SENATO DELLA REPUBBLICA
SENATO DELLA REPUBBLICA
XVIII LEGISL ATURA
Doc. XXII-bis
n. 5
COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA
SUL FEMMINICIDIO, NONCHÉ SU OGNI FORMA DI VIOLENZA DI GENERE
(Istituita con deliberazione del Senato della Repubblica del 25 ottobre 2018
e prorogata con deliberazione del Senato della Repubblica del 5 febbraio 2020)
RELAZIONE SU "CONTRASTO ALLA VIOLENZA DI GENERE: UNA PROSPETTIVA COMPARATA"
approvata dalla Commissione nella seduta del 14 settembre 2021
(Relatrice: senatrice XXXXXXX)
Comunicata alla Presidenza il 18 ottobre 2021
TIPOGRAFIA DEL SENATO
I N D I C E
PREMESSA ................................................ . | Pag. | 5 |
I. FRANCIA ............................................ . | » | 12 |
1. La repressione della violenza ........................ . | » | 12 |
1.1. La disciplina del codice penale ................... . | » | 12 |
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie ................................... . | » | 16 |
2. La prevenzione della violenza ........................ . | » | 17 |
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime ....... . | » | 20 |
II. GERMANIA ......................................... . | » | 21 |
1. La repressione della violenza ........................ . | » | 23 |
1.1. Le norme del codice penale ...................... . | » | 23 |
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie ................................... . | » | 28 |
2. La prevenzione della violenza: fra campagne di comuni- cazione, attività formative-educative e iniziative per il recupero degli uomini maltrattanti .................... . | » | 29 |
III. NORVEGIA ......................................... . | » | 32 |
1. La repressione della violenza ........................ . | » | 33 |
1.1. La disciplina del codice penale ................... . | » | 33 |
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie ................................... . | » | 35 |
2. La prevenzione della violenza ........................ . | » | 36 |
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime: i centri di crisi e la linea telefonica di aiuto .................... . | » | 38 |
IV. SPAGNA ............................................ . | » | 41 |
1. La repressione della violenza ........................ . | » | 42 |
1.1. La disciplina del codice penale ................... . | » | 42 |
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie ................................... . | » | 45 |
2. La prevenzione della violenza ........................ . | » | 46 |
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime ....... . | » | 47 |
V. INGHILTERRA Pag. 49
1. La repressione della violenza ........................ . » 49
2. La prevenzione della violenza: fra campagne di comuni- cazione, attività formative-educative e iniziative per il
recupero degli uomini maltrattanti .................... . » 54
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime: i centri di
crisi MARAC e IDVA ............................... . » 57
VI. ARGENTINA ....................................... . » 61
1. La repressione della violenza ........................ . » 61
1.1. La disciplina del codice penale ................... . » 61
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e
delle molestie ................................... . » 66
2. La prevenzione della violenza: fra campagne di comuni- cazione, attività formative-educative e iniziative per il
recupero degli uomini maltrattanti .................... . » 67
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime ....... . » 69
VII. INDIA ............................................. . » 72
1. La repressione della violenza ........................ . » 72
1.1. La disciplina del codice penale ................... . » 72
1.2. Ulteriori misure per il contrasto della violenza in
ambito domestico e lavorativo .................... . » 76
2. Prevenzione e protezione: le iniziative a livello federale ... . » 83
VIII. KENYA ........................................... . » 86
1. La repressione penale della violenza .................. . » 86
2. La prevenzione della violenza: il Piano nazionale per la prevenzione e la risposta alla violenza di genere e il Programma per la prevenzione e la risposta alla violenza di
genere ............................................. . » 92
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime: le linee telefoniche di aiuto ................................. . » 94
CONCLUSIONI ......................................... . » 94
La delibera istitutiva della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere ha espressamente individuato fra le competenze della Commissione il compito di « ipotizzare l’approvazione di testi unici in materia, riepilogativi degli assetti normativi dei vari settori di interesse, potendo derivare da tale soluzione unitaria un miglioramento della coerenza e completezza della regolamentazione ».
A ben vedere infatti a partire dalla riforma dei reati sessuali della fine degli anni Novanta, si sono susseguiti nell’ordinamento italiano una serie di interventi legislativi – si pensi alla legge n. 4 aprile 2001, n. 154, che ha, fra le altre misure, introdotto gli ordini di protezione in sede civile nell’ambito del sistema di tutela contro il fenomeno della violenza dome- stica; al decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modifica- zioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, con il quale è stato introdotto il reato di atti persecutori; al decreto-legge 14 agosto 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, che ha apportato una serie di modifiche finalizzate a rafforzare, in attuazione della Convenzione di Istanbul, le misure per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere, e alla più recente legge 19 luglio 2019, n. 69, la cosiddetto legge sul codice rosso – che hanno contribuito a delineare uno scenario norma- tivo a tutela delle donne vittime di violenza ampio e articolato, ma certamente non del tutto organico.
L’obiettivo perseguito dalla Commissione è quindi quello di restituire sistematicità al quadro legislativo a tutela delle donne vittime di violenza. Nel realizzare questa finalità la Commissione ha ritenuto essenziale avviare un’attività di studio di diritto comparato, volta ad approfondire la disciplina in materia di violenza di genere in alcuni Paesi del mondo. Si tratta di una indagine non solo finalizzata a cogliere le peculiarità delle politiche di punizione, protezione e prevenzione della violenza di ciascun sistema, ma anche volta ad individuare eventuali best practices da poter eventualmente anche trasporre in future iniziative legislative nazionali.
La scelta della Commissione è stata quella di analizzare, oltre alla legislazione di alcuni Paesi europei firmatari della Convenzione di Istanbul, fra i quali Francia, Germania, Norvegia, Spagna e Inghilterra, anche quella di alcuni Stati extra-europei. Si è deciso, in particolare, di prendere in considerazione per il continente africano la Repubblica del Kenya, per l’Asia l’India e per le Americhe l’Argentina.
La presente Relazione (1) costituisce la sintesi di questo lavoro di approfondimento che si è sostanziato nella elaborazione per ciascun Paese di una apposita nota di analisi, procedendo lungo tre direttrici: in primo luogo l’analisi delle misure adottate per reprimere e punire le varie forme
(1) La stesura della Relazione è stata curata dal Servizio studi del Senato (hanno in particolare collaborato le dottoresse Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxx Di Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx e il dottor Xxxxxx Xxxxxxx) e dal professor Xxxxxxxx Xxxx, collaboratore della Commissione ai sensi dell’articolo 23 del Regolamento interno.
di violenza perpetrate ai danni delle donne; in secondo luogo l’esame degli interventi posti in essere per prevenire questi fenomeni violenti e in terzo ed ultimo luogo la ricostruzione delle politiche di protezione e di supporto alle vittime.
Nel complesso, dalla ricostruzione svolta emerge come vi siano sempre più affinità fra i vari ordinamenti non solo europei, ma anche extraeuropei e ciò, evidentemente, in ragione dell’importante stimolo che in questo campo è stato rappresentato dagli strumenti pattizi e dalla giuri- sprudenza sovranazionali. Tali atti hanno condotto a una definizione del fenomeno che include le varie forme di violenza di cui una donna può essere vittima (fisica, psicologica, verbale), all’adozione di standard nor- mativi comuni agli Stati contraenti e, più in generale, al riconoscimento della violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani.
Senza dubbio un ruolo di innegabile rilievo è stato svolto in questo contesto, da un lato, dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW) del 1979 e, dall’altro, a livello di diritto internazionale regionale, dalla Convenzione interamericana per la prevenzione, la punizione e lo sradicamento della violenza contro le donne, la cosiddetta Convenzione di Belém do Pará, del 1994, dal Protocollo alla Carta africana dei diritti umani e dei popoli sui diritti delle donne in Africa dell’Unione africana, noto come Protocollo di Maputo del 2003 e dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cosiddetta Convenzione di Istanbul, del 2011.
L’importanza di questi atti, che si propongono di stigmatizzare la violenza contro le donne in tutte le sue componenti, inclusa la più profonda e pervasiva ovvero quella socioculturale, è innegabile soprattutto se si considera che, sino a quarant’anni xxxxxx, non esisteva alcuna forma di riconoscimento normativo del fenomeno.
Il contesto internazionale rappresenta uno spazio utile alla promozione di iniziative di contrasto alla violenza contro le donne, espressione in realtà del potere di un sesso (quello maschile) sull’altro (quello femminile, appunto), un potere materiale che, in alcuni contesti nella sua strutturalità, viene mistificato invocando le ragioni della tradizione e dell’identità culturale.
La violenza contro le donne rimane, come ha peraltro evidenziato espressamente la 57ª Commissione sullo stato delle donne - Commission on the Status of Women (CSW) delle Nazioni Unite nel 2013, una pratica generalizzata di controllo che richiede e impone, per la sua riduzione, una serie di riforme legislative e cambiamenti culturali, frutto di processi complessi e di lungo termine, che necessitano di capacità di negoziazione e contrattazione tra i diversi soggetti coinvolti e tra interessi e culture diverse.
In questo contesto un ruolo determinante è stato svolto dai meccanismi di monitoraggio. Un monitoraggio effettuato, per quanto riguarda il con- testo internazionale, nel quadro dell’attività della Commissione delle Na- zioni Unite sullo status della donna, la CSW, che si è molto impegnata su temi come la libertà di movimento e di religione – spesso negati alle donne
– l’uguaglianza di retribuzione, l’accesso ai servizi di salute ed educativi, il disagio psichico, assolutamente da non sottovalutare tenuto conto del significativo aumento dei suicidi delle donne a livello mondiale.
Più incisivo è stato, senza dubbio, con particolare riguardo alla realtà europea, il ruolo svolto dal Gruppo di esperte del Consiglio d’Europa per la lotta contro la violenza nei confronti delle donne (Grevio) per il periodico monitoraggio sull’attuazione della Convenzione di Istanbul. Un monitorag- gio che oltre a porre in luce, grazie anche ad una precisa e approfondita conoscenza delle realtà locali e della condizione delle donne nelle varie comunità, le criticità dei singoli sistemi ha anche svolto un importante ruolo di stimolo per i legislatori e gli apparati amministrativi nazionali. Xx Xxxxxx si deve altresì il merito di ricoprire, per le realtà associative di supporto alle vittime, il ruolo di soggetto terzo nell’interlocuzione e nel dialogo con le autorità statali.
Sul piano sistematico si può constatare come, tra i Paesi analizzati, si siano dotati di testi unici, che in modo organico trattano il tema della violenza contro le donne in tutti i suoi aspetti, solo Argentina e Spagna. Quest’ultima dal 2004 si è dotata della Ley orgánica (2) 1/2004, de medidas de protección integral contra la violencia de género, autentico testo di riferimento a livello internazionale, cui nel 2017 è stato accompagnato un nuovo testo di alto livello istituzionale (il Pacto de Estado contro la violenza di genere) con numerose indicazioni operative ulteriori. Il conte- nuto di questa legge comprende sia gli aspetti preventivi, educativi, sociali, assistenziali e di sostegno alle vittime, sia la normativa civile che afferisce alla sfera familiare o della convivenza, dove prevalentemente si verificano le aggressioni, sia i profili penali afferenti alla violenza. In altre parole la violenza di genere è inquadrata dalla legge spagnola in modo integrale e multidisciplinare. Particolarmente apprezzabile è anche l’ordine degli in- terventi: la prima risposta alla violenza di genere è rappresentata dalla prevenzione, il cui elemento chiave è il sistema educativo come veicolo di trasmissione del rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e dell’ugua- glianza tra uomini e donne; la repressione penale rappresenta invece l’ultima ed extrema ratio nella politica di contrasto alla violenza, anche se ciò non significa affatto che vi si ricorra di rado.
Con specifico riguardo, poi, alla repressione penale della violenza, si può constatare come, in tutti i Paesi presi in considerazione, la legislazione sia stata oggetto, proprio nell’ultimo ventennio, di numerosi e reiterati interventi di modifica. Essi hanno interessato in primo luogo i reati sessuali attraverso una « ricollocazione » di questi reati, originariamente inseriti nei capi dedicati ai reati contro la morale, nelle parti dei codici dedicate ai reati contro la persona (è appena il caso di rilevare che solo nell’ordinamento del
(2) Con il termine ley orgánica si indica una speciale fonte normativa, prevista dalla Costituzione spagnola, che non ha un’omologa perfetta nell’ordinamento italiano. Essa si caratterizza per la maggioranza qualificata necessaria per la sua approvazione e per le materie che, in base alla Costituzione, devono essere necessariamente disciplinate per suo tramite, tra le quali spiccano quelle relative all’implementazione dei diritti fondamentali e delle libertà pubbliche. Non necessariamente, dunque, le leyes orgánicas in quanto tali hanno l’ambizione di disciplinare completamente un settore (alla stregua dei nostri testi unici), anche se questo è comunque il caso della LOIVG.
Kenya il legislatore abbia optato per una collocazione extra codicem delle varie fattispecie penali volte a sanzionare condotte violente contro le donne) e con riguardo alla tipizzazione delle condotte e alla rilevanza del consenso. Significativa a tal ultimo proposito è la riforma del 2016 attuata in Germania, incentrata sul principio del « No significa No », per la quale il baricentro del disvalore della condotta cessa di collocarsi nella violenza o nella minaccia come strumenti di coercizione dell’atto sessuale, per radi- carsi nella mancanza del consenso della partner (similmente a quanto accade in Inghilterra). Non si esige più dall’accusa di dar prova che tale prevaricazione della altrui volontà sia avvenuta tramite specifiche attività costrittive, perché nella prassi giudiziaria ciò finiva per comportare la necessità, per l’accusa, di dimostrare una reazione attiva e potenzialmente efficace da parte della vittima rispetto alla violenza subita, con un ribal- tamento dei ruoli nel protagonismo processuale tra imputato e parte offesa. Anche la riforma dei reati sessuali attualmente in discussione in Spagna si muove nella medesima direzione. È bene notare tuttavia come ancora in un gran numero di Paesi (forse la maggioranza a livello mondiale) continua a sussistere la distinzione, un tempo appartenente anche al nostro codice penale, tra il reato di violenza carnale, connotato dalla penetrazione sessuale, e quello di aggressione sessuale, con il quale si sanzionano gli altri
atti sessuali compiuti con violenza, costrizione, minaccia o sorpresa.
Con riguardo alle altre condotte nelle quali si sostanzia la violenza di genere è interessante rilevare come, in linea generale, negli ordinamenti esaminati si sia assistito alla progressiva introduzione di nuove e specifiche fattispecie di reati finalizzate a sanzionare: gli atti persecutori, la pratica dei matrimoni forzati, il fenomeno del revenge porn e delle altre forme di ripresa e diffusione di immagini contro la volontà delle vittime e infine le mutilazioni genitali femminili. Vi sono poi alcune fattispecie di reato la cui introduzione è evidentemente legata al contesto socio-culturale e ai fattori ambientali. È questo il caso del reato di trasmissione intenzionale dell’HIV o di altre malattie sessualmente trasmissibili, previsto dalla legislazione keniota, ovvero tutta la disciplina repressiva sulla pratica della sati o il reato di morte per dote previsti dal sistema penale indiano.
Considerazione a parte merita il tema della violenza domestica. In proposito lo scenario comparato mostra differenti approcci al problema: si passa dal sistema tedesco (ancora restio a considerare il tema nella sua drammaticità) nel quale non si rinvengono fattispecie specifiche per la violenza domestica, a nulla rilevando ai fini della configurazione di un dato reato il luogo o le circostanze affettive-familiari in cui viene perpetrato, all’ordinamento norvegese nel quale, similmente al nostro, esiste un reato di violenza domestica con il quale sono sanzionati tutti quegli abusi gravi e reiterati commessi nei confronti di soggetti in « stretta relazione ». Con riguardo ai reati commessi in ambito familiare-affettivo interessanti spunti di riflessione pone il modello francese, nel quale assume espressa rilevanza penale anche la violenza morale ove perpetrata all’interno di un rapporto di coppia. Violenza morale che viene sanzionata più pesantemente (con la previsione di specifiche circostanze aggravanti) nei casi in cui da essa derivi
una incapacità lavorativa parziale o totale ovvero nel caso in cui da essa derivi il suicidio o il tentato suicidio della vittima.
Ancora, dall’analisi dei vari sistemi emerge come sempre di più stia aumentando la consapevolezza dell’esigenza di contrastare tutte quelle forme di violenza più subdole e meno evidenti, che si sostanziano in molestie, in particolare nei luoghi di lavoro e in condotte di hate speech. Con riguardo alle molestie sessuali se, da un lato, nell’ordinamento tedesco non assumono autonoma rilevanza ove commesse in ambito lavorativo, dall’altro, in Francia e in Norvegia oltre a essere punite all’interno dei rispettivi codici penali, sono disciplinate anche da ulteriori fonti quando sono perpetrate in ambiti lavorativi, scolastici o educativi. Alla repressione si accompagnano in questi casi una serie di positive actions finalizzate alla promozione dell’uguaglianza di genere. Con riguardo al tema dell’hate speech è importante segnalare la recente introduzione in Francia del reato di disprezzo sessista. Una fattispecie questa che consente di sanzionare tutte quelle condotte sessuali o sessiste offensive della dignità.
Concludendo questa sintetica disamina della legislazione repressiva dei
fenomeni violenti ai danni delle donne, alcune considerazioni merita la questione relativa alla previsione di un autonomo reato di omicidio di donna commesso per la propria condizione di donna, noto come femminicidio. Fatto proprio dalla giurisprudenza della Corte interamericana dei diritti umani, esso è espressamente previsto nella legislazione penale di più di 20 Stati tra i quali, nel gruppo di quelli sui quali questa relazione si sofferma, l’Argentina. In particolare, il codice argentino configura il femminicidio come una tra le aggravanti del reato di omicidio. Questa tipologia di omicidio ricorre nel caso di uccisione di una donna quando il fatto è commesso da un uomo in un contesto in cui vi era violenza di genere.
Una efficace politica di repressione della violenza non può prescindere da un sistema processuale altrettanto all’avanguardia. Anche da questo punto di vista non si può che guardare con interesse all’ordinamento spagnolo nel quale, con la riforma del 2004, si è proceduto anche alla istituzione di tribunali specializzati per la violenza sulle donne, con competenze non solo in ambito penale, ma anche su tutte quelle contro- versie di diritto civile, per lo più di diritto di famiglia, che fanno da corollario alle condotte violente rilevanti in ambito penale.
Si tratta di un approccio che merita attenzione. È innegabile infatti che nel nostro ordinamento vi sia – nonostante i primi passi compiuti con la legge sul codice rosso che ha introdotto specifici obblighi di comunicazione
– uno scarso dialogo fra la giustizia penale e quella civile e minorile. Questo è probabilmente il rilievo principale mosso all’Italia dal Gruppo di esperti/e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Grevio) in occasione della sua recente valutazione periodica.
Non sono, infatti, purtroppo eccezionali i casi in cui genitori che hanno agito violenza sono stati ritenuti, in nome della bigenitorialità, coaffidatari o addirittura affidatari, esclusivi dei figli.
E ancora, troppo spesso – per evidenti deficit formativi da parte dei professionisti coinvolti – nelle cause di separazione e divorzio sembra essere trascurata la sostanziale differenza tra lite e maltrattamenti. Si tratta,
infatti, di due situazioni assai diverse, perché nella lite c’è un rapporto tra pari mentre nel maltrattamento c’è un soggetto che agisce e l’altro – più spesso l’altra – che subisce, c’è un dominatore che esprime con la violenza il proprio potere e una vittima che reagisce con i mezzi che ha a disposizione. Professionisti/e non formati/e troppo spesso confondono tale reazione di difesa all’offesa con una reciprocità di offese e proiettano sulla vittima (anziché sull’autore) le proprie aspettative sulle strategie di com- portamento.
Relativamente poi ai profili della prevenzione, nei vari ordinamenti emerge l’importanza attribuita alla formazione e all’educazione scolastica nel processo di eradicazione degli stereotipi e dei pregiudizi di genere, che, per vari aspetti, si possono considerare alla base del fenomeno della violenza contro le donne.
Anche da questo punto di vista il modello spagnolo offre degli interessanti spunti di riflessione. L’elemento chiave della prevenzione, come accennato, è rappresentato dal sistema educativo. Ciascun segmento edu- cativo ha pertanto uno scopo specifico: l’educazione della prima infanzia contribuisce allo sviluppo dell’apprendimento della risoluzione pacifica dei conflitti; l’istruzione primaria aiuta a sviluppare negli studenti abilità nella risoluzione pacifica dei conflitti e di comprendere e rispettare l’uguaglianza tra i sessi; l’istruzione secondaria obbligatoria punta a sviluppare negli studenti la capacità di interagire con gli altri pacificamente e di conoscere, valorizzare e rispettare le pari opportunità per uomini e donne. Anche quando l’opzione dello studente si rivolge alla formazione professionale, lo Stato offre programmi formativi dedicati all’uguaglianza di genere. Lo stesso vale per la formazione degli adulti, a partire dalle università.
Inoltre, è previsto che nei piani di formazione iniziale e permanente degli insegnanti sia inclusa una formazione specifica sull’uguaglianza. Ulteriori azioni di formazione in materia di uguaglianza e non discrimi- nazione in base al sesso e sulla violenza di genere sono contemplate nei corsi di formazione per giudici e magistrati, procuratori, cancellieri, organi di sicurezza pubblica e medici legali.
Alcune best practices sono poi rinvenibili anche nel sistema norvegese, nel quale nell’ambito di una riforma dei curricula dei cicli di istruzione primaria e secondaria è stato inserito uno specifico insegnamento trasver- sale inerente, tra gli altri, ad aspetti riconducibili alla salute psicofisica dei giovani anche con riferimento al genere. Questa attenzione si riscontra anche con specifico riguardo alla formazione professionale iniziale e continua degli operatori. I regolamenti sui curricula nazionali per le professioni nel settore dell’assistenza sanitaria e sociale prevedono l’inse- rimento di specifiche competenze in materia di abuso e violenza. Questi insegnamenti sono obbligatori anche nei programmi di istruzione del College universitario per la polizia norvegese.
L’ordinamento argentino prevede una misura più simbolica: l’obbligo per tutte le scuole di ogni ordine e grado di celebrare, con iniziative formative ed educative, la giornata di studio « Educare all’uguaglianza: prevenzione ed eliminazione della violenza di genere ».
Un altro aspetto rilevante, sul quale peraltro il nostro Paese appare ancora non in linea con quanto imposto dalla Convenzione di Istanbul, è rappresentato dalla rilevazione statistica del fenomeno della violenza, rispetto al quale va comunque considerato lo sforzo avviato dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) negli ultimi anni. In proposito è appena il caso di ricordare che il Senato ha approvato all’unanimità uno specifico disegno di legge, frutto del lavoro della Commissione di inchiesta e sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, finalizzato proprio a prevedere un sistema di monitoraggio e di rilevazione dei dati sulla violenza contro le donne. Questa attività di rilevazione statistica è presente e svolta con regolarità in altri sistemi. In Francia, ad esempio, la Missione intermini- steriale per la protezione delle donne contro la violenza svolge, fra le altre, anche un ruolo di osservatorio nazionale sulla violenza, raccogliendo e analizzando dati relativi alla violenza di genere.
Nel quadro della prevenzione è opportuno poi ricordare anche gli interventi per il recupero degli uomini maltrattanti. In Norvegia, nell’ambito delle attività dei centri regionali per la prevenzione della violenza, dello stress post traumatico e dei suicidi sono stati sviluppati specifici programmi formativi sul tema della gestione della rabbia, della durata di 100 ore, rivolti agli operatori dei consultori familiari, dei centri locali dedicati alla salute mentale e ai centri per l’assistenza psichiatrica, nonché presso i servizi penitenziari. Inoltre, la fondazione ATV « Alternativa alla violenza » (ente no profit) conduce, sempre in Norvegia, specifici progetti destinati agli autori di violenza e ai loro familiari. Anche in Germania questi interventi sono strutturati e vedono il coinvolgimento di varie istituzioni. La parte- cipazione a questi programmi di rieducazione oltre ad essere volontaria è anche, in alcuni casi, ovvero nel caso in cui sia imposto in via processuale, obbligatorio.
Infine, con riguardo alla protezione e al supporto delle vittime l’analisi comparativa dei vari ordinamenti mostra la presenza, in tutti i sistemi, di centri antiviolenza, anche se con profonde differenze tra Paese e Paese per quanto riguarda il rapporto tra il numero di centri e la popolazione. L’esperienza inglese, grazie ai pacchetti di misure introdotti, ormai da alcuni anni, per iniziativa della ministra Scotland, continua a essere un riferimento, anche se, perché oltremanica si giungesse a predisporre un autentico Act dedicato specificatamente alla violenza domestica, è stato necessario attendere i primi mesi del 2021.
L’uscita dalla violenza è un percorso lungo che si consacra con « un ritorno alla normalità » per la donna (e i suoi figli). Una normalità che presuppone in molti casi la necessità di garantire alla vittima gli strumenti necessari per reinserirsi nel mondo del lavoro – la libertà economica è una conditio sine qua non per una vita indipendente – e, in prima battuta, anche un nuovo alloggio dove vivere. Da questo punto di vista nella strategia nazionale portata avanti dalla Norvegia molto è stato fatto in termini di edilizia sociale: le autorità locali sono chiamate ad assicurare alle vittime di violenza una buona transizione dai Centri ad una abitazione dignitosa. In Germania e in Argentina nei casi di violenza domestica la
donna ha diritto – nelle ipotesi di separazione – all’assegnazione in via esclusiva della casa coniugale.
Tenuto conto che spesso il femminicidio rappresenta la drammatica conclusione di una escalation di violenza, l’epilogo di storie di maltratta- menti e di vessazioni, è importante intervenire e rafforzare le misure di protezione individuali. Tutti gli ordinamenti considerati si sono dotati di specifici strumenti: i vari ordini di protezione delle vittime che consistono in una serie di divieti impartiti all’autore della violenza, finalizzati proprio a interrompere la su ricordata escalation.
Con questa relazione, la Commissione intende essere di stimolo e supporto al Parlamento nella individuazione delle eventuali best practices presenti negli altri ordinamenti, da poter trasporre in future iniziative legislative nazionali, anche nella prospettiva dell’adozione di un testo unico che raccolga tutta la normativa a tutela delle donne contro i fenomeni di violenza.
I. FRANCIA
Sino ad alcuni anni fa l’ordinamento francese non poteva annoverarsi tra quelli di riferimento per le materie oggetto di questa relazione. La prospettiva ha iniziato a mutare, in particolare nel momento in cui l’approvazione della Convenzione di Istanbul ha cominciato a far sentire il proprio peso nel dibattito pubblico.
A partire da quel momento, il legislatore ha quindi introdotto diverse soluzioni normative innovative, ma non sempre operando in modo organico e coordinato con quanto precedentemente previsto. L’impatto delle novità sul sistema in termini di reale efficacia è tuttavia ancora difficile da valutare, vista la scarsa distanza temporale.
1. La repressione della violenza
1.1. La disciplina del codice penale
Il codice penale francese contempla differenti e specifiche fattispecie delittuose per punire le varie forme di violenza.
Con particolare riguardo alla sfera sessuale il diritto penale francese mantiene la distinzione, un tempo appartenente anche al diritto penale italiano, tra congiunzione carnale o penetrazione sessuale (articoli 222-23 e seguenti) e aggressioni sessuali, intese come atti di libidine violenti o abusi sessuali commessi con violenza, costrizione, minaccia o sorpresa (articoli 222-22 e seguenti). Per quanto attiene alla violenza sessuale di gruppo – è opportuno precisare – il diritto penale francese non contempla una fattispecie ad hoc, ma considera la partecipazione di più persone riunite come circostanza aggravante del delitto di stupro e di altre aggressioni sessuali.
Lo stupro – definito come atto di penetrazione sessuale, di qualsiasi natura, commesso con violenza, coercizione, minaccia o sorpresa – è
punito fino a quindici anni di carcere (3). Gli articoli 222-24 e seguenti prevedono una serie di circostanze aggravanti (4). Nel caso in cui dalla violenza derivi la morte della vittima l’articolo 222-25 prevede fino a trent’anni di reclusione (è previsto l’ergastolo ai sensi dell’articolo 222-26 quando la morte è accompagnata o seguita da torture o atti di barbarie). Le aggressioni sessuali sono punite fino a cinque anni di carcere e una pena pecuniaria di 75.000 euro (articolo 222-27).
È importante rilevare come lo stesso codice (articolo 222-22) preveda con riguardo ai reati sessuali l’irrilevanza di una relazione o di un rapporto di coniugio fra l’autore e la vittima. Se non sussistono perciò dubbi circa la punibilità degli stupri e delle altre aggressioni sessuali commessi nell’ambito di una relazione di coppia, non vi sono al contempo elementi che prevedono di per sé un aggravamento in tali circostanze.
D’altro canto la corposa legge n. 2017-86 ha stabilito il riconosci- mento della circostanza aggravante del « sesso » quando un reato è preceduto, accompagnato o seguito da parole, scritti, immagini, oggetti o atti di qualsiasi genere che ledono l’onore o la considerazione della vittima o di un gruppo di persone a cui appartiene la vittima a causa del suo sesso, orientamento sessuale o identità di genere vera o presunta.
Il codice penale, inoltre, contempla uno specifico reato di molestie sessuali (articolo 222-33 che funge da norma di chiusura del paragrafo dedicato alle « autres agressions sexuelles »). Commette tale reato chiunque (anche più persone) rivolge ripetutamente osservazioni o comportamenti a connotazione sessuale o sessisti che sono offensivi per la dignità a causa del loro carattere degradante o umiliante o creano comunque una situazione intimidatoria, ostile o offensiva. Tali condotte sono punite con una pena fino a due anni di reclusione e con una multa fino a 30.000 euro. Sono previste anche in questo caso una serie di circostanze aggravanti (minore età, abuso di autorità, particolare vulnerabilità della vittima, ecc...). In queste ipotesi è prevista la pena fino a tre anni di reclusione e la sanzione pecuniaria fino a 45.000 euro.
A differenza di quanto accade nell’ordinamento tedesco, come si vedrà, in Francia la molestia non necessita di un contatto fisico per essere punita, ma si connota per la ripetitività (anche se c’è l’eccezione dell’ar- ticolo 222-33-II) alla quale viene collegato l’ulteriore requisito della possibilità di determinare conseguenze sul benessere psicofisico della vittima.
La molestia ripetuta, pertanto, non è punita solo quando ha connota- zioni sessuali o sessiste, ma anche in tutti gli altri casi, sempre che possa portare alle conseguenze cui si è appena accennato. Ad esse è dedicata una
(3) Con riguardo alla commisurazione delle pene è opportuno rilevare come le sanzioni indicate dalle disposizioni che disciplinano le singole fattispecie di reato indichino il massimo di pena irrogabile. Nel sistema francese non sono indicati i minimi.
(4) Ad esempio, se la vittima è un minore di 15 anni o se è una persona vulnerabile, se lo stupro ha causato invalidità permanente o mutilazioni, se è commesso da un ascendente o da qualsiasi altra persona che abbia de jure o de facto autorità sulla vittima, quando è commesso da più persone, quando è commesso dal coniuge o partner della vittima o dal partner legato alla vittima da un patto di solidarietà civile.
specifica sezione, la 3-bis, rubricata « molestie morali », nella quale funge da fattispecie base la molestia semplice dell’articolo 222-33-2-2.
Le ipotesi speciali, punite in modo più severo, sono due, entrambe caratterizzate dal contesto in cui avvengono.
La prima riguarda il contesto lavorativo e potrebbe essere avvicinata al fenomeno del mobbing che, come noto nell’esperienza delle Consigliere di parità, pur non manifestandosi sempre da uomo a donna è fortemente sbilanciato dal punto di vista del genere.
La seconda, descritta all’articolo 222-33-2-1, prevede il reato di molestia morale destinato a operare all’interno della coppia. Tale fattispecie consiste nel rivolgere osservazioni al coniuge o al partner convivente o compiere atti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di vita con conseguente alterazione della salute fisica o psichica. Il reato è punito fino a tre anni di carcere.
Si tratta di una fattispecie certamente particolare, ma del tutto in linea con il quadro generale delle molestie tratteggiato dal legislatore francese che, per il contesto domestico, ha scelto di predisporre una fattispecie separata e aggravata.
All’interno dell’ordinamento transalpino essa può rivestire quella funzione di spartiacque, nell’apertura di un’indagine, svolta in Italia dall’articolo 572 del codice penale che, tuttavia, per consuetudine (più che per necessità linguistica) vede interpretare la condotta tipica del « maltrat- tamento » come una violenza che certo può essere multiforme (psicologica, economica, ecc.), ma che difficilmente manca di un connotato di aggres- sione fisica. La fattispecie francese è, invece, formulata in modo tale da poter certamente prescindere da una violenza « di contatto », collocando il baricentro nell’evento, ovvero il peggioramento delle condizioni di vita e di salute della vittima.
D’altra parte, se vi fosse interesse in Italia a raggiungere il medesimo obiettivo dando maggior peso alla dimensione psicologica della violenza, più che una modifica legislativa, sarebbe necessario un maggiore investi- mento nella formazione della magistratura circa le caratteristiche e le conseguenze a medio e lungo termine della violenza non fisica.
Tornando alla norma francese, sono previsti aggravamenti di pena quando tali atti abbiano provocato una incapacità lavorativa parziale o totale, o siano stati commessi alla presenza di un minore di età. In questi casi è prevista l’applicazione di una pena pecuniaria fino a 45.000 euro nei casi di incapacità lavorativa parziale e fino a 75.000 euro (e fino a cinque anni di reclusione) nei casi più gravi.
Tali sanzioni trovano applicazione anche nei casi in cui i fatti siano posti in essere da persona già legata da coniugio o da pregressa convivenza, venendo in questo caso a porsi in parallelo rispetto alla tutela assicurata in Italia, non già dal 572 del codice penale, ma dal secondo comma dell’ar- ticolo 612-bis del codice penale.
Pene ancora più severe (fino a dieci anni di reclusione e una pena pecuniaria di 150.000 euro) sono previste nel caso in cui le condotte spingano la vittima al suicidio, sia stato esso anche solo tentato. In questo caso, in Italia, la riconduzione del suicidio della vittima alla fattispecie
circostanziata del terzo comma dell’articolo 572, sia pur non impossibile, sarebbe comunque di ardua dimostrazione da parte di una pubblica accusa senza dubbio assai determinata. Percorso alternativo, ma comunque com- plesso, vede la riconduzione al reato di istigazione al suicidio (articolo 580 del codice penale) rispetto al quale vi sono isolate pronunce (ad esempio la decisione del tribunale di Napoli del 2020 resa nel caso di Xxxxxxx Xxxxxxxxx). Si vedrà infra come la questione sia oggetto di attenzione anche da parte della legislazione indiana e delle corti superiori tedesche.
Di recente introduzione è la contravvenzione di disprezzo sessista. Ai sensi dell’articolo 621-1 commette « outrage sexiste » chiunque,
fuori dai casi indicati nei citati reati di molestie, rivolge a una persona qualsiasi epiteto o comportamento connotato in modo sessuale o sessista che sia offensivo per la sua dignità a causa del suo carattere degradante o umiliante o che la ponga in una situazione intimidatoria, ostile o offensiva. La sanzione è l’ammenda di contravvenzioni della 4a classe (da 90 euro a 750 euro) e 5a classe (fino a 1500 euro e 3000 euro) se il disprezzo è commesso con circostanze aggravanti (da una persona che abusa della sua autorità, su un minore di quindici anni, una persona vulnerabile o in una situazione precaria, da più persone, nel trasporto pubblico, a causa di un orientamento sessuale). L’autore può anche essere obbligato a finanziare la sua partecipazione a uno stage nella lotta contro il sessismo e la consa- pevolezza dell’uguaglianza tra donne e uomini.
Nel caso dell’articolo 621-1 non siamo di fronte a condotte ripetute e
non v’è alcun riferimento alle conseguenze sulla salute psicofisica della vittima. Si tratta a tutti gli effetti di una fattispecie diretta a sanzionare epiteti e condotte rivolti spesso a moltissime donne per strada.
All’interno del codice penale francese è opportuno segnalare il reato di ripresa e diffusione delle immagini della violenza (articolo 222-33-3). La disposizione oltre a equiparare anche sul piano sanzionatorio la condotta di colui che riprende le scene di violenza a quella dell’autore della violenza stessa, punisce con una pena detentiva fino a cinque anni e una sanzione pecuniaria fino a 75.000 euro la diffusione delle suddette immagini. Come si vedrà più nel dettaglio rispetto alla Germania, la diversa disciplina generale del concorso di persone nel reato prevista dal codice penale italiano non rende necessaria l’introduzione di simili fattispecie nel nostro ordinamento per punire come correi chi esegue violenza sul corpo della vittima e chi ne rafforza il proposito riprendendo la scena.
L’ordinamento francese contempla, inoltre, uno specifico reato volto a sanzionare le condotte di revenge porn. L’articolo 226-2-1 del codice penale punisce infatti coloro che, contro la volontà della vittima, diffondono materiale privato a carattere sessuale fino a due anni di reclusione e con una pena pecuniaria fino a 60.000 euro. Ai sensi dell’articolo 226-3-1 è punito, altresì, fino a un anno di reclusione e con la multa fino a 15.000 euro il fatto di utilizzare qualsiasi mezzo per vedere le parti intime di una persona nascoste alla vista di terzi, in assenza del consenso della persona.
Nel 2013 è stato introdotto nel codice, all’articolo 222-14-4, il reato di costrizione al matrimonio. Tale reato punisce, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 45.000 euro, il fatto di obbligare una persona a
contrarre un matrimonio o un’unione all’estero ovvero di usare manovre ingannevoli per indurlo a lasciare il territorio della Repubblica a tal fine.
Ancora, l’articolo 227-4-2 sanziona fino a dieci anni di reclusione e una pena pecuniaria fino a 15.000 euro la violazione delle misure di protezione applicate dal giudice civile anche di un altro paese europeo (in applicazione del regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013) nei casi di violenza domestica.
Per quanto riguarda, infine, le mutilazioni genitali femminili, il codice penale francese non contempla una fattispecie penale ad hoc. L’articolo 222-9 stabilisce infatti, in via generale, che le violenze che comportano mutilazioni o invalidità permanente sono punibili fino a dieci anni di reclusione e una multa fino a 150.000 euro. Invero, tale norma potrebbe astrattamente esser fatta valere anche per la circoncisione maschile.
Le mutilazioni sessuali vengono in specifico rilievo (anche in questo caso per entrambi i sessi) solo nel caso in cui la vittima sia un minore di età: l’articolo 227-24-1 punisce, fino a cinque anni di reclusione e con la multa di 75.000 euro, il fatto di fare offerte o promesse a un minore o di offrirgli doni, regali o vantaggi, o di usare pressioni o costrizioni di qualsiasi tipo contro di lui, in modo che si sottometta alla mutilazione sessuale, quando tale mutilazione non sia stata effettuata. Le stesse pene si applicano all’istigazione diretta ad altri a commettere mutilazioni sessuali sulla persona di un minore, quando tale mutilazione non sia stata eseguita. L’introduzione di tali norme è stata ritenuta necessaria perché, in base alle comuni regole sul tentativo, le condotte appena descritte non sarebbero punibili come forma tentata delle lesioni di cui al citato articolo 222-9, costituendo atti prodromici ad esso.
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie
Nell’ordinamento francese si riscontrano molte altre disposizioni, oltre al codice penale, che intervengono nei fenomeni di violenze di genere e molestie.
Di particolare interesse è la tutela dell’uguaglianza tra uomo e donna nell’ambito lavorativo. Senza pretesa di esaustività, si segnala che il Codice del lavoro e lo statuto generale della funzione pubblica (articolo 6-bis della legge n. 83-634) sanzionano i comportamenti sessisti o eventuali discri- minazioni ad essi connesse verificatesi nei luoghi di lavoro. In particolare il Code du travail all’articolo L1153-1 precisa che le molestie sessuali sono costituite da parole o atti ripetuti contro una persona, senza contatto fisico, al fine di ottenere per sé stessi o un terzo un atto di natura sessuale o di danneggiare la dignità o l’integrità fisica o mentale della vittima. Il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell’articolo L1153-5 del Code du travail, ad adottare tutte le misure necessarie a prevenire, porre fine e sanzionare i fenomeni di molestie sessuali sul luogo di lavoro. In tutti i luoghi di lavoro, i lavoratori devono essere informati sulla normativa anti molestie sessuali e in particolare sul contenuto dell’articolo 222-33 del codice penale, nonché delle possibili azioni civili e penali esercitabili.
La citata legge n. 2017-86 (modificata nel 2018, 2019 e 2020) prevede inoltre che nessun dipendente pubblico debba essere sottoposto ad atti sessisti, definiti come qualsiasi atto correlato al sesso di una persona, il cui oggetto o effetto è quello di minarne la dignità o di creare un ambiente intimidatorio, ostile o degradante, umiliante o offensivo (articolo 165).
La legge apre la possibilità alle associazioni nel campo dei diritti delle donne di poter esercitare i diritti riconosciuti alla parte civile in reati e delitti sessisti con il consenso di uno dei beneficiari di una vittima deceduta (articolo 206). Inoltre, le donne minacciate di matrimonio forzato sono incluse nei gruppi prioritari per l’accesso agli alloggi sociali (articolo 70). Accanto alla cornice normativa, si segnala anche la creazione di un apposito registro di organismi preposti al monitoraggio dei fenomeni discriminatori, che fungono da stimolo per l’attività del legislatore. Con decreto n. 2013-8 del 3 gennaio 2013 – novellato dal decreto n. 2019-134 del 26 febbraio 2019 – è stato istituito l’Haut Conseil à l’égalité entre les femmes et les hommes (HCE), chiamato a rapportarsi con il Primo ministro e con il Ministro incaricato dei diritti delle donne. Esso redige rapporti tematici, trasmessi anche al Parlamento, ed è organizzato in cinque commissioni, tra cui quella sulla violenza di genere: la commissione
« violenze di genere » è presieduta dal segretario generale della Missione interministeriale per la protezione delle donne contro la violenza e la lotta alla tratta di esseri umani (sui cui si veda infra). L’attività dell’Alto Consiglio, per quanto qui di interesse, valuta i piani nazionali di contrasto alle violenze contro le donne, focalizzando l’attenzione sugli aspetti non del tutto conosciuti o ancora tollerati (5). Di recente, l’Alto Consiglio ha enfatizzato il tema della violenza coniugale e della necessità di stabilire per legge una presunzione di coercizione quando un adulto commette un atto sessuale su un minore di 13 anni.
2. La prevenzione della violenza
In tema di prevenzione, si segnala la creazione della Missione inter- ministeriale per la protezione delle donne contro la violenza e la lotta alla tratta di esseri umani (MIPROF), decisa dal Comitato interministeriale per i diritti delle donne il 30 novembre 2012 e disciplinata dal decreto
n. 2013-7 del 3 gennaio 2013, modificato prima nel 2016 e successiva- mente dal decreto n. 2020-1592 del 16 dicembre 2020. Tale Missione svolge tre funzioni principali:
– la creazione di un piano nazionale di formazione per professionisti sulla violenza contro le donne;
– un ruolo di osservatorio nazionale sulla violenza contro le donne attraverso la missione di « raccogliere, analizzare e diffondere informazioni e dati relativi alla violenza contro le donne »;
– il coordinamento nazionale della lotta alla tratta di esseri umani.
(5) Sulla base del rapporto del 16 novembre 2017, intitolato « En finir avec l’impunité des violences faites aux femmes en ligne: une urgence pour les victimes » è iniziato il percorso legislativo sfociato nella legge n. 2018-703.
La Mission interministérielle pour la protection des femmes contre les violences et la lutte contre la traite des êtres humains (MIPROF) è posta sotto l’autorità del Ministro responsabile dei diritti delle donne. La natura trasversale della violenza contro le donne e della tratta di esseri umani, che rientrano nella sfera di intervento di molti Ministeri, ha reso necessario attribuire una dimensione interministeriale a questa missione, composta da esperti delle varie amministrazioni che si occupano di violenza sulle donne e tratta di esseri umani. La MIPROF partecipa attivamente allo sviluppo e all’attuazione di politiche pubbliche per la protezione delle donne contro la violenza e la lotta alla tratta di esseri umani e ha censito anche gli osservatori territoriali sulla violenza alle donne.
A livello governativo, nel V Piano interministeriale di mobilitazione e di lotta contro tutte le violenze alle donne (6) – elaborato periodicamente dal Ministero per l’uguaglianza tra donne e uomini, per la diversità e l’uguaglianza di possibilità – si fa leva sull’avvio di campagne informative volte a demolire gli stereotipi sessisti che costituiscono il terreno fertile per la violenza sulle donne. Tali azioni di sensibilizzazione sono tanto più necessarie in quanto spesso la mancanza di informazioni, specialmente tra le giovani donne (18-25 anni), è di ostacolo alla rilevazione e alla denuncia degli abusi.
Particolare attenzione è dedicata alla formazione professionale (ini- ziale e continua) degli operatori, i quali hanno un ruolo cruciale da svolgere in termini di identificazione e orientamento, sia nel campo della salute, della sicurezza, sociale, giudiziario, dell’istruzione. Anche in questo campo, numerose azioni sono state intraprese dalla MIPROF, con un approccio multidisciplinare, viste le molteplici figure professionali coinvolte. La formazione sulla violenza di genere e sessuale contro le donne consente ai professionisti di acquisire una conoscenza delle diverse forme di violenza, dei loro meccanismi e delle loro conseguenze per le donne vittime, nonché le opportune tecniche professionali per meglio identificare, supportare e guidare le vittime.
Per quanto concerne la scuola, l’educazione alla sessualità è un compito rientrante nelle competenze del Ministero dell’educazione nazio- nale, della giovinezza e dello sport e ha come obiettivo, fra l’altro, la prevenzione della violenza e della cyberviolenza sessuale e sessista. L’e- ducazione sessuale non è una disciplina a sé stante ma si sviluppa attraverso tutti i tipi di educazione, in particolare scienze della vita e della terra, educazione morale e civica, storia-geografia, lingua francese. Almeno una sessione annuale di informazione e sensibilizzazione sui bambini vittime di abusi, in particolare sulla violenza domestica di natura sessuale, è inclusa nell’orario scolastico. Quanto all’esposizione dei minori a immagini por- nografiche, le scuole installano meccanismi per selezionare o controllare le informazioni messe a disposizione degli studenti, sensibilizzando questi ultimi sugli usi di internet e sui rischi che ne possono derivare. Il Ministero mette a disposizione un portale dedicato.
(6) Per quanto qui di interesse, il medesimo Dicastero elabora periodicamente anche il Piano nazionale di lotta contro le mutilazioni sessuali femminili.
Sempre in un’ottica di prevenzione, ancor prima che di repressione, vanno letti i seguenti provvedimenti di recente riforma.
Così, la disciplina codicistica è stata novellata, fra l’altro, dalla legge
n. 2019-222 di riforma della giustizia che ha introdotto misure dirette ad aumentare l’efficacia degli ordini di protezione, ha esteso le possibilità di porre sotto sorveglianza elettronica mobile persone condannate per violenza domestica, ha sancito l’ipotesi di sfratto dell’autore della violenza dome- stica dalla casa coniugale come parte delle alternative all’azione penale e ha creato un tribunale penale dipartimentale di primo grado, per tre anni, su base sperimentale.
Si tratta di misure dirette a controllare il pericolo « dalla fonte », cercando davvero di intervenire prima che l’azione criminale si sviluppi nella sua interezza giungendo a risultati più gravi. Tali novità, così recenti da essere non valutabili nel loro impatto, si caratterizzano per una grande attenzione al controllo dell’autore della violenza e al suo ruolo, non solo per condannarlo e punirlo, ma in particolare per impedirgli di nuocere.
In questo solco è al momento in fase di sperimentazione un’iniziativa ad opera del Ministero della giustizia che consiste in una sorta di forma blanda di custodia cautelare in attesa del processo, fortemente caratterizzata però dal punto di vista trattamentale. Xxxx accusati è fatto divieto di entrare in contatto con la vittima e, anziché in carcere, hanno domicilio temporaneo in alloggi statali con un accompagnamento sociale stretto (una sorta di probation officer di matrice inglese, che interviene prima dell’eventuale condanna). Se i riscontri sono positivi, questo accompagnamento pre- condanna potrebbe continuare, in caso di condanna, anche dopo di essa. Al momento la sperimentazione è in corso ora a Colmar e a Nîmes. Vi sono due giuristi/e incaricati della valutazione giuridica di tale innovazione mentre a due sociologi/ghe è affidata quella sociologica.
Certamente, fuori da una logica di stretta retribuzione, tale sperimen-
tazione non va inquadrata come ingiustificata concessione al reo, che dopo la condanna che lo riconosce colpevole può andare incontro a una forma meno afflittiva di pena.
Oltre ad avere potenziali vantaggi dal punto di vista trattamentale, non è da escludere che una modalità di espiazione della pena di questo tipo non possa essere maggiormente gradita alla vittima stessa. Il reo non detenuto può continuare a lavorare provvedendo più rapidamente a risarcire la vittima e continuando a mantenere eventuali figli comuni. La vittima potrebbe sentirsi comunque protetta grazie alla presenza del probation officer e delle misure di controllo. La condanna e le altre obbligazioni del reo xxxxxxxxxxxxxx alla vittima la riaffermazione della giustizia, allegge- rendo per essa sensi di colpa (ingiustificati ma presenti) rispetto allo stigma carcerario cui la sua denuncia ha portato il padre dei propri figli. Anziché stimolato ad alimentare desideri di vendetta, il reo sarebbe più velocemente stimolato a costruirsi una nuova vita senza ulteriori contatti con la vittima.
Pur con le dovute attenzioni, la citata sperimentazione andrebbe
ulteriormente studiata e approfondita.
A ciò si aggiunga la legge n. 2016-1547 (ribadita dalla legge n. 2020- 936) che modificando l’articolo 373-2-10 del codice civile, ha espressa-
mente previsto il divieto di mediazione familiare nei casi di violenza all’interno della coppia o contro il bambino, sulla falsariga di quanto accade in Spagna. Si dà così un’interpretazione restrittiva di quanto disposto a proposito della mediazione dalla Convenzione di Istanbul.
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime
In materia di servizi per la protezione alle vittime di violenza, il codice civile dedica il titolo XIV alle misure di protezione delle vittime di violenza. L’articolo 515-9 del codice civile specifica che il giudice del tribunale di famiglia può emettere urgentemente un ordine di protezione quando la violenza all’interno della coppia, anche in assenza di convivenza, o da parte di un ex coniuge, di un ex partner vincolato da un patto di solidarietà civile o di un ex partner, anche quando non c’è mai stata convivenza, può mettere in pericolo la vittima o uno o più figli. In questi casi, il giudice può, fra l’altro (articolo 515-11):
– vietare al convenuto di ricevere o incontrare determinate persone appositamente designate dal giudice del tribunale di famiglia, nonché di entrare in contatto in qualsiasi modo con loro;
– vietare al convenuto di recarsi in determinati luoghi appositamente designati dal giudice del tribunale di famiglia in cui si trova abitualmente la vittima;
– proibire al convenuto di possedere o portare un’arma;
– offrire all’imputato assistenza sanitaria, sociale o psicologica o un percorso di responsabilità per la prevenzione e la lotta alla violenza all’interno della coppia e sessista. In caso di rifiuto dell’imputato, il giudice per gli affari di famiglia ne dà immediata comunicazione al pubblico ministero;
– decidere sulla residenza separata dei coniugi. Il godimento della residenza coniugale è concesso, salvo un ordine appositamente giustificato da circostanze specifiche, al coniuge che non sia l’autore della violenza, anche se costei ha beneficiato in un primo momento o ancora al momento della decisione di un alloggio urgente, come casa-rifugio. In questo caso l’assunzione di responsabilità per i relativi costi può essere a carico del coniuge violento;
– decidere sulla sistemazione comune dei partner legati da un patto civile di solidarietà o dei conviventi. Il godimento della sistemazione comune è concesso, salvo che non sia giustificato da specifiche circostanze, al partner vincolato da un patto civile di solidarietà o al convivente che non sia l’autore della violenza;
– decidere sui termini di esercizio della potestà genitoriale e sui termini del diritto di visita e alloggio, nonché, ove applicabile, sul contributo alle spese di matrimonio per le coppie sposate, sugli aiuti materiali per i partner di un patto civile di solidarietà e sul contributo al mantenimento e all’istruzione dei figli.
Sempre sullo stesso tema, il rapporto dell’Alto Consiglio del 9 novembre 2020, Violences conjugales. Garantir la protection des femmes
victimes et de leurs enfants tout au long de leur parcours, oltre a riepilogare tutti gli strumenti di ascolto, sostegno e protezione, sollecita la diffusione di una cultura della protezione giudiziaria delle donne vittime e dei loro figli, inaugurando un percorso duraturo di « uscita » dalla violenza.
Sul sito istituzionale del Ministero per l’uguaglianza tra donne e uomini, per la diversità e l’uguaglianza di possibilità sono indicati gli strumenti di supporto per abusi e violenze, con particolare riferimento anche alla crisi sanitaria in atto, che ha visto acuirsi i casi di violenza coniugale. Tra questi, oltre alle linee telefoniche dedicate (7), vi è anche un portale che fornisce materiale informativo, informazioni utili per segnalare casi di violenza o per chiedere aiuto, per cercare un’associazione di protezione nazionale o sul territorio. Inoltre, nel V Piano interministeriale di mobilitazione e di lotta contro tutte le violenze alle donne si accenna al rafforzamento dei luoghi di ascolto e di accoglienza delle vittime, nonché dei presidi delle autorità competenti.
Sempre per supportare le vittime, si prevedono azioni di sostegno delle donne anche nel percorso giudiziario, a partire dalle modalità di denuncia, alla raccolta delle prove, fino alle diverse fasi del processo.
Sempre nel V Piano di mobilitazione e di lotta contro tutte le violenze alle donne si fa riferimento all’esigenza di aiutare le vittime ad uscire dalla violenza anche attraverso il loro reinserimento al lavoro, tenuto conto che la violenza subita costituisce un ulteriore ostacolo all’integrazione profes- sionale, a cui si aggiungono difficoltà più tradizionali quali mancanza di qualifiche, la distanza dal mercato del lavoro, le difficoltà di accesso all’assistenza all’infanzia. Pertanto, si propongono azioni di sensibilizza- zione dei servizi per l’impiego e dei contesti lavorativi, anche nell’ottica di scoraggiare comportamenti sessisti.
II. GERMANIA
Nel panorama internazionale l’esperienza tedesca non costituisce un riferimento in materia di tutela contro la violenza verso le donne nel contesto familiare, a differenza di quanto accade in moltissimi altri ambiti. In Germania non esiste né una definizione legale di violenza domestica ('häusliche Gewalt'), né una legge ad hoc; per indicare tale tipologia di crimine, le statistiche della polizia criminale (polizeiliche Kriminalstatistik, PKS) (8) utilizzano la nozione di « violenza di coppia » (Partnerschaftsge-
walt).
I crimini compiuti in ambito domestico comportano responsabilità penale ai sensi del codice penale (Strafgesetzbuch, StGB); le fattispecie configurabili prescindono dal luogo e dalle circostanze in cui viene perpetrato il reato, pertanto la semplice commissione in ambiente domestico/ familiare non comporta l’applicazione di alcuna aggravante.
(7) Oltre ai numeri di emergenza per contattare la polizia, vi sono linee telefoniche gratuite e anonime per le vittime di violenza sessuale e sessista, linee per le vittime con disabilità e linee per i minori vittime di violenza.
(8) Le statistiche dell’Ufficio federale della polizia criminale sulla violenza 'di coppia' sono disponibili sul sito del: BKA – Partnerschaftsgewalt – Kriminalstatistische Auswertung
Ancora oggi, rispetto a queste forme di violenza contro le donne, persiste in Germania una sensibilità che per l’osservatore italiano si potrebbe definire senza dubbio « scarsa ». Ciò non dipende dal dato oggettivo: guardando ai soli femminicidi essi sono in numero tale rispetto al totale delle altre morti violente che, in base ai dati dell' United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), la Germania si trova nella parte più alta della classifica nel rapporto donne uccise verso uomini uccisi.
Buona parte delle ragioni si collocano probabilmente nella sensibilità particolarmente spiccata verso la privacy familiare presente in quel Paese. A solo titolo di esempio si segnala una campagna attualmente assai reclamizzata dal Ministero competente in materia (Ministero « Famiglie, Anziani, Donne e Giovani »). Essa è finalizzata a stimolare la solidarietà tra vicini di casa, nella segnalazione alle forze dell’ordine di episodi di violenza domestica. In tale campagna si riporta un’immagine piuttosto trivializzata in cui un uomo assiste nottetempo a una scena di violenza contro una donna guardando nella vetrata della casa del vicino. La frase, che accompagna l’immagine invita a chiamare la polizia in quanto la violenza sulle donne non è mai una questione privata.
Tale passaggio nella considerazione della violenza domestica da questione privata a questione di interesse pubblico, in Italia o in buona parte di essa, può considerarsi fortunatamente consolidata.
L’opinione pubblica tedesca è ancora saldamente convinta che il problema della violenza contro le donne sia strettamente connesso all’im- migrazione, in particolare a quella turca e a quella proveniente dall’Europa orientale. Ne consegue una speciale attenzione, a differenza di altri Paesi, al supporto delle donne migranti, con azioni proattive, che tengono conto in particolare delle difficoltà di comprensione della lingua tedesca.
La combinazione di questi fattori permette di comprendere per quale motivo il mondo politico tedesco si sia mostrato particolarmente solerte nell’intervento dopo i fatti del Capodanno di Colonia nel 2016. Si trattò di condotte, va precisato, tanto discusse sui social network, quanto poco chiare nella loro effettiva portata e comunque tristemente non dissimili da quelle avvenute negli anni precedenti, ma per nulla reclamizzate.
I fatti di Colonia hanno determinato un autentico shock per il contesto tedesco e sono state determinati perché il Paese ratificasse la Convenzione di Istanbul (comunque ben 4 anni dopo l’Italia) approvando pacchetti di riforme senza precedenti. D’altra parte, riflettendo le caratteristiche degli eventi di Colonia (avvenuti in contesto pubblico e riconducibili a popola- zione immigrata), gli interventi legislativi hanno riguardato soprattutto aspetti della violenza contro le donne che avvengono in ambito pubblico o comunque riconducibili ad esso (poco conta dunque che statisticamente la violenza sessuale avvenga anche in Germania con maggiore frequenza fra le mura domestiche).
Si comprende pertanto come, guardando all’anno in corso, faccia particolare presa sull’opinione pubblica tedesca la campagna in atto verso la penalizzazione delle molestie verbali in strada, fenomeno presente a livelli diversi in tutto il mondo specie nei contesti urbani e ora noto con l’espressione inglese « catcalling ». Sempre nel 2021, nella medesima linea,
si inserisce il Gesetz zur besseren Bekämpfung von Rechtsextremismus und Hasskriminalität che ha modificato la fattispecie di apologia (del paragrafo 140) estendendola anche ai reati futuri. Si confida con ciò di sanzionare e contenere la diffusione di post e messaggi su internet che, per criticare una donna, ricorrono a espressioni violente e sessualmente connotate, come per esempio: « Speriamo che qualcuno la stupri ».
In sintesi, alla minore attenzione verso la dimensione domestica della violenza contro le donne fa, per così dire, da contrappeso un robusto apparato di tutele per garantirne la piena libertà nello spazio pubblico.
1. La repressione della violenza
1.1. Le norme del codice penale
A partire dal 1969 la disciplina tedesca dei reati sessuali è stata ripetutamente sottoposta a riforme ispirate a obiettivi diversi, come mai era accaduto prima a nessuna area del diritto penale in Germania.
Tuttavia, almeno in un primo momento, l’ordinamento ha tardato ad adattarsi alla novità dell’introduzione della Convenzione di Istanbul e, fino a settembre 2015, il Ministero di giustizia federale riteneva ancora suffi- ciente la protezione offerta dal codice penale tedesco, non vedendosi la necessità di intervenire.
Successivamente, il dibattito pubblico e le richieste di riforma si sono sempre più rafforzate, in particolare per colmare le lacune di protezione presenti, e il dibattito si è definitivamente acceso a seguito dei già citati eventi nella notte di Capodanno 2016 a Colonia.
Si è provveduto perciò ad approvare un’ampia riforma entrata in vigore nel novembre 2016 che, tra l’altro, ha rinnovato completamente la disciplina dei reati di violenza sessuale adeguandoli al disposto dell’articolo 36 della Convenzione di Istanbul (che tuttavia è entrata in vigore in Germania solo nel 2018) caratterizzato da una altissima considerazione dell’elemento del consenso nei reati sessuali.
L’ordinamento tedesco non è certo il primo ad aver introdotto simili riforme, ma è interessante considerare questi aspetti per due ragioni.
In primo luogo la novella tedesca è stata preceduta da un ampio dibattito pubblico e ha prodotto un vero e proprio cambio di equilibri, tra i maggiori Paesi europei, sul punto della disciplina dei reati di violenza sessuale (influenzando tra l’altro l’attuale dibattito penalistico spagnolo). In secondo luogo, la penalistica tedesca è ancora oggi di gran lunga quella maggiormente in contatto, dal punto di vista della comparazione penalistica, con quella italiana. Lo studio dogmatico delle fattispecie penali nei due Paesi viaggia su binari paralleli con reciproci scambi e costanti
influenze.
Per molto tempo i reati di violenza carnale e di violenza sessuale anche in Germania erano previsti in due articoli separati del codice penale. Quasi contemporaneamente alla riforma italiana avvenuta nel 1996, che ha creato il nuovo articolo 609-bis del codice penale unificando le figure della
violenza carnale e degli atti di libidine violenti, nel 1997 anche in Germania si è creata un’unica fattispecie.
In base al testo vigente nel ventennio 1997-2016, la fattispecie del §
177 StGB prevedeva la coercizione sessuale come ipotesi base cui si accompagnavano delle aggravanti in casi di contestuali ulteriori violenze. La coercizione doveva avvenire con violenza o minaccia tale da comportare un pericolo attuale per la vita o l’integrità fisica della persona, oppure sfruttando una situazione nella quale la vittima fosse indifesa e in balìa del comportamento dell’autore.
In quanto a ciò, la norma previgente assomigliava notevolmente a quella italiana, anche se troppo facili sovrapposizioni non debbono trarre in inganno poiché, in tali fattispecie, la dinamica processuale ha un peso rilevantissimo.
In ogni caso, oggi, il requisito della « violenza o minaccia » non è più indicato nell’ipotesi base, ma costituisce una aggravante (comma 5), anche se ciò non ha comportato una modifica del quadro sanzionatorio: la pena base dell’attuale comma 5 è la medesima della previgente ipotesi base del
§ 177.
Tornando alla nuova fattispecie base, essa incrimina la condotta di colui che compie atti sessuali contro la « riconoscibile volontà » della persona (gegen den erkennbaren Xxxxxx) e va data grande rilevanza al fatto che la pena sia più bassa di quella che in precedenza era prevista per il primo comma del § 177.
In altre parole, modificando gli elementi della condotta punita e a fronte di un diverso quadro sanzionatorio, dal punto di vista strettamente dogmatico si potrebbe intendere la riforma come la scelta del Parlamento tedesco di incriminare una condotta in precedenza considerata lecita. Pretendere che chi compie atti sessuali con un’altra persona si curi del fatto che entrambi siano d’accordo e sanzionare chi non si conforma a tale regola, non solo non viola alcun diritto di un ipotetico imputato, ma corrisponde certamente al dovere statale di proteggere la vita e l’integrità fisica e sessuale dei/delle consociati/e.
Inquadrando la riforma in questo modo si possono azzerare i legittimi dubbi di coloro che, stante il venir meno del requisito della violenza o minaccia, potevano sostenere che l’intervento normativo finiva per ridurre le garanzie dell’imputato. La velata suggestione che stava alla base del ragionamento era quella per cui potrebbero essere processati uomini che avevano avuto rapporti consensuali, ma una volta consumato il rapporto avevano avuto diverbi con la persona che poi aveva finito per denunciarli. In pratica, con una fattispecie costruita attorno al requisito del consenso, la critica triviale sottolinea che si lascerebbero degli uomini innocenti alla berlina di donne che successivamente avrebbero un lungo tempo a disposizione per denunciarli, per trarre da ciò non si sa bene quale
beneficio.
È la dinamica processuale, tuttavia, a dare una luce corretta al senso e alla portata della riforma e a fugare ogni dubbio. Esigendo, come in passato, che la prevaricazione della altrui volontà avvenisse con specifiche attività costrittive si finiva implicitamente per costringere la pubblica accusa
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a dar conto di una reazione attiva potenzialmente efficace da parte della vittima rispetto alla violenza subita. La legge certo non richiedeva tale requisito, ma stante l’atteggiamento della difesa (niente affatto criticabile in ottica processuale) che poteva limitarsi apoditticamente a sostenere che il rapporto era consensuale senza altro aggiungere, al pubblico ministero non restava altra via che appoggiarsi a una precisa e approfondita testimonianza della vittima. Le necessità accusatorie, stante quella formulazione della fattispecie, finivano per ribaltare il protagonismo processuale: anche se esplicite manifestazioni di dissenso e di reazione (urla, fuga, graffi, ecc.) non erano richieste, dandone prova il pubblico ministero riusciva più agevolmente a dimostrare la responsabilità del reo, pur al prezzo di una potenziale rivittimizzazione della vittima.
La nuova formulazione del reato guarda a questo problema e stimola indirettamente la difesa ad assumere un atteggiamento processuale diverso, poiché, senza che ciò imponga ribaltamenti nell’onere probatorio, induce certamente l’accusato a chiarire da quali elementi abbia dedotto l’altrui consenso, affidando la valutazione, comunque, non alla vittima ma al giudice terzo.
È questo, infatti, il senso dell’importante aggettivo « erkennbaren » (riconoscibile) riferito alla volontà.
Per la dottrina tedesca, basta che la vittima segnali in qualsiasi modo la volontà contraria perché vi sia reato. Il parametro della riconoscibilità è la riconoscibilità di un terzo oggettivo ma – si badi – nel contesto cul- turale tedesco perché per un terzo oggettivo un « no » sia tale, basta che il dissenso sia pronunciato anche una sola volta e non deve certo essere urlato. Per la dottrina tedesca la nuova legge stabilisce dunque chiaramente il principio che ogni atto sessuale contrastante con la volontà della vittima, sia espressa che non espressa, ma comunque riconoscibile, costituisca una
condotta penalmente rilevante.
Il secondo comma del § 177 StGB prevede la stessa pena per cinque modalità di abuso sessuale. Sono ipotesi nelle quali la vittima – per vari motivi – non sia in grado di formare o esprimere la volontà contraria.
Mentre le altre condizioni costituiscono modifiche del previgente e ora abrogato §179 StGB, il numero 3 è del tutto nuovo. In questo caso il reato sussiste quando il colpevole approfitta di una situazione di sorpresa. Si tratta di condotte di intrusione sessuale rapida contro le quali il soggetto passivo non ha il tempo di esprimere la propria contraria volontà, come per esempio se qualcuno tocca improvvisamente l’organo sessuale di un’altra persona. Si tratta delle ipotesi di palpeggiamento che rimandano esattamente ai fatti occorsi durante il Capodanno 2016 a Colonia.
Ne consegue effettivamente che, almeno in astratto, un palpeggiamento breve avvenuto in contesto pubblico (comma 3) sia punito più gravemente di un rapporto sessuale completo avvenuto senza consenso dentro le pareti domestiche (comma 1). Questo da una parte corrisponde alla citata diffe- rente considerazione dei fatti che avvengono in spazio pubblico rispetto al contesto privato di cui si diceva poc’anzi, ma si tenga presente che tali storture possono essere corrette con la regola di riequilibrio delle circo-
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stanze effettive del caso previste dall’ultimo comma dello stesso § 177 StGB.
I commi 4 e 5 contengono figure criminose aggravate che erano già previste nella legislazione previgente. Il quarto comma riguarda atti sessuali con persona affetta da malattia o handicap che le impedisca di formare o esprimere il consenso e prevede una pena da 1 a 15 anni di detenzione. Il comma 5 contiene la vecchia fattispecie base, cioè la coercizione sessuale mediante violenza, minaccia o con l’approfittare della vulnerabilità della vittima. Anche le fattispecie dei commi 6, 7 e 8 (con pene rispettivamente tra 2, 3 o 5 fino a 15 anni) sono riprodotte invariate, ma applicabili anche alla nuova fattispecie base di « aggressione sessuale ». Questo vale anche per il §178 (nuova formulazione) StGB che punisce con la pena non inferiore a 10 anni l’agente che, con l’aggressione o la violenza sessuale o con la violenza carnale provochi, almeno per colpa grave, la morte della vittima.
L’ampio spazio di discrezionalità tra minimo e massimo edittale, che
caratterizza la legislazione tedesca anche in altri ambiti, corrisponde a una fiducia del legislatore nella capacità della magistratura di stabilire la sanzione più adatta al caso concreto.
La nuova legge ha introdotto il reato di « molestie sessuali ». Il nuovo
§184i StGB prevede che: « Chiunque tocchi fisicamente un’altra persona in modo sessualmente determinato e quindi la molesti sarà punito con la reclusione fino a due anni o con una multa, a meno che l’atto non sia punito maggiormente da altre disposizioni di questa sezione ».
Sono pertanto escluse le molestie verbali, riguardo alle quali, come già anticipato, si discute ora di una loro penalizzazione. In ogni caso, le condotte definite dal §184h StGB non superavano in precedenza la soglia della rilevanza penale.
La fattispecie è realizzata con un toccamento dell’altra persona in modo sessualmente determinato (ove non vi sia contatto, come nell’esibi- zionismo, si ricorre alla fattispecie del §183). Vengono puniti ad esempio i palpeggiamenti su parti intime (vestite), ma non necessariamente su organi sessuali, con pena detentiva fino a due anni oppure pena pecuniaria. In casi gravi la pena è da tre mesi a cinque anni. Si ipotizza un caso grave, per esempio, quando il fatto viene compiuto collettivamente da più persone. Il reato è punibile a querela della persona offesa, a meno che non esista un interesse pubblico al perseguimento del fatto.
Anche questa nuova fattispecie è fortemente condizionata dall’esi- genza di reprimere comportamenti come quelli avvenuti a Colonia e Amburgo. Risulta, tuttavia, altrettanto evidente il suo difficile coordina- mento, per esempio, con il §177 comma 3, sopra citato, perché da una parte il nuovo §184i StGB viene indicato come fattispecie residuale (« salvo che il fatto non costituisca più grave reato »), ma dall’altra i suoi casi particolarmente gravi (besonders schweren Fällen) sono puniti nel massimo alla pari di una violenza sessuale.
Particolare interesse potrebbe suscitare la nuova norma « anti-branco », ovvero il §184j StGB, anch’esso frutto delle vicende di Capodanno. Esso punisce con carcere fino a due anni o con la multa chi, per il solo fatto di
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formare parte di un gruppo di persone, determina o istiga la commissione da parte di uno dei suoi membri di un atto criminale previsto dai §§ 177 o 184, sempre che l’atto criminale sia effettivamente commesso.
Tuttavia, una norma siffatta non avrebbe necessità di essere introdotta nel nostro Paese perché il concorso di persone nel reato è disciplinato in un modo molto diverso in Italia rispetto alla maggior parte dei Paesi vicini. Senza bisogno di entrare in particolari dettagli, malgrado la dottrina non abbia manifestato perplessità o contrarietà, in giurisprudenza l’istigazione e la determinazione del cosiddetto « branco » sono sanzionate penalmente.
In generale, la riforma dei delitti sessuali ha suscitato in Germania reazioni ambivalenti.
Da un lato viene considerata come un passo nella direzione giusta, perché strumento di maggiore tutela delle donne contro la violenza sessuale, necessaria per colmare le riscontrate lacune legislative.
Dall’altro lato dev’essere criticata nei dettagli, perché realizzata troppo in fretta e perciò mal concepita. Almeno sino a questo momento, la nuova legislazione non mostra comunque di aver inciso sul problema della bassa percentuale di reati sessuali perseguita penalmente in ragione delle poche denunce. Anche a cinque anni di distanza dalla promulgazione, vista anche la durata dei procedimenti, è comunque presto per tirare delle conclusioni. Con il § 238 StGB, introdotto nel codice penale nel 2007, viene punito chiunque perseguiti illecitamente un’altra persona in un modo da nuocere gravemente al suo stile di vita personale. Dieci anni dopo la sua introdu- zione è stato riformato con una trasformazione da reato di evento a reato
di pericolo astratto.
Il § 238 StGB è inserito nella sezione dedicata ai reati contro la libertà personale. Lo scopo della norma è la protezione della vita privata (in particolare la libertà d’azione e di decisione) da gravi molestie della vita. Nella sua precedente formulazione, era necessario che dallo stalking derivasse una malattia rilevabile o un evento come, ad esempio, il trasloco della vittima. Questo comportava non solo difficoltà probatorie ma anche la conseguenza che una vittima mentalmente più solida fosse meno protetta.
Tra le ragioni della modifica risulta infatti che vi sia stato il basso numero di condanne a fronte delle denunce presentate.
Oggi la punibilità non dipende più dal comportamento della vittima, ma da quello dell’autore del reato. È sufficiente che vi sia un motivo oggettivo per un cambiamento del comportamento. Per la valutazione generale vengono prese in considerazione tutte le circostanze del caso concreto. In primo luogo, è da considerare il grado di pressione psicologica generata dall’autore del reato. Le circostanze di cui si deve tener conto sono la frequenza, la continuità e l’intensità degli atti di persecuzione dell’autore del reato, nonché il loro contesto temporale e gli eventuali cambiamenti che si sono già verificati nella vita della vittima e le conseguenze psicologiche e fisiche che ne derivano.
La riforma ha sollevato molte critiche, perché anche in questo caso molti sono coloro che leggono, in una logica binaria, ogni miglioramento della protezione della vittima come un peggioramento della posizione processuale dell’accusato. Al di là di ciò, da un punto di vista tecnico, anche
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la nuova formulazione non sembra adatta a ridurre le difficoltà probatorie, perché non è chiaro quale potrebbe essere un danno allo stile di vita dal punto di vista di un terzo obiettivo in un caso specifico. Una vittima più sensibile della media che reagisce non meriterebbe quindi protezione.
Fin dalla prima introduzione, nel 2007 aveva suscitato molte critiche il numero 5 del primo comma, che punisce chi commette « un’altra azione simile » (eine andere vergleichbare Handlung). Non mancarono le proposte di abolizione, perché si dubitava della conformità con il principio di legalità-determinatezza. Come noto, tuttavia, il reato di stalking può essere commesso in varie modalità che non possono essere descritte tutte in dettaglio, e quindi una tale disposizione generale (Auffangtatbestand) tiene conto di queste modalità. La rigorosa interpretazione giurisprudenziale ha comunque scongiurato questo rischio.
Al di là della sua formulazione legale, che certo non potrebbe essere presa a riferimento dal nostro legislatore se intendesse riformare il nostro articolo 612-bis del codice penale, risulta però interessante l’applicazione giurisprudenziale relativa al suicidio come conseguenza della condotta delittuosa.
Come già visto in Francia e come si indicherà riguardo all’India, è dibattuta la questione circa la corretta valutazione delle responsabilità per le conseguenze della condotta dell’autore sulla vittima (suicidio, cadute nel corso della fuga, ecc.).
Per la realizzazione del reato di stalking che causa la morte di una persona di cui al § 238 comma 3 StGB è necessaria una specifica connessione di pericolo tra la fattispecie base di stalking e il successivo evento letale (BGH, 15 febbraio 2017 – 0 XxX 000/00, XXX, XXX 0000, 2211). Secondo la giurisprudenza un nesso puramente causale tra la realizzazione del reato di base e la morte susseguente non sarebbe sufficiente per configurarlo.
Nella giurisprudenza richiamata, l’imputato aveva disturbato intensa- mente la vittima in tutti i settori della vita per un lungo periodo di tempo con notizie e altre azioni. In un secondo momento, la vittima si è tolta la vita. In questo caso, quindi, la morte della vittima è stata causata da un comporta- mento responsabilmente auto-danneggiante che potrebbe lasciare dubitare la menzionata specifica connessione di pericolo. Il giudice tedesco ha ritenuto qui sussistente una specifica connessione di pericolo: il comportamento della vittima era motivazionalmente attribuibile alla realizzazione dei fatti di base e tale motivazione era stata il fattore guida nelle azioni di comportamento autolesionistico. Scopo fondamentale del reato del § 238 StGB sarebbe quello di proteggere la vittima da comportamenti autolesionistici, perché gli effetti nell’ambito del § 238 StGB sono generalmente di natura psicologica.
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie
Oltre alle previsioni del codice penale, occorre ricordare la legge del 2001 (modificata nel 2017) sulla protezione civile contro atti di violenza e stalking (Gesetz zum zivilrechtlichen Xxxxxx vor Gewalttaten und Nachstel- lungen – Gewaltschutzgesetz, GewSchG), il cui obiettivo è il migliora-
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mento del livello di protezione civile in caso di atti di violenza e molestie irragionevoli, specie nei casi di violenza domestica o di atti violenti compiuti nell’ambiente sociale della vittima.
In particolare, la legge reca norme supplementari finalizzate all’ese- cuzione delle richieste di protezione civile-legale in relazione ad atti di violenza e di molestie irragionevoli. La legge sulla protezione contro la violenza si compone di quattro paragrafi: il § 1 regola le misure giudiziarie di protezione contro gli atti di violenza e, in particolare, il potere dei tribunali civili di adottare le misure necessarie a evitare ulteriori lesioni (i cosiddetti « ordini di protezione ») in caso di lesioni intenzionali e illegali al corpo, alla salute o alla libertà di una persona; il § 2 riconosce il diritto della vittima di lasciare l’appartamento condiviso con l’autore del reato; il
§ 3 precisa il campo di applicazione delle disposizioni; il § 4 stabilisce le pene applicabili per la violazione degli ordini di protezione giudiziaria.
Anche in questo caso, rispetto agli standard italiani, siamo tuttavia di fronte a una tutela piuttosto blanda (si noti il § 2: necessario per far sì che né autore né locatario di un appartamento precedentemente in uso alla vittima possano esigere denaro per pagare un affitto non goduto a causa della fuga).
In tal caso, la competenza spetta al tribunale della famiglia, che è un dipartimento speciale del tribunale distrettuale locale.
Per quanto concerne le specifiche molestie sessuali compiute sul lavoro, esse non sono considerate in modo autonomo, salvo che, in sede interpretativa, non si considerino riconducibili ai casi « di maggiore gra- vità » per i quali il citato § 184 i/2 del StGB prevede un aggravamento di pena. Contestualmente alla riforma dell’articolo in questione, il legislatore ha anche modificato il titolo della norma in « Aggressione sessuale; Costrizione sessuale; Stupro » (Sexueller Übergriff; sexuelle Nötigung; Vergewaltigung), ampliando così notevolmente la sua sfera di applicazione, fino ad includere ogni tipo di aggressione o abuso sessuale.
2. La prevenzione della violenza: fra campagne di comunicazione, attività formative-educative e iniziative per il recupero degli uomini maltrattanti
In tema di prevenzione, si segnala che un primo piano di azione del Governo tedesco contro la violenza sulle donne è stato adottato nel 1999. Tale piano era imperniato sul concetto di violenza sulle donne inteso in un’accezione più ampia, che spingesse cioè verso interventi normativi non concentrati esclusivamente sulla punibilità dei meri reati di violenza, ma che contemplasse anche altri profili, quali ad esempio quelli legati ai temi dell’assistenza medica e psicologica e dell’educazione dei minori al ripudio della violenza.
Successivamente, nel 2007, è stato adottato il secondo piano d’azione per il miglioramento nell’efficienza della lotta contro la violenza sulle donne (Aktionsplan II der Bundesregierung zur Bekämpfung von Gewalt gegen Frauen, ed. 2012).
I principali obiettivi del piano di azione sono quelli di rendere più efficace la lotta contro la violenza sulle donne e, contestualmente, rafforzare la tutela delle donne medesime.
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I settori presi in considerazione dal nuovo piano, già peraltro richia- mati in quello precedente, sono i seguenti:
1. prevenzione;
2. attuazione a livello normativo dei principi contenuti nel piano;
3. creazione di un sistema di assistenza e consulenza alle donne vittime di violenza;
4. effettuazione di collegamenti, anche via internet, con il sistema di assistenza e consulenza;
5. cooperazione tra istituzioni statali e organismi non pubblici che si occupano del tema;
6. rieducazione degli autori delle violenze;
7. qualificazione e sensibilizzazione;
8. ricerca;
9. collaborazione nazionale e internazionale;
10. misure di sostegno per le donne all’estero.
Nell’introduzione al piano d’azione viene, inoltre, espresso l’auspicio che anche i singoli Länder proseguano a elaborare autonomamente propri programmi per contrastare il fenomeno della violenza sulle donne. Ciò, peraltro, appare di fondamentale importanza, dal momento che molte misure d’attuazione a livello normativo sono di competenza dei singoli Länder.
Il piano individua poi una serie di obiettivi specifici.
Viene anzitutto presa in considerazione una tutela rafforzata delle donne migranti. Sulla base del sondaggio (che corrisponde dunque a opinioni personali e non a dati oggettivi) adottato dal piano d’azione come punto di riferimento, le donne migranti – in particolare quelle provenienti dalla Turchia e dall’Europa dell’Est – sarebbero, infatti, più frequente- mente soggette ad atti di violenza (comprese le violenze di natura sessuale e certe forme particolarmente gravi di violenza corporale) rispetto alle donne di nazionalità tedesca. Su questa base, per tali donne sono proposte azioni di aiuto proattive, che tengano soprattutto conto delle difficoltà di comprensione della lingua tedesca. Ciò fa sì che, paradossalmente, tale settore della popolazione potrebbe ricevere servizi migliori della popola- zione nazionale, contrariamente a quanto avviene usualmente in altri Paesi. Il documento riserva, inoltre, una particolare attenzione alle donne con menomazioni sia fisiche che mentali, una tipologia femminile già presa in considerazione dal primo piano d’azione. Per tali donne, evidentemente meno consapevoli del proprio corpo, della propria sessualità, del diritto alla propria sfera di intimità, e dunque meno informate riguardo alla proble- matica della violenza sessuale, viene prevista la predisposizione di mate- riale informativo apposito, avente il primario obiettivo di fornire chiarimenti
« orientati » con riferimento sia al determinato contesto sociale nel quale si muovono le donne con menomazioni, sia a gruppi specifici nell’ambito di tale contesto.
Un altro obiettivo inserito nel piano è quello di prestare particolare attenzione ai bambini e, specificamente, alla « prevenzione prima possi- bile ».
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Viene sottolineata l’importanza della prontezza delle istituzioni me- diche nel rilevare il collegamento tra la violenza subita e le conseguenze fisiche e psichiche riportate. Non sempre, infatti, secondo il documento, il personale medico sarebbe in grado di riconoscere rapidamente il collega- mento tra i sintomi riportati e la violenza subita. Il documento afferma, quindi, che le prestazioni mediche nel settore dovranno essere conformate in modo tale da consentire alle donne vittime di violenza di poter essere sostenute e assistite anche in quest’ottica, con specifica opera di formazione del personale sanitario.
Occorre inoltre, secondo il documento, dotare giudici e assistenti sociali di maggiori competenze in materia, in modo da indurre maggior- mente le donne che hanno subito violenza a rivolgersi, oltre che alle persone ad esse più vicine, anche a tali soggetti in qualità di ulteriori interlocutori. Si raccomanda poi di aumentare le richieste di aiuto, puntando in particolare sulla possibilità di chiedere aiuto (non necessariamente collegato
a una denuncia penale) in maniera anonima e veloce.
Il documento esorta, infine, a prendere in maggiore considerazione anche gli autori dei reati con programmi specifici volti a incidere in positivo sul comportamento degli stessi e auspica, in tal senso, un ulteriore rafforzamento della collaborazione tra Federazione, Länder e organizza- zioni non governative in materia.
Per quanto concerne le politiche di rieducazione, prevenzione e reinserimento, occorre sottolineare che in Germania sono diverse le istitu- zioni che offrono i cosiddetti corsi di formazione sociale per autori di violenza domestica (soziale Trainingskurse), finalizzati a modificarne il comportamento violento e quindi a prevenire il compimento di ulteriori atti di violenza. Il Gruppo di lavoro federale sugli autori di violenza domestica (Bundesarbeitsgemeinschaft Täterarbeit Häusliche Gewalt e.V.) è l’orga- nizzazione di coordinamento di tali strutture e definisce i punti chiave e gli standard qualitativi necessari per la gestione del lavoro di rieducazione/ riabilitazione con gli autori di violenza domestica.
Tali standard sono stati pubblicati dal Ministero federale per la famiglia, gli anziani, le donne e la gioventù, nell’opuscolo « Lavorare con i responsabili di violenza domestica » (9).
Oltre alla possibilità di iscriversi volontariamente a un corso quale (potenziale) autore di violenza domestica, la magistratura può stabilire l’obbligo di partecipare a un corso di formazione sociale in base alle seguenti modalità:
– l’ufficio del pubblico ministero può impartire istruzioni a parte- cipare al corso se sospende temporaneamente il procedimento nei confronti dell’imputato ai sensi del § 153a, comma 1, n. 6 del codice di procedura penale (Strafprozeßordnung, StPO);
– in base al § 59, comma 1, del codice penale, il tribunale può dichiarare colpevole l’autore del reato, ammonirlo e riservarsi il diritto di condannarlo a una pena già determinata per la durata del periodo di prova.
(9) Tale opuscolo è disponibile al seguente link: xxxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxxxx/ publikationen/arbeit-mit-taetern-in-faellen-haeuslicher-gewalt/80734
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In base al § 59a, comma 2, n. 5, del medesimo codice, il tribunale può combinare tale avvertimento con l’istruzione a partecipare a un corso di formazione sociale;
– se il trasgressore viene condannato a una pena detentiva, la cui esecuzione è sospesa per la libertà vigilata ai sensi del § 56 StGB, il tribunale può anche impartire istruzioni a partecipare a un corso di formazione sociale ai sensi del § 56c StGB.
Inoltre, se in caso di violenza domestica viene richiesto il divorzio, il
§ 1361b, comma 2, del codice civile (Bürgerliches Gesetzbuch, BGB) prevede che per il periodo di separazione – fino al divorzio definitivo – la casa coniugale venga normalmente assegnata in uso esclusivo al coniuge vittima di violenza domestica. Il diritto a occupare l’appartamento coniu- gale può essere escluso solo se viene offerta prova che non sussiste il rischio di reiterazione del reato (cfr. § 1361b, comma 2, secondo periodo, BGB).
In definitiva, la minore attenzione nei confronti della violenza dome- stica in Germania, rispetto al contesto italiano, non osta a una maggiore organizzazione relativamente ai cosiddetti percorsi per maltrattanti. Anzi, gli standard vengono definiti a livello centrale e realizzati in modo decentrato a livello locale.
Non sussiste particolare sfiducia o diffidenza nei confronti né della loro potenziale efficacia, né dei costi per le finanze pubbliche.
Questi percorsi sono concepiti, evidentemente, come parte integrante della pena che in Germania anche per l’opinione pubblica, è bene ricordare, non è affatto sinonimo di carcere, essendo la pena privativa della libertà comminata in una minoranza di casi. In base a tale visione, questi percorsi non costituiscono un « beneficio gratuito » per chi ha commesso degli illeciti, ma risulta anzi indispensabile che essi siano realizzati ed estesi al maggior numero di soggetti possibili.
III. NORVEGIA
La violenza maschile contro le donne, inquadrata nella particolare ottica della violenza nei contesti di relazioni strette, è uno dei principali problemi sociali in Norvegia e le istituzioni ne sono tanto consapevoli da dedicare risorse intellettuali ed economiche per contrastarlo, probabilmente con pochi eguali nel mondo.
In base ai dati pubblicati da UNODC, negli ultimi anni, Italia e Norvegia hanno un tasso di omicidi del tutto paragonabile, oscillante tra 0,5 e 0,6 ogni 100.000 abitanti. Tuttavia, il peso relativo dei crimini commessi in contesti di previa relazione tra autore e vittima, tipologia in cui in ogni Stato si riscontra una prevalenza di vittime femminili, è più alto nel paese nordico rispetto alla nostra penisola. Ciò fa sì che, in rapporto alla popolazione, si riscontri un maggior numero di femminicidi in Norvegia
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rispetto all’Italia (10). In linea di tendenza, la Norvegia si avvia a entrare nella brevissima lista di Paesi in cui il numero totale di morti violente femminili supera il numero di quelle maschili.
Il Paese scandinavo, che sotto altri aspetti ha saputo gestire e contenere la violenza più di ogni altro, stando ai numeri, non riesce ancora a esprimere politiche pubbliche efficaci per contrastarla quando essa si esercita contro le donne e più in generale nelle relazioni strette.
La situazione potrebbe cambiare nei prossimi anni, perché le azioni predisposte nell’ultimo decennio e in continuo aggiornamento, con uno sforzo umano e finanziario senza precedenti, potrebbero cominciare a sortire effetti visibili in termini statistici.
1. La repressione della violenza
1.1. La disciplina del codice penale
Dal punto di vista della legislazione penale in senso stretto, la Norvegia non presenta significative peculiarità. Il già menzionato interven- tismo legislativo dell’ultimo decennio, ha coinvolto la legislazione penale solo marginalmente.
Il codice penale norvegese (11) dedica il capo 26 (composto dagli articoli da 291 a 320) ai « Reati sessuali ».
L’articolo 291 disciplina la fattispecie di violenza sessuale, sanzio- nando con la pena della reclusione fino a dieci anni il soggetto che: ottiene prestazioni sessuali mediante violenza o minacce; ha rapporti sessuali con persona in stato di incoscienza o che sia resa impossibilitata a resistere alla violenza per qualsiasi altro motivo; costringe, mediante violenza o minacce, una persona ad avere rapporti sessuali con terzi oppure a compiere atti assimilabili ad atti sessuali sulla propria persona.
L’articolo 292 prevede la pena minima di tre anni di reclusione e innalza quella massima a quindici anni quando gli atti di violenza previsti dall’articolo 291 siano compiuti con: penetrazione (vaginale o anale); fellatio; inserimento di oggetti nella vagina o nell’ano. La medesima pena è prevista quando è l’aggressore a causare nella vittima lo stato di impossibilità a resistere di cui all’articolo 291. Qualora il reato di violenza abbia natura gravemente colposa, la pena massima è fissata dall’articolo 294 a sei anni di reclusione; a dieci anni al ricorrere delle aggravanti di cui all’articolo 293.
(10) Si tratta di un dato statistico certamente suscettibile di oscillazioni, anche importanti, in ragione della popolazione norvegese che ad oggi non supera i 5,5 milioni (inferiore p.e. a quella del Lazio). In ogni caso si può affermare con sicurezza che la violenza sofferta dalle donne norvegesi sia inferiore a quella patita nel nostro Paese.
(11) La presente xxxxxx fa riferimento alla traduzione non ufficiale in inglese fornita dal Ministero della giustizia e della sicurezza della Norvegia alla pagina internet: xxxxx://xxxxxxx.xx/ dokument/NLE/lov/0000-00-00-00. Gli articoli qui sunteggiati non sono stati modificati succes- sivamente agli ultimi aggiornamenti della traduzione, ad eccezione dell’art. 282 di cui è stata considerata la versione in lingua originale.
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L’articolo 293, recante talune circostanze aggravanti, prevede la pena fino a ventuno anni di reclusione (12) quando i reati di cui ai citati articoli 291 e 294 (nonché 299, concernente i rapporti sessuali con minori di 14 anni) sono commessi da più persone che agiscono insieme, sono commessi in maniera particolarmente offensiva o dolorosa, oppure quando la vittima muore o subisce un danno al fisico o alla salute. La norma specifica che deve essere sempre considerato tale la trasmissione di una malattia me- diante l’atto sessuale.
L’articolo 295 punisce con la reclusione fino a sei anni coloro che ottengono prestazioni sessuali sfruttando: una posizione dominante; la malattia o disabilità mentale della vittima (sempreché la condotta non sia riconducibile alle fattispecie di cui all’articolo 291); la situazione di vulnerabilità di un minore di diciotto anni. L’articolo 296 prevede la medesima pena per coloro che, avendo posizioni di responsabilità negli istituti penitenziari o in altre strutture, ottengono prestazioni sessuali da detenuti o detenute o altre persone soggette a misure restrittive della libertà.
L’articolo 297 punisce l’atto sessuale non consensuale con la multa o con la reclusione fino ad un anno quando il soggetto abbia compiuto un atto sessuale con una persona che non abbia a ciò acconsentito.
Per quanto concerne i profili riconducibili alla violenza nelle relazioni intime, l’articolo 282 del codice punisce, con la reclusione fino a sei anni, gli abusi, seri o ripetuti, praticati con minacce, forza, privazione della libertà, violenza, trattamenti degradanti, nei confronti di soggetti in « stretta relazione » (nære relasjoner). Tali soggetti sono:
a) attuali o precedenti coniugi o conviventi;
b) un parente oppure un parente di un coniuge o convivente (attuale o precedente) in linea di discendenza diretta;
c) un parente in linea ascendente diretta;
d) un qualsiasi membro della famiglia che vive nella stessa dimora;
e) una qualsiasi persona sottoposta alle cure dall’aggressore.
Quando qualcuno è ritenuto colpevole di un atto criminale ai sensi della lettera b), il tribunale deve valutare l’imposizione di un ordine restrittivo (come disciplinato dall’articolo 57 del codice).
Ai sensi dell’articolo 283 la pena massima è elevata a quindici anni di reclusione in presenza di ulteriori circostanze aggravanti. Tali circostanze sono commisurate alla durata degli abusi oppure al fatto che essi siano stati praticati in maniera dolorosa o siano risultati particolarmente dolorosi, oppure siano stati praticati nei confronti di un soggetto indifeso.
Si richiamano qui solamente, infine, gli articoli 251 e 252 (coercizione e relative aggravanti) nonché gli articoli 263 e 264 (minacce e relative aggravanti), applicabili a taluni profili di interesse per la presente tratta- zione.
Per quanto concerne il fenomeno dello stalking, il codice norvegese prevede due figure, distinte per gravità, agli articoli 266 e 266a. La prima
(12) Si tenga presente che la pena per l’omicidio volontario, in base all’art. 275, è compresa in una forbice tra 8 e 21 anni.
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disposizione punisce con la multa o la reclusione fino a due anni chi, con comportamenti intimidatori o fastidiosi o con molestie, perseguita una persona o ne viola la tranquillità. Il secondo, con pena privativa di libertà fino a quattro anni, punisce chi perseguita con azioni di intimidazione, pedinamento, osservazione, contatto o altre similari, comunque in grado di provocare paure o ansie.
Il matrimonio forzato è punito con la reclusione fino a sei anni dall’articolo 253. La pena si applica a chi costringe una persona a contrarre matrimonio con atti violenti, privazione della libertà della vittima o con altre azioni criminali o pressioni. È punibile con la stessa pena chi favorisce l’espatrio di una persona in un altro Paese allo scopo di assoggettare quest’ultima alla condizione sopra descritta.
L’articolo 284 punisce con la reclusione fino a sei anni chi effettua mutilazioni genitali femminili. Non rileva, peraltro, il consenso della vittima. La pena è elevata fino a quindici anni (articolo 285) in caso di aggravante, consistente in particolare nella presenza di danno permanente, malattia o incapacità al lavoro di una certa durata, nonché nella morte della vittima (dovendosi intendere come evento colposo, poiché se la morte è inflitta dolosamente si applicherà la fattispecie di omicidio).
Inoltre, l’articolo 284 medesimo prevede la pena fino ad un anno di reclusione per gli operatori di servizi per l’infanzia, servizi sociali, della scuola o comunque di strutture che si occupano dell’istruzione e cura dei minori che non abbiano agito per evitare la mutilazione, omettendo di riferire alle forze di polizia o ad altre autorità. La medesima disposizione si applica anche ai capi di comunità religiose. Non trovano applicazione, in questo caso, taluni doveri di riservatezza altrimenti applicabili. La mancata denuncia non comporta sanzione qualora non sia avvenuta la mutilazione o questa non sia stata almeno tentata.
Al riguardo si segnala che, ai sensi dell’articolo 196, la stessa pena della reclusione fino ad un anno si applica ai soggetti che omettano di riferire o di cercare di evitare il fatto in relazione ai reati di cui agli articoli 291 e 295 sopra richiamati.
Gli articoli da 299 a 304 del codice disciplinano i reati sessuali commessi con minori di 14 o con i minori di 16 anni (in Norvegia l’età per il consenso al rapporto è di 16 anni).
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie
Oltre alle previsioni del codice penale, occorre ricordare la legge del 2017 sull’uguaglianza e contro la discriminazione (13), una tipologia di atto con molte similitudini rispetto al codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (cosiddetto codice delle pari opportunità), presente nel nostro Paese. L’articolo 6 di tale legge
(13) Lov om likestilling og forbud mot diskriminering (likestillings- og diskrimineringsloven. La scheda si basa sulla traduzione non ufficiale in inglese a cura del Ministero della giustizia e della sicurezza della Norvegia alla pagina internet: xxxxx://xxxxxxx.xx/xxxxxxxx/XX/xxx/0000-00- 16-51. La traduzione è aggiornata alle ultime modifiche entrate in vigore il 1° gennaio 2020.
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proibisce qualunque forma di discriminazione basata sui fattori ivi elencati, tra i quali è annoverato il « genere », oltre ad « orientamento sessuale »,
« identità di genere » ed « espressione di genere ». L’articolo 13 proibisce le molestie in generale, e le molestie sessuali in particolare, basate sui fattori (reali, assunti come tali, passati o futuri) elencati dall’articolo 6. Per
« molestia » deve intendersi ogni azione, omissione, affermazione che ha l’intenzione o l’effetto di essere offensiva, spaventosa, ostile, degradante, umiliante o importuna. Per « molestia sessuale » deve intendersi qualsia forma di attenzione a sfondo sessuale che abbia medesime intenzioni o medesimi effetti. La proibizione si applica anche alla molestia « per connessione », ovvero quella realizzata su una persona vicina ad altra essendo quest’ultima la destinataria effettiva della discriminazione
L’articolo 13 citato prevede, infine, che gli impiegati e i dirigenti di organizzazioni di qualsiasi tipo e di istituzioni educative e scolastiche debbano contribuire a evitare e prevenire le molestie, ivi comprese le molestie sessuali, nell’ambito della propria sfera di responsabilità. A tale riguardo, gli articoli 24 e 26 della legge pongono in capo, rispettivamente, alle autorità pubbliche e agli impiegati, compiti per promuovere l’ugua- glianza e prevenire la discriminazione, attraverso azioni « attive, mirate e sistematiche ». L’articolo 24, inoltre, prevede che le autorità pubbliche debbano stilare un rapporto sulle azioni intraprese contro la discriminazione e per favorire la parità di genere nel luogo di lavoro. L’articolo 26 specifica che le azioni nel luogo di lavoro volte a promuovere la parità di genere e la lotta contro le molestie debbano considerare aspetti concernenti il reclutamento, il salario e le condizioni dell’impiego, le promozioni, le opportunità professionali, le caratteristiche del luogo di lavoro, la conci- liazione dei tempi di vita e di lavoro.
2. La prevenzione della violenza
Gli aspetti più caratteristici del sistema preventivo norvegese riguar- dano però altri ambiti, specialmente quello educativo e quello concernente studio e ricerca.
In tema di prevenzione, il Rapporto presentato dalla Norvegia al Grevio (di seguito « Rapporto ») (14) segnala che il Centro per gli studi sulla violenza e lo stress post traumatico - Norwegian Centre for Violence and Traumatic Stress Studies (NKVTS) svolge attività di studio nel settore della violenza domestica (o meglio, delle « relazioni strette »). Il Centro è stato costituito nel 2004 quale istituzione di ricerca nazionale che opera, con un approccio interdisciplinare, presso l’Università di Oslo. Oltre a realizzare progetti di ricerca per conto dei Ministeri interessati, anche in collabora- zione con l’Unione europea, il NKVTS svolge attività di consulenza per il Governo nelle aree di propria competenza. Tra le aree di studio del Centro,
(14) Le informazioni contenute nel presente paragrafo sono tratte dal capitolo 3 del Rapporto presentato dalla Norvegia al Gruppo GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence) del Consiglio d’Europa (GREVIO/Inf(2020)15, pubbli- cato il 17 settembre 2020).
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figura una specifica sezione dedicata alla violenza di genere e agli abusi (15). Inoltre, il NKTVS ha svolto, tra il 2019 e il 2020, campagne di comuni- cazione per la prevenzione, indirizzata in una prima fase al personale sanitario e delle istituzioni operanti nel settore dell’istruzione, quindi alla generalità della popolazione.
Per quanto riguarda le risorse online, il Rapporto segnala il sito web xxxxx.xx, dedicato ai doveri connessi alla prevenzione del fenomeno della violenza di genere posti dall’articolo 196 del codice penale norvegese.
Inoltre, il sito xxx.xx offre informazioni su vari temi sensibili destinate ai giovani norvegesi, in particolare nella fascia di età tra i 13 e i 20 anni. Questo sito internet ha diffuso specifiche campagne destinate ai giovani su vari temi riconducibili alla violenza nelle relazioni strette contrassegnate dall’hashtag #xxxxxxx.xx. In anni recenti sono state inoltre realizzate campagne informative sulle mutilazioni genitali, i matrimoni forzati e su diversi aspetti del controllo sociale negativo (come comportamento pro- dromico allo stalking). In tale specifico ambito assumono rilievo anche alcune iniziative informative promosse dalle forze di polizia norvegesi richiamate dal Rapporto.
Per quanto concerne la scuola, nell’ambito di una riforma dei curricula dei cicli di istruzione primaria e secondaria vigente dall’autunno 2020, è stata inserita, tra l’altro, la materia « Salute pubblica e conoscenza del corpo ». Si tratta di una materia di insegnamento trasversale inerente, tra l’altro, ad aspetti riconducibili alla salute psicofisica dei giovani, anche con riferimento alle tematiche della sessualità e del genere. Il Rapporto segnala, inoltre, il sito internet « Io lo so » (xxxxx://xxx.xxxxxx.xx/), rivolto agli operatori delle scuole, contenente risorse, adattate alle diverse fasce di età, per una maggiore sensibilizzazione sui temi della violenza, degli abusi e del bullismo nelle scuole.
Il Rapporto dà conto, inoltre, delle attività condotte nell’ambito delle comunità religiose o di gruppi spirituali al fine di sensibilizzare coloro che ricoprono ruoli di responsabilità nelle medesime comunità, in quanto soggetti sui quali le vittime potrebbero fare affidamento per confidare le loro difficoltà.
Riguardo alla formazione professionale (iniziale e continua) degli operatori, si segnala come i regolamenti sui curricula nazionali per le professioni nel settore dell’assistenza sanitaria e sociale (RETHOS) pre- vedano l’inserimento in tali curricula di specifiche competenze in materia di violenza e abuso. Insegnamenti in materia di violenza e abusi sono inoltre previsti nei programmi di istruzione del college universitario per la polizia norvegese.
La formazione si mostra dunque diretta a una platea di destinatari ampia e variegata.
Una mappatura delle esigenze formative in tali materie è stata condotta dall’Istituto per gli studi sull’innovazione, la ricerca e l’educazione (NIFU) (16),
(15) Per quanto riguarda le attività del NKTVS in tali ambiti, v. la pagina web dedicata sul sito istituzionale.
(16) Il NIFU è una Istituto di ricerca indipendente, organizzato come Fondazione no-profit.
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nell’ambito di una strategia rivolta in particolare alla prevenzione della violenza sui minori (17). Tale mappatura mira a fornire un quadro comples- sivo sulle competenze richieste e su come tali competenze possano essere acquisite e sviluppate dagli operatori dei servizi di vario tipo coinvolti nella lotta alla violenza e agli abusi sui minori.
Un ulteriore settore di intervento in materia di prevenzione è costituito dalle iniziative per la rieducazione degli autori di violenza. Nell’ambito delle attività dei centri regionali per la prevenzione della violenza, dello stress post traumatico e dei suicidi sono stati sviluppati specifici programmi formativi sul tema della gestione della rabbia, della durata di 100 ore, rivolti agli operatori dei consultori familiari, dei centri locali dedicati alla salute mentale e ai centri per l’assistenza psichiatrica, nonché presso i servizi penitenziari.
Inoltre, la fondazione ATV « Alternativa alla violenza » (18) (ente no profit) conduce, in Norvegia, specifici progetti destinati agli autori di violenza e ai loro familiari. ATV e NKVTS collaborano in uno specifico programma di studio sui processi e sui risultati delle terapie destinate agli uomini violenti che chiedono aiuto. Lo studio – ancora in corso al momento della redazione della presente scheda – si occupa in particolare degli effetti dei programmi di aiuto (individuali e di gruppo) offerti dalla fondazione ATV. In tale ambito sono stati elaborati specifici modelli di intervento che utilizzano differenti approcci per la gestione della rabbia (in particolare il Brøset model e il modello ATV).
Le attività svolte da ATV sono gratuite o richiedono contribuzioni pressoché simboliche.
A livello nazionale è disponibile, inoltre, il programma BASIS rivolto, su base volontaria, ai detenuti che stanno scontando una pena per violenza o abuso sessuale e che possono essere considerati potenziali recidivi.
Alcuni programmi regionali (chiamati Help is Available, secondo la denominazione in inglese) rendono disponibili specifici trattamenti per soggetti maggiorenni potenzialmente violenti.
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime: i centri di crisi e la linea telefonica di aiuto
Un primo aspetto della protezione delle vittime riguarda le misure di prevenzione penale.
Ai sensi dell’articolo 222a del codice norvegese, la polizia (o altra autorità che promuove l’azione penale) può emanare un ordine restrittivo su istanza della persona che necessita di protezione o nell’interesse pubblico. L’ordine può essere emesso quando sia ragionevole credere che il destinatario possa commettere un crimine nei confronti di una persona o
perseguitarla o comunque recare disturbo alla sua quiete.
(17) La mappatura rientra tra le strategie riconducibili al Norwegian escalation plan against violence and abuse (2017–2021), un piano di contrasto a tutti i tipi di violenza sui minori.
(18) Cfr. la pagina internet in inglese su Alternative to Violence – Alternativ Til Vold.
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L’ordine reca una proibizione di avvicinamento di una persona che può comportare il divieto di essere presente in uno luogo specifico oppure il divieto di seguire, fare visita o in qualsiasi modo contattare la persona protetta.
In caso di rischio imminente di commissione di un reato, al destina- tario del provvedimento può essere vietato di soggiornare nella propria abitazione. Il provvedimento può contenere ulteriori restrizioni.
Il singolo provvedimento recante il divieto si applica per un periodo di tempo determinato, non superiore a un anno oppure a tre mesi se il divieto riguarda l’abitazione del destinatario. Il divieto può essere mante- nuto solo fino a che le condizioni che hanno determinato la sua emanazione sono soddisfatte. Il divieto di soggiorno nell’abitazione deve essere con- fermato dal tribunale; negli altri casi tale conferma deve essere eventual- mente richiesta dall’interessato, con un procedimento dunque che appare decisamente snello.
Al ricorrere delle medesime circostanze richiamate dal citato articolo 222a, l’articolo 57 del codice penale prevede che un ordine restrittivo possa essere emesso anche nei confronti di una persona già condannata. Comparata al nostro sistema, poiché vi è stata previamente la commissione di un reato, per questa figura potremmo utilizzare il termine di misura di sicurezza.
Nei casi vi sia il pericolo di commissione di reato, il condannato può essere soggetto al divieto di accedere alla propria abitazione. L’ordine di restrizione può essere limitato in base a condizioni specifiche.
Se ritenuto necessario per garantire l’osservanza del provvedimento restrittivo, il tribunale può decidere che al condannato venga imposto il monitoraggio elettronico per tutta o parte della durata del provvedimento restrittivo. Il monitoraggio può registrare solo l’informazione che la persona condannata si sta muovendo all’interno delle aree vietate oppure in prossimità della persona lesa, nonché l’informazione sulla perdita di segnale dall’attrezzatura. La persona condannata ha il dovere di collaborare e seguire le istruzioni della polizia necessarie all’attuazione del monitoraggio. Particolarmente impattante, in termini di doveri civici di solidarietà e prevenzione degli illeciti, è l’articolo 196 del codice penale norvegese che va ben oltre gli obblighi di collaborazione penalmente sanzionati richiesti in Italia, vuoi dall’omissione di soccorso vuoi dal reato di omessa denuncia. La norma norvegese include il citato articolo 282 del codice penale tra quelli per cui, sotto la minaccia della reclusione fino a un anno, si fa obbligo a chiunque di denunciare o cercare altrimenti di evitare l’altrui atto illecito o le sue conseguenze in un momento in cui ciò fosse ancora possibile e sembra certo o
molto probabile che l’atto sia stato o sarà commesso.
In materia di servizi per la protezione e supporto immediato alle vittime di violenza (19), la legge 19 giugno 2009 (20) impone agli enti locali
(19) Le informazioni contenute nel presente paragrafo sono tratte dal capitolo 4 del Rapporto presentato dalla Norvegia al GREVIO (cfr. supra), di seguito « Rapporto » e da pagine di siti istituzionali.
(20) Crisis Centre Act, in vigore dal 1° gennaio 2010. Si veda al riguardo la pagina internet sul sito del Governo dedicata al piano di azione 2014-2017 contro la violenza domestica.
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di assicurare la presenza sul territorio di appositi « Centri di crisi ». I Centri offrono alloggio, assistenza 24 ore su 24 durante la permanenza, hanno carattere gratuito e possono essere contattati direttamente, senza appunta- mento o specifiche prescrizioni. I centri forniscono supporto e aiuto per il reinserimento post-crisi, indirizzando le vittime agli altri servizi disponibili sul territorio e operando insieme alle autorità di polizia, ai servizi di consulenza familiare, alle amministrazioni competenti nei settori del lavoro e del welfare, ai servizi di assistenza e ai servizi all’infanzia.
Secondo i dati forniti dal Rapporto Grevio, sono presenti sul territorio nazionale 44 centri (dati al settembre 2020 che corrisponde a un centro ogni
120.000 abitanti). Nel 2019 i centri erano in grado di offrire 969 posti letto (media 20 posti per ogni centro) e impiegavano 546 operatori.
Il Rapporto sottolinea, tuttavia, come in alcuni casi la distanza dal centro può superare i 100 km. Un elenco dei centri è fornito dalla seguente pagina internet: Hjelpetilbud (in lingua norvegese).
Sono inoltre presenti centri di supporto specializzati nell’aiuto alle vittime di incesto e abusi sessuali in famiglia (21). Questi centri svolgono la propria attività in aggiunta ai centri pubblici municipali, offrendo servizi gratuiti quali interviste personali e gruppi di auto aiuto mirati. Si tratta di 23 centri che impiegano 164 operatori.
Riguardo al reinserimento dopo la permanenza nei centri di crisi, assumono specifico rilievo le azioni contenute nella Strategia nazionale 2014-2020 in materia di edilizia sociale (Housing for welfare). In tale ambito le autorità locali sono chiamate ad assicurare alle vittime di violenza una buona transizione dai centri di crisi ad una propria abitazione dignitosa. Il Rapporto richiama inoltre le forme di assistenza di carattere generale assicurate dai sistemi di welfare norvegesi rivolte anche alle vittime di violenza di genere e di abusi. In particolare si possono qui ricordare, in estrema sintesi, i servizi di consulenza familiare che sono stati potenziati
con la previsione di specifici centri dedicati alla violenza domestica.
Dal 2019 è attiva, su tutto il territorio nazionale e 24 ore su 24, una linea telefonica di supporto per abusi e violenze, finanziata dal Ministero della giustizia e della sicurezza e gestita dal Segretariato per i centri di crisi e dal Centro di crisi di Oslo. Circa 1.000 persone hanno chiamato la linea nei primi otto mesi del 2020 e il 20 per cento di questi utenti non avevano contattato alcun servizio di supporto prima della chiamata.
Dal punto di vista comparato, l’istituzione di una linea telefonica non appare certo come un’intuizione originale. Essa va tuttavia nominata per segnalare come il numero di contatti, rapportato alla popolazione, sia sensibilmente più alto di quello registrato in Italia nello stesso periodo (segnato dall’emergenza Covid).
Inoltre, una linea telefonica è gestita dal Centro contro l’incesto e gli abusi sessuali di Vestfold. Essa è gratuita e disponibile 24 ore su 24.
Si segnala, inoltre, la linea telefonica di emergenza per i minori e gli adolescenti vittime di violenza, abuso o altre forme di abbandono (Emer-
(21) Si veda, ad esempio, la pagina in inglese SMISO (Support Centre for Victims of Incest and Sexual Assault) del centro Nordland di Mosjøen.
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gency helpline, secondo la dicitura in inglese), la quale opera in diretta collaborazione con i servizi municipali per l’infanzia.
Riguardo agli aspetti connessi alle forme di coercizione sociale, ai matrimoni forzati e alle mutilazioni genitali femminili, il Piano di azione 2017-2020 mira a fornire un quadro unitario per l’azione delle varie autorità (locali e centrali) per offrire supporto alle categorie vulnerabili nonché alle persone che scappano dalla famiglia e dalle forme di coercizione sociale di vario tipo. In tali ambiti opera un team di esperti che offrono assistenza, anche telefonica. A questa si deve aggiungere una linea telefonica della Croce rossa dedicata ai matrimoni forzati e alle mutilazioni genitali femminili.
Per quanto concerne gli strumenti offerti online, dal 2015 è disponi- bile, su iniziativa del Governo norvegese, un portale (xxxxx://xxxxxxxx.xx/xx/) con lo scopo di favorire la massima diffusione di tutte le informazioni utili alle vittime, agli autori di violenza che riconoscono necessità di supporto nonché agli operatori.
Si tratta di un sito costruito sulla base delle potenziali necessità dei diversi tipi di utenti e che offre una quantità di stimoli davvero vasta.
Quasi tutti i servizi indicati sono offerti anche in Italia, ma dell’attività norvegese assume risalto il livello molto alto di coordinamento delle azioni, basate su standard da raggiungere, la facilità nel reperimento delle infor- mazioni, la diffusione uniforme (nei limiti del possibile) su tutto il vasto territorio nazionale.
Il portale – disponibile in 13 lingue, inclusa la minoranza linguistica Sami – offre in particolare informazioni sulle forme di assistenza e sui contatti dei competenti servizi ed uffici. Esso contiene inoltre contenuti multimediali informativi di vario tipo.
Specifiche risorse del portale sono destinate agli autori di violenza. Il portale, finanziato dal Ministero della giustizia e della sicurezza, è gestito dal NKVTS.
Una rassegna delle diverse risorse disponibili (aiuto e assistenza personale, telefonica, online ecc.) per chi ha subito violenza domestica è fornita dal sito istituzionale del Governo norvegese alla seguente pagina internet (versione in inglese): Seek help if you experience domestic vio- lence (22).
IV. SPAGNA
Nel 2014 UN Women e World Future Council premiarono la Spagna in occasione del decennale della Ley Orgánica contra la Violencia de Género considerando quest’ultima una delle più efficaci normative a livello mondiale per contrastare la violenza sessista, ritenuta da tali istituzioni una delle forme più generalizzate di violazione dei diritti umani.
Tale riconoscimento testimonia l’enorme lavoro, tanto istituzionale quanto della società civile, così come l’alto livello degli interventi profes- sionali svolti in Spagna ormai da vent’anni a questa parte.
(22) Pagina visitata il 4 gennaio 2021. Ultimo aggiornamento: 8 aprile 2020.
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Secondo l’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea la Spagna è il Paese in cui maggiore è la consapevolezza sociale rispetto al fenomeno della violenza sulle donne e in cui è più alta la percentuale (prossima ormai al 90 per cento) di donne che hanno visto o ascoltato campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere, a fronte di una media europea attorno al 50 per cento.
Trascorsi dieci anni dall’introduzione di questa vera e propria pietra miliare del settore, ha preso avvio in Spagna un dibattito ampio per compiere un passo ulteriore. Anziché sostituire la legge organica con un testo nuovo, la scelta politica è andata nella direzione di utilizzare lo strumento del Patto di Stato, denominazione utilizzata per indicare gli accordi tra partiti politici di tendenze opposte per tracciare l’azione dello Stato a lungo termine su tematiche trasversali, a prescindere da chi si trovi al governo in un certo momento (23).
Il Patto di Stato contro la violenza di genere del 2017, che comprende misure in tutti gli ambiti (con più di 200 proposte avanzate in ciascun ramo del Parlamento) è il risultato di intensi negoziati nei gruppi di lavoro costituiti nelle commissioni parlamentari di entrambe le Camere.
Il testo finale, discusso con le comunità autonome e gli enti locali rappresentati nella Federazione spagnola dei comuni e delle province, contiene un totale di 292 misure strutturali e 10 canali di azione.
Pur essendo il femminicidio solo la punta dell’iceberg della violenza contro le donne, l’andamento di medio-lungo periodo del loro numero può utilizzarsi come indicatore abbastanza affidabile dell’impatto delle politiche pubbliche di contrasto alla violenza di genere. Ebbene, il tasso di femmi- nicidi per milione di donne in Spagna è andato lentamente ma costante- mente scemando nell’ultimo ventennio e, da posizioni non dissimili da quello italiano, è ormai collocato stabilmente in un punto del 50 per cento inferiore.
1. La repressione della violenza
1.1. La disciplina del codice penale
Il codice penale (articolo 178) punisce come responsabile di aggres- sione sessuale chiunque attenti alla libertà sessuale di un’altra persona, ricorrendo alla violenza o all’intimidazione, con una pena detentiva da uno a cinque anni. L’articolo 179 precisa che quando l’aggressione sessuale consiste in un accesso carnale vaginale, anale o orale, o nell’introduzione di parti del corpo diverse dal pene o oggetti in una delle prime due vie, il responsabile sarà punito come responsabile di violenza sessuale con una pena detentiva da sei a dodici anni. Sono previste circostanze aggravanti (articolo 180) per entrambi i predetti reati.
(23) Nella storia recente della Spagna democratica si ricordano i Patti di Stato della Moncloa del 1977, il Patto di Toledo sul sistema pensionistico pubblico nel 1995 e il Patto per le libertà contro il terrorismo del 2000.
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Una diversa categoria di reati è quella che raggruppa (articolo 181 e seguenti) le fattispecie di abusi sessuali, condotte lesive della libertà e dell’identità sessuale di un’altra persona e pertanto realizzate senza il suo consenso ma, a differenza di quelle indicate dagli articoli 178 e seguenti, caratterizzate da una assenza di violenza o intimidazione. La pena è la reclusione da uno a tre anni o la multa da diciotto a ventiquattro mesi (secondo il sistema di giorni/multa utilizzato nell’ordinamento spagnolo). Si considerano abusi sessuali non consensuali quelli perpetrati su persone con disturbi mentali, nonché quelli che vengono commessi annul- lando la volontà della vittima attraverso l’uso di droghe o qualsiasi altra sostanza naturale o chimica adatta a tale scopo. La stessa pena si applica quando il consenso è ottenuto a causa di una situazione di manifesta superiorità che limita la libertà della vittima o con sorpresa. Anche in questo
caso sono previste aggravanti.
Pertanto, le condotte di abuso sessuale non sono necessariamente meno gravi di quelle di aggressione, in particolare perché, ad esempio, nel comma 4 si fa comunque riferimento all’accesso carnale, prevedendo pene sensi- bilmente più pesanti.
Il recente caso noto come la Manada, (2016) riguardante una violenza di gruppo commessa ai danni di una minorenne ubriaca, ha tuttavia portato all’attenzione dell’opinione pubblica la scelta normativa di distinguere dal punto di vista sia nominale sia sanzionatorio le situazioni in cui il rapporto sessuale sia subito per violenza manifesta da quelle in cui esso è realizzato approfittando di una incapacità di difendersi.
Lo sdegno collettivo che ciò ha generato, unito alla necessità di dare attuazione alla Convenzione di Istanbul e al maggiore spazio che in base ad essa va riconosciuto, per parlare di violenza sessuale, all’effettività del consenso, nonché l’ottavo canale del Patto di Stato, ha stimolato il legislatore a proporre un disegno di legge di integrale riforma dei reati contro la libertà e l’identità sessuale.
I principi di tale disegno di legge sono i medesimi della riforma tedesca sopra accennata: « solo sí es sí ». Il testo tuttavia, se ha trovato l’appoggio dei pubblici ministeri, è recentemente andato incontro all’e- spressione di un parere negativo (non vincolante) del Consejo general del poder judicial. Infatti, se da una parte il punto di partenza dal quale si muove la riforma spagnola è più complesso rispetto a quello che aveva generato la modifica in Germania, potendosi definire ormai decisamente anacronistico, dall’altra il punto di arrivo proposto si pone decisamente in avanti anche rispetto alla formulazione tedesca. Il nuovo testo, eliminando completamente le precedenti formulazioni, giungerebbe persino a definire cosa debba intendersi per consenso con estremo dettaglio, limitando fortemente il potere di valutazione caso per caso della magistratura.
Disposizioni specifiche riguardano poi le aggressioni o le violenze
sessuali a danno dei minori.
Tornando alla legislazione vigente, il codice spagnolo dedica una fattispecie ad hoc alle molestie sessuali (articolo 184) quando esse siano realizzate nel contesto di una relazione autore/vittima di lavoro, docenza o prestazione abituale e continuata di servizi. Chiunque richieda favori di
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natura sessuale, per sé o per terzi, nell’ambito di un rapporto di lavoro, insegnamento o prestazione di servizi continuativa o abituale, e con tale comportamento provoca alla vittima una situazione oggettiva e gravemente intimidatoria, ostile o umiliante, è punito con una pena detentiva da tre a cinque mesi o una multa da sei a dieci mesi. Qualora il colpevole di molestie sessuali abbia commesso l’atto approfittando di una situazione di superiorità lavorativa, didattica o gerarchica, ovvero con la minaccia espressa o tacita di cagionare alla vittima un male connesso alle legittime aspettative che la vittima può avere nell’ambito del rapporto indicato, la pena sarà della reclusione da cinque a sette mesi o della multa da dieci a quattordici mesi. Anche in questo caso sono previste circostanze aggravanti. Tale importante articolo non risulta tuttavia particolarmente utilizzato nella prassi tribunalizia, probabilmente perché non specificamente accom- pagnato (per quanto concerne i casi di molestie sul lavoro) da uno apparato di sostegni pubblici per le vittime, dedicato a facilitarne il reinserimento lavorativo, che sia in qualche modo paragonabile all’apparato dedicato alla
violenza in ambito intrafamiliare.
Fuori dal codice penale, nell’ambito della legge organica n. 3 del 2007 dedicata alla « uguaglianza effettiva di donne e uomini », è presente una più dettagliata disciplina delle molestie sessuali. In tale legislazione, di taglio paragonabile al nostro codice delle pari opportunità, le molestie sessuali sono inquadrate come elemento di discriminazione.
Tornando al codice penale, vi sono poi crimini di esibizionismo e provocazione sessuale (articoli 185 e 186), nonché, in diversa sezione del codice, il reato di mutilazione genitale (articolo 149).
Come anticipato, il codice penale (tenendo esclusi gli aspetti inerenti le fattispecie di aggressione e abuso sessuale) è stato novellato dalla legge organica n.1 del 2004, – Ley Xxxxxxxx 0/0000, xx 00 xx xxxxxxxxx, xx Medidas de Protección Integral contra la Violencia de Género – (e, successivamente, dalla legge organica n. 1/2015). Essa ha introdotto misure specifiche nel caso di reati connessi alla violenza di genere, prevedendo, tra l’altro: la possibilità di condizionare la sospensione della pena al rispetto di specifici doveri e divieti (divieto di avvicinarsi o stabilire contatti con la vittima, ecc.), la cui violazione determina la revoca della sospensione (articoli 83 e 84 del codice).
L’aspetto proprio del diritto penale che più ha attirato l’attenzione su questa normativa, anche a livello internazionale, riguarda la previsione di una sostanziale rottura del principio di uguaglianza formale tra maschi e femmine. In particolare negli articoli 148, 153, 171 e 172 del codice è presente ora una distinzione relativa alla pena da infliggersi all’autore maschio rispetto a vittima femmina quando la donna sia colei che ne è o era moglie o al quale è o era sentimentalmente legato anche senza convivenza. In tali situazioni, corrispondenti approssimativamente alle fattispecie italiane di lesioni, minacce e violenza privata, la pena è più alta tenendo conto dunque vuoi della violenza di genere nella coppia, vuoi della violenza domestica, sempre su un piano uomo/donna.
In anni più recenti, la legge organica n. 1 del 2015, con la quale è stata modificata una lista molto lunga di norme del codice penale, ha introdotto
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anche il reato di matrimonio forzato e quello di stalking, che prima non erano espressamente contemplati, dando così attuazione su questi aspetti alla Convenzione di Istanbul.
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie
Oltre alle disposizioni penali, la legge organica n. 1 del 2004 affronta il tema della violenza di genere in modo completo e multidisciplinare (24), a partire dal processo di socializzazione e educazione. Tra le diverse misure previste vi sono le citate novelle al codice penale e disposizioni sulla tutela giudiziaria che consentono procedure agili e uniscono, nella sfera civile e penale, misure di protezione delle donne e dei loro bambini e misure preventive da attuare con urgenza.
La legge del 2004 affida peraltro all’amministrazione penitenziaria la realizzazione di programmi specifici per i detenuti condannati per crimini legati alla violenza di genere, il cui percorso sarà monitorato e valutato anche ai fini del rilascio dei permessi e della concessione della libertà condizionale.
La legge n. 1/2004 ha previsto una specifica articolazione dei tribunali dedicata alla violenza sulle donne, ai quali è riservata la competenza per la sola istruzione, in ambito penale (25):
– dei processi per i reati del codice penale relativi a omicidio, aborto, lesioni, lesioni al feto, delitti contro la libertà, delitti contro l’integrità morale, contro la libertà e delitti di indennità o qualsiasi altro crimine commesso con violenza o intimidazione, a condizione che sia stato commesso contro chi è o era sua moglie, o una donna che è o è stata legata all’autore da un rapporto affettivo simile, anche senza convivenza, nonché commesso sui discendenti, propri o della moglie o della compagna, o sui minori o incapaci che convivono con lui o che sono soggetti al potere, alla tutela, alla curatela, all’affidamento o all’affidamento di fatto della moglie o della compagna, quando la condotta contestata sia un atto di violenza di genere;
– dei processi per qualsiasi reato contro i diritti e doveri familiari, quando la vittima è una delle persone indicate supra;
– sull’adozione dei corrispondenti provvedimenti di tutela per le vittime.
Per quanto concerne invece il giudizio, la competenza rimane vuoi agli juzgados de lo penal vuoi alle audiencias provinciales in base a quanto dispone in generale la disciplina del procedimento penale.
I tribunali per la violenza contro le donne hanno anche competenze in ambito civile, limitatamente ai casi di connessione con atti di violenza di
(24) I settori professionali coinvolti riguardano infatti i seguenti ambiti: educativo, sanitario, dei media e delle comunicazioni, lavorativo, dell’assistenza sociale, della sicurezza, penitenziario e giudiziario.
(25) Questo aspetto della legge è attualmente in fase di riforma e potrebbe subire notevoli trasformazioni.
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genere. Ad essi sono infatti devolute le controversie in materia: di filiazione, maternità e paternità; di nullità del matrimonio, separazione e divorzio; di relazioni genitore-figlio; di adozione o modifica di misure di rilevanza familiare e di affidamento dei figli minori o degli alimenti pretesi da un genitore nei confronti dell’altro per conto dei figli minori.
La legge organica n. 1/2004 ha novellato anche le norme sul processo civile, con particolare riguardo alla perdita di competenza del giudice qualora riscontri nel processo che si siano verificati atti riconducibili alla violenza di genere.
Un ultimo elemento estremamente qualificante della legge organica
n. 1/2004 riguarda la mediazione, che è espressamente vietata in tutti i casi che ricadono nella competenza dei tribunali per la violenza contro le donne. L’assunto logico che sta alla base di tale scelta è quello per cui una corretta mediazione si può sviluppare solo tra due soggetti che si collocano in posizione paritaria, mentre l’utilizzo di questi istituti in contesti di squilibrio non fa che riproporre schemi scorretti, finendo per dare un avallo
di legalità a un contesto di sopraffazione.
2. La prevenzione della violenza
La legge organica n. 1/2004 ha introdotto il Piano nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della violenza di genere, rivolto a uomini e donne, con un ampio programma di formazione complementare e riqualificazione dei professionisti che intervengono in queste situazioni. La legge demanda alle autorità competenti la promozione di specifiche cam- pagne di informazione e sensibilizzazione al fine di prevenire la violenza di genere.
L’elemento chiave della prevenzione è però basato sul sistema edu- cativo (articolo 4), quale veicolo di trasmissione del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e dell’uguaglianza tra uomini e donne. Ciascun segmento educativo ha pertanto uno scopo specifico: l’educazione della prima infanzia contribuisce allo sviluppo dell’apprendimento dell’infanzia nella risoluzione pacifica dei conflitti; l’istruzione primaria aiuta a svilup- pare negli studenti la loro capacità di acquisire abilità nella risoluzione pacifica dei conflitti e di comprendere e rispettare l’uguaglianza tra i sessi; l’istruzione secondaria obbligatoria punta a sviluppare negli studenti la capacità di interagire con gli altri pacificamente e di conoscere, valorizzare e rispettare le pari opportunità per uomini e donne; la formazione profes- sionale contribuisce a sviluppare negli studenti la capacità di consolidare la propria maturità personale, sociale e morale, che consente loro di agire in modo responsabile e autonomo e di analizzare e valutare criticamente le disuguaglianze di genere e promuovere l’uguaglianza reale ed efficace tra uomini e donne; l’insegnamento per gli adulti include tra i suoi obiettivi lo sviluppo di attività per la risoluzione pacifica dei conflitti e la promozione del rispetto della dignità delle persone e dell’uguaglianza tra uomini e donne; le università includono e promuovono formazione, insegnamento e ricerca trasversali sull’uguaglianza di genere e la non discriminazione in tutti i settori accademici. Inoltre si prevede che nei piani di formazione
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iniziale e permanente degli insegnanti sia inclusa una formazione specifica sull’uguaglianza.
Sono altresì previste azioni di formazione in materia di uguaglianza e non discriminazione in base al sesso e sulla violenza di genere nei corsi di formazione per giudici e magistrati, procuratori, cancellieri, organi di sicurezza pubblica e medici legali (articolo 47 della legge n. 1/2004). A tal proposito va altresì menzionata la legge organica n. 5/2018, di riforma della legge organica sul potere giudiziario, predisposta con l’intento di introdurre misure urgenti in applicazione del Patto di Stato, allo scopo di migliorare la formazione dei membri del potere giudiziario e della scuola giudiziaria.
In ambito sanitario, la legge organica n. 1/2004 ha disposto l’adozione di programmi di sensibilizzazione e formazione continua del personale sanitario al fine di migliorare e promuovere la diagnosi precoce, la cura e la riabilitazione delle donne nelle situazioni di violenza di genere.
Infine, la legge organica n. 1/2004 considera illegale la pubblicità che utilizza l’immagine delle donne in modo degradante o discriminatorio (articolo 10). Si sollecitano inoltre le pubbliche amministrazioni a eliminare comportamenti che favoriscono situazioni di disuguaglianza delle donne in tutti i social media (articolo 13).
A livello organizzativo, la legge organica n. 1/2004, all’articolo 29, ha demandato specifici compiti alla Delegazione del Governo contro la violenza di genere, che il regio decreto 455/2020, ha incardinato presso il Ministero dell’uguaglianza. La Delegazione governativa ha compiti di promozione delle azioni politiche e di coordinamento delle misure previ- ste (26). Inoltre, l’articolo 30 della legge organica n. 1/2004 ha previsto la creazione dell’Osservatorio statale della violenza contro le donne quale organo collegiale interministeriale, incaricato di consigliare, valutare, col- laborare istituzionalmente nonché preparare rapporti, studi e proposte di azione nel settore della violenza di genere. A ciò si aggiungono le Unità di coordinamento contro la violenza contro le donne e le Unità sulla violenza contro le donne, che dipendono dalla Delegazione governativa contro la violenza di genere e rappresentano la Rete nazionale di unità contro la violenza alle donne.
Già in premessa si è fatto menzione al Patto di Stato contro la violenza di genere: competente a dare attuazione alle misure del Patto – finanziate con specifiche risorse – è la summenzionata Delegazione governativa, con il coordinamento degli altri Ministeri interessati.
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime
La delegazione del Governo contro la violenza di genere ha redatto una Guida dei diritti delle donne vittime di violenza di genere, disponibile in molteplici lingue, che definisce e raccoglie tutti i diritti delle vittime di questo tipo di violenze, accertate da una condanna giudiziaria, un ordine di protezione o altre pronunce del giudice che impongono misure di tutela.
(26) La Delegazione governativa ha elaborato, nel luglio 2019, la Guida al sistema di azione e coordinamento in caso di violenza di genere in Spagna.
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Per denunciare episodi di violenza di genere, anche in Spagna è attivo un numero verde per informazioni e consulenza legale, quale servizio pubblico lanciato dalla citata Delegazione governativa, attivo 24 ore su 24, oltre a un numero dedicato in caso di minorenni. Sul sito istituzionale del Ministero della salute, dei servizi sociali e dell’uguaglianza, è stata realizzata una pagina web di risorse di supporto e prevenzione per i casi di violenza di genere, che consente di localizzare forze di polizia, giudiziarie e risorse infor- mative e consulenza sulla base della vicinanza territoriale delle vittime. Si tratta probabilmente della miglior risorsa informatica presente attualmente sul web, la cui lettura risulta più chiara anche di quella norvegese.
La legge organica n. 1/2004, all’articolo 19, garantisce il diritto all’assistenza sociale completa che include assistenza e cure di emergenza, servizi specialistici e supporto professionale multidisciplinare. L’articolo 20 riconosce il diritto di accesso immediato al patrocinio legale a spese dello Stato, indipendentemente dalle risorse disponibili per il contenzioso, alle vittime di violenza di genere nei procedimenti che le vedono coinvolte; in caso di decesso della vittima, tale diritto è esteso ai suoi successori, a condizione che non siano stati partecipanti agli atti di violenza. Le donne vittime di violenza di genere hanno altresì una preferenza per l’accesso all’alloggio pubblico (articolo 28).
La legge organica n. 1/2004 garantisce anche i diritti sul posto di lavoro nel caso in cui una lavoratrice subisce violenza di genere e prevede misure per favorire il reinserimento al lavoro, tenuto conto che la violenza subita costituisce un ulteriore ostacolo all’integrazione professionale. La recente riforma dello statuto dei lavoratori (regio decreto legislativo n. 2 del 2015) ha ulteriormente ampliato i diritti riconosciuti alle lavoratrici subor- dinate (articoli 37.8, 40.4, 45.1.n), 48.10, 49.1.m), 52.d), 53.4, 55.5)
disciplinando una gamma davvero ampia di situazioni. Anche la Ley
n. 20/2007, che disciplina lo statuto del lavoro autonomo, introduce delle garanzie per le lavoratrici parasubordinate vittime di violenza.
In parallelo, la legge organica n. 1/2004 ha novellato anche la legge sulla funzione pubblica (27), stabilendo tra l’altro che: nell’agevolare la mobilità tra i funzionari, si dovrà tener conto dei casi di mobilità geografica delle funzionarie vittime di violenza di genere; la dipendente pubblica vittima di violenza di genere ha diritto di preferenza per un ulteriore posto di lavoro equiparato al precedente qualora sia costretta, per le misure di protezione, a lasciare quello che occupava; le vittime di violenze di genere, se dipendenti pubblici, hanno diritto al congedo a particolari condizioni; le funzionarie vittime di violenza di genere hanno diritto a una riduzione dell’orario di lavoro con una riduzione proporzionale della retribuzione, o a una riorganizzazione dell’orario di lavoro, nei termini stabiliti per questi casi dalla pubblica amministrazione competente di volta in volta.
Una delle ulteriori misure di protezione delle vittime di violenza di genere previste dalla legge organica n. 1/2004 è la tutela della privacy delle vittime (dati personali, dei discendenti e di qualsiasi altra persona che è
(27) Il vigente statuto del pubblico impiego è il Real Decreto Legislativo n. 5 del 2015.
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sotto la sua custodia – articolo 63). I giudici competenti possono conve- nire, d’ufficio o su richiesta della parte, che le udienze si svolgano a porte chiuse e che il procedimento sia riservato. Tra le altre misure di protezione è menzionato l’allontanamento dell’imputato per violenza di genere dal domicilio in cui ha vissuto o risiede il nucleo familiare, nonché il divieto di rientrarvi. Il giudice può vietare all’imputato di avvicinarsi alla persona protetta in qualsiasi luogo in cui si trova, nonché di avvicinarsi alla sua casa, al suo posto di lavoro o qualsiasi altro luogo che sia frequentato da lei. Può essere stabilita una distanza minima tra l’imputato e la vittima e può essere disposto il divieto di ogni tipo di comunicazione (articolo 64). Il giudice può sospendere per l’imputato di violenza di genere l’esercizio della potestà genitoriale nei confronti dei minori da lui dipen- denti, nonché le comunicazioni con questi ultimi, adottando le misure necessarie per garantire la sicurezza, l’integrità e il recupero di minori e
donne, monitorandone periodicamente l’evoluzione (articoli 65 e 66).
La legge organica n. 1/2004, tra i suoi obiettivi generali, menziona l’esigenza di garantire i diritti economici alle donne vittime di violenza di genere, al fine di facilitare la loro integrazione sociale.
Il quadro di supporto alle vittime è integrato e arricchito anche dalla Ley n. 4/2015, che introduce lo statuto della vittima di reato e costituisce l’atto principale con cui la Spagna ha dato attuazione alla direttiva vittime di matrice comunitaria.
V. INGHILTERRA
Il Regno Unito è l’unico Paese dell’Europa occidentale a non aver ancora ratificato la Convenzione di Istanbul. Il processo di ratifica è stato avviato nel 2017, mediante il Preventing and Combating Violence Against Women and Domestic Violence (Ratification of Convention) Xxx 0000, ma non si è ancora concluso, malgrado gli stimoli provenienti da diversi parlamen- tari e dalle associazioni per i diritti civili. Il provvedimento prevede un « time- table for ratification » (28). La scheda è riferita solo all’ordinamento giuridico di Inghilterra e Galles (di seguito Inghilterra) e non anche a tutte le compo- nenti del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
1. La repressione della violenza
In Inghilterra il tema della violenza di genere (fenomeno al quale si fa corrente riferimento con l’acronimo VAWG, Violence Against Women and Girls) ha progressivamente assunto specifica rilevanza nel quadro degli indirizzi della legislazione penale delineatisi nel corso degli ultimi decenni,
(28) Si veda xxx.xxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxx-xxxxxxxxx-xxxxxxx-xxxxxxxxxx/ written-statement/Commons/2018-10-30/HCWS1048/ e xxx.xxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx/ publications/ written-questions-answers-statements/written-statement/Lords/2018-10-30/ HLWS1018/ (ultima con- sultazione per entrambi 23 ottobre 2019). Nell’autunno 2020 l’home office ha pubblicato un report sul processo di avanzamento della ratifica di una sessantina di pagine.
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orientati nel complesso a rafforzare gli strumenti di prevenzione e repres- sione dei fenomeni di violenza in ambito familiare e nelle relazioni tra i sessi.
Il Sexual Offences Act del 2003 rappresenta la fonte principale della disciplina generale dei reati sessuali e tuttora, pur avendo subito numero- sissimi interventi, è il principale riferimento normativo in materia, costi- tuendo una specie di breve codice sul tema (con sezioni dedicate anche agli abusi su minori, familiari e incapaci, oltre alla pedopornografia, alla tratta, alla prostituzione e all’incesto) con disposizioni tanto di diritto sostanziale come processuale.
Il Sexual Offences Act prevede, in apertura, ben quattro diversi articoli (1.Rape; 2.Assault by penetration; 3.Sexual assault; 4.Causing a person to engage in sexual activity without consent) per definire condotte che in Italia sarebbero tutte riferibili alla violenza sessuale, distinguendo a seconda del fatto che vi sia stata o meno penetrazione, delle parti del corpo interessate dal contatto, tanto nell’aggressore come nella vittima.
La figura base è comunque quella di Rape: « (1)A person (A) commits an offence if— (a)he intentionally penetrates the vagina, anus or mouth of another person (B) with his penis, (b)B does not consent to the penetration, and (c)A does not reasonably believe that B consents. (2) Whether a belief is reasonable is to be determined having regard to all the circumstances, including any steps A has taken to ascertain whether B consents. [...] ». Le lettere (b) e (c) così come il comma (2) si ripetono come una costante anche negli articoli successivi. Si tratta di formulazioni delle disposizioni che sono rimaste pressoché invariante sin dalla loro introdu- zione quasi vent’anni xxxxxx e si caratterizzano per il fatto di collocare il baricentro della fattispecie nel consenso della vittima, senza dare peso a violenza e minaccia, vale a dire gli elementi caratterizzanti storicamente le norme vigenti sul continente. Le disposizioni relative al Rape furono dunque diretta e rilevantissima fonte di ispirazione per la stesura dell’ar-
ticolo 36 della Convenzione di Istanbul.
Particolare risalto in proposito va dato al comma (2), poiché con tale formulazione – tanto infrequente nelle norme dei Paesi del continente, quanto schiettamente trasparente nell’imporre una direttiva nell’attività di accertamento giudiziale – vengono scongiurati almeno in parte diversi rischi di rivittimizzazione nel corso del processo.
Non vi sono, infatti, riferimenti a ciò che la vittima ha fatto o non ha fatto per palesare il proprio dissenso, ma ad essere oggetto di indagine è la ragionevolezza della convinzione propria dell’aggressore circa la sussi- stenza del consenso della partner. Si tratta quindi di una formulazione che effettivamente stimola l’imputato a esporre il proprio punto di vista per costruire una difesa, da una parte senza rendere indispensabile un esame troppo minuzioso della vittima, dall’altro senza imporre alcuna inversione dell’onere della prova in capo all’imputato.
Non bisogna, infatti, credere che davvero per arrivare a condanna sia sufficiente il dissenso della vittima essendo i requisiti richiesti non due ma tre.
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La vittima perciò, se lo ritiene o non è in grado di spingersi oltre, può effettivamente limitarsi a riferire che non desiderava avere un rapporto sessuale. Decisivo (cercando di esprimere in altre parole quanto già indicato poco sopra) sarà comunque il terzo requisito (c) in tutto e per tutto afferente alla condotta dell’autore. Ecco che il « reasonably believe » assume così i contorni di una valutazione giudiziale di una sorta di adeguatezza del comportamento dell’imputato ad uno standard di uomo maturo e consa- pevole rispetto al tempo e al luogo in cui la condotta e il successivo giudizio si svolgono.
Analizzando la recente riforma tedesca del reato di violenza sessuale, si era fatto riferimento all’importante aggettivo « erkennbaren » (ricono- scibile) relativo alla volontà della vittima. Ebbene, anche se per rispondere alle necessità di un diverso stile di redazione normativa, la disposizione tedesca restava collegata essenzialmente alla volontà della vittima, sotto- lineato come anche in quel caso il parametro della riconoscibilità era quella di un terzo oggettivo.
Comunque la si voglia osservare è evidente che ci troviamo di fronte a situazioni in cui nella disposizione penale ha un peso rilevante anche la componente culturale. Sino a quarant’anni xxxxxx era perfettamente ragio- nevole, in molti luoghi in Europa, per un uomo credere che la propria moglie fosse sempre disponibile ad avere un rapporto sessuale con lui dal momento in cui lei aveva firmato l’atto di matrimonio. I repertori di giurisprudenza confermavano tale lettura. Oggi nemmeno il più conserva- tore tra i giuristi proporrebbe una simile interpretazione, ma cosa si possa
« ragionevolmente credere » o cosa possa essere « riconoscibile » è indub- biamente ancora in evoluzione e a diverse velocità nei diversi Paesi.
Tornando al diritto inglese e al Sexual Offences Act, nei casi più gravi, tanto il Rape come l’Assault by penetration possono essere puniti con l’ergastolo.
L’articolata tipologia di provvedimenti con finalità preventiva e inibi- toria, già introdotta dalla precedente legislazione (quali le misure restrittive della libertà personale o di circolazione dei condannati per i reati sessuali, ovvero gli obblighi di notifica relativi ai soggetti considerati pericolosi), è fatta confluire nella figura unitaria del Sexual Offences Prevention Order (SOPO) provvedimento di difficile inquadramento riguardo alla sua natura (con aspetti che lo avvicinano alla misura cautelare, ma con altri che lo rendono simile a una misura di prevenzione e a una misura di sicurezza) emesso a carico di soggetti recidivi o pericolosi (dall’8 marzo 2015 sostituito dal Sexual Harm Prevention Order – SHPO –, laddove il SOPO si mantiene vigente in Scozia e nell’Irlanda del Nord).
Il più recente intervento normativo in materia di violenza domestica si individua nel Domestic Abuse Act del 2021 (29), che (con i suoi 91 articoli)
(29) Si ricorda che l’adozione del Domestic Xxxxx Xxx 0000 è giunta al termine di un percorso avviato nel marzo 2018, quando il Governo lanciò una consultazione pubblica per l’individuazione di opinioni sul relativo progetto di legge e sul seguente pacchetto di 'azioni pratiche':
• l’introduzione di una definizione specifica di 'abuso domestico';
• la definizione di un nuovo Avviso di protezione contro gli abusi domestici (Domestic Abuse Protection Notice, DAPN) da richiedere alla polizia e di un nuovo Ordine di protezione contro
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ha ricevuto sanzione regia il 29 aprile 2021 e ha introdotto nell’ordinamento britannico la figura del domestic abuse (violenza domestica), anche se non siamo di fronte a una nuova fattispecie criminosa in senso stretto. La violenza domestica è definita ad amplissimo spettro nell’abuso fisico, sessuale, economico, psicologico, emotivo o di altro tipo nei confronti di una persona con la quale si intrattenga un « legame personale » (personally connected), abbracciando così situazioni che certamente sarebbero già reato e altre che non lo sono.
Tale definizione è funzionale a fornire un ampio terreno di applica- zione alla terza sezione della legge, dedicata ai Powers for dealing with domestic abuse suddivisi tra Domestic abuse protection notices e Domestic abuse protection orders. In questo caso ci troviamo di fronte a una complessa gamma di misure di prevenzione cui l’ordinamento può ricorrere anche in assenza di una vera e propria offence o del rischio che essa si realizzi, essendo sufficiente un comportamento che viene, non a caso, genericamente indicato come abuse.
L’abusante e la vittima devono avere almeno 16 anni di età. Tuttavia è considerata vittima di violenza domestica anche il figlio dell’aggressore, della vittima o di entrambi – nonché qualsiasi bambino su cui uno o entrambi esercitino la responsabilità genitoriale – che abbia assistito al- l’abuso o ne abbia patito gli effetti.
Ai sensi della legge, l’abuso economico ricomprende tutti i compor- tamenti che influiscano negativamente e in modo significativo sulla pos- sibilità della vittima di acquisire, utilizzare o disporre di denaro o altri beni o di ottenere beni o servizi. Integrano il reato di violenza domestica anche i comportamenti violenti, minacciosi, coercitivi o di controllo esercitati nei confronti della persona con la quale si intrattenga il suddetto tipo di legame. Tra i legami personali rilevanti ai fini del provvedimento, figurano quelli tra coniugi, fidanzati o civil partners, le relazioni intime, la condi- visione della responsabilità genitoriale su minori, i legami di parentela di qualsivoglia natura, o, se la vittima è affetta da disabilità, quello con il soggetto accudente. Per quanto riguarda le ultime due categorie, il rapporto deve essere in corso di svolgimento al momento dell’abuso; per le altre,
valgono anche le relazioni già concluse.
Non è necessario, per configurare un contesto di abuso, che si dia riscontro di una pluralità di episodi o di un comportamento ripetuto nel tempo, potendosi disporre notices e orders anche sulla base di riscontri di comportamenti isolati. Il comportamento illecito può ritenersi « diretto nei confronti della vittima » anche se è stato posto in essere nei confronti di una
gli abusi domestici (Domestic Abuse Protection Order, DAPO) da mettere a disposizione dei tribunali in una vasta gamma di circostanze;
• l’istituzione del Domestic Abuse Commissioner;
• l’introduzione nella legge del Domestic Violence Disclosure Scheme (DVDS), noto anche come « Xxxxx’x Law » che – in base al duplice diritto di chiedere e di conoscere (« Right to Ask » e « Right to Know ») consente alla polizia di divulgare a una vittima (o potenziale vittima) di abusi domestici, informazioni in merito ai precedenti abusi o reati violenti compiuti dal relativo partner o ex.
Per approfondimenti sul relativo progetto si vedano i seguenti papers della Biblioteca della Camera dei Comuni: Domestic Abuse Bill 2019-21 (CBP8787) and Domestic Abuse Bill 2019-21: Progress on the Bill (CBP 8959).
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terza persona, ad esempio il figlio della vittima. In taluni casi, la legge può avere portata extraterritoriale, se l’abusante è un suddito britannico, o proviene da un protettorato britannico. Qualora siano state poste in atto violenze fisiche che abbiano provocato lesioni gravi o la morte, l’aggressore non può invocare a propria difesa l’eventuale consenso della vittima.
La parte sesta dell’Act contiene sette articoli riguardanti offences contenute nel Serious Crime Act del 2015 (30). Le associazioni impegnate nella lotta contro la violenza domestica hanno dato speciale enfasi all’in- troduzione del reato di strangolamento, ma la necessità di una specifica fattispecie si doveva soprattutto a questioni inerenti la speciale struttura del diritto penale inglese.
L’articolo 68 è rubricato: Controlling or coercive behaviour in an intimate or family relationship. Tramite esso, in linea con la legislazione antistalking, si ampliano gli spazi applicativi del previgente reato di controllo coercitivo compiuto in ambiente domestico, introdotto nel 2015, previa consultazione pubblica, dalla citata legge inglese sul controllo coercitivo (31), la prima adottata a livello internazionale ed europeo (32).
Tra le nuove norme del Domestic Abuse Act che meritano speciale considerazione ve ne sono due (articoli 65 e 66) riguardanti la procedura penale, che introducono forti limitazioni in alcuni tipi di giudizio alla cross-examination ovvero l’interrogatorio dei testi svolto direttamente dalla parte accusatoria e dalla difesa del reo. Sono previste delle presunzioni per permettere alle vittime di accedere senza eccessive formalità a benefici riconosciuti in generale a coloro che beneficiano dello status di vittime vulnerabili come deposizione da remoto o dietro schermo protettivo, possibilità di deporre a porte chiuse senza che il pubblico o la stampa siano presenti in aula o, ancora, la partecipazione del giudice e degli avvocati senza toga.
Occorre, tuttavia, rilevare come il Domestic Abuse Act del 2021 non sia ancora vigente nella sua interezza, posto che le relative disposizioni entreranno mano a mano in vigore secondo uno specifico cronoprogramma stabilito dal Governo.
In tema di violenza domestica, si ricorda che – a distanza di un anno dall’approvazione della citata legge del 2003, il Parlamento britannico aveva approvato il Domestic Violence, Crime and Victims Act del 2004, che, emendando in modo significativo il Family Act del 1996, recava misure di protezione legale, assistenza e sostegno alle vittime e ai testimoni di atti violenti, specialmente commessi tra le mura domestiche, e inaspriva le pene previste per renderle più incisive. Veniva poi assicurata alle coppie omo-
(30) Tramite l’introduzione, dopo la Part 5 del Serious Crime Act del 2015 (protection of children and others) della nuova Part 75A « Strangulation or suffocation ».
(31) Si veda, in particolare, nella PART 5 Protection of children and others del Serious Crime Act del 2015 la sezione Domestic abuse, comprendente gli articoli 76. Controlling or coercive behaviour in an intimate or family relationship e 77. Guidance about investigation of offences under section 76.
(32) Per approfondimenti su tale legge del 2015, con la quale è stata data attuazione a una serie di proposte contenute nella Strategia sulla criminalità grave e organizzata – Serious and Organised Crime Strategy, si vedano: Home Office, Controlling or Coercive Behaviour in an Intimate or Family Relationship: Statutory Guidance Framework, December 2015; si veda anche Crown Prosecution Service guidance (December 2015).
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sessuali la medesima tutela riconosciuta alle coppie eterosessuali nei casi di violenza domestica, estendendo altresì l’applicazione dei non-molesta- tion order alle coppie non conviventi.
La portata applicativa di tali disposizioni è stata in seguito estesa alle gravi lesioni di cui siano vittime un minore, oppure un adulto affetto da disabilità fisica o psichica (Domestic Violence, Crime and Victims (Amendment) Act del 2012). Il tema della violenza domestica è poi oggetto di un’intera sezione del Crime and Security Act del 2010 (sezioni 24-33). In questo caso, la legge attribuisce all’autorità giudiziaria il potere di adottare provvedimenti di tutela della vittima di duplice tipo: a) misure da adottarsi in via di urgenza dopo la violenza subita, qualora non sussistano elementi probatori sufficienti a incriminare l’aggressore (Domestic Violence Protec- tion Order); b) atti di diffida diretti dalla polizia all’autore della violenza, per inibirgli di contattare la vittima e di frequentarne i luoghi di residenza o di attività (Domestic Violence Protection Notice).
Inoltre, all’interno del Protection of Freedoms Act del 2012, sono stati inseriti due articoli (sezioni 111-112) che, innovando la vigente normativa in materia di atti persecutori (costituita dal Protection from Harassment Act del 1997, PHA), hanno introdotto nell’ordinamento britannico il reato di stalking, considerato come un ulteriore stadio del reato di molestia, caratterizzato dall’elemento della continuità e dalla messa in atto di comportamenti persecutori nei confronti della vittima (33).
Il citato PHA prevede per i reati di molestie e di stalking non aggravati (sezioni 2 e 2A), la reclusione fino a sei mesi e/o una multa di livello 5; per l’induzione, nella vittima, del timore della violenza da molestie o da stalking (sezione 4), la pena della reclusione fino a dieci anni e/o un’ammenda; per il reato di stalking aggravato (dalla paura della violenza o grave allarme o angoscia) (sezione 4A), la pena fino a dieci anni di reclusione e/o una multa con l’accusa; ed infine per la violazione di un’ingiunzione civile (sezione 3, par. 6) o di un ordine restrittivo (sezione 5, par. 5) la stessa sanzione prevista per il reato della sezione 4.
2. La prevenzione della violenza: fra campagne di comunicazione, attività formative-educative e iniziative per il recupero degli uomini maltrat- tanti
Le politiche governative in materia di contrasto dei fenomeni di violenza contro le donne, di competenza del Ministero dell’interno e dell’apposito Sottosegretariato (Parliamentary Under Secretary of State – Minister for Preventing Abuse, Exploitation and Crime), si sono sostanziate nella presentazione nel 2015 del rapporto, concernente lo stato di attuazione dei piani di azione adottati nei precedenti anni (A Call to End Violence Against Women and Girls. Progress Report 2010-2015); e nel 2016 del
(33) Per la disamina completa della Legge del 1997 si veda il Briefing Paper della Biblioteca della Camera dei Comuni The Protection from Xxxxxxxxxx Xxx 0000; per la previsione specifica del reato di stalking, si veda invece il Briefing Paper Stalking: Criminal Offences.
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piano strategico nazionale per il periodo 2016-2020 (Ending Violence Against Women and Girls).
Con il primo documento il Governo ha tracciato un bilancio delle iniziative contemplate dal Piano d’azione del marzo 2012 (primo aggior- namento dell’iniziale piano del marzo 2011).
Tra le misure realizzate si annoverano lo stanziamento di circa 1,2 milioni di sterline per il periodo 2012-2015 per l’accesso all’assistenza specialistica a favore delle vittime di violenza sessuale, in particolare nelle maggiori aree urbane; l’attuazione del programma pilota « Ugly Mugs » (clienti pericolosi) per difendere le prostitute dalle aggressioni di clienti violenti e offensivi; la previsione legislativa del « matrimonio forzato » come nuova figura di reato; l’introduzione dell’obbligo di dichiarare, nell’ambito delle relazioni di coppia, precedenti condanne riportate per atti di violenza domestica; la pubblicazione e diffusione di opuscoli sulla mutilazione genitale femminile, in cui siano indicati il divieto legislativo e le conseguenze penali; le campagne informative rivolte ai minori per prevenire il rischio in cui possono incorrere di divenire autori o vittime di atti di violenza sessuale; le iniziative di formazione delle forze di polizia per elevare l’efficacia della loro azione con riguardo agli atti di violenza sessuale su persone in condizioni di vulnerabilità.
Il secondo documento, concernente il piano strategico, riporta in
premessa i dati relativi alla diminuzione dei casi di violenza denunciati, ponendoli in diretta correlazione con un significativo incremento, nel biennio 2014-2015, della persecuzione tramite istanze penali dei relativi reati. Successivamente, richiama gli elevati costi determinati dalla violenza di genere, sia sociali (per i fenomeni di disagio sociale e di devianza che possono a loro volta derivare dalle violenze subite), sia economici (questi ultimi stimati nell’ordine di circa 16 miliardi di sterline l’anno, riferiti complessivamente all’onere finanziario pubblico per l’assistenza alle vit- time e alle loro diminuite entrate in conseguenza degli abusi subiti).
Le linee di azione individuate nel piano strategico, in continuità con le precedenti iniziative, riguardano una pluralità di aspetti. Tra questi, si evidenziano la prevenzione, da perseguire attraverso campagne educative nelle scuole con il coinvolgimento del personale docente, al fine di agevolare un cambiamento culturale tra i più giovani; l’adeguatezza dei servizi sociali prestati alle vittime di abusi, da perseguire conformando le prassi amministrative e i moduli operativi agli obiettivi a tale scopo individuati dal Governo (nel National Statement of Expectations – NSE pubblicato nel dicembre 2016), e attraverso l’efficiente concertazione (partnership working) tra le amministrazioni dei diversi livelli territoriali. In relazione a queste finalità del piano strategico e a supporto dei compiti basilari da assolvere per la sua attuazione, il Governo ha disposto un finanziamento di 80 milioni di sterline per il quinquennio interessato. Questa dotazione, nelle previsioni del Governo, si aggiunge all’erogazione stimata nell’ordine di 15 milioni di sterline l’anno a sostegno delle organizzazioni di assistenza alle donne, con copertura finanziaria tratta dall’imposta sul valore aggiunto applicata ai prodotti sanitari (restano salvi i finanziamenti già previsti per gli altri programmi assistenziali, i cui
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obiettivi intersecano la tutela delle donne nell’ambito familiare, ad esempio il Troubled Families Programme per il quale si prevedono stanziamenti nella misura di 720 milioni di sterline fino al 2020).
Peraltro, le finalità del piano strategico sono riferite alla violenza di genere senza escludere gli analoghi fenomeni alimentati dall’odio verso le minoranze e i soggetti vulnerabili, con riferimento all’origine etnica, all’immigrazione, all’orientamento sessuale, alle condizioni di disabilità, alle forme di sfruttamento delle persone.
Sotto il profilo della repressione penale, il piano strategico aveva preannunciato gli interventi ora introdotti rispetto alla condotta consistente nel « coercive and controlling behaviour », subito dalla vittima in ambito familiare. Il piano riconosce inoltre particolare rilievo ai dispositivi tecno- logici idonei alla raccolta e al trattamento di dati, all’acquisizione di elementi probatori, al tracciamento dei soggetti sottoposti a misure restrit- tive della libertà personale. A questo riguardo, il piano strategico prefigura il più ampio ricorso a strumenti che possano agevolare una più accurata e tempestiva individuazione dei soggetti violenti, come le micro-telecamere (body-worn cameras) o la sorveglianza mediante geolocalizzazione.
Entro la fine del 2021 è prevista la pubblicazione, da parte del Governo, della nuova Violence against Women and Girls Strategy 2021- 2024 (VAWG), contestualmente a una separata e specifica Strategia con- cernente gli abusi domestici (34).
Ancora, con la già citata terza parte del Domestic Abuse Act 2021 è stato conferito alle forze di polizia il potere di emanare ammonimenti per violenza domestica (Domestic Abuse Protection Notices, DAPN), con i quali si intima all’abusante di interrompere gli abusi; se convivente con la vittima, l’avviso può essere sufficiente per obbligarlo a lasciare l’abitazione. L’emanazione dell’ammonimento può portare a una successiva ordinanza giudiziale di protezione contro la violenza domestica (Domestic Abuse Protection Order, DAPO), che può recare un elenco di divieti e condizioni finalizzati alla tutela della vittima, oltre a misure quali l’obbligo, per il maltrattante, di intraprendere un percorso di terapia psicologica. Sebbene misure analoghe già esistessero nell’ordinamento prima dell’approvazione del Domestic Abuse Xxx 0000, questi nuovi strumenti possono essere adottati per contrastare anche le situazioni di abuso domestico in cui non vi siano stati atti o minacce di violenza fisica (per esempio situazioni di violenza economica).
Sempre il Domestic Abuse Act 2021 ha, poi, istituito un’autorità settoriale di vigilanza nella figura del Domestic Abuse Commissioner (DAC), incaricato della redazione di informazioni sui servizi di assistenza per le vittime di violenza domestica, della formulazione di raccomandazioni per le autorità pubbliche, del sostegno agli studi scientifici sull’argomento, della predisposizione di corsi di formazione e campagne di informazione e della collaborazione con i soggetti attivi nel contrasto della violenza
(34) Il 21 gennaio 2021, la sottosegretaria agli Interni Xxxxxxxx Xxxxxx, rispondendo a un’interrogazione parlamentare sulla violenza di genere, ha affermato che « le due strategie saranno complementari e lavoreranno insieme per contrastare la violenza contro le donne ».
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domestica. Il Commissioner dovrà anche redigere relazioni sull’abuso domestico per l’Esecutivo e presentarle in Parlamento. Gli enti locali hanno l’obbligo di dare sostegno alle vittime di abuso domestico, ad esempio istituendo case rifugio o riconoscendo alle vittime priorità nell’assegnazione di una casa popolare. Le autorità locali dovranno pubblicare un piano strategico per la predisposizione di tale sostegno e monitorarne l’attuazione; inoltre, dovranno istituire organi che formulino raccomandazioni e, al termine di ogni anno, presentare una relazione all’Esecutivo.
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime: i centri di crisi MARAC
E IDVA
In materia di servizi per la protezione e supporto immediato alle vittime, si segnala che in Inghilterra le vittime di violenza domestica possono accedere a forme di sostegno generale e specialistico.
Il sostegno di carattere generale viene fornito da diverse organizzazioni con sede sull’intero territorio nazionale. Il sostegno può includere l’inter- vento di autorità deputate alla gestione dei bisogni abitativi per l’alloggio temporaneo e l’aiuto al reperimento di una nuova abitazione. I servizi forniti dal Department for Work and Pensions (DWP) prevedono eventual- mente l’assistenza per la definizione di un reddito indipendente, unitamente alle organizzazioni che offrono supporto finanziario, inclusa l’assistenza al debito. In tale contesto, le autorità locali e le istituzioni educative svolgono un ruolo importante per salvaguardare e prevenire gli abusi, e le scuole possono fornire sostegno ai bambini vittime di abusi domestici. Sempre nell’ambito dell’assistenza di tipo generale, i servizi sanitari rispondono agli impatti sulla salute fisica e mentale degli abusi domestici e trattano i problemi correlati, incluso l’abuso di sostanze. I servizi specializzati di supporto per gli abusi domestici sono sempre più spesso forniti anche in ambiente sanitario, come gli ospedali.
I servizi specializzati forniscono invece assistenza « su misura » alle
vittime di violenza; sono generalmente gestiti da organizzazioni del Terzo settore e includono consulenti indipendenti per la violenza domestica e la violenza sessuale (Independent Domestic Violence and Sexual Violence Advisers – IDVAs and ISVAs), case rifugio e linee di assistenza/aiuto. I dati dell’Istituto nazionale di statistica (Office for National Statistics) mostrano che il numero di IDVA e ISVA è aumentato nell’ultimo decennio in Inghilterra. In questo periodo è aumentato anche il numero delle linee di assistenza per gli abusi domestici, mentre è diminuito il numero delle case rifugio. Ciò lascerebbe intendere che, intercettando le situazioni critiche in uno stadio precoce, vi sia poi un minor bisogno di risposte emergenziali. La disponibilità di supporto specialistico, come IDVA, varia in tutto il paese. Nel 2019, l’ente benefico per gli abusi domestici SafeLives ha stimato che Londra era l’unica zona del Paese che disponesse dell’organico raccomandato di IDVA in rapporto alla popolazione (copertura del 108 per
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cento). La percentuale di copertura più bassa (52 per cento) si registra nello
York-shire e Humber (35).
Occorre in generale rilevare come il sistema di contrasto e prevenzione della violenza domestica implementato nel Regno Unito, fortemente soste- nuto da Xxxxxxxx Xxxxxxxx negli anni in cui operò come Ministro della giustizia (tanto da prenderne il nome, essendo noto come « metodo Scotland » (36)), sia un sistema fortemente integrato, basato su due principali istituzioni:
– la Multi-Agency Risk Assessment Conference (MARAC) (37), tavolo che riunisce le principali agenzie pubbliche, organizzazioni e servizi operanti su un territorio che, a vario titolo, possono intervenire sui casi di violenza domestica;
– il già citato Indipendent Domestic Violence Advisor (IDVA), consulente indipendente incaricato di seguire la vittima e i figli in tutti i passaggi necessari a sottrarsi alla violenza domestica, garantendone prote- zione e sicurezza.
Più nel dettaglio, le MARAC sono componenti essenziali dei modelli di Coordinated Community Response, implementati a livello locale in molte città del Regno Unito. Ne esistono attualmente 260, distribuiti tra Inghil- terra, Xxxxxx e Irlanda del Nord, che trattano oltre 57.000 casi di violenza domestica all’anno. Si tratta di tavoli che si riuniscono con cadenza regolare e dove operatori afferenti a diversi servizi pubblici e agenzie private si incontrano per condividere informazioni relative ai casi di violenza dome- stica, specie quando siano valutati a più alto rischio (di femminicidio o di subire gravi lesioni). Tra i diversi attori sociali che prendono parte a questi incontri, si annoverano: la polizia locale, i servizi sanitari, i servizi per l’infanzia, gli uffici per gli alloggi, la magistratura, il volontariato di settore, le scuole, i progetti no profit per il contrasto della violenza domestica.
L’obiettivo principale di questi tavoli consiste nel delineare, per ogni caso esaminato, un piano coordinato di supporto e di protezione della vittima, basato sulla valutazione del rischio e delle sue specifiche condizioni sociali, familiari, lavorative, abitative. Il focus primario ricade sulla persona adulta che subisce direttamente la violenza, anche se l’intervento include il coordinamento fra servizi e istituzioni, in modo tale da occuparsi della salvaguardia dei minori e della presa in carico dei maltrattanti.
Presupposto teorico di tale impostazione è che nessun attore sociale è in grado individualmente di ottenere da solo un quadro completo della situazione della vittima, mentre ognuno può portare il proprio punto di vista
(35) Per approfondimenti sugli strumenti di supporto per le vittime di violenze domestiche, si rinvia al recentissimo (2 luglio 2021) briefing della Biblioteca della Camera dei Comuni: Domestic abuse: Support for victims and survivors. Per il ruolo dei servizi sanitari rispetto alla violenza domestica, si veda The role of healthcare services in addressing domestic abuse (maggio 2021); per una disamina sull’impatto della pandemia da Covid-19 sulla violenza domestica, si rinvia a: Domestic abuse and Covid-19: A year into the pandemic (maggio 2021).
(36) Per approfondimenti sul metodo, documentazione scientifica e lavoro bibliografico, una ricca raccolta di contributi di ricerca è disponibile sul sito di Safe Lives.
(37) Una sintesi divulgativa sul funzionamento delle MARACs e sulle ricadute positive del metodo sui conti pubblici è offerta da un opuscolo (in inglese) predisposto dall’organizzazione inglese Safe Lives: Saving Lives Saving Money.
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su un aspetto cruciale per la sua salvaguardia. Da qui un approccio olistico e integrato alla prevenzione e al contrasto alla violenza domestica.
L’IDVA è una figura professionale centrale delle MARAC e del sistema olistico; si tratta di un consulente indipendente che ha il compito di garantire primariamente la sicurezza delle vittime ad alto rischio e dei loro figli. L’IDVA valuta di volta in volta il grado di rischio rispetto a casi specifici, considerando i punti di crisi, discutendo con la vittima la gamma delle possibili soluzioni, sviluppando piani di protezione coordinati, sulla base dell’intervento proposto dalle MARAC, tale da poter implementare le diverse azioni necessarie.
L’IDVA segue la vittima lungo tutto il percorso di fuoriuscita dalla violenza, assistendola in tutti gli aspetti che riguardano la sua sicurezza e il suo benessere, che vanno dagli aspetti legali a quelli sociali, abitativi, familiari, operando da interfaccia con tutti i servizi necessari. E' l’IDVA a rappresentare la vittima anche presso le MARAC.
La segnalazione dei casi avviene secondo il seguente schema: ogni agenzia che fa parte delle MARAC valuta separatamente e in breve tempo le denunce ricevute, assegnando una valutazione di rischio bassa, media o alta. Nel caso sia assegnata la categoria « ad alto rischio », tutti i diretti interessati al caso devono riunirsi e decidere velocemente gli interventi da attuare, in modo da evitare ulteriori maltrattamenti che potrebbero mettere ulteriormente a rischio la vita della donna.
Dalle ricerche effettuate, risulta che le segnalazioni provengono in misura preponderante dalla polizia. I rappresentanti delle diverse agenzie presenti nelle MARAC discutono ogni singolo caso e disegnano l’intervento in modo specifico. Ogni servizio/attore si occupa di implementare la parte concernente il proprio lavoro quotidiano. Se quindi la polizia si occupa di interventi come la sorveglianza dell’abitazione della vittima, l’allontana- mento del maltrattante o l’installazione di allarmi, i servizi abitativi pubblici e le case rifugio sono chiamate all’azione quando è la vittima a dover cambiare domicilio (o a non averlo).
Anche le scuole e i servizi per l’infanzia sono all’uopo coinvolti per l’assunzione delle migliori decisioni nell’interesse dei minori (vittime di violenza assistita), così come i tribunali competenti saranno implicati per gli aspetti legati all’iter della querela contro il maltrattante, e così via per tutti quegli attori coinvolti nel processo.
È anche prevista nelle MARAC, a seconda dei casi, la presenza di organizzazioni per l’assistenza a gruppi migranti o minoranze, così come di servizi rivolti alle dipendenze da alcool e droghe.
Le analisi effettuate sul campo mostrano che, in seguito all’intervento dell’IDVA e delle MARAC, un’alta percentuale di vittime – che può raggiungere il 60 per cento – esce definitivamente dalla violenza.
Le autorità britanniche sono particolarmente attente nel dare rilevanza al fatto che il metodo ha anche una ricaduta benefica sui conti pubblici: secondo le stime, ogni caso di violenza domestica ad alto rischio costa
20.000 sterline ai contribuenti, considerando le chiamate alla polizia, il pronto soccorso, i costi della giustizia penale, lavorativa, ecc., ovvero un totale 2,4 miliardi di sterline, con una perdita anche superiore per il sistema produttivo,
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da cui le vittime sono costrette ad assentarsi a causa delle violenze subite. L’intervento tempestivo sui casi giudicati ad alto rischio e la rapida messa in opera di piani di sostegno e protezione, riduce non solo i rischi di uccisione e ferimento grave per le vittime, ma anche i costi associati alla violenza dome- stica. Per ogni sterlina investita nelle MARAC, si stima che si risparmino 6 sterline di costi diretti sostenuti dalle diverse agenzie coinvolte.
Ampliando la prospettiva dal solo contesto inglese, vi sono in effetti stime secondo le quali un contrasto efficace alla violenza domestica potrebbe far aumentare del 2,1 per cento il PIL nell’Unione europea.
Per quanto concerne l’assistenza telefonica alle vittime di violenza, si ricordano: per l’Inghilterra, la linea telefonica nazionale gratuita, operativa 24 ore su 24 Refuge’s National Domestic Abuse Helpline; per l’Irlanda del Nord la linea Domestic and Sexual Abuse Helpline; per la Scozia la Domestic Abuse and Forced Marriage Helpline; per il Galles, Live Fear Free. Si segnala, infine, per tutto il Regno Unito, la Men’s Advice Line, linea telefonica di assistenza riservata specificamente per le vittime di sesso maschile.
Come già anticipato, le disposizioni del Domestic Abuse Xxx 0000 entreranno in vigore secondo uno specifico cronoprogramma stabilito dal Governo. In tale contesto, il Domestic Abuse Commissioner in carica, Xxxxxx Xxxxxx, ha ricevuto dal Governo l’incarico di contribuire al miglio- ramento della quantità e della qualità dei servizi di supporto per gli abusi domestici; nell’attuale fase il Commissario sta mappando la fornitura di servizi, processo che dovrebbe concludersi entro la fine del 2021.
In particolare, la sezione 4 del Domestic Abuse Xxx 0000, non ancora vigente ma nelle aspettative del Governo attivabile da settembre, impone alle autorità locali in Inghilterra i seguenti obblighi:
– valutare le esigenze di sostegno alloggiativo alle vittime di abusi domestici, o dei loro figli;
– definire e pubblicare una strategia per la fornitura di questo supporto;
– monitorare e valutare l’efficacia della predetta strategia.
In sostanza, il Domestic Abuse Act impone alle autorità locali di primo livello un obbligo di legge relativo alla fornitura di sostegno in case rifugio o alloggi sicuri alle vittime di abusi domestici e ai loro figli, stabilendo a tal fine che esse si dotino di una specifica strategia per la fornitura di tale supporto. Al fine di agevolare l’adozione di tale strategia, nel giugno 2021 il Ministero degli alloggi, delle comunità e degli enti locali (Ministry of Housing, Communities and Local Government) ha pubblicato una bozza di linee guida concernenti l’assistenza alle vittime in « alloggio sicuro ». La consultazione è attualmente aperta e prevede che le autorità di primo livello
– Tier One Authorities – (County Councils, Metropolitan and Unitary Authorities and the Greater London Authority) chiariscano come intendono pianificare la fornitura di servizi per soddisfare le esigenze di tutte le vittime, in base alle loro specifiche caratteristiche e bisogni unici o complessi (inclusi sesso, razza, genere, lingua, religione, orientamento sessuale, età, stato di salute e disabilità).
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XX. ARGENTINA
A qualsiasi trattazione contenutistica della disciplina delle misure di contrasto alla violenza contro le donne in Argentina va premesso che il livello di attenzione politica, sociale e culturale sul fenomeno nel Paese è estremamente alta.
Come in tutto il continente latinoamericano il tema dell’evoluzione del rapporto tra i generi è elemento cardine della trasformazione sociale in atto. Più che in qualsiasi altra parte del mondo, per ogni persona che si occupa di politica è indispensabile assumere una posizione esplicita sulla
violenza di genere e il femminismo in generale.
Ciò, certamente, non significa che le condizioni di vita delle donne si trovino al momento in una situazione migliore che altrove (in tutto il continente, per esempio, la disciplina dell’aborto si colloca su posizioni estremamente restrittive dal punto di vista europeo). Ciò non significa nemmeno che tutte le posizioni in campo si collochino in un quadro definibile, da una prospettiva italiana, come astrattamente « progressista ».
Nel dibattito pubblico latinoamericano di questi ultimi anni il genere è centrale: nessuno può esplicitamente affermare di essere contrario (salvo pagare un prezzo elevato in termini di consenso) pur essendoci una enorme diversità di vedute.
Caratteristica portante della legislazione argentina è la presenza di una
« Ley integral » secondo il modello presentato già in Spagna, ma se possibile esprimendo un testo ancora più denso di contenuto teorico, quasi ne fosse l’evoluzione concettuale (anche alla luce dei continui e più recenti aggiornamenti).
L’attuazione limitata di tale disciplina, dovuta a un ventaglio di ragioni, ne costituisce ad oggi il limite maggiore.
Altrettanto peculiare, nel contesto di questa Relazione, è la presenza di una disciplina specifica per il reato di femminicidio, caratteristica comune a tutti i principali Paesi latinoamericani con la sola eccezione di Cuba.
1. La repressione della violenza
1.1. La disciplina del codice penale
Il codice penale argentino dedica il titolo III del libro secondo (38), ovvero gli articoli da 118 a 133, ai « Reati contro l’integrità sessuale » (rubrica così sostituita dall’articolo 1 della legge n. 25.087 del 1999 (39); la precedente rubrica recitava: « Reati contro l’onestà »).
(38) Il Libro Secondo del codice penale argentino disciplina i reati (De los delitos).
(39) Con la Legge n. 25.087 il legislatore argentino ha provveduto ad eliminare dal codice penale il concetto di « donna onesta », ha ampliato quello di violazione, riconoscendo diverse tipologie di aggressioni sessuali e stabilendo le condizioni aggravanti della pena.
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Il citato titolo III consta di 5 capitoli, di cui il capitolo I, concernente l'« Adulterio » e formato dal solo articolo 118, è stato soppresso nel 1995 con la legge n. 24.453.
Ai fini della presente trattazione, l’attenzione sarà quindi rivolta ai capitoli da II a V, le cui rubriche sono state soppresse con la citata legge
n. 25.087, che ha provveduto anche a sostituire l’articolo 119 del codice penale. Su tale articolo è poi intervenuta la legge n. 27.352 del 2017.
Il capitolo II si compone degli articoli da 119 a 124.
L’articolo 119 del codice penale, come infine novellato, al comma 1 punisce con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque abusi sessualmente di una persona di età inferiore a 13 anni o quando vi sia violenza, minaccia, abuso coercitivo o intimidatorio di una relazione di dipendenza, autorità o potere, ovvero approfittando del fatto che la vittima, per qualsivoglia ragione, non abbia potuto liberamente acconsentire all’a- zione. Il comma 2 prevede l’applicazione della pena aggravata da quattro a dieci anni di reclusione quando l’abuso, per la durata o le circostanze dell’esecuzione, configuri una sottomissione sessuale gravemente oltrag- giosa per la vittima. Il comma 3 innalza ulteriormente la pena da sei a quindici anni di reclusione quando, nelle circostanze di cui al comma 1, vi sia accesso carnale per via anale, vaginale o orale, ovvero siano stati compiuti altri atti analoghi, introducendo oggetti o parti del corpo secondo le predette modalità. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, il comma 4 dispone, infine, l’ulteriore aggravante della pena della reclusione da otto a venti anni, quando l’abuso:
a) provochi gravi danni alla salute fisica o mentale della vittima;
b) sia stato commesso da un ascendente, discendente, affine in linea retta, fratello, tutore, curatore, ministro di qualsiasi culto riconosciuto o meno, incaricato dell’educazione o della tutela;
c) l’autore dell’atto sia a conoscenza di essere portatore di una malattia grave a trasmissione sessuale, e vi sia stato rischio di contagio;
d) sia stato commesso da due o più persone, o con armi;
e) sia stato compiuto da personale appartenente alle forze di polizia o di sicurezza, nello svolgimento delle proprie funzioni;
f) sia stato compiuto contro un minore di anni 18, approfittando della preesistente situazione di convivenza con lo stesso.
Nel caso di cui al comma l, è applicabile la pena della reclusione da tre a dieci anni se concorrono le circostanze di cui alle predette lettere a), b), d), e) o f).
L’articolo 120 (come sostituito dall’articolo 3 della legge n. 25.087 del 1999) punisce con la pena della reclusione da tre a sei anni chiunque compia alcune delle azioni di cui ai commi 2 o 3 dell’articolo 119 con persona di età inferiore ai sedici anni, approfittando della sua immaturità sessuale, in ragione della maggiore età dell’autore, del suo rapporto di preminenza rispetto alla vittima, o altra circostanza equivalente, sempre che non sia configurabile reato più severamente sanzionato. Il medesimo articolo prevede, infine, l’aggravante della pena della reclusione da sei a dieci anni qualora ricorra una delle circostanze di cui alle citate lettere a),
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b), c), e) o f) di cui al comma 4 dell’articolo 119. Gli articoli 121, 122 e 123 sono stati soppressi dall’articolo 4 della menzionata legge n. 25.087 del 1999, mentre l’articolo 124 (come sostituito dall’articolo 1 della legge
n. 25.893 del 2004) impone l’ergastolo quando, dalla realizzazione delle condotte di cui agli articoli 119 e 120, derivi la morte della persona offesa.
Il capitolo III reca gli articoli da 125 a 129.
L’articolo 125 (come sostituito dall’articolo 5 della legge n. 25.087 del 1999) punisce con la pena della reclusione da tre a dieci anni chiunque promuova o faciliti la corruzione di minori di diciotto anni, anche con il consenso della vittima (pena innalzata da sei a quindici anni quando la vittima sia minore di anni tredici). Qualunque sia l’età della vittima, si prevede la pena della reclusione da dieci a quindici anni quando vi sia inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o qualunque altro mezzo di intimidazione o coercizione, così come se l’autore del reato è ascendente, coniuge, fratello, tutore o persona convivente o incaricata dell’educazione o tutoraggio della vittima.
L’articolo 125-bis (come sostituito dall’articolo 21 della legge n. 26.842 del 2012) punisce con la reclusione da quattro a sei anni il reato di favoreggiamento della prostituzione (ovvero « chiunque promuova o faciliti la prostituzione, anche con il consenso della vittima »).
L’articolo 126 (come sostituito dall’articolo 22 della legge n. 26.842 del 2012) aumenta la pena della reclusione da cinque a dieci anni quando, nell’ipotesi di cui all’articolo precedente, il reato sia compiuto:
1) tramite inganno, frode, violenza, minaccia o qualsiasi altro mezzo di intimidazione o coercizione, abuso di autorità o situazione di vulnera- bilità, o concessione o ricezione di pagamenti o benefici per ottenere il consenso di persona che avesse autorità sulla vittima;
2) l’autore del reato è ascendente, discendente, coniuge, affine in linea retta, collaterale o convivente, tutore, curatore, autorità o ministro di qualsiasi culto, riconosciuto o meno, o responsabile dell’educazione o della tutela della vittima;
3) l’autore del reato è un pubblico ufficiale o membro di una forza di sicurezza, di polizia o penitenziaria.
Infine si dispone l’inasprimento della pena da dieci a quindici anni in presenza di vittima minore di anni 18.
L’articolo 127 (come sostituito dall’articolo 23 della legge n. 26.842 del 2012) sanziona con la reclusione da quattro a sei anni il reato di sfruttamento economico della prostituzione, anche in presenza del consenso della vittima. Come per l’articolo 126 del codice penale, le circostanze di cui ai punti da 1 a 3 valgono quali aggravanti per le quali la pena applicabile varia da cinque a dieci anni di reclusione; analogamente, in presenza di vittima minore di anni diciotto, la pena della reclusione varia da dieci a quindici anni.
Gli articoli 127-bis e 127-ter risultano abrogati dall’articolo 17 della legge n. 26.364 del 2008.
L’articolo 128 (come sostituito dall’articolo 1 della legge n. 27.436 del 2018), al comma 1, punisce con la pena della reclusione da tre a sei anni
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chiunque produca, finanzi, offra, commerci, pubblicizzi, faciliti, diffonda o distribuisca, con qualunque mezzo, qualsiasi rappresentazione di un minore di diciotto anni dedito ad attività sessuali esplicite o qualsiasi rappresen- tazione delle sue parti genitali per scopi prevalentemente sessuali, nonché chiunque organizzi spettacoli dal vivo di rappresentazioni sessuali esplicite alle quali partecipino tali minori. Il comma 2 punisce con la reclusione da quattro mesi a un anno la detenzione consapevole delle rappresentazioni di cui al comma 1. Il comma 3 punisce con la reclusione da sei mesi a due anni la detenzione delle medesime rappresentazioni allo scopo inequivo- cabile di distribuzione o commercializzazione. Il comma 4 punisce con la reclusione da un mese a tre anni chiunque faciliti l’accesso a spettacoli pornografici o fornisca materiale pornografico a minori di anni quattordici. Infine, il comma 5 dispone l’aumento di un terzo delle pene previste dai commi precedenti (nel valore minimo e massimo) in presenza di vittime infratredicenni.
L’articolo 129, come sostituito dall’articolo 10 della legge n. 25.087 del 1999, sanziona con una multa da mille a quindicimila pesos chi compia o faccia compiere ad altri atti osceni soggetti ad essere involontariamente visti da terzi. Si dispone che, se i soggetti colpiti sono minori di anni diciotto, si applichi la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni; lo stesso vale, indipendentemente dalla volontà dell’interessato, quando il soggetto sia minore di tredici anni.
Il capitolo IV comprende gli articoli 130 e 131.
L’articolo 130, come sostituito dall’articolo 11 della legge n. 25.087 del 1999, punisce con la reclusione da uno a quattro anni chiunque rapisca o trattenga una persona con la forza, intimidazione o frode, con l’intento di minarne l’integrità sessuale. Il comma 2 dispone l’applicazione di una pena da sei mesi a due anni nel caso di minore di anni sedici, in presenza di consenso, mentre il comma 3 prevede una pena da due a sei anni nel caso in cui la vittima della citata condotta criminosa sia minore di anni tredici. Ne discende dunque che, malgrado una riforma tutto sommato recente,
il legislatore argentino ha inteso mantenere la fattispecie di « ratto ». Se tali norme fossero state eliminate, avrebbero dovuto applicarsi le disposizioni relative al sequestro di persona. Da una parte ciò avrebbe avuto delle conseguenze peggiorative per l’autore, stante le pene indicate negli articoli 141 e seguenti (in particolare all’articolo 142-bis), ma sarebbe necessario esaminare le situazioni caso per caso poiché, evidentemente, il sequestro di persona non viene punito se la vittima acconsente al sequestro stesso (in sé e per sé viene a perdersi il senso stesso dell’istituto). D’altro canto, secondo l’articolo 130 del codice penale, è passibile di pena anche chi « fugge » con una minore di sedici anni perfettamente consenziente.
L’articolo 131 (introdotto dall’articolo 1 della legge n. 26.904 del 2013) punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, mediante comunicazioni elettroniche, telecomunicazioni o qualsiasi altra tecnologia di trasmissione dati, contatti un minore al fine di compiere qualsivoglia reato contro l’integrità sessuale dello stesso.
Infine il capitolo IV reca gli articoli 132 e 133.
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L’articolo 132 (come sostituito dall’articolo 1 della legge n. 26.738 del 2012) stabilisce che, per i reati di cui agli articoli 119, commi da 1 a 3, 120, comma 1, e 130, la vittima può sollecitare l’esercizio dell’azione penale pubblica con la consulenza o la rappresentanza di istituzioni ufficiali o private senza scopo di lucro di protezione o assistenza alle vittime.
L’articolo 133 (come sostituito dall’articolo 13 della legge n. 25.087 del 1999) estende l’applicabilità delle pene previste per gli autori dei reati compresi nel titolo III del codice penale ai soggetti che cooperino al perpetrarsi dei reati medesimi, ovvero ascendenti delle vittime, discendenti, coniugi, conviventi, affini in linea retta, fratelli, tutori, curatori e a chiunque abusi del rapporto di dipendenza, autorità, potere, fiducia o incarico.
Come rilevato, il legislatore argentino ha recentemente riformato il codice penale allo scopo di predisporre una disciplina ad hoc per il femminicidio, inteso, stando alla giurisprudenza della Corte interamericana dei diritti umani, come l’uccisione di una donna per la sua condizione di donna.
Sebbene gli articoli del codice penale argentino non siano dotati di rubrica, la modifica (con legge n. 26.791 del 2012) dell’articolo 80 del codice penale dedicato alle aggravanti dell’omicidio, è ritenuta tanto dagli specialisti come dall’opinione pubblica come atto introduttivo dell’istituto del femminicidio nell’ordinamento penale dello Stato.
Guardando anche a normative similari introdotte da altri Stati della regione, più che da una singola disposizione, il femminicidio si può ritenere introdotto tramite la modifica di tre differenti circostanze aggravanti dell’omicidio, ovvero:
– l’ampliamento della lista di soggetti ai danni dei quali può commettersi parricidio (omicidio aggravato dal vincolo – inciso 1). Di- versamente dalla formulazione precedente, che comprendeva unicamente le coppie sposate, la versione vigente include tutti i legami di coppia, in essere o conclusi, al contempo mantenendo una terminologia neutra in termini di genere, affinché il genere dell’autore del reato e della vittima risulti irrilevante ai fini dei profili applicativi;
– l’ampliamento della lista dei fattori causali dell’omicidio per odio, non più limitato all’odio razziale, ma ampliato a quello per genere, orientamento sessuale o identità di genere – inciso 4;
– la circostanza dell’uccisione di una donna per mano di un uomo nel caso vi sia violenza di genere (come descritta dalla Ley integral cui di seguito si farà riferimento) – inciso 11 (unica disposizione del gruppo a non esser neutra dal punto di vista del genere rispetto al binomio autore/ vittima).
La stessa legge del 2012 ha introdotto un inciso n. 12 all’articolo 80 con l’intento di punire più gravemente « l’omicidio trasversale o vincolato » ovvero quello realizzato con il proposito di causare sofferenza a una persona con la quale si intrattiene o si è intrattenuta una relazione nei termini dell’inciso 1. Pur essendo figura di antica memoria, soggetto privilegiato anche per la tragedia greca, l’omicidio trasversale ha avuto in
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anni recenti drammatiche espressioni nel Paese, tutte connotate dal punto di vista del genere.
Di estrema rilevanza, infine, è la modifica dell’ultimo comma dell’ar- ticolo 80 del codice penale, che prevedeva la possibilità di abbassare la pena, riportandola entro i limiti edittali dell’omicidio – che va dagli 8 ai 25 anni di reclusione –, per i casi di parricidio in cui si diano circostanze particolarmente attenuanti. Tramite questa disposizione, numerose situa- zioni variamente definite di « emozione violenta », « gelosia », « turba- mento » od « offuscamento » venivano valutate come meritevoli di atte- nuazione di pena, con un sostanziale abbattimento della cornice edittale. La riforma del 2012 non ha abrogato la norma, ma ha escluso che potesse essere applicata nei casi in cui l’autore dell’uccisione avesse commesso in precedenza violenza di genere nei confronti della vittima.
1.2. Ulteriori misure per il contrasto delle discriminazioni e delle molestie
Il punto di riferimento già citato in premessa è la legge n. 26.485 del 2009 (attuata con decreto n. 1011 del 2010 e modificata nel 2019 con legge
n. 27.501 e legge n. 27.533) di « Protezione integrale per prevenire, sanzionare ed eradicare la violenza contro le donne negli ambiti in cui svolgano le proprie relazioni interpersonali » (Ley de Protección Integral para Prevenir, Sancionar y Erradicar la Violencia Contra las Mujeres en los Ámbitos en que Desarrollen sus Relaciones Interpersonales). I suoi obiettivi includono la promozione e la garanzia dello sviluppo di politiche pubbliche in materia, l’accesso alla giustizia e l’assistenza globale alle donne che subiscono violenza. La legge riconosce e descrive le seguenti tipologie e modalità di violenza contro le donne:
– fisica: impiegata contro il corpo della donna producendo dolore, danno o rischio di produrlo e qualsiasi altra forma di maltrattamento o aggressione che ne possa pregiudicare l’integrità fisica;
– psicologica: intesa quale forma di violenza che causa danno emotivo e pregiudizio all’autostima della donna, ne pregiudica o perturba il pieno sviluppo personale o cerca di degradarne o controllarne le azioni, i comportamenti, le opinioni e decisioni, tramite minaccia, accuse, molestie, restrizioni, umiliazioni, disonore, discredito, manipolazione, isolamento;
– sessuale: qualunque azione implicante la lesione del diritto della donna di decidere volontariamente in ordine alla propria vita sessuale o riproduttiva attraverso minacce, coercizione, uso della forza o intimida- zione, includendo la lesione in costanza di matrimonio o di altre relazioni di vincolo o parentela, con o senza convivenza, nonché la prostituzione forzata, sfruttamento, schiavitù, bullismo, abuso sessuale e tratta;
– economica e patrimoniale: l’azione volta a produrre un menoma- zione nelle risorse economiche o patrimoniali della donna, attraverso: la perturbazione del possesso, disponibilità o proprietà dei suoi beni; la perdita, sottrazione, distruzione, ritenzione o distrazione indebita di oggetti, strumenti di lavoro, documenti personali, beni, valori e diritti patrimoniali; la limitazione delle risorse economiche destinate a soddisfare le proprie
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necessità o la privazione dei mezzi indispensabili per vivere una vita dignitosa; la limitazione o controllo delle proprie entrate, nonché il percepimento di un salario inferiore a parità di impiego, nell’ambito di un medesimo luogo di lavoro;
– simbolica: quella che attraverso modelli stereotipati, messaggi, valori, immagini o segni trasmetta e riproduca dominazione, disuguaglianza e discriminazione nelle relazioni sociali, naturalizzando la subordinazione della donna nella società.
Occorre ricordare che le disposizioni della legge in esame sono di ordine pubblico e applicabili sull’intero territorio della Repubblica Argen- xxxx, ad eccezione di quelle di natura processuale, per le quali occorre adesione legislativa ad hoc da parte delle singole province argentine [al seguente link è disponibile il quadro completo di tali adesioni: Legislación en Salud Argentina (xxxx.xxx.xx)]. Infatti, essendo l’Argentina per molti aspetti uno stato federale, la procedura penale è disciplinata in una pluralità di codici locali. Si precisa, altresì, che l’articolo 42 della legge in commento dispone l’applicabilità della legge n. 24.417 del 1994 di « Protezione contro la violenza familiare » (Protección contra la Violencia Familiar) ai casi di violenza domestica non previsti dalla legge medesima.
2. La prevenzione della violenza: fra campagne di comunicazione, attività formative-educative e iniziative per il recupero degli uomini maltrattanti
In tema di prevenzione, si segnala che la citata Legge n. 26.485 del 2009 designa il Consiglio nazionale della donna (Consejo Nacional de la Mujer) quale organo preposto alla progettazione delle relative politiche pubbliche, specificandone i poteri, tra i quali si sottolinea quello di elaborare e attuare un « Piano d’azione nazionale per la prevenzione, l’assistenza e l’eliminazione della violenza contro le donne ». La legge, inoltre, determina le linee guida di base per le politiche statali (articolo 10) e istituisce, nell’ambito del citato Consiglio, l’Osservatorio sulla violenza contro le donne (Observatorio de la Violencia contra las Mujeres), fina- lizzato alla raccolta e sistematizzazione delle informazioni concernenti la violenza sulle donne, stabilendone composizione, missione e funzioni.
Dal 2017 il menzionato Consiglio nazionale della donna funziona come Istituto nazionale delle donne (Instituto Nacional de las Mujeres, INAM, istituito con decreto n. 698/17), ente decentralizzato del Ministero della salute e dello sviluppo sociale della Nazione (Ministerio de Salud y Desarrollo Social de la Nación) incaricato di elaborare politiche, pro- grammi e iniziative destinate a promuovere l’eguaglianza di genere. In base alla Relazione sulla gestione 2016-2019, l’INAM (40) ha provveduto, tra le altre attività, alla definizione e al coordinamento del Plan Nacional de Acción para la Prevención, Asistencia y Erradicación de la Violencia contra las Mujeres 2017-2019 (comprendente 69 misure e 132 azioni), nonché al disegno e al coordinamento del Plan Nacional de Igualdad de
(40) Per approfondimenti sulla gestione dell’INAM, si veda la Relazione 2019.
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Oportunidades y Derechos (PIOD) 2018-2020, prima iniziativa intrapresa dall’amministrazione pubblica nazionale per affrontare in modo sistematico la questione di genere. Ciò al fine di colmare una lacuna rilevata dallo studio condotto nel 2017 dalla Comisión Económica para América Latina y el Caribe de las Naciones Unidas (CEPAL) (41), dal quale emerse che l’Argentina e Cuba rappresentavano gli unici paesi della regione ancora privi di uno strumento di pianificazione strategica ad hoc. Con l’obiettivo generale di « generare le condizioni affinché tutte le persone abbiano le medesime possibilità di accedere e di esercitare i propri diritti e sviluppare liberamente il proprio progetto di vita », il PIOD definisce un processo che contempla diverse tappe; la prima consta di oltre 350 azioni specifiche e circa 225 azioni programmatiche, il cui sviluppo e la cui attuazione sono affidate ai diversi Ministeri nazionali e ad altri organi dell’Esecutivo nazionale.
Si ricorda, inoltre, che con la legge n. 27.176 del 2015 è stata istituita la Giornata nazionale della lotta contro la violenza di genere nei mezzi di comunicazione (Día Nacional de la Lucha contra la Violencia de Género en los Medios de Comunicación). Al fine di « promuovere la protezione e la salvaguardia dell’uguaglianza tra donne e uomini e il trattamento plurale, egualitario e non stereotipato, evitando ogni discriminazione di genere o orientamento sessuale nei mezzi di comunicazione » (art. 2), l’articolo 1 della legge individua l’11 marzo di ciascun anno quale predetta Giornata nazionale.
Per quanto concerne la scuola, con la legge n. 27.234 del 2015 sono state poste le basi affinché in tutti gli istituti scolastici del paese, pubblici e privati, di livello primario, secondario e superiore, si svolga la giornata di studio « Educare all’uguaglianza: prevenzione ed eliminazione della violenza di genere » (Educar en Igualdad: Prevención y Erradicación de la Violencia de Género). Si prevede che il Governo nazionale, tramite gli organismi competenti, organizzi e provveda allo svolgimento della citata giornata almeno una volta nel corso di ciascun anno scolastico, invitando le province e la città autonoma di Buenos Aires ad aderire alla legge.
Dal 2015 la Corte suprema de Justicia de la Nación cura la tenuta del Registro Nacional de Femicidios de la Justicia Argentina (RNFJA) che presenta i dati statistici delle cause giudiziarie aventi ad oggetto morti violente per ragioni di genere, nonché le vittime di femminicidio correlato, ovvero le persone assassinate per essersi interposte tra vittima e carnefice al fine di evitare l’aggressione o di soccorrere la vittima. Il Registro utilizza la seguente definizione di "femminicidio": "la morte violenta di donne per ragioni di genere, sia che abbia luogo dentro la famiglia, unità domestica o in qualunque altra relazione interpersonale, nella comunità, da parte di qualsivoglia persona, sia che venga perpetrata o tollerata dallo Stato e dai suoi agenti, per azione o omissione". Secondo la Relazione 2019 del
(41) XXXXX Xxxxxx xx xxxxxxxx xx xxxxxx xx Xxxxxxx Xxxxxx x xx Xxxxxx: mapas de ruta para el desarrollo. Serie Observatorio de Igualdad de Género en América Latina y el Caribe. Estudios Marzo 2017. Disponibile alla seguente URL: xxxxx://xxxxxxxxxxx.xxxxx.xxx/xxxxxx/00000/ 41014
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Registro, nel 2019 in Argentina si sono verificati 268 femminicidi, di cui 252 diretti (di cui 5 « travesticidici/transfemminicidi ») e 16 correlati; il 90 per cento delle vittime conoscevano il loro aggressore (nel 66 per cento dei casi erano coppie o ex); nel 44 per cento dei casi erano conviventi. Dal 2008 è attivo in Argentina anche l’Observatorio de Femicidios Xxxxxxx Xxxxxxxx nell’ambito della ONG Asociación Civil la Casa del Encuentro, partico- larmente impegnata nel sostegno delle vittime di violenza.
Infine, si ricorda come sia nato proprio in Argentina, nel marzo 2015, il Movimento contro il femminicidio e la violenza sulle donne NiUnaMenos (la cui denominazione ricalca i versi della poetessa messicana vittima di femminicidio X. Xxxxxx 'Ni una mujer menos, ni una muerta más'), estesosi rapidamente come mobilitazione globale. In Italia il movimento Nonuna- dimeno, impegnato in difesa delle donne vittime di violenze fisiche, psicologiche e simboliche, ha fatto propri gli stimoli provenienti dal collettivo argentino.
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime
In materia di servizi per la protezione alle vittime di violenza, si segnala che l’articolo 7 della citata legge n. 26.485 del 2009 prevede che lo Stato garantisca, tra l’altro, l’assistenza integrale e opportuna delle donne vittime di qualsivoglia tipo di violenza, assicurando loro accesso gratuito, rapido, trasparente ed efficace ai servizi a tal fine istituiti, oltre a promuo- vere la sanzione e la rieducazione degli autori di atti di violenza. Gli articoli da 16 a 40 della legge disciplinano il procedimento in caso di denuncia. In particolare, l’articolo 16 ribadisce la gratuità del patrocinio per le vittime di violenza, il diritto a ottenere risposta opportuna ed effettiva, nonché ad essere ascoltate personalmente dal giudice o dall’autorità amministrativa competente, oltre che il diritto alla protezione giudiziaria urgente e pre- ventiva nei casi di imminente minaccia previsti dalla legge. L’articolo 20 ribadisce la gratuità e la sommarietà quali caratteristiche del procedimento, mentre l’articolo 21 garantisce la tutela dell’identità della persona denun- ciante. In base all’articolo 27, è facoltà del giudice competente l’adozione di una o più misure preventive urgenti di cui all’articolo 26 (42), stabilendone con atto motivato la durata massima in funzione delle circostanze del caso. Ai sensi del citato articolo 26, il giudice può ordinare le predette misure in qualunque momento del procedimento, d’ufficio o su richiesta di parte. Le misure possono consistere nei seguenti ordini (specie rivolti al presunto aggressore): divieto di avvicinamento al luogo di residenza, lavoro, studio o ai luoghi di abituale frequentazione della vittima; cessazione degli atti di perturbazione e intimidazione direttamente o indirettamente rivolti alla vittima; restituzione immediata degli effetti personali qualora la vittima ne sia stata privata; divieto di acquisto e porto d’armi, eventuale ordine di sequestro delle armi già possedute; adozione di misure atte a fornire a chi patisce o esercita violenza, ove richiesto, assistenza medica o psicologica,
(42) Occorre rilevare che analoghe misure cautelari sono, altresì, previste anche dall’articolo 4 della citata Legge n. 24.417 del 1994 di Protezione contro la Violenza Familiare (Protección contra la Violencia Familiar).
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attraverso organismi pubblici e organizzazioni della società civile specia- lizzati nella prevenzione e nella cura della violenza di genere; misure di sicurezza al domicilio della vittima; qualunque altra misure necessaria a garantire la sicurezza della vittima, a far cessare la violenza e la ripetizione di qualunque atto perturbativo o intimidatorio, di aggressione e maltratta- mento. L’articolo in esame prevede, altresì, specifiche misure preventive urgenti ordinabili dal giudice nei casi di violenza domestica. Tra di esse, si segnalano: il divieto al presunto aggressore di alienare, disporre, distrug- xxxx, occultare o trasferire i beni della coppia coniugale o i beni comuni della coppia convivente; l’esclusione dell’aggressore dalla residenza co- mune, indipendentemente dalla titolarità della stessa; il reintegro al domi- cilio della donna che se ne fosse allontanata, previa esclusione dall’abita- zione del presunto aggressore; l’ordine alla forza pubblica di accompagna- mento della vittima alla casa familiare per il ritiro degli effetti personali; in presenza di figli, la fissazione provvisoria, se previsti, degli alimenti; in presenza di vittima minore, l’eventuale affidamento della stessa ad un membro del gruppo familiare, per consanguineità o affinità, o ad altri membri della famiglia allargata, con provvedimento motivato e tenendo conto del diritto del minore ad essere ascoltato; la sospensione provvisoria del regime delle visite; l’ordine al presunto aggressore di astenersi dall’in- terferire, in qualsiasi modo, nell’esercizio della cura e dell’educazione dei figli; disporre l’inventario dei beni coniugali e dei beni propri, rispettiva- mente di chi esercita e di chi subisce violenza (in caso di coppia convivente, l’ordine di disporre un inventario del patrimonio di ciascuno); la conces- sione dell’uso esclusivo dell’abitazione abituale alla donna vittima di violenza, per il periodo ritenuto necessario.
In tema di immediato sostegno alle vittime di violenza, si segnala che
la legge n. 27.039 del 2014, istitutiva del « Fondo speciale per la diffusione della lotta contro la violenza di genere – Linea telefonica gratuita nazio- nale 144 », ha dato vita ad una linea telefonica di supporto per abusi e violenze. Si tratta di una linea telefonica gratuita a scopo nazionale dedicata alle richieste concernenti violenza di genere, disponibile 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. La legge dispone, altresì, la più ampia pubblicizzazione di tale supporto alle vittime di violenza, stabilendo che tutte le informazioni trasmesse attraverso i servizi di comunicazione audiovisiva sugli episodi di violenza di genere, includano una menzione espressa alla linea telefonica. La legge riconosce all’Autorità federale per i servizi di comunicazione audiovisiva, la competenza in materia di verifica del rispetto della norma- tiva, nonché il potere di applicare sanzioni per le violazioni della normativa medesima. Le sanzioni alimentano il Fondo citato, le cui risorse vengono trasferite annualmente al sopra menzionato Consiglio nazionale della donna (ora INAM) per la relativa amministrazione. Si precisa che – in talune realtà territoriali come ad esempio la Comunità autonoma di Buenos Aires
– ancor prima dell’attivazione della linea 144 operava un’ulteriore Linea
telefonica di assistenza 137 (anche raggiungibile via Whatsapp o via mail) che tutt’oggi affianca la linea 144.
Si osserva, inoltre, che – con Xxxxx n. 27.210 del 2015 – il legi- slatore argentino ha istituito il Corpo degli avvocati per le vittime di
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violenza di genere (Cuerpo de Abogadas y Abogados para Víctimas de Violencia de Género) nell’ambito del Segretariato alla giustizia del Mini- stero della giustizia e dei diritti umani (Secretaría de Justicia del Ministerio de Justicia y Derechos Humanos), con l’obiettivo di garantire accesso gratuito alla giustizia alle vittime di violenza di genere, conformemente a quanto disposto dalla citata legge n. 26.485 del 2009. Si prevede che il Corpo sia guidato da un direttore esecutivo e comprenda una Commissione interdisciplinare consultiva per l’approccio globale alla violenza di genere (Comisión Interdisciplinaria Asesora para el abordaje integral de la violencia de género). Il gratuito patrocinio viene assicurato nei casi di abuso sessuale contro minori e adolescenti e nei casi di violenza domestica, nelle sue diverse espressioni (fisica, psicologica, sessuale, economica, simbolica). L’accesso al gratuito patrocinio si realizza concretamente attraverso i Centri di accesso alla giustizia (Centros de Acceso a Justicia, CAJ) dislocati sull’intero territorio nazionale, i quali garantiscono l’intervento di legali specializzati entro il termine di 48 ore dalla richiesta di patrocinio, con garanzia di confidenzialità. Nei casi di violenza domestica o abuso sessuale in danno di minori, si prevede che la richiesta di patrocinio possa essere effettuata da un soggetto terzo ovvero da un referente affettivo, previo consenso della persona titolare del diritto al gratuito patrocinio. Allo stato attuale, il Corpo fornisce i propri servizi nei seguenti territori: Jujuy, Salta, Tucumán, La Rioja, Neuquén, Catamarca, Xxxxxxxx del Estero, La Plata, Resistencia, Corrientes, Paraná, Posadas, Formosa.
Infine, la legge n. 27.372 del 2017 per i diritti e le garanzie delle
persone vittime di reati (Ley de Derechos y Garantías de las Personas Víctimas de Delitos) ha istituito il Centro di assistenza alle vittime di reati (Centro de Asistencia a las Víctimas de Delitos, CENAVID) nell’ambito della Segreteria alla giustizia del medesimo Ministero, la cui competenza prioritaria consiste nell’assistenza alle vittime di reati di competenza federale dell’intero territorio nazionale e, in forma coadiuvante, alle vittime di reati di competenza della giustizia ordinaria, su richiesta delle giurisdi- zioni locali.
In conclusione, l’esperienza argentina si caratterizza per una profonda enfatizzazione degli aspetti culturali, formativi ed educativi. Purtroppo, le risorse economiche investite per sostenere tali progetti non paiono all’al- tezza degli ambiziosi obiettivi, alimentando tra gli operatori e nei settori più sensibili dell’opinione pubblica un certo senso di frustrazione.
L’accentuazione degli aspetti formativi, trasversali a diverse categorie professionali, sembra poco a poco aver preso il sopravvento rispetto alle istanze in precedenza maggioritarie e intese a promuovere una maggiore severità nella legislazione penale. Compresa l’inefficacia di una strategia limitata all’annuncio di pene più dure, il baricentro sembra ora collocarsi in un’area di stimolo a un approccio integrato.
Un ultimo aspetto, che accomuna moltissimi Paesi – ma le dimen- sioni e le caratteristiche demografiche dell’Argentina rendono drammati- camente evidente – riguarda il rapporto tra centro e periferia del Paese: ciò che si discute e si vive nelle grandi città, non corrisponde in nulla alla prassi dei piccoli centri e delle enormi aree rurali.
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VII. INDIA
L’ordinamento giuridico indiano attualmente è tra i più complessi al mondo. Sulla lunghissima e variegata tradizione secolare dei Dharmaśāstra (i trattati sui doveri religiosi e giuridici) si innesta il diritto dell’Impero britannico di common law, mentre da settanta anni a questa parte l’India moderna è un immenso Stato federale, con una gestione del sistema giudiziario comunque relativamente centralizzata, connotato da molti ele- menti di civil law, con Costituzione e codici scritti.
Realizzare una sintetica comparazione con il sistema giuridico indiano in materia di violenza contro le donne è perciò estremamente difficile, poiché il diritto che regola lo status giuridico delle persone e i loro rapporti famigliari è profondamente condizionato da tutti gli elementi sopra indicati.
1. La repressione della violenza
1.1. La disciplina del codice penale
Gli articoli 375 e seguenti del codice penale indiano (IPC), riformati nel 2013, recano disposizioni sui reati sessuali.
L’articolo 375 IPC stabilisce che si ha violenza sessuale (rape) quando, in determinate circostanze (v. infra), l’uomo: penetra con il pene la vagina (43), la bocca, l’uretra o l’ano di una donna; inserisce un oggetto o una parte del proprio corpo nelle medesime parti del corpo della donna; manipola una parte del corpo di una donna provocando una penetrazione nei modi sopra descritti; applica la bocca sulle parti del corpo della donna sopra menzionate. La norma specifica che si configura tale reato anche quando l’uomo induce la donna a compiere tali atti su di sé o su altra persona. L’articolo 375 medesimo elenca quindi sette circostanze al ricor- rere delle quali si verifica la violenza.
Si ha quindi violenza sessuale:
– quando l’uomo agisce contro la volontà della donna;
– quando l’uomo agisce senza il consenso della donna;
– quando il consenso è ottenuto inducendo la paura della morte o di un danno alla donna stessa o a persona alla quale la donna sia interessata;
– quando vi sia il consenso, ma l’uomo sa di non essere marito della donna e quest’ultima crede che egli sia altra persona alla quale ella è sposata o crede di essere sposata (44);
– quando il consenso è ottenuto in un momento in cui la donna non è in grado di valutare la situazione a seguito di somministrazione (da parte
(43) La norma specifica che ai fini della legge la vagina include le grandi labbra.
(44) La presenza di circostanze come questa dà conto della distanza culturale prima ancora che giuridica cui sopra si accennava. Una situazione come quella sopra descritta si può ragionevolmente immaginare solo se in primo luogo si considera la verginità pre-matrimoniale come un valore, e in secondo luogo se ci si figura il matrimonio come occasione di primo incontro effettivo tra i xxxxxxx, che in precedenza non si erano incontrati, essendo l’organizzazione del matrimonio e la scelta dei contraenti deputata ai genitori degli stessi.
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dell’uomo, direttamente, o per il tramite di altra persona) di sostanze stupefacenti o comunque in grado di alterare il giudizio della donna;
– quando la donna è minore di 18 anni, con o senza il consenso;
– quando la donna non è in grado di esprimere il proprio consenso.
Si specifica che per « consenso » si deve intendere un accordo volontario ed inequivocabile, basato sulla comunicazione da parte della donna della sua volontà di partecipare all’atto sessuale in questione mediante parole, gesti o qualsiasi forma di comunicazione verbale o non verbale. Resta fermo che se una donna non resiste fisicamente all’atto della penetrazione non si può presumere, sulla base di questa sola circostanza, che ella sia consenziente all’atto.
È esplicitamente esclusa la violenza sessuale in caso di rapporti sessuali tra coniugi essendo la moglie maggiore di quindici anni.
Nell’ottobre 2017 la Corte Suprema indiana è giunta per la prima volta a condannare per violenza sessuale un marito, essendo tuttavia la moglie minorenne (in un contesto in cui, come si vedrà, il matrimonio fra minorenni è pratica vietata ma comunemente praticata).
L’articolo 376 IPC stabilisce le pene caratterizzate, come larga parte della legislazione penale indiana, da un estremo rigore (45). La violenza sessuale è punita con la pena della reclusione, eventualmente associata al lavoro duro (46), da dieci anni (47) fino all’ergastolo e con una sanzione pecuniaria (48). Quanto alla pena dell’ergastolo, si segnala che l’articolo 55 IPC prevede, in xxx xxxxxxxx, xxx xxxx xxxxx xxxxxx xxxxxxxxx xxxxx xxxx della reclusione di durata minima pari a quattordici anni dal Governo (federale o dello Stato o del Territorio (49), a seconda della competenza).
Tale possibilità viene tuttavia esclusa per la violenza sessuale al ricorrere delle circostanze aggravanti, in quanto la norma specifica che l’ergastolo deve intendersi quale reclusione per il resto della vita. L’ag- gravante comporta inoltre che la reclusione sia comunque associata al lavoro duro. Ricorre l’aggravante quando l’autore della violenza sessuale sia nell’esercizio delle sue funzioni in qualità di ufficiale di polizia, di funzionario pubblico, di membro delle Forze armate, di agente o funzio- nario di prigione o altro istituto di custodia, di membro dello staff di istituti
(45) In base a dati del 2015 il tasso di detenzione in India è decisamente basso rispetto alla media europea, essendo il valore 33 su 100.000 abitanti. Di questi, tuttavia, più della metà stanno scontando l’ergastolo.
(46) Ai sensi dell’articolo 53 IPC, la reclusione può essere associata al lavoro duro (c.d.
Rigorous imprisonment) oppure no (Single imprisonment).
(47) L’articolo 376 è stato modificato dalla legge n. 22 del 2018 (Criminal Law (Amendment) Act, 2018). Tale modifica ha innalzato la pena minima a dieci anni di reclusione (da sette), allineandola alla pena prevista per le circostanze aggravanti. Inoltre, la medesima legge ha inserito alcune norme concernenti la violenza sessuale nei confronti di persona minore di dodici o sedici anni.
(48) Gli articoli del codice penale dedicati ai reati sessuali, qui in considerazione, non fissano l’ammontare della sanzione pecuniaria. A tale riguardo, l’articolo 63 IPC stabilisce, in via generale, che quando una norma del codice non reca alcuna indicazione, si deve intendere che non sia previsto un limite, anche se la somma non deve risultare eccessiva.
(49) L’India è una Repubblica parlamentare federale, nell’ambito del Commonwealth, costituita da 28 Stati e 7 Territori, enumerati nel Primo Allegato alla Costituzione.
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per donne o bambini (50), di ospedali o luoghi di cura. Ulteriore circostanza aggravante è la violenza commessa da persona in posizione sovraordinata o in relazione di fiducia rispetto alla vittima, nonché la violenza commessa da parente stretto della vittima, da insegnante o tutore. Costituisce inoltre aggravante la violenza all’interno di una comunità o una setta o comunque quando l’autore di violenza è in una posizione di dominio. Si configura altresì come aggravante la violenza nei confronti di donna incinta o di donna con handicap fisico o mentale. Costituisce infine aggravante la violenza che causa un danno fisico permanente, nonché la violenza ripetuta nei confronti della stessa donna.
La pena minima per violenza nei confronti di donna minore di sedici anni è fissata a venti anni di reclusione. Anche in questo caso l’eventuale ergastolo non può essere commutato nella reclusione più breve. La multa deve essere versata alla vittima e commisurata alle spese mediche e di riabilitazione.
La pena minima di venti anni fino all’ergastolo non commutabile e la sanzione pecuniaria ovvero la pena di morte (51) sono previste dall’articolo 376A quando la vittima muore o rimane in stato vegetativo come conse- guenza della condotta di stupro. In base all’articolo 376AB, le stesse pene sono previste per la violenza a danno di minore di dodici anni.
La non punibilità delle violenze perpetrate in costanza di matrimonio dispiega parziali effetti anche nelle situazioni in cui vi sia separazione (legale o di fatto) tra i coniugi, ma non ancora il divorzio. In tali casi, infatti, è sì prevista una pena, ma l’articolo 376B la limita entro una cornice decisamente inferiore: reclusione (con lavoro duro eventuale) da due a sette anni e con sanzione pecuniaria.
L’articolo 376C concerne la persona che detiene una posizione sovra- ordinata o in relazione di fiducia che, abusando di tale posizione, seduce o induce il rapporto sessuale con una donna sottoposta alla sua custodia o sotto la sua responsabilità o presente nei locali ove il soggetto eserciti la sua autorità, pur non configurandosi il reato di violenza sessuale. La norma si applica a qualsiasi persona che detiene una posizione di autorità o sia in relazione di fiducia con la donna, oppure sia un funzionario pubblico, un sovrintendente in una prigione o in un istituto di custodia ovvero in un istituto per donne o bambini (v. supra), o dipendente di un ospedale. Il reato è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la sanzione pecuniaria.
La norma non fa menzione del consenso al rapporto da parte della vittima, né di eventuali vantaggi offerti o concessi ad ella, specificando soltanto che deve trattarsi di una donna.
L’articolo 376D punisce con la reclusione da venti anni all’ergastolo (non commutabile) e con la sanzione pecuniaria (destinata alla vittima e commisurata alle spese mediche e di riabilitazione della medesima) la
(50) Cioè un’istituzione, denominata orfanotrofio o casa per donne o per bambini abbandonati o casa per vedove o comunque un’istituzione in altro modo denominata, istituita e mantenuta per l’accoglienza e la cura di donne o bambini.
(51) Salvo rarissimi casi le pene di morte sono commutate in ergastoli. Le ultime esecuzioni in India risalgono al 2012.
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violenza sessuale di gruppo, cioè la violenza compiuta da una o più persone che costituiscono un gruppo o che agiscono con un’intenzione comune. Gli articoli 376DA e 376DB puniscono con l’ergastolo (non commutabile) o con la pena di morte la violenza di gruppo a danno di minore di sedici e dodici anni rispettivamente.
L’articolo 376E punisce con l’ergastolo (non commutabile) o con la pena di morte i recidivi colpevoli dei reati sopra descritti.
Caratteristica peculiare dell’ordinamento indiano è la legislazione relativa alla dote, istituto abolito nel 1960, ma ampiamente diffuso. Per quanto qui di interesse, nella parte del codice penale relativa agli omicidi, è oggi previsto l’articolo 304B riguardante la « morte per dote » (dowry death) delle spose (formulazione risalente al 1986). Secondo tale disposi- zione, quando la morte di una donna è causata da ustioni o lesioni personali o comunque dovuta a circostanze eccezionali, entro sette anni dal suo matrimonio, quando sia dimostrato che, poco prima della sua morte, la donna è stata sottoposta a crudeltà o molestie da parte del marito, o di un parente del marito, in relazione ad una richiesta di dote (52), e si ritiene che tale atto abbia causato la morte la pena prevista è la reclusione da sette anni all’ergastolo, risultando quindi relativamente bassa nel minimo edittale, allo scopo di includere nello spazio di illiceità anche apporti causali altrimenti non determinanti. Una interpretazione differente renderebbe di fatto tale previsione legale una diminuente rispetto alle norme sull’omicidio.
D’altra parte, secondo quanto riferiscono i rapporti curati dall’Ufficio dell’ONU sulle droghe e il crimine (UNODC) sugli omicidi commessi in contesti di previa relazione tra autore e vittima, in India (come in Asia in generale) le modalità realizzative degli omicidi sono spesso differenti rispetto a quelle che si è soliti immaginare in Italia e coinvolgono più frequentemente, come autori, una pluralità di soggetti (53).
Inoltre, si ricorda che la legge n. 3 del 1988 (Commission of Sati (Prevention) Act, 1987) reca misure, di carattere preventivo, per rendere effettivo il divieto dell’usanza del Sati, la pratica del rogo o della sepoltura della vedova alla morte del marito o altro parente, proibita dal 1829 (54). L’articolo 3 punisce il tentativo di compiere il Sati con la reclusione fino ad un anno e la multa. Il favoreggiamento, diretto o indiretto, del Sati è punito con la pena di morte o con l’ergastolo e la multa. Chiunque esalti tale pratica è punito con la reclusione da uno a sette anni e con la multa (articolo 6). Gli articoli da 7 a 9 conferiscono specifici poteri alle autorità locali per prevenire la pratica del Sati, quando le medesime autorità rilevino
(52) Per la definizione della nozione di « dote », l’articolo in questione rinvia al Dowry Prohibition Act, 1961 (n. 28 del 1961). Tale legge proibisce la richiesta di dote punendola con la reclusione minima di cinque anni e una multa (di cui la legge fissa un ammontare minimo stabilendo che l’ammontare della sanzione debba essere pari al valore della dote, se superiore a tale somma minima). Qualsiasi accordo relativo alla dote deve inoltre considerarsi nullo.
(53) Pur se rapportate all’alto numero di abitanti dell’India, non può che destare impressione il fatto che le morti per dote conteggiate nel Paese siano state, nel 2009, ben 1267. Mentre negli ultimi trent’anni il numero di omicidi in India è in costante e sensibile decremento, lo stesso non può dirsi per gli omicidi per dote, che continuano invece ad aumentare, anche se ciò probabil- mente dipende dalla maggiore attenzione pubblica (e maggiore accuratezza nelle indagini) rispetto a molte uccisioni in precedenza registrate come suicidi o morti naturali.
(54) A seguito dell’emanazione del The Bengal Sati Regulation, 1829.
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che, nel territorio di competenza, essa venga praticata o possa essere praticata. Si tratta del potere di impedire alcune condotte o atti, di rimuovere alcuni luoghi di culto o altre strutture, di confiscare talune proprietà. Infine, la legge reca disposizioni per la creazione di tribunali speciali per la trattazione dei reati ivi previsti.
1.2. Ulteriori misure per il contrasto della violenza in ambito dome- stico e lavorativo
La materia della violenza domestica è trattata dell’articolo 498A IPC (55) (dedicato agli atti di crudeltà compiuti dal marito o da parenti del marito) ma soprattutto dalla legge n. 43 del 2005 (The Protection of Women from Domestic Violence Act, 2005, PWDVA nel seguito).
L’articolo 498A punisce con la reclusione fino a tre anni gli atti di crudeltà commessi dal marito o da parenti del marito. È a tali atti riconducibile una condotta dolosa che abbia causato lesioni gravi o pericolo per la vita, nonché danni all’incolumità fisica o alla salute (mentale o fisica) della donna, ovvero che abbia indotto la donna a suicidarsi. Rientrano nel campo di applicazione dell’articolo anche le molestie nei confronti della donna con lo scopo di costringere lei, o qualsiasi persona a lei correlata, a soddisfare qualsiasi richiesta illegale di una qualsiasi proprietà o la redazione di un documento vincolante – valuable security (56) – oppure sia dovuta alla mancata soddisfazione (da parte della donna o di persona a lei correlata) di tale richiesta.
La legge PWDVA, anche se non paragonabile alla Ley integral spagnola, è comunque una legge che osserva il fenomeno della violenza domestica in una prospettiva ampia. Essa dispone in merito ai diritti reclamabili dalla donna vittima di violenza, disciplinando, in particolare, l’emanazione di order diretti a proteggere o assistere la vittima, da parte del giudice, nei confronti dell’uomo denunciato. Sono inoltre disciplinati i poteri e i compiti degli ufficiali di polizia, dei magistrati, dei servizi di protezione e assistenza, al verificarsi della violenza domestica.
L’articolo 3 PWDVA reca la definizione di violenza domestica. Un qualsiasi atto, omesso o commesso, ovvero una condotta, si configura come violenza domestica quando danneggia o ferisce o mette in pericolo la salute, la sicurezza, la vita, gli arti o il benessere, sia mentale che fisico, della persona lesa, ovvero un atto che miri a tali fini. Tale definizione comprende abusi di carattere fisico, sessuale, verbale o emozionale, economico. Sono inoltre riconducibili a tale fattispecie i medesimi comportamenti compiuti nei riguardi della persona lesa, o di persona a lei collegata, che mirino ad ottenere in maniera illegale e con la coercizione una dote oppure un documento, il cosiddetto valuable security (v. supra).
(55) Inserito in un capitolo creato ad hoc nel codice e formato da questo solo articolo, dalla legge n. 46 del 1983, Criminal Law (Amendment) Act, 1983.
(56) Il valuable security è definito dall’articolo 30 IPC come un documento in base al quale un diritto legale viene creato, esteso, trasferito, limitato, estinto o rilasciato, o in base al quale qualsiasi persona riconosce di essere soggetto a responsabilità legale oppure non ha un certo diritto legale.
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Si deve sottolineare che, sebbene l’articolo 3 faccia riferimento in maniera neutra alla « persona lesa » (aggrieved person), l’articolo 2, nel definire tale nozione, specifica che si dovrà intendere con tale locuzione qualsiasi « donna » che sia in « relazione domestica » con la persona denunciata. Inoltre, la persona denunciata (respondent) è individuata quale persona adulta di sesso maschile in relazione domestica con la persona lesa. Quanto alla relazione domestica, essa consiste in una relazione tra due persone che vivono o hanno, in qualsiasi momento, convissuto in una famiglia, quando sono legate per consanguineità, matrimonio o tramite una relazione di natura matrimoniale o adozione, ovvero sono familiari che convivono.
Ne consegue che, sebbene in generale quando a livello internazionale si parli di violenza domestica anche per contesti in cui la coppia autore/ vittima non è necessariamente uomo/donna, in base al dato normativo, la disciplina indiana è invece fortemente caratterizzata dal genere.
L’articolo 3 PWDVA, quindi, dettaglia le nozioni di abuso fisico, sessuale, verbale o emozionale, ed economico.
Nella nozione di abuso fisico sono comprese le condotte che causano dolore o danno fisico, pericolo per la vita, gli arti o la salute, oppure che compromettano la salute della persona lesa. A tale nozione sono ricondotte le fattispecie di aggressione (articolo 351 IPC), uso della forza (articolo 349 IPC) o intimidazione (articolo 503 IPC).
L’abuso sessuale comprende qualsiasi condotta di natura sessuale che umilia, degrada o comunque viola la dignità della donna.
Riguardo all’abuso « emotivo o verbale », la norma specifica che si possono ricondurre a tale nozione l’insulto, l’umiliazione, il ridicolizzare, ivi compreso, si specifica, il riferimento alla mancanza di figli ed in particolare di figli maschi. Rientra in tale fattispecie anche la minaccia trasversale di causare dolore fisico a persona alla quale la persona lesa è interessata.
Viene inoltre specificato il contenuto della nozione di « abuso econo- mico ». Si segnala qui solamente che, oltre alla privazione, in vario modo, di mezzi materiali cui la persona lesa avrebbe diritto, è riconducibile a tale abuso il divieto, o la restrizione, di accesso ai locali detenuti dalla persona lesa in virtù della sua relazione domestica con chi pretende di esercitare tale divieto o restrizione.
Infine, le norme in esame specificano che, per stabilire se una condotta configuri la violenza domestica ai sensi dell’articolo 3 PWDVA, si dovrà tenere conto di ogni fatto o circostanza del caso.
Gli articoli da 4 a 11 PWDVA recano disposizioni relative ai poteri e ai compiti posti in capo alle autorità pubbliche.
L’articolo 4, peraltro, prevede che chiunque abbia motivo di credere che un atto di violenza domestica sia in corso oppure sia stato o possa essere commesso, può fornire informazioni al riguardo alle autorità inte- ressate. Tale persona non può essere chiamata a rispondere civilmente o penalmente per le informazioni fornite in buona fede. La scelta assunta dal legislatore indiano appare dunque diametralmente opposta a quella norve- gese, ma ugualmente proattiva. Mentre quest’ultimo impone il dovere di
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riferire sotto la minaccia della sanzione penale, in India si tenta di favorire la collaborazione, garantendo un salvacondotto al denunciante, qualora il soggetto accusato utilizzi strumenti giuridici per fare pressione e stimolare la ritrattazione delle testimonianze.
L’articolo 5 prevede che l’autorità (di polizia o giudiziaria) che abbia ricevuto una denuncia o un rapporto circa una violenza commessa, oppure vi abbia personalmente assistito, è tenuto ad informare la persona lesa circa: il diritto di ottenere un’ordinanza ai sensi del PWDVA; la disponibilità dei servizi di assistenza e degli « Ufficiali di protezione » (v. infra); il diritto al gratuito patrocinio; il diritto di sporgere denuncia per gli atti di crudeltà subiti ai sensi dell’articolo 498A IPC. Rimane fermo quanto previsto dalla legislazione in materia di doveri dell’ufficiale di polizia.
L’articolo 6 reca il dovere di offrire rifugio alle vittime di violenza domestica da parte delle strutture a ciò dedicate (case rifugio riconosciute dal Governo dello Stato o Territorio della federazione). L’articolo 7 reca il dovere di prestare assistenza medica alle vittime da parte delle strutture sanitarie.
L’articolo 8 dispone in ordine all’individuazione della figura degli
« Ufficiali per la protezione » (Protection Officers) e l’articolo 9 ne disciplina i compiti. In sintesi, tali ufficiali, scelti preferibilmente tra donne con qualifiche ed esperienza nelle questioni inerenti alla violenza di genere, sono sotto la giurisdizione ed il controllo del tribunale e forniscono assistenza nella preparazione del rapporto previsto dal medesimo PWDVA (il cosiddetto Domestic Incident Report) depositato presso l’ufficio del magistrato. È loro dovere fornire le informazioni necessarie alla persona lesa sui servizi dedicati alle vittime, nonché garantire il rispetto delle ordinanze relative ai risarcimenti economici a favore delle vittime.
L’articolo 10 dispone in ordine ai fornitori dei servizi destinati alle vittime. Si tratta di società registrate, secondo la legislazione indiana, come fornitori di servizi ai fini del PWDVA, aventi lo scopo di fornire assistenza legale, medica, finanziaria o di altro tipo alle donne vittime di violenza. L’articolo 10 assicura una protezione a tali fornitori, prevedendo che nessuna causa, azione penale o altro procedimento legale possa essere promossa per azioni compiute in buona fede o nell’esercizio delle funzioni loro affidate dal PWDVA. Come nel caso dell’irresponsabilità del testi- mone, anche in questi casi il legislatore indiano vuole evitare che soggetti e realtà, che appoggiano le vittime, possano subire attacchi trasversali da parte dell’aggressore in ragione del compito che svolgono.
L’articolo 11 stabilisce che il Governo dello Stato o del Territorio della Federazione assicuri la massima pubblicità sui contenuti della legge, mediante i principali canali di informazione; assicuri la formazione e la sensibilizzazione di tutti gli operatori coinvolti (Forze dell’ordine, personale giudiziario, medico); assicuri il coordinamento delle autorità coinvolte nell’attuazione delle norme previste dalla legge.
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Gli ufficiali e i membri dei fornitori di servizi sono considerati pubblici ufficiali (articolo 30 PWDVA) (57).
Gli articoli da 12 a 29 recano disposizioni concernenti le procedure per l’emanazione delle ordinanze in materia di violenza domestica da parte del tribunale.
Ai sensi dell’articolo 12, la persona lesa o l’ufficiale della protezione, o altra persona per conto della persona lesa, può presentare una domanda al magistrato ai sensi del PWDVA; il magistrato, prima di decidere sulla richiesta, deve considerare il rapporto ricevuto dall’ufficiale di protezione o dal fornitore di servizi. Gli articoli da 13 a 16 dettano norme di carattere procedurale concernenti l’emanazione delle ordinanze.
L’articolo 17 stabilisce il diritto della donna a godere di una parte dell’abitazione della famiglia, anche non godendo di alcun titolo, diritto o beneficio legato alla proprietà. L’articolo 19 PWDVA prevede la possibilità, da parte del giudice, di emanare un’ordinanza concernente il diritto di residenza nella casa di famiglia (Residence Order). Tali ordinanze possono impedire al convenuto di espropriare o in qualsiasi altro modo ledere il possesso della casa di famiglia, indipendentemente dal fatto che il conve- nuto abbia o meno un interesse legale nella medesima. Possono inoltre stabilire che il convenuto lasci la residenza, impedirne la vendita o altre forme di trasferimento della proprietà, prevedere il divieto di ingresso al medesimo o a persona allo stesso legata in una qualsiasi porzione della residenza della vittima. Ulteriori condizioni possono essere stabilite dal giudice nell’ordinanza.
Ricordando quanto segnalato sinteticamente rispetto alla Germania, giova sottolineare come la disciplina dell’assegnazione della casa familiare sia fortemente condizionata dalle caratteristiche del mercato immobiliare che possono essere molto diverse da Paese a Paese. Influiscono su questi aspetti la frequenza con cui si ricorre più spesso all’acquisto o alla locazione e la frequenza con cui la titolarità dell’immobile o del contratto di locazione è in capo a entrambi, oltre al fatto che il denaro destinato all’acquisto dell’immobile sia stato versato prima o dopo il matrimonio stesso.
L’articolo 18 riguarda gli ordini di protezione, diretti ad impedire all’imputato di agevolare o commettere un atto di violenza domestica, entrare nel luogo di lavoro, scuola o in altri luoghi frequentati dalla persona lesa, stabilire qualsiasi tipo di comunicazione con lei, alienare i beni a disposizione di entrambe le parti, commettere violenza trasversale nei confronti dei suoi parenti o compiere qualsiasi altro atto specificato dal giudice nell’ordine emesso. La violazione di un ordine di protezione, anche provvisorio (v. infra), da parte del convenuto si configura come reato punito con la reclusione fino a un anno o con la multa, o con entrambe. La stessa pena è prevista per l’Ufficiale di protezione che non riesce o rifiuta di adempiere ai suoi doveri, come prescritto dal giudice, senza motivazione sufficiente, in relazione all’emanazione di un ordine di protezione.
(57) L’articolo 21 IPC reca l’elenco delle situazioni che comportano la qualifica di « pubblico ufficiale » (public servant).
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L’articolo 20 stabilisce che il giudice possa prevedere la correspon- sione di un beneficio economico, a spese del convenuto, destinato alla vittima per far fronte alle spese sostenute e alle perdite subite dalla persona lesa e da un suo figlio, a seguito della violenza domestica. La norma reca un elenco non esaustivo di circostanze che possono dare luogo al ristoro (perdita di guadagno, spese mediche, danneggiamento delle proprietà). Si specifica che l’ammontare del beneficio deve essere adeguato, equo e ragionevole, nonché commisurato al tenore di vita a cui la persona lesa è abituata. Secondo la decisione del giudice, il beneficio può essere corri- sposto in soluzione unica ovvero come cifra mensile corrisposta per il mantenimento.
In aggiunta, il giudice può, su istanza presentata dalla parte lesa, emanare un ordine che imponga al convenuto di pagare un risarcimento dei danni derivanti dalle lesioni, comprese la tortura mentale e il disagio emotivo, o dalla violenza domestica subita dalla vittima (articolo 22) (58). Di estrema rilevanza è la norma stabilita dall’articolo 21 circa la custodia dei figli. In primo luogo si indica la prevalenza del PWDVA su qualsiasi altra norma al momento vigente e in secondo luogo si dà facoltà al giudice, in qualsiasi momento, di affidare temporaneamente il/i figlio/i alla persona offesa o ad altra persona che agisca per conto di essa. Contestualmente il giudice disporrà le modalità di visita da parte del padre che, se le circostanze del caso non lo consiglino, potranno essere escluse. Evidentemente, già in precedenza i giudici potevano disporre dell’af- fidamento temporaneo dei figli nel modo indicato. Tuttavia, creando una norma ad hoc in questa legge, si offre alla magistratura uno stimolo importante nel ricorso a tali poteri. Disporre esplicitamente che, ove necessario, non vi siano visite ai figli da parte del padre, permette di superare più facilmente la norma culturale che stimola la magistratura a concedere comunque tale opzione, quale diritto del padre, a prescindere dal persistere dal fatto che ciò causi pregiudizio alla denunciante e ai figli
stessi.
Ai sensi dell’articolo 23, il giudice può emettere ordini temporanei. Inoltre, se il giudice ritenga che l’istanza della persona lesa riveli, prima facie, la commissione di violenza domestica, può emettere un ordine, tra quelli previsti dagli articoli qui sopra menzionati del PWDVA, sulla base di una dichiarazione giurata (affidavit) della parte lesa (si tratta del cosiddetto ex parte order).
Le istanze presentate per l’emanazione delle ordinanze previste dagli articoli da 18 a 22 possono essere presentate nel corso di qualsiasi procedimento dinanzi al tribunale civile, penale o della famiglia (articolo 26).
(58) Al fine di rendere effettiva la corresponsione del risarcimento previsto dall’articolo 22 PWDVA, la National Legal Services Authority (NALSA) ha emanato, nel 2018, alcune direttive per la costituzione di uno specifico fondo (Women Victims Compensation Fund) e per facilitare la presentazione delle istanze. Cfr. Compensation Scheme for Women Victims/Survivors of Sexual Assault/other Crimes – 2018. Il NALSA è stato costituito ai sensi del Legal Services Authorities Act, 1987, per fornire servizi legali gratuiti alle fasce più deboli della popolazione e per favorire la risoluzione amichevole delle controversie.
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L’articolo 29 disciplina l’appello contro l’ordinanza emessa, mediante ricorso da presentare entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento.
Anche per quanto concerne le molestie sul posto di lavoro è prevista una disciplina separata e organica, corredata dall’istituzione di organi speciali deputati a gestire e contrastare nel complesso questo specifico fenomeno. Si tratta della legge n. 14 del 2013 (The Sexual Harassment of Women at Workplace (Prevention, Prohibition And Redressal) Act, 2013). Ai sensi dell’articolo 2 di tale legge, la molestia sessuale (sexual haras- sment) può consistere in: contatti fisici o avances; la richiesta di favori sessuali; commenti a sfondo sessuale; esibizione di materiale pornografico; qualsiasi condotta non richiesta, di natura fisica, verbale o non verbale, a sfondo sessuale. Tale legge si applica in maniera specifica alle lavoratrici donne. L’articolo 3 elenca alcune circostanze che configurano la molestia sul luogo di lavoro, cioè la molestia associata a promesse di avanzamento o minacce di peggioramento in carriera, nonché la molestia che comporta un peggioramento dell’ambiente di lavoro ovvero l’umiliazione della la- voratrice, con conseguenze sulla sua salute o sicurezza.
L’articolo 4 prevede che i datori di lavoro costituiscano apposite
commissioni interne per le segnalazioni di molestie sul lavoro. La norma reca specifiche disposizioni sulla composizione e le funzioni delle mede- sime commissioni. L’articolo 5 demanda al Governo dello Stato o del Territorio della Federazione l’individuazione di ufficiali distrettuali per l’attuazione della legge in questione, chiamati a nominare le commissioni locali. Ai sensi dell’articolo 6 la lavoratrice può segnalare le molestie alla commissione interna, ove costituita, ovvero alla commissione locale di- strettuale, entro tre mesi dalla commissione delle molestie ovvero entro tre mesi dall’ultima molestia in caso di serie di molestie. Dopo aver esperito un tentativo di conciliazione (ai sensi dell’articolo 10, il quale esclude che un accordo meramente finanziario possa essere posto a base della conci- liazione), le commissioni (interne o locali) svolgono un’indagine sui fatti segnalati, con gli stessi poteri attribuiti al tribunale civile. L’inchiesta deve essere conclusa entro novanta giorni (articolo 11). In pendenza della decisione, la commissione può raccomandare al datore di lavoro di trasferire la lavoratrice denunciante, ovvero concederle un periodo di congedo fino a tre mesi o altri benefici ritenuti opportuni. Entro dieci giorni dalla con- clusione dei lavori, la commissione presenta un rapporto al datore di lavoro e, se del caso, all’ufficiale distrettuale. Il rapporto è altresì notificato alle parti. Ove la commissione arrivi alla conclusione che la molestia si sia verificata, chiede al datore di lavoro o, se del caso, all’ufficiale distrettuale, di intraprendere l’azione disciplinare e di corrispondere, mediante riduzione del salario dell’autore della molestia, una somma alla vittima, tenendo conto dei danni emotivi o fisici, delle spese mediche, dei danni subiti in termini di progressione di carriera o comunque connessi alla posizione lavorativa. Si segnala che l’articolo 14 reca le sanzioni per le denunce di molestie false o per la produzione di false prove. Ulteriori disposizioni riguardano i doveri di riservatezza e la possibilità di appellarsi contro le decisioni prese. Ai sensi dell’articolo 27, nessun tribunale potrà avere cognizione di un reato punibile ai sensi della citata legge o di disposizioni
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emanate in attuazione della stessa, salvo su denuncia della donna lesa o di qualsiasi persona autorizzata dalla commissione procedente.
L’articolo 19 reca i compiti del datore di lavoro, quali: provvedere ad un ambiente di lavoro sicuro; dare pubblicità ai contenuti della legge e alle funzioni della commissione interna; promuovere la sensibilizzazione del personale e la formazione dei membri della commissione interna attraverso incontri, workshop, eccetera; facilitare l’attività della commissione interna; dare assistenza alla lavoratrice che intende intraprendere l’azione penale per molestie; prevedere sanzioni disciplinari per le molestie; assicurare che la commissione interna prepari i rapporti richiesti dalla legge. A tale riguardo, l’articolo 21 richiede che le commissioni (interne o locali) stilino un rapporto da inviare all’ufficiale distrettuale, oltre che ai datori di lavoro interessati. L’ufficiale informa, con un rapporto di sintesi, il Governo dello Stato o del Territorio della Federazione. L’articolo 20 attribuisce all’uffi- ciale distrettuale il compito di assicurare che le commissioni locali pre- sentino il proprio rapporto annuale, nonché compiti di sensibilizzazione alle tematiche connesse alle molestie sul lavoro nel territorio di competenza.
Gli articoli 23 e 24 attribuiscono al Governo compiti di monitoraggio dell’attuazione delle misure previste dalla legge n. 23, nonché compiti di formazione, informazione e sensibilizzazione sul tema.
Infine, si ricorda che con la legge n. 6 del 2007 (The Prohibition of Child Marriage Act, 2006) sono state dettate nuove disposizioni concernenti il matrimonio precoce, sostituendo una legge in materia risalente al 1929. Riprendendo quanto previsto dalla disciplina previgente, l’articolo 3 della citata legge n. 6 del 2007 ha fissato l’età legale per il matrimonio a diciotto anni per le donne e a ventuno per gli uomini. Il matrimonio tra soggetti che non possedevano il requisito dell’età legale al momento della sua celebra- zione è annullabile su richiesta di una delle parti, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Se al momento della presentazione della richiesta di annullamento la parte firmataria è minore dell’età legale, la petizione può essere presentata dal suo tutore o da persona prossima, per il tramite dell’ufficiale previsto della medesima legge n. 6 (v. infra). Si osserva che la legge in parola ha efficacia retroattiva.
Ai sensi dell’articolo 12 il matrimonio è comunque nullo, anche prima del compimento dell’età legale, quando uno degli sposi è stato rapito, risulta essere vittima di tratta oppure è stato costretto a contrarre matrimonio con la forza, l’inganno, la coercizione o con false dichiarazioni. La legge punisce varie condotte, finalizzate all’organizzazione o alla partecipazione al matrimonio precoce, con la reclusione, associata a lavoro duro, fino a due anni, o con la sanzione pecuniaria, oppure con entrambe. L’articolo 16 disciplina la previsione, in ogni Stato o Territorio della Federazione, della figura di un pubblico ufficiale, cui sono attribuiti compiti di prevenzione e monitoraggio delle violazioni. Egli può prevenire la celebrazione dei matrimoni precoci intraprendendo le azioni che riterrà opportune e racco- gliere prove per perseguire le violazioni.
Si deve constatare, tuttavia, che in base a dati ONU del 2016, in India il 47 per cento delle ragazze si sposa prima di aver compiuto la maggiore età. La legge in questione, dunque, risulta in buona misura inattuata o
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comunque non in grado di contenere un fenomeno sociale che accentua la discriminazione di genere. Una volta celebrato il matrimonio precoce, solo in situazioni eccezionali la sposa o la famiglia di lei può essere seriamente intenzionata a chiederne l’annullamento entro il compimento del ventesimo anno.
2. Prevenzione e protezione: le iniziative a livello federale
Dal 2006 il Dipartimento competente per le donne e i bambini opera quale Dicastero a sé stante (Ministry of Women and Child Development, di seguito MWCD), con l’obiettivo di promuovere politiche finalizzate a colmare le lacune e le disparità tra Stati e Territori della Federazione indiana e a sviluppare approcci intersettoriali nelle materie di competenza. All’interno del MWCD sono rinvenibili alcuni organismi specializzati, dotati di peculiari forme di autonomia, tra i quali figura la Commissione nazionale per le donne (NCW). Istituita nel 1990 (59), la Commissione si occupa delle tutele previste dalla Costituzione e da altre leggi, eventual- mente avanzando le proposte di modifica ritenute opportune; presenta al Governo federale rapporti, con cadenza almeno annuale, contenenti speci- fiche raccomandazioni per il miglioramento della condizione femminile nei singoli Stati e nella Federazione; tratta i casi di violazione dei diritti delle donne insieme alle autorità competenti, esaminando denunce o segnala- zioni, al fine di individuare le principali criticità (60); promuove studi e campagne di informazione; monitora la situazione delle carceri o di altri istituti femminili; informa il Governo federale su qualsiasi questione che la Commissione giudichi rilevante ed esamina qualsiasi questione ad essa devoluta dal medesimo Governo.
Al fine di migliorare la protezione delle donne vittime di violenza, il MWCD ha promosso, in anni recenti, il sistema dei Centri cosiddetti One Stop (OSC) che svolgono funzioni di protezione e orientamento ai servizi. Tali Centri One Stop, aperti 24 ore ogni giorno, secondo le Linee guida (61) MWCD sono chiamati a facilitare l’accesso ai seguenti servizi:
– emergenza e primo soccorso, quali servizi sanitari (62) e di polizia, nonché i servizi gestiti dalla linea telefonica 108 (numero unico per le emergenze, attivo in alcuni Stati o Territori della Federazione) e ad altri numeri di emergenza;
(59) Dal National Commission for Women Act.
(60) Riguardo all’esame delle istanze presentate alla Commissione, trova applicazione un apposito regolamento del 2016, National Commission for Women (Procedure) Regulations, 2016 for Dealing with Complaints in NRI Cell. Per il funzionamento della NCW, cfr. Procedure and Regulations, 2005.
(61) Disponibili, con gli aggiornamenti, sul sito del MWDC alla pagina xxxxx://xxx.xxx.xx/ schemes/one-stop-centre-scheme-1 (ultimo accesso: 9 febbraio 2021). Le Linee guida attuative più recenti sono datate dicembre 2017. I primi OSC sono stati approvati nel biennio 2015-2016 e nella prima fase di avvio era prevista almeno la costituzione di un Centro per ciascuno dei 36 stati o territori indiani. Secondo il documento One Stop Centre Directory, al 19 marzo 2020 sono stati attivati 683 OSC.
(62) Le Linee guida del 2017 fanno riferimento anche ai servizi del National Health Mission, un programma speciale per raggiungere taluni obiettivi minimi sanitari nelle aree urbane e rurali, attivo fino al marzo 2020.
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– assistenza medica, secondo gli specifici protocolli stabiliti dal Ministero della salute e del welfare della famiglia, in particolare le Guidelines and Protocols Medico – Legal Care for Survivors Victims of Sexual Violence, assicurando, tra l’altro, l’intervento dell’ambulanza, ove necessario, e verificando che una copia del certificato medico-legale con gli esiti delle visite mediche venga rilasciato alla vittima di violenza sessuale;
– assistenza nella presentazione delle denunce alle Forze di polizia (First Information Report – FIR/NCR), assicurando, tra l’altro, che la denuncia venga possibilmente accolta da agenti di sesso femminile;
– supporto psicologico e sociale, nel rispetto della riservatezza;
– assistenza legale, fornita da professionisti che collaborano con il District Legal Services Authority (DLSA o SLSA), gli enti che, a livello locale o statale, promuovono l’accesso ai servizi legali;
– rifugio, immediato e di breve durata presso i Centri One Stop medesimi, oppure di lunga durata presso le case rifugio disponibili nel territorio di riferimento, assicurando, tra l’altro, che alle vittime di violenza venga fornito un kit sanitario;
– servizi di video conferenza, per facilitare la possibilità di presen- tare denunce e istanze alla polizia o presso il tribunale senza lasciare l’OSC, utilizzando i mezzi telematici audio-video. Si specifica che il servizio di videoconferenza può essere utilizzato previa consultazione con gli ufficiali di polizia, il giudice e le altre autorità coinvolte.
Per quanto concerne la funzione di rifugio temporaneo dell’OSC, le Linee guida prevedono che le donne vittime di violenza insieme ai loro figli (femmine di tutte le età e maschi fino a otto anni) possano soggiornare presso l’OSC per un periodo massimo di cinque giorni. L’ammissione al ricovero temporaneo è valutata discrezionalmente dal responsabile dell’am- ministrazione del centro. Le donne che accedono a un rifugio temporaneo presso l’OSC ricevono servizi di base (ad esempio cibo, medicine, vestiti, eccetera). Viene inoltre fornito un kit di base contenente sapone, shampoo, olio per capelli, assorbenti igienici, materiali da cucito, pettine, spazzolino da denti, dentifricio e, se del caso, pannolini. L’elenco degli articoli è indicativo e lo Stato o il Territorio può modificarlo. In qualsiasi momento, le OSC devono essere in grado di fornire la prima accoglienza a un numero massimo di cinque donne.
Le Linee guida sottolineano il carattere intersettoriale dell’attività dell’OSC, chiamato ad interagire non solo con le autorità pubbliche, con le modalità sopra ricordate, ma anche con le associazioni private e di volontariato attive nel settore della lotta alla violenza di genere.
L’attività degli OSC è inoltre integrata con quella delle linee telefo- niche di aiuto, non solo, come detto, con i numeri di emergenza 108 (ove sussistente) e simili, ma anche con il numero 181, specificamente dedicato alle donne vittime di violenza. Le Linee guida sul numero 181, rivolte alle amministrazioni di tutti gli Stati o Territori (63), sottolineano l’obiettivo primario di unificare il numero da digitare ed uniformare i servizi offerti
(63) Disponibili, con i relativi aggiornamenti, alla pagina Women Helpline Scheme sul sito del MWCD.
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dalle linee telefoniche dedicate all’assistenza alle vittime di violenza, presenti nei medesimi Stati o Territori. Il 181 è gratuito ed attivo 24 ore su 24, tutti i giorni, con lo scopo di indirizzare le vittime ai servizi più appropriati ai casi esaminati e fornire le informazioni utili, nelle situazioni di maggiore o minore urgenza.
Il MWCD sottolinea, inoltre, l’importanza della formazione e sensi- bilizzazione delle Forze di polizia. In tale àmbito è stato lanciato, in collaborazione con il Ministero per gli affari interni e sulla base di un progetto pilota avviato nello Stato di Haryana nel 2016, il programma per l’arruolamento nel corpo Mahila Police Volunteers (MPVs), presso i vari Stati e Territori, formato da volontarie con una specifica preparazione sui temi della violenza di genere. Come rilevato nelle relative Linee guida, l’iniziativa si propone di facilitare il collegamento tra la polizia e la società civile sulle questioni di genere, assolvendo a compiti inerenti alla denuncia delle violenze (tra l’altro segnalando direttamente episodi verificatisi in pubblico), alla maggiore sensibilizzazione della popolazione, all’informa- zione sui servizi disponibili per le vittime. Le agenti MPV sono inoltre chiamate a facilitare la formazione dei gruppi XXXXX (00). Si tratta di gruppi di dieci o dodici membri, formati da uomini e donne, preferibilmente operatori sociali, insegnanti, personale impegnato nel territorio a vario titolo, per affrontare il problema della violenza di genere all’interno della propria comunità. Questi gruppi sono chiamati ad intervenire anche sugli aspetti preventivi di sensibilizzazione ed educazione sulle norme e sui programmi esistenti, contribuendo alla creazione di un ambiente sicuro per donne e bambini nella propria comunità di riferimento.
Il MWCD gestisce e promuove ulteriori strumenti e programmi per
l’assistenza alle donne in difficoltà. Ad esempio, il programma SWADHAR Greh, attivato nel 2015, offre alloggi temporanei (short stay home) alle donne in difficoltà per vari motivi (nullatenenti, ex detenute, sopravvissute a disastri naturali), ivi comprese le vittime di violenza domestica o « di tensioni o discordie familiari » che inducono la donna ad abbandonare la propria casa. Ulteriore programma denominato Working Women Hostels mira a procurare alloggi alle donne lavoratrici che lasciano la propria casa per lavorare. Il programma BBBP (65) affronta il problema dell’equilibrio di genere a livello demografico. A tal fine, il programma prevede azioni per prevenire la selezione prima delle nascite sulla base del sesso, nonché azioni per favorire l’istruzione, la protezione, la partecipazione alla vita sociale delle giovani donne.
Il sito istituzione del MWCD offre una panoramica delle iniziative e
dei programmi intrapresi a livello federale alla pagina Women Empower- ment Schemes. Per ogni programma (Scheme) sono riportati i documenti principali, le Linee guida emanate dal Governo federale, insieme ai decreti
(64) Mahila aur Shishu Rakshak Dal (Women and Child Guard Team). Le Linee guida sulle MPVs individuano nella costituzione di questi gruppi una best practice avviata dallo Stato del Madhya Pradesh (in particolare, cfr. l’Allegato 1).
(65) Xxxx Xxxxxx Xxxx Xxxxxx (Save the daughter, educate the daughter).
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che recano le assegnazioni delle risorse a valere sul bilancio federale destinate ai Governi statali e territoriali per l’attuazione delle misure.
VIII. KENYA
L’analisi del diritto vigente nei Paesi dell’Africa sub-sahariana è esercizio estremamente complesso, perché va continuamente verificato il livello di effettiva penetrazione del diritto prodotto dalle istituzioni statali nella realtà quotidiana del territorio.
1. La repressione penale della violenza
In Kenya, la legge n. 3 del 2006 (66) (Sexual Offences Xxx 0000, di seguito « SOA » per brevità) reca le principali disposizioni in materia di reati sessuali (67).
L’articolo 3 SOA punisce il reato di violenza sessuale (rape) con la pena della reclusione da dieci anni all’ergastolo (68).
Le pene edittali previste per questo, come per gli altri delitti previsti dal SOA, sono estremamente elevate. Di fronte a una legislazione tanto severa, si dovrebbe riscontrare una popolazione detenuta altrettanto alta, cosa che tuttavia non si verifica. Il tasso di persone detenute in rapporto alla popolazione è sensibilmente inferiore a quello italiano.
Si ha violenza sessuale quando una persona compie un’azione che provoca la penetrazione con i genitali, in maniera intenzionale e illegale, quando l’altra persona non acconsente oppure il suo consenso è ottenuto con la forza ovvero con atti minacciosi o intimidatori. L’articolo 4 punisce la tentata violenza sessuale con la reclusione da un minimo di cinque anni all’ergastolo. L’articolo 5 punisce con la medesima pena il soggetto che compie la violenza mediante la penetrazione con una parte del proprio corpo o di altra persona, oppure mediante manipolazione di un oggetto. Tale azione può essere compiuta dal medesimo soggetto o da altra persona. La norma esclude esplicitamente dalla fattispecie l’atto compiuto per motivi igienici o medici con l’apposita strumentazione. L’articolo 6 prevede la pena della reclusione per un minimo di cinque anni per taluni « atti indecenti », indotti ovvero compiuti mediante costrizione. L’articolo 6 si applica quando la vittima non avrebbe commesso o permesso tali atti, oppure quando la vittima non è capace di discernere la natura dell’atto commesso o indotto. L’articolo 7 prevede in ogni caso la pena minima di dieci anni quando i reati sopra menzionati sono compiuti alla vista di un familiare, di un minore o di persona con disabilità mentale. Quanto alla
(66) I testi delle leggi del Kenya sono consultabili presso il sito xxxx://xxxxxxxx.xxx/xx/ index.php ?id=81.
(67) Il SOA ha abrogato alcuni articoli del Codice penale che disciplinavano analoghe materie, contenuti nel capo dedicato ai delitti contro la morale (cfr. Second Schedule del SOA).
(68) L’articolo 26 del Codice penale del Kenya stabilisce, in via generale, che la pena della reclusione deve essere prevista per legge (par. 1) e che possa essere irrogata nella misura prevista dalla legge o per un « termine più breve » (par. 2). La previsione di un minimo per la pena costituisce, quindi, uno dei tratti qualificanti del SOA all’interno del sistema penale keniota.
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nozione di « atto indecente », l’articolo 2, recante le definizioni, prevede che questo consista in un atto illegale e intenzionale che comporti: il contatto con gli organi genitali ovvero con seno o petto o con i glutei; l’esposizione di materiale pornografico a persona non consenziente. L’ar- ticolo 11 punisce la commissione di tali atti a danno di minori con la reclusione minima di dieci anni mentre l’articolo 11-A punisce con la reclusione massima di cinque anni o con multa la commissione di tali atti a danno di persona adulta.
L’articolo 10 disciplina la violenza sessuale di gruppo, punita con la reclusione minima della durata di quindici anni e fino all’ergastolo. Tale pena si applica a chi compie violenza (anche a danno di minori, cui sono dedicati gli articoli 8 e 9 SOA) insieme ad una o più persone o che sia in compagnia di una o più persone con il medesimo intento di commettere tale reato.
L’articolo 20 punisce con la reclusione, fissando un minimo di dieci anni, il soggetto di sesso maschile che commette incesto. Il reato consiste nel compiere atti indecenti o causare la penetrazione con una figlia, nipote, madre, xxx, nonna o sorella (xxx comprese le sorelle adottive o con un solo genitore in comune). Se la vittima di incesto è minore, la pena può essere aumentata fino all’ergastolo ed è irrilevante l’eventuale consenso. L’articolo 21 disciplina, in maniera analoga, l’incesto compiuto da soggetto di sesso femminile. L’articolo 22 definisce le nozioni applicabili alla fattispecie dell’incesto disciplinata dai precedenti articoli.
L’articolo 23 disciplina le fattispecie di molestie sessuali (sexual harassment) compiute da persone che detengono posizioni di autorità nei confronti delle vittime o siano con loro in un rapporto di fiducia. Tali molestie sono punite con la reclusione minima di tre anni e con la multa. La norma fa riferimento alle richieste di carattere sessuale che l’autore sa essere sgradite o che egli/ella possa ragionevolmente ritenere sgradite. La disposizione si applica quando il diniego della prestazione può: influenzare la posizione lavorativa o la carriera della vittima oppure abbia conseguenze, in caso di funzionario pubblico, sul servizio pubblico dovuto alla vittima, fino al diniego di tale servizio; influenzare negativamente la prestazione lavorativa nonché l’ambiente di lavoro della vittima. La pena minima è aumentata a dieci anni di reclusione, dall’articolo 24, quando reati di questo tipo siano commessi all’interno di strutture penitenziarie o correzionali, strutture sanitarie o scuole. L’articolo 25 prevede alcuni casi di non applicabilità dell’articolo 24, chiarendo in particolare che quest’ultimo non trovi applicazione quando la posizione di subordinazione della vittima non è rinvenibile ai tempi della commissione del fatto.
L’articolo 26 punisce, con la reclusione da quindici anni all’ergastolo, la trasmissione intenzionale dell’HIV (69) o di altre malattie sessualmente trasmissibili, anche quando l’autore e la vittima siano legalmente sposati.
(69) Sul reato di trasmissione intenzionale dell’HIV interviene anche la legge HIV & AIDS Prevention and Control Xxx 0000.
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Si tratta di norme importanti per il contesto kenyota. Lo scorso anno si stima che siano morte per HIV 21.000 persone. Anche se la cifra è decisamente inferiore a quella raggiunta nel picco dell’epidemia (190.000 nel solo 2001), va tenuto presente che oggi 1,5 milioni di persone in Kenya vivono con l’HIV.
Gli articoli 27 e 28 recano le pene per la distribuzione di sostanze stupefacenti da parte di persone fisiche o giuridiche con l’intento di ottenere prestazioni di tipo sessuale.
L’articolo 29 punisce con la reclusione minima di dieci anni chi induce un soggetto a compiere atti sessuali o altri atti punibili ai sensi del SOA per motivi culturali o religiosi.
Gli articoli 42 e 43 del SOA disciplinano, rispettivamente, le nozioni di consenso e di azione intenzionale e illegale ai fini dell’applicazione della medesima legge. Ai sensi dell’articolo 42 la persona acconsente per scelta e quando ha la capacità e la libertà di tale scelta.
L’articolo 43 stabilisce che, ai fini del SOA, sia illegale e intenzionale l’azione condotta: in circostanze che implichino coercizione; con falsi pretesti o con mezzi fraudolenti; nei confronti di persona incapace di valutare la natura dell’azione criminosa. Per circostanze che implichino coercizione si deve intendere: l’uso della forza ovvero minaccia di danno contro la persona (denunciante o altra persona) oppure la sua proprietà; abuso di potere o di autorità, in misura tale che alla persona sia impedito di manifestare la propria resistenza all’atto o la propria riluttanza a partecipare all’atto.
Per falsi pretesti o con mezzi fraudolenti dovrà intendersi la circo- stanza in cui una persona sia indotta a ritenere di compiere una qualsiasi azione nei confronti di una terza persona che poi si riveli avere identità diversa da quella precedentemente conosciuta oppure che l’azione sia di diverso tipo di quel che si sia indotti a ritenere. Ulteriore fattispecie è individuata nell’omissione dell’informazione che l’azione sia stata condotta per tramettere una malattia ed in particolare l’HIV.
Infine, la persona è da considerarsi incapace di valutare la natura dell’azione quando è: addormentata; incosciente; in uno stato di alterazione della coscienza; sotto l’influenza di droghe, alcol o altre sostanze che incidano negativamente sulle capacità della persona; mentalmente meno- mata; un minore.
Occorre sottolineare che le disposizioni di cui all’articolo 43 non si applicano ai soggetti legalmente uniti in matrimonio.
Gli articoli 44 e 45 recano disposizioni inerenti alla presunzione della (mancanza) del consenso nel corso dei procedimenti penali avviati ai sensi del SOA.
In particolare, l’articolo 44 elenca una serie di circostanze al ricorrere delle quali si deve ritenere che il denunciante non abbia consentito all’atto e che l’imputato non abbia creduto che la vittima fosse consenziente, a meno che non siano addotte prove sufficienti che smentiscano tali assunti. Si tratta delle seguenti circostanze:
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– l’autore stava usando violenza ovvero causando la paura della violenza contro il denunciante medesimo o altra persona, durante il compimento dell’atto criminoso o in momento immediatamente prece- dente (70);
– il denunciante era detenuto illegalmente mentre l’accusato non si trovava nella stessa situazione;
– il denunciante era incosciente o addormentato;
– il denunciante non era in grado di comunicare la mancanza del proprio consenso per disabilità al momento della commissione del fatto;
– l’accusato aveva somministrato al denunciante sostanze stupefa- centi o eccitanti.
L’articolo 45 elenca le circostanze al verificarsi delle quali la presun- zione del mancato consenso è da considerarsi definitiva. Si tratta delle seguenti circostanze:
– l’imputato ha intenzionalmente ingannato il denunciante in merito alla natura o allo scopo dell’atto denunciato;
– l’imputato ha intenzionalmente indotto il denunciante ad accon- sentire all’atto denunciato impersonando una persona da quest’ultima conosciuta personalmente.
Si segnala qui solamente che il SOA contiene anche le disposizioni inerenti agli abusi sui minori, allo sfruttamento della prostituzione, al turismo sessuale, nonché ulteriori disposizioni inerenti ai procedimenti giudiziari sui reati previsti dal SOA medesimo.
Gli articoli 46 e 47 SOA demandano al Ministro competente la definizione di una strategia quadro nazionale per l’attuazione della legge e l’emanazione dei regolamenti di attuazione.
Infine, si segnala che un regolamento del 2008 (annesso al SOA) disciplina la Banca dati del DNA, istituita (71) con finalità di identificazione ai fini dei procedimenti penali (criminal identification). La banca dati conserva i dati raccolti sui luoghi ove è stata commessa violenza, sul corpo e all’interno del corpo della vittima, su oggetti portati o indossati dalla medesima, nonché materiali raccolti su persone, luoghi od oggetti comun- que riconducibili alla commissione del reato.
La legge n. 32 del 2011 (Prohibition Of Female Genital Mutilation Act 2011) qualifica (articolo 19) come reato la pratica della mutilazione genitale femminile punendola (articolo 26) con la pena della reclusione minima di tre anni e con multa. L’articolo 19 punisce con l’ergastolo chi causa la morte mediante tale pratica (anche se il Kenya è Paese de facto abolizio- nista). Si prevede, inoltre, che sia punibile chiunque abbia partecipato alla medesima pratica (circoncisori tradizionali, genitori, medici, infermieri, soggetti che forniscono i locali).
(70) La norma specifica che in caso di atti sessuali ripetuti in serie, tale locuzione deve intendersi riferita al primo atto sessuale.
(71) Dal Sexual Offences Dangerous Offenders DNA Data Bank Regulations, the Counter Trafficking in Persons Act (2011).
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La nozione di violenza domestica è stata introdotta nella legislazione keniota dalla legge n. 2 del 2015 (The Protection Against Domestic Violence Act 2015, di seguito « PADVA » per brevità) recante disposizioni in materia di « ordini di protezione » (protection orders) nei procedimenti riguardanti tale fattispecie. Tali ordini sono emanati dal giudice nei confronti di chi stia usando o abbia usato violenza domestica nei confronti del richiedente o di un suo figlio e quando l’emanazione di tale ordine sia necessaria alla protezione di tali soggetti.
Con il ricorso al sistema dei protection orders, si conferma anche in Kenya l’adozione di un modello proveniente dalla tradizione giuridica del Paese colonizzatore.
La Parte I della legge (articoli da 1 a 5) reca le disposizioni preliminari, in particolare le definizioni. L’articolo 3 PADVA reca un elenco di definizioni che individuano la nozione di « violenza domestica », che comprende le forme di violenza nei confronti di una persona, nonché la minaccia di violenza o pericolo imminente per la persona, da parte di altro soggetto che è o è stato con la vittima in « relazione domestica ».
Il medesimo articolo specifica che, ai fini delle norme in oggetto, per
« violenza » dovrà intendersi: matrimonio con minori; mutilazione genitale femminile; matrimonio forzato; eredità forzata della moglie; interferenza di familiari (in particolare, suoceri o cognati); violenza sessuale all’interno del matrimonio; verifica della verginità; purificazione delle vedove; danno alla proprietà; violenza sessuale a danno di minori; danno economico, emotivo o psicologico; ingresso forzato nell’abitazione della vittima; molestie; incesto; intimidazione; abuso fisico; abuso sessuale; stalking; abuso verbale; ogni altra condotta che abbia causato o potuto causare danno alla sicurezza, alla salute o al benessere della persona.
Per quanto concerne, in particolare, lo stalking (72), l’articolo 2 PADVA specifica che sono ad esso riconducibili le azioni del « perseguitare o avvicinare » (pursuing or accosting) una persona. Peraltro, il medesimo articolo 2 identifica la « molestia » (73) in una serie di condotte, che produce nella vittima la paura di un danno imminente. Esse sono:
– osservare e indugiare al di fuori o nei pressi dell’edificio o del posto dove la vittima risiede, lavora, svolge attività di vario tipo, studia o comunque staziona;
– contattare ripetutamente o provare a contattare la vittima telefo- nicamente, telematicamente, a mezzo posta o in altro modo, indipenden- temente dal fatto che si verifichi successivamente una conversazione tra i due soggetti;
– inviare, recapitare o far recapitare documenti od oggetti offensivi o ingiuriosi.
Il « danno economico » include una privazione non ragionevole di mezzi finanziari per le spese che la vittima richiede o alle quali ha diritto,
(72) Questa espressione è utilizzata nel testo in inglese della legge.
(73) Utilizzando la medesima espressione, harassment, presente nell’articolo 23 SOA in materia di molestie da parte di soggetti che detengono una posizione sovraordinata nei confronti della vittima, cfr. supra.
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xxx comprese le necessità familiari, le spese mediche, le tasse scolastiche, il canone di affitto o le spese di mutuo. Si ha, inoltre, il danno economico quando si impedisce alla vittima di cercare un reddito per il soddisfaci- mento delle suddette necessità. Il danno emotivo, psicologico o verbale consiste in una serie di condotte umilianti e degradanti, comprendenti (in via non esclusiva) insulti ripetuti, condotte che ridicolizzano la vittima, minacce ripetute al fine di causare paura a livello emotivo.
L’articolo 4 elenca le situazioni che implicano la « relazione dome- stica » (matrimonio, presente o passato, convivenza, avere un figlio in comune, essere membro della famiglia, eccetera). L’articolo specifica che il rapporto di lavoro non configura la relazione domestica.
La Parte II (articoli da 6 a 23) PADVA disciplina il procedimento relativo all’emanazione degli ordini di protezione per le vittime di violenza domestica. Il giudice, ai fini dell’ordine di protezione, dovrà tenere conto della necessità di protezione dalla violenza del soggetto richiedente del benessere dei figli dei soggetti coinvolti e delle esigenze materiali connesse alla dimora delle persone coinvolte. Oltre a non mettere in atto violenza o danneggiare (psicologicamente, emotivamente, economicamente) la persona protetta, il destinatario non può avvicinare la persona protetta (stalking), guardare o avvicinare il luogo di residenza o di lavoro della persona protetta oppure contattare la medesima persona, salvo quando il contatto sia ragionevolmente richiesto da una situazione di emergenza, sia previsto da un accordo scritto relativo alla custodia o alla frequentazione di un minore o sia previsto da una qualsiasi clausola dell’ordine di protezione. La norma prevede che nel provvedimento siano esplicitate, in apposita sezione, le clausole che impediscono il contatto tra il destinatario del provvedimento e la persona protetta, stabilendo, inoltre, le condizioni per il ritiro o la sospensione di tali clausole. L’ordine di protezione può inoltre imporre all’aggressore di provvedere alle immediate esigenze materiali della vittima, nonché prevedere la custodia temporanea di minori.
La legge disciplina quindi l’emanazione di ordini di protezione temporanei in pendenza del procedimento sulla decisione definitiva. Inoltre, si prevede che la richiesta di un ordine di protezione è indipendente dall’instaurazione del procedimento penale a carico dell’autore della vio- lenza, potendosi avanzare richiesta presso il tribunale civile (74).
Ulteriore aspetto qualificante del PADVA è costituito dalle disposizioni inerenti ai doveri degli ufficiali di polizia, i quali sono tenuti ad informare la vittima in merito ai contenuti del PADVA e alle modalità per sporgere denuncia, ad avviare le indagini sulle denunce ricevute direttamente o in forma anonima, ad informare la vittima circa i servizi disponibili (ivi
(74) Per questo e per altri aspetti del PADVA, cfr. Handbook on Protection Orders in Kenya (2020), disponibile sul sito del COVAW, organizzazione no profit presente in Kenya attiva nella lotta alla violenza di genere.
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compresa la disponibilità di case rifugio), di informare la vittima circa il diritto di potersi relazionare solo con ufficiali del proprio sesso.
2. La prevenzione della violenza: il Piano nazionale per la prevenzione e la risposta alla violenza di genere e il Programma per la prevenzione e la risposta alla violenza di genere
Nel novembre 2014 è stato lanciato il Piano nazionale per la preven- zione e la risposta alla violenza di genere (National Policy on Prevention and Response to Gender Based Violence). Il Piano mira a rafforzare il coordinamento tra gli enti e le istituzioni coinvolti ai fini di una program- mazione efficace, a migliorare l’applicazione delle leggi e delle politiche, ad aumentare l’accesso a servizi di supporto e a migliorare la sostenibilità degli interventi di prevenzione e risposta alla violenza di genere.
Il Piano elenca le forme di violenza che costituiscono l’oggetto delle politiche ivi descritte: la violenza sessuale; la violenza fisica; la violenza domestica; le pratiche culturali dannose (all’interno delle quali assume particolare rilievo la mutilazione genitale femminile); la violenza psicolo- gica ed emotiva; la tratta di esseri umani.
Il Piano elenca inoltre i principali attori istituzionali coinvolti nelle politiche contro la violenza di genere. Tra questi, si segnala qui in particolare la National Gender and Equality Commission (NGEC), istituita dal National Gender and Equality Commission Act, 2011, in attuazione dell’articolo 59 della Costituzione del Kenya del 2010. La NGEC è infatti una delle commissioni che seguono alla creazione della Commissione sui diritti umani prevista dall’articolo 59 citato. Essa assume quindi il rango di
« Commissione costituzionale » dotata, ai sensi dell’articolo 249 della Costituzione, di indipendenza da qualsiasi altro organo o autorità, in quanto soggetta solamente alla Costituzione e alla legge. In base all’articolo 249, è compito di tali Commissioni difendere la sovranità del popolo, far osservare i principi ed i valori della democrazia, promuovere i valori e i principi della Costituzione. Il medesimo articolo prevede che il Parlamento assicuri, con voto separato, le risorse per il funzionamento delle Commis- sioni (e degli altri organi costituzionalmente previsti).
Al NGEC sono affidati compiti di studio, controllo e monitoraggio in materia di parità di genere e di violenza di genere, secondo quanto ricordato dal citato Piano del 2014. Il Piano menziona, altresì, la task force per l’attuazione del SOA – istituita presso l’Ufficio del Procuratore Generale
– nonché i compiti in materia posti in capo al Ministero della salute e al Dipartimento per il genere (allocato presso il Ministero della devoluzione e pianificazione al momento dell’emanazione del Piano). Al riguardo occorre sottolineare come nel 2015 sia stato istituito il Ministero per l’amministrazione pubblica e le politiche di genere (75), suddiviso in due
« Dipartimenti di Stato », uno dei quali specificamente dedicato alle politiche di genere. In base all’Executive Order n. 1 del 2018 sulla riorganizzazione del Governo, spetta al Dipartimento (State Department for Gender), tra l’altro, la definizione delle politiche sulla violenza di genere.
(75) Ministry of Public Service and Gender.
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Il medesimo Dipartimento, in collaborazione con le Nazioni Unite, ha lanciato, per il quadriennio 2017-2020, il Programma per la prevenzione e la risposta alla violenza di genere (JP-GBV), basato sui cinque pilastri della prevenzione, protezione, punizione, programmazione e partnerships. Lo scopo del Programma, che ha un budget complessivo di circa 11,5 milioni di dollari (76), è quello di promuovere un approccio coordinato e multiset- toriale, con il coinvolgimento di più attori, al problema della violenza di genere. Secondo il rapporto intermedio di attività (77), a giugno 2018 vengono segnalate, tra i principali risultati, le attività di formazione e quelle per la mappatura delle strutture, coinvolte a vario titolo e disseminate nelle 47 Contee del Kenya. In vista delle elezioni politiche dell’agosto 2017, prosegue il documento, ai circa 200.000 ufficiali di pubblica sicurezza che si preparavano allo svolgimento della tornata elettorale è stata offerta una specifica formazione in tema di violenza di genere. Agli stessi ufficiali è stato fornito un apposito manuale con indicazioni su come procedere al verificarsi delle violenze (78). Ulteriori attività di formazione sono state offerte agli agenti di polizia, al personale della giustizia e agli operatori sanitari. Sempre riguardo alle iniziative di carattere formativo, si segnala che nell’àmbito del Programma JP-GBV il Dipartimento ha pubblicato un manuale relativo alle buone pratiche per la realizzazione di case di protezione per le vittime di violenza di genere (o che abbiano subito minacce) in Kenya (79). Oltre all’attività di formazione, è stato dato impulso al coordinamento dei vari gruppi di lavoro in vista delle elezioni e sono state promosse campagne di informazione sui principali media e piatta- forme digitali.
Per il quinquennio 2020-2024 prosegue il Piano nazionale di azione
(KNAP, avviato nel 2016) per l’attuazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 1325 su « Donne, pace e sicurezza ». Il documento relativo al KNAP 2020-2024 osserva che la violenza di genere, ed in particolare la violenza domestica, ha trovato terreno fertile nelle condizioni di scarsa sicurezza del territorio e nell’emergere di nuove modalità criminali (ivi compreso il cyber crime). La diminuzione della sicurezza complessiva, continua il documento, mette in situazione di maggior pericolo le categorie più fragili, come le donne. Al riguardo, il documento sottolinea la presenza presso ogni quartier generale (headquar- ters) della Polizia nazionale di specifiche direzioni per la protezione della comunità, delle donne e dei bambini. Presso la Polizia, inoltre, è attivo un gruppo di lavoro, competente per tutte le Contee, sulla violenza di genere. In merito a tale tema sono state promosse, inoltre, specifiche iniziative
(76) Fonte: xxxxx://xxxxxx.xx.xx/xxx-xx-xxxxx-xxxxxxx/ (Ministry of Public Sector and Gender
– State Department for Gender). Ultimo accesso: 25 gennaio 2021.
(77) Joint Programme on Prevention and Response to Gender Based Violence. Annual Report
(January 2017 – June 2018).
(78) Sulla diffusione delle violenze contro le donne nel Paese durante il periodo elettorale, cfr. il Rapporto di Human Rights Watch: « They Were Men in Uniform ». Sexual Violence against Women and Girls in Kenya’s 2017 Elections.
(79) Strengthening Safe and Protective Spaces for Women, Girls and Children in Kenya
(2019).
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formative presso le Forze di polizia keniote (cfr. KNAP 2020-2024, p. 7, par. « Gender based violence »).
In tema di formazione, il Dipartimento rende disponibile, sul proprio sito istituzionale, il documento Gender-Based Violence Training Resource Pack (2019) che si pone quale strumento standard, destinato agli operatori dei diversi settori coinvolti (giudiziario, sanitario e socio-assistenziale).
Uno specifico programma di azione è dedicato, inoltre, all’eradica- zione della pratica della mutilazione genitale femminile. Nel gennaio 2019 il Governo ha emanato il documento National Policy for the Eradication of Female Genital Mutilation quale aggiornamento delle politiche in materia approvate nel giugno 2010. Il documento sottolinea l’importanza di un approccio multisettoriale al problema che promuova, tra l’altro, il dialogo tra varie discipline, tra gli operatori dei diversi settori coinvolti e il coinvolgimento dei diversi livelli di governo (nazionale e delle Contee). Il Presidente del Kenya ha posto, nel giugno 2019, l’obiettivo di eliminare la pratica delle mutilazioni genitali entro il 2022 (80).
3. Interventi di protezione e supporto delle vittime: le linee telefoniche di aiuto
In materia di servizi per la protezione e supporto immediato alle vittime di violenza è attivo a livello nazionale, ogni giorno per 24 ore, il numero telefonico 1195. A partire dal 2017 (a seguito di un protocollo sottoscritto dal servizio sanitario ed il Ministero competente in materia) tale numero si pone quale risorsa dedicata che si è affiancata agli altri numeri di emergenza disponibili (ad esempio, il 116 dedicato ai minori). Il supporto alle vittime di violenza di genere è offerto anche dal numero telefonico 1193 gestito da Xxxxxxxx, una fondazione (trust) che si occupa della violenza di genere in Kenya. Ulteriori sei linee locali sono state istituite in tre Contee (Kwale, Kilifi e Mombasa), secondo quanto riportato da una pagina del sito dell’OCHA (81) (Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite). Sempre secondo l’OCHA, la linea 1195 ha trattato 810 casi di violenza nel mese di settembre 2020. Inoltre, tramite il medesimo canale della linea telefonica, 3.428 persone hanno avuto accesso a materiali formativi digitali. Infine, da maggio a ottobre 2020, almeno 5,4 milioni di persone sono stati raggiunti da informazioni sul tema della violenza di genere, di vario tipo, attraverso una pluralità di canali (webinar, piattaforme social, radio e stampa).
CONCLUSIONI
L’elemento di maggiore spicco presente nei Paesi analizzati (Spagna e Argentina) concerne la redazione di un testo unico, per il contrasto alla
(80) Fonte: State Department for Gender xxxx://xxx.xxxx.xx.xx/ ?page_id=1400. Ultimo accesso: 25 gennaio 2021.
(81) KENYA. Sector Status: Protection (Gender-based Violence) xxxxx://xxxxxxx.xxxxxx.xxx/ en/country/kenya/card/2rC8ktJetx/. Ultimo accesso: 25 gennaio 2021.
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violenza di genere, che raccoglie in un unico testo: definizioni del fenomeno, diritti dei soggetti che ne soffrono direttamente e indirettamente le conseguenze, compiti e responsabilità delle istituzioni e dei soggetti coinvolti, strumenti di repressione in senso stretto, strumenti di prevenzione a vario livello (dall’educazione nella prima infanzia, alle case rifugio), strategie di supporto per le vittime e percorsi di rieducazione per gli autori.
L’introduzione di questo tipo di legislazione ha vantaggi ben maggiori di un semplice effetto simbolico. Essa ha significato, nei Paesi che se ne sono dotati, la presa d’atto collettiva dell’esistenza del fenomeno delle violenze sulle donne, cui fino ad allora erano state date delle risposte parziali, tese a limitare alcune delle conseguenze di maggior allarme sociale.
Un secondo elemento importante (presente in Norvegia, Francia, Spagna, ma anche in Kenya ed in India), che in Italia rappresenta un’autentica « cenerentola », riguarda la formazione professionale. Per quanto l’articolo 5 della legge 19 luglio 2019, n. 69, ne stimoli l’imple- mentazione (comunque sotto l’egida dell’invarianza finanziaria) pressoché tutti gli ordinamenti analizzati sembrano aver adottato piani più robusti e coordinati per la formazione non solo delle Forze dell’ordine, ma di tutti i professionisti chiamati a intervenire in situazioni riconducibili a violenza di genere. In Italia vengono offerti seminari e puntuali iniziative di sensibilizzazione, ma in contesti caratterizzati da risorse assai inferiori a quelle del nostro Paese, per cui la formazione sulla violenza di genere assume maggior spessore e rappresenta un settore su cui investire. Per adeguarsi ai migliori standard internazionali e agli stimoli delle istituzioni sovrannazionali, la formazione anche universitaria deve avere un approccio di genere.
Sempre sul tema della formazione, sul modello di quanto fatto in Norvegia, dovrebbe essere presa in seria considerazione l’istituzione di un centro di ricerca a livello nazionale sul tema della violenza, cui affidare il mandato di approfondire le conoscenze rispetto alle peculiarità e ai bisogni particolari del nostro Paese. La ricerca in Italia, in questo momento, necessita di un rafforzamento per non essere dipendente da quella estera. Ad esso dovrebbe essere affidato altresì un ruolo di riferimento nella divulgazione e nell’educazione.
Tanto negli ordinamenti più strettamente imparentati con quello in- glese (quello indiano e quello keniota) come in quello spagnolo, assumono un ruolo molto importante gli ordini di protezione. Al di là dell’affinità lessicale con l’istituto introdotto fin dal 2001 dall’articolo 342-bis del nostro codice civile, con quest’espressione si intende non un singolo strumento, ma un ampio insieme di norme, tra di loro coordinate e dirette a prevenire la commissione di delitti o comunque evitare che ne siano perpetrati di nuovi e più gravi.
Oggi in Italia gli strumenti di intervento preventivi sono disciplinati in diversi testi normativi, il codice civile, quello di procedura penale, quello penale e quello delle misure di prevenzione. Ciò comporta problemi di
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carattere applicativo tanto per gli operatori del diritto (magistrati e avvocati) quanto per le parti offese che possano incorrere nel rischio di un’applica- zione normativa non uniforme, sul territorio nazionale, in violazione del principio di uguaglianza nella protezione dei diritti.
Concentrando la disciplina in un unico testo, altri ordinamenti hanno evitato il rischio di sovrapposizioni normative, di conflitti di competenza e di moltiplicazione dei giudizi; pertanto, volendo far tesoro dell’esperienza degli altri Paesi sarebbe necessario, anche in Italia, raccogliere tutta la disciplina in materia in un unico testo secondo il modello del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
L’esperienza comparata permette di comprendere come un efficace sostegno alle vittime costituisca una strategia di welfare a sé stante che, pur essendo collegata al perseguimento del responsabile di azioni delittuose, deve svilupparsi in modo indipendente.
Rispetto a Paesi come Spagna, Inghilterra e Norvegia, ma anche dell’India o della Germania, il nostro Paese direttamente o indirettamente non di rado condiziona l’erogazione di prestazioni pubbliche di sostegno alla denuncia di un delitto, finanche della sentenza di condanna (82); l’approccio fatto proprio dall’articolo 24 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, che colloca nell’ambito sociale il riconoscimento di persona che ha subito violenza, deve essere rafforzato e reso generale. Va evitato infatti che le amministrazioni locali, con il lodevole intento di offrire sostegno, non condizionino però i benefici a ulteriori requisiti, che sareb- bero giocoforza diversi da comune a comune e da regione a regione, senza considerare che nei casi più gravi chi è vittima è costretta ad allontanarsi dalla propria residenza.
Si tratta di un approccio nuovo che pone al centro i bisogni e le richieste della vittima e non le vicende giudiziarie dell’autore.
Il cambio di prospettiva, in un disegno strutturale all’interno del futuro testo unico, deve portare alla definizione di standard di servizi di vario livello da distribuire sul territorio con precise assegnazioni di risorse, né più né meno di quanto accade oggi per la programmazione nel settore della salute (trattandosi comunque di salute fisica e psichica della donna vittima).
Nessun Paese tra quelli analizzati si segnala per proposte di intervento sugli autori particolarmente efficaci. La risposta pressoché generalizzata è il carcere, anche se, visti i numeri enormi della violenza contro le donne in tutti i Paesi considerati, la privazione della libertà per i rei, più che una sanzione invariabilmente applicata, è un’eventualità sempre e comunque remota. La gravità del reato commesso è solo uno dei fattori che possono determinare o meno il ricorso effettivo a questa sanzione, rispetto al quale giocano moltissimi altri fattori.
(82) Un esempio a livello nazionale è offerto dalla disciplina dei permessi di soggiorno per le donne vittime di tratta ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998. A livello locale si osservi la lunga lista di requisiti di esecuzione della legge provinciale (Trento) 3/2021 in materia di assegno di autodeterminazione per le donne che hanno subito violenza.
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Lungi dall’essere un’esperienza propria solo dei Paesi centroamericani, dove per prima è stata denunciata, un elevato livello di impunità caratterizza infatti tutti gli ordinamenti studiati.
Tuttavia, va tenuto concettualmente separato ciò che è la condanna, il riconoscimento di responsabilità e la sanzione retributiva in senso stretto e ciò che corrisponde a un indispensabile percorso rieducativo. Non solo perché lo prescrive la Costituzione, ma perché – come emerge specie nel contesto norvegese – ci si è resi conto anche che un condannato tornato libero, intratterrà nuove relazioni interpersonali, forse anche sentimentali. Pertanto, nel miglioramento delle strategie per il trattamento degli autori di violenza sulle donne è indispensabile promuovere la realizzazione di studi sul campo secondo il modello delle sperimentazioni già aviate in altri paesi (in Francia, Norvegia e Spagna) e garantire un quadro giuridico e un piano di stanziamenti adeguato al fine di permettere analoghe o nuove
sperimentazioni anche nel nostro Paese.
Il Gruppo di esperti indipendenti del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul (GREVIO) ha indicato tra le carenze più gravi del nostro ordinamento il mancato coordinamento tra i giudizi penali e quelli pendenti per le separazioni e l’affidamento dei figli. La legge n. 69 del 2019, cosiddetta Codice Rosso, introducendo l’articolo 64-bis alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989,
n. 271, ha finalmente previsto che al giudice civile siano obbligatoriamente trasmessi tutta una serie di atti propri di procedimenti penali collegati e rilevanti ai fini della decisione che dovrà assumere. Si tratta però di un primo timido passo. Se non è la stessa vittima a farlo presente, per esempio, il giudice chiamato a vagliare l’adeguatezza delle condizioni di una separazione può non sapere che il marito, dopo il deposito della domanda, ha nel frattempo ricevuto un ammonimento dal questore.
Nella prospettiva comparata, per tutti gli ordinamenti risulta oltremodo complesso un buon coordinamento tra giudizio civile e penale. I risultati però si mostrano migliori e più rapidi quando le misure rivolte alla prevenzione di episodi più gravi sono affidate a un’unica autorità per l’irrogazione e a un’altra per il dovuto vaglio giurisdizionale. Anche in questo caso le migliori soluzioni riguardo agli ordinamenti studiati si trovano in Norvegia e in Spagna. Non potendo o volendo arrivare ad istituire veri e propri tribunali specializzati, andrebbe presa in considera- zione l’opportunità di istituire in ogni tribunale delle sezioni specializzate.
In Spagna ed in Francia si è interpretato in maniera restrittiva quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul riguardo alla mediazione familiare, stabilendo il divieto di ricorrere a questo strumento in contesti di violenza di genere. Malgrado ogni operatore formato, in tali contesti, dovrebbe comunque dissuadere le parti dal ricorso alla mediazione in assenza di un effettivo equilibrio di potere tra i soggetti coinvolti, l’esperienza pratica mostra come ciò in Italia non avvenga, contribuendo ad aggravare le problematiche e ad allontanare le soluzioni. Sarebbe perciò utile introdurre dall’ordinamento, eventualmente attraverso il ricordato testo unico, un
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analogo esplicito divieto, rafforzato da strumenti di censura per gli operatori che comunque vi ricorrono.
L’assenza nel nostro ordinamento di una vera e propria fattispecie penale per sanzionare le molestie sul lavoro spingerebbe di per sé a concentrare l’attenzione su questa tipologia di strumento in ottica di riforma. Le esperienze estere non mancano. Tuttavia, proprio la compara- zione mostra come anche in questo particolare ambito le maggiori atten- zioni non vadano rivolte al diritto penale, da riservarsi soltanto alle ipotesi più gravi e irreversibili. Anche l’esperienza indiana, di derivazione inglese, mostra una forte spinta al ricorso a strumenti extra-penali ed extra- giudiziari, non certo per indulgenza, ma per la giusta consapevolezza che uno strumento meno invasivo, ma più snello e rapido, può essere più efficace per affrontare situazioni in cui, sovente, la vittima è restia a denunciare perché sicura di una rapida fine del rapporto di lavoro a fronte di un risarcimento incerto e comunque lontano nel tempo.
Se allora tutte o quasi le esperienze estere considerate possono
contribuire a migliorare il nostro codice delle pari opportunità, va detto che esso si mostra astrattamente tutt’altro che inadeguato. Probabilmente mi- gliorerebbe le cose già solo il fatto di retribuire nuovamente le Consigliere di parità (come non accade ormai da anni) in modo tale che per il corso del loro mandato costoro si possano occupare a tempo pieno dell’ufficio e smettano di esercitare le funzioni (e le responsabilità connesse) a titolo pressoché di volontariato. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali dovrebbe assicurarsi che ogni regione o ogni provincia effettivamente se ne doti e che l’attività sia svolta adeguatamente.
La Convenzione di Istanbul, nell’articolo 36 dedicato alla violenza sessuale, pone uno speciale accento sul consenso quale elemento fonda- mentale in assenza del quale i comportamenti sessuali debbono esser valutati come illeciti, mentre non fa menzione alcuna della violenza e della minaccia, che si ritrovano invece come elementi qualificanti dei reati sessuali così come descritti in diversi ordinamenti considerati.
Si può riscontrare, a livello comparato, una spinta piuttosto forte, supportata anche da azioni di sensibilizzazione di diverse organizzazioni non governative (ONG), per una revisione dei reati sessuali per dare il massimo valore possibile all’elemento del consenso. È particolarmente significativa la riforma adottata pochi anni fa in Germania (raccogliendo spunti dell’esperienza inglese) ed è in corso in Spagna un accesissimo dibattito pubblico sul testo di un disegno di legge di prossima discussione parlamentare.
La riforma del reato di violenza sessuale adottata in Italia ormai da un quarto secolo, anche se con una formulazione adeguata all’epoca, non assorbe ancora completamente le prescrizioni della Convenzione di Istan- bul. La parola « consenso » non è presente e il verbo che esprime la condotta illecita (« costringere ») è interpretato in un senso che ne assorbe per certi versi il significato solo dalla migliore giurisprudenza, peraltro con periodici tentennamenti. Tale linea di interpretazione va sostenuta mettendo finalmente a disposizione della magistratura e dell’avvocatura norme che rendano più lineare un’autentica concezione della fattispecie basata sulla
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prevaricazione. Non si tratterà di un’operazione che si potrà basare sulla semplice importazione di norme dall’estero, anche perché nella dogmatica del reato ogni ragionamento sul consenso inevitabilmente porta con sé un complesso sistema di regole concernenti l’errore, mai perfettamente so- vrapponibile da Paese a Paese; si dovrà trattare pertanto un lavoro meditato ed accurato, per scongiurare il rischio di accompagnare a un avanzamento formale un arretramento sostanziale. Una riforma è tuttavia necessaria e indifferibile nella prospettiva di offrire alle giovani generazioni un Paese finalmente all’altezza dei valori di uguaglianza e rispetto tra i generi.
Come indicato sopra, la formazione professionale (in primo luogo del personale pubblico e privato che opera nel settore giustizia) sarà determi- nante anche per quanto riguarda il perseguimento dei reati sessuali poiché nessuna riforma legislativa è realmente in grado di modificare una prassi se non è compresa e condivisa da coloro che sono chiamati ad attuarla.
Quanto ai matrimoni forzati, si segnala come rispetto ad essi, il legislatore si sia sinora limitato a introdurre, nel 2019, una fattispecie ad hoc nel codice penale per rendere più agevole perseguire gli autori, specie se essi successivamente si trasferiscono all’estero.
Ciò, tuttavia, ha significato un adeguamento solo formale a quanto richiesto sul punto dalla Convenzione di Istanbul: a differenza di quanto accade in molti Stati esteri, in occasione dell’introduzione del nuovo reato non sono state introdotte norme correlate adatte per disciplinare le conse- guenze di diritto civile e di diritto dell’immigrazione scaturenti dalla celebrazione del matrimonio. Assieme a una adeguata disciplina di sostegni per le vittime (anche questa da inserirsi nel testo unico sopra richiamato), l’adeguamento della disciplina di raccordo nel codice civile costituisce lo strumento indispensabile per far emergere un fenomeno che la sola fattispecie penale non riesce minimamente a intercettare, come evidenziano i numeri indicati nel rapporto stilato a un anno dall’entrata in vigore del cosiddetto Codice Rosso, se confrontati con quelli di altri Paesi.
Sempre nell’ottica dell’introduzione di un testo unico dotato di un approccio integrale al tema e con il necessario coordinamento con gli organismi previsti dal titolo II del codice delle pari opportunità, si suggerisce di affidare a un organismo ad hoc, con struttura formalmente indipendente dall’Esecutivo, un ruolo di osservazione, garanzia e promo- zione dei diritti riconosciuti e delle politiche necessarie per l’implementa- zione del testo unico.
Sin dalla premessa si è sottolineato il ruolo che il diritto internazionale pattizio e di matrice giurisprudenziale ha esercitato nel lungo cammino di riconoscimento della violenza contro le donne. Il suo inquadramento come una violazione dei diritti umani è stata un’autentica conquista che ha aperto le porte a una nuova epoca di legislazioni nazionali realmente promotrici dell’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne. L’Italia ha beneficiato e continua a beneficiare di questa spinta proveniente dalle fonti e dalle istituzioni sovranazionali, ma non può dare per scontato che essa possa continuare a esercitare il suo positivo impulso senza essere alimentata anche da un costante sostegno e coinvolgimento attivo. La recente uscita della