Dott. Fabio Falconi
IL RUOLO E LO SVILUPPO DEL CONCETTO DI EFFICIENZA ECONOMICA NELLA VALUTAZIONE DELLE FUSIONI NELL’ANTITRUST STATUNITENSE E COMUNITARIO.
Xxxx. Xxxxx Xxxxxxx
Sommario: 1) IL CONCETTO DI EFFICIENZA. 1.1 I tre tipi di efficienza: allocativa, produttiva ed innovativa e i loro rapporti con l’antitrust. 1.2 Fusioni ed efficienza. 2) L’EFFICIENZA NELL’ANTITRUST STATUNITENSE. 2.1 La considerazione dell’efficienza nella storia legislativa dello Sherman Act e del Xxxxxxx Act. 2.2 Le influenze delle teorie economiche sulla politica antitrust statunitense e le Merger Guidelines: 2.2 (a) La visione strutturalista della scuola di Harvard emergente dalle Merger Guidelines del’68 e la politica antitrust degli anni Sessanta. 2.2 (b) La Scuola di Chicago ed altre teorie economiche caratterizzano la Xxxxxx Administration e le Merger Guidelines del 1982 e del 1984. 2.2 (c) La considerazione dell’efficienza nelle Merger Guidelines del 1992 alla luce del Dopo Chicago e la Riforma del 1997. 2.3 La valutazione dell’efficienza nella giurisprudenza della Corte Suprema. 3) L’EFFICIENZA NELL’ANTITRUST COMUNITARIO 3.1 L’impermeabilità dell’antitrust comunitario alle teorie economiche in vista del perseguimento del mercato unico. 3.2 L’articolo 2, comma 1, lett. b, del Regolamento 4064/89: “lo sviluppo tecnico ed economico”. 3.3 Gli orientamenti della Commissione in tema di efficienza. 4) CONCLUSIONE
Abstract
Il presente articolo si propone di analizzare la considerazione del fattore dell’efficienza economica nell’analisi delle fusioni negli Stati Uniti e nella Comunità Europea. In tale analisi un ruolo preponderante e’ affidato al background politico ed economico sottostante l’efficiency defence nei due sistemi in virtù della natura intrinsecamente dinamica della politica antitrust. In particolare, soprattutto negli Stati Uniti, le differenti teorie economiche hanno profondamente caratterizzato la politica antitrust e la considerazione dell’efficienza dalle Merger Guidelines del 1968 fino alla Riforma del 1997.
Negli Stati Uniti le efficienze sono direttamente inserite all’interno dell’analisi degli effetti concorrenziali di una fusione e si profila una sempre maggiore attenzione delle agenzie federali nei loro confronti.
In Europa, invece, l’esperienza in tema di efficienza è limitata sia per la tarda emanazione del regolamento inerente le fusioni sia per l’assenza di un esplicito riferimento all’efficienza all’interno di esso. Tali fattori, insieme con la mancanza di trasparenza che caratterizza il processo decisionale della Commissione, hanno comportato una scarsa considerazione dell’efficienza all’interno dell’antitrust comunitario. Tale tendenza potrebbe tuttavia modificarsi nel prossimo futuro in virtù del recente orientamento della Commissione teso ad analizzare con maggiore attenzione gli aspetti economici delle fusioni.
This article tends to analyse the economic efficiency factor with regard to mergers in the United States and the European Community. Within this context, political and economic backgrounds of the efficiency defence in both jurisdictions play a fundamental role, thanks to the dynamic nature of antitrust policy. Thus, particularly in the United States, many different economic
In the United States efficiencies are directly included within the analysis of the competitive effects of a merger and the agencies are increasingly taking these into account.
The European efficiencies’ background is still restrained, because of the youth of Merger Regulation and the absence of any explicit mention to efficiencies within its context. These factors, along with the general lack of transparency which characterises the Commission’s assessment, cause a weak concern toward the efficiency issue within the EC competition.
1. IL CONCETTO DI EFFICIENZA
1.1 I tre tipi di efficienza: allocativa, produttiva ed innovativa e i loro rapporti con l’antitrust
L’analisi dell’efficienza è rilevante in materia antitrust in due modi: da un lato, le efficienze sono importanti per determinare l’ambito applicativo delle regole antitrust, dall’altro lato, l’analisi efficientistica è pertinente nel decidere se una determinata transazione abbia effetti anticoncorrenziali.1
L’efficiency defence può essere definita come una argomentazione delle parti di una fusione volta ad ottenere l’autorizzazione della stessa nonostante il fatto che possa creare un significativo aumento della concentrazione nel mercato rilevante a fronte della produzione di effetti benefici per la società.
L’efficienza economica è dotata di tre componenti: la production efficiency è raggiunta quando i beni sono prodotti utilizzando la combinazione di risorse produttive “most cost- effective”, accessibile in base alle tecnologie esistenti; l’innovation efficiency è raggiunta attraverso l’invenzione, lo sviluppo e la diffusione di nuovi prodotti o tecnologie produttive che aumentano la ricchezza sociale; l’allocative efficiency è raggiunta quando lo stock esistente di beni e prodotti sono allocati attraverso il sistema dei prezzi a quei consumatori che li stimano di più, in termini di propensione a pagare o a rinunziare ad altro consumo.2
La teoria economica neoclassica, invece, era propensa a riconoscere solo due tipi di efficienza: quella allocativa e quella produttiva. 3
1 Brodley, Proof of efficiencies in mergers and joint ventures, in Antitrust L.J., vol.64, 1996, p.575. L’Autore nota che, mentre non è più in discussione che l’analisi dell’efficienza sia vitale “in shaping legal rules”, come nel caso delle regole relative la fissazione di prezzi, il ruolo dell’efficienza nella valutazione degli effetti anticoncorrenziali di una particolare transazione è ancora oggetto di differenti apprezzamenti.
2 Xxxxxxx, The economic goals of antitrust: efficiency, consumer welfare and technological progress, in N. Y. L. Rev., 1987, p.1020.
3 Bork, The antitrust paradox: a policy at war with itself, New York, 1978, p.58. Bork sottolineava che “allocative efficiency…refers to the placement of resources in the economy, the question of whether resources are employed in tasks where consumers value their output most. Productive efficiency refers to the effective use of resources by particular firms”. Xxxx, inoltre, stabilì che lo scopo dell’antitrust “può essere riassunto come lo sforzo di migliorare
L’efficienza allocativa costituiva il fine primario dell’antitrust secondo i dettami della Scuola di Chicago: una legislazione efficiente era quella che massimizzava il benessere collettivo (“consumer welfare” inteso come somma delle ricchezze degli individui) perseguendo l’unico obiettivo di assicurare l’allocazione ottimale delle risorse. L’efficienza allocativa in a free enterprise economy può essere raggiunta solo se tutte le società sono di una dimensione sufficiente per realizzare le economie di scala, se tutti i mercati sono strutturati concorrenzialmente e se le barriere d’entrata sono basse; in questi casi è il mercato, e non i produttori, a fissare il prezzo.4
L’efficienza produttiva consente di migliorare la qualità dei prodotti o di aumentare la produzione e include i risparmi provenienti o dal raggiungimento di economie di scala o di dimensioni (economies of scale or scope) o dalla riduzione dei costi di trasporto o dalla razionalizzazione delle risorse.5 Parte della dottrina ritiene che l’efficienza produttiva aumenti la “social wealth over the whole range of output” e riguardi direttamente la crescita della futura ricchezza sociale assumendo che i profitti legati a più bassi costi di produzione siano periodici e cumulativi.6
L’efficienza innovativa è considerata da recente dottrina7 come la più importante forma di efficienza perché comportante il più grande incremento della ricchezza sociale;8 è sempre più
l’efficienza allocativa senza indebolire l’efficienza produttiva in modo tale da produrre o alcun guadagno o una perdita netta nel consumer welfare”. L’Autore, che in dottrina fu il primo a sviluppare l’argomento in base al quale gli artefici dello Sherman Act avevano come singolo scopo quello di rafforzare l’efficienza economica, non prendeva in considerazione la componente dell’efficienza innovativa, venuta alla ribalta solo di recente ed inizialmente inglobata all’interno dell’efficienza produttiva. La concezione di Xxxx è stata comunque oggetto di numerose critiche in dottrina: si veda, tra gli altri, Xxxxx, Xxxxxxxx, Legal reasoning and the jurisprudence of vertical restraints: the limitations of neoclassical economic analysis in the resolution of antitrust disputes, in AA. VV., Revitalizing antitrust in its II century, N.Y., 1991, p.275. Gli Autori riportano l’analisi di Xxxx reputandola superficialmente attraente, perché si appella alla libertà umana, e seducente, perché utilizza un linguaggio con significati popolari lodevoli come “rational”, “efficiency” e “consumer welfare” per descrivere normativamente concetti che possono essere compresi solo alla luce delle definizioni tautologiche e delle supposizioni di fatto che sottostanno al modello.
4 Un’ottimale allocazione delle risorse è frustrata dalle esternalità, dalle imperfezioni di mercato e dal problema del second best. Le esternalità sono costi sociali imposti ad una società ma non attribuibili alla stessa; le imperfezioni di mercato sono dei difetti nel funzionamento dei mercati che possono essere causati da monopoli, assenza di informazioni o dalla regolamentazione governativa. Il problema del second best, infine, attiene a quei casi in cui la seconda migliore soluzione praticabile non costituisce una valida alternativa.
5 Xxxxx, Efficiency claims in horizontal agreement, in O.E.C.D., Journal of competition law and policy, vol. 3 1999,
p.250. L’Autore affianca alle “production efficiencies” le “dynamic efficiencies” e i “pecuniary savings”. Le prime consistono nei miglioramenti della qualità dei prodotti o dei servizi e, sebbene beneficino i consumatori in modo non inferiore rispetto all’efficienza produttiva, risultano essere più difficili da provare, rendendo il loro uso più problematico nell’analisi di trade-off implicita nella difesa. Le seconde “such as tax savings or lower input costs resulting from improved bargaining power against suppliers, which are not considered real savings in resources, are even less favoured”.
6 Xxxxxxx, op. ult. cit., p.1027.
7 Cfr. a tal riguardo Xxxxxxx, Innovation as an engine of competition, in Competition, efficiency and welfare. Essays in honor of Xxxxxxx Xxxxxxx, Dordrecht, 1999, p. 13; Xxxxx, Xxxxxxx, Firm size versus diversity in the achievement of technological advance, nel volume a cura di Acs, Xxxxxxxxx, Innovation and technological change, Xxxxx Xxxxxxxxx, 1991, p.183; Xxxxxxx, Changing perspectives on the firm size problem, nel volume a cura di Acs, Xxxxxxxxx, Innovation and technological change, cit., p.24; Rapp, The misapplication of the innovation market approach to merger analysis, in Antitrust L. J., vol. 64, 1995, p.19; Xxxxxxx, Innovation markets: new wine in old bottles ?, in Antitrust L. J., vol. 64, 1995, p. 49; Acs, Xxxxxxxxx, Innovation and technological change: an overview, nel volume a cura di Acs, Xxxxxxxxx, Innovation and technological change, cit., p.1; Xxxxxx, Antitrust analysis of technologicy joint ventures: allocative efficiency and the rewards of innovation, in Antitrust L.J., vol.61, 1993, p.963; Xxxxx, Antitrust policy, innovation efficiencies, and the suppression of technology, in Antitrust L.J., vol.66, 1998, p.487.
importante che l’innovazione venga valutata correttamente in base alle leggi antitrust perché c’è un crescente numero di fusioni che solleva problemi concorrenziali attinenti a concetti come sviluppo di un nuovo prodotto, nuovi metodi distributivi e altre forme di innovazione. Il National Cooperative Research and Production Act statunitense del 1993, per esempio, assegna all’efficienza innovativa un ruolo cardine rispetto alle altre forme di efficienza economica.9 L’innovazione può essere definita come “i cambiamenti nella tecnologia o nei prodotti che aumentano la ricchezza sociale netta…Con il termine tecnologia non si intendono solo i nuovi macchinari o altri discreti cambiamenti nel processo produttivo, ma anche cambiamenti nei management systems, distribuzione, marketing, e qualsiasi altro fattore che riduca i costi, aumenti la qualità o attribuisca ai consumatori maggiori informazioni”.10 Così la concezione di innovazione si estende al di là dei prodotti di alta tecnologia per includere anche le nuove idee di marketing e i cambi organizzativi.
Gli economisti non sono ancora riusciti a trovare soddisfacenti criteri di misurazione della capacità innovativa delle imprese perché, ad esempio, nel contesto dell’analisi delle fusioni, è difficile effettuare una valutazione ex post degli sviluppi dell’innovazione in assenza e in presenza della fusione.11 Inoltre, studi economici ed empirici non sono stati in grado di prevedere con precisione se l’innovazione sia più probabile con livelli alti o bassi di concentrazione.12
1.2 Fusioni ed efficienza
La considerazione della componente efficientistica è particolarmente rilevante in tema di analisi delle fusioni quando sia volta a comprendere le strategie imprenditoriali sottese alle stesse.13 Infatti, da un lato, le fusioni sono realizzate alla luce delle possibilità per le società di
8 Xxxxxxx, op. ult. cit., p.1026. L’Autore nota che, per queste ragioni, il governo offre diritti di monopolio attraverso licenze al fine di stimolare l’attività innovativa.
9 Lo statuto fu adottato in nome del rafforzamento della concorrenzialità delle imprese americane nella concorrenza internazionale, basata sulla credenza che i costi di ricerca e di innovazione fossero troppo grandi per essere sopportati dalle imprese individuali a dispetto del potere dei concorrenti stranieri.
10 Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, Innovation and U.S. competition policy, in Antitrust Bull., vol. 34 1989, p.2.
11 Xxx, Xx Xxxxx, Innovation issues under the 1992 Merger Guidelines, in Antitrust L.J., vol. 61 1993, p.507. Gli Autori riportano come esempio i tentativi di utilizzare un certo numero di licenze di un’impresa come una “procura” per la capacità innovativa della stessa, ma questi studi sono caratterizzati da una serie di vizi che ne limitano il loro valore.
12 Xxxxxxx, op. ult. cit., p.1069. L’Autore nota che “the most notable feature of this considerable body of empirical research on the relationship between firm size and innovation is its inconclusiveness”.
13 Fox, Antitrust, competitiveness, and the world arena: efficiencies and failing firms in perspective, in Antitrust L.J., vol.64, 1996, p.730. L’Autore ritiene che le efficienze siano giustamente riconosciute come una parte integrale della merger analysis, un plus factor che possa essere d’ausilio al giudizio delle agenzie e delle corti nel caso in cui gli effetti delle fusioni sulla concorrenza siano ambigui. Tuttavia, l’Autore è contrario alla efficiencies defence, intesa come argomentazione idonea a fare approvare fusioni che altrimenti verrebbero impedite per i loro negativi effetti sulla concorrenza, per una pluralità di argomentazioni. Innanzitutto, Xxx nota che “the provision of an efficiencies defence to an anticompetitive merger is a change in law”, inoltre, Egli ritiene che “the law is wise to focus on competition as it does” ed, infine, che “the benefits of productive efficiency prospects are often overstated, and the dynamic losses from the suppression of competition in the market are not only uncounted, they are unknowable”.
ottenere una riduzione dei costi, di essere maggiormente aderenti alle esigenze del mercato e anche di essere in grado di aprirsi la strada verso nuovi mercati. Dall’altro lato, invece, le fusioni sono guidate dal desiderio di eliminare la concorrenza, di accrescere il potere di mercato e di realizzare un diverso assetto societario a fini finanziari e/o fiscali. La conoscenza della driving force di una fusione è importante nella predizione degli effetti derivanti dalla stessa; le efficienze, quindi, possono costituire un utile strumento per tale comprensione.
Dal punto di vista legale sono stati proposti tre differenti approcci per trattare le efficiency claims nell’analisi delle fusioni. La prima soluzione consiste nel rinunziare allo standard della valutazione caso per caso di ogni singola fusione e nel prendere in considerazione l’efficienza aumentando il livello della concentrazione di mercato o gli altri parametri in base ai quali la fusione è impedita.14 In tal caso, si potra’ ritenere che le fusioni opposte in un mercato scarsamente concentrato siano idonee ad incrementare l’efficienza o, a limite, neutrali.15
Il secondo approccio integra la preesistente analisi strutturalista16 incorporando direttamente un’esplicita efficiency defence nell’esame della fusione.17 Come si vedrà più in dettaglio in seguito, secondo le leggi antitrust statunitensi le istanze in tema di efficienza non sono considerate come un’assoluta difesa per una fusione altrimenti anticompetitiva ma piuttosto costituiscono un fattore che in alcune circostanze può essere preso in considerazione per calcolare gli effetti lesivi della concorrenza. In Europa, invece, l’articolo 2, comma 3, del Regolamento 1310/97, che ha emendato il Regolamento 4064/89, sembra precludere il riconoscimento di un’esplicita efficiency defence, una volta che la soglia della posizione dominante sia stata raggiunta.
La terza posizione propone l’utilizzo di una procedura a due fasi: la prima, ex ante, nella quale la fusione deve essere analizzata al fine di determinare se è probabile la creazione di sostanziali efficienze e la seconda, ex post, nella quale si verifica se le promesse efficienze si siano effettivamente realizzate.18 Tale procedura dovrebbe concernere solo l’esercizio della
14 Tale tesi è suggerita da Xxxx, The antitrust paradox: a policy at war with itself, New York, 1993, p.221; Xxxxxx, Lande, Efficiency considerations in merger enforcement, in California Law Rev., vol.71 1983, p.1670; Xxxxxx, Antitrus law: an economic perspective, Chicago, 1976, p.112.
15 In base alle U.S. Merger Guidelines, quando un mercato viene ritenuto non concentrato (con un Herfindahl- Xxxxxxxxx Index, indice che calcola le quote di mercato delle società che intendono fondersi, inferiore a 1000,) c’è una forte presunzione di legalità; dall’altro lato, un HHI superiore a 1800 costituisce la prova di un mercato altamente concentrato e comporta una presunzione di illegalità della transazione.
16 A tal proposito si vedano gli orientamenti della Scuola di Harvard a p. 8.
17 Tale posizione presenta diverse caratteristiche in base ai diversi autori che la hanno proposta. Si veda, tra gli altri, Muris, The efficiency defence under section 7 of the Xxxxxxx Act, in Case W. Res. L. Rev., vol.30 1980, p.426 (sostenendo una difesa assoluta); Xxxxxx, Xxxxxx, Antitrust law. An analysis of antitrust principles and their application, Boston, 1980, p.939 (sostenendo una difesa parziale limitata a certi tipi di efficienza); Xxxxxxxx, Proposals for revised U.S. merger enforcement in a global economy, Xxxxxxxxxx L.J. vol.81 1992, p.218 (sostenendo una difesa assoluta per le società che a seguito della fusione detengano una porzione di mercato inferiore al 35%).
18 Xxxxxxx, The economic goals of antitrust: efficiency, consumer welfare and technological progress, in New York Univ. L.R., vol.62 1987, p.1048; Xxxxxxx, Proof of efficiencies in merger and joint ventures, in Antitrust L.J., vol.64 1996, p.577 ove l’Autore nota che la proposta procedura “would require verification of efficiency claims. It also serves as a separating mechanism, discouraging inflated efficiency assertions without barring valid claims. is also
information conserving, in that the agency can apply un under-inclusive legal rule at the ex-ante stage when information is uncertain”.
discrezionalità dell’organo deputato al controllo per stabilire se opporsi ad una fusione o joint venture. Condizione preliminare per l’utilizzo della stessa è la determinazione iniziale dell’organo che la proposta collaborazione è anticompetitiva e che, in assenza di una pienamente giustificata efficiency defence, confermata da prove ex post, verrebbe impedita.19 Inoltre, tale procedura non potrà essere utilizzata nel caso in cui l’esame ex post non possa essere realizzato, per esempio, per mancanza di prove. Comunque, le difficoltà di tale esame a posteriori e la possibilità che sia imposto uno scorporo della società risultante dalla fusione hanno fino ad oggi impedito l’adozione di tale approccio sia in Europa che negli Stati Uniti.
2. L’EFFICIENZA NELL’ANTITRUST STATUNITENSE
2.1 La considerazione dell’efficienza nella storia legislativa dello Sherman Act e del Xxxxxxx Act
La storia legislativa dello Sherman Act ha rivelato una totale mancanza di interesse per i problemi relativi all’efficienza. Trust e monopoli erano principalmente condannati perché comportavano un ingiusto trasferimento di ricchezze dai consumatori ai produttori. Il Congresso voleva che l’economia funzionasse efficientemente al fine precipuo di destinare i benefici della libera concorrenza ai consumatori; così condannava le imprese con potere monopolistico malgrado fossero efficienti, con la convinzione che tale condanna avrebbe escluso la possibilità di massimizzare l’efficienza economica sociale.20 I trust coevi l’emanazione dello Sherman Act arrecavano efficienza a livello produttivo;21 ma l’incoraggiamento degli stessi si arrestò quando aumentarono i prezzi di rivendita.22 I trust, inoltre, avevano trovato una particolare avversione anche perché una notevole concentrazione industriale non aveva solo l’effetto di penalizzare gli
19 Xxxxxxx, op. ult. cit., p.578. L’Autore stabilisce che la procedura sarà applicabile solo se la collaborazione soddisfi alcuni criteri, in particolare, l’ammontare dei costs savings o del miglioramento qualitativo, il lasso di tempo in cui le efficienza sono state raggiunte, i tipi di efficienza, il trasferimento dei profitti ai consumatori ed il bilanciamento tra i profitti e gli effetti collusivi generati dall’efficienza.
20 Lande, Wealth transfers as the original and primary concern of antitrust: the efficiency interpretation challenged, in Xxxxxxx L.J., 1982, p.65. L’Autore ritiene che il “…Congress was unwilling to subordinate its distributive-based distaste for trusts and monopolists to the goal of corporate efficiency when the efficiency gains would be retained by the monopolist….The legislative history shows that Congress passed the Sherman Act because it believed that trusts and monopolies possess excessive social and political power, and reduce entrepreneurial liberty and opportunity”.
21 Lande, op. ult. cit., p.77. L’Autore nota che anche i critici più duri devono ammettere che i trust di fine Ottocento furono efficienti a livello produttivo. Lo stesso senatore Xxxxxxx apprezzava le efficienze attribuibili alle grandi corporazioni: “experience has shown that they are most useful agencies of modern civilization. They have enabled individuals to unite to undertake enterprises only attempted in former times by powerful governments. The good results of corporate power are shown in the vast development of our railroads and the enormous increase of business and production of all kinds”. (21 CONG. REC. 2457 – 1890).
22Così i trust furono condannati a prescindere dalla loro efficienza proprio perché tenevano per sé i frutti da essa generati; lo stesso senatore Xxxxxxx aveva evidenziato questo aspetto spiegando il proprio elogio a favore dell’efficienza: “di queste combinazioni è stato più volte detto che riducono i prezzi a favore dei consumatori attraverso migliori metodi produttivi, ma l’esperienza globale mostra che this saving of cost goes to the pockets of the producer”, 21 CONG. REC. 2460 (1890). Il senatore Xxxxxxx ha espresso più volte il parere che “the courts will distinguish between lawful combinations in aid of production and unlawful combinations to prevent competition and in restraint of trade”(Id. a 2456), inoltre riteneva che “if they (the Standard Oil trust) conducted their business
small dealers and worthy men, ma costituiva altresì motivo di corruzione a livello amministrativo e legislativo e, quindi, in ultima istanza, rappresentava una minaccia per lo sviluppo di un sistema democratico. Gli enormi profitti generati attraverso la costituzione di trust, infatti, venivano impiegati a vantaggio di interessi particolari o per influenzare responsabili di politica economica. Successivamente alla guerra civile, quindi, si strinse un forte legame corruttore tra la politica e le imprese affaristiche: il paese, riteneva Xxxx Xxxxxxx dopo le elezioni del 1888, “è allo stesso livello degli ultimi tempi dell’impero romano, quando le cariche venivano messe all’asta e assegnate al maggior offerente”.23
Così, mentre nelle generali proibizioni dello Sherman Act non traspare alcun riferimento al concetto di efficienza, Muris24 ha cercato di ravvisare nella storia legislativa del Xxxxxxx Act25 un interesse per il problema dell’efficienza. Xxx Xxxxx, infatti, anche se parte della dottrina26 aveva concluso che, temendo la concentrazione, il Congresso intendeva opporsi alle fusioni malgrado, e anche a causa di, aumenti di efficienza, una lettura attenta della storia legislativa degli emendamenti del Xxxxxxx Act negli anni Cinquanta supportava la conclusione che la nuova legge non veniva concepita al fine di precludere l’efficienza come possibile causa giustificativa di una fusione.27 Inoltre, nei dibattiti congressuali antecedenti alla riforma del 1950, traspariva la convinzione che non fosse necessario operare una scelta tra concentrazione ed inefficienza dato che l’efficienza poteva essere raggiunta anche da società di dimensioni relativamente modeste e le fusioni quindi generalmente non comportavano un aumento in termini di efficienza.28 In tal modo, se l’efficienza non era una causa giustificativa della grandezza né del trend concentrativo, le fusioni potevano essere osteggiate sia dal punto di vista economico che da quello sociale dato che così la collusione veniva impedita.29
lawfully, without any attempt by these combinations to raise the price of an article consumed by the people of the United States, I would say let them pursue that business”. (Id. a 2469).
23 Gobbo, Il mercato e la tutela della concorrenza, Bologna, 1997, p.19. L’Autore nota che la concentrazione del potere economico nelle mani di pochi e grandi gruppi industriali, oltre a mettere in crisi la fiducia nelle capacità della concorrenza di mantenere aperti ed accessibili i mercati, comportò anche che il coordinamento degli scambi non fu più affidato al mercato ma a soggetti privati, che poterono così agevolmente orientarne il funzionamento in rapporto ai propri interessi particolari.
24 Muris, The efficiency defence under section 7 of the Xxxxxxx Act, in Case Wes. Res. L. R., vol. 30 1980, p.393.
25 La sezione settima del Xxxxxxx Act (1914) regola le fusioni ed acquisizioni, così come emendata con l’Xxxx-Xxxxx- Rodino Act e con il Celler-Xxxxxxxx Amendament, proibisce ogni fusione ed acquisizione “where in any line of commerce, in any section of the country, the effect of such acquisition may be substantially to lessen competition, or to tend to create a monopoly”.
26 Bok, Section 7 of the Xxxxxxx Act and the merging of law and economics, in Harvard L. Rev., vol. 74 1960, p. 318; Xxxxxxxx, The political content of antitrust, in Univ. Pa. L. R., vol.127 1979, p.1060; Fox, Book review, in N.Y. U. L. R., vol.54 1979, p.460. Tali Autori sostenevano che il Congresso aveva intenzione di impedire alcune fusioni a prescindere da considerazioni economiche, quali quella relativa l’efficienza.
27 Muris, op. ult. cit., p.396.
28 Celler a tal proposito stabilì che “Bigness does not mean efficiency, a better product, or lower prices”, 95 CONG. REC. 11486.
29 Muris, op. ult. cit., p.397. L’Autore considera rilevanti quattro aspetti dei dibattiti congressuali: il trattamento dell’efficienza in “prior approval bills” (il progetto di riforma del 1943 conteneva un efficiency standard idoneo a fare approvare la fusione se “it would not incompatibile with greater efficiency in economy of operations” ma la successiva proposta del 1945 non conteneva tale efficiency requirement), fusioni tra società di piccole dimensioni per competere con quelle più grandi (che venivano incoraggiate), fusioni di failing companies (anche società di dimensioni notevoli potevano acquistare legalmente concorrenti che stavano fallendo) e un esempio riguardante la newspaper industry (nella quale due quotidiani avevano raggiunto un operating agreement con il quale, al fine di ridurre le spese, potevano utilizzare lo stesso impianto per stampare e, a tal riguardo, il senatore X’Xxxxx rispose che
“it may well be that by effecting a better arrangement for a more profitable undertaking, in the manner described, competition would be stimulated rather than lessened”, 96 CONG. REC. 16456, 1950).
2.2 Le influenze delle teorie economiche sulla politica antitrust statunitense e le Merger Guidelines
La politica antitrust statunitense ha costantemente mantenuto nel tempo profondi legami con la teoria economica: fin dagli inizi, infatti, le leggi antitrust hanno prediletto un approccio economico per risolvere una serie di problematiche di carattere sociale e politico strettamente connesse alla predisposizione ed attuazione di leggi antitrust.30 Attraverso gli anni, i modelli microeconomici sono stati sviluppati ed articolati come le guide sottostanti alla maggior parte della politica antitrust.
2.2 (a) La visione strutturalista della Scuola di Harvard emergente dalle Merger Guidelines del 1968 e la politica antitrust degli anni Sessanta
Negli anni Sessanta si strinse un forte legame tra legge ed economia, gli economisti erano coinvolti nella creazione delle leggi e l’economia era usata come strumento per rendere effettiva la politica stabilita dal Congresso: l’attuazione antitrust aveva stretto un “Faustian pact” con i modelli economici enucleati dalla Scuola di Harvard. 31
Nel secondo Dopoguerra, le teorie dell’oligopolio e della concorrenza monopolistica di Xxxxxxxxxx dominavano l’analisi microeconomica e la politica antitrust ed erano strettamente legate al concetto di workable competition, elaborato da Xxxxx nel 1940 come “the most desiderable form of competition selected from those that are pratically possible, within the limits set by conditons which we cannot escape”.32 La teoria economica prevalente era incline ad utilizzare il paradigma “struttura–condotta–performance” al fine di stabilire se un certo settore produttivo si conformasse allo standard di workable competition.33 La relazione causale
30 In particolare, sin dalle prime pronunce giurisprudenziali (1911: Standard Oil e American Tobacco) la preservazione di mercati concorrenziali attraverso l’eliminazione di restrizioni irragionevoli serviva a raggiungere benefici quali prezzi più bassi per i consumatori, crescita dell’economia e dell’innovazione, limitazioni al potere corporativo e proibizione delle condotte predatorie spesso perpetrate dai giganti trust. Questi scopi erano derivati da una combinazione del modello economico classico di Xxxx Xxxxx e del modello politico populista di Xxxxxx Xxxxxxxxx, nel quale un atomistico e libero mercato di numerosi acquirenti e venditori serviva come limite sia del potere economico privato sia di quello politico.
31 Xxxx, The decline of antitrust and the delusions of models: the Faustian pact of law and economics, in Xxxxxxxxxx Law Rev., 1984, p.1511. “An economic model promised clear rules and quick results. For a generation, it propelled antitrust crusades against economic concentration, toward an ideal where political and economic pluralism converged”.
32 Xxxxx, Xxxxxx a concept of workable competition, in Am. Ec. Rev., 1940, n.30, p.241. L’Autore sostenne che la “concorrenza perfetta” non poteva esistere e che il panorama teorico ad essa improntato non poteva fornire parametri affidabili per la valutazione delle condizioni reali di mercato. Le imperfezioni del mercato, infatti, non erano ritenute necessariamente dannose nel lungo periodo; la persistenza delle imperfezioni non pregiudicava il raggiungimento di un regime concorrenziale di fatto funzionante (“workable”).
33 L’esistenza nella realtà di una pluralità di strutture di mercato oligopolistiche piuttosto che concorrenziali portò alla ricerca di nessi causali che posero in relazione il prevalere di determinate condizioni strutturali con i risultati conseguiti dal sistema delle imprese. Cfr. Xxxxx, Price and production policies of large scale enterprices, in Am. Ec. Rev., vol.29 1949, p.61 e Bain, Barriers to new competition: their charter and consequences in manufactoring industries, New York, 1956, p.53.
individuata prevedeva che fossero le caratteristiche strutturali di un’industria a determinare le condotte delle imprese e che, a loro volta, queste ultime determinassero le perfomance.34 35
La Scuola di Harvard mostrò interesse verso lo studio del potere di mercato o delle condizioni che ne favorivano lo svilupparsi o che ne rivelavano l’esistenza; quindi venne attribuita grande enfasi al problema delle barriere e della concentrazione cui fece riscontro la scarsa attenzione data al problema dell’efficienza e la sottovalutazione di questa come causa di benessere sociale. L’efficienza veniva considerata un by product del processo competitivo, che era l’obiettivo da perseguire anche qualora nel breve periodo non fosse compatibile con l’efficienza economica. Infatti l’obiettivo della tutela della concorrenza era perseguito come obiettivo in sé, non preoccupandosi di sfruttare il pieno vantaggio delle economie di scala o di dimensioni.36 In particolare, l’ottenimento di economie di scala non era considerato un motivo di efficienza tale da giustificare processi di concentrazione salvo in casi particolari, dato che comunque la dimensione efficiente dell’impresa era considerata data e sostanzialmente fissa.37
La politica antitrust di questo periodo era finalizzata a deconcentrare i mercati oligopolisti, e, come condizione, a proteggere le piccole imprese dai rivali più grandi; si seguiva un’ottica di prevenzione e limitazione del potere di monopolio orientata a mantenere strutture di mercato concorrenziali nelle quali il potere di mercato delle imprese già presenti non fosse tale da ostacolare l’ingresso di nuove imprese. Si riteneva così necessario un intervento pubblico che agisse sulle imperfezioni dei mercati reali per poter far funzionare pienamente il processo concorrenziale; infatti, secondo gli economisti di Harvard, le imperfezioni connesse al funzionamento dei mercati non tendevano ad aggiustarsi naturalmente nel lungo periodo (come invece sostenevano gli economisti di Chicago), ma potevano cumularsi attraverso l’esercizio del potere di mercato e le pratiche collusive ed ostacolare lo stesso processo concorrenziale.38
34 Caroli, La regolamentazione dei regimi concorrenziali, Milano, 1990, p.21. Gli elementi strutturali, quindi, assumevano grande importanza poiché influenzavano i risultati conseguiti dalle imprese attraverso il condizionamento esercitato sui loro comportamenti Gli indici strutturali erano relativi al livello delle barriere all’entrata, al grado di concentrazione, alla differenziazione dei prodotti in base alla pubblicità e allo sviluppo della domanda e dovevano essere esaminati per valutare il grado di competitività di un’industria.
35 Bain, infatti, fondandosi su alcune premesse economiche, riteneva che l’esperienza empirica aveva dimostrato una relazione positiva tra profittabilità e tasso di concentrazione delle imprese. Inoltre, prima della sua conversione verso la Scuola di Chicago, l’economista Xxxxxxx scriveva che “an industry which does not have a competitive structure will not have competitive behavior” (Xxxxxxx, The case against big business, in Fortune, maggio 1952, p.267).
36Del Monte, Xxxxxxx teorici e problemi di attuazione della politica della concorrenza, nel volume a cura di Xxx Xxxxx, Promozione della concorrenza e politiche antitrust – i fondamenti teorici e l’esperienza italiana, Bologna, 1997, p.23. L’Autore per avvalorare la tesi per la quale l’obiettivo della tutela deve essere la concorrenza e non l’efficienza cita le parole di Xxxxxx, contenute nel suo intervento nel volume citato, secondo cui “obiettivo di un’Autorità Antitrust è quello di far funzionare il processo competitivo e non quello di ottenere direttamente i risultati di un processo produttivo ben funzionante”.
37 Xxxxxx, Xxxxx, Impresa, concorrenza e organizzazione, Roma, 1989, p.30. L’effetto positivo sul benessere collettivo legato alla migliore produttività derivante da maggiore dimensione non veniva ritenuto dalla Scuola di Harvard sufficiente a bilanciare il peso negativo sullo stesso benessere dovuto al controllo del mercato da parte di poche imprese.
38 Gobbo, Il mercato e la tutela della concorrenza, Bologna, 1997, p.49. L’Autore sostiene che per gli economisti della Scuola di Harvard esiste una correlazione positiva tra tasso di concentrazione e comportamenti collusivi tendenti alla monopolizzazione. La concentrazione favorisce la collusione perché con il ridursi del numero degli attori in gioco, si riducono i costi di transazione legati al coordinamento degli stessi attori.
Negli anni Sessanta l’antitrust aveva due interessi principali: uno politico consistente nella diffidenza per le grandi dimensioni e per la scarsità di concorrenti così come una preferenza politica per la diversità e l’opportunità delle imprese in fieri; il secondo era socioeconomico ed era caratterizzato da una propensione a tutelare piccoli imprenditori e consumatori.
In questo periodo, infatti, venne formulato il paradigma “high concentration / lessened competition”, in base al quale la presenza di pochi imprenditori all’interno di un mercato era contraria agli interessi dei consumatori e dei piccoli ed ambiziosi imprenditori; i primi, perché avevano meno opzioni, e quindi scelte, e dovevano sopportare prezzi presumibilmente più alti a causa delle meno intense pressioni concorrenziali; i secondi, invece, specie quelli creativi ed efficienti, perché erano verosimilmente l’obiettivo di boicottaggi. Inoltre, dato che il processo politico era influenzato in modo predominante dagli interessi delle grandi corporazioni, anche per le imprese in fieri era difficile aprirsi una nicchia all’interno del mercato perché i costi economici, sociali e politici erano notevolmente aumentati.39
Questi scopi erano sicuramente influenzati dalle vicende politiche e sociali che nel Secondo Dopoguerra interessarono gli Stati Uniti: infatti, in quel periodo, si riteneva sussistente una società pluralistica ed aperta, un luogo dove le persone potessero essere libere di perseguire le proprie aspirazioni, sia politiche che economiche, sempre che non fossero di derivazione comunista, posto il clima di paura e intolleranza creato dal Maccartismo. Così negli anni Sessanta gli economisti, i politici e gli avvocati condividevano la concezione di una società pluralistica, l’immagine di un libero mercato per le idee, i beni e i servizi, i capitali e le decisioni politiche e tale concezione caratterizzava la public policy. Il problema ricorrente era, comunque, la perseveranza antidemocratica delle enormi disparità del potere.40
La necessità di arrestare il merger trend portò all’emanazione di norme che potessero integrare le disposizioni inevitabilmente generali della “triade” legislativa fondamentale composta dallo Sherman Act, dal Xxxxxxx Act e dal Federal Trade Commission Act. Così il Department of Justice emanò nel 1968 le prime Merger Guidelines proprio allo scopo di fornire un panorama conoscitivo preordinato, inteso ad informare gli interessati circa le esatte condizioni che potevano condurre ad un’opposizione degli organi competenti nei confronti di una fusione.41
39 Xxx, Xxxxxxxx, Retrospective and prospective: where are we coming from ? Where are we going ?, in AA. VV., Revitalizing antitrust in its II century, New York, 1991, p.6. Gli Autori notano che in caso di alta concentrazione “consumer, enterpreneurs, and the public are the losers”. Inoltre “as a result, consumers are exploited for the profit or ease of producers. When the few sellers are also industrial behemoths, many concluded, small and aspiring sellers as well as the citizens of our political democracy are worse off”.
40 Xxxxxxx, Big business and the policy of competition, New York, 1956, p.131. L’Autore concludeva che una combinazione di potere politico ed economico, che separatamente avrebbero potuto controbilanciarsi a vicenda, conduceva verso un corporativismo antidemocratico.
41 Xxxxxxx, Xxxxxx, The growing judicial acceptance of the Merger Guidelines, in Antitrust L. J., vol. n.60, 1992. Mentre lo scopo esplicito delle Merger Guidelines del ’68 era semplicemente “di rendere al corrente gli imprenditori, gli avvocati, gli altri gruppi di interesse e gli individui degli standard che sono attualmente applicati dal Department
Le Guidelines spiegavano l’iniziale atteggiamento verso le richieste di efficienza: “unless there are exceptional circumstances, the Department will not accept as a justification for an acquisition normally subject to challenge under its horizontal merger standards, the claim that the merger will create economies (i. e., improvements in efficiency)”.42 L’ostilità nei confronti dell’efficienza che, prima facie, si evinceva dalle Merger Guidelines del 1968, poteva, a seguito di un’analisi più approfondita, risultare apparente: la adesione agli standard delle Guidelines, infatti, non dovrebbe “usually” concernere quelle fusioni “of the kind most likely” a risolversi in efficienze; inoltre, le efficienze “normally” possono essere realizzate attraverso un’espansione interna e, infine, “there usually are severe difficulties in accurately establishing the existence and magnitude of economies claimed for a merger”.
In questo approccio è evidente, comunque, l’influsso della “scuola struttural- comportamentistica” fautrice dell’ipotesi che alta concentrazione e forti barriere all’entrata tendono automaticamente a ridurre il livello della concorrenza.43
Le Guidelines del 1968, eredità dell’amministrazione Xxxxxxx e emanate in un periodo caratterizzato da una diffusa opposizione nei confronti del "merger movement", sono state definite come una “milestone of xxxxxxxxxx doctrine…that calibrated oligopoly learnings into legal norms”.44
2.2 (b) La Scuola di Chicago ed altre teorie economiche caratterizzano la Xxxxxx Administration e le Merger Guidelines del 1982 e 1984
Verso la fine degli anni Settanta si verificò the second wave of the merger of antitrust law and economics45 caratterizzata da alcuni sviluppi significativi in the antitrust case law, progressi nella cultura economica, cambiamenti nella dimensione spaziale della concorrenza, che stava assumendo caratteristiche transnazionali, e ritardi dell’economia americana che contribuirono a modificare l’umore politico del paese e che come rimedio invocarono un minore intervento governativo in materia antitrust. I concorrenti stranieri, infatti, avendo eroso le quote di mercato delle imprese americane, contribuivano ad alti livelli di disoccupazione, che associati ad un’inflazione in costante aumento, portavano a sospettare le leggi antitrust e biasimarle per la
of Justice”, queste ebbero l’effetto di uniformare la politica di attuazione, riuscendo così ad essere coerenti con i loro impliciti ma evidenti scopi.
42 Department of Justice, 1968 Merger Guidelines, §10.
43 Bianchi, Antitrust e gruppi industriali, in AA. VV., Antitrust e gruppi industriali, Bologna, 1991 p.42. Per l’Autore “il nuovo approccio strutturalista venne sostenuto dall’evidenza di un mercato nazionale sempre meno chiuso alla concorrenza internazionale, di economie di scala tecniche sempre meno esclusive depositarie dell’efficienza d’impresa, di beni sempre più sostituibili e quindi di mercati dalle barriere sempre meno definite e quindi di un’autorità statale che poté farsi valere solo rafforzando le barriere istituzionali verso l’esterno e attraverso una sempre più complessa regolamentazione interna”.
44 Xxxx, op. ult. cit., p.1525. Così le Guidelines sembravano un’ampia distillazione di standard confermati da quei precedenti delle corti piu’ inclini a preservare l’opportunità di concorrere anche per gli small businesses piuttosto che ad analizzare dal punto di vista economico i potenziali effetti anticoncorrenziali delle fusioni verticali.
miope considerazione degli effetti benefici associati a transazioni efficienti e quindi per l’ostacolo che arrecavano alle imprese americane.46
Gli sviluppi nell’economic thinking erano attribuibili in larga misura agli economisti della Scuola di Chicago che modificarono il vecchio assunto logico per cui grosse dimensioni d’impresa permettevano politiche di tipo monopolistico che portavano ad alta profittabilità47; Brozen48 e poi Demsetz49 ribaltarono questo nesso sostenendo che era l’elevata profittabilità, conseguenza di maggior efficienza, a permettere alle imprese di espandersi. Quindi il processo di concentrazione, in quanto diretta conseguenza della maggiore efficienza di alcuni operatori, non doveva essere ostacolato.50
Questa posizione era condivisa anche dalla nuova teoria dell’organizzazione industriale che, concependo le condotte delle imprese come comportamenti derivanti da interrelazioni strategiche con fattori esogeni, in particolare con gli altri concorrenti, prediligeva un approccio caso per caso che costituiva un’implicita critica al rigido schematismo causale propugnato dalla Scuola di Harvard.51
L’analisi economica di Chicago criticò pesantemente la tendenza a proteggere le imprese individuali (cosiddette “piccole”) a scapito della concorrenza (e dei rivali “grandi”). Se un’impresa diveniva grande evidentemente era efficiente (si veda in proposito il motto “grande è bello”, che costituiva una replica puntuale alle tesi del “piccolo è bello” proposta da Xxxxxxxxxx nel 197552) e così il tasso di concentrazione del mercato era il risultato delle condizioni di produzione prevalenti di un determinato bene o servizio.53
Queste concezioni erano abbracciate anche da un gruppo di “statisti” (i cd. “industrial policy advocates”) che, fortemente critici della Scuola di Harvard, ritenevano le economic
45 La prima “fusione” tra economia e leggi antitrust era quella degli anni Sessanta.
46 Fox, op. ult. cit., p. 283. L’Autore nota che “the second wave of merger of antitrust law and economics arises in this context. This merger movement has a different character from the first. Its proponents suggest that law and economics are to merge, and that economics is to be the surviving partner”.
47 Secondo gli economisti harvardiani la correlazione positiva tra concentrazione e profittabilità dimostra che la concentrazione genera potere di mercato e possibilità di collusione, ciò che permette di fissare i prezzi ad un livello più alto di quello concorrenziale.
48 Brozen, Concentration and structural and market disequilibria, in Antitrust Bull., vol.16 1971, pp.241-248.
49 Xxxxxxx, Industry structure, market rivalry and public policy, in Journ. L. & Econ., vol.16 1973, pp.1-9.
50 Caroli, op. ult. cit., p.25. L’Autore nota che da questo punto di vista ritorna “l’antica impostazione smithiana per cui la concorrenza, libera da impedimenti esterni ed istituzionali, porta da sola alle condizioni più efficienti, premiando, attraverso la sopravvivenza, soltanto i migliori. In questa prospettiva l’intervento legislativo diventa soprattutto elemento distorsivo”.
51 Il riflesso sulla politica antitrust consisteva nella inefficacia di interventi strutturali e nella predilezione di politiche correttive che consentissero di analizzare i cambiamenti endogeni della struttura e gli effetti sulle condizioni concorrenziali legati ad altri fattori esogeni quali le tendenze del mercato e lo sviluppo dell’innovazione.
52 Xxxxxxxxxx, Small is beautiful. A study of economics as if people mattered, Londra, 1975.
53 Xxxxxx, op. ult. cit., p. 926. Un mercato in cui si registrava la presenza di poche grandi imprese era cioè un mercato in cui l’efficienza produttiva richiedeva la grande dimensione. Se tale situazione strutturale fosse continuata nel tempo avrebbe voluto dire che o il mercato in questione semplicemente non disponeva di spazio sufficiente per molte aziende o alcune aziende erano in grado di continuare ad ottenere profitti eccessivi per mezzo della riduzione dei costi o di migliorie produttive che i concorrenti e nuovi entrati non riuscivano ad attuare. L’Autore ritiene che nessuno dei due casi costituisca un’attrattiva per un intervento statale volto a modificare la struttura del mercato.
institutions of massive size, detentrici del potere politico oltre che economico, non solo inevitabili ma anche desiderabili in una moderna società tecnologica.54
Un altro profilo della Scuola di Chicago strettamente connesso alla politica antitrust della Xxxxxx Administration è la propensione a ragionare in termini deregolamentativi. Era necessaria “the most minimal law”, ovvero una legge che, posta l’esistenza degli statutes, impedisse solo quegli accordi di cartello e quelle fusioni che fossero idonei a creare un monopolio all’interno di un mercato in cui era contemplata la concorrenza potenziale. Lo Stato, così, nell’ottica della scuola di Chicago, poteva determinare, con il suo intervento, situazioni di inefficienza allocativa che peggioravano i fallimenti del mercato che intendeva curare.55
Inoltre, l’atteggiamento della Scuola di Chicago in materia di regolamentazione degli assetti istituzionali di tutela del mercato è stato fatto proprio anche da altre teorie, quali la teoria neo-evoluzionista o austriaca e quella dei mercati contendibili. La prima teoria difendeva i principi di laissez-faire ritenendo la regolamentazione aprioristicamente impossibilitata ad eliminare le “cause di fallimento del mercato” legate ai costi di informazione e di contrattazione. 56
La teoria dei mercati contendibili (contestables markets), ipotizzando l’esistenza di attori commerciali efficiency-seeking in mercati liberi dalla regolamentazione governativa, aveva influenzato notevolmente le agenzie federali predisposte all’attuazione antitrust e gli orientamenti giurisprudenziali degli anni Ottanta, almeno nel suo significato di escludere la presenza di barriere all’entrata e di valorizzare il concetto di concorrenza potenziale.57 58
54 Xxx, Xxxxxxxx, op. ult. cit., p.19. I maggiori esponenti di tale teoria sono Xxxxxxxxx (The new industrial state, 1967) e Xxxxxx (The zero sum society, 1980; Let’s abolish the antitrust laws, in N.Y. Times, 19 Ott. 1980, §3). “Because massive size is technologically inevitable and often confers or accompanies power, markets cannot be counted upon to discipline power…The larger the firm and the more likely that its activities can be razionalized, the more susceptible it will be to social influence and control”. La soluzione indicata era una maggiore integrazione tra governo e imprese: il governo avrebbe dovuto mettere da parte l’antitrust e pensare agli urgenti doveri di assistenza delle imprese americane nei confronti dei concorrenti stranieri, diffondendo giudizi circa le aree di investimento che fossero socialmente preferibili e predisponendo sapientemente bastoni e carote per spingere business e industry sulla buona strada I sostenitori di tale corrente di pensiero ritenevano che la policy direction dovesse essere basata sulla pianificazione. Le decisioni sulle aree di investimenti avrebbero dovuto tener conto delle infrastrutture esistenti, delle potenzialità dinamiche e dei risvolti sociali e dovevano essere prese da agenzie che usassero i migliori strumenti resi disponibili dal governo e dalle imprese.
55 Xxxxxxxxx, American capitalism. The concept of countervailing power, Boston, trad. it., Il capitalismo americano. Il concetto di potere di equilibrio, Milano, 1955, p.104. Così i contesti istituzionali sviluppatisi dalla libera contrattazione degli imprenditori non apparivano come forme di monopolio da osteggiare, bensì come meccanismi efficienti che dovevano essere stimolati, e ciò anche sulla base di alcune premesse economiche formulate dal Xxxxxxxxx, il quale riteneva che la formazione di poteri monopolistici non costituisse un fenomeno patologico in quanto il potere che si formava da una parte del mercato creava il bisogno dell’esercizio di un potere contrapposto (countervailing power), in modo tale che i benefici della concorrenza potessero essere ugualmente assicurati dal potere contrapposto dei diversi gruppi monopolistici operanti nei lati opposti del mercato. L’Autore sosteneva la fallacità delle convinzioni tese a riconoscere nella concorrenza l’elemento cardine dell’economia, sottolineando come il formarsi di imprese monopolistiche aveva rappresentato la conseguenza necessaria di uno sviluppo economico che aveva portato un diffuso elevato tenore di vita.
56 Franzosi, Monopolio – Oligopolio – Concentrazioni, Milano, 1989. Così il contesto istituzionale appropriato per lo sviluppo della libera concorrenza doveva essere determinato endogenamente, come risultato della libera interazione tra gli individui. Molte delle pratiche unanimamente ritenute anticoncorrenziali erano per questi economisti delle realtà contrattuali che tenevano conto delle imperfezioni del mercato, e che, quindi, di fatto permettevano di migliorarne l’efficienza, anche se ammettevano che molte pratiche meritano di essere condannate, stimavano ancora maggiori i danni dell’intervento pubblico.
57 Xxxxxx, et al., Contestable markets and the theory of industrial structure, 1982, New York, p.349. “A contestable market is one in which the positions of incumbents are easily contested by entrants. (It is a market) in which entry is
Dopo il crollo dell’economia americana, 59 le pressioni per delle modifiche nell’attuazione della normativa antitrust divennero sempre più insistenti e vennero ascoltate. L’elezione di Xxxxxx Xxxxxx, che prometteva di ridurre il ruolo del governo nell’attività imprenditoriale, riflesse il cambiato umore politico del paese.60 La politica Reaganiana, comunque, non costituiva una svolta verso una deregolamentazione economica, perché già Xxxxxx aveva cercato di indirizzare il Paese in tal senso, ma rappresentava un cambiamento “from a consumerist to a corporatist vision of deregulation”.61
Per quanto concerne l’efficienza, gli economisti di Chicago ritenevano che fosse sia lo scopo esclusivo di tutta la commercial law sia un fattore determinante per definire la concorrenza. Essa era considerata in senso negativo quale assenza di inefficienza, che a sua volta si identificava principalmente con la artificiale restrizione della produzione, oltre che la cd. X-inefficiency che spesso deriva dalla managerial burocracy, dalla distanza dei managers dal mercato e dalle perdite dinamiche che possono risultare dall’assenza delle pressioni del mercato.
La connotazione efficientistica dell’antitrust non era comunque dotata di particolare contenuto informativo in quanto l’efficienza non rappresentava un obiettivo autonomamente dotato di senso.62 L’efficienza si limitava a descrivere le modalità con cui erano raggiunti obiettivi dati, ed era pertanto su quest’ultimi che occorreva interrogarsi. Veniva così inizialmente ipotizzato un concetto di efficienza corrispondente al perseguimento dell’ottimale assortimento di obiettivi diversi, con il minimo impiego di mezzi; l’operatività di questa
completely free, from which exit is costless, in which entrants and incumbents compete on completely symmetric terms, and entry is not impeded by fear of retaliatory price alterations”. Tre condizioni devono essere rispettate: l’assenza di barriere d’entrata, di vantaggi per qualsiasi venditore o compratore e di prezzi predatori. Come un mercato perfettamente concorrenziale, uno contendibile esiste solo in teoria.
58 Tale teoria, basandosi sull’assenza di barriere di entrata e di uscita e quindi di ostacoli tecnologici o finanziari difficilmente superabili, riteneva possibile una forma di concorrenza definita “hit and run competition”, per cui qualsiasi concorrente potenziale potrebbe entrare in un mercato nel quale, essendo i prezzi superiori ai costi medi di produzione, vi sarebbe un margine positivo di profitto per poi uscirne senza perdite prima che le imprese esistenti mettano in moto meccanismi di reazione.
59 Xxxxxx, Competition policy in America. 1882 - 1992, Oxford, 1996, p. 266. Per Xxxxxx la causa principale dei problemi delle società americane in tema di competitività internazionale non era la presenza delle merger laws, come assumeva la Amministrazione Xxxxxx, ma il valore straordinariamente alto del dollaro dal 1982 al 1985, che derivava direttamente dalle politiche fiscali e monetarie adottate.). In più, le tesi sostenute dall’Amministrazione consideravano solo un lato dei legami tra fusioni, struttura di mercato e competitività internazionale e ne ignoravano un altro: molte delle imprese afflitte dalla concorrenza internazionale, infatti, peggioravano la loro situazione sfruttando il potere di monopolio per aumentare i prezzi al di sopra di livelli sostenibili e trascurando l’aspetto qualitativo dei prodotti.
60 I teorici di social policy che avevano ideato le implicazioni di wealth maximization e dell’etica “one dollar, one vote” erano ora consiglieri della Xxxxxx Administration, facevano politica per le agenzie federali ed erano stati eletti giudici federali.
61 Xxxxxx, op. ult. cit., p.267. Vi erano comunque notevoli differenze tra le teorie efficientistiche e gli scopi della deregulation delle due Amministrazioni, in particolare per quanto concerne i rapporti tra governo regolamentatore e imprese regolamentate. Xxx Xxxxxx la logica deregolamentativa era una “regulatory capture – the corruption of the political process symbolized by the illegal corporate support of the Watergate episode – as well as the corporate irresponsability publicized by Xxxxx Xxxxx and his consumerist movement. The postregulatory environment would reflect free competition – that is, competition free of excessive corporate power, supervised according to prevailing policies of environmental, antitrust, and health and safety regulation. For Xxxxxx, the logic of deregulation was the unburdening of corporate America, the loosening of government constraints on a natural corporate inclination to compete through more efficient processes and innovative products. The postregulatory environment was imagined as a different sort of free competition – competition free of government supervision”.
62 Denozza, Chicago, l’efficienza e il diritto antitrust, in Giur. Comm., 1988, p. 5 ss..
nozione di efficienza, però, era ostacolata dalle notevoli difficoltà che si opponevano alla misurazione dell’intensità delle preferenze di ciascuno ed al confronto interpersonale delle stesse. La Scuola di Chicago risolse questo problema con il motto only money counts proponendo di misurare in denaro ogni cosa esistente nella società: quello che ciascuno sarebbe stato disposto a pagare per ottenere un’entità che non possedeva, o se ce l’aveva già, quello che avrebbe richiesto per cederla, misuravano il livello della ricchezza e l’intensità delle preferenze di ogni individuo. Una legislazione efficiente quindi era quella che massimizzava il benessere collettivo (consumer welfare), inteso come la somma delle ricchezze degli individui. In tal modo, questa costruzione pose volontariamente in second’ordine il conflitto di interessi tra consumatore e produttore perseguendo l’unico obiettivo di assicurare l’allocazione ottimale delle risorse.63
La Scuola di Chicago si riferiva principalmente all’efficienza allocativa, attribuendole un significato diverso rispetto a quello tradizionale. Gli economisti tradizionali si interessavano di utilità soggettive, di soddisfazioni personali, i Chicago Schoolers, invece, di ricchezza.64 Inoltre, a differenza degli economisti tradizionali,65 gli economisti di Chicago adottavano la formulazione sostenuta da Xxxxxxx ed altri Utilitaristi in base alla quale procedere verso una nuova pratica di affari è più efficiente se, nel bilancio, i benefici superano i costi. Assemblando così il concetto di wealth con lo standard comparitivo di Xxxxxxx, la Scuola di Chicago definiva l’efficienza allocativa come wealth maximization.66 L’efficienza produttiva era considerata una componente essenziale della wealth maximization e non doveva essere intesa, come pretendeva l’orientamento prevalente, come una “mechanical or engineering operation” perché “the relative efficiency of firms is…measured by their relative success in the market”.67
63 Una norma, così, non poteva mai essere giustificata dall’opportunità di distribuire diversamente le risorse disponibili, a meno che si potesse dimostrare che questo trasferimento implicasse un aumento della ricchezza complessiva.
64 Xxxxxx, Some uses and abuses of economics in law, in Univ. of Chicago Law Rev., 1979, p.291. Il progetto dell’Autore si proponeva di essere scientifico e non ideologico, positivo e non normativo. Egli non sosteneva che l’economic efficiency dovesse essere il segnale conduttore della public policy e della legal rule-making, ma stava collaudando un’ipotesi, una teoria scientifica sul modo in cui le human institutions effettivamente operassero. Comunque “economic efficiency, like the ‘big bang’ theory must be taken seriously…because it has scored some successes and provides a coherent theoretical framework for future investigation”.
65 Xxxxxx, op. ult. cit., p.240. “Formulated by Italian political economist Xxxxxxxx Xxxxxx, (Pareto, Cours d’economie politique, 1897) the mainstream economic standard holds that moving to a new state of affair, a new rule or right, is ‘better’ or more ‘efficient’ than the current state of affairs only when at least one person is better off and no one is worse off”.
66 Bork, op. ult. cit., p.91. L’Autore si fondava su tre argomenti per stabilire che la wealth maximization (“consumer welfare”) doveva essere la guida della politica antitrust: innanzitutto l’appello alla storia legislativa dello Sherman Act che suggeriva che lo scopo principale dell’antitrust fosse il consumer welfare; inoltre, la sola logica efficientistica poteva fornire uno standard amministrabile per la politica antitrust ed, infine, l’argomento morale e normativo per il quale la wealth maximization è il solo scopo giustificabile per l’antitrust.
67 Questa revisione radicale del concetto di efficienza produttiva era stata ispirata dalla concezione di Xxxxxx che definiva il concetto come “l’efficace coordinamento dei vari significati di produzione che in ciascuna industria produrrà il risultato migliore”. Xxx Xxxx, che analizzava questa concezione con le lenti normative della libera concorrenza, l’“efficace coordinamento” diventava “sistema di libero mercato” e il “risultato migliore” la “ricchezza” così “da quando il sistema di libero mercato assume che i consumatori definiscono il loro benessere, ne segue che l’efficienza produttiva consiste nell’offrire qualsiasi cosa…that consumers are willing to pay for” (Xxxx, op. ult. cit., p.92).
Le Merger Guideline del 1982 sono simboliche della second wave of merger of antitrust law and economic, rappresentano “a new positivism; a reduction of legal principles to a simple, unitary, quasi-scientific, outcome-oriented economic model” che, in senso generale, è stato offerto come modello per risolvere tutti i problemi antitrust.68 Queste si basavano sul presupposto che le concentrazioni fossero tendenzialmente procompetitive, in quanto potevano avere effetti favorevoli per la concorrenza promuovendo l’investimento di capitali e riorganizzando le attività produttive esistenti. Le autorità, quindi, stabilivano che le fusioni non dovevano essere più ritenute azioni “altamente sospette” bensì elementi a volte indispensabili per il conseguimento di più elevati livelli di efficienza economica e che gli unici casi perseguibili erano quelli che avrebbero creato o rafforzato posizioni di leadership sul mercato, cioè le situazioni in cui, per un periodo di tempo significativo, era possibile fissare un livello di prezzi superiore a quello concorrenziale.69
La politica antitrust delle Merger Guidelines del 1982 suggeriva che un così basso livello di enforcement era coerente alla struttura triangolare che veniva utilizzata per valutare le fusioni. La struttura includeva una teoria dei prezzi basilare per determinare il mercato rilevante,70 un modello di tutti i mercati come “contestabili” senza riguardo alla struttura,71 ed una teoria finanziaria della concorrenza72. Erano così trascurati gli effetti negativi sulla concorrenza e sottolineati i benefici delle fusioni per quanto concerneva l’efficienza nei mercati finanziari e la concorrenza nei mercati per una efficient managment.
Non bisogna però pensare che le Merger Guidelines del 1982 abbiano una piena ed incondizionata fiducia nei confronti della Scuola di Chicago perché, continuando la tradizione del 1968, il livello di concentrazione assunto per valutare le fusioni è basato sul structure- conduct-performance paradigme della Scuola di Harvard.73 Tuttavia, “market share and
68 Fox, op. ult. cit., p.283. “By embodying only one substantive goal – allocative efficiency – the model offers the apparence of clarity, predictability, and reduced government intervention”.
69 Xxxxxxx, New Merger Guidelines are substantially different, in Legal Times, 02.08.1982, p.38. L’Autore nota una basic difference in attitude tra le Merger Guidelines del 1968 e 1982: quelle del 1968 erano ostili verso le fusioni perché aumentavano la concentrazione e minavano la possibilità di un futuro mercato deconcentrato; in netto contrasto erano invece quelle del 1982, che esprimevano l’idea che la maggior parte delle fusioni fosse “either competitively beneficial or neutral” e che il Department volesse evitare indebite interferenze con tali fusioni.
70 Xxxxxx, op. ult. cit., p.280. Il mercato rilevante veniva identificato nelle imprese tra loro in concorrenza effettiva con la possibilità di aggiungere ad esse quelle altre che ritenevano profittevole concorrere in seguito ad un aumento del 5 per cento del prezzo di vendita. Questa definizione, pur avendo introdotto il concetto di concorrenza potenziale non lo aveva, però, reso del tutto operativo in quanto non considerava quelle specificità di mercato che rendevano più complessa la mobilità degli acquirenti e dei produttori.
71 Xxxxxx, op. ult. cit., p.281. La teoria dei “contestable markets” era stata applicata nella definizione del concetto di potere di mercato; questo, infatti, veniva definito come la capacità delle imprese di incrementare i loro profitti, fissando un prezzo superiore a quello prevalente in un regime di concorrenza, non facendo, quindi, alcun riferimento alle quote di mercato.
72 Xxxxxx, op. ult. cit., p.282. Il terzo elemento della struttura triangolare era espresso nella sezione di apertura delle Merger Guidelines, intitolata “Purpose and underlying policy assumptions”: “benché alcune volte riducano la concorrenza, le fusioni generalmente assumano un ruolo importante in a free enterprise economy. Queste possono penalizzare le gestioni inefficaci e facilitare un efficiente flusso di investimenti di capitale e un rispiegamento degli assetti produttivi esistenti”.
73 Cirace, Schizophrenia in the Justice Department’s Merger Guidelines, in Antitrust Law & Econ. Rev., 1988, p.73. L’Autore ritiene le Merger Guidelines del 1982 “inconsistent and schizophrenic” perché sono basate sulle incompatibili metodologie delle due scuole di pensiero economico rivali. “The concentration standard reflects the influence of the Harvard school; the market-definition standard reflects that of the Chicago school; and other-factors
concentration data prevedono solo il punto di partenza per analizzare l’impatto concorrenziale di una fusione. Prima di stabilire se opporsi ad una fusione, il Department considererà tutti gli altri fattori rilevanti che riguardano il suo impatto concorrenziale”;74 questi “other factors”75 riflettono la necessità di abbandonare i rigidi schematismi della Scuola di Harvard e di permettere al Department una maggiore discrezionalità nella scelta di non opporsi a fusioni anche quando queste violino le soglie quantitative.76 Tra questi fattori non rientra l’efficienza, che comunque le Guidelines classificano come difesa solo per quelle fusioni che non sarebbero altrimenti rifiutate: “eccetto casi straordinari, il Department non considererà una rivendicazione di specifiche efficienze come un mitigating factor per una fusione che sarebbe altrimenti osteggiata. Il Department richiederà prove chiare e convincenti che la fusione produrrà sostanziali riduzioni dei costi”.77
Anche la FTC emanò nel 1982 il proprio Statement Concerning Horizontal Merger che sembra essere comunque più ricettivo alle efficiencies claims rispetto alle Merger Guidelines del 1982 in quanto garantisce di considerarle nel pre-complaint stage, teso a stabilire se perseguire una fusione, nell’esercizio di una prosecutorial discretion. “Dato che le efficienze sono considerate dalla Commissione come un policy matter, la parte o le parti che sollevano questa questione devono stabilire con prove sostanziali che le risultanti riduzioni dei costi non potevano essere ottenuti senza la fusione e chiaramente superano in valore qualsiasi aumento del potere di mercato”.78
Queste Guidelines sono state ritenute una guida descrittiva per l’analisi delle fusioni orizzontali basata sui principi dell’efficienza allocativa,79 eccessivamente rassomigliante al Attorney General’s Report del 1955 in quanto prospettante numerosi fattori che potrebbero essere esaminati nella valutazione della legalità di una particolare transazione.80
test similarly reflects the Chicago view. The affinity of the Xxxxxx Administration’s Justice Department for the Chicago School’s antitrust analysis – much of which denigrates the very Harvard-School paradigm upon which the concentration thresholds are based – tends to explain why it apparently hasn’t followed its own concentration guidelines”.
74 U.S. Department of Justice, 1984 Merger Guidelines, sec. 3.11.
75 I fattori contemplati nel 1982 erano, tra gli altri, la libertà di entrata, l’eterogeneità dei prodotti, l’ubicazione dei venditori, la disponibilità di informazioni relative i prezzi praticati dai concorrenti, la condotta delle società nel mercato e le performance storiche di quest’ultimo.
76 Xxxxxxx, op. ult. cit., p.93. L’Autore nota che “this is not really new; the antitrust agencies possessed broad discretion in choosing (or rejecting) cases long before the Guidelines were published. What is significant is that the combination of the Guidelines plus and attitude of general reluctance to intervene against mergers makes it possible to weaken enforcement substiantially while claiming that the new stance is rooted in careful, objective economic analysis”.
77 U. S. Department, 1982 Merger Guidelines, § V.A. “In any event, the Department will consider such efficiencies only in resolving otherwise close cases. Plausible efficiencies are far easier to allege than to prove. Moreover, even if the existence of efficiencies were clear, their magnitudes would be extremely difficult to determine”.
78 FTC Statement Concerning Horizontal Mergers (1982), in Trade Reg. Rep. §13.
79 Fox, op. ult. cit., p.299. L’FTC Statement “reflect the perceptions that economic learning is still evolving, and that economics does not permit line drawing on the basis of concentration or other numbers. The Guidelines are an example of where those lines may be drawn by a conservative Administration that feels it must draw some lines but nonetheless seeks to scale back government interference with private decision to merge”.
80 Xxxxxxxxxx, Ambiguity and discretion in the New Guidelines: some implications for practitionerists, in Antitrust L.J., xxxxxx 1993, p.476. “Recognized immediately as being entirely unadministrable, the FTC Statement rapidly took a back seat to the 1982 Merger Guidelines as an operative description of merger law” (cfr. ,sul tema, anche Xxxxxxx, op. ult. cit., p.486 “the FTC Statement contained no quantitative benchmarks and did not indicate the relative weight
Nel 1984 il Department riformò le Merger Guidelines concependo una significativa modifica al trattamento delle efficienze rispetto alla versione del 1982: il Department riteneva che la versione del 1982 avesse attribuito un “importante sviluppo nell’aumentata libertà concessa alle industrie americane per rafforzare l’efficienza attraverso le fusioni”, e i cambiamenti del 1984 erano contemplati per fare un ulteriore progresso in tale direzione.81 Inoltre, nell’introduzione si nota che la versione del 1982 aveva un tono restrittivo e fuorviante indicando che le efficiency claims sarebbero state considerate solo in casi straordinari; le Guidelines del 1984 attenuano significativamente la retorica anti-efficienza: particolarmente importante è l’utilizzo di una sliding scale trade-off opposta alle proposte che solo “extraordinary cases” e “otherwise close cases” meriterebbero la considerazione di una efficiency defence. La versione del 1984 stabilisce che le efficienze “non costituiscono una difesa per una fusione altrimenti anticoncorrenziale”, ma sono uno dei molti fattori presi in considerazione dal Department per determinare se perseguire una fusione.82 “Alcune fusioni che il Department potrebbe altrimenti perseguire possono essere ragionevolmente necessarie per raggiungere significative efficienze nette. Se le parti stabiliscono attraverso prove chiare e convincenti che la fusione raggiungerà tali efficienze, il Department considererà queste efficienze nel decidere se perseguire la fusione”.83 Così viene stabilito esplicitamente, per la prima volta, che il Department considererà le efficienze nella valutazione dell’opportunità di opporsi ad una transazione, e che, in tal modo, un efficiency defence potrebbe avere successo.
Le efficienze più significative per il Department includono, ma non sono limitate al, raggiungimento delle economie di scala, migliore integrazione delle capacità produttive, plant specialization, riduzione dei costi di trasporto ed analoghe efficienze relative a specifiche operazioni di produzione, servizio o distribuzione delle società che si fondono.84
Le Merger Guidelines del 1984, così, assumono che il principale beneficio delle fusioni all’economia è il loro potenziale ruolo di rafforzamento dell’efficienza e che, nella maggior parte dei casi, le società dovrebbero poter raggiungere le efficienze disponibili senza l’interferenza del Department.
the Commission would give to its stated evalutive criteria. As such, the FTC Statement offered feeble guidance to business decision-makers an quickly became a virtual cipher in antitrust merger analysis and practice”).
81 Department of Justice Statement Accompanying Release of Revised Merger Guidelines, 1984, §4.
82 Questi fattori, che, come è stato precedentemente evidenziato, riflettono i dettami della Scuola di Chicago, sono stati ampliati nel 1984: oltre all’efficienza, sono stati introdotti parametri molto importanti come quelli della concorrenza potenziale e internazionale.
83 Department of Justice, 1984 Merger Guidelines, §3.5. “The Department will reject claims of efficiencies if equivalent or comparable savings can reasonably be achieved by the parties through other means. The parties must estabilish a greater level of expected net efficiencies the more significant are the competitive risk identified”.
84 Briggs, An overview of current law and policy relating to mergers and acquisitions, in Collaboration among competitors, cit., p.228. “This laundry list of efficiencies provides fertile ground for lawyers, economists, and businessmen to find persuasive rationale with which defend transactions that fall well outside the boundaries of the statistical tests. This is the most difficult defence home run – a defence grand slam – but one or two have been hit”.
2.2 (c) La considerazione dell’efficienza nelle Horizontal Merger Guidelines del 1992 alla luce del Dopo Chicago e la Riforma del 1997
Negli ultimi anni allo schema di analisi proposto dalla scuola di Chicago sono venuti affiacandosi e sovrapponendosi altri modelli e teorie economiche per le quali si è parlato di “dopo Chicago”.85 Queste teorie partono dagli stessi presupposti della scuola di Chicago (qualsiasi politica antitrust deve basarsi su solide fondamenta economiche e il suo scopo precipuo è il “consumer welfare” misurato in termini di efficienza allocativa), tuttavia, mentre la scuola di Chicago basa la propria teoria sull’assioma che i mercati siano generalmente efficienti e le relative imperfezioni tendano ad essere eliminate tramite un meccanismo di “autocorrezione”; i “post-Chicagoans”86, invece, ritengono che le imperfezioni del mercato siano molto più frequenti e durature e che le imprese, anche non dotate di un rilevante potere di mercato, possano avvantaggiarsi di tali imperfezioni ponendo in essere comportamenti di carattere strategico.87
Secondo questa corrente, quindi, le distorsioni della concorrenza rese possibili dalle imperfezioni del mercato determinano l’esigenza di un maggiore intervento delle Corti e delle agenzie federali anche in aree (prezzi predatori, contratti di distribuzione, contratti leganti e concentrazioni verticali) dove, in genere, ai comportamenti delle imprese si sono nell’ultimo periodo riconosciuti effetti procompetitivi.
Esponente di punta di questa corrente post-chicagoista è Xxxxxx Xxxxx, il quale chiarisce che il suo “lavoro condivide il paradigma di base di Chicago, e si basa sull’importante elaborazione di giuristi di Chicago come Xxxxxx Xxxxxxx”, precisando, però, che va oltre quel modello, ed usa “un complesso più ricco e sofisticato di strumenti analitici”, che vanno dalla valutazione dinamico-strategica alla teoria dei giochi applicata all’oligopolio e alle imprese egemoni, sino, appunto, alle fonti potenziali di imperfezioni del mercato.88
Posto il generale consenso inerente gli effetti anticoncorrenziali prodotti dagli accordi orizzontali, Salop ha concentrato la propria attenzione sugli accordi verticali, notando che possono condurre a effetti di esclusione, aumentando i costi dei concorrenti rivali (cfr. input foreclosure, l’aumento dei costi di entrata dei concorrenti per la loro esclusione dall’accesso ad
85 Xxxxxxx, Le vicende dell’antitrust: dallo Sherman Act alla legge italiana n.287/90, in Riv. Dir. Ind., I, 1995, p.177. L’Autore sostiene che lo sviluppo dell’antitrust sia caratterizzato dal susseguirsi di cicli di opinioni più o meno contrastanti (si è passati dall’iniziale scuola di common law alle più evolute teorie della rule of reason, della concorrenza monopolistica, della concorrenza workable, della scuola “liberal” e dell’analisi economica di Chicago). 86 Quest’espressione è stata recentemente utilizzata da Xxxx, Post-Chicago analysis after Kodak, in ABA (Antitrust), fall/winter, 1992, p.20 e da Hawk, Recent antitrust developments in the United States, in Antitrust tra diritto nazionale e comunitario, Milano, 1996, pp.221-154. Inoltre l’espressione “after Chicago” appare nell’opera di Xxxxxxxxx, Antitrust policy after Chicago, in Michigan Law Rev., n.84, 1985, pp.213 ss..
87 In tale contesto si sottolinea la rilevanza di condotte anticoncorrenziali che insistono su fattori diversi dal prezzo (non price predation theories). Sotto quest’ultimo profilo si ritiene che le imprese possano usufruire di strategie che conducano ad un incremento dei costi, e quindi dei prezzi, dei concorrenti sopra il livello competitivo, determinandone l’uscita dal mercato nel lungo termine, senza quel sacrificio dei profitti di breve termine dell’impresa che pone in essere tali pratiche tipiche delle normali condotte predatorie (raising rivals’costs).
88 Xxxx, op. ult. cit., pp.23.
importanti entrate, e la costumer foreclosure, l’aumento dei costi di entrata dei concorrenti per la loro esclusione dall’accesso ad una sufficiente rete di fornitori), possono facilitare pratiche concordate espresse o tacite agevolando lo scambio di informazioni concorrenzialmente delicate, o possono consentire ad una società di violare une serie di regolamentazioni inerenti la fissazione di prezzi. Nel caso in cui si verifichino tali effetti negativi associati all’integrazione verticale, e siano altresì presenti benefici in termini di efficienza, sarà necessario soppesare tali effetti confliggenti in modo tale da permettere la stima netta degli effetti economici dell’operazione.89
Una recente elaborazione dottrinale di particolare interesse è la teoria dei giochi, disciplina che studia il comportamento umano quando esso sia influenzato dal comportamento o dal probabile comportamento di altri.90 Questa teoria mostra che l’oligopolista massimizza i suoi profitti anche indipendentemente da concertazione con concorrenti, tenendo lo stesso comportamento che risulterebbe dalla concertazione (comportamento as if, risultato dell’ equilibrio di Xxxx).91 92
Per questa teoria, il fondamento delle norme antitrust è velletario, posta la loro intima contraddizione che le rende capaci di perseguire le concertazioni ma non i comportamenti as if, che sono comunque inevitabili.93
Xxxxx ritiene che, insieme agli altri sviluppi della teoria economica, l’analisi dei comportamenti strategici contemplata dalla teoria dei giochi rappresenti il nucleo di ciò che è stato definito l’approccio post-Chicago. La teoria in esame, infatti, analizza i processi decisionali delle società, nei quali assumono particolare peso le probabili reazioni dei concorrenti, ed implica l’assunzione del modello oligopolista, piuttosto che i modelli di
89 Xxxxxxx, Xxxxx, Evaluating vertical mergers: a post-chicago approach, in Antitrust L. J., vol.61, 1995,
p.523. “In general, efficiency benefits can be weighed in evaluating the net competitive impact either by measuring the benefits on a case-by-case basis or by adjusting the required threshold of competitive harm or some combination of the two. Given that most vertical mergers generally lead to some efficiency benefits, it may be appropriate to adjust the threshold upwards, even before any case-by-case analysis of efficiency benefits”.
90 Fudenberg, Xxxxxx, Non-cooperative game theory for industrial organization. An introduction and overview, in Handbook of industrial organization, 1989 (edito da Schmalensee & Xxxxxx), p.259. La teoria dei giochi è descritta come “a way of modelling and analyzing situations in which each player’s optimal decisions depend on his beliefs and expectations about the play of his opponents”.
91 Franzosi, Monopolio-Oligopolio-Concentrazioni. Opinioni dissenzienti, in Quad. di Giurispr. Comm., 1989, p.18. L’equilibrio di Xxxx si realizza quando ciascun giocatore non collabora con l’altro e cerca in modo autonomo di massimizzare i suoi profitti.
92 Bentivogli, Trento, Economia e politica della concorrenza, Roma, 1995, p.100. La teoria dei giochi si divide in due rami principali: la teoria dei giochi cooperativi e quella dei giochi non cooperativi. L’ipotesi fondamentale che distingue i primi dai secondi è che nei giochi cooperativi i partecipanti possono comunicare tra loro prima che inizi il gioco, per definire accordi vincolanti per legge; ciò non è possibile nei giochi non cooperativi. Nel primo caso, l’unità rilevante per l’analisi è quindi il gruppo, la coalizione, mentre nel secondo è il singolo giocatore che agisce perseguendo il proprio interesse personale.
I comportamenti umani si possono classificare in a somma costante (zero-sum: quando il guadagno dell’uno è uguale alla perdita dell’altro) e a somma variabile (non zero-sum: quando il guadagno dell’uno è maggiore o minore della perdita dell’altro): l’attività economica è a somma variabile nel senso che il comportamento di concorrenza crea per un imprenditore un profitto non necessariamente uguale alla perdita creata ad un altro imprenditore.
93 Franzosi, op. ult. cit., p. 23. “Un effetto indiretto delle norme anti-trust è che, data la loro vaghezza (nel senso di incertezza), esse possono indurre gli oligopolisti che abbiano deciso il comportamento as if, a tenere un comportamento che non paia as if. Benché essi sarebbero determinati a tenere quello stesso comportamento che risulterebbe dall’accordo, essi non lo danno a vedere. Ma allora la funzione delle norme anti-trust si riduce ad essere
monopolio o di concorrenza perfetta che costituivano le basi del tradizionale approccio della Scuola di Chicago.94
La teoria dei giochi, infine, ha importanti implicazioni per molti aspetti dell’analisi delle fusioni, che concernono la stabilità degli schemi collusivi, la capacità delle società fuse di aumentare i prezzi anche in assenza di un parallelo incremento da parte dei concorrenti e la probabilità di ingresso nel mercato. Le agenzie federali, avendo utilizzato gli strumenti analitici contemplati dalla teoria dei giochi per valutare le transazioni, hanno ritenuto opportuno riflettere i principi da essa enunciati all’interno delle Merger Guideline del 1992.95
Le Horizontal Merger Guidelines del 1992, emanate, per la prima volta, congiuntamente dal Department of Justice e dalla FTC, rappresentano l’evoluzione dei modelli predisposti dalle agenzie federali per la valutazione delle fusioni orizzontali, riflettendo perfezionamenti e chiarificazioni degli approcci analitici, sia economici che legali, che erano stati articolati nelle Merger Guidelines del 1984.96
Le Guidelines suggeriscono un consolidamento nel riconoscimento delle efficienze da parte delle agenzie antitrust come fattore temperante nella valutazione delle fusioni potenzialmente anticoncorrenziali: “some mergers that the Agency otherwise might challenge may be reasonably necessary to achieve significant net efficiencies97…In addition, the Agency will reject claims of efficiencies if equivalent or comparable savings can reasonably be
come quella dell’arbitro di un incontro di catch, che finge di controllare che i contendenti si xxxxxxxx, mentre essi pure fingono”.
94 Xxxxxxx, Xxxxx, op. ult. cit., p.518.
95 Xxxxxxxxxx, op. ult. cit., p.470. L’Autore nota che le caratteristiche economiche dei differenti mercati in ogni caso variano ampiamente, e racchiudere in parole i fattori che devono essere esaminati e il modo in cui devono essere bilanciati in una valutazione economica moderna (in particolare sotto i complessi strumenti della teoria dei giochi) è un’operazione estremamente difficile. “If we tried to draft comprehensive merger guidelines that attempted to address all eventualities with specificity, the resulting product would resemble the regulations promulgated under the tax code”.
96 Xxxxx, Overview of the 1992 Horizontal Merger Guidelines, in Antitrust L.J., vol.61, 1993, p.447. Le Guidelines del 1992 sostituiscono le FTC Statement del 1982 e le Merger Guidelines del 1984, eccetto la quarta sezione di queste ultime (Horizontal effects from non-horizontal mergers), e perseguono lo scopo principale di aumentare la flessibilità attraverso vari accorgimenti: innanzitutto, la sostituzione delle disposizioni relativamente chiare presenti nelle Merger Guidelines del 1984 con termini più ambigui (per esempio, la durata dell’aumento di prezzo ipotizzato a fini di definizione del mercato rilevante, nelle Merger Guidelines del 1984 era prevista per un anno, mentre in quelle del 1992 per il “foreseeable future”). In secondo luogo, le Merger Guidelines del 1992 concedono una più ampia applicazione ad alcuni elementi che nelle Merger Guidelines del 1984 erano pertinenti solo in alcune limitate circostanze (per esempio, la lista di “other market factors”). In terzo luogo, vengono introdotti alcuni concetti, quali, per esempio, i “sunks costs”, che inevitabilmente complicano l’analisi antitrust. Infine, le Merger Guidelines del 1992 oscurano i merger standards a causa di alcune importanti omissioni. Per esempio, le Merger Guidelines del 1992 non stabiliscono espressamente se le efficienze devono beneficiare i consumatori nel caso in cui le stesse debbano essere considerate nella valutazione del governo dei benefici netti della transazione. Le Merger Guidelines del 1982 e del 1984 erano ugualmente silenziose sul punto, ma un discorso del Department del 1989 (Xxxxxxx, deputy assistant attorney general, Before the 29th annual antitrust seminar, Practicing Law Institute, 01.12.1989, in Trade Reg. Rep., par. 50, p.29) indicava che il passaggio dei benefici a favore dei consumatori era necessario per attribuire credito alle efficienze e, così, nella stesura delle Guidelines, questa previsione pur potendo essere inserita, non lo era stata.
97 U.S Department of Justice and FTC, 1992 Horizontal Merger Guidelines, §4. La sezione prosegue statuendo che “cognizable net efficiencies include, but are not limited to, achieving economies of scale, better integration of production facilities, plant specialization, lower transportation costs, and similar efficiencies relating to specific manufactoring, servicing or distribution operations of the merging firms. The Agency may also consider claimed efficiencies resulting from reductions in general selling, administrative and overhead expenses, or that otherwise do not relate to specific manufactoring, servicing or distribution operations of the merging firms, although, as a pratical matter, these types of efficiencies may be difficult to demonstrate”.
Le Guidelines non hanno comportato alcun cambiamento sostanziale nel concepimento del ruolo dell’efficienza, tranne una modifica relativa l’onere della prova (l’eliminazione del “clear and convincing evidence”) che sembrava, almeno nella visione della F.T.C., aver abbassato la soglia a carico delle parti della fusione, mentre il Department of Justice ha stabilito che il nuovo testo non implica alcuno spostamento dal precedente standard probatorio.
Nel 1993 il N.A.A.G. (National Association of States Attorney Generals) ha pubblicato le proprie Horizontal Merger Guidelines che adottano uno più scettico atteggiamento verso le pretese efficientistiche proposte innanzi agli Stati rispetto che innanzi alle agenzie federali antitrust. The N.A.A.G. Guidelines descrivono le efficienze ritenendo che queste giochino un ruolo relativamente minore nella loro valutazione delle fusioni e spiegano che tale atteggiamento è in parte basato sull’asserzione che “there is little likelihood that a productively efficient firm with market power would pass along a significant savings to consumers”.98 Tale previsione, comunque, non sembra essere coerente con le teorie microeconomiche che, a tal riguardo, sostengono che un monopolista che non si comporta in modo discriminatorio dovrebbe ridurre i prezzi a fronte di una diminuzione dei costi marginali e, con ciò, trasmettere a favore dei consumatori un significativo ammontare della riduzione dei costi (al fine di ottenere un profitto dalla riduzione dei costi attraverso un aumento delle vendite).99 Inoltre, le N.A.A.G. Guidelines proseguono argomentando che “most efficiencies and those most quantitatively significant will be realized in mergers involving small firms” e perciò “such mergers do not raise any concern” sotto i loro modelli di attuazione.100 Sembrerebbe così che i safe harbors contemplati da tali Guidelines possano proteggere la maggior parte delle efficienze, ma, come ha notato il commissario della FTC Xxx in una lettera a commento delle Guidelines, l’argomento confonde i concetti della dimensione delle società e delle sue quote di mercato.101
Nel 1997 la quarta sezione delle Horizontal Merger Guidelines è stata riformata al fine di inserire direttamente e più efficacemente l’efficienza all’interno dell’analisi degli effetti concorrenziali di una fusione.102 Il beneficio primario delle fusioni per l’economia è appunto il loro potenziale di generare tali efficienze. Queste ultime, infatti, possono stimolare la capacità delle società di concorrere grazie ad un abbassamento dei prezzi, un miglioramento qualitativo un rafforzamento dei servizi o la creazione di nuovo prodotti.
98 National Association of Attorneys General Horizontal Merger Guidelines (proposed revision and request for comments - 03.09.1992), in 226 Trade Reg. Rep. p.307, §2.
99 Non è chiaro, così, perché le N.A.A.G. Guidelines concludano che sia così improbabile che si verifichi questa fondamentale implicazione del profit-maximizing behavior del monopolista.
100 N.A.A.G. Guidelines § 2.12
101 Letter from Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxx to Xxxxx Xxxx Xxxxxx and Xxxxx O’Xxxxxx (05.11.1992): “It does not necessarily follow that the concentration thresholds will therefore provide safe harbors for most efficiency-enhancing mergers. The concentration thresholds are based on market shares, not size, but the degree to which efficiencies may be created depends crucially on size, not market share”.
102 Revised Section 4, Horizontal Merger Guidelines, in 4 Trade Reg. Rep. (CCH), 13, 104, (08/04/1997).
Prima dell’adozione delle Horizontal Merger Guidelines del 1992, la FTC e l’Antitrust Division del Department of Justice avevano formulato tre requisiti per l’ “efficiencies defence”: le efficienze dovevano essere dimostrate con clear and convincing evidence, dovevano essere merger-specific e gli effetti di esse dovevano passare a favore dei consumatori. A seguito dell’emanazione della riforma del 1997 ora le Horizontal Merger Guidelines stabiliscono esplicitamente solo il requisito merger-specific103 per il quale le efficienze devono essere attribuibili alla fusione e non possono essere raggiunte in un modo meno anticompetitivo (prendendo in considerazione solo alternative pratiche e non ipotetiche, quali per esempio espansione interna o collaborazione con i concorrenti).
La riforma poi definisce chiaramente quali efficienze “contano”, quelle che ora la quarta sezione definisce come “cognizable efficiencies”, ovvero quelle efficienze che siano state provate e che non siano derivanti da restrizioni anticoncorrenziali nella produzione o nei servizi.104 Tra queste rientrano “economie di scala, migliore integrazione della capacità produttiva, plant specialization, riduzione dei costi di trasporto” ed anche un rafforzamento dell’attività di ricerca e sviluppo (“dynamic efficiency”), oltre che riduzione dei costi e miglioramento della qualità dei prodotti.
L’analisi delle efficienze, infine, ora espressamente include uno sliding scale approach per cui all’aumentare dei probabili effetti anticoncorrenziali della fusione aumenta la dimensione di cognizable efficiencies necessaria per far concludere all’agenzia che la fusione non avrà un effetto anticompetitivo nel mercato rilevante.105
2.3 La valutazione dell’efficienza nella giurisprudenza della Corte Suprema
Negli anni Sessanta e Settanta la considerazione dei valori antitrust fu decisamente populista: venivano reputati imprescindibili dei valori sociali, politici ed economici che andavano dalla prevenzione della concentrazione industriale alla riduzione dell’influenza politica delle grandi imprese, dalla promozione dell’individual liberty e dello small business alla creazione di una entrepreneurial opportunity. Così, nell’applicazione delle leggi antitrust, la Corte enfatizzava la libertà dei commercianti e la concorrenza tra vari soggetti, non l’efficienza.
103 Revised Section 4, Horizontal Merger Guidelines, “The Agency will consider only those efficiencies likely to be accomplished with the proposed merger and unlikely to be accomplished in the absence of either the proposed merger or another means having comparable anticompetitive effects”.
104 Revised Section 4, Horizontal Merger Guidelines, “The Agency has found that certain types of efficiencies are more likely to be cognizable and substantial than others. For example, efficiencies resulting from shifting production among facilities formerly owned separately, which enable the merging firms to reduce the marginal cost of production, are more likely to be susceptible to verification, merger-specific, and substantial, and are less likely to result from anticompetitive reductions in output”.
105 Revised Section 4, Horizontal Merger Guidelines, “In the Agency’s experience, efficiencies are most likely to make a difference in merger analysis when the likely adverse competitive effects, absent the efficiencies, are not great. Efficiencies almost never justify a merger to monopoly or near-monopoly”.
Nel caso Philadelphia National Bank,106 per esempio, la Corte stabilì che una fusione che era stimata come idonea verosimilmente a ridurre la concorrenza “is not saved because, on some ultimate reckoning of social and economic debits and credits, it may be deemed beneficial”.107 Questa sentenza rifletteva un’era, quella della Xxxxxx Court, in cui, applicando un approccio strutturalista e preferendo la per se rule quale canone ermeneutico, si evitava, da un lato, la scomoda necessità di un bilanciamento tra concorrenti scopi di politica economica e sociale e, dall’altro lato, di occuparsi dell’efficienza economica. Nello stesso periodo, infatti, nei casi Brown Shoe108 e Procter & Gamble109 si evinceva che le fusioni dovevano essere condannate proprio a causa della creazione di efficienze, al fine di proteggere i concorrenti dalle più efficienti società oggetto di fusioni.110 Inoltre, in tali casi, i difensori negarono che le transazioni in oggetto fossero in grado di produrre efficienze, evidentemente in quanto temevano che la prova dell’efficienza avrebbe danneggiato le loro chances di successo.111
Questa visione sociale e politica dell’antitrust venne meno sotto la presidenza di Xxxxxxxxx alla F.T.C., durante l’Amministrazione Xxxxxx.112 Questo mutamento di prospettiva nell’analisi antitrust, che comportò una crescente attenzione per l’efficienza, si verificò così verso la fine degli anni Settanta e fu influenzato da una rapida ascesa dell’inflazione, da una più bassa produttività, da una bilancia dei pagamenti negativa, oltre che da una notevole scalata dei produttori giapponesi e tedeschi nel mercato globale.113
106 U.S. v. Philadelphia National Bank, 374 U.S. 321 (1963). Nel caso di specie, oltre a ritenere applicabile la settima sezione del Xxxxxxx Act anche alle concentrazioni tra enti creditizi, la Corte tracciò una sorte di illiceità presunta delle concentrazioni che, in un mercato altamente concentrato, superassero la soglia del 30%. La Corte non contestò neppure che la fusione in questione avrebbe portato alla comunità di Philadelphia una banca in grado di fare maggiori prestiti a tassi immutati ed osservò che “il Congresso ha vietato tutti i mergers restrittivi, sia quelli benefici che quelli malefici, ben consapevole, dobbiamo presumere, che qualche prezzo doveva essere pagato”.
107 Id a 371.
000 Xxxxx Xxxx Xx x. Xxxxxx Xxxxxx, 000 U.S. 294 (1962). In questo caso la Corte ritenne che le efficienze che potrebbero essere generate dalla transazione anticoncorrenziale non superano l’interesse politico ad un decentramento corporativo. “We cannot fail to recognize Congress’desire to promote competition through the protection of viable, small, locally owned businesses. Congress appreciated that occasional higher costs and prices might result from the maintenance of fragmented industries and markets. It resolved these competing considerations in favor of decentralization” (Id a 344).
109 Procter and Gamble v. United States, 386 U.S. 568 (1967). La Corte stabilì che “possible economies cannot be used as a defence to illegality. Congress was aware that some mergers which lessen competition may also result in economies but it struck the balance in favor of protecting competition”.
110 Xxxxxxxx, The recognition, status and form of the efficiency defence to a merger, in World Comp., vol. 22 1999,
p.110. L’Autrice nota che “the landmark case remains Brown Shoe where the antitrust agencies perversely argued that efficiencies constituted an offense rather than a defence”.
111 Dato che le parti non avevano addotto motivazioni efficientistiche il rigetto della “efficiency defence” in tali casi fu meramente dicta. I dicta sono dei principi che vengono formulati non tanto per la risoluzione del caso concreto ma per analogia o per esempio.
112 Xxxxxxxxx, Remarks at the eleventh New England antitrust conference, Boston, p.10, 18.11.1977: “Although efficiency considerations are important, they alone should not indicate competition policy. Competition policy must sometimes choose between greater efficiency, which may carry with it the promise of lower prices, and other social objectives, such as the dispersal of power, which may result in marginally higher prices”.
113 Fox, The modernization of antitrust: a new equilibrium, in Xxxxxxx L. Rev., vol.66, 1981, p.1143. L’Autore ritiene che l’antitrust degli anni Sessanta riflesse la democrazia politica americana, favorì la dispersione del potere economico e facilitò l’accesso ai mercati. Tuttavia, verso la fine degli Settanta l’antitrust “has become both target and scapegoat”; in dottrina si condannavano le decisioni giurisprudenziali perché frustranti il raggiungimento dell’efficienza e si denunciava la politica antitrust degli anni Sessanta come populista e protettiva degli “inefficient business”.
Le decisioni della Burger Court mostrano chiaramente un distacco dalla per se rule in favore di “an efficiency-oriented rule of reason”.114 Nella famigerata sentenza Sylvania del 1977 la Corte prese in considerazione motivazioni relative all’efficienza all’interno dell’analisi antitrust.115 Per la prima volta una Corte guardava una pratica commerciale con le lenti dell’analisi economica e stabiliva che l’efficienza costituiva un elemento centrale per la comprensione del significato concorrenziale della stessa. Inoltre, le opinioni della maggioranza dei giudici della Corte rivelavano una tendenza a promuovere la business freedom, o sulla base dell’assunto che la stessa tendeva a massimizzare l’efficienza o sulla base della teoria che una più ampia libertà della condotta economica privata fosse cruciale per una società libera.116
Da allora la Corte Suprema, analizzando le restrizioni anticoncorrenziali, riaffermò il ruolo centrale dell’efficienza in alcuni casi,117 tra cui B.M.I.118 e Northwest Wholesale Stationers.119 120 Comunque, per quanto concerne le fusioni, la situazione risultava essere differente, forse perché la Corte non aveva deciso, durante il periodo post-Sylvania, alcun caso in materia nel quale le efficienze avessero giocato un così preminente ruolo. Anche se le Merger Guidelines avevano riconosciuto che il beneficio primario arrecato dalle fusioni all’economia era il loro “efficiency- enhancing potential, which can increase the competitiveness of firms and result in lower prices to consumer”,121 questo riconoscimento non era stato tradotto dalle agenzie e dalle corti in
114 Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, Understanding antitrust and its economic implications, N.Y., 1998, p.111. Gli Autori notano che “the efficiency analysis derives from the ‘Chicago school’s’ reliance on price theory and its preference for the rule of reason. The rule of reason permits weighing competitive harm against economic benefit even when the allegedly unlawful conduct directly affects price competition. As applied, the rule frequently permits a market solution rather than antitrust intervention”.
115 Continental TV Inc. v. G.T.E. Sylvania, 433 U.S. 36 (1977). Questa sentenza divenne famosa perché con essa la Corte – applicando la rule of reason in contrasto con un consolidato orientamento giurisprudenziale – aveva riconosciuto la liceità di restrizioni verticali della concorrenza (le quali, per la Corte, “sono largamente usate nella nostra economia perché esistono numerosi supporti teorici e opinioni autorevoli a dimostrazione della loro utilità economica”) per il fatto che queste producevano “a variety of likely efficiencies”, fra cui la “stimulation of interbrand competition”. In essa cioè la Corte aveva ragionato per la prima volta espressamente in vista del perseguimento della “business efficiency”.
116 Fox, op. ult. cit., p.1155. L’Autore inoltre nota che “mentre la parola ‘power’ domina le opinioni antitrust della Xxxxxx Court, le parole ‘efficiency’ e ‘market impact’ hanno importanza nelle opinioni in materia antitrust della Burger Court” e che, comunque, quest’ultima non ha fornito uno specifico contenuto alla parola “efficiency”.
117 Si può citare, oltre alle due summenzionate sentenze, il caso Xxxxxx v. Sonotone Corp., 442 U.S. 330 (1979) ove il giudice Xxxxxx stabilì che i dibattiti legislativi sullo Sherman Act “suggerivano che il Congresso progettò lo stesso come un ‘consumer welfare prescription’ ”. Al riguardo Bork ha notato che il “consumer welfare prescription” racchiuso nelle leggi antitrust “is limited to a concern with economic efficiency”. (Bork, The antitrust paradox, cit., p.66).
118 Broadcast Music Inc. v. Columbia .Broadcasting System, 441 U.S. 1, 21 (1979). Il caso presentava una tendenza a supportare le pretese basate sull’efficienza, anche se la Corte lo aveva meramente rimandato per il suo esame alla stregua del criterio della rule of reason: in esso la Corte pensò che le efficienze legate ai costi transattivi – “a blanket license that is sold only a few, instead of thousands, of times”- conducessero verso “un sostanziale abbassamento dei costi” e così la “blanket licensing” fu salvata dalla condanna automatica.
119 Northwest Wholesale Stationers Inc. v. Pacific Stationery & Printing Co., 472 U.S. 284 (1985). In tale caso la Corte osservò che le cooperative di vendita all’ingrosso offrivano efficienze attraverso “economie di scala sia nell’acquisto che nell’immagazzinamento di scorte all’ingrosso” che, riducendo i costi, portavano, in ultima analisi, a prezzi più bassi. In entrambi i casi, così, l’integrazione economica tra i concorrenti comportava una riduzione dei costi attraverso una migliore efficienza produttiva.
120 Arquit, Xxxxxx, Efficiency considerations and horizontal restraints, in Antitrust Bull., winter 1991, p.722. Gli Autori ritengono che si debba “bear in mind, though, that the concept of productive efficiency is not limited merely to making more widgets per unit of input. Competitors who put on a trade show may reduce the costs of product promotion and decrease consumer search costs”.
121 U.S. Department of Justice and Federal Trade Commission, Horizontal Merger Guidelines (1992), § 4.
3) L’EFFICIENZA NELL’ANTITRUST COMUNITARIO
3.1 L’impermeabilità dell’antitrust comunitario alle teorie economiche in vista del perseguimento del mercato unico
La politica antitrust comunitaria ha sempre avuto come obiettivo prioritario la promozione dell’integrazione del mercato unico122 e, di conseguenza, ha mantenuto nel tempo un approccio strutturale, avendo come scopo di modificare la natura territoriale di un mercato. Da qui la palese differenza con il sistema antitrust statunitense che non ha dovuto utilizzare la politica antitrust come uno strumento per superare le barriere territoriali o per sviluppare, promuovere e mantenere il commercio interstatale, essendo un mercato comune già presente tra gli stati federali all’epoca dell’emanazione delle leggi antitrust. Così l’efficienza, anche se è comunque considerata un importante obiettivo di politica antitrust, è stata spesso sostituita in sede comunitaria dall’integrazione del mercato, finalità ritenuta intimamente connessa agli obiettivi comunitari.
In tale contesto, le regole antitrust comunitarie non sono coerenti con i principi economici proprio in virtù della prominenza di valori politici e sociali che rivestono un ruolo determinante nell’applicazione e nello sviluppo della politica comunitaria.123 In dottrina124 è stato notato che l’attuale politica antitrust comunitaria ha ancora molte caratteristiche proprie delle teorie strutturaliste degli anni Cinquanta e Sessanta e, in un periodo in cui l’obiettivo del mercato unico deve considerarsi raggiunto, la mancata recettività delle recenti teorie economiche sembra inammissibile, posta la sicura rilevanza dell’economia in campo antitrust.
Le recenti attività della Commissione fanno ragionevolmente attendere un maggior accoglimento delle recenti teorie economiche in materia antitrust; la Comunicazione sugli accordi di importanza minore,125 che ha eliminato le soglie di fatturato e che ha differenziato tra accordi orizzontali e verticali, costituisce un cambiamento significativo. Ancora più rilevanti
122 L’obiettivo dell’integrazione del mercato unico è stato affermato più volte, la prima Relazione annuale sulla politica di concorrenza esplicitamente enfatizzava la sua importanza: “la politica comunitaria deve, in primo luogo, prevenire che le restrizioni governative e le barriere - che sono state abolite – non vengano rimpiazzate da simili misure di natura privata” (Commissione CE, Prima Relazione sulla politica di concorrenza, 1972, p.13; principio poi riaffermato nella Settima (1978) p.9, Xxxxxx (1979) p.9 e Sedicesima Relazione (1987) p.5.
123 Xxxxxxxx, op. ult. cit., p.100. L’Autrice nota che, anche se durante la ciclica evoluzione della politica antitrust statunitense valori politici e sociali erano stati in certi periodi (l’era della Xxxxxx court) preminenti, questi non hanno mai raggiunto l’intensità degli stessi in sede comunitaria.
124 Xxx xxx Xxxxx, Modern industrial organisation versus old-fashioned european competition law, in E.C.L.R., vol.2 1996, p 75. L’Autore ritiene che “the gap between modern industrial organisation and European competition law needs to be bridged” e che “the failure to take account of economic insights has enabled EC competition rules to harm, rather than promote market integration”.
125 Comunicazione della Commissione relativa agli accordi di importanza minore, in G.U., C 37 del 09/12/1997, p. 13.
sembrano a tal proposito la Comunicazione sulla definizione di mercato rilevante,126 il Libro Verde127 e la Comunicazione sull’applicazione delle regole di concorrenza comunitarie alle restrizioni verticali.128 La Comunicazione sulla definizione di mercato rilevante, preparata da un economista in DG IV, ha una forte connotazione economica. Per quanto concerne la Comunicazione sulle restrizioni verticali, Xxx Xxxxx notava che “lo scopo della presente proposta di politica è di cambiare verso un approccio più economico” e la Comunicazione stessa prevede che “per porre rimedio alle carenze della politica attuale e tutelare più efficacemente la concorrenza, obiettivo primario della politica comunitaria in questo settore, è necessaria una valutazione nella quale prevalgano maggiormente le considerazioni di carattere economico”.129 Inoltre, anche Xxxxx ha ultimamente ritenuto che una chiarificazione e una revisione delle regole relative gli accordi orizzontali è necessaria alla luce delle modifiche intervenute nelle realtà economiche e, a tal riguardo, la riforma proposta adotterà un approccio maggiormente economico sia per le esenzioni di categoria che per i casi individuali.130
3.2 L’articolo 2 (1) (b) del Regolamento 4064/89: “lo sviluppo tecnico ed economico”
L’articolo 2, comma 3, del Regolamento 4064/89 stabilisce che “le operazioni di concentrazione che creano o rafforzano una posizione dominante, da cui risulti che una concorrenza effettiva sia ostacolata in modo significativo nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso, devono essere dichiarate incompatibili con il mercato comune”.131 Inoltre lo stesso articolo al primo comma contempla una serie di criteri che devono essere presi in considerazione nella valutazione di una fusione e tra questi vi è “l’evoluzione del progresso tecnico ed economico purché (la fusione) sia a vantaggio dei consumatori e non ostacoli la concorrenza”.
L’efficiency defence potrebbe trovare un referente normativo in sede comunitaria proprio in tale disposizione che, a prima vista, sembra permettere un bilanciamento tra gli effetti benefici collegati ad una fusione e la scoperta di una posizione dominante al fine di determinare
126 Comunicazione della Commissione sulla definizione di mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza, in G.U., C 372 del 09/12/1997, p.5.
127 Libro Verde sulle restrizioni verticali nella politica di concorrenza comunitaria, COM (96) 721 def..
128 Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle regole di concorrenza comunitarie alle restrizioni verticali, COM (98) 54 def.
129 Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle regole di concorrenza comunitarie alle restrizioni verticali ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza, cit..
130 Monti, Competition in a social market economy, discorso tenuto presso la Conferenza del Parlamento Europeo e della Commissione Europea su “Reform of european competition law”, in Friburgo in data 09-10/11/2000. La riforma deve tenere in considerazione che le “companies need to respond to increasing competitive pressure and a changing market place driven by globalisation, the speed of technological progress and the generally more dynamic nature of markets”.
131 Camesasca, The explicit efficency defence in merger control, in E.C.L.R., 1999, p.21. L’Autore nota che da tale articolo deriva “a cumulative two-tier test for compatibility with the Common Market, evolving around: (i) the creation or strengthening of dominance, and (ii) a subsequent finding of significant impediment of competition”.
se la fusione sia compatibile con il mercato comune.132 Tale considerazione dell’efficienza in tema di analisi delle fusioni non si discosta nettamente dalla possibilità di esenzione che può essere ottenuta da un accordo che contribuisca ad un miglioramento del progresso tecnico od economico in base all’articolo 81, comma 3, del Trattato. Xxxx, il concetto di “progresso tecnico ed economico” deriva direttamente dall’articolo 81, comma 3 e la Commissione ha indicato che tale espressione deve essere interpretata alla luce dei principi contenuti nello stesso articolo, così come enunciati dalla Corte di Giustizia.133 Tuttavia l’efficienza è trattata asimmetricamente nei due articoli perché in tema di fusioni il progresso deve essere a vantaggio dei consumatori e non deve ostacolare la concorrenza (perché in caso contrario l’efficienza non potrà essere presa in considerazione) mentre in tema di accordi l’efficienza può essere utilizzata per “vincere” una restrizione della concorrenza, sempre che la stessa non sia sostanziale.
La prospettabilità di una efficiency defence in sede comunitaria è stata smentita da una pluralità di argomentazioni tese ad escludere la possibilità che la formula contenuta nell’articolo 2, comma 1, lettera b, possa essere interpretata nel senso di permettere un bilanciamento degli effetti anticoncorrenziali di una fusione con i benefici da essa apportati.
In primo luogo, in dottrina sono state prospettate una serie di ragioni per escludere la considerazione dell’efficienza nella valutazione delle fusioni in sede comunitaria: innanzitutto, provare e quantificare le efficienze derivanti da una proposta transazione è “quasi impossibile”.134 Inoltre, anche se le efficienze possano essere dimostrate non è chiaro se esse debbano essere accettate come una difesa nel caso che sussista una posizione dominante. A tal riguardo, il testo del Regolamento è ambiguo e potrebbe essere interpretato sia nel senso di includere che di escludere l’efficiency defence. Da un lato, infatti, può essere sostenuto che il riferimento al progresso tecnico ed economico permetta un bilanciamento dello stesso contro una posizione dominante. Dall’altro lato, si può sostenere che una volta che la posizione dominante sia stata identificata, la fusione deve essere dichiarata incompatibile con il mercato comune senza prendere in considerazione l’esistenza di significative efficienze risultanti dall’operazione. Tale ragionamento è supportato dalle seguenti motivazioni: (i) il terzo comma dell’articolo 2 è il nucleo essenziale della disciplina da applicare e menziona solo la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante e la significativa restrizione della concorrenza, non contemplando il bilanciamento; (ii) è la stessa lettera del primo comma, lett. b, dell’articolo 2 che esclude che il progresso tecnico ed economico venga preso in considerazione nel caso in cui vi sia una posizione dominante e una restrizione della concorrenza; (iii) se dalla fusione deriva
132 Xxxx, Efficiency considerations in the assessment of horizontal mergers under European and U.S. antitrust law, in E.C.L.R., vol.8 1997, p.503. L’Autore rileva che tale disposizione non ha un “real impact, al fine di evitare l’introduzione di considerazioni di politica industriale nel merger enforcement, il cui scopo esclusivo deve essere la preservazione della concorrenza effettiva attraverso una inter-firm rivalry”.
133 Commissione, Diciannovesima Relazione sulla politica di concorrenza (1990), p.266; inoltre la stessa posizione è stata espressa nel verbale della riunione del Consiglio dei Ministri per l’adozione del Regolamento (pubblicato in C.M.L.R., vol. 4 1990, p.314) “the concept of technical and economic progress must be understood in the light of the principles enshrined in Article 85 (3) of the Treaty, as interpreted by the case law of the Court of Justice”.
134 Xxxxx, Xxxxxxxx-Xxxx, The EEC Merger Regulation, Londra, 1992, p.155.
Una conferma della mancata considerazione dell’efficienza nella valutazione delle fusioni nell’antitrust comunitario arriva anche da un esame delle proposte di regolamento. Le precedenti proposte del 1988 e 1989, infatti, permettevano l’autorizzazioni di fusioni nel caso in cui queste “contribuiscano alla realizzazione dei fondamentali obiettivi del Trattato in modo tale che, on balance, i loro benefici economici prevalgano sui pericoli che causano alla concorrenza”. L’eliminazione di tale disposizione nella versione definitiva del Regolamento può essere intesa, quindi, come un chiaro sintomo della volontà di escludere tale trade-off tra concorrenza ed efficienza in sede comunitaria.135
Infine, Xxx Xxxx Xxxxxxx, commissario responsabile per la politica antitrust al momento dell’emanazione del Regolamento, sottolineava che il criterio del progresso tecnico ed economico non avrebbe fatto rientrare all’interno dell’analisi antitrust comunitaria considerazioni di politica industriale ma doveva essere inteso come un mero fattore rilevante nella valutazione globale della fusione.136
3.3 Gli orientamenti della Commissione in tema di efficienza
In base al Regolamento 4064/89, la Commissione è investita del potere esclusivo di controllare le concentrazioni di dimensione comunitaria e, a tal fine, è stata costituita all’interno del DG IV una Merger Task Force per investigare le notifiche delle fusioni. Come negli Stati Uniti, il Regolamento ha adottato un sistema che contempla una notifica obbligatoria pre- fusione e un periodo di attesa in cui l’operazione è analizzata e le parti non hanno facoltà di chiudere la transazione.137
Nella valutazione delle fusioni, la Commissione segue una four-step analysis, investigando: la posizione di mercato delle società oggetto della fusione (quote di mercato ed altri vantaggi sui concorrenti), la struttura dell’offerta (la forza della concorrenza residuale), la struttura della domanda (il potere di acquisto dei consumatori) e la concorrenza potenziale
135 Proposta di Regolamento sul controllo di concentrazioni tra imprese, in O.J. 1989 C 22/14, articolo 2, comma 3. 136 Xxx Xxxx Xxxxxxx, The law and policy of merger control in the EEC, in Eur. Law Rev., vol. 15 1990, p.351. “The technical and economic progress which a merger may bring about will certainly form part of the Commission’s analysis of the reasons for a merger. However, this does not mean that such progress is a legitimate defence for a merger which creates a dominant position”.
(ingresso in nuovi mercati, ingresso nel mercato di un’impresa produttrice di un prodotto affine o capacità di espansione dei concorrenti).138 Quindi la Commissione analizza gli effetti della proposta transazione sulla concorrenza definendo il mercato rilevante e valutando se sussista o meno una posizione dominante. La Task Force conduce un inchiesta di fatto incentrata sulle motivazioni di mercato in base alle quali una fusione possa o meno creare o rafforzare il potere di mercato. Così l’approccio caso per caso della Commissione differisce sensibilmente dall’affidamento nutrito dalle agenzie americane sulle presunzioni basate sulla concentrazione del mercato. L’applicazione delle regole antitrust da parte della Commissione mostra che i criteri utilizzati per stimare la sussistenza di una posizione dominante sono stati non solo quantitativi (quote di mercato e grado di concentrazione del mercato rilevante, anche se non usati in modo sistematico come negli Stati Uniti) ma anche qualitativi (barriere d’ingresso, sostituibilità del prodotto e potere di acquisto dei consumatori). Tuttavia, e contrariamente all’approccio statunitense, l’analisi dell’efficienza non costituisce parte integrante dei canoni applicativi contenuti nel Regolamento. Inoltre, dato che la Merger Task Force della Commissione non ha emanato guidelines che chiariscano i parametri utilizzati per valutare le fusioni, questi ultimi andranno cercati nella pratica applicativa della Commissione.
A tal riguardo, per comprendere la valutazione del fattore dell’efficienza da parte della Commissione, si può citare la presa di posizione di una delegazione della stessa in una conferenza dell’OECD del 1995 in tema di considerazione dell’efficienza nell’analisi delle fusioni.139 In tale conferenza la Commissione asseriva che “non c’è una reale possibilità legale per giustificare un efficiency defence all’interno del Regolamento. Le efficienze sono ammesse per tutte le fusioni fino al limite della posizione dominante – the “concentration privilege”.”140
Per quanto concerne la giurisprudenza in tema di considerazione dell’efficienza nell’analisi delle fusioni, occorre rilevare che, ad oggi, non c’è stata alcuna decisione in materia da parte della Corte di Giustizia e tale fattore ha giocato un ruolo del tutto minore nella prassi attuativa della Commissione, con solo alcune decisioni in cui si dibatteva se la concentrazione potesse raggiungere il progresso tecnico ed economico di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b del Regolamento. 141
137 Le notifiche sono richieste quando le imprese interessate hanno un fatturato che superi determinate soglie: per gli Stati Uniti si veda l’Xxxx-Xxxxx-Xxxxxx Act, adottato come sezione 7° del Xxxxxxx Act, per l’Europa invece si veda l’articolo 5 del Regolamento 4064/89.
138 Commissione, Dodicesima Relazione annuale sulla politica di concorrenza, 1992.
139 La analisi della posizione della Commissione in tale conferenza è presa in considerazione da Xxxxxxxx, EU and US approaches to international margers – views from the US, FTC, EC Merger Control: 10th Anniversary Conference, 14 e 15 settembre 2000, in xxx.xxx.xxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxx.xxx .
140 Efficiencies claims in merger and other horizontal cooperative agreements, note by European Commission Delegation, in xxx.xxxx.xx/xxx/xxx/Xxxxxxxxxxx/XXXX00.xxx. La Commissione prosegue ritenendo che “any efficiency issues are considered in the overall assessment to determine whether dominance has been created or strengthened and not to justify or mitigate that dominance in order to clear a concentration which would otherwise be prohibited”.
141 Xxxxxxx, Xxxxx, Efficiencies issues in competition analysis in Australia, the European Union, and the United States, in Antitrust L.J., vol.64 1996 , p. 668. Gli Autori notano che la paucità di decisioni in materia è dovuta ad una serie di ragioni, quali l’entrata in vigore del Regolamento solo nel 1990, l’altezza delle soglie di definizione della dimensione comunitaria di una fusione automaticamente limita il numero delle transazioni soggette ad un’analisi sostanziale.
La casistica delle decisioni prese dalla Commissione in base al Regolamento rivela una graduale evoluzione nella valutazione delle efficienze. Nei primi casi, infatti, la Commissione aveva adottato una posizione prudente ritenendo le efficienze un fattore negativo che doveva essere utilizzato nel processo valutativo della posizione dominante, come possibile indizio per affermare la sussistenza della posizione stessa.142 Nel caso AT&T/NCR le possibili sinergie tra le parti della fusione venivano ritenute potenzialmente idonee a creare o rafforzare una posizione dominante.143 Se una fusione può condurre ad innovazioni che i concorrenti non possono raggiungere questa deve essere, prima facie, bloccata perché l’innovazione può portare ad una posizione dominante con evidente restrizione della concorrenza. In tale contesto le efficienze possono essere trasformate da antitrust defence in antitrust attack contro la transazione proposta.144 Così, inizialmente, la Commissione ha ritenuto le efficienze rese possibili dalla fusione come vantaggi a favore delle società oggetto della fusione che creano o rafforzano la posizione dominante.145
Il leading case in tema di efficienza nell’antitrust comunitario è il caso Aerospatiale- Alenia/De Havilland146 dell’ottobre del 1991 nel quale la Commissione ha dichiarato la proposta acquisizione da parte di ATR della divisione De Havilland della società Boeing incompatibile con il mercato comune e, quindi, proibita in base al Regolamento. La Commissione ha respinto l’efficiency defence ritenendo la riduzione dei costi di 5 milioni di Euro (circa lo 0,5% del fatturato delle società interessate) insufficiente a contribuire allo sviluppo del progresso tecnico ed economico di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b, del Regolamento. Inoltre, la Commissione ha ritenuto che il progresso generato dalla transazione non avrebbe comunque apportato benefici ai consumatori. Comunque, dal testo della decisione sembra potersi desumere che la Commissione non ha escluso che argomentazioni inerenti l’efficienza siano rilevanti nella valutazione di una fusione.147 Xxxx, a tal riguardo, sono indicati i requisiti necessari affinché una difesa basata sull’efficienza possa essere accolta: la riduzione dei costi deve essere sostanziale, l’onere della prova spetta alle parti, le efficienze devono essere “merger-specific” e devono
Infine, quantificare le efficienze potenziali è difficile, e c’è anche incertezza se, in ogni caso, le dimostrate efficienze possano giustificare la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante.
142 Banks, Non-competition factors and their relevance under european merger law, in E.C.L.R., vol.3 1997, p.183. 143 American Telephone & Telegraph Co. and NCR Corp., caso IV/M.050, in C.M.L.R., vol.4 1992, p.41. “It is not excluded that potential advantages flowing from synergies may create or strengthen a dominant position”, tuttavia la Commissione non impedì la fusione proprio perchè riteneva che essa non fosse in grado di realizzare efficienze: “the possible advantages which AT&T hopes to gain from this concentration are for the moment theoretical and have yet to be proved in a future market place” (paragrafo 30).
144 Jenny, EEC merger control: economies as an antitrust defence or an antitrust attack?, in International antitrust law and policy, Xxxxxxx Corp. Law Institute 1992, New York, p.591. L’Autore sostiene che un approccio simile è stato tenuto anche in alcuni altri casi (Drager/IBM/HPM e Pan Am/Delta del 1991) ove la Commissione sembra insinuare che i vantaggi concorrenziali che possono essere ottenuti con le joint ventures sono di per sé un motivo di preoccupazione.
145 Hawk, Huser, EC merger control: a practitioner’s guide, The Hague, 1996, p.268. Per gli Autori l’iniziale atteggiamento della Commissione era propenso a considerare incompatibili con il mercato comune le fusioni che permettevano di offrire nuovi prodotti o servizi con una migliore ratio qualità/prezzo.
146 Aerospaziale-Alenia/De Havilland, caso IV/M.053, in O.J., 1991, L 334/42.
147 Aerospaziale-Alenia/Xx Xxxxxxxxx, cit., “Without prejudice as to whether such considerations are relevant for assessment under article 2…” (paragrafo 65).
essere a vantaggio dei consumatori (mentre nel caso di specie la riduzione dei costi non era significativa, le efficienze non erano merger-specific, in quanto “these cost savings would not arise as a consequence of the concentrations per se”, e non erano a vantaggio dei consumatori, in quanto ci sarebbero state meno scelte per i consumatori e un incentivo per la società risultante dalla fusione ad aumentare i prezzi; inoltre, la riduzione dei costi era stata meramente identificata “although not quantified”).
Più recentemente la Commissione sembra aver modificato il proprio atteggiamento in tema di efficienza, guardando alla stessa in una luce più positiva, sempre che essa non sia raggiunta a spese della concorrenza. Nel caso Accor/Wagon-Lits148 Accor aveva invocato il fattore del progresso tecnico ed economico dato che la fusione permetteva di migliorare l’addestramento del personale e di modernizzare alcune infrastrutture. La Commissione, tuttavia, rigettava tali argomenti perché le prove erano insufficienti e non era sicuro che i benefici derivanti dalla fusione avrebbero superato gli effetti anticompetitivi della transazione e sarebbero stati in favore dei consumatori.
In altri casi le argomentazioni basate sulle efficienze sono state respinte proprio perché insufficienti a controbilanciare gli effetti anticompetitivi della fusione149 o perché non ritenute essere merger-specific.150
Altri casi, tra cui Xxxxxxxxxx/Valourec/Ilva151 e Mercedes-Benz/Kassbohrer,152 mostrano invece che la Commissione è pronta ad affidarsi alle efficienze per permettere una fusione. Nel primo caso sembra che la Commissione implicitamente si affidi a considerazioni relative la politica industriale e l’efficienza, tenendo tra l’altro conto anche dei concorrenti al di fuori della Comunità Europea. Nel secondo caso, inoltre, la Commissione, seppur cosciente che la transazione avrebbe prodotto alcune sinergie economiche, ha ritenuto che mancassero prove sufficienti per ritenere che le suddette sinergie potessero essere raggiunte solo attraverso la proposta transazione.
Inoltre, le efficienze sono state centrali nel caso ABB/Daimler-Benz, ove la Commissione ha valutato le proposte sinergie e ha ritenuto che “la transazione non peggiorerà la situazione (le condizioni concorrenziali); structurally speaking it will tend to improve it”.153
Così l’efficienza economica, anche se difficilmente gioca un ruolo determinante nella maggioranza delle fusioni esaminate in virtù del Regolamento, rimane una potenziale arma per difendere una fusione che sollevi preoccupazioni concorrenziali, almeno in quelle circostanze in
148 Accor/Wagon-Lits, caso IV/M.126, in O.J., 1992, L204/1.
149 Si veda, tra gli altri, MSG/Media Service, caso IV/M.469, in O.J., 1994, L364/1. In esso la Commissione ha confermato che il parametro del progresso tecnico ed economico può essere preso in considerazione solo qualora non vi sia un ostacolo per la concorrenza.
150 Si veda, tra gli altri, Nordic Satellite Distribution, caso IV/M.490, in O.J., 1996, L53/20. In esso la Commissione aveva proibito una joint venture, che comportava economie di scala e di dimensioni, in quanto gli effetti anticompetitivi generati non erano ritenuti necessari per il raggiungimento delle efficienze.
151 Xxxxxxxxxx/Valourec/Xxxx, caso IV/M.315, in O.J., 1994, L102/15.
152 Mercedes-Benz/Kassbohrer, caso IV/M.477, in O.J., 1995, L211/1.
153 ABB/Daimler-Benz, caso IV/M.580, in O.J., 1997, L 11/1, paragrafo 112.
Ritengo possa sostenersi che il requisito ex articolo 2, comma 1, lettera b del Regolamento in base al quale non deve esserci ostacolo per la concorrenza per prendere in considerazione il progresso tecnico ed economico possa essere interpretato nel senso che non sia disponibile un’efficency defence nell’antitrust comunitario. Nel recente caso Danish Crown/Vestjyske Slagterier la Commissione ha stabilito che, dato che la concentrazione in questione creerebbe una posizione dominante, “gli argomenti di efficienza delle parti non possono essere presi in considerazione”.154 In pratica, sarà possibile che la Commissione si astenga dalla scoperta di una posizione dominante nel caso in cui ritenga che le efficienze giochino un ruolo importante nel quadro della fusione. In tal caso sembra essere palese la fatuità della questione relativa la disponibilità di un efficiency defence all’interno dell’antitrust comunitario: il margine di discrezionalità della Commissione è talmente ampio che le considerazioni relative l’efficienza possono esercitare un’influenza anche a prescindere dalla rigorosa posizione espressa nel Regolamento.
Tale conclusione, poi, è supportata dalla considerazione che la Commissione è un organo collegiale di natura inerentemente politica le cui decisioni spesso non seguono, opponendosi alle opinioni della Merger Task Force, una rigorosa analisi economica, così come evidenziato nei casi Mannesmann/Valourec/Ilva155 e Boeing/McDonnell Xxxxxxx.156 La percezione della influenza politica nelle decisioni della Commissione in tema di fusioni, poi, è aggravata dalla mancanza di trasparenza del processo decisionale e dalla limitata possibilità di ottenere una revisione giudiziale delle decisioni della Commissione.157
In dottrina158 è stato rilevato che la Commissione sembra prendere in considerazione le efficienze all’interno del processo valutativo della fusione proprio al fine di evitare accuse di non attenersi esclusivamente ai confini semantici contenuti nel Regolamento attraverso l’inclusione di considerazioni di politica industriale. La volontà della Commissione di tenere conto delle efficienze implicitamente nel processo di formazione della propria decisione è il principio formulato nel caso Cyanamid/Shell; in esso, la scoperta di una posizione dominante è stata evitata dato che “un’analisi focalizzata solo sulle quote di mercato non è particolarmente probatoria in un industria dinamica e con intensa ricerca e sviluppo”.159
154 Danish Crown/Vestjyske Slagterier, caso IV/M.1313, in O.J., 2000, L20/1, paragrafo 198.
155 Xxxxxxxxxx/Valourec/Ilva, cit..
156 Boeing/McDonnell Xxxxxxx, caso IV/M.877, in O.J., 1997, L336/16.
157 Fino ad oggi solo una decisione è stata sottoposta a revisione nella sostanza (French Republic and Società Commerciale des Potasses et de l’Azote (SCPA) e Enterprise Miniere et Chimique (EMC) v. Commission, casi riuniti C-68/94 e 30/95 del 31/03/1998).
158 Camesasca, op. ult. cit., p.26. L’Autore ritiene che le quote di mercato sono una prova importante della posizione dominante, mentre gli aspetti dinamici del mercato (entrata, uscita, fluttuazioni delle quote di mercato, ruolo dell’innovazione) hanno chiaramente assunto un ruolo notevole nell’approccio della Commissione, anche per la necessità di fare alcune previsioni circa gli futuri sviluppi del mercato.
159 Cyanamid/Shell, caso IV/M.354, in O.J., 1993, C 273/6, paragrafo 23.
Occorre infine rilevare che il recente orientamento della Commissione teso ad analizzare con maggiore attenzione gli aspetti economici inerenti le fusioni sembra prospettare la possibilità che l’efficienza possa essere presa maggiormente in considerazione nel prossimo futuro. In un recente discorso effettuato a seguito del caso General Electric/Honeywell,160 il Commissario Xxxxx ha sottolineato che lo scopo principale della politica anti-fusioni è la protezione del consumer welfare e non della posizione dei concorrenti. Di conseguenza, l’efficienza verrà presa in considerazione anche quando la fusione avrà effetti negativi sui concorrenti, sempre che venga dimostrata l’idoneità della stessa a beneficiare i consumatori.161
4. CONCLUSIONE
Le autorità statunitensi e comunitarie hanno applicato la disciplina relativa le fusioni piuttosto con indulgenza. Tale assunto è in linea con la filosofia contenuta nelle previsioni rilevanti, che proibiscono solo quelle fusioni “il cui effetto possa essere quello di restringere sostanzialmente la concorrenza”162 negli Stati Uniti, o “il cui risultato comporta che l’effettiva concorrenza sarebbe impedita in modo significativo”163 nella Comunità Europea.
Tuttavia, le autorità hanno utilizzato diversi modelli di analisi che hanno direttamente influenzato il recepimento, il ruolo ed il contenuto degli argomenti relativi l’efficienza. Ponendo grande enfasi sulle quote di mercato come presunzione di illegalità, le Merger Guidelines statunitensi considerano altri fattori al fine di poter ricalibrare o rettificare la valutazione quando una fusione rappresenta la sola possibilità per raggiungere efficienze sostanziali, a patto che tali efficienze siano sufficienti a controbilanciare gli effetti anticompetitivi risultanti dall’aumento della concentrazione. Così in futuro si può ipotizzare che negli Stati Uniti le efficienze potranno controbilanciare una fusione altrimenti anticompetitiva secondo uno sliding-scale standard, rendendo praticamente impossibile salvare una fusione quando il mercato post-fusione è estremamente concentrato.
L’approccio europeo in materia è stato più flessibile, utilizzando un inchiesta ad hoc che sia idonea ad esaminare un ampio spettro di fattori che possono concernere la concorrenza nel mercato rilevante. Tuttavia, non sembra possibile considerare il fattore dell’efficienza nel caso in cui sussista una posizione dominante e comunque una sostanziale restrizione della concorrenza nel mercato rilevante. In tali casi si potrebbe prospettare una considerazione dell’efficienza solo implicitamente all’interno del processo valutativo che porti ad astenersi dal
160 General Electric/Honeywell, caso IV/M.2220, decisione non pubblicata in data 25/09/2001.
161 The Future for Competition Policy in the European Union, Merchant Xxxxxx'x Hall London, 09/07/2001. “We are not against mergers that create more efficient firms. Such mergers tend to benefit consumers, even if competitors might suffer from increased competition. We are, however, against mergers that, without creating efficiencies, could raise barriers for competitors and lead, eventually, to reduced consumer welfare”.
162 Settima sezione del Xxxxxxx Act
163 Regolamento 4064/89, articolo 2, comma 3.
riconoscimento di una posizione dominante nel caso in cui le efficienze siano notevoli e si sia in presenza di interessi di politica industriale.
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