superiori agli altri e meritare un trattamento speciale; egocentrismo; sentimenti di "tutto è dovuto"; "degnazione" verso gli altri. |
Ricerca di attenzione | Impegnarsi in comportamenti mirati a farsi notare e mettersi al centro dell'attenzione e dell'ammirazione altrui. |
Insensibilità | Mancanza di preoccupazione per i sentimenti o i problemi altrui; mancanza di senso di colpa o di rimorso per gli effetti negativi o dannosi delle proprie azioni sugli altri. |
Ostilità | Si veda Affettività negativa. |
Disinibizione (vs. Coscienziosità) | Orientamento verso la gratificazione immediata, che porta a comportamenti impulsivi guidati da pensieri, sentimenti e stimoli esterni attuali, senza riguardo per l'esperienza passata o considerazione delle conseguenze future. |
Irresponsabilità | Disinteresse per - e mancanza nell'onorare - obblighi o impegni finanziari e di altro genere; inadempienza nel rispettare - e nel portare a termine - accordi e promesse; incuria verso la proprietà altrui. |
Impulsività | Agire immediatamente in risposta a stimoli contingenti; agire su base momentanea, senza un piano o un esame dei risultati; difficoltà a formulare e seguire piani; senso di urgenza e comportamento autolesivo se sottoposti a stress emozionale. |
Distraibilità | Difficoltà di concentrazione e di focalizzazione sui compiti; l'attenzione è facilmente deviata da stimoli estranei; difficoltà a mantenere un comportamento finalizzato, che comprende sia la pianificazione che l'esecuzione di compiti. |
Tendenza a correre rischi | Intraprendere attività pericolose, rischiose e potenzialmente dannose per sé, senza necessità e senza preoccuparsi delle conseguenze; noncuranza dei propri limiti e negazione del reale pericolo per la persona; sconsiderato perseguimento di obiettivi, indipendentemente dal loro livello di rischio. |
Perfezionismo rigido (Mancanza di) | Rigida ostinazione sul fatto che qualsiasi cosa debba essere impeccabile, perfetta e senza errori o difetti, incluse le prestazioni proprie e altrui; rinuncia alla tempestività per garantire la correttezza in ogni dettaglio; convinzione dell'esistenza di un'unica modalità corretta di fare le cose; difficoltà a cambiare idee e/o punto di vista, preoccupazione per i dettagli, |
l'organizzazione e l'ordine. La mancanza di questa sfaccettatura caratterizza bassi livelli di Disinibizione. | |
Psicoticismo (vs. Lucidità mentale) | Manifestazione di una vasta gamma di comportamenti e pensieri culturalmente incongruenti, bizzarri, eccentrici o insoliti, sia nei processi (per es., percezione, dissociazione) che nei contenuti (per es., convinzioni personali). |
Convinzioni ed esperienze inusuali | Convinzione di possedere insolite capacità, come la lettura del pensiero, la telecinesi, la fusione pensiero-azione; insolite esperienze di realtà, tra cui quelle di tipo allucinatorio. |
Eccentricità | Comportamento, aspetto e/o eloquio strani, inusuali x xxxxxxxx; pensieri strani e imprevedibili; affermazioni insolite o inappropriate. |
Disregolazione cognitiva e percettiva | Processi di pensiero ed esperienze strani o insoliti, tra cui depersonalizzazione, derealizzazione ed esperienze dissociative; esperienze di stati misti sonno-veglia; esperienze di controllo del pensiero. |
(APA, 2013, p. 904-906)
Un obiettivo dell’elaborazione di tale modello è stato quello di rappresentare adeguatamente i DP presenti nel DSM-IV-TR e mantenuti nella sezione II del DSM-5, utilizzando i nuovi criteri basati appunto sui tratti, al fine di facilitare la continuità nella diagnosi dei disturbi e di favorire il trattamento di quest’ultimi nella pratica clinica e nella ricerca (Xxxxx et al., 2016). Uno studio che ha influenzato il processo appena citato è stato condotto da Xxxxxxx et al. (2012), i quali hanno esaminato le relazioni empiriche tra i tratti proposti nell’AMPD e i DP presenti nel DSM-IV-TR in un gruppo di 808 studenti universitari; le 25 sfaccettature sono stati valutate attraverso il questionario PID-5 e i 10 costrutti del DSM-IV-TR sono stati valutati tramite il Personality Diagnostic Questionnaire-4 (PDQ-4) (Xxxxx et al., 2016). Dai risultati è emerso che il DP narcisistico era significativamente associato con tutte le sfaccettature del dominio dell'Antagonismo, così come con l'ostilità (Hopewood et al., 2012). Per quanto riguarda il DP ossessivo-compulsivo, le associazioni con i tratti sono risultate più deboli, ma osservate per l'ansia e per alcune sfaccettature del dominio dello Psicoticismo; in generale (Xxxxxxxx et al., 2012). Dopo la pubblicazione del DSM-5, alcuni altri studi hanno fatto tentativi simili per esaminare le relazioni ipotizzate tra i disturbi presenti nella sezione II e i tratti della sezione III (Xxxxxxxx et al., 2014; Xxx et al., 2013; Xxxxxxx et al., 2013; Jopp & South, 2015; Xxxxxx et al., 2015; Xxxxxxx et al., 2014), con risultati che generalmente indicano associazioni positive tra disturbi e tratti. Anche Moray e collaboratori (2016) hanno condotto uno studio con l'obiettivo di descrivere i legami tra il modello dei tratti maladattivi della sezione III e le diagnosi dei DP della sezione II, contribuendo a fornire una base per designare quelle sfaccettature del tratto che sono di particolare utilità nell'identificazione dei DP così come tradizionalmente definiti. Dai risultati è emerso che le assegnazioni dei tratti proposte nell’AMPD tendevano a essere sostanzialmente associate ai DP corrispondenti del DSM-5; inoltre, le caratteristiche del criterio A hanno fornito informazioni diagnostiche aggiuntive rispetto a quelle fornite dal modello categoriale presente nella sezione II (Xxxxx et al., 2016). Questi risultati hanno portato Xxxxx x i colleghi (2016) a concludere che l’AMPD fornisce una struttura tassonomica sostanzialmente diversa per i DP ma le associazioni tra questo nuovo approccio e i DP mantenuti all’interno della sezione II sono significative.
Capitolo 2
L’accordo sé-altro nella valutazione dei tratti maladattivi di personalità
2.1 L’utilizzo del Personality Inventory for DSM-5 (PID 5) e del Personality Inventory for DSM- 5 Informant Form (PID-5-IRF) per la valutazione dell’accordo sé-altro
Il Personality and Personality Disorders workgroup, oltre a essersi occupato della ricerca e della concettualizzazione dell’AMPD, ha lavorato alla creazione di uno strumento self-report, il Personality Disorder Inventory for DSM-5 (PID-5) (Xxxxx, 2007; Xxxxxxx & Xxxxx, 2010; Xxxxx & Duxxxxx, 2005; Xxxxxxx & Xxxxxxxx, 2005), volto a valutare i 25 tratti maladattivi di personalità presenti nell’AMPD (Xxxxxxx xt al., 2012). Il questionario che è stato elaborato presenta un set di 220 item che misurano in modo affidabile le 25 facets e i 5 domini di ordine superiore (Antagonismo, Distacco, Disinibizione, Affettività negativa e Psicoticismo) (Foxxxxx xt al., 2013).
Il PID-5 è stato impiegato in una grande varietà di ricerche e contesti applicativi (Xxxxxxx & Xxxxx, 2018) ed esistono diverse traduzioni di questo strumento, a testimonianza del suo ampio utilizzo sia nella ricerca sia nella clinica (Xxxxxxx & Xxxxx, 2018). Foxxxxx x colleghi (2013) hanno valutato le proprietà psicometriche della versione italiana del PID-5 in un campione di 710 individui adulti tratti dalla popolazione generale; i risultati di questo studio hanno confermato che la versione italiana del PID-5 è una misura affidabile dei tratti presenti nell’AMPD del DSM-5, in grado di cogliere la patologia di personalità nel suo complesso. Inoltre, il PID-5 si è dimostrato essere un valido supporto per la ricerca e una valida alternativa ai già noti test in uso per la valutazione psicodiagnostica della personalità disfunzionale (Xxxxxxxx xt al., 2018; Foxxxxx xt al., 2013; Soxxx xt al., 2019; Xxxxxx xt al., 2012). Allo stesso modo, una struttura a cinque fattori comparabile del PID-5 è stata validata in olandese/fiammingo (Xxxxxxxxx xt al., 2016; De Xxxxxx xt al., 2014; De Xxxxx xt al., 2013), tedesco (Xxxxxxxxxx xt al., 2014), danese (Bo xt al., 2016), francese (Xxxxxx xt al., 2015), spagnolo (Xxxxxxxxx xt al., 2015), norvegese (Thxxx xt al., 2017), e arabo (Al-Attiyah et al., 2017).
Sono stati pubblicati più di 700 articoli scientifici sul PID-5: in generale, gran parte di questo lavoro ha portato prove a supporto dell'affidabilità e la validità di questo strumento (Xxxxxxx &
Xxxxx, 2018). Al-Xxxxxx x collaboratori (2016) hanno effettuato una revisione della letteratura inerente le caratteristiche psicometriche del PID-5, concludendo che lo strumento presenta adeguate proprietà psicometriche, tra cui una struttura fattoriale replicabile, validità convergente con inventari di personalità esistenti e associazioni con costrutti clinici ampiamente concettualizzati in letteratura (Al-Xxxxxx xt al., 2016). Xxxxxxxxxx et al. (2013) e Xxxxxx xt al. (2013) hanno esplorato come il PID- 5 possa essere usato per identificare e concettualizzare specifici costrutti di psicopatologia della personalità non concettualizzati come DP all’interno del DSM-5, come la psicopatia. I risultati di questo studio hanno condotto gli autori a concludere che le sfaccettature della psicopatia che comportano l'esternalizzazione impulsiva e l'aggressività sono ben rappresentate dai tratti del PID-5 considerati rilevanti per il disturbo antisociale di personalità; inoltre, l'aspetto dell'audacia tipico della psicopatia può essere efficacemente catturato dai tratti del PID-5. Questi risultati hanno fornito una prova a favore del fatto che il PID-5 fornisce una buona copertura basata sui tratti della psicopatia e delle sue sfaccettature (Xxxxxxxxxx xt al., 2013). Xxxxxxx xt al. (2013) hanno esaminato la relazione tra il PID-5 e il Personality Assessment Inventory (PAI; Xxxxx, 1991) al fine di indagare le connessioni tra i tratti maladattivi del DSM-5 rappresentati dal PID-5 e i problemi di personalità che vengono istanziati nel PAI: i risultati hanno mostrato una sostanziale convergenza tra questi due strumenti. In generale, la letteratura ha riportato un'adeguata validità concorrente del PID-5 con altri strumenti e modelli di personalità oltre al PAI (Xxxxxxx xt al., 2013): con il Personality Pscyhopathology-Five (Xxxxxxxx xt al., 2013), HEXACO (Honesty-Humility, Emotionality, eXtraversion, Agreeableness, Conscientiousness, Openness to Experience) (Asxxxx xt al., 2012), Dimensional Personality Symptom Itempool (De Xxxxxx xt al., 2014), Schedule for Nonadaptive and Adaptive Personality-Second edition (Xxxxxx, Stxxxx xt al., 2013), e anche con le categorie del DSM e con diverse versioni del Big Five (Asxxxx xt al., 2012; De Xxxxx xt al., 2013; Xxxxxx xt al., 2013; Xxxxxx xt al., 2013; Xxxxxx xt al, 2013). Ad esempio, De Xxxxx xt al. (2013) hanno esplorato le relazioni tra i tratti del PID-5 e i tratti dell’FFM impiegando una versione aggiornata del NEO Personality Inventory–Revised (NEO-PI-R; Coxxx & McXxxx, 1992); i risultati emersi da un'analisi fattoriale fra i domini e le sfaccettature del NEO-PI-R con i tratti rappresentati dal PID-5 hanno mostrato che i tratti generali e disadattivi sono rappresentabili da cinque o sei dimensioni principali che possono essere interpretate attraverso il FFM.
Partendo dal presupposto che le proprietà psicometriche del PID-5 dovevano ancora essere valutate in un campione psichiatrico, Xxxxxx x i suoi collaboratori (2013) le hanno esaminate in un gruppo di pazienti psichiatrici del 5 Field Trial (sito del Centre for Addiction and Mental Health) concludendone l’adeguato impiego in campioni di questo tipo. Questo è stato un primo contributo
importante perché il PID-5 è stato sviluppato per essere utilizzato con popolazioni cliniche (Xxxxxx et al., 2013). Successivamente, Baxx x collaboratori (2018) hanno ulteriormente evidenziato che, nonostante il PID-5 sia stato costruito per descrivere caratteristiche psicopatologiche, la maggior parte della ricerca fino a quel momento si era focalizzata prevalentemente su gruppi non clinici. La struttura a cinque fattori del PID-5 è stata infatti originariamente derivata a partire da dati provenienti da campioni statunitensi costituiti da partecipanti in cerca di trattamento e il criterio di inclusione era quello di aver avuto almeno un colloquio con uno psichiatra o uno psicologo (Xxxxxxx xt al., 2012). Successivamente, la struttura a cinque fattori è stata replicata in un ampio campione di studenti statunitensi con risultati in linea con lo studio di Xxxxxxx xt al. (2012) (Xxxxxx xt al., 2012). I risultati dello studio hanno suggerito che i risultati ottenuti nel PID-5 in gruppi non clinici sono paragonabili ai risultati ottenuti in gruppi clinici, il che ne supporta la generalizzabilità (Baxx xt al., 2018).
Xxxxxxx xt al. (2012) hanno evidenziato la presenza di alcuni limiti del PID-5. Il principale, insito nella natura self-report dello strumento: una valutazione clinica completa dei tratti maladattivi si dovrebbe basare anche su osservazioni provenienti da informatori esterni, oltre che da sé (Xxxxxxxx & Tuxxxxxxxx, 2009). Maxxxx x colleghi (2013) hanno successivamente sviluppato il Personality Inventory for DSM-5 Informant Form (PID-5-IRF). Il PID-5-IRF possiede la medesima struttura fattoriale della versione self-report e ha dimostrato buone associazioni con altre misure già validate in letteratura (Maxxxx xt al., 2013). Il PID-5-IRF è una misura utile soprattutto in quelle situazioni nelle quali sono necessarie ulteriori fonti di informazione: ad esempio, quando si temono bias di risposta, oppure quando ci si aspetta che le misure provenienti da fonti esterne forniscano validità incrementale rispetto al self-report e, infine, quando le percezioni dell’altro sono di particolare interesse (Maxxxx xt al., 2013).
Una vasta letteratura ha suggerito che le misure ricavate da informatori esterni (other- reports/informant-reports) forniscono informazioni importanti sugli individui: come le misure self- repors riguardanti stati interni possono essere più accurate delle misure other-reports, queste ultime possono essere più accurate quando si tratta di valutare tratti che sono osservabili da altri (Xxxxxxx xt al., 2013; Vaxxxx, 2010; Vaxxxx & Xxxxxxx, 2010). Le valutazioni riportate dall'informatore potrebbero anche essere importanti in quanto possono fornire informazioni rilevanti su come persone, che risultano importanti nella vita di un individuo target, percepiscono la persona stessa e la loro relazione: un esempio può riguardare il coniuge che fornisce informazioni sulla personalità del proprio partner (Maxxxx xt al., 2013). A proposito di ciò, la ricerca nell’ambito della cognizione sociale ha suggerito che le valutazioni accurate, così come quelle inaccurate, da parte di un partner, possono entrambe contribuire a determinare la soddisfazione complessiva della relazione (Luo &
Xxxxxx, 2009). Ottenere informazioni dagli informatori è fondamentale per comprendere i processi e il funzionamento interpersonale, sia che queste vengano ricavate in aggiunta ai self-repost, sia che vengano considerate indipendentemente da essi (Maxxxx xt al., 2013). Infine, il report dell'informatore può anche aiutare a fornire informazioni rispetto alla presenza o meno di bias di risposta nei self-reports: alcuni risultati presenti in letteratura hanno sollevato importanti domande sull'interpretabilità dei tradizionali indici di validità nella valutazione della personalità, portando alcuni autori a metterne in discussione validità e utilità (McXxxxx xt al., 2010; Piedmont et al., 2000). Per queste ragioni, una forma other-report del PID-5 risulta particolarmente utile per valutare gli individui quando i bias di risposta sono motivo di preoccupazione (Markon et al., 2013). Come è stato osservato in numerosi studi (De Xxxxx xt al., 2013; Xxxxxxx xt al., 2012; Xxxxxx xt al., 2012), le scale PID-5-IRF hanno generalmente proprietà psicometriche adeguate, sono caratterizzate da validità esterna in relazione con altre scale e validità interna, la quale rispecchia quella della forma self-report (Maxxxx xt al.,2013).
2.2 L’accordo tra auto- ed etero-valutazione della personalità adattiva e patologica
La questione se conosciamo noi stessi meglio di chiunque altro è stato un tema di primo piano nella cultura mainstream, nella musica, nella letteratura e nei film. Questa preoccupazione per la conoscenza di sé (o per la sua mancanza) non è nuova, anzi, esiste da quando esiste la storia stessa (Vaxxxx & Xxxxxxx, 2002). Xxxxxxx x Xxxxxx (1977) hanno affermato che le persone "dicono più di quanto possano sapere" su sé stesse. Vaxxxx x Xxxxxxx (2010) hanno condotto una rassegna, esaminando ricerche che si sono concentrate sullo studio della conoscenza della propria personalità, partendo dal presupposto che la valutazione della personalità sia caratterizzata dalla percezione di come una persona pensa, sente e si comporta tipicamente, e dalla percezione di come questi modelli di esperienza sono interpretati dagli altri. Questa definizione pone molta enfasi sugli aspetti interpersonali della personalità (ad esempio, la reputazione), soprattutto perché gran parte della personalità è intrinsecamente espressa a un livello interpersonale (Vaxxxx & Xxxxxxx, 2010).
Un primo problema evidenziato dalla letteratura rispetto alla valutazione self-report è relativo alla desiderabilità sociale (Alxxxx xt al., 1995; Xxxxx, 1999; Kunda, 1990): in particolare, la valutazione di sé può essere distorta da pregiudizi ego-protettivi, come l'effetto "meglio della media" o l'effetto di "auto-esaltazione" (Alxxxx, 1985; Xxxxxx & Xxxxx, 1988). Le persone con DP e non sono spesso incapaci di vedersi in modo realistico e non sono sempre consapevoli dell'effetto del proprio
comportamento sulle altre persone (Xxxxxxx xt al., 2002). È probabile che la loro autovalutazione includa informazioni distorte e fuorvianti o che ometta informazioni importanti e rilevanti; una descrizione più accurata delle caratteristiche maladattive di personalità potrebbe essere ottenuta raccogliendo informazioni dai partner, dagli amici o dai membri della famiglia (Xxxxxxx xt al., 2002). Diversi ricercatori, che hanno concentrato i loro studi su questo tema, hanno sostenuto l'importanza dell'inserimento dei reports da parte di informatori esterni negli studi sui DP (Xxxxx xt al., 1997; Grxxx & Xxxxxxxx, 1991; Westen & Shxxxxx, 1999). Tuttavia, anche affidarsi esclusivamente agli informatori ha dei limiti, tra cui il fatto che gli informatori forniscono solo un tipo di prospettiva e non hanno accesso a tutti i pensieri e sentimenti della persona (Xxxxxxx, 2000). Gli studi che hanno confrontato l'accuratezza dei self- de degli other-reports hanno ripetutamente dimostrato che ogni prospettiva fornisce informazioni uniche su una persona (Vaxxxx & Xxxxxxx, 2002). Quindi, integrare le valutazioni della personalità da prospettive multiple può essere molto utile al fine di ottenere informazioni valide e complete (Vaxxxx & Xxxxxxx, 2002). Inoltre, il grado di accordo tra le valutazioni di sé e degli altri può chiarire l'accuratezza dei self-reports (Xxxxxxxx & Xxxxx, 1959; McXxxx xt al., 2004). L'accordo tra sé e gli altri, tipicamente operazionalizzato come una correlazione tra le due valutazioni, si riferisce alla misura in cui due valutatori (un informatore e un target) percepiscono il target nello stesso modo (Kexxx & Wexx, 2010). Alcuni studi che si sono concentrati sulla popolazione generale hanno riscontrato un accordo moderato tra la valutazione di sé e degli altri in tutti i tratti di personalità del Big Five (Alxxx xt al, 2010; Xxxxxxxx xt al., 2007). In base a uno studio di Xxxxxxxx x Tuxxxxxxxx (2009), il cui campione era costituito da giovani adulti non clinici ma comunque con problemi legati alla personalità, le informazioni raccolte dai coetanei e da altri tipi di informatori sono emerse essere affidabili e fornivano una prospettiva che spesso differiva sostanzialmente da quella ottenuta utilizzando questionari e interviste. Alcuni studi che hanno confrontato l’accuratezza di auto-valutazioni ed etero-valutazioni della personalità da parte di amici e familiari hanno mostrato tutti che le auto-valutazioni non sono complessivamente più precise: in altre parole, non sembra che le persone conoscano la loro personalità meglio rispetto ai propri amici e familiari più stretti (Xxxxx xt al., 1996; Vaxxxx & Mexx, 2008). Vazire (2010) ha spiegato questi risultati alla luce del fatto che l’accesso privilegiato che ciascun individuo ha dei propri pensieri, sentimenti e comportamenti sembra essere controbilanciato dai pregiudizi e dalle tendenze a distorcere le proprie auto-valutazioni: ciò porterebbe a non conoscere la propria personalità meglio, nel complesso, di quanto la conoscano gli altri. In generale, meta-analisi che hanno considerato studi inerenti la personalità hanno suggerito che è necessaria una sostanziale intimità interpersonale per poter fornire informazioni precise su un target (Xxxxxxxx & Ones, 2010). Xxx & Asxxxx (2017) hanno condotto uno studio su un campione di 2358 individui che hanno completato entrambi i moduli
(auto- ed etero- valutazione) dell' HEXACO Personality Inventory- Revised (HEXACO-PI-R; Asxxxx & Xxx, 2009): i partecipanti erano per lo più studenti universitari e il membro della diade che gli affiancava era un amico che conoscevano almeno da un anno. L’accordo fra auto- ed etero- valutazione è stato calcolato in funzione del livello di conoscenza della coppia (Xxx xt. al., 2017). Un’ associazione positiva fra i self- e gli other-reports è stata osservata per tutte e sei le principali dimensioni della personalità (coscenziosità, emotività, onestà-umiltà, estroversione, piacevolezza e apertura all’esperienza). L'estroversione e l'emotività hanno mostrato alti livelli di accordo tra i self- e gli other-reports fra le diadi che si conoscevano da meno tempo, similmente all’apertura all’esperienza; al contrario, le dimensioni piacevolezza e coscenziosità, e specialmente onestà-umiltà, hanno mostrato un livello notevolmente più basso di accordo fra i self- e gli other-reports in questo gruppo. Gli alti livelli di accordo osservati per estroversione nella condizione di bassa conoscenza possono probabilmente essere attribuiti all'alta visibilità dei tratti che compongono il dominio dell'estroversione (Vazire, 2010).
Il modello self-other knowledge asymmetry (SOKA; Vazire, 2010) è stato concettualizzato per comprendere le “asimmetrie” osservate nell’accordo sé-altro. Per quanto riguarda i tratti di personalità in generale (non patologici), sé ed altro conoscerebbero diversi aspetti della personalità ciascuno; queste asimmetrie di conoscenza sono basate su asimmetrie di informazione e motivazione. In termini di asimmetrie informative, l’individuo target avrebbe accesso privilegiato a pensieri e sentimenti, mentre l’altro sarebbe meglio in grado di osservare i modelli di comportamento (Vazire, 2010). Di conseguenza, il target sarebbe più affidabile nella valutazione dei tratti che descrivono pensieri e sentimenti non osservabili, mentre l’altro sarebbe più affidabile nella valutazione dei tratti che descrivono aspetti osservabili della personalità del target (Vaxxxx, 2010). In termini di asimmetrie motivazionali, il target sarebbe motivato a modificare informazioni dal potenziale valutativo (ad esempio, auto-esaltazione, auto-verifica), mentre l’altro sarebbe meno motivato a distorcere informazioni legate al giudizio (Vaxxxx, 2010). Xxxxxxx x collaboratori (2013) hanno affermato che i reports degli informatori possono fornire informazioni sui DP che i self-reports da soli non forniscono. Nella loro ricerca hanno esaminato se e quando una prospettiva possa essere più valida dell'altra nell'identificare i DP, utilizzando come modello di riferimento il FFM. I risultati hanno suggerito che i self-reports erano più validi dei reports degli informatori per la maggior parte dei DP internalizzanti (cioè, i DP definiti da alto nevroticismo) (Xxxxxxx xt al., 2013). Gli other- reports (in particolare di piacevolezza e coscenziosità) erano più affidabili dei self-reports per i DP esternalizzanti e/o antagonisti (cioè, DP definiti da bassa piacevolezza e coscenziosità) (Xxxxxxx xt al., 2013). Nessuno dei due reports è risultato più affidabile dell’altro per i DP caratterizzati da
disturbo del pensiero (cioè, DP definiti da bassa estroversione). Tuttavia, i reports degli informatori (in particolare per quanto riguarda la piacevolezza) hanno mostrato maggiore affidabilità dei self- reports per i DP di tipo sia internalizzante sia esternalizzante (cioè, i DP definiti da alto nevroticismo e bassa piacevolezza) (Xxxxxxx xt al., 2013).
La questione dell'accordo tra auto- ed etero-valutazione è particolarmente importante da affrontare in campioni di pazienti psichiatrici perché i self-reports di quest’ultimi sono spesso considerati poco affidabili (Ready & Xxxxx, 2002). Xxxxxxxxx xt al. (1997) hanno osservato che i pazienti psichiatrici possono avere delle difficoltà quando si tratta di comprendere le proprie caratteristiche di personalità e/o possono essere motivati a rispondere in modi socialmente desiderabili. Yaxx xt al. (1999) hanno affermato che la psicopatologia spesso implica compromissioni cognitive, distorsioni rispetto alla costruzione del concetto di sé, e una varietà di meccanismi di difesa, che potrebbero influenzare negativamente la validità dei questionari self-reports. Un'altra preoccupazione riguardante la validità dei self-reports dei pazienti psichiatrici riguarda l'effetto dell'umore del paziente sulle auto- valutazioni. Per esempio, nelle risposte agli inventari di personalità di alcuni studi sono state trovate influenze dovute all'ansia di stato (Reich et al., 1986), alla depressione (Xxxxxxxxxx xt al., 1983) e al tono dell’umore in generale (Xxxxxx, 1996). Xxxxx e Xxxxxxx (1993) hanno riportato un'eccezione a questi risultati, in quanto i cambiamenti rispetto ai punteggi sui DP basati su interviste erano generalmente non correlati ai cambiamenti nel tono dell’umore in un campione di pazienti psichiatrici ambulatoriali. I risultati pubblicati da Xxxxx x colleghi (1992) aiutano a riconciliare questi risultati discordanti, poiché hanno evidenziato che il tono dell'umore influenzava la valutazione della personalità in modo differenziato; alcuni tratti erano influenzati dal tono dell'umore, ma la maggior parte erano indipendenti. Steketee (1990) ha richiesto a 11 pazienti con disturbo ossessivo- compulsivo e a un parente stretto di completare il Personality Diagnostic Questionnaire-Revised (PDQ-R; Xxxxx & Xxxxxx, 1987), osservando un accordo del 100% per cinque diagnosi di DP e tra l'82% e il 91% di accordo per tutti gli altri DP. Xxxxx xt al. (1998) hanno esaminato l'accordo fra self- e informant-reports usando il Revised NEO Personality Inventory (NEO-PI-R; Coxxx & McXxxx, 1992) in un campione di 46 pazienti depressi ambulatoriali e hanno riscontrato correlazioni positive significative.
Xxxxxxxxx xt al. (1997) hanno esaminato l’accordo fra i self e gli other-reports in 62 pazienti psichiatrici con la Structured Interview for DSM-III Personality Disorders (SIDP; Xxxxx xt al., 1982): l'accordo per le diagnosi categoriche è risultato piuttosto scarso, mentre l'accordo per le valutazioni dimensionali è risultato moderato. Allo stesso modo, l'accordo diagnostico tra i self- e gli other-
reports utilizzando il Personality Disorder Examination (PDE; Xxxxxxxx xt al., 1988) era basso, ma l'accordo per i punteggi dimensionali era più alto (Xxxxxxxxx xt al., 1997).
Alcuni ricercatori hanno esaminato chi tra i target (pazienti psichiatrici) e gli informatori riportasse livelli di psicopatologia, in termini di DP, più gravi, ottenendo risultati contrastanti: Xxxxxxxxx xt al. (1988) e Pexxxxx xt al. (1994) hanno riscontrato che gli informatori riportavano una prevalenza significativamente maggiore di diagnosi di DP (riferita ai target) rispetto ai pazienti. Rixx xt al. (1994) hanno documentato invece risultati opposti, con pazienti psichiatrici ambulatoriali che si sono valutati con una sintomatologia tipica dei DP più grave rispetto a quanto non valutassero gli informatori. Anche Doxxxx (1992) ha osservato che le auto-valutazioni si caratterizzano per punteggi significativamente più alti rispetto ai punteggi forniti dagli informatori.
Ready e Xxxxx (2002) hanno condotto uno studio nel quale hanno valutato l’accordo tra i self- reports di pazienti psichiatrici adulti non psicotici la cui diagnosi era principalmente di disturbo depressivo e i reports degli informatori, conoscenti dei target. Lo strumento che è stato utilizzato per la valutazione dei tratti di personalità dei pazienti era la Schedule for Nonadaptive and Adaptive Personality (SNAP; Xxxxx & Xxxxx 0006), agli informatori invece è stato somministrato il Big Five Inventory (BFI; Xxxx & Srxxxxxxxx., 1999). Sono state osservate poche differenze tra i self- e gli other- reports: i risultati hanno suggerito che l'effetto complessivo della psicopatologia sulle autovalutazioni dei tratti di personalità era minimo nel campione di pazienti, a disconferma dell’ipotesi secondo la quale la psicopatologia ha un effetto dannoso sulla consapevolezza di sé (Ready & Xxxxx 0002).
Letteratura più recente suggerisce che l’accordo sé-altro, quando si tratta di personalità non patologica, è generalmente di grado forte (Vaxxxx & Xxxxxxx, 0000; Xxxxxxxx & Ones, 2010); quando, invece, si confrontano le due valutazioni nei casi di individui con DP, la concordanza è moderata "nella migliore delle ipotesi” (Xxxxxxx & Tuxxxxxxxx, 2009). Una spiegazione convincente di un basso accordo sé-altro fa riferimento al fatto che l'esperienza soggettiva di un individuo con un DP è marcatamente differente rispetto a quella che gli altri hanno di lui (Xxxxxxxxx xt al., 2005; Xxxxxxx xt al., 2004; Moxxxxxxx & Xxxxxxxx, 2011). Ad esempio, Xxxxxxx x colleghi (2004) hanno rilevato che, in un campione di reclute militari con età media 20 anni (il 9,4% presentava almeno un DP), la descrizione di sé stessi nella scala del tratto “paranoia” corrispondeva debolmente alle descrizioni dei coetanei chiamati a valutare i tratti paranoici degli individui target. Secondo i ricercatori, questa bassa corrispondenza è attribuibile a differenze, in termini di percezione, dei tratti da parte di sé e degli altri (Xxxxxxx et al., 2004). Ulteriori prove che il sé e gli altri percepiscono aspetti distinti della patologia della personalità provengono da Xxxxxx x colleghi (2004), i quali hanno riportato che la
valutazione dei tratti basata sul FFM da parte di informatori esterni forniva informazioni aggiuntive rispetto ai self-reports di un campione di pazienti psichiatrici. Allo stesso modo, un lavoro condotto da Xxxxxxx x collaboratori (2004) ha suggerito che le valutazioni da parte dei pari rispetto a caratteristiche patologiche di personalità forniscono dati in grado di predire importanti esiti di vita, come il successo lavorativo, la salute (Kneip et al., 1993) e la psicopatologia (Klxxx, 2003). Anche Xxxxx x collaboratori (2008) hanno evidenziato che le valutazioni informant-reports relative a tratti disfunzionali di personalità di un individuo target (ad es. ostilità) sono predittori di problemi di salute (ad es. malattia coronarica) migliori rispetto ai self-reports.
2.3 L’accordo tra auto- ed etero-valutazione dei tratti maladattivi di personalità basati sull’AMPD
Acquisire maggiori conoscenze rispetto al grado in cui le persone, con o senza DP, e relativi informatori esterni concordano sulla valutazione dei tratti maladattivi di personalità ha importanti implicazioni pratiche e teoriche (Carnovale et al., 2019). In primo luogo, a livello pratico, un clinico potrebbe voler raccogliere informazioni sul DP di un paziente al fine di generare un quadro più completo del funzionamento/comportamento dello stesso (Caxxxxxxx xt al., 2019). In secondo luogo, a livello teorico, indagare l'accordo tra sé e gli altri rispetto ai tratti maladattivi di personalità permetterebbe di affrontare il lungo dibattito sulla mancanza di insight in coloro che hanno un DP (Caxxxxxxx xt al., 2019).
Nonostante il self-report del paziente sia di solito il punto di partenza della valutazione clinica, l'integrazione delle informazioni dei self-reports e di quelle degli informant-reports porta a previsioni più affidabili e generalizzabili in relazione ai futuri comportamenti; infatti, ogni report fornisce informazioni complementari (Boxxxxx xt al., 2018; Jopp & Soxxx, 2015; Klxxx, 2003; Maxxxx xt al., 2013; Ready et al., 2002; Vazire, 2010). Inoltre, è stato dimostrato che gli informant-reports per i tratti di personalità possono migliorare l'affidabilità della valutazione della personalità e ridurre le potenziali distorsioni che caratterizzano le valutazioni individuali (Bottesi et al., 2018; Xxxxxxx xt al., 2002).
Secondo Paxxxxxx x Kam (2014), l'associazione tra l'osservabilità del tratto e i livelli di accordo tra sé e gli altri è una questione complessa. In letteratura sono presenti varie ricerche che hanno indagato l’accuratezza delle valutazioni di altri in funzione dell'osservabilità; in particolare, le ricerche si sono concentrate sulla valutazione dei tratti presenti nel Big Five, ed è stato dimostrato
che i tratti maggiormente osservabili sono ritenuti in grado di generare una maggiore accuratezza (Bexx & Xxxxxx, 2008, Xxxxxxxx & Xxxxxxx, 1992, Funder & Xxxxxx, 1988, Funder & Xxxxxx, 1997, Xxxx & Roxxxx, 1993, Xxxxxx, 1989).
Bottesi e collaboratori (2018) hanno condotto uno studio con l’obiettivo di esplorare l'accordo tra la valutazione di sé e la valutazione di altri dei tratti di personalità attraverso il PID-5 e il PID-5-IRF in un campione di individui non clinici italiani. I ricercatori hanno raccolto dati da 80 coppie, composte da 80 target, i quali hanno completato il PID-5, e 80 informatori, i quali hanno completato il PID-5-IRF; quest’ultimi erano coniugi/partner, familiari e amici (Boxxxxx xt al., 2018). Dai risultati è emerso che, nel complesso, l'accordo fra le valutazioni era moderato e la sua associazione con la durata e la vicinanza percepita della relazione era trascurabile, con la sola eccezione di tre deboli correlazioni tra la durata, il dominio Distacco e le sfaccettature anedonia e attention seeking (Bottesi et al., 2018). Inoltre, i risultati hanno suggerito che l’accordo fra auto- ed etero-valutazione potrebbe variare a seconda del tipo di informatore. In generale, sono state osservate correlazioni di ampiezza moderata sia per i domini sia per le sfaccettature; i risultati hanno tuttavia indicato che, quando gli informatori erano partner romantici, i target e gli informatori erano più propensi a concordare in un alto numero di domini, mentre questo non si applicava quando gli informant erano membri della famiglia o amici (Bottesi et al., 2018). Questo risultato è in linea con quanto sottolineato da Xxxxxxxx x Ones (2010): i partner sposati/conviventi rappresenterebbero gli informatori più affidabili e accurati; essere in una relazione impegnata a lungo termine permetterebbe un alto livello di vicinanza e concordanza nella valutazione anche di caratteristiche solitamente non direttamente accessibili agli altri, come ad esempio quelle relative allo Psicoticismo, ad alcune sfaccettature relative all'Affettività negativa e al Distacco (Bottesi et al., 2018). Nello studio di Xxxxxxxx x Ones (2010), anche i partner non conviventi sono risultati accurati nel rilevare questi tratti; infatti, nonostante la loro relazione con i target fosse più breve e meno impegnata, il loro livello di conoscenza è risultato alto e sono stati quindi considerati informatori affidabili. In generale, la letteratura ha mostrato che i membri della famiglia e gli amici sarebbero informatori meno accurati: i target e gli informatori si sono dimostrati d'accordo su un numero piuttosto basso di domini e sfaccettature, e questo è in linea con gli autori che hanno suggerito che la durata della relazione potrebbe non essere una dimensione cruciale, dato che si presuppone che i familiari abbiamo una conoscenza di lunga data con i target (Bottesi et al., 2018; Xxxxxxx xt al., 2006). Infine, l'accordo tra sé e gli altri quando gli informatori erano amici è stato riscontrato elevato su pochi tratti (e principalmente altamente osservabili) (Bottesi et al., 2018). Questi risultati sono in linea con altri studi che hanno dimostrato che alcuni informatori hanno una maggiore conoscenza dei partecipanti rispetto ad altri, ad esempio i coniugi hanno mostrato un
migliore accordo con i self-reporst degli individui target rispetto ad altri valutatori per i criteri del DP (South et al., 2011) e i tratti del DP, in particolare Affettività negativa, Distacco e Antagonismo (Jopp & South, 2015). In particolare, dai risultati di uno studio condotto da South et al. (2011) è emerso che l'accordo tra il self-report e il report del coniuge per diversi fattori di personalità patologica era più forte di quello osservato tra sé e i pari; tuttavia, l'ampiezza dell'accordo era di dimensioni moderate. Anche Yaxxx x Woxxxxx (2017), prendendo in considerazione l’AMPD, hanno suggerito partner romantici e target si caratterizzano per un accordo sé-altro significativamente più alto rispetto a tratti quali l'insicurezza relazionale, l'aggressività e la maleducazione, rispetto ad altri tipi di informatori (ad esempio, amici, fratelli e sorelle, genitori) (Yaxxx & Xxxxxxx, 2017).
Secondo Sleep e collaboratori (2019), indagare la convergenza fra i self-reports e gli informant- reports è utile per testare il grado con cui gli individui con tratti patologici hanno una visione della loro personalità e del funzionamento associato. Questa consapevolezza è importante perché la comprensione del proprio malfunzionamento ha importanti implicazioni nel trattamento dei DP, ad esempio, in termini di motivazione al cambiamento (Sleep et al., 2019). In letteratura vi è un certo dibattito riguardo al grado in cui una generale mancanza di insight possa caratterizzare individui con DP (Xxxxxx et al., 2014; Xxxxx & Xxxxxxxxx, 2016). A proposito di questo, due studi recenti hanno indagato i livelli di consapevolezza circa il malfunzionamento di personalità di individui con tratti di personalità maladattivi (Xxxxxx et al., 2018; Xxxxxx et al., 2017). In generale, i risultati hanno mostrato che le persone valutano i propri tratti di personalità patologici come negativi suggerendo, che gli individui con tratti maladattivi di personalità possono avere una certa comprensione della problematicità delle proprie caratteristiche (Sleep et al., 2019). Inoltre, i risultati hanno suggerito che gli individui con questi tratti non vedono quest’ultimi favorevolmente, ma piuttosto come causa di problemi nel funzionamento, e riportano interesse nel ridurli o modificarli (Xxxxxx et al., 2017; Xxxxxx et al., 2017). Sleep e collaboratori (2018) hanno raccolto auto- ed etero- valutazioni in un campione di individui con tratti maladattivi di personalità utilizzando il DSM-5 Clinicians' Personality Trait Rating Form (DSM-5 Clinicians' PTRF; APA, 2011). L’obiettivo dei ricercatori era quello di esaminare la convergenza fra i self-reports e gli informant-reports sui tratti maladattivi di personalità. Dai risultati è emerso che le persone hanno una certa consapevolezza della presenza dei propri tratti patologici: gli individui nei self-reports hanno riferito livelli maggiori di patologia legata alla personalità rispetto agli informant-reports per tutti e cinque i tratti indagati, suggerendo che gli individui con tratti maladattivi sono in grado di riconoscere la presenza di difficoltà al livello di personalità (Sleep et al., 2019). Questi risultati hanno messo in discussione le comuni convinzioni
relative al fatto che i self-reports, nell’ambito della valutazione della personalità, abbiano validità e utilità limitate (Sleep et al., 2019).
Alcune rassegne della letteratura che si sono concentrate sull’accordo sé-altro nella valutazione dei DP hanno riscontrato una convergenza piuttosto limitata, mentre altre hanno riportato una convergenza da moderata a sostanziale (Xxxxxx & Xxxxxxxx, 0000; Xxxxx & Xxxxx, 2002) anche per i disturbi ritenuti prototipici della descrizione "low insight" come la psicopatia (Xxxxxx et la., 2011; Xxxxxx et al., 2014). Per quanto riguarda specifici DP: gli individui con DP borderline sembrano riportare livelli di gravità maggiore rispetto a quelli degli informatori (Balsis et al., 2018); per quanto riguarda il DP narcisistico è stato dimostrato l'effetto opposto, per cui gli other-reports tendevano a identificare livelli di gravità più alti di quelli riportati dai target, anche se l’entità delle differenze non era elevata (Xxxxxx et al., 2012; Xxxxxx-Xxxxxx & Xxxxxx, 2018).
Xxxxxxxxx et al. (2019) hanno condotto uno studio focalizzandosi non esclusivamente sull’accordo sé-altro inteso come correlazioni tra auto- ed etero-valutazioni, ma anche considerando le differenze nei punteggi medi riportati da target e informant in relazione al medesimo tratto di personalità. Infatti, le correlazioni e le differenze a livello di media sono concettualmente e statisticamente distinte (Stern & West, 2018; Xxxx & Xxxxx, 2011). In particolare, l'accuratezza correlazionale si riferisce a quanto un target e un informatore sono d'accordo sulla gravità relativa a un dato tratto disadattivo del target, per esempio, un’ampia e significativa correlazione positiva indicherebbe che i target che si attribuiscono livelli di Antagonismo gravemente superiori alla media tendono a essere percepiti anche da un informatore come aventi il medesimo tratto gravemente superiore alla media (Carnovale et al., 2019). Nel caso delle differenze tra punteggi medi, invece, i self-reports potrebbero caratterizzarsi punteggi medi generalmente più bassi per l'Antagonismo rispetto ai resoconti degli informatori (Carnovale et al., 2019). Come è stato spiegato nel paragrafo precedente, in letteratura sono state presentate alcune evidenze rispetto al fatto che l'accuratezza variare alla luce di alcuni fattori legati alla relazione target-informatore, come il tipo di relazione/conoscenza (es. partner romantico, amico, membro della famiglia) e la soddisfazione della relazione (Xxxxxxxxx et al., 2019). Per esempio, nel caso della personalità non patologica l'accuratezza correlazionale tende ad essere più elevata fra target e parenti stretti, rispetto a quella tra target ed estranei (Xxxxxxxx et al., 2007). I risultati presenti in letteratura, secondo Xxxxxxxxx e i suoi collaboratori (2019), hanno portato evidenze che suggeriscono che le differenze a livello di media per la personalità non patologica sarebbero trascurabili, ma sarebbero invece più rilevanti quando si tratta di DP. Un limite di questi studi può essere ricondotto al fatto che non sia stato valutato se le differenze nei punteggi medi cambiassero in funzione della gravità del DP (Carnovale et al., 2019). Partendo dall’identificazione di questo limite,
Carnovale e collaboratori (2019) hanno condotto uno studio basandosi sull’ AMPD somministrando il PID-5 a un campione composto da 208 adulti, i quali sono stati reclutati sulla base della loro storia di trattamento psichiatrico: il 44,71% ha indicato di aver cercato aiuto a dei professionisti per problemi emotivi/psichiatrici, il 31,25% ha preso farmaci per problemi emotivi/psichiatrici, il 38,46% ha ricevuto una psicoterapia per problemi emotivi/psichiatrici, e l'11,54% è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico. Gli informatori hanno completato, invece, il PID-5-IRF, il tutto con l’obiettivo principale di verificare se le persone con tratti maladattivi di personalità più gravi fossero effettivamente meno d'accordo con altri informatori nella valutazione dei propri tratti maladattivi di personalità. In aggiunta, hanno anche testato il grado di accordo rispetto alla valutazione dei sintomi (Carnovale et al., 2019). Lo studio si articolava in due sessioni: nella prima, i target hanno completato test self-reports e interviste (Carnovale et al., 2019). Nella seconda, è stato richiesto loro di portare al laboratorio un informant che conoscevano da almeno un anno (durata media della relazione =13,69 anni); gli individui target hanno completato nuovamente self-reports e interviste, mentre i loro informatori hanno completato una batteria di questionari riferita al target (Carnovale et al., 2019). Dai risultati è emerso che i target tendevano a valutarsi con una gravità leggermente inferiore rispetto a come gli informatori valutavano loro nella maggior parte dei domini e delle sfaccettature del PID-5; le eccezioni erano rappresentate dal fatto che i target si sono valutati con valori più alti sulle sfaccettature di ansia e convinzioni ed esperienze insolite (Carnovale et al., 2019). Le sfaccettature di anedonia e sospettosità hanno mostrato la discrepanza più bassa (e non significativa), mentre la sfaccettatura di affettività ridotta ha mostrato la più grande discrepanza (Xxxxxxxxx et al., 2019). Inoltre, è emerso che all'aumentare della gravità della patologia generale di personalità di un target, la differenza tra le valutazioni del sé e dell'informatore tendeva ad aumentare (Xxxxxxxxx et al., 2019).
L’accuratezza correlazionale dei domini e delle sfaccettature del PID-5 e dei DP è risultata essere moderata; questo risultato è in linea con la letteratura precedente (Bottesi et al., 2018; Xxxx & South, 2015; Xxxxxx et al., 2018; Sleep et al, 2019). La sfaccettatura della manipolazione ha mostrato il più basso grado di accordo, mentre il dominio della Disinibizione ha mostrato il più alto grado di accordo (Carnovale et al., 2019). Tuttavia, la gravità del DP non è emersa moderare e l'accuratezza correlazionale di quasi tutte le scale PID-5, con l'eccezione della sfaccettatura della sottomissione; questi risultati hanno portato i ricercatori a concludere che l'accordo tra auto- ed etero- valutazione non sembra dipendere dalla gravità specifica del DP, almeno per quanto riguarda la dimensione dell'effetto (Carnovale et al., 2019). In generale, gli informatori tendono a valutare i target con punteggi più alti per quanto riguarda la gravità rispetto a quanto i target valutino sé stessi (Carnovale
et al., 2019). È interessante notare che questi risultati sono contrapposti a quelli ottenuti da Sleep et al. (2018) e Xxxxxx et al. (2018), dove in entrambi gli studi si è riscontrato che i target valutano sé stessi come più gravi rispetto a quanto non facciano gli informatori (Carnovale et al., 2019).
Secondo Xxxxxx e Xxxxxx (2017) per comprendere meglio se i self-reports siano accurati o meno, gli informatori dovrebbero essere vari e appartenere a contesti differenziati (ad esempio, potrebbero essere delle figure cliniche), oppure informatori che conoscano il target ma che non necessariamente lo apprezzino, come i colleghi. Probabilmente, la realtà sociale condivisa tra più prospettive fornirebbe un valido confronto con i self-reports (Xxxxxxxxx et al., 2019).
2.3.1 L'accordo tra paziente-terapeuta nella valutazione dei tratti maladattivi di personalità
Le figure cliniche forniscono la maggior parte delle diagnosi di salute mentale, ma poco si sa sulla validità delle loro diagnosi di routine, ad esempio, Xxxxxxx e colleghi (2012) hanno osservato che la ricerca sulla qualità delle diagnosi di salute mentale ha ricevuto relativamente più attenzione di molti altri disturbi medici, tuttavia, hanno suggerito la necessità di rivolgere ancora maggiore attenzione all'affidabilità e alla validità delle diagnosi psichiatriche. Inoltre, hanno evidenziato che l'impatto della qualità diagnostica sulla qualità e sui costi della cura del paziente è grande (Xxxxxxx et al., 2012). La scienza si è dedicata alla comprensione della malattia mentale e ai tipi di psicoterapia che sono più utili per ogni specifica diagnosi (Xxxxxxx et al., 2012). Tuttavia, queste impostazioni di ricerca hanno utilizzato tipicamente procedure diagnostiche che differiscono notevolmente dai metodi utilizzati nella pratica clinica; di conseguenza, si sa poco sull'affidabilità e la validità delle diagnosi assegnate nella pratica clinica di routine (Xxxxxx et al., 2018). Un indicatore particolarmente importante per determinare la validità diagnostica dei clinici è la misura in cui le loro percezioni convergono con i metodi usati nei contesti di ricerca (cioè self-reports e interviste semi-strutturate) (Xxxxxx et al., 2016). Se le diagnosi assegnate nella pratica clinica non corrispondono a quelle diagnosticate negli studi di ricerca, allora si ostacolerà notevolmente la possibilità di tradurre i risultati empirici nella pratica (Xxxxxx et al., 2016). Il DP rappresenta un focus particolarmente interessante per una tale indagine; per prima cosa, le procedure diagnostiche dei DP nella pratica clinica di routine e quelle effettuate nei contesti di ricerca si caratterizzano per grandi differenze (Westen, 1997). Inoltre, come sottolineato nei paragrafi precedenti, è stato evidenziato che i self-
reports dei pazienti sui tratti patologici dei DP sono caratterizzati dalla possibilità di limiti ed eventuali distorsioni (Xxxxxxx et al., 2011).
La ricerca esistente ha dimostrato che la corrispondenza tra valutazioni dei clinici e i questionari self-reports completati dai pazienti è debole (Xxxxxx et al., 2017). Per esempio, in uno studio, l'accordo tra self-reports dei pazienti e le diagnosi dei clinici per i singoli DP è risultato molto basso (Xxxxx et al., 1989). L'accordo tra le valutazioni del paziente e le valutazioni cliniche è risultato solo moderatamente più alto quando le diagnosi si sono basate su approcci dimensionali dei DP (Chick et al., 1993; Xxxxx et al., 1993). Westen e Xxxxxxxxxx (2004) hanno sostenuto, tuttavia, che questi studi non abbiano fornito una stima precisa dell'accordo perché la fonte di informazioni (cioè il clinico) è stato confuso dal metodo di raccolta. Infatti, le valutazioni diagnostiche dei DP dei clinici negli studi appena citati si sono limitate a diagnosi esistenti in cartella o raccolte tramite brevi moduli di valutazione. Al contrario, i questionari self-reports contengono tipicamente centinaia di item che valutano sistematicamente ed esaustivamente gli aspetti di ogni DP (Xxxxxx et al., 2018). Lo studio di Xxxxxx e collaboratori (2018) è stato il primo a confrontare le valutazioni sistematiche di tutti i 10 DP fornite dai clinici tramite la Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP-200; Westen & Shedler, 1999) e dai loro clienti, tramite il Millon Clinical Multiaxial Inventory (MCMI-I; Xxxxxx, 1977) ; in generale, i risultati hanno evidenziato correlazioni moderate tra auto- ed etero- valutazioni.
Xxxxxx (2015) ha sintetizzato 27 studi che hanno riportato l'accordo tra le diagnosi di DP assegnate dai terapeuti e quelle derivate dai self-reports dei propri pazienti. L'accordo generale che è emerso tra questi studi è r = .23 per le valutazioni dimensionali (Xxxxxx et al., 2015). Tale risultato rivela una sovrapposizione minima tra le valutazioni dei DP da parte dei terapeuti e dei pazienti; sono stati rilevati fattori che hanno moderato questa relazione, come il fatto che le diagnosi dei clinici concordassero più fortemente con le interviste semi-strutturate (r = .28) che con i questionari self- reports (r = .22) (Xxxxxx et al., 2015). Inoltre, la convergenza tra le fonti aumentava leggermente quando i clinici utilizzavano metodi più strutturati (Xxxxxx et al., 2015), per esempio la SWAP-200 (Xxxxxx et al., 2015). Tuttavia, questa letteratura non è priva di limitazioni che offuscano il quadro generale dell'accordo paziente-terapeuta: ad esempio, gli studi esistenti hanno quasi esclusivamente analizzato l'accordo correlazionale tra clinici e pazienti, ma non si sa quasi nulla su come queste fonti differiscano in termini di livelli medi di patologia (Xxxxxx et al. 2018). Uno studio ha esplicitamente confrontato i livelli medi delle valutazioni dei DP del terapeuta e del cliente: Xxxxxxxx e collaboratori (2003) hanno esaminato le differenze tra i pazienti e i clinici in 23 coppie dopo il completamento della SWAP-200 e una sua versione modificata (Westen & Shedler, 1999). I risultati hanno mostrato
che, nel complesso, i pazienti e i clinici mostravano scarsi livelli di accordo nella valutazione della personalità; il miglior accordo riscontrato riguardava il prototipo del DP evitante, ma è risultato comunque non significativo (Xxxxxxxx et al., 2003). Un'ulteriore limitazione della letteratura disponibile sull'accordo terapeuta-paziente per quanto riguarda i DP è riferibile al fatto che gli studi sono stati implementati basandosi sulle categorie del DSM-5 (Xxxxxx et al. 2018). Queste categorie sono state ampiamente criticate per una serie di ragioni presentate nel capitolo precedente (Xxxxx, 2007). Nonostante sia stato introdotto l’AMPD, prima del 2018 non era stato ancora pubblicato uno studio che esaminasse la validità delle valutazioni dei pazienti su questi tratti (Xxxxxx et al. 2018). Few et al. (2013) hanno condotto uno studio con lo scopo di esaminare la validità dell’AMPD per la diagnosi di DP in un campione clinico ambulatoriale, testando l'affidabilità e la validità delle seguenti misure: del Criterio A e B valutando i tratti patologici attraverso il self-report PID-5 e i tratti di personalità patologici dei target valutati dai clinici attraverso il DSM-5 Clinicians' PTRF. I risultati hanno mostrato che le valutazioni dei clinici concordavano in maniera moderata con le auto- valutazioni dei pazienti, dimostrando una buona convergenza fra le valutazioni (Few et al., 2013). Tuttavia, i clinici presi in considerazione da Few et al. (2013) erano membri del personale di ricerca non coinvolto nella cura clinica dei clienti; quindi, rimane sconosciuto quanto le valutazioni dei professionisti clinici, basate sulle loro interazioni cliniche naturalistiche, siano in accordo con i self- reports dei clienti (Xxxxxx et al. 2018). Tuttavia, ci sono stati alcuni studi che hanno esaminato l'applicazione clinica del FFM da parte dei professionisti clinici e che sono potenzialmente rilevanti per questo ambito, poiché i domini del FFM si sovrappongono concettualmente all’AMPD (Xxxxxx & Xxxxxxx, 2010; Xxxxx et al., 1995).
Nel loro studio, Xxxxxx e collaboratori (2018), hanno esteso la letteratura presente raccogliendo e confrontando valutazioni dei tratti maladattivi di personalità dei pazienti e dei propri terapeuti utilizzando le due forme parallele del PID-5. L’uso di forme equivalenti dello stesso questionario ha anche permesso un confronto diretto dell'accordo a livello di media, mentre la maggior parte degli studi ha esaminato solo le correlazioni di ordine gerarchico (Xxxxxx et al. 2018). Allo studio hanno preso parte 56 individui trattati con una psicoterapia individuale ambulatoriale e alle loro figure cliniche di riferimento; i criteri d’esclusione comprendevano il non compimento della maggiore età, la non comprensione dell’inglese scritto, l’avere una disabilità intellettiva o un disturbo psicotico o l’identificazione di un episodio maniacale acuto. Lo studio ha evidenziato la presenza di un maggiore accordo tra le auto- e le etero- valutazioni di pazienti e terapeuti per i tratti maladattivi, sia per quanto riguarda i domini che per le sfaccettature, rispetto alla letteratura precedente che si era concentrata sul modello categoriale (Xxxxxx et al. 2018). Queste correlazioni sono risultate più in linea con quelle
osservate tra i self-reports e i reports forniti dai pari, ottenute utilizzando forme parallele di uno stesso strumento come nello studio di Xxxxx e i suoi collaboratori (2019) (Xxxxxxxx et al., 2007; Xxxxxxx et al., 2002; Xxxxxxxx et al., 2016). Questo elevato grado di accordo rispetto ai precedenti studi del settore riflette probabilmente la combinazione di diversi fattori (Xxxxxx et al. 2018). In primo luogo, un punto di forza chiave risiede nell'utilizzo di forme parallele dello stesso strumento; in secondo luogo, l'uso di un approccio dimensionale, invece che categoriale, dei DP potrebbe aver contribuito all’aumentato dell'accordo (Xxxxxx et al. 2018). Per quanto riguarda i punteggi medi, i pazienti hanno riportato punteggi più alti degli informatori (Xxxxxx et al. 2018). Questi risultati hanno suggerito che le preoccupazioni rispetto al rischio che i pazienti possano sottovalutare i propri sintomi in relazione ai DP sono spesso sopravvalutate (Xxxxxxx et al., 2011). Una spiegazione che è stata fornita da Xxxxxx e collaboratori (2018) è che questo risultato possa riflettere il livello di distress psicologico dei pazienti, i quali potrebbero avere sopravvalutato la propria psicopatologia. Questa spiegazione sembra essere supportata dai risultati relativi ai domini dello Psicoticismo e dell'Affettività negativa, dove si sono riscontrate le differenze più pronunciate (Crego & Xxxxxxx, 2016). Un'altra possibile spiegazione che Xxxxxx et al. (2018) hanno ipotizzato è legata al fatto che i pazienti e i terapeuti potrebbero avere impiegato quadri interpretativi di riferimento molto diversi quando si è trattato di compilare gli strumenti: i pazienti potrebbero essersi confrontati mentalmente con membri della famiglia, amici o colleghi che mostravano manifestazioni meno estreme di tali tratti; al contrario, il quadro di riferimento dei terapeuti potrebbe aver incluso una serie di altri pazienti che rappresentavano un'ampia gamma di gravità e compromissione. Di conseguenza, questo spiegherebbe perché i terapeuti hanno fornito risposte meno estreme rispetto ai pazienti (Xxxxxx et al., 2018). Tuttavia, secondo i ricercatori, vale anche la pena sottolineare che i risultati hanno evidenziato livelli medi più alti per i pazienti rispetto ai terapeuti nella maggior parte dei domini; in particolare, per i domini dello Psicoticismo e dell'Affettività negativa, che si riferiscono a stati interni e dunque meno facilmente osservabili (Xxxxxx et al., 2018). All'interno dell’AMPD, lo Psicoticismo rappresenta la stranezza, l'eccentricità, la tendenza alla fantasia e la disregolazione cognitiva/percettiva, le quali sono rappresentate nel modello categoriale dal DP schizotipico (Xxxxxx et al., 2018). Non solo questo dominio ha ottenuto il più basso grado di accordo fra auto- ed etero- valutazione, ma anche la più grande differenza al livello di media, indicando che pazienti e terapeuti hanno punti di vista molto diversi, con valutazioni più basse dei terapeuti rispetto a quelle dei pazienti (Xxxxxx et al., 2018). I tratti di personalità legati allo Psicoticismo sono quasi esclusivamente interni (per esempio, convinzioni bizzarre o dissociazione); quindi, è possibile che questi siano meno osservabili e possano essere poco visibili nei colloqui diagnostici di routine (non strutturati) (Xxxxxx et al., 2018). Al contrario, secondo i ricercatori, è possibile che i pazienti abbiano riportato livelli di
Psicoticismo maggiori di quelli realmente esistenti, per esempio, a causa di un’interpretazione dell’item diversa da quella prevista (Xxxxxx et al., 2018). Ad esempio, un item del PID-5 chiede al paziente la possibilità di aver avvertito la presenza di idee che gli altri considerano strane; non sarebbe stato sorprendente se un paziente avesse fornito risposta affermativa a tale item a causa di una sintomatologia diversa come quella depressiva, poiché gli altri potrebbero aver descritto i suoi pensieri pessimistici come "strani" o "senza senso" (Xxxxxx et al., 2018). Risposte affermative agli item dello Psicoticismo per questo tipo di ragioni potrebbe aver portato chiaramente a punteggi più alti (Xxxxxx et al., 2018). Un limite che è stato evidenziato dagli stessi ricercatori è legato alla dimensione del campione: per quanto sia importante la necessità di integrare nella ricerca i pazienti e i clinici (Xxxxxx & Xxxxxx, 2017), ottenere grandi campioni è una sfida particolare e il presente studio non ha fatto eccezione (Xxxxxx et al., 2018). Campioni più grandi avrebbero permesso l'esame di potenziali variabili moderatrici come il background formativo, l'orientamento teorico dei clinici, la durata del trattamento e la presenza di ulteriori diagnosi psichiatriche (Xxxxxx et al., 2018). Secondo i ricercatori sarebbe ideale per gli studi futuri campionare da una serie diversificata di cliniche che siano più rappresentative delle popolazioni cliniche (sia demograficamente che diagnosticamente) in tutto il paese (Xxxxxx et al., 2018). In termini di diagnosi, sarebbe particolarmente utile includere campioni con livelli ancora maggiori di sintomi di DP, infatti, i DP non erano le diagnosi primarie per la maggior parte dei pazienti inclusi nello studio (Xxxxxx et al., 2018).
Balling e collaboratori (2021) hanno utilizzato lo stesso campione di 54 diadi paziente-terapeuta, al fine di estendere i risultati ottenuti dallo studio di Xxxxxx et al. (2018) del PID-5, applicando una misura diversa: il Five-Factor Model Rating Form (FFMRF; Xxxxxxx-Xxxxxx et al., 2006). Contrariamente ai risultati di Xxxxxx et al. (2018), i pazienti si sono valutati come generalmente più sani di quanto i terapeuti li valutassero (Belling et al., 2021). In particolare, le valutazioni dei pazienti sono risultate meno gravi per i domini di apertura, coscienziosità e piacevolezza, mentre le valutazioni dei terapeuti sono risultate più gravi su ogni dominio e sulla maggior parte delle sfaccettature (Belling et al., 2021). Nonostante le valutazioni dei pazienti siano risultate più vicine, in media, a un profilo sano, allo stesso tempo i pazienti si sono dimostrati più propensi a scegliere le valutazioni più estreme per quanto riguarda la psicopatologia. Questi risultati sono risultati ragionevolmente in linea con l'analisi di Xxxxxx et al. (2018) del PID-5 usando questo stesso campione, ma hanno aggiunto anche informazioni che hanno esteso la comprensione di come i pazienti e i terapeuti usino i modelli dimensionali (Xxxxxxx et al., 2021). Sebbene questo studio abbia suggerito che i pazienti si valuterebbero più sani di quanto non facciano i loro terapeuti, il fatto che i
pazienti abbiano fornito anche risposte estreme è risultato in linea con i quanto emerso dallo studio precedente che si era avvalso del PID-5 (Xxxxxxx et al., 2021; Xxxxxx et al., 2018).
Capitolo 3 La ricerca
3.1 Obiettivi e ipotesi
L’approccio dimensionale alla valutazione della personalità è rappresentato dal modello alternativo AMPD, che è stato elaborato e introdotto dal Personality and Personality Disorders workgroup ed è attualmente incluso nella sezione III del DSM-5 (APA, 2013). Secondo questo modello, i disturbi di personalità rappresentano varianti disadattive dei tratti di personalità, dove per “tratto” si intende “la tendenza a sentire, percepire, comportarsi e pensare in modi relativamente costanti nel tempo e nelle situazioni in cui il tratto può manifestarsi” (APA, 2013, p.896). Ogni DP è definito da specifiche compromissioni nel funzionamento della personalità (Criterio A) e da caratteristici tratti di personalità patologici (Criterio B) (APA, 2013, p.884). I tratti di personalità patologici sono organizzati in cinque grandi domini - Affettività negativa, Distacco, Antagonismo, Disinibizione e Psicoticismo – e all’interno di questi domini vi sono 25 sfaccettature più specifiche (APA, 2013). Il criterio A è volto a rappresentare ciò che tutti i DP hanno in comune (Roche, 2018), mentre il criterio B riflette le differenze individuali nel modo in cui la patologia di personalità si manifesta (Xxxxxxx et al., 2012). Questa prospettiva è stata utile al fine di colmare una serie di lacune del già noto e diffuso approccio categoriale ma, nonostante questo, la valutazione della personalità rimane ancora un fenomeno complesso. Un’ampia letteratura ha messo in evidenza la necessità di integrare l’auto-valutazione, strumento d’eccellenza nell’assessment della personalità, con l’etero- valutazione di un informatore esterno già dagli anni 90 (Xxxxx et al., 1997; Xxxxx & Xxxxxxxx, 1991; Westen & Xxxxxxx, 1999), fino a tempi più recenti (Jopp & South, 2015; Xxxxxx, 2010). L'accordo tra sé e gli altri, tipicamente operazionalizzato come una correlazione tra le due valutazioni, si riferisce alla misura in cui due valutatori (un informatore e un target) percepiscono il target nello stesso modo (Xxxxx & Xxxx, 2010). Questa esigenza nasce dal momento che le persone sia con sia senza DP, sono spesso incapaci di vedersi in modo realistico e non sono sempre consapevoli dell'effetto del proprio comportamento sugli altri (Xxxxxxx et al., 2002). Ad aggiungersi a queste constatazioni sono i risultati provenienti da alcuni studi che hanno confrontato l'accuratezza di self- e informant-reports e che hanno portato evidenze a supporto del fatto che ogni punto di vista fornisce informazioni uniche su una persona e, di conseguenza, integrare le valutazioni della personalità da prospettive multiple può essere molto utile al fine di ottenere informazioni valide e complete (Xxxxxx & Xxxxxxx, 2002).
Inoltre, nonostante il self-report del paziente sia di solito il punto di partenza della valutazione clinica, l'integrazione delle informazioni dei self-reports e di quelle degli informant-reports può portare a previsioni più affidabili e generalizzabili in relazione ai futuri comportamenti; infatti, ogni report fornisce informazioni complementari (Xxxxxxx et al., 2018; Jopp & South, 2015; Xxxxx, 2003; Xxxxxx et al., 2013; Ready et al., 2002; Xxxxxx, 2010). In aggiunta, è stato dimostrato che gli informant- reports per i tratti di personalità possono migliorare l'affidabilità della valutazione della personalità e ridurre le potenziali distorsioni che caratterizzano le valutazioni individuali (Bottesi et al., 2018; Xxxxxxx et al., 2002). Infatti, la letteratura riporta esempi a favore del fatto che una descrizione più accurata delle caratteristiche maladattive di personalità può essere ottenuta raccogliendo informazioni dai partner, dagli amici o dai membri della famiglia (Xxxxxxx et al., 2002). A proposito di questo, alcuni studi che hanno confrontato l’accuratezza di auto-valutazioni ed etero-valutazioni della personalità da parte di amici e familiari hanno mostrato che le auto-valutazioni non sono complessivamente più precise: in altre parole, non sembra che le persone conoscano la loro personalità meglio rispetto ai propri amici e familiari più stretti (Xxxxx et al., 1996; Xxxxxx & Xxxx, 2008).
La questione dell'accordo tra auto- ed etero-valutazione assume particolare rilevanza in gruppi di pazienti psichiatrici, dal momento che i self-reports di quest’ultimi sono spesso considerati poco affidabili (Ready & Xxxxx, 2002). Xxxxxxxxx et al. (1997) hanno osservato che i pazienti psichiatrici possono avere delle difficoltà quando si tratta di comprendere le proprie caratteristiche di personalità e/o possono essere motivati a rispondere in modi socialmente desiderabili. Xxxx et al. (1999) hanno affermato che la psicopatologia spesso implica compromissioni cognitive, distorsioni rispetto alla costruzione del concetto di sé, e una varietà di meccanismi di difesa, che potrebbero influenzare negativamente la validità dei questionari self-reports. Acquisire maggiori conoscenze rispetto al grado in cui le persone, con o senza DP, e relativi informatori esterni concordano sulla valutazione dei tratti maladattivi di personalità ha importanti implicazioni pratiche e teoriche in ambito clinico (Xxxxxxxxx et al., 2019). In primo luogo, a livello pratico, un clinico potrebbe voler raccogliere informazioni sul DP di un paziente da più fonti al fine di generare un quadro più completo del funzionamento/comportamento dello stesso (Xxxxxxxxx et al., 2019). In secondo luogo, a livello teorico, indagare l'accordo tra sé e gli altri rispetto ai tratti maladattivi di personalità permetterebbe di affrontare il lungo dibattito sulla mancanza di insight nei pazienti con DP (Xxxxxxxxx et al., 2019). Di fronte a queste evidenze, è stata sottolineata la potenzialità dell’impiego del terapeuta, ove possibile, come etero- valutatore: la sua professionalità e la sua esperienza, in associazione alla relazione instaurata con il paziente, consentirebbero una maggiore oggettività nella descrizione della
personalità (Xxxxxx & Xxxxxx, 2017). Tuttavia, ad oggi, un solo studio si è focalizzato sull’analisi dell’accordo sé-altro avvalendosi dei terapeuti come etero-valutatori (Xxxxxx et al., 2018).
Alla luce di questi aspetti, l’obiettivo generale della presente ricerca è stato quello di esplorare l’accordo sé-altro tra paziente e relativo terapeuta in riferimento ai tratti maladattivi di personalità, con l’interesse di verificare, inoltre, se alcune caratteristiche legate alla relazione terapeutica fossero associate al grado di accordo osservato.
Il primo obiettivo è stato quello di esplorare il grado di accordo sé-altro tra paziente e terapeuta relativamente ai domini e alle sfaccettature. Alla luce dei risultati presenti in letteratura, quello che ci si aspettava di riscontrare era un livello di accordo moderato in riferimento alle sfaccettature maladattive di personalità che rappresentano tratti maggiormente osservabili quali, per esempio, quelle appartenenti ai domini Distacco, Antagonismo e Disinibizione (Xxxxxxxx & Ones, 2010; Jopp & South, 2015). Al contrario, ci si aspettava di riscontrare un grado di accordo inferiore o in alcuni casi non presente in riferimento a quelle caratteristiche che denotano tratti più intimi (come le convinzioni o le esperienze inusuali, l’Affettività negativa etc.) (Xxxxxxxx & Ones, 2010; Jopp & South, 2015). La distinzione dell’accordo tra tratti più e meno osservabili è supportata da studi che hanno messo in evidenza come una maggior osservabilità dei tratti influisca positivamente sull’accordo sé-altro (Xxxxxxx et al., 2018; Xxxxxxxx & Xxxx, 2010; Jopp & South, 2015). Per quanto riguarda l’aspettativa sull’accordo moderato, deriva dai risultati dell’unico studio presente in letteratura indagante il grado di concordanza tra paziente e terapeuta, nel quale è emerso un grado di accordo sé-altro moderato, con un accordo maggiore lungo i domini di Distacco e Disinibizione, e una maggior discordanza in relazione ai domini di Affettività negativa e Psicoticismo (Xxxxxx et al., 2018). Tuttavia, è bene sottolineare che a tale studio avevano preso parte pazienti con diagnosi eterogenee; al contrario, nella presente ricerca sono state coinvolte esclusivamente pazienti con diagnosi di disturbi alimentari. In letteratura non sono presenti studi che abbiano indagato in modo specifico i tratti maladattivi di personalità, così come concettualizzati dall’AMPD, in questa popolazione clinica. Tuttavia, una recente meta-analisi si è posta l’obiettivo di fornire una sintesi della letteratura sui tratti di personalità in adolescenti con disturbi alimentari e di quantificare le associazioni tra tratti di personalità e disturbi alimentari facendo riferimento all’AMPD (Xxxxxxxx et al., 2020). Dai risultati è emerso che, rispetto agli adolescenti senza disturbi alimentari, quelli che manifestavano tali psicopatologie presentavano livelli più elevati di Affettività negativa, Distacco e Coscienziosità (opposta alla Disinibizione); non si sono riscontrate differenze in relazione all'Antagonismo (Xxxxxxxx et al., 2020).
Il secondo obiettivo, di natura prettamente esplorativa, è stato quello di indagare l’eventuale associazione presente tra il grado di accordo sé-altro e alcune caratteristiche della relazione terapeutica, quali le ore passate con il paziente e il tempo di conoscenza di quest’ultimo. Alcuni autori hanno suggerito che è necessaria una sostanziale intimità interpersonale per poter fornire informazioni precise su un target (Xxxxxxxx & Ones, 2010); pertanto, ci si poteva aspettare che all’aumentare del tempo di conoscenza del paziente e del numero di ore trascorse insieme, il clinico fosse maggiormente in grado di rilevare aspetti ancora inconsapevoli al paziente e aumentasse, quindi, la discrepanza nell’accordo tra paziente e terapeuta.
Il terzo obiettivo, anch’esso di natura esplorativa, prevedeva di confrontare i livelli medi dei domini e delle sfaccettature auto- ed etero-riferite. Questo perché la letteratura ha dimostrato che, oltre all’aspetto correlazionale, è utile indagare i punteggi medi forniti dal paziente e dal terapeuta ai test (Xxxxxxx et al., 2019; Xxxxxx et al., 2018). Per esempio, nel già citato studio di Xxxxxx et al. (2018), i risultati avevano evidenziato che i pazienti si auto-riferivano livelli medi di Psicoticismo e Affettività negativa più alti rispetto a quelli riferiti dai rispettivi terapeuti (Xxxxxx et al., 2018). Pertanto, anche nella presente ricerca ci si aspettava di osservare che i terapeuti valutassero i propri pazienti con punteggi medi meno elevati rispetto a quanto i pazienti valutassero sé stessi in tali domini.
3.2 Metodo
3.2.1 Partecipanti
Alla presente ricerca hanno preso parte 10 pazienti di sesso femminile reclutate presso la clinica specialistica per i disturbi psichiatrici “Ville di Nozzano” situata a Xxxxxxx Xxx Xxxxxx xx xxxxxxxxx xx Xxxxx (Xxxxxxx), ricoverate nel reparto che si occupa dei disturbi dell’alimentazione e della nutrizione. Le partecipanti avevano un’età compresa tra i 22 e i 65 anni, con una media di 36,80 anni (DS = 15,64), mentre gli anni di frequenza scolastica variavano da un minimo di 11 a un massimo di 18 (M = 14,10; DS = 2,38). Per quanto concerne lo stato civile, 6 pazienti hanno riferito di essere single, fidanzate o non conviventi, mentre 4 hanno riferito di essere sposate o conviventi. Nella tabella 1 sono riportate le frequenze e le percentuali riferite all’occupazione delle pazienti; la categoria più rappresentata è risultata essere Disoccupato/a.
Tabella 1. Frequenze e percentuali in riferimento all’occupazione delle pazienti.
Occupazione | Frequenza | Percentuale (%) |
Disoccupato/a | 4 | 40 |
Casalinga | 2 | 20 |
Studente | 2 | 20 |
Part-time | 1 | 10 |
Pensionato/a | 1 | 10 |
In riferimento alla diagnosi primaria, 5 pazienti presentavano Anoressia Nervosa, 3 pazienti Xxxxxxx Xxxxxxx, 0 paziente presentava un disturbo da alimentazione incontrollata e 1 paziente una diagnosi di disturbo alimentare non altrimenti specificato. Inoltre, 6 pazienti presentavano un altro disturbo psicologico in comorbidità. In particolare, 1 paziente presentava un disturbo da uso di alcol, 2 pazienti presentavano un disturbo bipolare e 3 pazienti (30%) un DP borderline.
Per quanto riguarda il tipo di trattamento ricevuto, 1 paziente era in trattamento esclusivamente psicologico, mentre le restanti 9 stavano ricevendo un trattamento combinato (sia psicologico, sia farmacologico). Per quanto concerne il trattamento psicologico, tutte le pazienti stavano seguendo una terapia cognitivo-comportamentale (TCC). Per quanto riguarda il trattamento psichiatrico, la maggior parte delle pazienti (80%) assumeva antipsicotici; molto frequente era anche l’assunzione di antidepressivi, stabilizzatori dell’umore e ansiolitici. La maggior parte delle pazienti (N=9) era in pieno corso di trattamento e 1 paziente stava concludendo il suo percorso al momento della partecipazione alla ricerca. La durata del disturbo primario delle pazienti variava da un minimo di 18 mesi (1 anno e mezzo) a un massimo di 240 (20 anni), con una di media di 106,80 (pari a 8 anni e 9 mesi) (DS=96,86).
Tutte le pazienti riportavano in anamnesi interventi pregressi; frequentemente è stato riferito di interventi di psicoterapia individuale o di terapia farmacologica. Il numero degli interventi psicologici pregressi variava da un minimo di 1 a un massimo di 14 con una media di 2,70 (DS=4,00). Inoltre, tra le partecipanti, 6 avevano ricevuto almeno un ricovero psichiatrico; il numero di ricoveri psichiatrici pregressi era compreso tra 1 e 14 corrispondenti a una media di 3,83 (DS=5,04). Infine, per 1 paziente sono stati riportati 3 tentati suicidi in anamnesi (media=3,00).
Inoltre, alla ricerca ha partecipato 1 terapeuta di sesso femminile, la quale aveva in carico tutte e 10 le pazienti. La terapeuta aveva un’età di 38 anni ed era sposata. I suoi anni di scolarità erano pari a 18, con l’aggiunta di una scuola di psicoterapia di durata quadriennale. La terapeuta ha riferito di avere un’esperienza in ambito professionale di 11 anni e di avere un’esperienza di l’assessment di livello "sufficiente”. Per quanto riguarda la relazione terapeutica, la durata media della conoscenza delle pazienti variava da un minimo di 1 a un massimo di 9 mesi (M= 4,80; DS=3,12); la terapeuta ha riferito di avere trascorso con le pazienti da un minimo di 6 a un massimo di 60 ore (M= 30,00; DS=19,18).
3.2.2 Strumenti
Di seguito, verranno riportati gli strumenti compilati partecipanti alla ricerca:
- Scheda informativa paziente
Tale scheda si proponeva di raccogliere una serie di dati socio-demografici concernenti il paziente, quali il sesso, l’età, lo stato civile, il numero di anni di frequenza scolastica e l’occupazione.
- Scheda informativa responsabile clinico
Similmente alla precedente, questa scheda informativa richiedeva ai terapeuti di fornire alcune informazioni socio-demografiche, quali il sesso, l’età, lo stato civile e il numero di anni di frequenza scolastica. In aggiunta, richiedeva di indicare la professione svolta (psicologo, psicoterapeuta in formazione, psicoterapeuta o psichiatra), il numero di anni di esperienza professionale e una valutazione del livello della propria esperienza nell’ambito dell’assessment della personalità su scala Likert a 5 punti (0 = “Assente”, 4 = “Ottima”).
- Scheda clinica paziente
Questa scheda, compilata dal terapeuta, aveva lo scopo di raccogliere informazioni circa la condizione psicopatologica del paziente, il trattamento in corso, la durata della relazione terapeutica e brevemente la storia clinica. Nella precisione, richiedeva di riportare il disturbo primario o la diagnosi che aveva motivato la richiesta di trattamento, la sua durata e l’eventuale presenza di diagnosi secondaria/e. Si proponeva inoltre di indagare la tipologia di trattamento attualmente in
corso (psicologico e/o psichiatrico) e la fase del trattamento (assessment, in corso, al termine, follow up). Nel caso in cui il paziente fosse in trattamento psicologico, veniva chiesto di indicare la tipologia di approccio (es. cognitivo-comportamentale, psicodinamico, ecc.); nel caso in cui l’individuo fosse in trattamento psichiatrico, era necessario riportare la terapia farmacologica in uso. Infine, chiedeva di indicare gli anni o i mesi di conoscenza del paziente e le ore (stimate) trascorse complessivamente assieme, e indagava se il paziente fosse mai stato sottoposto a interventi psicologici e/o psichiatrici in passato, l’eventuale numero e la tipologia, oltre che la possibile presenza di ricoveri psichiatrici e tentati suicidi in anamnesi e il loro numero.
- Personality Inventory for DSM-5 Personality Disorders (PID-5; Xxxxxxx et al., 2012; versione italiana a cura di Xxxxxxx et al., 2015)
Il PID-5 è un questionario self-report che presenta un set di 220 item che misurano in modo affidabile tutti le 25 sfaccettature presentate nel capitolo 1, che possono essere accorpate in 5 domini (Antagonismo, Distacco, Disinibizione, Affettività negativa e Psicoticismo), che costituiscono un modello che sintetizza altri modelli empiricamente basati sui tratti maladattivi già presenti in letteratura (Xxxxxxx et al., 2012). I 220 item indagano il modo di essere o di pensare, valutati su scala Likert a 4 punti (0 = “Questa affermazione è spesso falsa o totalmente falsa”, 3 = “Questa affermazione è spesso vera o totalmente vera”). Esempi di item sono: “Sono terrorizzato dal restare senza qualcuno che mi ami”, “Mi piace correre dei rischi”, “A volte riesco a influenzare le altre persone inviando loro i miei pensieri”. Il PID-5 può essere impiegato per ottenere una misura dei tratti patologici della personalità che sono presenti in tutti gli individui con problemi di salute mentale (APA, 2013). Lo scoring dei domini e delle sfaccettature prevede inizialmente l’inversione di alcuni item, seguita dal calcolo del punteggio di sfaccettature e di domini. Il calcolo del punteggio di una sfaccettatura richiede di sommare i punteggi degli item che compongono la stessa e calcolarne il punteggio medio, dividendo il punteggio grezzo ottenuto dalla somma per il numero complessivo degli item componenti la sfaccettatura. Il calcolo del punteggio di un dominio si basa sui punteggi delle 3 sfaccettature più rappresentative del dominio stesso (APA, 2013); si ottiene quindi attraverso la somma dei punteggi delle sfaccettature che meglio contribuiscono a specificare il dominio e il successivo calcolo del punteggio medio. Gran parte del lavoro che si è occupato dello studio del PID- 5 ha portato prove a supporto dell'affidabilità e la validità di questo strumento (Xxxxxxx & Xxxxx, 2018). La versione originale mostra buone proprietà psicometriche: i valori di coerenza interna variano da 0,72 a 0,96 per le sfaccettature e da 0,84 a 0,96 per i domini (Xxxxxxx et al., 2012). Xxxxxx e collaboratori (2013) hanno esaminato le proprietà psicometriche dello strumento in un gruppo di
pazienti psichiatrici concludendone l’adeguato impiego in campioni di questo tipo e sottolineandone la generalizzabilità. Il PID-5 è stato impiegato in una grande varietà di ricerche e contesti applicativi (Xxxxxxx & Xxxxx, 2018) ed esistono diverse traduzioni di questo strumento, a testimonianza del suo ampio utilizzo sia nella ricerca sia nella clinica (Xxxxxxx & Xxxxx, 2018). Xxxxxxx e colleghi (2013) hanno valutato le proprietà psicometriche della versione italiana del PID-5 in un gruppo di 710 individui adulti tratti dalla popolazione generale; i risultati di questo studio hanno confermato che la versione italiana del PID-5 è una misura affidabile dei tratti presenti nell’AMPD del DSM-5, in grado di cogliere la patologia di personalità nel suo complesso. In particolare, la versione italiana presenta un’ottima coerenza interna, con valori dell’alpha di Cronbach superiori a 0,70 per tutte le sfaccettature e a 0,93 per tutti i domini (Xxxxxxx et al., 2015).
- Personality Inventory for DSM-5 Personality Disorders - Informant Report Form (PID-5- IRF; Xxxxxx et al., 2013; versione italiana a cura di Xxxxxxx et al., 2018)
Xxxxxx e colleghi (2013) hanno sviluppato PID-5-IRF, il quale possiede la medesima struttura fattoriale della versione self-report. È costituito da 218 item valutati su scala Likert a 4 punti (0 = “Questa affermazione è spesso falsa o totalmente falsa”, 3 = “Questa affermazione è spesso vera o totalmente vera”); gli item sono grossomodo gli stessi contenuti all’interno della versione self-report, ma riformulati in modo tale da potersi riferire all’individuo target. Due item del questionario self- report sono stati esclusi dalla versione etero-valutativa a causa dei bassi valori di discriminazione emersi. Esempi di item sono: “Non si sente mai felice delle sue attività quotidiane”, “È brava a raggirare le persone”, “Ha varie abitudini eccentriche o strane”. Per il calcolo dei punteggi dei domini e delle sfaccettature, si procede allo stesso modo della versione self-report. In numerosi studi (Xx Xxxxx et al., 2013; Xxxxxxx et al., 2012; Xxxxxx et al., 2012) è stato dimostrato che le scale PID-5-IRF hanno generalmente proprietà psicometriche adeguate, sono caratterizzate da validità esterna in relazione con altre scale e buona validità interna. La versione originale presenta una buona coerenza interna, che varia da 0,71 a 0,95 nella popolazione generale e da 0,74 a 0,95 in un campione clinico (Xxxxxx et al., 2013). La versione italiana mostra valori di coerenza interna da accettabili a eccellenti, che variano da 0,89 a 0,91 per i domini e da 0,67 a 0,89 per le sfaccettature, a eccezione della sfaccettatura “Convinzioni ed esperienze inusuali” che presenta un’alpha pari a 0,30 (Bottesi et al., 2018).
3.2.3 Procedura
Il presente progetto di ricerca è stato condotto in seguito all’approvazione del Comitato Etico della Ricerca Psicologica (area 17) dell’Università di Padova (protocollo n°3194). Il reclutamento è avvenuto presso “Ville di Nozzano”, una clinica specialistica per disturbi psichiatrici situata a Xxxxxxx Xxx Xxxxxx xx xxxxxxxxx xx Xxxxx (Xxxxxxx), in particolare nel reparto che si occupa dei disturbi dell’alimentazione e della nutrizione. Nel preliminare incontro con la psicoterapeuta che lavora presso la struttura sono stati illustrati gli scopi principali della ricerca, le modalità di svolgimento e il tempo necessario per la compilazione delle batterie, oltre che i criteri di esclusione; la ricerca non poteva infatti coinvolgere pazienti minorenni o con una delle seguenti diagnosi: schizofrenia o disturbo dello spettro psicotico, disturbo dello spettro autistico, disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) e disturbo neuro-cognitivo maggiore (demenza). Una volta mostrato l’interesse a collaborare al progetto, la psicoterapeuta ha individuato le pazienti potenzialmente idonee e, insieme alla sottoscritta, ha brevemente spiegato a ognuna di loro l’argomento generale della ricerca, chiedendo se ci fosse interesse e disponibilità alla partecipazione. In caso affermativo, si è proceduto fissando con ogni paziente un appuntamento presso la struttura al fine di procedere con una spiegazione più dettagliata dello studio e successivamente alla somministrazione dei questionari. Nell’incontro, le pazienti venivano informate rispetto agli obiettivi dello studio e alla modalità di svolgimento; se confermavano la propria volontà alla partecipazione, si procedeva primariamente con la formula di acquisizione del consenso per il trattamento di dati sensibili (Informativa ex art.13 D.Lgs. 196/2003 per il trattamento di dati sensibili). Oltre alla riservatezza dei dati, il consenso informato specificava la possibilità di interrompere la compilazione in qualsiasi momento, senza fornire alcuna spiegazione e senza penalizzazione, ottenendo il non utilizzo dei propri dati; un eventuale rifiuto alla partecipazione non avrebbe interferito con il programma terapeutico che stavano seguendo nella clinica. Si è quindi proceduto alla somministrazione della scheda informativa paziente e del PID-5, la cui compilazione richiedeva all’incirca 25 minuti. Negli stessi giorni, la terapeuta è stata invitata a compilare il consenso informato di partecipazione alla ricerca (simile a quello sopra descritto), la scheda informativa responsabile clinico, la scheda clinica del paziente e il PID-5-IRF, la cui somministrazione richiedeva all’incirca 40 minuti. La terapeuta che ha partecipato alla ricerca ha compilato la batteria di questionari per tutti i pazienti, ha compilato una sola volta il modulo di consenso informato e la scheda informativa del responsabile clinico, mentre ha ripetuto la compilazione della scheda clinica e del PID-5-IRF in riferimento a ogni paziente. L’assegnazione di un codice identificativo univoco ha permesso di abbinare l’auto-valutazione del paziente con la rispettiva etero-valutazione fornita dal terapeuta,
mantenendo la riservatezza e la confidenzialità dei dati raccolti. Il presente studio si andava ad inserire in un progetto di ricerca più ampio, per questo motivo la terapeuta in questione ha compilato altre due misure aggiuntive rispetto a quelle presentate in questo capitolo. Tuttavia, dal momento che quest’ultime non sono risultate necessarie ai fini di indagare gli obiettivi della presente ricerca, gli strumenti non sono stati descritti. Il reclutamento si è svolto da dicembre 2021 a gennaio 2022.
3.2.4 Analisi statistiche
Le analisi statistiche sono state condotte attraverso il software Statistical Package for Social Science (SPSS), versione 26.
Per le analisi descrittive riguardanti le informazioni contenute nelle schede informative e nella scheda clinica, sono state calcolate le medie e le deviazioni standard in riferimento all’età, alla scolarità, ad alcune caratteristiche legate alla relazione terapeutica (durata della relazione terapeutica e numero di ore trascorse con il paziente), alla durata del disturbo primario e al numero di interventi passati, di ricoveri psichiatrici e di tentati suicidi. Relativamente al sesso, allo stato civile, all’occupazione, alla professione e alle restanti informazioni contenute nella scheda clinica del paziente, sono state calcolate frequenze e percentuali.
Al fine di testare la prima ipotesi, concernente il livello di accordo sé-altro tra paziente e terapeuta, sono state calcolate delle correlazioni non parametriche rho di Xxxxxxxx per le 25 sfaccettature e per i 5 domini. Da convenzione, il valore critico di rho per poter assumere la presenza di una relazione è
|0,30| (con un livello di significatività di p<0,05). Una correlazione è definita di grado debole se |0,30|
< rho < |0,39|, di grado moderato se |0,40| < rho < |0,59|, di grado forte se rho ≥ |0,60|.
Per testare la seconda ipotesi, indagante l’eventuale associazione presente tra il grado di accordo sé-altro e alcune caratteristiche della relazione terapeutica, si è proceduto in primo luogo con il calcolo del delta tra i punteggi medi di auto- ed etero-valutazione (i.e. auto-valutazione – etero- valutazione) per ciascuna sfaccettatura e per ciascun dominio. In secondo luogo, sono state eseguite delle correlazioni non parametriche rho di Xxxxxxxx tra il delta standardizzato, la durata della relazione terapeutica espressa in mesi e il numero di ore trascorse con il paziente per tutte le sfaccettature e per tutti i domini.
Per testare la terza ipotesi, ovvero per confrontare i punteggi auto-riferiti e i punteggi etero-riferiti per domini e sfaccettature, si è proceduto attraverso una serie di statistiche t di Student per campioni appaiati. In caso di differenze significative tra i gruppi, la dimensione dell’effetto è stata calcolata mediante l’indice d di Xxxxx il quale, da convenzione, è stato valutato sulla base dei seguenti criteri: d = 0,01 effect size limitato, d = 0,06 effect size moderato, d = 0,14 effect size ampio (Xxxxx, 1988).
3.3 Risultati
3.3.1 Grado di accordo sé-altro tra paziente e terapeuta in riferimento ai domini e alle sfaccettature
Come si evince dalla tabella 2, relativamente all’accordo sé-altro rispetto ai domini, si è rilevata una correlazione significativa positiva di grado forte in riferimento alla Disinibizione; non è emersa nessun’altra associazione significativa per quanto concerne gli altri domini.
L’accordo sé-altro relativamente alle sfaccettature è riportato nella tabella 3. Ciò che emerso è una correlazione significativa positiva di grado forte in riferimento alla grandiosità, una correlazione significativa positiva di grado forte in riferimento all’impulsività e una correlazione positiva di grado forte in riferimento alla manipolatorietà. Tutte le altre correlazioni non sono emerse come significative.
Tabella 2. Correlazioni tra l’auto-valutazione (PID-5) e l’etero-valutazione (PID-5-IRF) in riferimento ai domini.
Domini | Accordo sé-altro |
Affettività negativa | 0,07 |
Distacco | 0,15 |
Antagonismo | 0,53 |
Disinibizione | 0,75* |
Psicoticismo | 0,24 |
* La correlazione è significativa a livello 0,05 (a due code).
Tabella 3. Correlazioni tra l’auto-valutazione (PID-5) e l’etero-valutazione (PID-5-IRF) in riferimento alle sfaccettature.
Sfaccettature | Accordo sé-altro |
Affettività ridotta | 0,51 |
Anedonia | 0,13 |
Angoscia di separazione | 0,24 |
Ansia | - 0,31 |
Convinzioni ed esperienze inusuali | 0,47 |
Depressività | 0,49 |
Disregolazione cognitiva e percettiva | 0,15 |
Distraibilità | - 0,04 |
Eccentricità | 0,34 |
Evitamento dell’intimità | 0,10 |
Grandiosità | 0,76* |
Impulsività | 0,86* |
Inganno | - 0,05 |
Insensibilità | 0,04 |
Irresponsabilità | 0,47 |
Labilità emozionale | 0,13 |
Manipolatorietà | 0,70* |
Ostilità | 0,05 |
Perfezionismo rigido | 0,50 |
Perseverazione | 0,37 |
Ricerca di attenzione | 0,60 |
Ritiro | 0,36 |
Sospettosità | - 0,56 |
Sottomissione | 0,17 |
Tendenza a correre rischi | 0,54 |
* La correlazione è significativa a livello 0,05 (a due code).
3.3.2 Associazione tra il livello di accordo sè-altro e la durata della relazione terapeutica e il numero di ore trascorse con il paziente
Come riportato in tabella 4, dalle analisi correlazionali effettuate tra il punteggio delta di ogni dominio, la durata della relazione terapeutica e il numero di ore trascorse con il paziente non è emersa nessuna correlazione significativa. Lo stesso è emerso dalle analisi correlazionali tra il punteggio delta di ogni sfaccettatura e la durata della relazione terapeutica. I risultati sono illustrati nella tabella 5.
Tabella 4. Correlazioni tra il tempo di conoscenza e le ore trascorse con il paziente e i domini.
Dominio | Tempo di conoscenza paziente | Xxx trascorse con il paziente |
Affettività negativa | - 0,18 | - 0,21 |
Distacco | 0,01 | 0,06 |
Antagonismo | 0,43 | 0,44 |
Disinibizione | 0,14 | 0,12 |
Psicoticismo | - 0,34 | - 0,23 |
Tabella 5. Correlazioni tra il tempo di conoscenza e le ore trascorse con il paziente e le sfaccettature.
Dominio | Tempo di conoscenza paziente | Xxx trascorse con il paziente |
Affettività ridotta | - 0,29 | - 0,19 |
Anedonia | 0,16 | 0,21 |
Angoscia di separazione | - 0,04 | - 0,04 |
Ansia | - 0,11 | - 0,01 |
Convinzioni ed esperienze inusuali | - 0,3 | - 0,16 |
Depressività | 0,43 | 0,48 |
Disregolazione cognitiva e percettiva | - 0,53 | - 0,27 |
Distraibilità | - 0,25 | - 0,21 |
Eccentricità | - 0,33 | - 0,37 |
Evitamento dell’intimità | - 0,18 | - 0,12 |
Grandiosità | - 0,53 | - 0,03 |
Impulsività | 0,46 | 0,38 |
Inganno | 0,36 | 0,31 |
Insensibilità | 0,41 | 0,38 |
Irresponsabilità | 0,03 | 0,05 |
Labilità emozionale | - 0,14 | - 0,21 |
Manipolatorietà | 0,32 | 0,37 |
Ostilità | 0,33 | 0,34 |
Perfezionismo rigido | 0,23 | 0,35 |
Perseverazione | 0,26 | 0,29 |
Ricerca di attenzione | 0,28 | 0,22 |
Ritiro | 0,18 | 0,23 |
Sospettosità | 0,40 | 0,45 |
Sottomissione | 0,51 | 0,53 |
Tendenza a correre rischi | - 0,09 | - 0,01 |
3.3.3 Confronto tra i punteggi auto- ed etero-riferiti
Come si evince dalla tabella 6, per quanto riguarda il confronto tra i punteggi medi riferiti all’auto- ed etero-valutazione relativi ai domini si sono rilevate delle differenze statisticamente significative solo in riferimento alla Disinibizione e allo Psicoticismo. Per quanto riguarda il dominio della Disinibizione, le pazienti hanno riportato dei punteggi significativamente più elevati rispetto a quelli riferiti dalla terapeuta; la dimensione dell’effetto è risultata di ampiezza ampia. Allo stesso modo, per quanto riguarda il dominio dello Psicoticismo, le pazienti hanno riportato punteggi più elevati rispetto a quelli riportati dalla terapeuta e la dimensione dell’effetto è risultata ampia. Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i punteggi medi riferiti all’auto- ed etero- valutazione nel caso degli altri domini.
Tabella 6. Confronto, tramite t di Student, dei punteggi auto-riferiti dalle pazienti (PID-5) ed etero- riferiti dalla terapeuta (PID-5-IRF) in riferimento ai domini.
Dominio | PID-5 (M,DS) | PID-5- IRF (M,DS) | t(9) | p | d |
Affettività negativa | 1,80 (0,50) | 1,61 (0,36) | 1,11 | 0,29 | - |
Distacco | 0,97 (0,49) | 1,10 (0,47) | - 0,67 | 0,52 | - |
Antagonismo | 0,60 (0,54) | 0,69 (0,61) | - 0,66 | 0,53 | - |
Disinibizione | 1,9 (0,57) | 0,81 (0,35) | 2,90 | 0,02 | 0,80 |
Psicoticismo | 0,92 (0,43) | 0,24 (0,16) | 5,10 | <0,001 | 2,09 |
Come è riportato nella tabella 7, per quanto riguarda il confronto tra i punteggi medi rispetto all’auto- ed etero-valutazione relativi alle sfaccettature, si sono rilevate delle differenze statisticamente significative in riferimento alla disregolazione cognitiva e percettiva, all’eccentricità, all’impulsività e all’insensibilità. Per quanto riguarda le sfaccettature della disregolazione cognitiva e percettiva, le pazienti hanno riportato valori medi più elevati rispetto alla terapeuta; la dimensione dell’effetto è risultata ampia. Lo stesso è emerso per l’eccentricità e la dimensione dell’effetto è risultata ampia. Anche nel caso dell’impulsività, le pazienti hanno riportato valori medi più elevati rispetto alla terapeuta e la dimensione dell’effetto è risultata essere di ampiezza moderata. Al contrario, per quanto riguarda la sfaccettatura dell’insensibilità, la terapeuta ha valutato le pazienti con valori medi più alti rispetto a quelli auto-riportati; la dimensione dell’effetto è risultata essere ampia. Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i punteggi medi riferiti all’auto- ed etero-valutazione relativi ad altre sfaccettature.
Tabella 7. Confronto, tramite t di Student, dei punteggi auto-riferiti dalle pazienti (PID-5) ed etero- riferiti dalla terapeuta (PID-5-IRF) in riferimento alle sfaccettature.
Dominio | PID-5 (M,DS) | PID-5- IRF (M,DS) | t(9) | p | d |
Affettività ridotta | 1,11 | 0,80 | 1,24 | 0,25 | - |
(0,76) | (0,66) | ||||
Anedonia | 1,51 | 1,80 | - 0,94 | 0,37 | - |
(0,82) | (0,58) | ||||
Angoscia di separazione | 1,40 | 1,84 | - 1,77 | 0,11 | - |
(0,71) | (0,67) | ||||
Ansia | 2,00 | 1,58 | 1,83 | 0,10 | - |
(0,58) | (0,34) | ||||
Convinzioni ed esperienze inusuali | 0,81 | 0,38 | 2,03 | 0,07 | - |
(0,68) | (0,04) | ||||
Depressività | 1,62 | 1,95 | - 1,26 | 0,24 | - |
(0,89) | (0,50) | ||||
Disregolazione cognitiva e percettiva | 0,69 (0,55) | 0,12 (0,11) | 3,27 | 0,01 | 1,44 |
Distraibilità | 1,44 | 0,94 | 2,18 | 0,6 | - |
(0,63) | (0,35) |
Eccentricità | 1,27 (0,48) | 0,22 (0,37) | 6,58 | <0,001 | 2,48 |
Evitamento dell’intimità | 0,47 (0,26) | 0,73 (0,40) | - 1,78 | 0,11 | - |
Grandiosità | 0,33 (0,47) | 0,55 (0,58) | - 2,18 | 0,06 | - |
Impulsività | 1,28 (0,97) | 0,78 (0,59) | 2,42 | 0,04 | 0,62 |
Inganno | 0,67 (0,65) | 0,74 (0,60) | - 0,28 | 0,79 | - |
Insensibilità | 0,20 (0,25) | 0,63 (0,45) | - 2,39 | 0,04 | 1,18 |
Irresponsabilità | 0,84 (0,69) | 0,71 (0,37) | 0,62 | 0,55 | - |
Labilità emozionale | 2,00 (0,76) | 1,40 (0,67) | 2,07 | 0,07 | - |
Manipolatorietà | 0,80 (0,89) | 0,80 (0,74) | 0,00 | 1,00 | - |
Ostilità | 1,04 (0,80) | 1,13 (0,53) | - 0,33 | 0,75 | - |
Perfezionismo rigido | 1,52 (1,00) | 1,15 (0,93) | 1,36 | 0,21 | - |
Perseverazione | 1,12 (0,60) | 1,17 (0,70) | - 0,17 | 0,87 | - |
Ricerca di attenzione | 1,01 (0,83) | 1,08 (0,80) | - 0,36 | 0,77 | - |
Ritiro | 0,94 (0,73) | 0,76 (0,66) | 0,97 | 0,36 | - |
Sospettosità | 1,22 (0,58) | 1,60 (0,34) | - 1,43 | 0,19 | - |
Sottomissione | 1,23 (0,74) | 1,43 (0,47) | - 0,84 | 0,42 | - |
Tendenza a correre rischi | 1,35 (0,77) | 0,90 (0.34) | 2,04 | 0,07 | - |
3.4 Discussione e conclusioni
L’ approccio dimensionale alla valutazione della personalità è rappresentato dal modello alternativo AMPD che è stato elaborato e introdotto dal Personality and Personality Disorders workgroup ed è attualmente incluso nella sezione III del DSM-5. Nell’AMPD i tratti di personalità patologici sono organizzati in cinque grandi domini - Affettività negativa, Distacco, Antagonismo, Disinibizione e Psicoticismo – e all’interno dei domini vi sono 25 sfaccettature più specifiche (APA, 2013). Un’ampia letteratura ha messo in evidenza la necessità di integrare l’auto-valutazione, strumento d’eccellenza nell’assessment della personalità, con l’etero-valutazione di un informatore esterno (Xxxxx et al., 1997; Xxxxx & Xxxxxxxx, 1991; Xxxxxx & Xxxxxxx, 0000; Xxxx & Xxxxx, 0000; Xxxxxx, 2010). Molti ricercatori che nei propri studi si sono dedicati all’indagine dell’accordo tra auto- ed etero-valutazione hanno messo in evidenza come una maggior intimità interpersonale e una maggior osservabilità dei tratti influiscano positivamente sull’accordo sé-altro (Xxxxxxx et al., 2018; Xxxxxxxx & Ones, 2010; Xxxx & South, 2015). In particolare, la questione dell'accordo tra auto- ed etero-valutazione è particolarmente importante da affrontare in gruppi clinici, dal momento che i self- reports di quest’ultimi sono spesso considerati poco affidabili (Ready & Xxxxx, 2002). A proposito di questo, il presente studio si è concentrato sull’indagine dell’accordo paziente-terapeuta nella valutazione dei tratti maladattivi di personalità, tema che è stato affrontato solo in una precedente ricerca (Xxxxxx et al., 2018). Tuttavia, nessuno ha sinora indagato nello specifico l’accordo fra l’auto- ed etero-valutazione in un gruppo di pazienti con disturbi alimentari e la propria figura terapeutica di riferimento e nessuno studio ha tenuto in considerazione variabili quali, ad esempio, il tempo di conoscenza del paziente e le ore trascorse con lo stesso.
Il primo obiettivo di questo studio è stato quindi quello di indagare l’accordo sé-altro in riferimento ai domini e alle sfaccettature. Ci si aspettava di osservare un accordo moderato in riferimento alle sfaccettature maladattive di personalità appartenenti ai domini che rappresentano tratti maggiormente osservabili, quali per esempio: Distacco, Antagonismo e Disinibizione (Xxxxxxxx & Ones, 2010; Jopp & South, 2015). Al contrario, ci si aspettava di riscontrare un grado di accordo inferiore o non presente in riferimento a quelle caratteristiche che denotano tratti più intimi (come le convinzioni o le esperienze inusuali, l’Affettività negativa etc.) (Xxxxxxxx & Ones, 2010; Jopp & South, 2015). Per quanto riguarda i domini, i risultati hanno evidenziato la presenza di un accordo paziente-terapeuta di grado forte in riferimento alla Disinibizione, questo risultato è in linea con la letteratura, infatti la Disinibizione è un dominio che rappresenta caratteristiche osservabili. Nel caso dell’Antagonismo e del Distacco non è emerso un accordo significativo. In aggiunta, sulla base dello
studio di Xxxxxx e colleghi (2018), ci si aspettava di osservare un accordo moderato anche nel caso della Disinibizione; invece, è emerso un accordo di grado forte. Probabilmente queste differenze sono rintracciabili nella scarsa numerosità e nella peculiarità del campione, dal momento che lo studio di Xxxxxx e colleghi (2018) ha preso come riferimento campioni con diagnosi eterogenee mentre nel caso di questo studio le pazienti avevano tutte un disturbo alimentare. Infatti, l’APA (2013) definisce la Disinibizione in questi termini: “orientamento verso la gratificazione immediata, che porta a comportamenti impulsivi guidati da pensieri, sentimenti e stimoli esterni attuali, senza riguardo per l'esperienza passata o considerazione delle conseguenze future”, all’interno del dominio stesso sono presenti le seguenti sfaccettature: irresponsabilità, impulsività, distraibilità, tendenza a correre rischi e perfezionismo rigido. La letteratura riporta che pazienti con una diagnosi di disturbo dell’alimentazione mostrano più alti livelli di perfezionismo rispetto a gruppi di controllo non clinici (Xxxxx et al., 2010; Xxxxx et al., 2003; Xxxxxx & Xxx Xxxxxx, 2005) e talvolta punteggi superiori anche rispetto ad altri gruppi clinici (Xxxxxxxxx et al. 2008) e senza grosse differenze fra specifiche classi sintomatologiche se si confrontano anoressia nervosa, bulimia nervosa, binge eating disorder. In aggiunta, il perfezionismo sembra essere associato anche ad alcuni disturbi di personalità come il DP borderline, che caratterizza il 30% del presente campione. Anche l’impulsività è stata rilevata come tratto tipico nei disturbi dell’alimentazione e in particolare nella bulimia nervosa (Xxxxxx et al., 2008). Di conseguenza, è probabile che questi tratti fossero piuttosto evidenti alla terapeuta del presente studio, portando così a un livello di accordo significativo per questo dominio.
Sebbene per l’Antagonismo non sia emerso un accordo significativo, andando a indagare l’accordo tra auto- ed etero-valutazione delle sfaccettature, per manipolarietà e grandiosità - entrambe facenti parte del dominio dell’Antagonismo - è emersa un grado di accordo forte. In aggiunta, è stata riscontrata un accordo di grado forte anche nel caso dell’impulsività, sfaccettatura inclusa all’interno del dominio della Disinibizione, confermando i risultati ottenuti sull’accordo dei domini. Questi risultati sottolineano l’importanza di indagare e verificare anche le sfaccettature e non limitarsi solo ai domini, perché questa analisi permette di ricavare più informazioni e di ricavarle più precisamente. Inoltre, è importante evidenziare che tutte e tre le sfaccettature per cui è emerso un accordo di grado forte rappresentano tratti maladattivi tipici dei DP del cluster B, in particolare del DP borderline. Questo risultato è rilevante, dal momento che ¼ delle partecipanti presentava in comorbidità proprio tale DP, il quale è caratterizzato da tratti disadattivi nelle aree dell’Affettività negativa, dell’Antagonismo e/o della Disinibizione (APA, 2013, p.889). Quest’ultimi sono proprio i tratti caratterizzati da maggiore osservabilità e per cui è emerso il grado di accordo maggiore; un accordo significativo non è emerso nel caso dell’Affettività negativa, ma questo non sorprende, perché
nonostante sia evidentemente compromessa nel DP borderline, è comunque categorizzabile come un dominio difficilmente osservabile (Xxxxxxxx & Ones, 2010; Jopp & South, 2015). Le pazienti e la terapeuta hanno dimostrato un accordo significativo nel caso dell’Antagonismo e/o della Disinibizione e questi risultati sono in linea con alcuni studi presenti in letteratura che hanno dimostrato che gli individui con tratti maladattivi di personalità possono avere una certa comprensione della problematicità delle proprie caratteristiche e questo porta loro a non vedere quest’ultimi favorevolmente, ma piuttosto a interpretarli come causa di problemi nel funzionamento, riportando interesse nel ridurli o modificarli (Xxxxxx et al., 2018; Xxxxxx et al., 2017; Xxxxx et al., 2018).
Xxxxxx (2015) ha svolto una metanalisi in cui ha indagato l’accordo tra auto-ed etero valutazione tra pazienti e i rispettivi terapeuti riscontrando un debole accordo; questo risultato non è in linea con quello del presente studio e quello di Xxxxxx e i suoi collaboratori (2018), il che riflette probabilmente la combinazione di diversi fattori. In primo luogo, un punto di forza del metodo impiegato nella presente ricerca è stato l'utilizzo di forme parallele, le quali consentono il calcolo di correlazioni tra le fonti (Xxxxxxxxx et al., 2005). In secondo luogo, anche l’utilizzo di strumenti basati sul modello dimensionale, anziché categoriale, dei DP potrebbe aver contribuito all’aumento dell’accordo (Xxxxxx et al., 2018). Per quanto riguarda il forte accordo che è emerso nel caso della sfaccettatura della manipolarietà, è evidente che in letteratura la relazione tra manipolarietà e disturbi alimentari sia stata poco discussa; è invece più frequentemente presa in esame la relazione tra il DP borderline e l'uso della manipolazione, rispetto a cui le opinioni espresse in letteratura sono spesso contraddittorie. Alcuni autori sostengono che persone con DP borderline siano particolarmente orientate alla manipolazione degli altri (Xxxxxxxxxxxxx, 1986; Mandal & Xxxxx, 2013). Altri ricercatori hanno dimostrato che pazienti con questa diagnosi hanno atteggiamenti che appaiono manipolatori, ma in realtà non hanno origine da malizia e pre-pianificazione: la loro origine starebbe piuttosto nell'impulsività, nella paura, nella disperazione e nell'impotenza (Xxxxxxxx et al., 2007). Tuttavia, è opinione comune tra i terapeuti che esista un forte legame tra la personalità borderline e l’utilizzo della manipolazione (Gallop et al., 1989; Xxxxxxxxxx & Xxxxxxxxxx, 2008). Inoltre, Mandal e Xxxxx (2013) hanno riscontrato un’ associazione statisticamente significativa tra l'uso della manipolazione nella vita quotidiana e il suo utilizzo in terapia in pazienti con disturbo borderline di personalità, ciò conferma la tendenza alla manipolazione nel loro atteggiamento.
Per quanto riguarda il secondo obiettivo, che era di natura esclusivamente esplorativa, è stato indagato il grado di accordo tra auto- ed etero-valutazione e la durata della relazione terapeutica in
termini di mesi di conoscenza e di ore trascorse tra paziente e terapeuta. Sulla base dei risultati presenti in letteratura inerenti la personalità, che suggeriscono la necessità di una sostanziale intimità interpersonale per poter fornire informazioni precise su un target (Xxxxxxxx & Ones, 2010), ciò che eventualmente ci si poteva aspettare era che all’aumentare del tempo di conoscenza del paziente e del numero di ore trascorse insieme, il clinico fosse maggiormente in grado di rilevare aspetti ancora inconsapevoli al paziente e aumentasse di conseguenza il disaccordo tra paziente e terapeuta. Tuttavia, in questo caso, non si sono riscontrate associazioni significative tra le variabili di interesse. Questo può essere dovuto a differenti fattori. In primo luogo, è doveroso sottolineare la peculiarità del contesto in cui le pazienti erano ricoverate: si trattava infatti di una struttura che offre un intervento riabilitativo mirato al recupero fisiologico/nutrizionale, volto anche al ripristino delle corrette abitudini alimentari e che permette il recupero dal punto di vista sociale. Un intervento riabilitativo di questo tipo fa sì che le pazienti rimangano ricoverate solo per un breve periodo, al massimo di pochi mesi; di conseguenza, il tempo trascorso con la terapeuta è ridotto da questa limitazione temporale. Infatti, il tempo di conoscenza tra le pazienti e la terapeuta che hanno preso parte alla ricerca variava da 1 mese a un massimo di 9 (solo in 1 caso su 10), un range forse troppo ristretto per consentire di ottenere risultati significativi. Inoltre, è importante sottolineare ancora una volta la scarsa numerosità campionaria: è probabile che, se un campione più numeroso fosse stato reclutato nella medesima struttura e sottoposto allo stesso tempo di ricovero, sarebbe potuta emergere un’associazione tra il livello di accordo sè-altro e la durata della relazione terapeutica e il numero di ore trascorse con il paziente significativa in riferimento a specifici domini e/o sfaccettature.
E’ inoltre ipotizzabile che il livello di gravità del profilo psicopatologico delle pazienti fosse piuttosto grave considerando alcuni aspetti come: la struttura di riabilitazione psichiatrica dove erano ricoverate, il fatto che 9 pazienti su 10 ricevessero un trattamento sia psicologico sia farmacologico e che molte di loro avessero preso parte ad altri tipi di trattamenti pregressi (alcune anche ricoveri) e il fatto che 6 pazienti su 10 avessero in comorbidità almeno un altro disturbo psichiatrico. Di conseguenza, si può ipotizzare che, a prescindere dal tempo di conoscenza delle pazienti e delle ore trascorse con quest’ultime, fosse piuttosto chiaro alla terapeuta quali fossero i tratti maladattivi presenti in ognuna di loro, perché questi si presentavano come evidenti. A favore di questa considerazione si aggiunge il fatto che a valutare in questo caso era una figura esperta della salute mentale, con un’esperienza clinica di almeno 11 anni.
Anche il terzo obiettivo era di natura esclusivamente esplorativa e si prefiggeva di confrontare i punteggi medi in relazione ai domini e alle sfaccettature auto-riferiti dalle pazienti ed etero-riferiti
dalla terapeuta. Questo obiettivo nasce dalle considerazioni presentate da Xxxxxx et al. (2018) i quali hanno sottolineato che, oltre all’aspetto correlazionale, sia utile indagare anche i punteggi medi forniti dal paziente e dal terapeuta rispettivamente nel PID-5 e nel PID-5-IRF. Sulla base dei risultati emersi da questo studio, ci si aspettava di osservare livelli medi più alti auto-riferiti dai pazienti rispetto alla terapeuta nella maggior parte dei domini, in particolare per i domini dello Psicoticismo e dell'Affettività negativa; per tutte le sfaccettature ci si aspettava lo stesso (Xxxxxx et al., 2018). Per quanto riguarda lo Psicoticismo, nel presente studio le pazienti hanno riferito livelli medi più alti rispetto a quelli riportati dalla terapeuta e questo è in linea con quanto riscontrato da Xxxxxx et al. (2018). A differire rispetto allo studio di Xxxxxx et al., (2018) è il dominio della Disinibizione: anche in questo caso le pazienti hanno riferito livelli medi più alti rispetto all’etero-valutazione dalla terapeuta.
Per quanto riguarda le sfaccettature, si sono rilevate delle differenze statisticamente significative in riferimento alla disregolazione percettiva, all’eccentricità, all’impulsività e all’insensibilità. Per quanto riguarda l’eccentricità e la disregolazione percettiva, il gruppo delle pazienti ha riportato livelli più elevati rispetto alla terapeuta, con un’ampia dimensione dell’effetto. Dal momento che entrambe queste sfaccettature fanno parte del dominio dello Psicoticismo e sono considerabili sfaccettature di tratti piuttosto intime e poco osservabili, questi risultati sono in linea con quelli emersi dallo studio di Xxxxxx e collaboratori (2018): infatti, nel loro studio, lo Psicoticismo è il dominio per cui è stata evidenziata una maggiore discrepanza in assoluto; lo stesso è emerso per le sfaccettature. Lo Psicoticismo rappresenta la stranezza, eccentricità, propensione alle fantasie e disregolazione cognitiva/percettiva, che storicamente sono catturate dal DP schizotipico (Xxxxxx et al., 2018). Questi risultati potrebbero riflettere il fatto che la terapeuta abbia sottovalutato il vero livello di Psicoticismo, dal momento che, come anticipato, rappresentano tratti quasi esclusivamente interni, è quindi possibile che questi sintomi meno osservabili vengano trascurati nei colloqui diagnostici di routine (Xxxxxx et al., 2018). Tuttavia, non è da escludere che le pazienti possano aver interpretato gli item diversamente rispetto al vero significato dell’item stesso; ad esempio, quando un paziente è chiamato a rispondere a un item che richiede “la sensazione di non poter o di non riuscire a controllare i propri pensieri”, potrebbe pensare anche a una sola esperienza di questo tipo che, nel corso della sua vita, è stata talmente insolita da portarlo a selezionare un'opzione di risposta estrema (Xxxxxx et al., 2018). Tuttavia, i punteggi elevati riferiti dalle pazienti potrebbero anche riflettere una mancanza di precisione nella scala, che porta i rispondenti a valutare con punteggi alti gli item per ragioni diverse da quelle previste (Xxxxxx et al., 2018). A proposito di questo, esistono un certo numero di item nel PID-5 che mirano a rilevare le aberrazioni cognitive e percettive ma che potrebbero indurre
il paziente a valutarle con punteggi alti per altre ragioni. Per esempio, lo strumento presenta un item che chiede al paziente circa la presenza di pensieri che sono considerati dagli altri come “strani”: potrebbe essere accaduto che una paziente abbia risposto con punteggi elevati a questo item perché nella vita le persone hanno classificato i suoi pensieri disfunzionali legati al disturbo alimentare “strani” o “senza senso”, non perché abbiano effettivamente delle aberrazioni cognitive e/o percettive.
Lo stesso è emerso per l’impulsività, per cui le pazienti hanno riportato valori medi più elevati rispetto alla terapeuta. Questo risultato è in linea con la differenza emersa nel dominio della Disinibizione, che comprende proprio questa sfaccettatura. Il fatto che le pazienti tendano a valutare sé stesse come maggiormente impulsive rispetto a quanto non faccia la terapeuta è in linea con quanto riportato da Xxxxxx et al. (2018). I ricercatori, infatti, hanno ipotizzato che questa discrepanza possa riflettere il livello di distress psicologico dei pazienti, i quali potrebbero sopravvalutare la propria psicopatologia; in alternativa, è probabile che pazienti e terapeuti impieghino quadri interpretativi di riferimento molto diversi nel corso della compilazione degli strumenti (Xxxxxx et al., 2018). Le pazienti, per esempio, potrebbero essersi confrontate mentalmente con membri della famiglia, amici o colleghi che mostrano manifestazioni meno estreme di tali tratti; al contrario, il quadro di riferimento dei terapeuti potrebbe aver incluso una serie di altri pazienti caratterizzati da un'ampia gamma di gravità e compromissione (Xxxxxx et al., 2018). Inoltre, il fatto che le pazienti abbiano valutato sé stesse come più impulsive è in linea anche con lo studio di Xxxxxx e collaboratori (2018), i quali hanno osservato che gli individui con DP borderline sembrano riportare livelli di gravità maggiore rispetto a quelli degli informatori; tuttavia è importante sottolineare che, in questo caso, gli informatori non erano costituiti da terapeuti o altre figure cliniche di riferimento, ma da conoscenti nominati dagli individui target (Balsis et al., 2018). Si distinguono i risultati inerenti la sfaccettatura dell’insensibilità, per la quale il terapeuta ha valutato le pazienti come maggiormente insensibili rispetto a quanto loro non si siano attribuite. Questo risultato è particolarmente interessante, dal momento che, nonostante questa sfaccettatura sia considerabile come poco osservabile e più intima, è importante sottolineare sempre che la figura chiamata a valutare come informatore è una terapeuta con molti anni di esperienza professionale; per questo, è prevedibile che sia in grado di coglierla anche più di quanto un paziente possa coglierla in se stesso. L’APA (2013) definisce l’insensibilità, come la “mancanza di preoccupazione per i sentimenti o i problemi altrui; mancanza di senso di colpa o di rimorso per gli effetti negativi o dannosi delle proprie azioni sugli altri”. Se, da un lato è possibile che una paziente non sia in grado di riconoscersela, dall’altro è probabile che una paziente non ammetta di esserne caratterizzata. In letteratura il costrutto dell’insensibilità, come intesa
nell’AMPD, in gruppi di pazienti con disturbi alimentari non è stato indagato. Tuttavia, vari studi hanno indagato l’associazione tra un altro costrutto altrettanto importante, l’alessitimia, e questa popolazione clinica, dimostrando che sono presenti indubbiamente livelli significativamente più elevati di alessitimia in pazienti con disturbi alimentari rispetto agli individui sani (Eizaguirre et al., 2001; Xxxxxxxx & Xxxxxxxxxxx, 0000; Speranza et al. 2005). Per “alessitimia” si intende la difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emozionale, ed è legata a un deficit nella capacità di comunicare ad altri le proprie emozioni (Nemiah & Xxxxxxx, 1970).
Sebbene l’alessitimia sia un costrutto diverso rispetto a quello dell’insensibilità inteso dall’AMPD, è possibile che deficit nell’alessitimia possano portare anche a deficit nel riconoscimento e nella validazione delle emozioni e sentimenti altrui.
I risultati dello studio condotto da Xxxxxxxxx e i suoi collaboratori (2019) contrastano con i presenti risultati. Infatti, i ricercatori hanno osservato che i target tendevano a valutarsi con una gravità leggermente inferiore rispetto agli informatori, fatta eccezione per le sfaccettature relative ad ansia e convinzioni ed esperienze insolite (Carnovale et al., 2019). È doveroso sottolineare che in questo studio l’informant era rappresentato non da una terapeuta o da una figura clinica ma da un conoscente che conosceva il target da almeno un anno, mentre i target erano individui adulti che avevano avuto almeno una storia di trattamento psichiatrico. Dal momento che, come è stato precedentemente accennato, l’errore nella valutazione dei tratti può essere ricondotto a quadri di interpretazione diversi, è probabile che nello studio di Xxxxxxxxx (2019) gli informant costituiti solo da conoscenti, probabilmente inesperti in ambito della salute mentale, abbiano valutato i propri target con livelli più gravi proprio perché il loro quadro di confronto non coinvolgeva altri pazienti come invece è il caso della terapeuta del presente studio e dei terapeuti dello studio di Xxxxxx et al. (2018).
Sebbene il presente studio abbia fornito nuovi spunti nell’ambito dell’accordo sé-altro tra paziente e terapeuta nella valutazione della personalità, è indispensabile rilevarne alcuni limiti. Primo tra tutti, la ridotta numerosità campionaria; infatti, il gruppo di partecipanti era costituito solo da 10 pazienti. In aggiunta, si trattava di pazienti che soffrivano di almeno un disturbo alimentare ed erano tutte di sesso femminile. Un altro limite è riconducibile al fatto che le pazienti erano tutte ricoverate nello stesso reparto della stessa clinica e che quindi provenissero tutte dalla stessa regione, 9 su 10 ricevevano tutte anche una terapia farmacologica e tutte seguivano lo stesso tipo di trattamento psicoterapeutico. Tutti questi limiti non consentono di poter generalizzare i risultati. Sarebbe ideale, per gli studi futuri, oltre a considerare un campione più ampio, reclutare i partecipanti da una serie di
cliniche che si occupano di pazienti eterogenei sia in termini di diagnosi cliniche sia in termini di provenienza demografica. Un altro limite risiede nel fatto che solamente una terapeuta ha preso parte alla ricerca, il che non ha reso possibile indagare altri aspetti del confronto tra auto- ed etero- valutazione che sarebbero stati interessanti, come la modalità attraverso cui le caratteristiche di personalità del terapeuta possano influenzare l’accordo tra auto- ed etero-valutazione, oppure indagare come e se gli anni di esperienza abbiano un’influenza nella valutazione dei tratti dei target. Un altro limite può essere rintracciabile nel PID-5 stesso; infatti, nonostante lo strumento non sia tra i più lunghi esistenti nell’ambito della psicodiagnostica, presenta 220 item e dal momento che questo studio si è concentrato su pazienti con disturbi alimentari che molto spesso sono caratterizzate da un rallentamento dal punto di vista cognitivo, la compilazione può aver risentito della difficoltà di dover mantenere l’attenzione per lungo tempo. Sempre per quanto riguarda gli strumenti utilizzati, infine, è bene ricordare che la versione italiana del PID-5-BF è ancora in fase di validazione e le sue proprietà psicometriche non sono ancora completamente esplorate. Nonostante i limiti presentati, lo studio può essere considerato come informativo circa l’accordo sé-altro tra paziente e terapeuta nell’ambito della valutazione della personalità; ha fornito spunti anche per quanto riguarda il confronto tra la gravità dei punteggi forniti dalla terapeuta in qualità di etero-valutatrice e quelli forniti dalle pazienti, tutti temi ancora ben poco indagati in letteratura. A proposito della letteratura limitata in questo ambito, questa ricerca potrà rappresentare il punto di partenza per ampliamenti e approfondimenti futuri.
I risultati dello studio potrebbero avere importanti implicazioni dal punto di vista teorico e clinico. Da un punto di vista teorico, è stata sottolineata l’utilità di sviluppare e utilizzare strumenti che indaghino la personalità da un punto di vista dimensionale: il PID-5 ha permesso di ottenere una valutazione piuttosto esaustiva della personalità delle pazienti e il PID-IRF ha consentito di individuare informazioni aggiuntive in grado di arricchire quelle ottenute con la forma self-report dello strumento. Nei criteri diagnostici presenti nel DSM-5 per la diagnosi dei disturbi alimentari o delle varie comorbidità riscontrate nelle pazienti del nostro campione non sono inclusi i tratti maladattivi emersi dal nostro studio; tuttavia, sarebbe utile valutarli e considerali dal momento che rappresentano aspetti di compromissione del funzionamento psicologico della persona. Infatti, i tratti maladattivi della personalità possono contribuire al mantenimento dei sintomi del disturbo alimentare; viceversa, la persistenza del disturbo alimentare può esacerbare alcuni tratti patologici della personalità (Xxxxxxx & Eaton, 2010; Xxxxxxxxx et al., 2006). In secondo luogo, indagare l'accordo sé-altro rispetto ai tratti maladattivi di personalità permetterebbe di inserirsi nel lungo dibattito relativo alla mancanza di insight in coloro che hanno un DP. Di conseguenza, sul piano clinico, al fine di generare un quadro più completo del funzionamento/comportamento del paziente,
la valutazione dei tratti maladattivi di personalità dovrebbe rappresentare un punto di partenza importante dal momento che permetterebbe di formulare un intervento che possa lavorare anche su questi aspetti fondamentali alla base del funzionamento della persona, a volte prioritari anche rispetto al disturbo primario diagnosticato. Infine, Xxxxxxx e colleghi (2017) hanno pubblicato una meta- analisi nella quale hanno suggerito che i tratti di personalità possono modificarsi sostanzialmente in risposta alla psicoterapia; di conseguenza, un confronto tra le auto- e le etero-valutazioni in ambito clinico potrebbe aiutare a identificare quei tratti su cui poter lavorare in un secondo momento nel percorso terapeutico.
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