QUADERNI PER LA FORMAZIONE SINDACALE – FEBBRAIO 2013
ACCORDO PRODUTTIVITA’ E COMPETIVITA’ OVVERO DELLA RESA SENZA CONDIZIONI DEI SINDACATI COMPLICI
QUADERNI PER LA FORMAZIONE SINDACALE – FEBBRAIO 2013
USB LAVORO PRIVATO Centro Studi CESTES
xxxxxxxxxxxxx@xxx.xx xxxxxx@xxx.xx
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L’ACCORDO INTERCONFEDERALE SULLA PRODUTTIVITÀ È L’ENNESIMA MAZZATA CALATA SULLA TESTA DI MILIONI DI LAVORATORI E LAVORATRICI
L’accordo che prende il nome altisonante di “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia”, meglio noto come l’accordo sulla produttività, firmato il 16 Novembre scorso da Confindustria, CISL UIL e UGL, altro non è che la sintesi di un lungo percorso iniziato da tempo per la trasformazione del modello di sviluppo, dell’assetto produttivo e del sistema sociale nel nostro paese.
In nome della crisi stiamo assistendo alla distruzione di un patrimonio sociale, democratico, sindacale accumulato in anni di lotte perché incompatibili con il nuovo modello europeo. Quello che accade non è conseguenza solo della crisi, ma risponde al disegno della definizione della nuova area produttiva europea che vedrà non solo gli stati ma anche zone e regioni al loro interno in competizione tra loro. Alla base di tutto la lotta per la supremazia economica che necessita della distruzione delle garanzie sociali e individuali, ridefinendo la totale subordinazione dei lavoratori alle esigenze del nuovo modello sociale e produttivo.
La vicenda FIAT ha fatto da apripista per un nuovo modello di definizione dei rapporti sociali nel paese elevando a sistema le condizioni di deregolamentazione, sfruttamento e assenza di relazioni sindacali praticate dalle piccole e medie imprese, applicando i rapporti produttivi dei paesi emergenti per salvare il profitto a spese dei lavoratori.
Xxxxxxxxxx è stato solo l’esecutore materiale della realizzazione di un processo che ha, passo dopo passo, costruito i presupposti ideologici e politici per questo ulteriore passo in avanti.
Il clamore della vicenda FIAT, infatti, ha consentito di accelerare i processi e ha dato il via ad una serie di norme, leggi e accordi che vanno tutti nella direzione di una nuova disfatta dei lavoratori, già fortemente provati dalla gestione della crisi. Già il famigerato accordo del 28 Giugno 2011, sottoscritto da tutte le confederazioni, consentendo la deroga ai contratti nazionali assumeva di fatto la vicenda FIAT a modello delle nuove relazioni sindacali.
L’approvazione successiva dell’articolo 8 di sacconiana memoria, ne assumeva poi i contenuti elevandoli a sistema dei rapporti tra le parti sociali.
Ma già l’accordo del 22 gennaio 2009 sulla riforma del modello contrattuale aveva definito con chiarezza la relazione tra contratto nazionale e contratto decentrato aprendo un’autostrada ai futuri passaggi. L’attuale accordo, con tanto di firma digitale, sancisce la fine di un percorso e apre un nuova fase nella storia sindacale del nostro paese.
Una modifica veramente epocale delle relazioni sindacali
Si può senz’altro affermare che quest’accordo sancisce una rottura definitiva con l’idea di sindacato quale mediatore, anche se al ribasso per i lavoratori, tra le esigenze dell’impresa e quelle del lavoro. Apre una fase che possiamo definire costituente nelle relazioni sindacali.
Così come il Governo Xxxxx/Xxxxxxxxxx ha costituito una cesura a livello politico/istituzionale facendo strage di ogni parvenza di regole democratiche, anche sul terreno sindacale si entra in un regime di ferro che non vuole lasciare spazio all’opposizione sindacale e consente il pluralismo solo tra i sindacati consenzienti.
In ogni sua parte l’accordo assume i principi della competitività internazionale e della produttività quali elementi caratterizzanti la trattativa contrattuale, esalta il ruolo e la funzione della contrattazione decentrata, predominante rispetto al nuovo modello di contratto nazionale; stabilisce il tetto degli aumenti salariali esigibili; subordina alle necessità della produzione ogni
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aspetto salariale e normativo, arrivando a prospettare deroghe anche a norme di legge, in nome di un sedicente patto generazionale; auspica un aumento degli sgravi fiscali per le imprese e stabilisce nuove relazioni sindacali prefigurando un ruolo totalmente subordinato delle RSU.
Aspetti, più che inquietanti, devastanti. In piena crisi, con una recessione di cui non si vede la fine, con una disoccupazione giovanile ai massimi storici, si sceglie di abbattere le garanzie normative e contrattuali lasciando mano libera agli imprenditori, forti dell’ideologia dominante della libertà di impresa.
Basta ricordare le riforma della costituzione che abolisce il valore sociale dell’impresa e quindi i suoi vincoli nei confronti della collettività, l’abbattimento dei controlli e degli obblighi di legge sulla sicurezza, le concessioni finanziarie, dirette e indirette, per il sostegno al profitto. Tutto questo non fermerà il declino del sistema industriale del paese perché comunque esso dovrà essere dimensionato sul modello produttivo europeo.
L’unico elemento di novità, elevato al grado di speranza, è il tentativo di attrarre gli investitori stranieri ai quali Xxxxx sta illustrando, in giro per il mondo, che non è necessario avere gli occhi a mandorla per essere schiavizzati dal profitto.
Perché le condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone stanno scivolando verso una condizione da paese emergente che li dovrebbe rendere ricattabili, sottomessi e disponibili a qualunque rinuncia pur di avere un lavoro qualunque con un reddito almeno da sopravvivenza.
Ma non è detto che sarà così, soprattutto se all’aumento della produttività si saprà rispondere con l’aumento della produzione di lotte di massa.
Il protocollo per la crescita della produttività e della competitività
È evidente che non ci troviamo di fronte ad un nuovo patto sociale all’interno del quale l’aspetto negoziale tuteli i lavoratori, ma di fronte alla loro totale subordinazione ad un politica industriale di sopravvivenza da parte delle imprese e di deindustrializzazione su vasta scala da parte del governo.
La premessa: è l’ennesima richiesta strutturata di assistenzialismo governativo alle imprese. La defiscalizzazione/decontribuzione parziale della parte variabile del salario legato alla produttività crea una condizione di vera e propria lotteria tra i lavoratori poiché non è sottoposta ad indicatori oggettivi per misurare produttività e redditività, ma a valutazione soggettiva dell’impresa. I benefici fiscali riguardano anche l’impresa, quindi non compensano solo il disagio lavorativo legato all’incremento della produttività, sottraggono risorse al sistema previdenziale, vengono pagate in sostanza anche dagli stessi lavoratori perché gli aiuti di stato derivano dal prelievo fiscale generale. Benefici reali per lavoratori pochissimi, per la stessa produttività nulli.
La produttività: bisognerebbe chiedersi se abbia senso aumentare le produttività in una condizione di crisi economica che comprime la domanda e crea invenduto e sovrapproduzione. Certamente no, ma quello che si propone il protocollo non è l’aumento della produzione, che può restare tale e quale o addirittura diminuire, ma produrre con meno lavoratori, utilizzando al massimo gli impianti nella misura in cui è necessario all’andamento del mercato L’abbattimento del costo del lavoro passa attraverso l’aumento dei carichi di lavoro e dello sfruttamento a fronte di improbabili incrementi salariali mentre le politiche governative utilizzano la recessione quale strumento per distruggere siti produttivi e forza lavoro.
La caduta della domanda fa chiudere le imprese che vanno fuori mercato e consente di ridefinire l’assetto produttivo del paese in funzione della nuova dimensione europea. La perdita dei posti di lavoro consente di ridurre il numero dei lavoratori che nel passaggio da lavoratore a disoccupato
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perdono la loro funzione sociale, oltre al reddito. L’aumento della produttività per singolo operatore consente di realizzare questa manovra all’interno delle imprese che restano attive e competitive, superando lo sbarramento della recessione in atto. Il nuovo modello produttivo prevede solo imprese in grado di resistere sul piano del profitto in termini di riduzione del costo del lavoro.
Il contratto nazionale: è stato senz’altro una conquista importante che ha dato soggettività sociale e riconoscimento del proprio ruolo nel paese a lavoratori e lavoratrici. Ha inoltre stabilito che una prestazione lavorativa ha lo stesso valore, e quindi lo stesso costo, su tutto il territorio nazionale, dovunque venga svolta. Questo ha permesso di valorizzare il lavoro, il riconoscimento del valore aggiunto del lavoratore, della sua professionalità e del nuovo potere contrattuale che ne derivava.
Nella fase della ridefinizione del nuovo assetto produttivo tutto questo diventa un ostacolo e non conta neanche la differente attuazione dello stesso contratto nazionale che già da ora è in atto nel paese. Non basta più la differenza salariale già esistente tra nord e sud, tra uomo e donna, tra precario e stabile e via dicendo.
Il nuovo contratto cambia completamente funzione, trasformato in una cornice che definisce un insieme di norme e condizioni, dai quali partire per adattarle, al ribasso, azienda per azienda. Si stabilisce infatti che una quota degli aumenti derivanti dai rinnovi contrattuali sia da attribuire al salario di produttività regolato dalla trattativa decentrata (si trasforma parte del salario fisso in salario variabile).
La semplificazione normativa non sottintende altro che una selvaggia deregolamentazione del rapporto di lavoro, a partire dall’orario arrivando a prospettare, in caso di crisi aziendale il demansionamento, ovvero la collocazione dei lavoratori in categorie di livello più basso con riduzione salariale: entrambe una chiara violazione delle norme del Codice Civile che lo proibiscono; e soprattutto per ultimo un’enorme delega alla contrattazione decentrata all’insegna del si salvi chi può, con un addio definitivo all’idea di sindacato generale e solidale. Deve servire insomma a rende operative le scelte di politica economica che il governo elabora in ossequio ai diktat europei e ai voleri dei mercati finanziari.
La contrattazione decentrata: nella nuova versione regola orari e organizzazione del lavoro (in modo da renderli flessibile a livello di azienda), agisce sui fattori che influenzano la produttività in regime di deroga, diventa un contratto separato a tutti gli effetti.
Assume la funzione di motore dinamico delle relazioni industriali nel paese, con una serie di elementi di deregolamentazione e arbitrarietà che producono una differenziazione tra lavoratori di proporzioni incalcolabili.
Non siamo di fronte alla semplice riedizione delle gabbie salariali cha da sempre qualcuno ripropone, e che peraltro esistono già nella realtà, ma siamo all’introduzione della gabbia individuale per ogni operatore. Il quale dovrà guadagnarsi il proprio salario sottoponendosi ad una flessibilità totale sul piano operativo, professionale, salariale, sindacale e via dicendo. Di fatti siamo arrivati al contratto individuale!
Basta immaginare cosa possa succedere laddove la trattativa decentrata non esiste o come potrà essere portata avanti dove esiste nella nuova condizione di ricatto. La questione del demansionamento possibile in caso di crisi è qualcosa che va oltre la flessibilità, vuol dire lasciare il lavoratore in balìa dell’andamento dell’impresa assumendo su di sé il rischio di impresa senza alcun riconoscimento economico. Oltretutto il demansionamento non cancella le conoscenze e la professionalità del lavoratore che viene proiettato in una condizione di lavoro nero dovendo garantire le sue prestazioni per risollevare l’impresa. Tutto questo in una condizione di variabilità dell’orario di lavoro e incertezza salariale.
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La contrattazione collettiva per la produttività prescrive che la regolamentazione delle materie che incidono sulla produttività del lavoro avvenga in piena autonomia dalle leggi cui attualmente sono sottoposte, con la costruzione di un ambito extra istituzionale di relazioni industriali. Tra queste l’equivalenza delle mansioni ossia il demansionamento da adottare in caso di crisi aziendale e come deterrente per il controllo dei lavoratori; l’integrazione delle mansioni, da leggere come accorpamento delle qualifiche e della professionalità; la ridefinizione dei sistemi degli orari e della loro distribuzione ossia una flessibilità totale in rapporto agli investimenti, all’innovazione tecnologica e alla fluttuazione dei mercati, e infine la violazione all’art.4 della legge 300/0, lo Statuto dei Lavoratori: l’accordo concede l’uso di strumenti per il controllo visivo del lavoratore. Con l’alibi del nuovo modello di produzione, la fine di ogni possibilità di vita personale nel luogo di lavoro. Ipocritamente l’ hanno giustificato con la necessità di rendere compatibile l’introduzione di nuove tecnologie con i diritti fondamentali dei lavoratori.
Un accordo privato tra le parti, dunque, come i contratti decentrati e lo stesso accordo per le produttività che consente di scavalcare leggi, codice civile, contratti nazionali e costituzione !
La competitività: in realtà quelli che vengono definiti fattori produttivi sono molti di più oltre al costo del lavoro e possono essere riassunti in: fattori materiali come costi dell’energia, logistica, costo dei trasporti; fattori immateriali come eccesso di burocrazia, sicurezza, legalità, istruzione, che producono costi e diseconomie sensibilmente diversi fra Nord e Sud d’Italia e fra grandi e piccoli centri urbani. Il governo sta lavorando su tutti questi aspetti, ma laddove si scontra con i poteri forti ripiega visibilmente sul costo del lavoro trasformandolo in vettore di ripresa, ma è solo propaganda.
Infatti sui costi energetici non è in grado di intervenire se non con le accise e preferisce perdere un’azienda come l’Alcoa piuttosto che agire sull’energia. Eppure ha avocato a se il piano nazionale dell’energia come settore strategico pensando probabilmente di reintrodurre ancora il nucleare.
Sulla sicurezza sta mettendo in atto una macchina repressiva dei conflitti sociali scatenando l’intervento della polizia; sulla legalità non prova neppure a fare più di tanto, anche in considerazione della penetrazione dei capitali criminali nell’economia legale e il ruolo e la funzione del sommerso; l’istruzione sembra non servire e si abbatte la scuola; i trasporti sono in preda ad una svendita sul mercato internazionale; la burocrazia è messa a tacere con la creazione di una Pubblica Amministrazione privata parallela, per cui le imprese hanno percorsi extra servizi pubblici; le differenze tra nord e sud vengono strutturate creando, attraverso la riforma del titolo V° della Costituzione, il sud in ogni regione; i distretti industriali vengono devastati distruggendo le province che ne garantivano le già precarie infrastrutture. Siamo arrivati ad essere un paese quasi emergente, perché questo serve per competere sul piano internazionale e attrarre investimenti stranieri.
La rappresentanza sindacale: CISL UIL sanno benissimo che per gestire l’applicazione di questo accordo hanno bisogno di relazioni sindacali blindate che impediscano al dissenso di emergere e manifestarsi concretamente.
La CGIL non è da meno visto che, all’indomani della mancata firma sul protocollo per la produttività, ha espresso apprezzamento per l’avvio del confronto, che auspica ‘rapido’ per scrivere le regole per la rappresentanza.
Entro il 31 dicembre dovrà infatti trovare attuazione quanto previsto dall’accordo del 28 Giugno del 2011, stabilendo le regole con cui misurare la rappresentatività di ogni organizzazione sindacale incrociando deleghe e voti.
Saranno perciò definite le modifiche da introdurre all’accordo interconfederale del 93, abolendo il 33%, fatto che non rappresenta però un’apertura democratica; infatti l’accordo dice che si
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‘dovranno prevedere disposizioni per garantire l’effettività e esigibilità delle intese sottoscritte, il rispetto delle clausole di tregua sindacale, di prevenzione e risoluzione delle controversie collettive, le regole per prevenire i conflitti non escludendo meccanismi sanzionatori in capo alle organizzazioni inadempienti’. Non è difficile prevedere che CGIL CISL UIL imporrano la sottoscrizione di tali impegni a chiunque vorrà partecipare alle elezioni delle RSU, attuando una vera e propria selezione preventiva.
Del resto tutto quanto è già stato scritto e firmato il 15 Novembre scorso anche dalla CGIL nel rinnovo del contratto dell’Igiene Ambientale nel quale è detto esplicitamente che condizione essenziale per partecipare alle elezioni delle RSU è l’accettazione di tutti gli accordi interconfederali, quindi anche questo sulla produttività! Se non accetti tale ricatto non puoi partecipare alle RSU ma se accetti non potrai mai opporti alle intese sottoscritte dalla maggioranza degli altri sindacati o delle RSU, pena pesanti sanzioni! Chiunque voglia ancora tentare di rappresentare i lavoratori, potrà solo scegliere a quale corda impiccarsi!
Ovviamente la firma dell’accordo e la sottoscrizione dei contratti rimangono l’elemento centrale del monopolio sindacale, il contentino del referendum abrogativo degli accordi, che potrà essere richiesto o dalla maggioranza delle RSU o dal 30% dei lavoratori è solo un’operazione di facciata!
Un nuovo sindacato di servizio che rende operative le scelte delle imprese e si accontenta di finanziarsi con forme di partecipazione varie come gli enti bilaterali, il welfare aziendale, le formazione dei lavoratori. Un sindacato che sembra tutelare se stesso ma impedisce ai lavoratori di esercitare il proprio diritto alla rappresentanza sociale in azienda e fuori.
La partecipazione dei lavoratori all’impresa: siamo allo scimmiottamento del modello tedesco con una parvenza di concezione inclusiva dell’impresa. La partecipazione proposta in realtà crea solo opportunità per il sindacato allargando la sua sfera di influenza sui servizi e implementando il welfare aziendale (fondi pensione, polizze sanitarie, ecc,) in contrapposizione con un welfare sociale in dismissione.
Formazione e occupabilità delle persone: consegna la formazione scolastica alle esigenze dell’azienda con la proposta di formazione tecnico professionale programmata, ma in realtà apre spazi per i centri di formazione, controllati anche dai sindacati, facendoli diventare organici all’impresa. Tanto è vero che li propongono per la riconversione professionale degli esuberi, un parcheggio mascherato per disoccupati programmati!
Le politiche fiscali di incentivo all’applicazione dell’accordo sulla produttività
La legge di stabilità (comma 481, Xxxxx 228/2013) stabilisce l’intervento delle finanze pubbliche a sostegno dell’accordo sulla produttività e con il Dpcm (decreto del presidente del consiglio dei ministri) del 22 gennaio 2013 si regolamenta nel concreto la politica di incentivo fiscale alla produttività, introduce criteri che chiariscono ulteriormente la natura dell’attacco alle condizioni di lavoro.
La leva fiscale è utilizzata, in un contesto di deperimento e blocco dei salari, per incentivare (motivandola come economicamente vantaggiosa per i lavoratori) la diffusione degli accordi di ulteriore flessibilizzazione e di deroga alla contrattazione nazionale e alle norme di legge.
Aumentando la soglia di reddito per accedere alla detassazione da 30.000 a 40.000 euro annui si estende la platea dei lavoratori “beneficiari” della tassazione sostitutiva sul reddito da lavoro dipendente che, lo ricordiamo semplificando, passa da tassazione ordinaria (ad esempio del 23%) a quella ridotta del 10% da calcolarsi su una somma massima di 2500 euro annue derivante da salario legato alla produttività (abbassandola dai precedenti 6.000 euro).
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L’effetto è che si coinvolgono teoricamente circa 2 milioni di lavoratori del settore privato ma con una riduzione della somma massima individuale, e con un costo stimato per la fiscalità generale (perdita di gettito stimata) di un miliardo e 240 milioni di euro: 935 milioni per il 2013 e di 305 per il 2014 .
Bisogna sottolineare che il meccanismo di tassazione sostitutiva ridotta al 10% risulta addirittura svantaggiosa per i redditi bassi dove ci sono importanti detrazioni e deduzioni (che non si applicano per la parte del reddito messa a tassazione ridotta) e comporterebbe un aumento di fatto della tassazione (da dover far correggere in sede di dichiarazione dei redditi).
Ma il nocciolo vero e proprio del provvedimento è la definizione della “retribuzione di produttività” che è comunque legata ad un accordo sindacale aziendale o territoriale. Il Dpcm prevede accordi che stabiliscano indicatori quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza, innovazione per l’erogazione del salario di produttività (facciamo notare che la “produttività” dei lavoratori centra ben poco con la redditività effettiva e finale dell’impresa o con l’innovazione decisa o meno dal padrone); ma ancora più grave si stabilisce (in alternativa al precedente utilizzo di indicatori) l’intervento su almeno tre delle quattro seguenti aree contrattuali e normative:
− modifica e flessibilità degli orari di lavoro con programmazione su base mensile, sia nella distribuzione quantitativa del lavoro sia nella collocazione delle fasce orarie delle prestazioni;
− gestione flessibile delle ferie, incentivando la programmazione aziendale di ferie frammentate oltre le giornate di ferie eccedenti le due settimane annue (in evidente contrasto con la natura specifica delle ferie come periodi non frammentabili per il necessario recupero psicofisico)
− introduzione di nuove tecnologie e strumenti informatici, la definizione riportata nel testo del Dpcm è volutamente fumosa ma è chiaro a tutti che si sta parlando di strumenti di controllo a distanza e banche dati per il controllo dei lavoratori e delle loro prestazioni;
− fungibilità delle mansioni e integrazioni delle competenze, anche qui la definizione riportata nel testo del Dpcm è di particolare ipocrisia visto che dietro questo frasario tecnicamente neutro si sta parlando del puro e crudo demansionamento dei lavoratori.
L’obiettivo evidente è quello di finalizzare l’impiego dell’incentivo fiscale “penalizzando” chi fa un lavoro a tempo pieno o part time con le mansioni proprie e con turni relativamente regolari anche notturni (che prima poteva rientrare a certe condizioni negli incentivi) e ingabbiando gli accordi sindacali richiedendo l’introduzione e il rispetto dei nuovi criteri che agiscono in peggio sull’organizzazione del lavoro e sulla dignità dei lavoratori.
ORGANIZZIAMO LA RIVOLTA CONTRO I SINDACATI COMPLICI
La Xxxxxxx non ha apposto la sua firma sotto quest’accordo ma ciò non assolve affatto la CGIL visto il ruolo da comprimaria da essa svolto nel confezionarlo. Le trattative hanno preso l’avvio ai primi di settembre quando Xxxxx pose alle parti sociali il problema dell’attuazione delle richieste della BCE in ordine alla ‘riforma del sistema di contrattazione per dare più spazio al livello d’impresa e ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende’!
Abolizione di fatto del contatto nazionale, ampliamento delle deroghe già concesse con l’accordo del 28 Giugno 2011, firmato anche dalla CGIL l’anno scorso. Per quasi due mesi CGIL CISL UIL hanno discusso senza alcun coinvolgimento dei lavoratori arrivando a presentare a Confindustria, che se ne disse fortemente soddisfatta, un testo unitario i cui contenuti ritroviamo pari pari in quest’accordo senza che nessuno abbia sentito il dovere di discuterne con i diretti interessati, i lavoratori e le lavoratrici, che sono stati tenuti all’oscuro di tutto.
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Perché allora la Xxxxxxx non lo ha firmato? Non è un mistero per nessuno che l’oggetto dello scambio era firma in cambio della riammissione della FIOM al tavolo del rinnovo del contratto dei metalmeccanici e della riconquista dei diritti per il sindacato di Xxxxxxx, venuti a mancare con la disdetta da parte di Federmeccanica del contratto del 2008. Altro che scontro sul contratto nazionale e sulla democrazia sindacale!
Con quest’accordo si disegna un sindacato che assume in toto le esigenze aziendali, firma tregue, assicura l’applicazione dei peggiori accordi possibili.
La CGIL non ha firmato ma non farà nulla per contrastare un accordo che, del resto, ha contribuito a confezionare con piena cognizione di causa, tanto più che nel suo gruppo dirigente molti segretari confederali sostengono la necessità di mettere la firma della confederazione sotto questa resa senza condizioni alle ragioni delle imprese.
TOCCA A NOI ALLORA
Al sindacato conflittuale, ai lavoratori che già hanno subito la riforma delle pensioni, il blocco dei contratti e ingenti perdite salariali causate dal mancato recupero dell’inflazione, a tutti quelli che, colpiti da profondi processi di ristrutturazione, sono rimasti senza lavoro e senza ammortizzatori sociali, a tutte quelle donne e uomini a cui viene drasticamente ridotto l’orario e dimezzato lo stipendio a causa della spending review, ai giovani a cui una dissennata politica economica toglie ogni presente e speranza nel futuro, ai tanti e tante xxxxxxx/e, ai pensionati che non riescono a sopravvivere con xxxxxx e pensioni di fame e rinunciano perfino a curarsi.
Non si può continuare a far finta di credere che tutto ciò, che tutti i sacrifici che ci impongono, sortiranno davvero l’effetto di portarci fuori dalla crisi!
L’unico effetto sarà di continuare a rimpinguare i forzieri degli speculatori nazionali e internazionali, delle banche che continuano ad accumulare profitti e a distribuire benefit supermiliardari ai propri manager, mentre la crisi continuerà a mordere la carni della maggioranza della popolazione.
Noi non ci stiamo, non possiamo e non vogliamo accettare logiche che portano al massacro i lavoratori e li espropriano persino delle loro vite mettendole a disposizione del dio profitto.
Il tempo è scaduto: CGIL CISL UIL e UGL debbono essere delegittimati a partire dal rifiuto di quest’accordo per il quale non hanno ricevuto alcun mandato da parte dei lavoratori e delle lavoratrici
Lanciamo una grande campagna di informazione e di mobilitazione fabbrica per fabbrica, ufficio per ufficio, per mettere uno stop al massacro che quest’accordo provocherà e soprattutto smettiamola di dare ancora credito e sostegno, con la propria iscrizione, a chi non ha altro orizzonte che la propria sussistenza.
COSTRUIAMO CON USB IL SINDACATO CHE SERVE AI LAVORATORI E NON ALLA CONFINDUSTRIA E AL GOVERNO