Contract
Il nuovo articolo 7 della L. 604/1966 e la sproporzione della sanzione
LA VOLONTÀ DI LICENZIARE E L’OBBLIGATORIO TENTATIVO
DI CONCILIAZIONE
di Xxxxxxx XXXXXXX
Sommario: 1. Premessa. 2. Il licenziamento per giustificato motivo ogget- tivo. 3. Ambito di applicabilità. 4. Del procedimento. 5. Dalla “prospettiva di crescita” … alla perdita di tempo ai danni dell’imprenditore. 6. Del ten- tativo di conciliazione. 7. La conciliazione su altre questioni. 8. Il mancato espletamento del tentativo: la sanzione. 9. Conclusioni.
1. Premessa
Nel contesto odierno delle leggi lavoristiche che dopo i successi degli anni ’70 si rivela non più al passo coi tempi nonchè risultato di poche e confuse idee, si collocano gli in- terventi normativi del nostro schizofrenico legislatore che contribuiscono, purtroppo, solo ad aggravare la crisi del mercato del la- voro. Le riforme modificative del panorama sia processuale che contrattuale, avvicen- datesi nell’ultimo decennio, sono state nu- merose, ma evidentemente poco foriere di nuove occasioni di lavoro, atteso che le nor-
me, spesso, non hanno fatto che disincenti- vare le assunzioni e scoraggiare gli impren- ditori dall’investire sul capitale umano.
Risulta difficile e quasi imbarazzante par- lare del logorroico articolo 1 della l. n. 92/20121, logorroico “contenitore” che -
1 L. 28 giugno 2012, n. 92. Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita. (GU n. 153 del 3/07/2012 in Suppl. Ordinario
n. 136). Art. 1, co. 40: “L’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente: «Art. 7. - 1. Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per
giustificato motivo soggettivo, dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavo- ratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore. 2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonchè le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la con- vocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di pro- cedura civile. 4. La comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta. 5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro. 6. La procedura di cui al presente articolo, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si con- clude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione fina- lizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. 7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a), c) ed e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. 8. Il com- portamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, settimo
com’è consuetudine negli ultimi tempi, vuoi per “mal celare” norme scomode, vuoi per evitare l’ostacolo del voto di fiducia del governo - racchiude “un pò di tutto”. La formulazione sarà sicuramente opera della collaborazione di illustri esperti, ma vero- similmente trattasi di chi frequenta poco i Tribunali del lavoro italiani e non conosce la drammatica realtà.
Ex multis occorre soffermarsi sulla normati- va riguardante l’impugnazione del licenzia- mento che, sebbene qualche giudice non se ne sia accorto, “non segue le regole basilari del rito del lavoro” poiché consente al giu- dicante di istruire e decidere “nel modo che ritiene più opportuno”.
Ed ancora: cosa dire di questo articolo 72 “fiore all’occhiello” della innovazione la- voristica prodotta dal precedente Governo Xxxxx?
Per la serie: “alle volte ritornano” il tenta- tivo di conciliazione, a seconda delle libe-
comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile. 9. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro di cui al comma 3, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni»”.
2 Il previgente art. 7 l. 604/1966 così recitava: “Quando il prestatore di lavoro non possa avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali, può promuovere, entro venti giorni dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento, il tentativo di conciliazione presso l’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. Le parti possono farsi assistere dalle as- sociazioni sindacali a cui sono iscritte o alle quali con- feriscono mandato. Il relativo verbale di conciliazione, in copia autenticata dal direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del pretore. Il termine di cui al primo comma dell’articolo precedente è sospeso dal giorno della richiesta all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione fino alla data della comunicazione del deposito in cancelleria del decreto del pretore, di cui al comma precedente o, nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione, fino alla data del relativo verbale. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione di cui al primo comma le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale”.
re interpretazioni del legislatore di turno, nel giro di qualche anno da obbligatorio diventava facoltativo (collegato lavoro), ri- tornando obbligatorio nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.
Eppure lo sperpero di danaro pubblico ef- fettuato in dieci anni per attrezzare pres- so le ex Direzioni Provinciali del Lavoro le strutture idonee all’espletamento dei pro- cedimenti con il vecchio articolo 410 c.p.c.
- che prevedeva una complessa procedura obbligatoria facilmente driblabile previo decorso di 60 giorni dall’invio delle lette- re raccomandate richiedenti la promozione di tale tentativo - avrebbe dovuto imporre maggiore riflessione e, perché no, anche un pò di buon senso!
2. Licenziamento per giustificato motivo
oggettivo
L’articolo 7 così come modificato dalla l. 92/2012 (art. 1, co. 40) – che pare conten- ga al suo interno una spropositata quanto inutile “sanzione” ai danni del datore di la- voro - stabilisce, al suo primo comma, che il licenziamento per giustificato motivo di cui all’art. 3 l. 604/1966, seconda parte, comminato per ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa, qualora disposto da un datore di lavoro avente i re- quisiti dimensionali di cui all’art. 18, com- ma 8, l. 300/1970 (imprese che hanno più di 15 lavoratori dipendenti) deve essere pre- ceduto da una comunicazione, contenente i motivi del licenziamento, effettuata dal datore di lavoro alla Direzione Territoriale del Lavoro del luogo dove il lavoratore pre- sta la sua opera e trasmessa per conoscenza al lavoratore.
In pratica il datore di lavoro costretto a licenziare qualche dipendente per riduzio- ne del personale e, quindi, per giustificato motivo oggettivo, senza dover ricorrere ai licenziamenti collettivi, dovrà sostanzial- mente scrivere una lettera indirizzata alla Direzione Territoriale del Lavoro ed al lavo- ratore stesso per comunicare che, stante la crisi economica e la riduzione di commesse,
ha l’intenzione di licenziare lo stesso lavo- ratore.
Nella predetta lettera, potranno essere in- dicate le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore che, ci si chie- de come possano risultare cosa buona se, nella migliore delle ipotesi, riguarderanno la possibilità di trasferimento, l’outsourcing, il reimpiego in altra società del gruppo o un distacco, se non addirittura la proposta di un lavoro autonomo o in cooperativa con i rischi che, in periodo di crisi, tali attività comportano.
Ed allora a cosa serve tale missiva? È for- se un domandare un parere, un chiedere al lavoratore un lasciapassare per il licen- ziamento? Serve ad indispettire ancor più il lavoratore?
Probabilmente vuole essere solo una delle tante poco riuscite norme “garantiste”, che di fatto portano devastanti effetti.
A voler essere magnanimi, si può pensare che la disposizione sia stata così concepita perché il funzionario della Direzione Terri- toriale del Lavoro, in quanto super partes
– conoscendo il reale stato economico- finanziario dell’azienda - possa intervenire per tentare la conciliazione e, comunque, verbalizzare affinché poi il giudice ne tenga conto.
3. Ambito di applicabilità
Ai sensi dell’art. 18, comma 8, dello Statuto dei lavoratori soggetti al “pagamento della sanzione” (dalle 6 alle 12 mensilità ex com- ma 6 art. 18) prevista in caso di mancato rispetto delle regole imposte per la conci- liazione sarebbero tutti i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori che inten- dano effettuare un licenziamento per giu- stificato motivo oggettivo e che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo occupino alle proprie dipendenze più di 15 o più di 5 unità se imprenditori agricoli.3
3 Tale norma si applica anche nei confronti del datore,
Ai fini del computo i lavoratori a tempo par- ziale indeterminato sono calcolati “proquo- ta” in relazione all’orario pieno contrattua- le, mentre non si computano il coniuge ed i parenti entro il secondo grado, sia in linea diretta che collaterale.4
Il calcolo della base numerica deve essere effettuato non già nel momento in cui av- viene il licenziamento, ma avendo quale parametro di riferimento la c.d. “normale occupazione” nel periodo antecedente (gli ultimi 6 mesi), senza tener conto di tempo- ranee contrazioni di personale.
Nelle aziende in cui l’occupazione è “flut- tuante” per l’attività espletata in periodi predeterminati, per motivi di mercato, la giurisprudenza indica un concetto di “me- dia” (Cass. civ., Sez. lav. n. 2546/2004) ed uno di “normalità” della forza lavoro rife- xxxx all’organico necessario in quello spe- cifico momento dell’anno (Cass. civ. Sez. lav. n. 2241/1987; Cass. civ. Sez. lav. n. 2371/1986).
Non sono computabili:
– tutti i contratti di apprendistato poiché esclusi l’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 167/2011, che riporta quanto contenuto nell’art. 21 della l. n. 56/1987 ora abro- gato;
– i contratti di inserimento (ormai abrogati dalla l. 92/2012 con decorrenza dal 2014) ed i contratti di inserimento ex art. 20 della l. n. 223/1991;
– i contratti per lavori socialmente utili o di pubblica utilità, secondo quanto pre- visto dall’art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 81/2000;
– i contratti di somministrazione che non ri- entrano nell’organico dell’utilizzatore ex art. 22, comma 5, d.lgs. n. 276/2003.5
imprenditore o non imprenditore, che nello stesso ambito comunale occupi più di 15 lavoratori, pur se ciascuna unità produttiva non raggiunga tali limiti (anche per l’imprenditore agricolo dimensionato oltre le 5 unità vale lo stesso principio) e, in ogni caso, a chi occupa più di 60 dipendenti su scala nazionale.
4 Commi 8 e 9 del nuovo art. 18, come modificato dal comma 42 dell’art. 1 della l. n. 92/2012.
5 Nella circolare ministeriale del 16/01/2013 n. 3 viene
4. Del procedimento
Inoltrata la comunicazione da parte del datore di lavoro circa le sue intenzioni con l’indicazione del motivo oggettivo del licen- ziamento medesimo nonché delle eventuali misure di assistenza ad una ricollocazione del lavoratore interessato, la Direzione Ter- ritoriale del Lavoro convocherà le parti nel termine perentorio di 7 giorni dalla ricezio- ne della richiesta.
L’incontro obbligatorio si svolgerà dinanzi alla Commissione di Conciliazione istituita presso la DTL di cui all’art. 410 del codice di procedura civile, che riporta in rubrica il tentativo di conciliazione.
La comunicazione risulterà validamente ef- fettuata quando recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro ovvero consegnata al lavoratore che sotto- scrive la copia per ricevuta6.
Il comma 5 del predetto articolo 7 statuisce che: “Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sinda- cale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro”.
Il successivo comma 6 del medesimo arti-
testualmente riportato: “Vanno, invece, compresi nell’or- ganico aziendale i lavoratori delle società cooperative di produzione e lavoro che hanno sottoscritto un contratto di lavoro subordinalo secondo la previsione contenuta nell’art. 1, comma 3, della l. n. 142/2001, i lavoratori a domicilio, i lavoratori sportivi professionisti che. in virtù dell’art. 4, comma 9, della l. n. 91/1981. rientrano nel computo dimensionale dell’azienda.
Il computo parziale nell’organico non riguarda soltanto i lavoratori ad orario ridotto a tempo indeter- minato - come riportato, esplicitamente, dalla norma ma anche gli intermittenti, in forza dell’art. 39 del d.lgs. n. 276/2003 che li calcola nell’organico dell’impresa «ai fini dell’applicazione di norme di legge, in proporziona all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di cia- scun semestre» o quelli «in lavoro ripartito» computati complessivamente in relazione all’orario svolto e che vanno considerati come un’unità allorquando l’orario complessivo coincida con il tempo pieno”.
6 Come specificato dalla Circolare ministeriale n. 3/2013 tale comunicazione può anche essere inviata a mezzo posta elettronica certificata.
colo prevede che il procedimento debba concludersi entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione Territoriale del Lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti di co- mune avviso non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo.
Conclude il comma 6 dell’articolo in que- stione che, qualora fallisca il tentativo e, comunque, decorso il termine di cui al com- ma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore … pagando un congruo “ticket” all’I.N.P.S.!
5. Dalla “prospettiva di crescita” … alla perdita di tempo ai danni dell’impren- ditore
Il legislatore non si è accorto che questa pro- cedura è, di fatto, soltanto foriera di una gratuita perdita di tempo ai danni dell’im- prenditore in crisi, dal momento che, contra- riamente alla prima impressione, questo pro- cedimento non prevede termini perentori. Al comma 6 art. 7 si legge che soltanto de- corso il termine di cui al comma 3 “il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore”, ma tale comma si riferisce al termine perentorio di 7 giorni entro cui bisogna procedere alla convocazione delle parti, non ad un termine finale entro cui bi- sogna addivenire ad una conclusione, qual- siasi essa sia.
Come già evidenziato, il datore dovrà invia- re una comunicazione al lavoratore ed alla Direzione Territoriale del Lavoro; quest’ul- tima avrà 7 giorni di tempo per fissare la data di convocazione dinanzi alla Commis- sione di Conciliazione, compatibilmente agli impegni già assunti; a questo punto ve- rosimilmente perverrà la lettera del legale del lavoratore che allegando un certificato medico attestante l’assoluta impossibilità a comparire del lavoratore stesso, determine- rà un aggiornamento della seduta.
Vi è di più. Oggi, stante quanto specificato nella circolare del ministero del lavoro n. 3/2013, il lavoratore potrà anche comunica- re egli stesso alla commissione provinciale
di conciliazione l’impossibilità a presenzia- re all’incontro, autocertificando la sussi- stenza di un legittimo impedimento (stato di malattia o motivi afferibili alla sfera fa- miliare).
Tale comunicazione, qualora ritenuta va- lida, potrà comportare lo spostamento dell’incontro anche di 15 giorni. Sebbene nella circolare sopra citata si parli di tempi ristretti e della necessità che l’intera pro- cedura si protragga per massimo 20 giorni si legge anche che qualora ci siano margi- ni di accordo, i tempi potranno essere più lunghi e l’aver protratto le “trattative” non comporta obbligo di accordo. Insomma è lo stesso ministero, nei chiarimenti operativi che per un verso ricorda i termini brevi per l’altro prevede la possibilità di rinvio pur- chè l’aggiornamento delle sedute giovi al raggiungimento di un accordo, precisando poi che tale accordo potrà anche non essere raggiunto!
Inserita nella ennesima riforma del merca- to del lavoro voluta “… per una prospettiva di crescita ….” la procedura de quo risul- ta soprattutto essere una buona occasione per “prendere tempo” o meglio far perdere tempo all’imprenditore di una azienda in crisi che continuerà a tenere a carico il la- voratore sino a quando si concluderà questo procedimento.
6. Del tentativo di conciliazione
Analizzando quanto esposto nella norma par- ticolare interesse suscita la figura del funzio- nario della Direzione Territoriale del Lavoro che, senza dubbio in buona fede e per sal- vare un posto di lavoro, spende tutte le sue energie agendo in “maniera intensa” ed ado- perandosi perché si possa pervenire ad una soluzione utile per entrambe le parti.
Chi meglio dell’imprenditore conosce lo sta- to di salute della propria azienda?
Non vi è dubbio che l’attività del funziona- rio risulti encomiabile: resta il dato di fatto che l’imprenditore nel mentre, continua a tenere alle proprie dipendenze, una unità lavorativa ritenuta inutile, per l’economia aziendale, semprecchè, poco scaltramen-
te, non abbia per tempo comunicato con la lettera iniziale di non volersi più avvalere dell’opera del proprio dipendente al qua- le ovviamente dovrà poi essere corrisposta l’indennità di mancato preavviso.
Altro aspetto è quello relativo alla comuni- cazione delle risoluzioni alternative per la ricollocazione del lavoratore.
Premesso che un datore di lavoro in crisi probabilmente avrà altri problemi che van- no oltre quello di trovare una diversa oc- cupazione o meglio una ricollocazione per i propri dipendenti licenziati, si ritiene che anche il ruolo di “mediatore” affidato ai funzionari della DTL sia un ruolo fittizio e comunque involontariamente penalizzante la posizione datoriale.
Se l’azienda è davvero in crisi e non può so- stenere i costi per tutti i propri dipenden- ti, per cui procede a licenziare una o due unità (licenziamenti individuali plurimi) per giustificato motivo oggettivo, a che serve disquisire sulla validità della proposta di ricollocazione e magari legare l’esito della conciliazione a tale aspetto?
Discutibile, poi, è anche la previsione di cui al comma 8 del predetto articolo 7 l. 604/1966 che conferisce un gratuito potere alla Commissione di conciliazione di redige- re un verbale dal quale si possa desumere il comportamento complessivo delle parti valutabile dal giudice ai fini della determi- nazione della indennità risarcitoria di cui all’articolo 18 co. 7 e delle spese ex artt. 91 e 92 c.p.c..
Trattasi di un compito che lascia non poco perplessi poiché il Xxxxxxx non dovrebbe es- sere assolutamente condizionato da attività stragiudiziali e il fatto che possa tener con- to del contenuto del relativo verbale stilato dalla Commissione, preoccupa alquanto.
7. Conciliazione su altre questioni
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con circolare n. 3 del 16/01/2013, commen- tando il comma 40 dell’art. 1 della legge in esame, fornisce la propria interpretazione ed i primi chiarimenti operativi sull’oppor- tunità di conciliare definitivamente l’intera
controversia inerente l’intercorso rapporto di lavoro anche attraverso soluzioni alterna- tive o complementari al licenziamento.7
Si tratterebbe, in realtà, di una opportunità per conciliare definitivamente l’intera con- troversia inerente l’intercorso rapporto di lavoro.
A pag. 11 della stessa si legge: “Un’altra questione che potrebbe presentarsi con una certa frequenza è quella legata alla possibilità che, in sede di accordo sulla ri- soluzione del rapporto, si possa addivenire anche alla composizione di altre questioni di natura economica afferenti il rapporto di lavoro come, ad esempio, le differenze retributive, le ore di lavoro straordinario o il trattamento di fine rapporto. La cosa appare possibile purchè ci sia la piena con- sapevolezza del lavoratore circa la defini- tività della questione e la sua conseguente inoppugnabilità ex art. 410 c.p.c.. Ovvia- mente, qualora dalla discussione emerga che tale requisito non ci sia, sarà necessario
«stralciare» la parte relativa alla «chiusura delle pendenze economiche» e concentrar- si soltanto su quello che è l’obiettivo della procedura, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In relazione a quanto sopra va osservato che, in caso di somme corrisposte a vario titolo al lavoratore (ad accettazione della risoluzione del rapporto, differenze paga, T.F.R., ecc.), è opportuno evidenziare sepa- ratamente le stesse e, in particolare, quel- le finalizzate all’accettazione del licenzia- mento”.
Il lavoratore, pertanto, potrà accordar- si con il proprio datore in merito a talune somme che potranno essere corrisposte al fine dell’accettazione del licenziamento ri- servandosi il diritto di ricorrere al Giudice
7 L’I.N.P.S. è anche intervenuta col Messaggio n. 20830 del 18 dicembre 2012 per porre rimedio alla palese disparità di trattamento ingenerata dalla “interpretazione letterale” del comma 40 che portava a negare il ricono- scimento dell’indennità di disoccupazione ai lavoratori licenziati con la nuova procedura nel periodo 18 luglio-31 dicembre 2012 che avessero aderito ad una risoluzione consensuale del rapporto.
soltanto per rivendicare quelle non oggetto
di accordo.
8. Il mancato espletamento del tentativo: la sanzione
L’articolo 18 l. n. 300/1970, così come modificato ed integrato dall’art. 1 della l.
n. 92/2012 statuisce al suo comma 6 che, nell’ipotesi in cui il licenziamento sia di- chiarato inefficace per violazione … della procedura di cui all’art. 7 l. n. 604/1966 si applica il regime di cui al comma 5 ma con l’attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata in relazione alla gravità della violazione for- male o procedurale commessa dal datore di lavoro tra un minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globa- le di fatto.
La disposizione de quo crea non poche per- plessità anche sotto il profilo della sua legit- timità costituzionale.
Trattasi di una novità assoluta finalizzata a ledere ancora una volta il datore di lavo- ro. Logica conseguenza del mancato espe- rimento del “vecchio” tentativo obbligato- rio di conciliazione era solo la “sanzione” della inammissibilità ed improcedibilità del giudizio o la sospensione dello stesso, senza aggravi spropositati di costi. Oggi invece, si parla di “una sanzione” cospicua che po- trà arrivare sino a 12 mensilità della retri- buzione globale di fatto. Apparentemente l’indennità ex comma 6 art. 18 avrebbe i caratteri tipici della sanzione, da intendersi come conseguenza della commissione di un illecito consistente nella violazione di una norma. In effetti il pagamento scatterebbe qualora non sia stato esperito il tentativo di conciliazione o non siano state diligen- temente osservate le procedure previste ex lege in materia. Ogni sanzione pecuniaria che si rispetti deve essere versata ad un ente pubblico … ma forse nulla vieta possa trattarsi di privato?
Probabilmente sarebbe stato più opportuno
- visto che di “sanzione” nel senso classico si tratta - prevedere un pagamento in favore dello Stato e non del privato che al massimo
potrebbe lamentare un semplice ritardo, per il quale ottenere un successivo idoneo risarcimento, se il suo licenziamento risul- tasse illegittimo.
Forse bisognava chiamarlo “risarcimento” … ma ci si chiede: per quale danno?
Una cosa è certa: con la predetta disposizio- ne il legislatore si è accanito contro il datore di lavoro che, inconsapevole dei rischi e tra- volto dalla crisi economica, ha dovuto, suo malgrado, licenziare qualche lavoratore.
Già si registrano i primi effetti penalizzan- ti di siffatta disposizione che grava ineso- rabilmente sul datore di lavoro costretto a pagare pesanti e palesemente spropositate sanzioni a lavoratori il cui licenziamento è paradossalmente risultato legittimo oltre- ché corretto.
Non ci è dato di sapere quale logica possa aver spinto il legislatore a punire in questo modo il datore di lavoro per una sostanziale irregolarità amministrativa, magari com- messa dal proprio consulente, poco aggior- nato o forse probabilmente a luglio già in vacanza e quindi ignaro dei cambiamenti importanti verificatisi con la legge del 28 giugno 2012.
Certamente se fosse prevalso il buon senso, frutto anche di risultanze di una adegua- ta e reale conoscenza delle vere difficoltà del mondo del lavoro, una disposizione così sorprendente che consente in sostanza di “spillare” pretestuosamente soldi al datore di lavoro non sarebbe mai stata inserita in una legge che aveva già di suo molte note negative.
9. Conclusioni
Da quanto innanzi esposto emergono fin troppo chiaramente le perplessità dello scrivente su questo nuovo articolo 7 l. n. 604/1966 ed, in particolare, della illogicità e sproporzione della sanzione prevista.
Si ritiene che, se si intenda avviare un serio processo per “una prospettiva di crescita” più che pensare ad idee poco valide ed inop- portune - se non addirittura risibili come in questo caso – quali la sanzione posta a ca- rico del datore di lavoro ed assurdamente a
beneficio del lavoratore (da quando la “san- zione” si paga alla controparte?), si dovreb- be intervenire, creando condizioni favore- voli, per fare in modo che gli imprenditori non debbano ricorrere a questi strumenti espulsivi, ma abbiano finalmente la possibi- lità di assumere lavoratori in quanto oberati di commesse e non più in crisi.
Non è dato di sapere quali criteri doveva seguire il legislatore del momento e quali fossero gli effettivi interessi da tutelare!
Trattasi, insomma, di una normativa non aderente alla realtà ed anzi in contrasto
con le logiche che il buon senso degli im- prenditori suggerirebbero; improduttiva di vantaggi per l’economia e per la vera tutela dei lavoratori, residualmente vantaggiosa soltanto per l’ex lavoratore (e, quindi, per il suo avvocato) che, profittando di una man- canza formale del datore di lavoro - il qua- le ometta di ricorrere a questa preventiva procedura, anche per una svista del proprio consulente - ottenga un gradito benefit di 6/12 mensilità della retribuzione globale di fatto e ciò a prescindere dalla legittimità del licenziamento!
Abstract
L’Autore nell’illustrare il nuovo articolo 7 della legge 604/1966 esprime senza riserve le proprie per- plessità sulla validità di tale norma che penalizza oltremodo ed ingiustificatamente il datore di lavo- ro reo di non aver esperito prima del licenziamento il tentativo di conciliazione. Eppure in passato col precedente articolo 410 c.p.c. che prevedeva il tentativo obbligatorio di conciliazione a carico del lavoratore, in mancanza il Giudice si limitava a concedere un termine per l’espletamento.
In ogni caso l’odierna sanzione a carico del datore di lavoro risulta sproporzionata e può essere soltanto un ulteriore strumento che penalizza l’imprenditore e certamente non è utile per la “… prospettiva di crescita”.
Abstract
The author illustrating the new Article 7 of law 604/1966 expresses unreserved its concerns on the validity of that provision that penalizes overly and unnecessarily the employer guilty of not having tried before dismissal the attempt at conciliation. Yet in the past with the previous article 410 c.p.c. which provided for the compulsory conciliation by the employee, in the absence, the judge only conferred a deadline for completion.
In any case, today’s sanction against the employer is disproportionate and can only be an additio- nal tool that penalizes the entrepreneur and certainly not useful for “... the prospect of growth”.