«Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Intese – Articolo 101, paragrafo 1, TFUE – Sistemi di pagamento con la carta – Accordo interbancario che fissa il livello delle commissioni interbancarie – Accordo restrittivo della concorrenza sia per il suo...
Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 2 aprile 2020 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Intese – Articolo 101, paragrafo 1, TFUE – Sistemi di pagamento con la carta – Accordo interbancario che fissa il livello delle commissioni interbancarie – Accordo restrittivo della concorrenza sia per il suo oggetto sia per il suo effetto – Nozione di restrizione della concorrenza “per oggetto”»
Nella causa C‑228/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Kúria (Corte suprema, Ungheria), con decisione del 6 marzo 2018, pervenuta in cancelleria il 3 aprile 2018, nel procedimento
Gazdasági Versenyhivatal
contro
Budapest Bank Nyrt.,
ING Bank NV Magyarországi Fióktelepe, OTP Bank Nyrt.,
Kereskedelmi és Hitelbank Zrt., Magyar Külkereskedelmi Bank Zrt., ERSTE Bank Hungary Zrt.,
Visa Europe Ltd, MasterCard Europe SA,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da X. Xxxxx (relatore), presidente di sezione, I. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxxx e
C. Xxxxxxxxx, giudici, avvocato generale: X. Xxxxx
cancelliere: X. Xxxxx, amministratrice
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 giugno 2019, considerate le osservazioni presentate:
– per il Gazdasági Versenyhivatal, da X. Xxxxxxx e X. Xxxxx, in qualità di agenti;
– per la Budapest Bank Nyrt., inizialmente da X. Xxxxxxxxx, successivamente da
X. Xxxxxx, ügyvédek;
– per la ING Bank NV Magyarországi Fióktelepe, da X. Xxxxxxx, ügyvéd;
– per la OTP Bank Nyrt., da X. Xxxx e X. Xxxxx, ügyvédek;
– per la Kereskedelmi és Hitelbank Zrt., da Z. Hegymegi-Barakonyi, ügyvéd;
– per la Magyar Külkereskedelmi Bank Zrt., da X. Xxxxxxx, ügyvéd;
– per la ERSTE Bank Hungary Zrt., da X. Xxxxxxxxx, ügyvéd;
– per la Visa Europe Ltd, da Z. Xxxxxx e X. Xxxxx, ügyvédek;
– per la MasterCard Europe SA, da X. Xxxxxx, ügyvéd;
– per il governo ungherese, da M.Z. Xxxxx, X. Xxxx e X. Xxxxxxx, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da X. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, X. Xxxxxx e I. Zaloguin, in qualità di agenti;
– per l’Autorità di vigilanza EFTA, da X. Xxxxxxx Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxx e
X. Xxxxxx, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 settembre 2019, ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Gazdasági Versenyhivatal (autorità garante della concorrenza, Ungheria) e, dall’altro, sei istituti finanziari, ossia la Budapest Bank Nyrt., la controllata ungherese della ING Bank NV, la OTP Bank Nyrt., la Kereskedelmi és Hitelbank Zrt., la Magyar Külkereskedelmi Bank Zrt. e la ERSTE Bank Hungary Zrt., nonché due società che prestano servizi di pagamento tramite carta, ossia la Visa Europe Ltd. (in prosieguo: la «Visa») e la MasterCard Europe SA (in prosieguo: la «MasterCard»), in relazione ad una decisione dell’autorità garante della concorrenza con la quale quest’ultima ha constatato l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale vertente sulle commissioni interbancarie.
Diritto ungherese
3 L’articolo 11, paragrafo 1, dell’a tisztességtelen piaci magatartás és a versenykorlátozás tilalmáról szóló 1996. évi LVII. törvény (legge n. LVII del 1996, che vieta le pratiche commerciali sleali e le restrizioni della concorrenza; in prosieguo: la «legge sulle pratiche commerciali sleali») così dispone:
«Sono vietati gli accordi o le pratiche concordate tra imprese, nonché le decisioni (...) di organizzazioni di imprese costituite in virtù della libertà di associazione, società pubbliche, associazioni e altre organizzazioni analoghe di imprese (...) che hanno per oggetto o per effetto, potenziale o effettivo, di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza. Gli accordi conclusi tra imprese non indipendenti l’una dall’altra non rientrano in tali accordi».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
4 Dalla decisione di rinvio risulta che, a metà degli anni ’90, la Visa e la MasterCard, o i loro rispettivi predecessori in diritto, hanno consentito, in forza dei loro regolamenti interni, che gli istituti finanziari emittenti delle loro carte (in prosieguo: le «banche di emissione»), da un lato, e gli istituti finanziari prestatori di servizi agli esercenti che permettono loro di accettare tali carte come mezzo di pagamento (in prosieguo: le «banche di affiliazione»), dall’altro, definissero in comune l’importo delle commissioni cosiddette «interbancarie» nazionali tra dette banche di emissione e le banche di affiliazione, vale a dire l’importo pagato dalle seconde alle prime quando è effettuata un’operazione di pagamento tramite carta.
5 Nel corso degli anni 1995 e 1996, le banche che avevano aderito al settore dei servizi di pagamento tramite carta hanno istituito una cooperazione multilaterale (in prosieguo: il
«forum»), nell’ambito della quale sono state discusse, caso per caso, diverse questioni in merito alle quali si riteneva necessaria una cooperazione nell’ambito di tale settore.
6 Nell’ambito del forum, sette banche, la maggior parte delle quali aveva aderito ai sistemi di pagamento tramite carta istituiti dalla Visa e dalla MasterCard e che rappresentavano una grande parte del mercato nazionale delle banche di emissione e di affiliazione, hanno stabilito, dopo varie trattative, il 24 aprile 1996, il testo di un accordo (in prosieguo: l’«accordo CSC»), relativo alla determinazione, per categoria di esercenti, del livello minimo della commissione di servizio uniforme che questi ultimi dovevano pagare (in prosieguo: la
«CSC»). Successivamente, il 28 agosto 1996, esse hanno concluso un accordo, entrato in vigore il 1º ottobre 1996, con il quale hanno uniformato l’importo delle spese per commissioni interbancarie relative ai pagamenti effettuati mediante carte emesse da una banca partecipante al sistema di pagamento tramite carta proposto dalla Visa o dalla MasterCard (in prosieguo: l’«accordo CMI»). La Kereskedelmi és Hitelbank ha negoziato l’accordo CMI per conto della Visa e della MasterCard e queste ultime l’hanno applicato.
7 Infine, l’accordo CSC non è stato firmato da queste sette banche, ma le spese per commissioni interbancarie previste dall’accordo CMI, in quanto elemento di costo, hanno influito indirettamente sulla determinazione dell’importo della CSC. In particolare, le commissioni di cui all’accordo CMI hanno operato come limite inferiore nella riduzione delle CSC. Inoltre, il perseguimento degli obiettivi fissati nell’accordo CSC progettato ha svolto un ruolo nella conclusione dell’accordo CMI e nel calcolo delle tariffe uniformi riguardanti la Visa e la MasterCard, anche se tali obiettivi non sono stati poi realizzati.
8 Con il tempo, altre banche interessate al settore dei servizi di pagamento tramite carta hanno aderito all’accordo CMI e si sono unite alle attività del forum, cosicché il numero di banche parti di detto accordo interessate dal procedimento principale nel corso del 2006 è arrivato a 22.
9 L’accordo CMI era ancora in vigore il 31 gennaio 2008 quando l’autorità garante della concorrenza ha avviato un procedimento ad esso relativo.
10 La risoluzione dell’accordo CMI ha avuto luogo con effetto dal 30 luglio 2008.
11 In una decisione emessa il 24 settembre 2009 (in prosieguo: la «decisione dell’autorità garante della concorrenza»), l’autorità garante della concorrenza ha constatato che, in primo luogo, nell’aver definito il livello e la struttura della commissione interbancaria uniformemente applicabili alla Visa e alla MasterCard nonché a tutte le banche, in secondo luogo, nell’aver previsto un quadro per un siffatto accordo nei propri regolamenti interni e, in terzo luogo, nell’averlo promosso, le 22 banche parti dell’accordo CMI nonché la Visa e la MasterCard hanno concluso un accordo anticoncorrenziale e non esentabile. Con tale comportamento, dal momento in cui hanno aderito all’accordo CMI – la data di inizio del comportamento anticoncorrenziale era quella dell’entrata in vigore, il 1º gennaio 1997, della legge sulle pratiche commerciali sleali, per le banche che hanno concluso l’accordo CMI e variava per le banche che vi hanno aderito successivamente – fino al 30 luglio 2008, esse avrebbero violato l’articolo 11, paragrafo 1, di tale legge e, dopo il 1º maggio 2004, l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Detto comportamento costituirebbe non solo una restrizione della
concorrenza cosiddetta «per oggetto», nel senso che l’accordo CMI avrebbe ad oggetto un comportamento anticoncorrenziale, ma anche una restrizione cosiddetta «per effetto», nel senso che tale accordo comporterebbe un effetto restrittivo della concorrenza. L’autorità garante della concorrenza ha inflitto alle sette banche che avevano inizialmente concluso l’accordo CMI nonché alla Visa e alla MasterCard ammende di importi diversi.
12 Investito di un ricorso proposto contro la decisione dell’Autorità garante della concorrenza dalla Visa e dalla MasterCard nonché da sei delle banche condannate al pagamento di un’ammenda, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest-Capitale, Ungheria) ha respinto tale domanda.
13 Pronunciandosi sull’appello proposto da tali parti, ad eccezione della MasterCard, il Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria) ha riformato la decisione dell’autorità garante della concorrenza e, per motivi procedurali, ha chiuso il procedimento per quanto riguarda la controllata ungherese della ING Bank. Quanto alle altre parti, esso ha annullato la suddetta decisione e ha rinviato la causa all’autorità garante della concorrenza affinché quest’ultima si pronunciasse nuovamente.
14 L’Autorità garante della concorrenza ha proposto ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio, la Kúria (Corte suprema, Ungheria), avverso la sentenza del Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale).
15 Il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, se uno stesso comportamento possa dar luogo all’accertamento di un’infrazione alla luce dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE a motivo, al contempo, del suo oggetto e dei suoi effetti anticoncorrenziali quali fondamenti autonomi.
16 Da un lato, nei procedimenti particolarmente complessi, le autorità nazionali garanti della concorrenza e la Commissione europea baserebbero le loro decisioni su un duplice fondamento al fine di evitare che una successiva valutazione, che si riveli parzialmente divergente, nell’ambito di un procedimento di controllo giurisdizionale, incida sulla decisione di condanna nel merito.
17 Dall’altro lato, dall’utilizzo della congiunzione «o» di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE si potrebbe dedurre che non è possibile considerare un medesimo accordo come implicante una restrizione della concorrenza sia «per oggetto» sia «per effetto», in quanto una decisione in tal senso avrebbe natura incerta e contraddittoria.
18 Inoltre, i presupposti per l’esenzione e le sanzioni richiederebbero necessariamente una valutazione diversa a seconda che la restrizione di cui trattasi sia qualificata come restrizione «per oggetto» o «per effetto», di modo che la qualificazione di detta restrizione inciderebbe in ogni caso sul merito della causa. Secondo il giudice del rinvio, anche se, in caso di restrizione della concorrenza per oggetto, l’autorità garante della concorrenza interessata è tenuta, in funzione del contesto fattuale, ad effettuare un’analisi approfondita degli effetti della restrizione di cui trattasi al fine di poter adottare decisioni sanzionatorie di livello adeguato e di poter valutare l’esistenza di presupposti per l’esenzione, ciò non significa tuttavia che una decisione che accerti e sanzioni un comportamento anticoncorrenziale possa basarsi su un duplice fondamento.
19 In secondo luogo, il giudice del rinvio si chiede se l’accordo CMI potesse essere considerato come una restrizione della concorrenza «per oggetto». A tale riguardo, esso sottolinea che, nella sua prassi decisionale, la Commissione non ha mai adottato una posizione decisiva sulla questione se simili accordi possano essere considerati restrizioni di tal genere. La risposta a detta questione non discenderebbe chiaramente neanche dalla giurisprudenza della Corte. Inoltre, il procedimento principale presenterebbe differenze rispetto a quelli esaminati fino ad oggi dalla Commissione e dalla Corte. Una di tali differenze risiederebbe nel fatto che, nei procedimenti precedenti, non sarebbe stato
verificato se le commissioni interbancarie siano state effettivamente fissate a uno stesso livello.
20 A quest’ultimo riguardo, il giudice del rinvio osserva che l’accordo CMI non era un’intesa sulla fissazione dei prezzi meramente orizzontale, in quanto le parti di tale accordo comprendevano indistintamente sia banche di emissione sia banche di affiliazione. Peraltro, anche supponendo che la Visa e la MasterCard siano state direttamente coinvolte nell’accordo CMI, quest’ultimo avrebbe fissato non già prezzi di vendita e di acquisto, bensì le condizioni di transazione relative ai loro rispettivi servizi. Il giudice del rinvio sottolinea altresì che l’accordo CMI riguardava un mercato concorrenziale atipico e imperfetto ai cui effetti sarebbe possibile rimediare soltanto imponendo regole. Infine, detto giudice mette in evidenza il fatto che, in passato, il mercato era, in gran parte, caratterizzato da prezzi uniformi. Più in particolare, esso osserva che il fatto di richiedere commissioni interbancarie divergenti non sarebbe anticoncorrenziale soltanto se le altre condizioni di concorrenza tra la Visa e la MasterCard fossero diverse, ma che non vi è stata alcuna indicazione in tal senso nel caso di specie.
21 Per contro, il giudice del rinvio riconosce l’esistenza di argomenti che consentono di giungere alla conclusione che l’accordo CMI comportava una restrizione della concorrenza per oggetto. In particolare, una delle motivazioni alla base dell’uniformizzazione dei prezzi stabilita da tale accordo sarebbe che si trattava di una condizione necessaria dell’accordo CSC. Tuttavia, poiché tale obiettivo è immediatamente venuto meno, dato che l’accordo CSC non ha di fatto visto la luce, non si potrebbe riconoscere all’accordo CMI alcun effetto. Peraltro, seppure una siffatta intenzione soggettiva di restringere la concorrenza abbia potuto sussistere, se non nelle banche che hanno partecipato a tale accordo, quantomeno nella Visa e nella Mastercard, le intenzioni soggettive non possono, di per sé, consentire di ritenere, sul piano obiettivo, che l’accordo CMI perseguisse un oggetto restrittivo della concorrenza.
22 Il giudice del rinvio ritiene che la necessità di tener conto, oltre che del contenuto stesso dell’accordo asseritamente restrittivo della concorrenza, del contesto economico e giuridico in cui esso si inserisce renda particolarmente oscura la questione di sapere dove termini l’esame dell’accordo sotto il profilo del suo oggetto e dove inizi l’esame dell’accordo sotto il profilo dei suoi effetti.
23 Infine, poiché l’autorità garante della concorrenza ha considerato che l’accordo CMI costituiva una restrizione della concorrenza «per oggetto» anche perché implicava una determinazione di prezzo indiretta vertente sul livello delle commissioni di servizio versate dagli esercenti, il giudice del rinvio ritiene che non si tratti di una fissazione di prezzi indiretta.
24 In terzo e ultimo luogo, il giudice del rinvio nutre dubbi circa il coinvolgimento della Visa nell’accordo CMI e, in particolare, la questione se si possa ritenere che tale impresa sia stata parte di detto accordo, sebbene essa non abbia partecipato direttamente alla determinazione del contenuto del medesimo, ma ne abbia consentito la conclusione e lo abbia altresì accettato ed applicato, o se si debba piuttosto concludere per l’esistenza di una pratica concordata tra essa e le banche che hanno concluso l’accordo. Tale giudice si chiede altresì se sia necessario operare una siffatta distinzione, osservando al contempo che il modo di qualificare il coinvolgimento della Visa potrebbe avere conseguenze in termini di responsabilità e di sanzioni applicate.
25 In tali circostanze, la Kúria (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’[articolo 101, paragrafo 1, TFUE] possa essere interpretato nel senso che esso può risultare violato da un unico comportamento tanto per l’oggetto anticoncorrenziale quanto per l’effetto anticoncorrenziale dello stesso, considerati entrambi quali fondamenti giuridici indipendenti.
2) Se l’[articolo 101, paragrafo 1, TFUE] possa essere interpretato nel senso che costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto l’accordo [CMI,] che fissa, in relazione alle due società di carte di credito MasterCard e Visa, un importo unitario della commissione interbancaria che deve essere corrisposta alle banche emittenti per l’uso delle carte di tali società.
3) Se l’[articolo 101, paragrafo 1, TFUE] possa essere interpretato nel senso che sono considerate parti [dell’accordo CMI] anche [la Visa e la Mastercard, sebbene tali imprese non abbiano] partecipato direttamente alla definizione del suo contenuto ma ne [abbiano] reso possibile l’adozione e l’[abbiano] accettato ed applicato, oppure si debba ritenere che dette società abbiano concordato il proprio comportamento con le banche che hanno concluso l’accordo.
4) Se l’[articolo 101, paragrafo 1, TFUE] possa essere interpretato nel senso che, tenuto conto dell’oggetto della controversia, al fine di constatare una violazione del diritto della concorrenza non è necessario accertare se si tratti di una partecipazione all’accordo [CMI], o di un adeguamento al comportamento delle banche che vi aderiscono».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
26 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che osta a che un medesimo comportamento anticoncorrenziale sia considerato come avente al contempo per oggetto e per effetto di restringere il gioco della concorrenza, ai sensi di tale disposizione.
Sulla ricevibilità
27 La Budapest Bank, la ERSTE Bank Hungary e la MasterCard sostengono che la prima questione è irricevibile. In particolare, tali due banche rilevano che la discussione nel procedimento principale ha riguardato esclusivamente i criteri della nozione di restrizione
«per oggetto». Peraltro, i giudici ungheresi avrebbero essi stessi ritenuto che la qualificazione di un comportamento come restrizione per oggetto o per effetto richiedesse l’esame di circostanze diverse, di modo che la questione della possibilità di procedere a una duplice qualificazione sulla base di fatti identici non si porrebbe. Secondo la MasterCard, la prima questione è ipotetica, poiché, da un lato, essa non ha alcuna incidenza sull’esito della controversia principale e, dall’altro, dalla costante giurisprudenza della Corte risulta che il giudice del rinvio può qualificare un medesimo comportamento come restrizione per oggetto o per effetto, ma che non esiste alcun obbligo di qualificarlo su un duplice fondamento.
28 Peraltro, senza eccepire formalmente l’irricevibilità della prima questione, la OTP Bank ritiene che sia necessario riformulare quest’ultima, dato che, nella sua formulazione attuale, non risulta chiaramente in che modo essa sarebbe rilevante ai fini della controversia principale, mentre la Magyar Külkereskedelmi Bank e il governo ungherese fanno valere che detta questione non può essere considerata pertinente ai fini della soluzione di tale controversia, dal momento che, secondo tale banca, l’accordo CMI non è restrittivo della concorrenza né per il suo oggetto, né per il suo effetto, e, secondo detto governo, una valutazione contemporanea dell’oggetto e dell’effetto di un medesimo comportamento è problematica soltanto nel caso in cui violi il principio del «ne bis in idem», circostanza che non si verifica nel caso di specie.
29 Occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta da tale
giudice non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 13 luglio 2006, Xxxxxxxx e a., da C‑295/04 a C‑298/04, EU:C:2006:461, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
30 Nel caso di specie, è pacifico che la decisione dell’autorità garante della concorrenza, che, come risulta dai punti da 11 a 14 della presente sentenza, è all’origine del ricorso per cassazione di cui il giudice del rinvio è investito, qualifica l’accordo CMI come restrizione tanto per il suo oggetto quanto per i suoi effetti. In tali circostanze, non si può ritenere che la prima questione, con la quale il giudice del rinvio intende appunto sapere se una siffatta duplice qualificazione sia compatibile con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, non abbia alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della causa principale o sia di natura ipotetica.
31 Del resto, nessuna delle circostanze specifiche sottolineate dalle parti che hanno presentato osservazioni può rimettere in discussione tale constatazione. In particolare, il fatto che l’una o l’altra delle qualificazioni accolte riguardo all’accordo CMI possa eventualmente essere infondata, il fatto che non esista alcun obbligo incombente al giudice del rinvio di qualificare un medesimo comportamento su un duplice fondamento ovvero il fatto che la duplice qualificazione di cui trattasi nella causa principale non violi il principio del «ne bis in idem» riguardano non già la ricevibilità della prima questione, bensì la fondatezza della decisione dell’autorità garante della concorrenza.
32 La prima questione è, pertanto, ricevibile.
Sul merito
33 Va innanzitutto ricordato che, per ricadere nel divieto sancito dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo deve avere «per oggetto o per effetto» di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno. Secondo una giurisprudenza costante della Corte a partire dalla sentenza del 30 giugno 1966, LTM (56/65, EU:C:1966:38), l’alternatività di tale condizione, espressa dalla disgiunzione «o», rende necessario innanzitutto considerare l’oggetto stesso dell’accordo (sentenze del 26 novembre 2015, Maxima Latvija, C‑345/14, EU:C:2015:784, punto 16, e del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 24).
34 Pertanto, nel caso in cui venga dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale di un accordo, non è necessario indagare i suoi effetti sulla concorrenza (sentenze del 26 novembre 2015, Maxima Latvija, C‑345/14, EU:C:2015:784, punto 17, e del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 25).
35 Infatti, dalla giurisprudenza della Corte emerge che taluni tipi di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per essere qualificati come restrizione per oggetto, cosicché l’esame dei loro effetti non è necessario. Tale giurisprudenza si fonda sulla circostanza che talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del gioco della concorrenza (sentenze dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punti 184 e 185, nonché del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 26).
36 È quindi pacifico che la possibilità che certi comportamenti collusivi, quali quelli che portano alla fissazione orizzontale dei prezzi da parte di cartelli, abbiano effetti negativi, in particolare, sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi è talmente alta che può essere ritenuto inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dimostrare che tali comportamenti abbiano effetti concreti sul mercato. L’esperienza, infatti, mostra che tali comportamenti determinano riduzioni della produzione e aumenti dei prezzi, dando luogo a una cattiva allocazione delle risorse a detrimento, in particolare, dei consumatori (sentenze dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P,
EU:C:2014:2204, punto 51, e del 26 novembre 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:784, punto 19).
37 Alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti 35 e 36 della presente sentenza, il criterio giuridico essenziale per determinare se un accordo comporti una restrizione della concorrenza «per oggetto» risiede quindi nel rilievo che un simile accordo presenta, di per sé, un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che non sia necessario individuarne gli effetti (sentenza del 26 novembre 2015, Maxima Latvija, C 345/14, EU:C:2015:784, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).
38 Nel caso in cui l’analisi di un tipo di coordinamento tra imprese non presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, occorrerà, per contro, esaminarne gli effetti e, per vietarlo, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo significativo (sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).
39 Se è vero, quindi, che dalla giurisprudenza della Corte menzionata ai punti da 33 a 38 della presente sentenza risulta che, quando un accordo è qualificato come restrizione della concorrenza «per oggetto» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, non è necessario dimostrare, inoltre, gli effetti di tale accordo al fine di considerarlo vietato in forza di tale disposizione, la Corte ha peraltro già constatato, per quanto riguarda uno stesso e unico comportamento, che quest’ultimo aveva tanto per oggetto quanto per effetto di restringere la concorrenza (v. in tal senso, in particolare, sentenze del 1º ottobre 1987, van Vlaamse Reisbureaus, 311/85, EU:C:1987:418, punto 17; del 19 aprile 1988, Xxxxx-Xxxxxxxx, 27/87, EU:C:1988:183, punti 14 e 15; del 27 settembre 1988, Xxxxxxxx Osakeyhtiö e a./Commissione, 89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, EU:C:1988:447, punto 13, nonché del 9 luglio 2015, InnoLux/Commissione, C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 72).
40 Ne consegue che l’accertamento che una restrizione della concorrenza «per oggetto» esonera l’autorità o il giudice competente dalla necessità di esaminarne gli effetti non implica assolutamente che tale autorità o detto giudice non possa procedere a un siffatto esame qualora lo ritenga opportuno.
41 Le considerazioni esposte al punto precedente non sono assolutamente rimesse in discussione da quelle cui fa riferimento il giudice del rinvio, secondo cui, nel caso di una restrizione della concorrenza «per oggetto», da un lato, sarebbe più difficile giustificare un’esenzione ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE rispetto al caso di una restrizione
«per effetto» e, dall’altro, una restrizione «per oggetto» sarebbe sanzionata più severamente di una restrizione «per effetto».
42 A tale riguardo, occorre rilevare che il fatto che, eventualmente, le considerazioni sottese alla qualificazione di un comportamento come restrizione della concorrenza «per oggetto» siano altresì pertinenti nell’ambito dell’esame della questione se tale restrizione possa essere esentata ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE o dell’esame della sanzione che occorre infliggere in relazione a detta restrizione non incide in alcun modo sulla possibilità, per la competente autorità garante della concorrenza, di qualificare un comportamento di un’impresa come restrittivo della concorrenza, a titolo dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE a motivo tanto del suo oggetto, quanto dei suoi effetti.
43 Infine, occorre aggiungere che, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 29 e 30 delle sue conclusioni, la possibilità offerta all’autorità o al giudice competenti di qualificare un medesimo comportamento anticoncorrenziale come restrizione tanto «per oggetto» quanto «per effetto» non esime assolutamente dall’obbligo incombente a tale autorità o a detto giudice, da un lato, di avvalorare le proprie constatazioni a tal fine con le prove necessarie e, dall’altro, di precisare in quale misura dette prove si riferiscano all’uno o all’altro tipo di restrizione accertata.
44 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che un medesimo comportamento anticoncorrenziale sia considerato come avente al contempo per oggetto e per effetto di restringere il gioco della concorrenza, ai sensi di tale disposizione.
Sulla seconda questione
45 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che un accordo interbancario che fissi a un medesimo importo la commissione interbancaria dovuta, quando è effettuata un’operazione di pagamento tramite carta, alle banche di emissione di siffatte carte proposte dalle società di servizi di pagamento tramite carta attive nel mercato nazionale considerato, possa essere qualificato come accordo avente «per oggetto» di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, ai sensi di tale disposizione.
Sulla ricevibilità
46 L’autorità garante della concorrenza, la Magyar Külkereskedelmi Bank, la MasterCard e il governo ungherese sostengono che la seconda questione è irricevibile, in quanto non spetta alla Corte pronunciarsi sull’applicazione concreta dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE alle circostanze di fatto del procedimento principale.
47 A questo proposito occorre ricordare che, nell’ambito del procedimento previsto dall’articolo 267 TFUE, basato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il ruolo di quest’ultima è limitato all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione sulle quali essa viene interpellata (sentenza del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 29).
48 Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, ove necessario, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione (sentenza del 13 luglio 2006, Xxxxxxxx e a., da C‑295/04 a C‑298/04, EU:C:2006:461, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, la Corte, pur essendo incompetente, nell’ambito dell’articolo 267 TFUE, ad applicare le disposizioni di diritto dell’Unione a fattispecie concrete, può nondimeno fornire al giudice nazionale i criteri interpretativi necessari per consentirgli di risolvere la controversia (v., in particolare, sentenze del 26 gennaio 1977, Gesellschaft für Überseehandel, 49/76, EU:C:1977:9, punto 4, e dell’8 luglio 1992, Xxxxx, C‑102/91, EU:C:1992:303, punto 18).
49 Nel caso di specie, dalla motivazione della decisione di rinvio risulta che il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, di pronunciarsi non già sull’applicazione concreta dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE alle circostanze del procedimento principale bensì sulla questione se un accordo interbancario che fissi a un medesimo importo la commissione interbancaria dovuta, quando è effettuata un’operazione di pagamento tramite carta, alle banche di emissione di siffatte carte bancarie, possa, alla luce di tale disposizione, essere qualificato come accordo avente per oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza.
50 La seconda questione è, pertanto, ricevibile.
Nel merito
51 Oltre alle considerazioni esposte ai punti da 33 a 40 della presente sentenza, la Corte ha già dichiarato che, per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di associazione di imprese presentino un grado sufficiente di dannosità per essere considerati come una restrizione della concorrenza «per oggetto» ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, occorre riferirsi al tenore delle loro disposizioni, agli obiettivi che essi mirano a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale essi si collocano. Nella valutazione di
tale contesto, occorre prendere in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione (sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).
52 Per quanto riguarda la presa in considerazione degli obiettivi perseguiti da una misura oggetto di una valutazione ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, la Corte ha già dichiarato che il fatto che si ritenga che una misura persegua un obiettivo legittimo non esclude che, in considerazione dell’esistenza di un altro obiettivo da essa perseguito e che deve essere ritenuto, dal canto suo, illegittimo, tenuto conto anche del tenore delle disposizioni di tale misura e del contesto in cui si inserisce, detta misura possa essere considerata come avente un oggetto restrittivo della concorrenza (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 70).
53 Inoltre, sebbene l’intenzione delle parti non costituisca un elemento necessario per determinare la natura restrittiva di un accordo tra imprese, nulla vieta alle autorità garanti della concorrenza o ai giudici nazionali e dell’Unione di tenerne conto (sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 54, e giurisprudenza ivi citata).
54 Per di più, la nozione di restrizione della concorrenza «per oggetto» deve essere interpretata restrittivamente. Infatti, salvo esimere la Commissione dall’obbligo di provare gli effetti concreti sul mercato di accordi rispetto ai quali non è affatto dimostrato che siano, per loro natura, dannosi per il buon funzionamento del gioco della concorrenza, la nozione di restrizione della concorrenza «per oggetto» può essere applicata solo ad alcuni tipi di coordinamento tra imprese che presentano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario. La circostanza che i tipi di accordo menzionati dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE non esauriscano le possibili ipotesi di collusioni vietate è, a tal proposito, irrilevante (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).
55 Nel caso in cui non si possa ritenere che l’accordo di cui trattasi abbia un oggetto anticoncorrenziale, occorrerebbe allora valutare se esso possa essere considerato vietato a motivo delle alterazioni del gioco della concorrenza che ne costituiscono l’effetto. A tal fine, come la Corte ha ripetutamente dichiarato, occorre esaminare il gioco della concorrenza nel contesto effettivo in cui esso si svolgerebbe se tale accordo non fosse esistito al fine di valutare l’incidenza di quest’ultimo sui parametri di concorrenza, quali, in particolare, il prezzo, la quantità e la qualità dei prodotti o dei servizi (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punti 161 e 164 nonché giurisprudenza ivi citata).
56 Nella specie, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che possono essere identificati tre mercati distinti nell’ambito dei sistemi di carte bancarie aperti, ossia innanzitutto, il
«mercato intersistemico», nel quale i diversi sistemi di carte si fanno concorrenza, poi il
«mercato dell’emissione», nel quale le banche di emissione si fanno concorrenza per intercettare la clientela dei titolari di carte, e, infine, il «mercato dell’affiliazione», in cui le banche di affiliazione si fanno concorrenza per intercettare la clientela degli esercenti.
57 Secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, l’autorità garante della concorrenza, nella sua decisione, ha ritenuto che l’accordo CMI fosse restrittivo della concorrenza per il suo oggetto, in particolare, poiché, in primo luogo, ha neutralizzato l’elemento più importante della concorrenza sui prezzi nel mercato intersistemico in Ungheria, in secondo luogo, le banche stesse gli hanno attribuito un ruolo restrittivo della concorrenza nel mercato dell’affiliazione in tale Stato membro e, in terzo luogo, esso ha necessariamente pregiudicato la concorrenza in quest’ultimo mercato.
58 Dinanzi alla Corte, l’autorità garante della concorrenza, il governo ungherese e la Commissione hanno fatto valere, in tal senso, altresì, che l’accordo CMI costituiva una restrizione della concorrenza «per oggetto», in quanto implicava una determinazione indiretta delle commissioni di servizio, che fungono da prezzo nel mercato dell’affiliazione in Ungheria. Per contro, le sei banche di cui trattasi nel procedimento principale nonché la Visa e la MasterCard contestano che ciò sia avvenuto.
59 Per quanto riguarda la questione se, alla luce degli elementi pertinenti che caratterizzano la situazione di cui al procedimento principale e del contesto economico e giuridico nel quale essa si inserisce, un accordo come l’accordo CMI possa essere qualificato come restrizione «per oggetto», occorre sottolineare che, come risulta dal punto 47 della presente sentenza, spetta al giudice del rinvio valutare, in definitiva, se tale accordo abbia avuto per oggetto di restringere la concorrenza. La Corte non dispone, del resto, di tutti gli elementi che potrebbero rivelarsi pertinenti al riguardo.
60 Per quanto riguarda gli elementi che sono stati effettivamente sottoposti alla Corte, occorre osservare, in relazione, anzitutto, al tenore dell’accordo CMI, che è pacifico che quest’ultimo ha uniformato l’importo delle commissioni interbancarie corrisposto dalle banche di affiliazione alle banche di emissione quando un’operazione di pagamento veniva effettuata utilizzando una carta emessa da una banca partecipante al sistema di pagamento tramite carta proposto dalla Visa o dalla MasterCard.
61 A tale riguardo, occorre constatare che, come rilevato dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 53 delle sue conclusioni, sia sotto il profilo della concorrenza tra i due sistemi di pagamento tramite carta, sia sotto il profilo della concorrenza tra le banche di affiliazione per quanto riguarda le commissioni di servizio, un accordo come l’accordo CMI non fissa direttamente i prezzi di acquisto o di vendita, ma uniforma un aspetto del costo sostenuto dalle banche di affiliazione a favore delle banche di emissione come corrispettivo dei servizi attivati tramite l’uso come mezzo di pagamento di carte emesse da queste ultime banche.
62 Nonostante tale considerazione, dalla formulazione stessa dell’articolo 101, paragrafo 1, lettera a), TFUE risulta che anche un accordo che fissa «indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita» può essere considerato come avente per oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno. Si pone dunque la questione se un accordo come l’accordo CMI possa essere considerato rientrante nella fissazione indiretta di prezzi, ai sensi di tale disposizione, in quanto determinava indirettamente le commissioni di servizio.
63 Inoltre, dalla formulazione dell’articolo 101, paragrafo 1, lettera a), TFUE e, segnatamente, dal termine «in particolare» risulta altresì che, come rilevato al punto 54 della presente sentenza, i tipi di accordi di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE non esauriscono le possibili ipotesi di collusioni vietate, potendo quindi essere riconosciuta ad altri tipi di accordi la qualificazione di restrizione «per oggetto» qualora una siffatta qualificazione sia effettuata conformemente ai requisiti derivanti dalla giurisprudenza della Corte richiamata ai punti da 33 a 39, 47 e da 51 a 55 della presente sentenza. Pertanto, non si può neanche escludere a priori che un accordo come l’accordo CMI sia qualificato come restrizione «per oggetto» in quanto neutralizzava un elemento di concorrenza tra due sistemi di pagamento tramite carta.
64 A tale riguardo, dalla decisione di rinvio risulta che nell’accordo CMI erano stati fissati nuovi livelli uniformi di commissioni interbancarie per diverse operazioni di pagamento effettuate mediante carte proposte dalla Visa e dalla Mastercard. Peraltro, una quota delle spese uniformi precedenti era aumentata, ma un’altra quota di queste ultime era stata mantenuta allo stesso livello di prima. Durante il periodo in cui era in vigore l’accordo CMI, vale a dire dal 1º ottobre 1996 al 30 luglio 2008, i livelli delle commissioni interbancarie sono diminuiti più volte.
65 Sebbene dal fascicolo sottoposto alla Corte risulti che nell’accordo CMI sono stati presi in considerazione percentuali e importi specifici ai fini della fissazione delle commissioni interbancarie, il tenore di tale accordo non rivela tuttavia necessariamente una restrizione
«per oggetto», in mancanza di dannosità accertata per la concorrenza delle sue disposizioni.
66 Inoltre, per quanto attiene agli obiettivi perseguiti dall’accordo CMI, la Corte ha già dichiarato che, per quanto riguarda sistemi di pagamento tramite carta di natura duale come quelli proposti dalla Visa e dalla MasterCard, spetta all’autorità o al giudice competente l’analisi delle esigenze di equilibrio tra le attività di emissione e quelle di affiliazione nell’ambito del sistema di pagamento di cui trattasi per determinare se il tenore di un accordo o di una decisione di associazione di imprese riveli l’esistenza di una restrizione della concorrenza «per oggetto», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punti 76 e 77).
67 Per valutare, infatti, se un coordinamento tra imprese sia per sua natura dannoso al buon funzionamento del gioco della concorrenza, occorre prendere in considerazione qualunque elemento rilevante, tenuto conto, in particolare, della natura dei servizi in questione nonché delle condizioni reali di funzionamento e della struttura dei mercati, relativo al contesto economico o giuridico nel quale detto coordinamento si inserisce, senza che rilevi che tale elemento rientri o meno nell’ambito del mercato rilevante (sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 78).
68 Ciò deve avvenire, in particolare, laddove tale elemento consista appunto nella presa in considerazione dell’esistenza di interazioni tra il mercato rilevante e un mercato connesso distinto e a fortiori laddove sussistano, come nel caso di specie, interazioni tra le due parti di un sistema duale (sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 79).
69 Nel caso di specie, se è vero che gli elementi contenuti nel fascicolo sottoposto alla Corte suggeriscono che l’accordo CMI perseguiva diversi obiettivi, spetta al giudice del rinvio determinare quale o quali di tali obiettivi siano effettivamente dimostrati.
70 A tale riguardo, il giudice del rinvio rileva che il perseguimento degli obiettivi fissati nell’accordo CSC, pur non essendo entrato in vigore, ha svolto un ruolo nella conclusione dell’accordo CMI e nel calcolo delle tabelle uniformi ivi previste. Orbene, l’accordo CSC aveva proprio lo scopo di determinare, per categoria di esercenti, il livello minimo della commissione di servizio uniforme che questi ultimi dovevano versare.
71 Ciò premesso, taluni elementi contenuti nel fascicolo sottoposto alla Corte tendono ad indicare che un obiettivo dell’accordo CMI consisteva nel garantire un certo equilibrio tra le attività di emissione e quelle di affiliazione nell’ambito del sistema di pagamento tramite carta di cui trattasi nel procedimento principale.
72 In particolare, da un lato, le commissioni interbancarie erano state uniformate non già mediante limiti minimi o massimi, bensì tramite importi fissi. Se l’obiettivo dell’accordo CMI fosse consistito unicamente nel garantire che gli esercenti pagassero commissioni di servizio di una determinata entità, sarebbe stato possibile, per le parti di tale accordo, prevedere soltanto limiti minimi per le commissioni interbancarie. Dall’altro lato, benché la commissione interbancaria sia versata alle banche di emissione come corrispettivo dei servizi attivati mediante l’utilizzo di una carta di pagamento, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che, nel corso degli anni 2006 e 2007, le banche sono state informate dalla MasterCard e dalla Visa che taluni studi sui costi che entrambe avevano realizzato rivelavano che i livelli dei costi fissati nell’accordo CMI non erano sufficienti a coprire tutti quelli sostenuti dalle banche di emissione.
73 Orbene, non si può escludere che tali elementi siano indicativi del fatto che l’accordo CMI perseguiva un obiettivo consistente non già nel garantire una soglia minima per le commissioni di servizio, bensì nell’instaurare un certo equilibrio tra le attività di «emissione» e quelle di «affiliazione» nell’ambito di ciascuno dei sistemi di pagamento tramite carta di cui trattasi nel procedimento principale, al fine di garantire che taluni costi generati dall’utilizzo di carte nell’ambito di operazioni di pagamento siano coperti, tutelando al contempo tali sistemi dagli effetti indesiderati che deriverebbero da un livello troppo elevato di commissioni interbancarie e quindi, eventualmente, di commissioni di servizio.
74 Il giudice del rinvio indica altresì che l’accordo CMI, neutralizzando la concorrenza tra i due sistemi di pagamento tramite carta di cui trattasi nel procedimento principale per quanto riguarda l’aspetto del costo rappresentato dalle commissioni interbancarie, ha avuto la conseguenza di intensificare la concorrenza tra tali sistemi sotto altri profili. In particolare, tale giudice osserva che sia la decisione dell’autorità garante della concorrenza sia il ricorso per cassazione di cui è investito si basano sulla premessa secondo cui le caratteristiche dei prodotti proposti dalla Visa e dalla MasterCard sono sostanzialmente le stesse. Xxxxxx, detto giudice sottolinea che tali caratteristiche potrebbero essere variate nel periodo in cui il comportamento anticoncorrenziale contestato nel caso di specie avrebbe avuto luogo. Secondo lo stesso giudice, l’uniformazione delle commissioni interbancarie ha potuto generare concorrenza per quanto riguarda le altre caratteristiche, condizioni di transazione e prezzi di tali prodotti.
75 Se è effettivamente così, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, una restrizione della concorrenza nel mercato dei sistemi di pagamento in Ungheria, contraria all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, può essere accertata soltanto al termine di una valutazione del gioco della concorrenza che sarebbe esistito in tale mercato in assenza dell’accordo CMI, valutazione che, come risulta dal punto 55 della presente sentenza, rientra nell’esame degli effetti di tale accordo.
76 Infatti, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 54 e da 63 a 73 delle sue conclusioni, per giustificare la qualifica di un accordo come restrizione «per oggetto» della concorrenza, senza che sia necessaria un’analisi dei suoi effetti, deve esistere un’esperienza sufficientemente solida e affidabile affinché si possa ritenere che tale accordo sia, per sua stessa natura, dannoso per il buon funzionamento del gioco della concorrenza.
77 Orbene, nel caso di specie, per quanto riguarda, da un lato, la concorrenza tra i due sistemi di pagamento tramite carta, gli elementi di cui dispone la Corte non consentono di stabilire se il fatto di eliminare la concorrenza tra la Visa e la MasterCard per quanto attiene all’aspetto del costo rappresentato dalle commissioni interbancarie riveli, di per sé, un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei suoi effetti non sia necessario. A tale riguardo, oltre alle considerazioni esposte ai punti 74 e 75 della presente sentenza, occorre osservare che gli argomenti presentati dinanzi alla Corte diretti a dimostrare l’esistenza, nel caso di specie, di una restrizione «per oggetto» consistono, essenzialmente, nel sostenere che l’esistenza di uno stesso livello di commissione interbancaria tra questi due sistemi ha rafforzato gli effetti anticoncorrenziali derivanti dall’uniformizzazione di tali commissioni all’interno di ciascuno di essi.
78 Dall’altro lato, per quanto riguarda il mercato dell’affiliazione in Ungheria, anche supponendo che l’accordo CMI abbia avuto segnatamente l’obiettivo di fissare una soglia minima applicabile alle commissioni di servizio, la Corte non è stata investita di elementi sufficienti a dimostrare che tale accordo presentava un grado di dannosità per la concorrenza in tale mercato sufficiente per poter constatare una restrizione della concorrenza «per oggetto». Spetta tuttavia al giudice del rinvio effettuare le verifiche necessarie a tale riguardo.
79 In particolare, nel caso di specie, fatte salve le stesse verifiche, gli elementi addotti a tal fine non consentono di giungere alla conclusione che esista un’esperienza sufficientemente
generica e costante da poter ritenere che la nocività per la concorrenza di un accordo come quello di cui trattasi nel procedimento principale giustifichi di esimersi da qualsiasi esame degli effetti concreti di tale accordo sul gioco della concorrenza. Gli elementi sui quali si fondano l’autorità garante della concorrenza, il governo ungherese e la Commissione a tale riguardo, vale a dire, in sostanza, la prassi decisionale di tale autorità nonché la giurisprudenza dei giudici dell’Unione, dimostrano, allo stato attuale, proprio la necessità di procedere a un esame approfondito degli effetti di un siffatto accordo al fine di verificare se quest’ultimo abbia realmente avuto l’effetto di introdurre una soglia minima applicabile alle commissioni di servizio e se, tenuto conto della situazione che si sarebbe verificata se tale accordo non fosse esistito, quest’ultimo sia stato restrittivo della concorrenza per i suoi effetti.
80 Infine, per quanto riguarda il contesto in cui l’accordo CMI si inseriva, in primo luogo, è vero che, come sostenuto dalla Commissione, né la complessità dei sistemi di pagamento tramite carta del tipo di quello di cui trattasi nel procedimento principale, né la natura bilaterale di tali sistemi in quanto tale, né l’esistenza di relazioni verticali tra i diversi tipi di operatori economici interessati sono di per sé tali da ostare alla qualificazione come restrizione «per oggetto» dell’accordo CMI (v., per analogia, sentenza del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). Ciò premesso, resta il fatto che un siffatto oggetto anticoncorrenziale deve essere dimostrato.
81 In secondo luogo, è stato sostenuto dinanzi alla Corte che la concorrenza tra i sistemi di pagamento tramite carta in Ungheria non ha comportato una riduzione, bensì un aumento delle commissioni interbancarie, contrariamente all’effetto di disciplina sui prezzi che la concorrenza esercita abitualmente in un’economia di mercato. Secondo tali elementi, ciò sarebbe dovuto, in particolare, al fatto che gli esercenti possono esercitare soltanto una pressione limitata sulla determinazione delle commissioni interbancarie, mentre le banche di emissione hanno interesse a trarre profitti da commissioni più elevate.
82 Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio dovesse altresì constatare l’esistenza, a priori, di seri indizi idonei a dimostrare che l’accordo CMI abbia comportato una siffatta pressione al rialzo o, quantomeno, di elementi contraddittori o ambivalenti al riguardo, tali indizi o elementi non possono essere ignorati da detto giudice nell’ambito del suo esame vertente sull’esistenza, nel caso di specie, di una restrizione «per oggetto». Infatti, contrariamente a quanto sembra potersi dedurre dalle osservazioni scritte della Commissione a tale riguardo, il fatto che, in assenza dell’accordo CMI, il livello delle commissioni interbancarie risultante dal gioco della concorrenza sarebbe stato più elevato è rilevante ai fini dell’esame dell’esistenza di una restrizione risultante dall’accordo di cui trattasi, dal momento che una siffatta circostanza si riferisce proprio all’oggetto anticoncorrenziale contestato a detto accordo per quanto riguarda il mercato dell’affiliazione in Ungheria, vale a dire che il medesimo accordo avrebbe limitato la riduzione delle commissioni interbancarie e, di conseguenza, la pressione al ribasso che gli esercenti avrebbero potuto esercitare sulle banche di affiliazione al fine di ottenere una riduzione delle commissioni di servizio.
83 Per di più, se dovessero esistere seri indizi che, se l’accordo CMI non fosse stato concluso, ne sarebbe seguita una pressione al rialzo sulle commissioni interbancarie, di modo che non si potrebbe sostenere che tale accordo abbia costituito una restrizione «per oggetto» della concorrenza sul mercato dell’affiliazione in Ungheria, occorrerebbe procedere ad un esame approfondito degli effetti di detto accordo, nell’ambito del quale, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 55 della presente sentenza, sarebbe stato necessario esaminare il gioco della concorrenza se tale accordo non fosse esistito al fine di valutare l’impatto di quest’ultimo sui parametri di concorrenza e di verificare così se lo stesso abbia effettivamente comportato effetti restrittivi della concorrenza.
84 In terzo e ultimo luogo, occorre rilevare che risulta parimenti pertinente nell’ambito dell’esame della questione se l’accordo CMI possa essere qualificato come restrizione «per
oggetto» la circostanza sottolineata dal giudice del rinvio secondo la quale le banche che erano parti di tale accordo comprendevano, indistintamente, gli operatori direttamente interessati dalle commissioni interbancarie, vale a dire sia banche di emissione sia banche di affiliazione, qualità che, peraltro, spesso coincidono.
85 In particolare, sebbene una siffatta circostanza non impedisca assolutamente, di per sé, la constatazione di una restrizione della concorrenza «per oggetto» riguardo a un accordo come quello di cui trattasi nel procedimento principale, essa può rivestire una certa rilevanza nell’ambito della verifica della questione se l’accordo CMI avesse l’obiettivo di garantire un certo equilibrio all’interno di ciascuno dei sistemi di pagamento tramite carta considerati nel caso di specie. Infatti, non solo le banche di emissione e le banche di affiliazione hanno cercato di trovare, con tale accordo, un modo di conciliare i loro interessi eventualmente divergenti, ma le banche che erano presenti sia sul mercato dell’emissione sia su quello dell’affiliazione hanno probabilmente anche voluto raggiungere un livello di commissione interbancaria che consentisse di tutelare al meglio le loro attività su questi due mercati.
86 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che un accordo interbancario che fissi a un medesimo importo la commissione interbancaria dovuta, quando è effettuata un’operazione di pagamento tramite carta, alle banche di emissione di siffatte carte proposte dalle società di servizi di pagamento tramite carta attive nel mercato nazionale considerato non può essere qualificato come accordo avente «per oggetto» di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, ai sensi di tale disposizione, salvo che si possa ritenere che detto accordo, in considerazione del suo tenore letterale, dei suoi obiettivi e del suo contesto, presenti il grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per essere qualificato in tal modo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Sulle questioni terza e quarta
87 Con le sue questioni terza e quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che è necessario precisare la natura del coinvolgimento di società che forniscono servizi di pagamento tramite carta che non hanno partecipato direttamente alla determinazione del contenuto di un accordo interbancario ritenuto anticoncorrenziale alla luce di tale disposizione, ma che hanno consentito la conclusione di tale accordo e l’hanno parimenti accettato e applicato e, in caso affermativo, se tali società debbano essere considerate parti di detto accordo oppure parti di una pratica concordata con le banche che hanno concluso il medesimo accordo ai sensi di tale disposizione.
88 Dalla decisione di rinvio risulta che la terza e la quarta questione sono sollevate per il caso in cui il giudice del rinvio sia chiamato, per un successivo procedimento, a fornire orientamenti conformi al diritto dell’Unione. In particolare, tale giudice rileva che, nella sentenza oggetto del ricorso per cassazione di cui è investito, il Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) non ha affrontato la questione del coinvolgimento della Visa nell’accordo CMI alla luce del diritto dell’Unione e la Visa non ha proposto ricorso incidentale per cassazione dinanzi al giudice del rinvio su tale questione.
89 Inoltre, all’udienza dinanzi alla Corte, la MasterCard ha rilevato che la controversia principale non ha alcuna incidenza sulla sua situazione giuridica, dal momento che, come risulta altresì dalla decisione di rinvio, la MasterCard non ha impugnato la sentenza pronunciata in primo grado dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest-Capitale) dinanzi al Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx (Xxxxx xx Xxxxxxxx-Xxxxxxxx).
00 Ne consegue che, come riconosciuto espressamente dal giudice del rinvio, l’interpretazione del diritto dell’Unione che esso intende ottenere con la terza e la quarta
questione non è necessaria per consentirgli di risolvere la controversia di cui è attualmente investito, ma potrebbe essere utile nell’ambito di un eventuale futuro procedimento nazionale.
91 In tali circostanze, alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 29 della presente sentenza, la terza e la quarta questione devono essere considerate, a motivo della loro natura ipotetica, irricevibili.
Sulle spese
92 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
1) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che un medesimo comportamento anticoncorrenziale sia considerato come avente al contempo per oggetto e per effetto di restringere il gioco della concorrenza, ai sensi di tale disposizione.
2) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che un accordo interbancario che fissi a un medesimo importo la commissione interbancaria dovuta, quando è effettuata un’operazione di pagamento tramite carta, alle banche di emissione di siffatte carte proposte dalle società di servizi di pagamento tramite carta attive sul mercato nazionale considerato non può essere qualificato come accordo avente «per oggetto» di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, ai sensi di tale disposizione, salvo che si possa ritenere che detto accordo, in considerazione del suo tenore letterale, dei suoi obiettivi e del suo contesto, presenti il grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per essere qualificato in tal modo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Firme
* Lingua processuale: l’ungherese.