Unioni civili
Unioni civili
I contratti di convivenza tra forma e sostanza
di Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Con una commistione concettuale ritenuta da più parti se non altro discutibile, il legislatore delle “unioni civili” ha introdotto ulteriori disposizioni - contenute nella medesima L. n. 76/2016, dal comma 50 in poi dell’articolo unico -, mosso dall’esigenza di disciplinare i “contratti” tra i conviventi more uxorio, i quali intendano regolare e, soprattutto, formalizzare i loro rapporti economici e patrimoniali.
Anche se la prassi e le istanze sociali, invero, non avevano fatto emergere l’urgenza di dare una cornice legislativa e, in un certo senso, anche una veste normativa formale a tali patti - diversamente, è sin troppo ovvio rilevarlo, da quanto è accaduto per le “unioni civili”, la cui regolamentazione legislativa è stata preceduta da un dibattito vivacissimo e si pre- sentava, in ogni caso, come strumento essenziale per garantire la realizzazione dei “diritti” reclamati dalle coppie dello stesso sesso - vi è chi del tema si era già occupato (1), anche in tempi non sospetti (2), non
mancando anche commissioni apposite di professio- nisti e studiosi impegnate a mettere a fuoco le diverse problematiche giuridiche (3), che potremmo definire ‘sostanziali’, di cui tuttavia il legislatore non sembra essersi interessato più di tanto, avendo preferito pun- tare sugli aspetti ‘formali’ della vicenda (4).
Va da sé che l’intrinseca (e anche ineliminabile, va ribadito a fronte della “formalizzazione” dei rapporti patrimoniali, ora prevista dal legislatore) fattualità della convivenza (5) - appare persino ovvio che in essa può realizzarsi ed esprimersi, sul piano “sociale”, una delle “formazioni” tutelate dall’art. 2 Cost., che per tradizione di pensiero viene avvicinata alla famiglia, in tal senso comu- nemente definita “di fatto”, così come la convi- venza è detta more uxorio - ha sempre determinato, per un verso l’attenzione dell’ordi- namento per la rilevanza di tale fatto, produttivo di rapporti e situazioni personali e patrimoniali
(1) Per tutti, Balestra, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale, in Giust. civ., 2014, 133 e ivi tutti i necessari riferimenti; nonché Delle Monache, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (alle soglie della rego- lamentazione normativa delle unioni di fatto), in Riv. dir. civ., 2015, 948; in chiave anche comparatistica, Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive in Italia e in Europa, Padova, 2012.
(2) Si veda, esemplificativamente, I contratti di convivenza,a cura di Xxxxxxx - Xxxxxxx, Torino, 2001, con gli atti di un convegno romano del 2000, nonché Stare insieme. I regimi giuridici della convivenza tra status e contratto, a cura di Xxxxxxxx - Xxxxxxx, con presentazione di Rodotà, Napoli, 2001.
(3) In particolare, in ambito notarile: si veda la “Guida operativa in tema di convivenza. Vademecum sulla tutela patrimoniale del convivente more uxorio in sede di esplicazione dell’autonomia negoziale”, 2013.
(4) Volendo sintetizzare, le questioni com’è noto erano relative:
(a) al nesso con la disciplina dell’obbligazione naturale, ossia alla possibilità di rendere convenzionalmente coercibile la prestazione caratterizzata dall’adempimento di un dovere morale o sociale; (b) al carattere atipico del contratto e alla stessa “causa” delle attri- buzioni patrimoniali, evidentemente giustificate dal legame affet- tivo e dunque dalla comunione di vita materiale e spirituale, quale fatto determinante le dette attribuzioni; (c) alla regolamentazione negoziale degli interessi (puramente) personali, ovvero all’inci- denza sulla condizione personale dei conviventi di eventuali pat- tuizioni ‘punitive’ (del tipo, ad esempio, di “clausole penali”, legate a condotte qualificabili in termini di inadempimento), idealmente
accostabili a disposizioni speculari, ma di carattere, al contrario, “premiale”; (d) agli spazi operativi della disciplina convenzionale degli interessi economici e patrimoniali in senso stretto; (e) alla forma richiesta per la validità di tali accordi; (f) ai margini di disponibilità degli interessi dei conviventi con riferimento alle vicende successorie e, soprattutto, al divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c.
(5) Dovrebbe essere scontato che le questioni connesse alla convivenza come “fatto” sono concettualmente diverse (e distanti) dalle vicende dell’“atto” - ossia il “contratto”, in cui trovano ‘forma’ gli accordi di natura patrimoniale -, sicché le prime si porranno comunque, indipendentemente dall’esistenza del contratto, a fortiori del “tipo” disciplinato dal legislatore (per l’idea del nuovo contratto tipico, si veda, ad esempio, Xxxxxx, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di xxxxx- xxxxx, in Famiglia e dir., 2016, 943). Ciò implica, logicamente, che non può essere certo l’esistenza, ossia il perfezionarsi, della “forma” (con cui la legge disciplina l’atto, nello specifico il con- tratto di convivenza) requisito ‘costitutivo’ della convivenza, che esiste - rectius, rileva o non rileva - per l’ordinamento non certo in funzione della formalizzazione di un atto (a differenza, s’intende, del matrimonio, che non è classificabile tra i fatti e costituisce un istituto giuridico, tradizionalmente dipendente dall’esistenza di specifici e predeterminati elementi formali). Il punto è ben chiarito anche da Xx Xxxx, I contratti di convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 696, e la discussione appare, dunque, piuttosto oziosa e potenzialmente fuorviante, rispetto ai problemi ‘sostan- ziali’ da risolvere nel “rapporto” nascente dalla convivenza (come fatto).
non relegabili nella nebulosa area del “non diritto” (6), e dunque da disciplinare (seppure in specifici contesti) (7), al fine di offrire una tutela ai conviventi sul piano personale (mimando, per quanto possibile, gli schemi della tutela coniugale), per altro verso gli interrogativi degli studiosi sulle modalità per dare una veste giuridica (anche) sul piano formale ai rapporti nascenti dal (o anche soltanto connessi al) mero fatto.
Ancorché more uxorio sul piano sociale, la convivenza non avrebbe potuto essere ammessa, per principio evidentemente, a godere delle tutele predisposte per il rapporto coniugale, ossia la relazione familiare “fondata sul matrimonio” (e dun- que validamente formalizzata). Di conseguenza, la soluzione alle diverse problematiche insorte dal “fatto giuridico” è rimasta a lungo affidata all’inter- prete, trovandosi dottrina e giurisprudenza nella necessità di elaborare modelli utili per impostare correttamente l’argomentazione giuridica. Valga per tutti l’esempio del consolidato ricorso alla cate- goria, espressione della più radicata tradizione con- cettuale civilistica, dell’obbligazione naturale (8). Interviene oggi il legislatore ‘suggerendo’ la forma- lizzazione dei patti tra i conviventi (9), con le forme e gli effetti disposti dalla nuova disciplina, la quale tuttavia presenta, a dire dei più autorevoli studiosi
della materia sinora pronunciatisi, luci e (soprattutto) ombre (10), mentre sembra incontrovertibile la con- statazione secondo la quale rimane immutata la possi- bilità dei conviventi di fare ricorso ad accordi/contratti diversi da quelli proposti dal legislatore (11). Al detto suggerimento proveniente dalla novella, peraltro, si aggiungono alcune norme (anch’esse non andate esenti da critiche) che, indipendentemente dal “contratto” (ossia per il mero e diverso, come già chiarito, fatto della convivenza) attribuiscono diritti e tutele al convivente
- si ritiene di garantire dirittia quello, presuntivamente, in condizione di debolezza economica nel rapporto bilaterale -, come nel caso dell’estensione (parziale) della disciplina dell’impresa familiare (con il nuovo art. 230 ter c.c.), e della previsione degli alimenti per il convivente bisognoso (comma n. 65).
Trattandosi di disposizioni relative (non già al con- tratto, bensì direttamente) al rapporto, originato dal mero fatto e ritenuto rilevante dall’ordinamento come appena ricordato, nel silenzio del legislatore rimangono i dubbi sulle potenzialità dell’autonomia privata (mediante il contratto, posto al centro delle nuove disposizioni), all’interno della più generale questione degli spazi concessi dall’ordinamento all’autonomia privata nei rapporti familiari e, ponendosi in una prospettiva ancora più ampia e apicale, nelle vicende attinenti ai diritti della per- sona (12). In altri termini, ci si può domandare se,
(6) Richiamando la nota concezione del civilista e sociologo francese, particolarmente attento alle problematiche dei rapporti familiari, Carbonnier, Flexible droit, Paris, 1969, 34 s. (anche in versione italiana, Flessibile diritto, Milano).
(7) Sono diversi gli interventi legislativi, nei quali la convivenza è stata considerata elemento della fattispecie normativa, per dar vita alle varie forme di tutela, in contesti e rapporti giuridici anche molto diversi ed eterogenei; per un’ampia elencazione, all’interno di una motivazione esemplare in argomento, si veda: Xxxx. 20 giugno 2013, n. 15841, in Giust. civ., 2013, 7-8, 1537.
(8) Sula “contrattualizzazione” dell’obbligazione che, tra i con- viventi, esprime l’adempimento di un “dovere morale e sociale”, si veda Spadafora, L’obbligazione naturale tra conviventi ed il problema della sua trasformazione in obbligazione civile attra- verso lo strumento negoziale, in I contratti di convivenza, cit., 157, ma anche Balestra, Le obbligazioni naturali, in Trattato Cicu-Messineo, cont. Mengoni e dir. Xxxxxxxxxxx, Milano, 2004, 107, nonché Id., Convivenza more uxorio, cit., 143.
(9) Si nota che, in molti casi, gli enunciati normativi potrebbero, almeno in linea di principio, risultare utili nella redazione dei contratti, in quanto indicano cosa possa essere “contenuto” del contratto (come nel caso del n. 53), ma la tipologia delle norme è variegata: in altri casi, esse sanciscono l’invalidità del contratto (nn. 50, 57), disciplinano la sua “opponibilità ai terzi” (n. 52) ovvero dettano le regole per la “risoluzione” (nn. 59, 60), a parte la norma aggiunta alle disposizioni di diritto internazionale privato (con l’art. 30 bis, L. 218/1995), così come la previsione degli adempimenti a carico del professionista che riceve l’atto (notaio o avvocato, “che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico”, n. 51).
(10) A commento delle nuove norme si vedano, tra i lavori più significativi: Villa, Il contratto di convivenza nella legge sulle unioni
xxxxxx, in Riv. dir. civ., 2016, 1319; dello stesso A., Lagattafrettolosa e i contratti di convivenza, in Corr. giur., 2016, 10, 1189; X. Xxxxxxx, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia?, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 390; Xx Xxxx, I contratti di convivenza, cit., 694; X. Xxxxxx, “Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016, 893 e Id., Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: spunti di riflessione, in Giust. civ., 2016, 255; Xxxxxxxx, Cuffaro - Ferrando (a cura di), Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, in Giur. it., 2016, 1771; Lenti, Convivenze di fatto - Gli effetti: diritti e doveri, in Famiglia e dir., 2016, 931; Xxxxx, Dal diritto vivente al diritto vigente: la nuova disciplina delle convivenze - Prime riflessioni a margine della l. 20 maggio 2016 n. 76, in Nuove leggi civ., 2016, 665; Bona, La disciplina delle convivenze nella l. 20 maggio 2016 n. 76, in Foro it., 2016, I, 2093; X. Xxxxxxxxx, Unioni civili e convivenze, in Famiglia e dir., 2016, 845; da ultimo, X. Xxxxx, Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale, a margine di Cass. 8037/2016, in Xxxx xx., 0000, X (xx xxxxx xx xxxxxx).
(11) È la tesi sviluppata da Xxxxx, Il contratto di convivenza nella legge sulle unioni civili, cit., 1320, 1350, il quale ritiene, in modo ineccepibile, che “continua a sopravvivere il diritto degli interes- sati di stipulare un contratto di convivenza, per così dire, di ‘diritto comune’” (p. 1352).
(12) Nella prospettiva di studio dei temi generali sul “con- tratto”, ad esempio, la “interferenza” dei piani è messa in luce, tra gli altri, da Xxxxxx, Contratto e famiglia, in Trattato del con- tratto, dir da Roppo, VI, Interferenze, 2006, spec. 349 su “con- tratto e regimi patrimoniali della famiglia di fatto”. Per alcuni spunti in chiave comparatistica, si vedano, in aggiunta a Oberto, I diritti dei conviventi, cit., i contributi di Xxxxxx - Xxxxxxxx - Ieva, in I
nel disciplinare - sia pure in modo parziale e, in alcuni casi, discutibile - tanto l’atto (il contratto) quanto il rapporto di convivenza, il legislatore abbia inteso dischiudere ai privati gli spazi dell’autonomia negoziale (e così incentivare la regolamentazione convenzionale delle convivenze) ovvero, al contrario, fissare le modalità ma anche i limiti (inderogabili, evidentemente) dell’autonomia in quest’ambito di rapporti (13).
Sono ormai numerosi gli studi e i commenti che hanno analiticamente trattato le diverse questioni, non soltanto di carattere esegetico s’intende, che la nuova disciplina pone e non si può far altro, in questa sede, che rinviare ai detti contributi, non senza tuttavia svolgere un paio di rapide considera- zioni generali - nel rispetto della sinteticità dell’e- ditoriale, con cui si presenta la nostra Rivista nella sua nuova veste - sull’assenza di una decisa e dunque chiara opzione di politica del diritto da parte del legislatore (pur così attento, in taluni casi,a dettagli di natura procedimentale e redazionale degli even- tuali “contratti” tra conviventi), tale da supportare concretamente l’interprete nella soluzione dei pro- blemi (per certi versi ovvi, si sarebbe tentati di dire, o comunque facilmente ipotizzabili), che gli accordi ex ante tra conviventi verosimilmente potrebbero porre.
Il nodo della cessazione (non concordata, s’intende) della convivenza e delle facoltà del giudice della crisi appare in tal senso decisivo, per considerare il tema del rapporto tra autonomia ed eteronomia nella rela- zione more uxorio. Il legislatore si limita a stabilire (con il già menzionato comma 65) “il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli ali- menti, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento”: una disposizione, quest’ultima, che adotta il parametro minimo rinvenibile nell’ordinamento, per fissare la misura del soccorso ai parenti indigenti, ma che, a parte ogni considerazione sul trattamento giuridico riservato al convivente bisognoso, lascia aperta la questione degli spazi concretamente fruibili dall’au- tonomia privata.
La norma appena richiamata dovrebbe operare nel caso in cui manchi qualsiasi pattuizione in tal senso (come tutela minima, s’è detto), ma cosa accade per la pattuizione di un compenso per la cessazione della convivenza imputabile alla volontà ovvero alla con- dotta del soggetto obbligato (ossia, come previsto dalla legge, il recesso unilaterale che, in ipotesi, potrebbe essere determinato dalla condotta dell’altro convivente)?
La questione va senza dubbio approfondita, sol che si consideri il fatto che da taluni è stato richiamato lo spettro della nullità della clausola, ove la si dovesse qualificare come “penale” (in quanto tale incidente sull’esercizio di “libertà personali” incomprimibili) (14). In una diversa prospettiva, e nel tentativo di condurre un ragio- namento minimamente sistematico, si potrebbe ritenere che il primo parametro normativo da utilizzare, nel caso della regolamentazione dei rapporti economici post cessazione, debba essere quello dell’assegno di divorzio, piuttosto che seguire la pura astrazione concettuale della nullità della “penale” incidente sull’esercizio della libertà delle persone (con una costruzione inammissibile anche in termini generali, in quanto il nostro ordinamento prevede la riducibilità giudiziale, e non certo la nullità, della penale “manifestamente eccessiva”) (15).
Se così fosse, lo sforzo interpretativo dovrebbe svol- xxxxx nella direzione appunto dei poteri di controllo del giudice sulla congruità del compenso per la ces- sazione liquidato ex ante, in relazione alle circostanze del caso concreto (muovendo, naturalmente, dalla ratio all’origine della pattuizione di un compenso che, ex post, può rivelarsi eccessivo). Certo, sarebbe stata preferibile l’esplicitazione della previsione in tal senso da parte del legislatore, ma l’assenza della disposizione non offre nessun elemento a favore della tesi demolitoria della clausola (così come tal- volta prospettata in dottrina), rispetto all’opzione della reductio. Quest’ultima non soltanto risponde, s’è detto, alla logica della liquidazione - invero, esem- plarmente ponderata, attraverso i numerosi indici
contratti di convivenza, cit.; nonché, più di recente, Las Casas, Accordi prematrimoniali, status dei conviventi e contratti di con- vivenza in una prospettiva comparatistica, in questa Rivista, 2013, 10, 913.
(13) S’è detto, ad esempio, che il contratto non potrebbe far venire meno la tutela del convivente “bisognoso”, al momento della cessazione della convivenza (così X. Xxxxx, Le convivenze “di fatto”, cit.), ai sensi del comma 65, ma ci si può domandare se, oltre al limite della tutela minima, da intendersi dunque inderoga- bile in peius, vi siano limiti alla pattuizione di condizioni economi- che migliorative, rispetto alla (criticabile, anche se si potrebbe
banalmente osservare che poco è sempre meglio di nulla) previ- sione legislativa.
(14) Da ultimo, segnala il problema Villa, Il contratto di convi- venza nella legge sulle unioni civili, cit., 1333; Id., La gatta fretto- losa, cit., concludendo per la tendenziale liceità e meritevolezza delle dette pattuizioni.
(15) Del resto, non si può non convenire con l’opinione di chi, di recente, ha ribadito che le norme di riferimento non possono che essere (una parte di) quelle dettate per il matrimonio, rispetto alla regolamentazione del quale l’attuale disciplina avrebbe natura di regime opzionale (cfr. X. Xxxxx, Le convivenze “di fatto”, cit.).
che dovrebbero assicurare un esito equo - dell’assegno di divorzio, quale fattispecie più prossima (trattan- dosi di disciplinare pur sempre un rapporto tra per- sone ex conviventi, nel caso del divorzio ex coniugi), ma risulta avallata altresì, indirettamente ma con sufficiente chiarezza, dal diritto vivente, se si consi- dera che il controllo di congruità della “liquidazione anticipata del danno” (16), quale funzione tipica della penale è non soltanto ammesso, ma anche favorito dall’ordinamento (come dimostra, in tal senso, la giurisprudenza sulla riducibilità d’ufficio della penale) (17).
Il problema dell’invalidità si pone, in modo ineludi- bile in questo caso, con riferimento (pur sempre alla cessazione del rapporto, ma conseguente) alla morte del convivente, in considerazione del divieto dei patti successori ex art. 458 c.c. (18). Anche in questo caso, un’intransigente lettura del divieto dei patti successori (19), che comporterebbe il rischio della nullità di tali pattuizioni, si contrappone ad altre impostazioni logico-giuridiche, in cui l’autonomia trova qualche spazio, considerando l’oggettivo ana- cronismo del divieto e l’esigenza riformatrice della materia più volte emersa nella più autorevole dottrina (20). Ma è soprattutto la considerazione del contesto, che connota la convivenza more uxorio, che dovrebbe indurre a valorizzare la specificità
dell’attribuzione e la sicura meritevolezza di tutela degli interessi: ragioni sufficienti, queste ultime, a sorreggere e giustificare la validità della pattuizione, in deroga alla norma invalidante generale, quale donazione mortis causa (del tipo si praemoriar o cum moriar, con attribuzione attuale e produzione differita dell’effetto finale), fermo il controllo - che potrà avvenire evidentemente soltanto a posteriori - sull’e- ventuale lesione dei diritti dei legittimari (21).
Le brevissime notazioni esposte inducono a ritenere che il lavoro per l’interprete non mancherà, ove mai la prassi dei contratti di convivenza dovesse affer- marsi anche nella società civile, magari proprio sulla scia della nuova disciplina. L’analisi delle disposi- zioni suscita peraltro, oltre alle numerose critiche già piovute sulla normativa, anche una sorta di auspicio di carattere generale, nel senso che il legislatore, diversamente da quanto sembra aver fatto con le norme in esame - dunque, valorizzando tanto gli studi dottrinali, quanto (e soprattutto) l’evoluzione giurisprudenziale, passaggio imprescindibile per met- tere a fuoco le problematiche reali e la specificità dei conflitti d’interesse in gioco -, si sforzi di realizzare interventi normativi, non soltanto espressivi di una chiara e comprensibile ratio legis, sul piano sostan- ziale, ma anche idonei ad assolvere effettivamente alla funzione di prevenzione del contenzioso.
(16) In argomento, si veda di recente l’approfondito studio monografico di F.P. Patti, La determinazione convenzionale del danno, Napoli, 2015.
(17) Per un più compiuto svolgimento del ragionamento, ci si permette di rinviare al contributo di chi scrive Nuove norme sui contratti di convivenza: una disciplina parziale e deludente, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, n. 6/16.
(18) Si veda, da ultimo, Xxxxxxxx, Il regime successorio delle unioni civili e delle convivenze, in Giur. it., 2016, 1817; nonché Bonilini, La successione mortis causa della persona “unita civil- mente” e del convivente di fatto, in Famiglia e dir., 2016, 980.
(19) In tal senso, verrebbe ignorato il contesto culturale giuridico più ampio, se non altro rispetto all’ambito europeo, in ossequio a una preconcetta estensione massima del divieto
(per la ricostruzione del problema in chiave comparativa, si può rinviare a Xxxxxxx, Le successioni in diritto comparato, in Trattato di diritto comparato, diretto da Xxxxx, Torino, 2002, 155, 172).
(20) Per tutti, Xxxxx, Per una riforma del divieto dei patti successori, in Riv. dir. priv., 1997, 5; Xxxxxxx, Xxxxx successori: conferma di una erosione, in Riv. not., 2001, 238; nonché Palazzo, Istituti alternativi al testamento, in Trattato di diritto civile, diretto da Perlingieri, Napoli, 2003.
(21) Per la più attenta e documentata ricostruzione, si veda Carrabba, Donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxxx- xxxxx, Napoli, 2009, 630 ss.; più di recente, Xxxxxxx, Il divieto dei patti successori. Contributo allo studio dell’autonomia privata nella successione futura, Napoli, 2012.