UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI “MARCO FANNO”
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA INTERNAZIONALE
LM-56 Classe delle lauree magistrali in SCIENZE DELL’ECONOMIA
DISTRETTI E CONTRATTI DI RETE IN ITALIA
DISTRICTS AND NETWORK CONTRACTS IN ITALY
Relatore:
Prof.ssa Di Xxxxx Xxxxxxxx
Laureando: Xxxxxx Xxxxxx
Anno Accademico 2017-2018
Titolo
DISTRETTI E CONTRATTI DI RETE IN ITALIA
INDICE
Introduzione 1
CAPITOLO I: I DISTRETTI INDUSTRIALI
1.Origine dei distretti industriali 5
2. Concetto di dimensione di rete 8
3. Trasformazione dei distretti: gli attori e le imprese leader 11
4. Evoluzione dei distretti a seguito della crisi 19
CAPITOLO II: LE RETI D'IMPRESA
1. Concetto di rete d'impresa 23
2. Rapporto rete d'impresa e distretto industriale:
la dimensione distrettuale del network 26
3. Tipologie di reti d'impresa: le reti per l'innovazione locale e globale e i meta-distretti 28
4. Tipologie di reti d'impresa: le reti
per l'internazionalizzazione 33
CAPITOLO III: I CONTRATTI DI RETE E DIMENSIONE DISTRETTUALE
1. Il contratto di rete: nozione e struttura 39
2. Analisi dei dati: focus sui distretti e reti d'impresa a livello nazionale 44
3. Analisi delle imprese venete che partecipano a contratti di rete 50
4. Analisi dei distretti industriali veneti e comparazione con le imprese venete partecipanti a contratti di rete 54
CONCLUSIONI FINALI 83
Appendice A (tabella dei contratti di rete nel Veneto al febbraio 2018)
Appendice B (tabella dei contratti di rete con soggettività giuridica del Veneto al febbraio 2018)
Bibliografia Sitografia
INTRODUZIONE
La presente tesi si pone l'obiettivo di analizzare preliminarmente la figura dei distretti industriali, premessa logica necessaria, al fine di affrontare quello che rileva come il vero tema oggetto di tesi, ossia l'analisi e la rilevanza in Italia, e nel Veneto, del fenomeno delle rete d'impresa, spiccatamente sotto il profilo delle imprese distrettuali che a loro volta partecipano anche a reti d'impresa.
Tale forma aggregativa, che si configura come uno strumento giuridico-economico, introdotto ufficialmente nel nostro Ordinamento con Legge n.33/2009, permette, a differenza di altri modelli, alle imprese partecipanti alla rete medesima di poter ottenere numerosi vantaggi come superare i vincoli dimensionali della piccola e media impresa (di seguito PMI), attraverso l'applicazione di nuovi modelli di collaborazione ed integrazione e favorire la competitività resa possibile così anche per piccoli soggetti in un mercato globalizzato come quello attuale.
Allo stesso modo la rete d'impresa rende possibile l'innovazione per le PMI attraverso la ricerca, attività normalmente posta in essere solo delle grandi imprese, proprio perché le PMI sono soggette a notevoli barriere ed ostacoli nel portare avanti ricerca per conto proprio. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che il personale non ha tempo da dedicarvi essendo già impegnato nell'attività lavorativa delle PMI. Lo stesso dicasi se si considerano le capacità finanziaria d'investimento decisamente modeste delle PMI rispetto alle grandi imprese strutturate.
La rete d'impresa si presenta, pertanto, come un mezzo idoneo a superare tali limiti pur permettendo alla singola impresa partecipante di non perdere la propria individualità, originalità e genuinità, sia nelle modalità di produzione che nel livello di qualità raggiunto dal prodotto finale o dal servizio erogato.
Indubbiamente la rete d'impresa rappresenta una strada percorribile, dal punto di vista giuridico-economico per le PMI, al fine di raggiungere attraverso l'aggregazione con altre imprese la capacità di individuare, migliorare e gestire il proprio patrimonio conoscitivo.
In altre parole, la rete d'impresa, che si fonda sul relativo contratto d'impresa, si evidenzia come uno strumento privilegiato per le PMI in quanto, tramite esso, queste hanno l'opportunità di realizzare obiettivi di mercato molto più ambiziosi ed ampi attraverso la collaborazione con altre imprese dello stesso distretto; target altrimenti impossibili da raggiungere per la singola azienda nel contesto del mercato globalizzato.
Tutto ciò è reso possibile senza, tuttavia, rinunciare alla propria individualità, intesa nel senso
di originalità e genuinità, come sopra accennato, riferita alla modalità di attuazione del prodotto/ servizio finale, nonché dal punto di vista prettamente giuridico, senza rinunciare alla propria autonomia giuridica.
La rete d'impresa offre, altresì, attraverso la flessibilità contrattuale che la connota, la possibilità per le imprese partecipanti anche di abbassare i costi di produzione e raggiungere aree più vaste di mercato. Tale strumento si pone come mezzo anti-crisi per le PMI, potendo accrescere sia sul piano individuale che su quello collettivo la loro capacità di innovare e competere sul mercato attuale, caratterizzato da un lungo periodo di crisi manifestatosi ancora nel 2008.
Da queste considerazioni prende le mosse il presente lavoro di tesi che vuole mettere il luce le potenzialità della rete d'impresa, figura che si sta via via sempre più diffondendo anche nel nostro territorio nazionale cambiando la configurazione del tessuto imprenditoriale delle PMI, che da sempre hanno costituito l'elemento forte e versatile della realtà imprenditoriale italiana. La metodologia utilizzata nel presente elaborato per i primi due capitoli, sulla base del materiale rinvenuto (sia on-line che in pubblicazioni e manuali), parte da un'analisi storica e generale della realtà delle imprese distrettuali sul territorio italiano, con brevi cenni a modelli provenienti da altri sistemi economici come quello marshalliano. Procede nel secondo capitolo prendendo in considerazione il concetto di rete d'impresa, sia sotto il profilo più prettamente giuridico che sotto quello economico, comparando il profilo normativo con quello economico, specificatamente nei distretti industriali di stampo tradizionale, ove spesso si fa riferimento alle reti intese come network di conoscenze e scambio di know how, mettendo in risalto le interazioni tra le stesse e come queste con lo sviluppo tecnologico stiano evolvendo.
Infine, si conclude con il terzo capitolo, ove viene esplicato l'aspetto più importante del presente lavoro, con un taglio pratico, viene analizzata la situazione attuale del territorio industriale sia nazionale che regionale (specificatamente della regione Veneto), tramite la comparazione dei più recenti dati statistici raccolti sia in relazione ai distretti industriali che alle reti d'impresa.
Dopo un primo paragrafo di trattazione generale, necessaria per inquadrare lo strumento del contratto di rete, segue l'analisi fattuale e le relative considerazioni sui dati riportati. Si va in primis analizzando le imprese che partecipano a reti d'impresa sul territorio nazionale, per scendere via via maggiormente nel dettaglio, analizzando i dati relativi alla regione Veneto, per concludere con le osservazioni ricavate dall'analisi (tramite la comparazione e selezione dei comuni di appartenenza e dei relativi codici Ateco) del numero e della tipologia di imprese
distrettuali che allo stesso tempo partecipano a contratti di rete, o che comunque fanno parte di reti d'impresa, realizzando così un doppio livello di aggregazione.
CAPITOLO I: I DISTRETTI INDUSTRIALI
1. Origine dei distretti industriali
I distretti industriali sono una realtà socio-economica non prettamente italiana, diffusasi nel nostro paese a partire dagli anni '70, originata da un allora crescente tessuto di medie e piccole imprese di origina artigiana, fortemente radicate nel territorio in cui hanno sede e concentrate spazialmente.
Tale fenomeno si è manifestato con grande diffusione particolarmente in Italia, avendo trovato in essa condizioni più favorevoli, mentre contemporaneamente si stava profilando la crisi della grande impresa si stampo fordista1. Infatti, il venir meno della crescita espansiva della domanda di mercato manifestatosi proprio in quel periodo ha condotto all'acuirsi della crisi della grande impresa ed agevolato una concomitante gemmazione d'impresa, ovvero la frequente nascita di piccole o medie imprese ad iniziativa spesso del singolo imprenditore.
A livello internazionale il distretto industriale fu teorizzato per la prima volta, nel XIX secolo, da Xxxxxx Xxxxxxxx0, il quale proponeva un modo nuovo di interpretare la realtà economica al fine di descrivere quella che era al tempo la situazione delle imprese tessili localizzate, nel Regno Unito, specificatamente nelle zone del Lancashire e Sheffield. Secondo Xxxxxxxx “con il termine distretto industriale si fa riferimento ad un'entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in un'area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza3”. Un'altra importante definizione di distretto industriale, fu data successivamente da Porter, all'inizio degli anni '90, il quale descrisse tale entità come “un’agglomerazione geografica di imprese interconnesse, fornitori specializzati, imprese di servizi, imprese in settori collegati e organizzazioni associate che operano tutti in un particolare campo, e caratterizzata dalla contemporanea presenza di competizione e cooperazione tra imprese4”.
Benché il concetto di distretto industriale sfugga ad essere definito in modo univoco è comunque possibile riconoscerne le sue caratteristiche distintive, già dalle definizioni sopra citate, in quanto realtà strettamente legata ai diversi contesti sociali, storici e culturali in cui
1 Col termine impresa fordista ci si riferisce a quel modello di produzione industriale a catena di montaggio ( assembly-line) per la prima volta utilizzato nell'industria automobilistica, negli anni trenta, dall'industriale statunitense Xxxxx Xxxx, e che ha costituito un modello produttivo per tutta la successiva indistria
manifatturiera.
2 X. Xxxxxxxx, Principles of Economics, Libro IV, cap.10., 1980.
3 X. Xxxxxxxx, “Industry and Trade. A study of industrial technique and business organization”, Xxxxxx, 0000.
4 X. Xxxxxx , Il vantaggio competitivo delle nazioni, Milano, 1998
nasce, e che, singolarmente intesi, contraddistinguono ogni distretto con connotazioni uniche. Nel panorama italiano la più importante definizione di questo fenomeno è stata data da Becattini, nel 1989, purtroppo scomparso ad inizio 2017, il quale rappresentò i distretti industriali italiani come “un'entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un'area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali”5.
In altre parole, il distretto industriale italiano si presenta come una “filiera produttiva integrata”, formata da una “popolazione di imprese” site su una ristretta area geografica e specializzate nella produzione di singole fasi del processo produttivo. Questa “popolazione di imprese” trova i propri partecipanti (le imprese singole che ne fanno parte) contestualmente in rapporto di interdipendenza reciproca, in quanto cooperanti tra loro grazie ad una fitta rete di informazioni. In pratica, l'insieme delle imprese che compongono il distretto sono in grado di gestire in modo efficiente la produzione, attraverso un processo di divisione del lavoro inter- aziendale, tanto da eguagliare quanto normalmente avviene all'interno della struttura della grande impresa verticalmente integrata.
Il distretto industriale italiano, pilatro dell'economia italiana, così come tipizzato da Becattini, pur partendo dal modello inglese, sopra descritto, ccdd. “distretto marshalliano”, basato su una semplice aggregazione di attività industriali e professionali di una stessa tipologia, poste all'interno di una medesima area geografica, va oltre l'impostazione anglosassone svelando la natura più peculiare del distretto italiano caratterizzato, altresì, da un elevato grado di specializzazione al suo interno e da un insieme di valori e tradizioni comuni condivisi.
I lavoratori del distretto sono persone altamente specializzate, con una forte condivisione dell'etica del lavoro e di frequente collegate al proprio capo/ datore di lavoro da legami personali. La specializzazione della manodopera e la stessa innovazione dei processi produttivi sono ottenuti dal ccdd. learning by doing, ossia dall'imparare lavorando direttamente sul campo, senza il bisogno di formazione astratta. La manodopera qualificata del distretto è sottoposta a datori di lavoro/ imprenditori, contraddistinti da forte spirito di iniziativa ed intraprendenza economica, che molto spesso sono a capo di piccole se non piccolissime imprese, ma che tendono tuttavia a valorizzare l'operato dei loro dipendenti, “in un contesto ancora culturalmente dominato [al tempo] dalla grande fabbrica fordista la via migliore per farlo [era] mettersi in proprio, facendo leva sulla ricchezza di connessioni comunitarie e su canali commerciali raffinati e in grado di apprezzare la personalizzazione
5 X. Xxxxxxxxx, Il distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, Stato e Mercato n.25, pp. III-28.
del prodotto”6.
Il distretto italiano non può, quindi, prescindere da una comunità “che è insieme storia, regole non scritte, valori condivisi, e che influisce direttamente sulla produttività e la struttura del distretto7” stesso, realtà socio-economica capace di dominare nicchie di mercato rilevanti e che ha saputo affermare come valore intrinseco del prodotto il made in Italy.
E' proprio quest'ultima connotazione che distingue in maniera netta il modello distrettuale anglosassone da quello italiano.
All'interno del territorio nazionale italiano si sono via via affermati settori merceologici dominanti nei vari distretti industriali manifatturieri, in special modo si è avuto un notevole sviluppo produttivo per i beni durevoli di consumo come pelletteria, calzature, oreficeria, abbigliamento, ect, nonché di beni per la casa quali le lavorazioni in legno, l'arredamento d'interni, marmi, ect.; tutti processi produttivi connotati da alta intensità di lavoro umano, un basso livello di automazione, nonché un bisogno limitato di investimenti sia nella formazione che nelle attrezzature.
Diversi sono stati i fattori che hanno favorevolmente contribuito alla nascita dei distretti italiani. Uno dei principali è stato il carattere prettamente artigianale delle imprese attive nel secondo dopoguerra, nonché l'espansione che il mercato nazionale ebbe proprio in quel periodo insieme ad una certa facilità all'accesso dei mercati internazionali ed un substrato culturale adeguato8.
Al fine di ricapitolare quanto sino ad ora espresso sui distretti e la loro intrinseca natura, come oggetto d'analisi che si pone a metà strada tra settore industriale ed impresa, si rendono illuminanti le parole usate dallo stesso Xxxxxxxxx (tra i più autorevoli studiosi del fenomeno dei distretti industriali) che in uno dei suoi scritti li rappresentò come“ un limitato ambito geografico con la presenza di un insieme di imprese di piccole e medie dimensioni che sono specializzate nelle fasi di uno stesso processo produttivo, con una cultura locale ben definita, e che presentano una rete di istituzioni locali favorevoli all'attenzione, competitiva e cooperativa, sia fra imprese diverse, sia fra imprese e popolazione lavoratrice”9
Tratti salienti del modello distrettuale italiano, ed assenti in qualsiasi altra formulazione dell'omologo anglosassone, sono quindi la comunità locale, cementata dall'identità collettiva territoriale in cui si riconosce e dall'insieme di valori e tradizioni locali condivisi, tanto che
6 xxx.xxxxxxxxxx-xxxxxxx.xx/0000/00/00/xxxxxxx-xxxxxxxxx-x-x-xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxx/
7 xxx.xxxxxxxxxx-xxxxxxx.xx cit.
8 X. Xxxxxxxxx “ Distretti industriali e made in Italy”, Torino 1998.
9 X. Xxxxxxxxx, “ Dal “settore” industriale al “distretto” industriale. Alcune considerazioni sull'unità d'indagine dell'economia industriale”, in Rivista di Economia e Politica Industriale , n. 1, 1979.
sotto questo profilo il distretto industriale rappresenta un esempio, in primo luogo, di rete fiduciaria; “un'atmosfera industriale”10 come è stata definita da alcuni autori, e da Becattini stesso, a tenore del quale il distretto “è un caso di realizzazione localizzata di un processo di divisione del lavoro che non si diluisce nel mercato generale, né si concentra in una o poche imprese”11; la concorrenza e la contestuale cooperazione, il mercato accessibile proprio grazie all'alto grado di connessione tra produzione e mercato (anche inteso in termini di vicinanza geografica); infine la valorizzazione delle qualità specifiche dei lavoratori.
2. Concetto di dimensione di rete
Uno dei punti di forza principali del distretto industriale che ha condotto all'espansione di tale forma di “aggregazione industriale” è costituito dal meccanismo che si potrebbe definire per propagazione. La prossimità spaziale e geografica, sia nel passato che attualmente, favorisce in modo concreto la formazione di reti, all'interno di ogni singolo distretto, più solide ed efficaci.
Tale meccanismo di trasmissione delle informazioni, all'interno del distretto, poggia su una forte rete di scambio di conoscenze tra persone ed imprese. In altre parole, ogni imprenditore che si accinge ad aprire un'attività ed entrare nel distretto industriale riceve tutta una serie di informazioni e saperi (know how) relativi alle esperienze delle altre imprese distrettuali, che a sua volta scambia con le proprie competenze e conoscenze, creando quella che appunto si definisce come rete idonea alla crescita e sviluppo del distretto stesso.
Altrimenti detto, nessun partecipante al distretto parte così da zero, anche all'inizio della sua attività nel distretto, poiché si avvale delle conoscenze dalle altre imprese già inserite da tempo ed aggiunge a queste le proprie12.
“Le persone possono infatti svolgere il ruolo di knowledge carrier in modo analogo agli artefatti, ad esempio, le conoscenze tacite acquisite da un operaio specializzato nel corso di una lunga esperienza maturata all'interno di un'impresa lo seguono nel momento in cui egli decide di cambiare luogo di lavoro, e sono potenzialmente attivabili nel contesto aziendale di arrivo. L'attivazione delle conoscenze nel nuovo contesto può coinvolgere in via esclusiva il suo possessore, oppure le medesime conoscenze vengono trasferite ad altre persone che
10 Con l'espressione atmosfera industriale: si intende un contesto più ampio di quello composto dalle singole imprese che compongono il distretto ma che involge anche le istituzioni locali, quali centri di formazione e di servizi per le imprese, università, enti pubblici locali, agenzie per lo sviluppo, istituti di credito ed più in
generale tutte le strutture manifestazione dell'associazionismo imprenditoriale locale e nazionale.
11 X. Xxxxxxxxx, Il distretto industriale marshalliano. cit..
00 X. Xxxxxxx “I distretti industriali al tempo dell'economia globale”, Milano, 2003.
operano nel contesto aziendale attraverso la comunicazione (relazioni interne all'impresa) e l'osservazione imitativa”13
Tale tipologia di comunicazione per apprendimento da impresa ad impresa (anche per lo spostamento di singoli operai per l'elevato grado di mobilità intradistretto) in relazione al sapere necessario alla produzione costituisce un grandissimo vantaggio per i distretti, potendo le imprese che vi operano, in questo modo, abbassare i costi di formazione con un correlativo aumento del valore del prodotto.
Tale fenomeno fu paragonato da Rullani all'attività dell'ape la quale “non ha bisogno di essere sapiente in tutto e per tutto se il sapere è diffuso e si moltiplica complessivamente nell'alveare”14
In pratica, ciò che agisce da idoneo substrato e favorisce la circolazione del know how imprenditoriale, all'interno delle imprese distrettuali, è proprio il profondo legame col territorio che le imprese ed i dipendenti che operano all'interno dei distretti dimostrano; un legame socio-culturale basato sulla fiducia, che diventa identità collettiva locale15.
I distretti industriali, pertanto, pur essendo connotati da competitività tra le singole imprese in esso operative (e tale fattore permette un aumento della produzione nonché una corrispondente diminuzione del costo medio unitario del prodotto), si ravvisa in tali realtà anche un elevato grado di cooperazione tra le imprese stesse, nelle modalità sopra descritte, e una forte specializzazione nelle varie fasi del processo di produzione comportando conseguentemente un elevato grado di efficienza dell'intero sistema produttivo.
Il contesto distrettuale e la sinergia tra le imprese in esso operanti diventa, quindi, cruciale. E' quello che alcuni studiosi16 del settore definiscono il setting, poiché nel distretto industriale si realizzano processi di produzione della conoscenza che possono essere definiti unici; è una conoscenza collettiva, un sapere contestuale che rileva quale vantaggio competitivo delle imprese distrettuali, frutto di competenze specializzate, accumulatesi nel tempo.
Da tutto quanto sino ad ora rappresentato ne esce un sistema produttivo caratterizzato da una costellazione di locali “reti di conoscenza” di PMI, specializzate sia per settore che per localizzazione geografica.
La dimensione di rete di conoscenza nel distretto pertanto è strettamente locale,
13 X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxx “I distretti industriali come sistemi locali di innovazione”, pubblicata nella rivista Sinergie, n.24, 2006
14 X. Xxxxxxx, cit.
15 X. Xxxxxxxxxxx, “ Il seggiolaio e l'economia globale. La transizione evolutiva del distretto friulano della sedia attraverso i risultati di una indagine sul campo”, Xxxxxx, 0000.
16 X. Xxxxxxx e X. xxxxxxx, in “Apprendimento collettivo e competitività territoriale”, Milano, 2002.
geograficamente circoscritta ed omogenea per settore produttivo, intendendosi con tale espressione che le imprese partecipanti ad ogni distretto appartengono al medesimo settore produttivo.
Secondo Xxxxxxxxx, ciò che unisce fortemente tra loro le imprese che partecipano al distretto “è una rete complessa e inestricabile di economie e diseconomie esterne, di congiunzioni e connessioni di costo, di retaggi storico-culturali che avvolge sia le relazioni interaziendali che quelle più squisitamente personali”17
La rete distrettuale delle conoscenze pertanto si snoda localmente all'interno del distretto stesso e trova le sue radici nel concetto marshalliano di “atmosfera industriale”, caratteristica specifica dei distretti, volendo con tale concetto evidenziare come all'interno del distretto la comunità e il sistema delle imprese siano elementi indivisibili che condividono valori comuni. L'atmosfera industriale, in altre parole, che consiste nella condivisione di linguaggi, consuetudini e tradizioni assicura un efficiente coordinamento ed integrazione tra le attività complementari svolte dai vari operatori, garantisce una forte economia esterna alle PMI, riuscendo a dare competitività all'intero sistema ed allo stesso tempo consolida la rete delle conoscenze tipica del distretto.
L'atmosfera industriale è il risultato di una lunga evoluzione che ha permesso alla “comunità del distretto” di conservare e tramandare valori e conoscenze propri, tanto da farlo diventare come Xxxxxxxx sosteneva “a factory without walls”.
Tale aspetto rimanda al concetto di capitale sociale18, di cui il distretto ha un'elevata dotazione, ed in esso si può cogliere, tenendo presente la dimensione culturale e sociale del sistema locale, l'esistenza di relazioni di fiducia, di rapporti personali e professionali consolidati che si organizzano in rete. “ La capacità del distretto di potenziare meccanismi e processi di generazione e diffusione di conoscenze si piega soprattutto alla luce della rete di relazioni, fondate sul capitale umano, che rappresentano il substrato su cui si radicano i processi di apprendimento collettivo. La prossimità delle imprese appartenenti al territorio va riconosciuta non solo in senso geografico (come comune appartenenza a un'area territoriale ristretta), ma anche come appartenenza a un gruppo, in cui i diversi attori s'identificano e in
17 X.Xxxxxxxxx Il mercato e le forze locali: il distretto industriale, 1987
18 J.S. Xxxxxxx, “ Social Capital in the Creation of Human Capital”, American Journal of Sociology, n.94,1988; J.S. Xxxxxxx, Foundation of Sociology Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx, 0000; X. Xxxxxxxxx, La gestione strategica del capitale intellettuale e del capitale sociale, Il Mulino, Bologna, 2002, p.
29: secondo cui va distinto il capitale intellettuale, quale “ insieme delle componenti intangibili che,
opportunamente valorizzate, consentono di incrementare in maniera significativa il valore dell'impresa”, rispetto al capitale sociale, che è il complemento contestuale del capitale intellettuale ed “ è l'insieme di relazioni che l'impresa intrattiene all'interno del proprio ambiente”.
cui vi è un clima di fiducia e di coesione sociale”19.
Sotto questo profilo, pertanto, “l'atmosfera industriale” tipica del distretto costituisce l'humus idoneo per la formazione di interdipendenze tra le varie attività delle imprese partecipanti al distretto, relazioni collaborative che si creano e consolidano, divenendo sede privilegiata per la condivisione di informazioni e conoscenza delle tecniche lavorative20
3. Trasformazione dei distretti: gli attori e le imprese leader
I distretti industriali costituiscono anche attualmente una importante forma di aggregamento tra imprese per produrre beni ed al contempo soddisfare la necessità di integrazione degli attori economici. Tali forme di aggregazione spontanea, infatti, sono state in grado di accrescere non solo la competitività delle PMI, ma hanno anche incrementato lo sviluppo dell'export, dell'artigianato e posto limiti alla disoccupazione.
La maggior parte delle imprese appartenenti a distretti industriali si è avviata già durante gli anni d'oro del miracolo economico, ovvero negli anni sessanta, periodo in cui il tasso di crescita dell'economia era pari al 5-6% annuo. Successivamente, intorno agli anni settanta ed ottanta, maggiormente collocati nelle regioni dell'Italia settentrionale e centrale, i distretti hanno contribuito in modo rilevante allo sviluppo delle rispettive regioni in cui erano insediati, mentre l'intero sistema economico stava cominciando a mostrare chiari segni di rallentamento. Negli anni novanta, infine, in fenomeno distrettuale comincia a prendere piede anche nell'Italia meridionale.
Sul fronte attuale dei distretti industriali italiani, invece, va detto innanzitutto che, dopo un periodo di grande sofferenza dal 2008 e per gli anni successivi, negli ultimi tre anni si è invertito il trend. Non è, infatti, più messa in discussione la loro competitività.
Negli ultimi anni per i distretti industriali italiani vi è stato un continuo miglioramento, dimostrato anche dalle statistiche più recenti. Già dai primi tre mesi del 2017, il report di Intesa Sanpaolo ha messo in luce come l’export di ben 147 distretti industriali italiani ha ripreso a correre, mostrando un aumento pari al 6,4% sul primo trimestre del 2016. I livelli delle esportazioni e del saldo commerciale hanno toccato nuovi record del trimestre, salendo rispettivamente a quota 24,1 e 15,6 miliardi di euro. I distretti italiani si confermano, pertanto, centrali nel tessuto produttivo italiano.
19 Xxxxxxx D., I distretti industriali: elementi costitutivi, prospettive d'analisi e aspetti evolutivi, “ Formazione, capitale umano e competitività del distretto industriale”, pubblicato su ωωω.ενχο−χονσυλτινγ.ιτ/valore/valore- puubblicazione/pg015.html
20 I. Nokata e X.Xxxxxxxxx, The Knowlwdge-creating Company: How Japanese companies create the Dynamics oh Innovation, Oxford University press, New York, 1998.
Dai dati attuali, infatti, si evince che da soli rappresentano circa l’80% dell’avanzo commerciale dell’intera industria manifatturiera italiana21. I distretti italiani si stanno dimostrando, ancora una volta, una grandissima capacità di adattamento e ripresa, confermandosi una forza traino per l'economia nazionale e risultando una fonte caratteristica e preziosa per il sistema Italia.
Arrivando ai giorni nostri, secondo l'ultimo rapporto ISTAT sui distretti industriali italiani relativo al periodo 2001-2011, e pubblicato nel 2015, i medesimi nel 2011 sono 141, mentre erano 181 nel 2001, periodo pre-crisi. Essi rappresentano circa un quarto del sistema produttivo del paese sia in termini di numero: 23,15% del totale, sia in termini di addetti ai lavori, assorbendo, pertanto, il 24,5% dell'occupazione nazionale. Un dato tutt'altro che irrilevante.
Per avere cognizione della capillarità ed importanza di questo fenomeno basti pensare che, sempre secondo i dati recenti ISTAT, oltre un terzo dell'occupazione manifatturiera nazionale è assorbita dai distretti e pari al 38%.
21 Dati estrapolati dal rapporto “ Monitor dei distretti”, Intesa Sanpaolo, Direzione studi e ricerche, gennaio 2017.
Da un punto di vista territoriale, il maggior numero di distretti ben 45 è localizzato nel Nord- Est. Ciò si evince chiaramente dalle figure22 qui sopra riprodotte che mettono a confronto la distribuzione, a macchia di leopardo, e il settore produttivo dei distretti esistenti nel 2001, ai livelli pre-crisi, con quella che è la situazione nel 2011, a crisi conclamata.
In relazione al fenomeno dei distretti emerge da sé, già dalla semplice analisi dei dati riportati, l'importanza riconosciuta all'area geografica su cui sono siti i distretti, interesse che ha dato vita al filone di studio della New Economy Geography23, che pone al centro della sua analisi
22 Istat, Censimento dell'industria e dei servizi, “I distretti industriali 2011”, Xxxx 0000.
23 X. Xxxxxxx , Development, Geography and Economic Theory, MIT Press, Xxxxxxxxx, XX, 000: secondo
tale filone di studio dei distretti lo sviluppo dei distretti si basa essenzialmente su un processo collettivo che si autolimita tramite una continua attrazione di addetti che provengono da altre aree, e che si localizzano nel distretto. Tale contesto, a sua volta, incoraggia l'entrata di nuove imprese alla ricerca di una squadra di lavoratori qualificati. L'approccio della New Economic Geography è tuttavia fortemente criticato in quanto considerato riduttivo. Esso focalizza unicamente l'elemento del mercato del lavoro tralasciando gli altri aspetti che caratterizzano il distretto industriale. Secondo Xxxxxxx infatti “ il fenomeno dell'agglomerazione delle imprese è sempre connesso direttamente in maniera causale alla crescita dinamica delle stesse, e alla presenza di crescenti esternalità, solo debolmente mitigate dalla presenza di costi da congestione e/o di costi legati all'urbanizzazione”( X. Xxxxxxx, Distretti e Cluster verso nuove forme di agglomerazione territoriale di imprese, 2003)
l'integrazione tra il concetto dei rendimenti di scala crescenti24 e quello della competizione/concorrenza imperfetta25.
Il già richiamato Monitor dei distretti, elaborato dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo per il 2017, fotografa l'attuale stato dei distretti industriali evidenziandone la particolare ricchezza produttiva e creativa, che coinvolge moltissime regioni italiane e indica anche la forte vocazione all’export e un trend di crescita del primo semestre che fa ben sperare per l’intero 2017. L’aumento delle esportazioni nel primo semestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2016 è stato del 5,2%, che sale al 5,3% considerando solo il secondo trimestre.
Sia i distretti industriali che le reti d'impresa, vista la loro ascesa, si stanno rivelando per le PMI ottimi antidoti alla crisi economica, che ormai sta volgendo al termine, siano essi considerati singolarmente che combinati tra loro.
Come già messo in luce nei precedenti paragrafi, il distretto industriale italiano costituisce un modello basato sulla competitività vista come specializzazione flessibile, ovvero come forma di produzione idonea a rispondere in modo efficace ed efficiente a domande di mercato soggette a continui mutamenti. Il sistema di divisione del lavoro intradistrettuale permette di condividere alcune economie esterne26 specifiche, come quella del mercato del lavoro ad esempio, ed allo stesso tempo di mantenere un continuo scambio di informazioni e conoscenze, tale da consentire agli attori che partecipano alla vita del distretto di programmare sistemi di integrazione versatile della produzione, adattandosi così sia alla domanda che alle necessità produttive.
Sulla base di ciò, il distretto industriale è stato riconosciuto come un modello, ove vige il criterio del bottom up, ossia un modello di strategia di elaborazione dell'informazione e
24 Rendimenti di scala, in inglese return to scale, con tale espressione si intende la relazione esistente tra la variazione degli input di produzione in una unità produttiva e la variazione del suo output. In particolare, con rendimento di scala crescente (increasing return to scale), si intende quell'ipotesi in cui ad un
aumento/diminuzione degli input segue un aumento/ diminuzione più che proporzionale degli output.
25 Per concorrenza imperfetta si intende quella forma di mercato che assume in sé alcune caratteristiche della
concorrenza perfetta e altre caratteristiche proprie del monopolio. La concorrenza imperfetta è una forma di mercato in cui tutti i produttori sono caratterizzati dalle medesime funzioni di produzione e di χοστο, con informazione perfetta, nel senso che tutti dispongono delle stesse informazioni e un'omogeneità, quindi perfetta sostituibilità, dei prodotti.
26 Per economie di scala esterne si intendono economie di scala che invece di riguardare una singola impresa riguardano un intero settore ed apportano tre topologie di vantaggi principali: la specializzazione dei fornitori; lo “spillover” di conoscenza , ovvero acquisizioni di conoscenze tecnologiche dall'estero, tramite
"listening point" costituiti da capitale umano in trasferta all'estero appunto; ed infine la concentrazione del
mercato del lavoro con recupero del capitale umano dall'estero tramite benefit/incentivi salariali.
Una particolare forma di economie esterne è costituita dalle economie di agglomerazione, dovute all'interazione di tipo collaborativo-competitivo che si instaura tra le unità produttive di cui si compone il tessuto produttivo locale, quali ad esempio i distretti industriali.
gestione delle conoscenze (flusso informativo) che prevede una massa di imprese che si auto organizzano mettendosi a sistema e dando così vita ad un progetto imprenditoriale più ampio e complesso rispetto a quello che può essere intrapreso dalla singola impresa.
Secondo alcuni autori27, l'attività del distretto “è caratterizzata da una rete di interdipendenze produttive (spesso attivate da una o più imprese leader), intersettoriale e/o infrasettoriale, tra le singole unità che insieme creano un sistema di produzione: alcune imprese sono specializzate in una o poche fasi del processo produttivo qualificante il distretto, e si collocano a monte o a valle della stessa filiera produttiva (approvvigionamenti e commercializzazione); altre sono impegnate in settori correlati (accessoristica, produzione di macchinari e impianti utilizzati per le rispettive produzioni) e di supporto (attività di servizi) e favoriscono processi di innovazione e sviluppo dei prodotti/servizi realizzati”28.
Una delle motivazioni del successo del sopra descritto modello industriale, come già più volte evidenziato, sta nell'abilità del distretto di innovare, nel senso di saper migliorare i propri prodotti e processi produttivi grazie ad un sistema in cui si articola una fitta diffusione di informazioni ed uno stabile network di relazioni interpersonali. Al processo di produzione del distretto partecipa anche la comunità locale, riuscendo così a rinnovare conoscenze e competenze, capaci di generare come lo stesso Xxxxxxxxx affermava “saperi taciti”, principale fonte di vantaggio competitivo29.
Oltre alle descritte dinamiche strategiche messe appunto dagli attori distrettuali ve ne sono altre che involgono l'impostazione della governance dei distretti.
Una di queste è certamente la delocalizzazione di unità produttive in aree di paesi emergenti, al fine di abbattere i costi del lavoro e di produzione ed immettere sul mercato prodotti a prezzi più competitivi. Tale scelta strategica, sintomo di un calo di competitività, è stata posta in essere principalmente da imprese di dimensioni medio-grandi operanti in settori considerati vulnerabili per la competizione internazionale, quali il tessile ed il calzaturiero.
Va segnalato che i settori che stanno sperimentando le contrazioni più rilevanti, come quelli citati, sono proprio quelli ove maggiore è stato il ricorso al decentramento produttivo, ovvero alla delocalizzazione.
Un'altra strategia posta in essere consta nell'utilizzo di esistenti modelli di aggregazione quali l'incorporazione di imprese distrettuali in gruppi economici o societari, situazione che si realizza sempre più frequentemente. Secondo alcuni autori “i gruppi emergono in
27 X. Xxxxxxxxx, Le PMI localizzate nei distretti industriali, Quaderni di ricerca sull'artigianato, 2010.
28 X. Xxxxxxxxx, cit.
29 X. Xxxxxxxxx, E. Rullani, Sistema locale e mercato globale, in Economia e Politica, n.80, 1993.
conseguenza della necessità di accumulare una massa critica di risorse e competenze strategiche utili al raggiungimento di alcune economie di scala, nonché a sostenere a un livello adeguato di investimenti caratterizzati da ritorni incerti o diluiti nel lungo periodo”30 Recentemente, da parte dei distretti più dinamici si è assistito ad un nuovo fenomeno relativo alla governance del distretto, la ccdd. gerarchizzazione, ovvero un intenso processo di mutamento della struttura interna al distretto, contraddistinto dall'evidenziarsi di alcune imprese più grandi delle altre, ccdd. leader, che assumono un ruolo di guida attiva nel processo di riorganizzazione e sviluppo dei distretti.
Le imprese leader si differenziano dalle altre imprese partecipanti il distretto per la propria capacità di stringere connessioni anche oltre i confini del singolo distretto. Esse si dimostrano molto più adatte a raccogliere nuove fonti di informazioni e conoscenza anche su scala internazionale, assumendo all'interno del distretto un ruolo propulsivo e di rinnovamento nell'ambito della filiera produttiva verso le altre imprese allo stesso partecipanti.
Per l'Osservatorio Nazionale dei distretti italiani “la percentuale d'imprese leader costituisce una piccola quota, sempre più sganciata dalla dimensione locale delle forniture e sempre più alla ricerca di competenze strategiche esterne al distretto che, tuttavia, rappresenta per il resto del tessuto produttivo una forza trainante, capace di fungere da apripista e di attivare innovazioni con ricadute positive sull'intero distretto”31.
In pratica, la presenza di imprese leader nel distretto comporta un rafforzamento dello stesso avanti alle nuove sfide legate all'internazionalizzazione. Due sono le principali strategie poste in essere dai distretti in ordine alla gerarchizzazione al fine di facilitare l'internazionalizzazione:
1) l'affermarsi dell'impresa leader nel distretto tale da funzionare da traino per le altre;
2) legarsi con una impresa leader eterna al distretto.
I distretti che assumono queste configurazioni, riescono a reggere meglio i colpi della crisi rispetto alle singole imprese.
Tale forma di gerarchizzazione nella governance, interna al distretto, ove al vertice si pone l'impresa leader si dimostra idonea anche ad essere il punto di riferimento per sviluppare nuove forme di aggregazione d'imprese, introdotte dalla legislazione nazionale, come ad esempio con la Legge n. 33 del 2009, attraverso i contratti di rete.
Le imprese leader sono, in altre parole, imprese più evolute che diventano leader nel distretto
30 X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, I gruppi di impresa e le nuove forme organizzative del capitalismo locale italiano, in “ L'Industria”, n.2, 2005.
31 Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, rapporto 2012.
proprio per la loro capacita si internazionalizzarsi e di realizzare innovazioni di processo e prodotto. Esse trovano conveniente “frammentare il processo produttivo e distributivo, commissionandone alcuni segmenti ad altre imprese (esternalizzazione o outsourcing). Quindi le altre imprese del distretto, quelle che non hanno saputo evolversi, o soccombono oppure adeguano la loro attività alle esigenze dell'impresa leader, diventando suoi sub-fornitori o suoi distributori”32.
Una accurata analisi del sopra descritto fenomeno della gerarchizzazione distrettuale è stata elaborata dal Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (CNEL) con apposito documento del 18 dicembre 2008, si parla senza mezzi termini di “tramonto del sistema dei distretti”, configurando lo strumento giuridico delle reti d'impresa come necessario da inserire nel tessuto legislativo italiano proprio perché il sistema del distretto industriale italiano tradizionalmente inteso ha perso notevolmente rilevanza.
Il CNEL, in relazione all'imporsi dell'impresa leader come elemento di traino nel distretto, evidenzia che “la presenza di una o più imprese leader ha così determinato un'organizzazione di distretto completamente diversa: un nucleo di medie imprese che gestiscono una filiera di micro e piccole imprese sub-fornitrici” ed al contempo “i processi di delocalizzazione in Italia e all'estero hanno poi esteso la filiera sub-fornitrice dell'impresa leader anche all'esterno del territorio dell'originario distretto”33
Con tali osservazioni il CNEL pare voler prendere atto del profondo ridisegnamento strutturale che il distretto industriale italiano ha dovuto mettere in atto per superare la crisi e trasformandosi in qualcosa di completamente diverso. Secondo il CNEL non vi è più una moltitudine di imprese omogenee tra di loro e profondamente radicate nel territorio, con dimensioni ridotte, caratterizzate da concorrenza ed allo stesso tempo, qualora occorresse, da collaborazione. Ora la struttura del distretto risulta gerarchizzata, con al vertice una impresa, o un gruppo di imprese, leader “che si pone come hub di una filiera o raggera produttiva o distributiva composta da PMI, la quale non ha più un legame particolare con il territorio in cui è localizzata”34
Anche per i distretti industriali del Veneto vale quanto sino a qui rappresentato. Tre sono, infatti, gli scenari ascrivibili alla realtà veneta, lo soccombere del distretto così come sta succedendo per il declino del settore orafo vicentino; la gerarchizzazione per l'occhialeria di
32 X. Xxxxxxxx, Distretti e Reti d'imprese, Unioncamere Veneto, in Eurosportello Veneto, 2009.
33 Consiglio Nazionale Economia e Lavoro ( CNEL), Distretti produttivi e sviluppo. Innovazione e competitività delle imprese, documento dell'assemblea del 18 dicembre 2008.
34 X. Xxxxxxxx, op. cit.
Belluno e la riproduzione evolutiva per il calzaturiero della Riviera del Brenta35
4. Evoluzione dei distretti a seguito della crisi
Per lungo tempo i distretti, all'interno del panorama economico ed imprenditoriale italiano, hanno rappresentato una formula di grande successo, funzionando in modo eccellente all'interno di un sistema economico limitato entro confini regionali e solo in certi casi nazionali. Da ormai oltre un decennio, e particolarmente col manifestarsi della crisi economico-finaziaria del 2008, il fenomeno distrettuale è stato messo a dura prova e le imprese partecipanti stanno perdendo terreno, dapprima con l'apertura al mercato unico europeo e successivamente con la globalizzazione. Questo risultato è dovuto soprattutto all'affacciarsi di nuovi competitori sul mercato, quali quello asiatico in primis, che mano a mano si sono specializzati su settori manifatturieri molto simili a quelli dei distretti italiani, immettendo sul mercato prodotti a prezzi molto bassi. Allo stesso modo i distretti si sono rivelati non interessati nell'introdurre le nuove tecnologie nel processo di lavorazione e produzione, e sono spesso stati tagliati fuori dai processi di internazionalizzazione.
Dall'analisi sino ad ora condotta sui distretti industriali italiani, si può affermare che il successo o il fallimento di questi ultimi non è dipeso poi tanto dal grado di specializzazione o dalla localizzazione geografica in cui sono siti, quanto piuttosto dalle strategie adottate per superare le intrinseche criticità, le quali hanno condotto gli odierni distretti ad una doppia via, come già accennato nel precedente paragrafo: o lasciarsi andare alla crisi con una prospettiva di chiusura o elaborare e mettere in atto una profonda riorganizzazione sistemica.
Tra il 1993 ed il 2008, infatti, le imprese partecipanti ai vari distretti industriali italiani hanno visto assottigliarsi considerevolmente i profili di redditività e produttività.
E partendo da questo dato, in prosieguo, si cercherà di esaminare le varie criticità che hanno condotto i distretti industriali italiani ad un forte rallentamento della loro vitalità e che ne hanno prefigurato al definitiva crisi.
Uno dei più evidenti aspetti critici dei distretti, messo in evidenza dalla crisi del 2008, è stato proprio l'elevato grado di specializzazione settoriale raggiunto dagli stessi. Sebbene inizialmente l'elevata specializzazione costituisse un vantaggio col passare del tempo li ha resi più esposti agli effetti negativi della contrazione d'affari, con un impatto della crisi economica molto più profondo rispetto a quello subito dalla imprese non appartenenti ai distretti.
Lo stesso Xxxxxxxxx, in un suo lavoro, afferma che “il modello organizzativo distrettuale ha
35 Unioncamere Veneto, Declino, gerarchizzazione o riproduzione? I nuovo scenari dei distretti veneti, 2012.
presentato un processo evolutivo caratterizzato da una costante crescita del grado di cooperazione tra le imprese e da tre fasi strategiche: la prima di specializzazione della produzione, la seconda di sviluppo e acquisizione di quote di mercato all'estero, la terza di ridimensionamento e/o rivitalizzazione” 36
Sebbene con il sopraggiungere della pesante crisi economico-finanziaria, molte voci autorevoli del mondo economico, anche internazionale37, avessero dato i distretti industriali come realtà ormai finita, affermando che “le reali minacce per il sistema distrettuale sono collegate ad un errato posizionamento dell'economia nazionale in ambienti poco complessi e competitivi rispetto agli attuali, che ha portato ad una debolezza strutturale ed a conseguenti ritardi strategici ed organizzativi”38, quali dimensioni troppo piccole delle imprese, scarsa propensione al capitale di rischio ed alla ricerca, nonché tutti quegli aspetti caratterizzanti i distretti, che li avevano fatti diventare un fenomeno di traino economico negli anni settanta ed ottanta, quali la cooperazione, l'identificazione impresa-famiglia, la conoscenza tacita, etc., e che si sono trasformati nel lungo termine in limiti veri e propri limiti, rendendo i distretti realtà imprenditoriali, troppo chiuse e statiche, impermeabili ai mutati scenari economici internazionali.
Va tutta via segnalato che verso la fine del 2014, invece, si è registrata una inversione di tendenza. Il fatturato dei distretti industriali italiani è stato persino superiore a quello degli anni precedenti, recuperando i livelli pre-crisi.
Secondo il report annuale redatto da Intesa Sanpaolo39, ove vengono messi a confronto i bilanci dei distretti industriali italiani nel periodo 2008-2015, per 12.000 imprese distrettuali e
34.000 non distrettuali, si è potuto osservare che tra il 2013 ed il 2014 il fatturato annuo dei distretti è cresciuto dell'1% dopo il crollo del 2012 ove si segnalava un dato negativo pari a - 3%.
Proseguendo nella carrellata di recenti dati statistici, si può affermare che per le 278.000 imprese che costituiscono i distretti industriali italiani, disposti a macchia di leopardo sul territorio nazionale, il 42% ha dimostrato una grande propensione all'esportazione, la capacità di attrarre investimenti diretti esteri, 31 imprese partecipate su 100, nonché quella di registrare brevetti :61 brevetti su 100 contro 42 di imprese non distrettuali, e marchi con 39 marchi
36 X. Xxxxxxxxx, L'impatto della crisi sui distretti industriali: tendenze evolutive e scenari futuri Il Ponte, 2010.
37 The Economist
38 X. Xxxxxxxx, Distretti Industriali e processo di globalizzazione: trasformazioni e nuove traiettorie, in Garofoli G.,( a cura di), Impresa e territorio, Il Mulino, 2003.
39 Intesa Sanpaolo, Economia e finanza dei distretti industriali, rapporto annuale n.9, Direzione Studi e Ricerche, dicembre 2016.
distrettuali registrati ogni 100 rispetto ai 20 delle imprese non distrettuali.
Più specificatamente nella regione Veneto, “della calzatura del brenta tra il 2006 pre-crisi e il 2010 non solo non è diminuito, ma è addirittura aumentato del 9.6%, a conferma della dinamicità del distretto”40
Questi dati dimostrano che il fenomeno del distretto è tutt'altro che destinato a morire a seguito della globalizzazione del mercato e della recente forte crisi economica.
Questo è dovuto a più aspetti. Uno dei principali è costituito dal fatto che molte imprese hanno saputo introdurre innovazioni di prodotto e di processo.
Hanno focalizzato su un modello di “economia di qualità”, con particolare attenzione all'ambiente, alla sostenibilità ed alla cultura locale del territorio.
Un altro fattore che ha giocato favorevolmente per i distretti tradizionali, oltre alle innovazioni su prodotto e processo, è l'affermarsi di fenomeni di aggregazione fra imprese, università e politiche regionali, particolarmente evidenti nelle realtà dei ccdd. cluster41 tecnologici. Essi rappresentano l'evoluzione della formula tradizionale dei distretti e sono il frutto della sinergia di diversi enti ed imprese, pubblici e privati, involgendo talvolta anche le politiche e la legislazione nazionale, al fine di coinvolgere le PMI nella realizzazione di attività di ricerca e sviluppo per accrescere il potenziale innovativo, sia a livello locale che nazionale, e restare competitivi con l'estero.
Il costo del prodotto, a seguito del mutato scenario scaturito dall'economia globalizzata, non può più essere il solo fattore tradizionalmente competitivo su cui puntare, per poter prosperare i distretti necessitano di processi di riposizionamento competitivo che prendano in considerazione, come effettivamente molte aziende distrettuali stanno già facendo, elementi diversi allo stesso modo diventati cruciali per la produzione quali la qualità del prodotto e l'innovazione42.
Per concludere una buona parte dei distretti industriali ha reagito alla crisi ed al conseguente cambiamento del contesto competitivo, attraverso forme di ristrutturazione e di internazionalizzazione dell'apparato produttivo, anche a scapito di un allontanamento col territorio locale, elemento inizialmente imprescindibile per l'esistenza del distretto, allentando
40 Unioncamere Veneto, op.cit.
41 I cluster tecnologici o cluster high-tech risultano formati sia da imprese specializzate in fiere produttive tecnologiche specifiche, sia dalle istituzioni quali università, centri di ricerca, enti locali, operatori finanziari pubblici e privati.
42 X. Xxxxxxxxx, Nuovi modelli di relazioni inter-organizzative nei distretti industriali: il ruolo dell'impresa leader, 2001.
anche i legami con soggetti istituzionali come Università, Camere di Commercio, etc.43
Ciò per poter far fronte non solo alla sfavorevole congiuntura economica ma per potersi finalmente confrontare con i nuovi competitori economici che già da tempo sono sul mercato globale. Per raggiungere questo risultato i distretti non possono adottare solo una strategia di sussistenza, in attesa che la crisi passi, quanto piuttosto il cambiamento strategico ed evolutivo dei medesimi va pensato in un'ottica di lungo periodo.
L'effetto combinato di crisi economica e nuovi competitori sul mercato internazionale ha messo in essere per i distretti italiani una profonda trasformazione, da intendersi come graduale transizione, avviatasi già timidamente agli inizi del nuovo millennio, da un vecchio ad un nuovo paradigma produttivo.
Il rapporto dell'Osservatorio affresca così l'attuale condizione dei distretti, “che sotto questa doppia pressione, i distretti industriali italiani stanno riorganizzandole loro filiere, le loro specializzazioni e il loro posizionamento nel mercato mondiale. In un certo senso, dopo la stretta degli ultimi anni, stanno rinascendo, con nuove idee e nuovi modi di generare valore”44.
43 Osservatorio Nazionale dei Distretti italiano, Rapporto 2015
44 Osservatorio Nazionale dei Distretti, op.cit.
CAPITOLO II: LE RETI D'IMPRESA
1. Concetto di rete d'impresa
Il termine “rete d'impresa”, come inteso nel presente elaborato, vuole definire e riferirsi a diversi aspetti della vita imprenditoriale e della realtà giuridico-economica italiana.
Le accezioni che questa espressione oggigiorno assume vanno a designare fenomeni molto differenti tra loro che talvolta possono addirittura sovrapporsi.
Si rende, pertanto, necessario per fare chiarezza e procedere alla disamina dei vari fenomeni ed accezioni che la predetta espressione assume.
Va innanzitutto detto che per reti d'impresa45, da un punto di vista prettamente economico, si intendono quelle reti di conoscenze ed informazioni, di investimenti in comunicazione, in logistica, in sistemi di garanzia verso il cliente, ect. che, come descritto nel capitolo precedente, caratterizzano da sempre e profondamente le potenzialità del distretto industriale italiano, e che hanno evidenziato particolarmente la loro importanza proprio nel protrarsi del periodo di crisi dal quale stiamo lentamente uscendo. E' fondamentale oggi più che mai che ogni distretto faccia uso della ccdd. “economia della conoscenza”, se intende non soccombere al mutato panorama globalizzato dei mercati. La conoscenza si è infatti rivelata un fattore chiave di modernità da veicolare all'interno dei sistemi di produzione ed esportazione anche sui mercati non nazionali, per cui “lo sviluppo dei distretti è nella sostanza connesso allo sviluppo dell'economia basata sulla conoscenza, che dipende soprattutto dalla ricerca, dalla qualità del capitale umano, dall'esistenza e dall'efficienza delle “reti” e dalla capacità di creare “imprese a rete”46. Inoltre,“la creazione di una nuova conoscenza implica un processo di interazione che permette la trasformazione della conoscenza tacita (know how) in conoscenza codificata e quindi un flusso di ritorno finalizzato all'interiorizzazione o assimilazione graduale delle conoscenze codificate nei comportamenti individuali, che porta infine a cambiamenti nelle attività di produzione concrete e quindi nello sviluppo di nuove forme di conoscenza tacita”47.
In pratica, per dirsi ancora attualmente valido il modello marshalliano dei distretti industriali
45 L'espressione “reti d'imprese” in tale accezione è stata ampiamente utilizzata da X. Xxxxxxx “Economia della Conoscenza, Creatività e Valore nel Capitalismo delle reti”, Xxxx 0000.
46 X. Xxxxxxxx “I Distretti Industriali in Italia quale Modello di Sviluppo Locale: Aspetti Evolutivi, Potenzialità e Criticità” Centro di ricerche in analisi economica e sviluppo economico internazionale, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2008.
47 X. Xxxxxxxxx “ Sviluppo locale e reti di conoscenza ed innovazione” OS.E.L.R.-Osservatorio sulle Economie Locali e Regionali, Dipartimento di Economia e Istituzioni, Università di Roma “Tor Vergata”, 2002.
italiani si è reso necessario trasformare le imprese di ogni sistema di produzione specializzato in un'organizzazione di imprese “a rete”, “dove con tale termine si intende una struttura indivisibile di interdipendenze (interazioni, relazioni, connessioni) che modifica in quantità e qualità, le prestazioni dei soggetti in essa inseriti”48.
Le ragioni per cui tra i vari modelli è prevalsa la scelta per il sistema distrettuale a rete vanno riconnesse sia ai sistemi di relazione noti dal secolo scorso, che sono mutati per essere in grado di utilizzare conoscenze generative49 e replicative50, tipiche dei sistemi globalizzati e digitalizzati come quello attuale, e sia al ruolo dei diversi attori quali imprese, istituzioni locali, università ed enti di ricerca, banche ed intermediari finanziari, che possono creare una squadra capace di innalzare il grado di competitività dei distretti stessi, “in quanto concreta espressione del capitale sociale, cioè di quell'importante risorsa costituita dal tessuto relazionale in cui individui ed istituzioni interagiscono sulla base di rapporti fiduciari, norme, interessi ed obiettivi condivisi”51.
L'evoluzione in corso, che sta portando alla riorganizzazione dei distretti e ricollocazione degli stessi nei mercati mondiali, ha messo, pertanto, in evidenza tre tipologie di rete cognitiva, ovvero tre sistemi di relazioni e divisione del lavoro. Esse sono, brevemente, i cluster creativi che da locali stanno diventando metropolitani52, le reti cognitive mondiali53 e
48 X. Xxxxxxxx, op. cit.
49 Col termine conoscenze generative si intendono quelle conoscenze e informazioni che “richiedono l'impiego dell'intelligenza fluida degli uomini per gestire complessità che le macchine o le procedure standard non sono in grado di affrontare. Dunque, esse non sono né facilmente riproducibili né mobili, perché restano
legate alla mente degli uomini e alla qualità (unica) dei contesti che le hanno prodotte. Produrle costa molto,
ma fa la differenza tra le diverse funzioni che sono presenti nelle filiere.” Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani, pag.79.
50 Col termine conoscenze replicative si intendono “le conoscenze che sono codificate in modo standard (impersonali e non vincolate ad un particolare contesto). Le conoscenze codificate possono – grazie alla globalizzazione e alla digitalizzazione- essere moltiplicate ( a costo zero) nel grande mercato mondiale,
avendo accesso ad un numero di potenziali riusi molto maggiore di quanto era possibile in precedenza. In
aggiunta, la codificazione che incorpora una conoscenza in un algoritmo, in una macchina, in una procedura astratta, in una app, rende la conoscenza trasferibile da un luogo all'altro. Le conoscenze replicative diventano, dunque, mobili, perdono le “radici” che, in passato, le legavano ai territori di origine. Di conseguenza, esse vengono attratte dai paesi che le possono usare in modo vantaggioso ( minori costi, minori vincoli o maggiori capacità locali)”.Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani, pag. 79.
51 X. Xxxxxxxx, op. cit.
52 Col termine cluster creativo si intende una forma distrettuale “frutto dell'evoluzione spontanea e dell'apprendimento condiviso, socializzato dalla prossimità. Le buone idee, in altre parole, circolavano o erano imitate procedendo per prove-ed-errore: alla fine, per effetto di questa permeabilità informale, le
buone idee proposte dagli uni diventano buone idee e innovazioni anche per gli altri, o per nuovi entranti.
Insomma, il distretto si caratterizzava, per le imprese in esso localizzate, come una sorta di cluster “naturale”, che prendeva forma e si evolveva nel tempo per forza propria, spontaneamente. Senza investimenti, codici e contratti finalizzati allo scopo” Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani, pag. 81.
53 Col termine rete cognitiva si intende la rete cognitiva del distretto “facilmente accessibile alle imprese e alle
le filiere operative che anche queste da “corte” e locali stanno diventando mondiali54. Queste tre forme di rete cognitiva coesistono e si integrano vicendevolmente all'interno del distretto, ma oggi la prossimità geografica che caratterizzava l'impostazione del primo modello tradizionale di distretto è diventata un limite ed un pericolo per la sopravvivenza del distretto stesso. Ecco che, dunque, le tre menzionate forme di rete cognitiva stanno a loro volta evolvendo e ciascuna di esse sta cercando di trovare una nuova dimensione, “scavalcando i confini della prossimità geografica. In direzioni e con ritmi differenti”55.
In altre parole, si può affermare che attualmente i distretti industriali hanno iniziato a proiettarsi verso le sopra menzionate reti della creatività globale, nuove forme evolute delle precedenti reti relazionali di stampo tradizionale, cercando di valorizzare sia le loro competenze “storiche”, ossia della produzione tradizionale, sia cercando di inserirsi in un nuovo quadro di relazioni e specializzazioni a livello internazionale.
Allo stesso modo, anche le reti cognitive classiche stanno mutando in qualcosa di nuovo. Sono diventate propagatrici di conoscenze codificate ed operano nel grande mercato globale del sapere tecnico e tecnologico, come “modelli di comunicazione anche grazie alla connessione di tutti con tutti che si realizza nel networking digitale”56
Dal 2009 in poi l'espressione, “rete d'impresa”, designa, sotto il profilo puramente giuridico, anche un istituto di nuovo conio, introdotto dalla L. n. 33/2009. La richiamata normativa regola giuridicamente nuove forme di aggregazione tra imprese, diverse dal distretto industriale e per loro natura non ancorate ad uno specifico territorio. Tale nuova forma di aggregazione riconosciuta dal nostro Ordinamento consente alle imprese che vi partecipano di mettere in comune sia attività che risorse al fine di migliorare e rafforzare la competitività delle aziende, nonché il funzionamento delle stesse, proprio grazie alla collaborazione con altri soggetti, potendo così realizzare obbiettivi molto più rilevanti ed ambiziosi di quelli che potrebbe permettersi la singola azienda a causa delle ridotte dimensioni, come ad esempio
persone in esso operanti, grazie all'addensamento di sapere nel settore di specializzazione. In ciascun distretto, in effetti,l'accumulazione di sapere specializzato poteva svilupparsi- grazie ai fornitori specializzati, a lavoratori esperti e alla circolazione delle buone idee imprenditoriali- meglio che altrove, potendo contare sulle economie di scala dovute alle numerose forme di condivisione territoriale delle conoscenze, su base informale e inter-personale”.Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani, pag. 81.
54 Col termine filiere operative si intende una filiera produttiva “in prevalenza organizzata su base locale, attraverso la divisione del lavoro che sosteneva la specializzazione delle funzioni e l'integrazione di prossimità. Solo materie prime, energia ed export facevano parte di circuiti più estesi e al limite mondiali:
per il resto, prevaleva la logica della “filiera corta”, in cui la fiducia reciproca rende facile la contrattazione
e il controllo di qualità, puntualità, accuratezza delle prestazioni”. Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani pag. 81.
55 Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani pag. 81.
56 Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani pag. 82.
inserirsi in aree di mercato a livello internazionale altrimenti inaccessibili. Questa forma di aggregazione giuridica permette, dunque, di accrescere la propria competitività e forza sul mercato senza tuttavia dover rinunciare alla propria autonomia individuale sia a livello operativo che giuridico per ogni azienda che vi partecipi. “La loro dimensione relazionale tende a travalicare non solo i confini regionali, ma anche quelli nazionali. Sono Reti che oltrepassano l'ambito produttivo specifico diventando multisettoriali. Operano per lo più sul fronte della ricerca e dell'innovazione, grazie anche ai progetti di partnership e alle collaborazioni con le istituzioni universitarie e le altre strutture di ricerca, sia pubbliche che private”57.
2. Rapporto tra distretto industriale e rete d'impresa: la dimensione distrettuale del network
I distretti industriali italiani pur nelle loro peculiarità di funzionamento, le quali li hanno resi flessibili ed efficaci nello scenario economico pre-crisi, col tempo hanno rivelato le loro fragilità. Una di queste è sicuramente il fatto che essi siano“in realtà formazioni acefale, prive di una “testa” che possa guidare i cambiamenti... occorrono decisioni collettive, prese da attori collettivi che abbiano la capacità di guardare al sistema nel suo insieme... l'economia globale induce un drammatico bisogno di autogoverno”58.
Tale affermazione fatta da autorevoli studiosi del settore in tempi pre-crisi, e precisamente agli inizi del nuovo millennio, ha previsto con xxxxxxxxxxxx quello che si sarebbe rivelato poi un punto debole di sistema. Attualmente, dunque, al fine di agganciarsi al treno della ripresa economica è necessario per i sistemi locali, quali i distretti, evolvere e riposizionarsi competitivamente, eliminando gli elementi di contraddizione59. Uno dei più cruciali elementi di contraddizione è quello di essere reti contestuali fondamentalmente chiuse verso l'esterno. Per invertire la rotta è, quindi, necessario da un lato investire sul sapere innovativo e qualificare “in termini di eccellenza mondiale” le relative competenze dei sistemi locali; dall'altro è utile che il processo di trasformazione intrapreso porti ad un sistema plurimo di connessioni globali, organizzato “a rete” secondo le tipologie di reti creative, cognitive ed operative (esaminate nel precedente paragrafo). Questa chiusura, che inizialmente nel distretto
57 “Distretti Industriali, Reti Innovative Regionali e Aggregazioni di impresa” a commento della L.R. n.13/2014 in xxx.xxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxx-xxxxxxxxxx/xxxxxxxxx-xxxx-x-xxxxxxxxxxxx-xx000000
58 X. Xxxxxx, X. Xxxxxxx, “Rapporto sui principali distretti industriali italiani”, Rapporto di ricerca, consorzio A.a.s.t.e.r., 2001.
59 Alcuni importanti autori, quali Xxxxxxx e Xxxxxx parlano a riguardo di location paradox, ove con tale espressione si vuole sottolineare la contraddizione tra globalizzazione e localizzazione in cluster.
funzionava da collante sociale rafforzando la coesione interna e l'identità collettiva, si è rivelata nel nuovo contesto competitivo come un gravoso limite per il distretto industriale. Ciò che la gran parte degli autori e studiosi del settore da parecchio tempo vanno sollecitando è il superamento del modello tradizionale che non va disatteso però del tutto. Gli studiosi rappresentano come, intraprendendo il giusto percorso evolutivo, nel prossimo futuro “il distretto si qualificherà ancora come un luogo “unico”, ricco di capacità generative e contestuali non reperibili altrove, e – dunque - come un luogo rilevante delle filiere, in esso innervate”60. Per raggiungere questo risultato di riposizionamento, però, il distretto non dovrà più essere ancorato ad un solo luogo, ma diventare un nodo nel quale si integrano e sovrappongono le menzionate reti creative, cognitive ed operative (reti lunghe in tale contesto e non più corte, nonché comprensive di relazioni a distanza) in modo che queste funzionino da moltiplicatori della produzione ed aumentino l'efficienza.
E' per i sistemi locali fondamentale riuscire a prendere parte ad “un circuito complesso, in cui siano presenti cluster creativi plurimi e non solo locali; reti cognitive estese, in cui travasare codificandolo, il sapere pratico e informale di oggi; filiere operative da costruire riallocando a scala mondiale funzioni e attività in precedenza concentrate in singoli luoghi”61.
Il distretto deve superare anche la menzionata struttura acefala per farsi centro unico di riferimento, ecco che, non solo sotto l'aspetto strettamente economico-operativo ma anche sotto quello normativo è inevitabile che il tradizionale distretto italiano viri, come ha già cominciato a fare in parecchi casi, verso reti transnazionali e per far ciò il legislatore si è reso conto che era necessario introdurre nuove forme giuridiche riconosciute dal nostro Ordinamento. Anche su tali basi e per questi motivi è stato introdotto, con L. n. 33/2009, lo strumento della rete d'impresa.
A tal proposito il CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e Lavoro) afferma come con lo strumento normativo introdotto “si prefigura il superamento del distretto industriale, monosettoriale e strettamente confinato in un territorio storicamente determinato a favore di una rete d'impresa che dovrebbe preludere alla crescita delle dimensioni d'impresa”62.
Va segnalato a chiusura di quanto sino ad ora rappresentato, che anche il documento di sintesi del disegno di legge (DDL) Bersani (ccdd. Industria 2015), ponendosi sulla medesima riga delle riflessioni condotte dal CNEL, affermava come con le reti d'impresa fosse in arrivo “un'opportunità per le piccole imprese di aumentare la massa critica necessaria per muoversi
60 Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani pag. 83.
61 Rapporto 2015, Osservatorio Nazionale Distretti Italiani pag. 84.
62 CNEL, op.cit.
al meglio sul mercato: diventare “rete” spiegando che “le PMI che non vogliono fondersi e scelgono di diventare rete acquisiscono maggiore forza contrattuale nei confronti dei terzi (quali ad esempio, banche, fornitori, committenti e, in alcuni casi, fisco), pur non essendo controllate da un unico soggetto”63.
Riassumendo brevemente, dunque, il modello del distretto industriale caratterizzato da reti cognitive locali trova nel nuovo contesto economico notevoli difficoltà, rivelandosi non più competitivo rispetto ai concorrenti. Per poter superare questo impasse, causato sia dalla crisi economica, sia da un mutamento dei mercati e dei concorrenti, cambiamento che ha reso le reti di imprese che sostenevano e davano linfa al distretto del tutto insufficienti ed obsolete, è necessario che per prime evolvano proprio le reti cognitive, creative ed operative che caratterizzano il distretto.
Esse devono attingere all'economia della conoscenza, impadronirsi della dimensione digitale, ed internazionalizzarsi, operando in sinergia tra di loro ed integrandosi vicendevolmente. Oltre alle predette reti d'imprese, ne va aggiunta un'altra di natura prettamente giuridica, ovvero la rete d'impresa prevista dalla L. n.33/2009 e s.m.i. Strumento normativo che va a sovrapporti alle altre già citate reti distrettuali, e che può applicarsi più liberamente sia al distretto (e fornirgli così uno sgabello per l'internazionalizzazione), sia per agglomerati di imprese non distrettuali al fine di renderle più forti verso la concorrenza e più competitive.
3. Tipologie di reti d'impresa: le reti per l'innovazione locale e globale e i meta-distretti
Nei due precedenti paragrafi sono state analizzate le reti economiche che strutturalmente costituiscono il network del distretto (ovvero le reti cognitive, le filiere operative e le reti creative), nonché le loro caratteristiche e i loro punti deboli. Sono stati, altresì, rappresentati gli scenari evolutivi auspicati dagli studiosi più autorevoli del settore, i quali hanno tracciato vie d'uscita dalla crisi che molte realtà imprenditoriali locali hanno già intrapreso fruttuosamente. Una di queste vie è certamente rappresentata dalla capacità di innovazione che parecchi distretti hanno saputo dimostrare.
Da decenni, infatti, il sistema imprenditoriale italiano viene accusato di non innovare e, conseguentemente a questo, di non essere più competitivo sul mercato. Ciò è dovuto, più che all'avversione del nostro sistema produttivo all'innovazione, anche alle scarse risorse che le istituzioni destinano al settore della ricerca e dello sviluppo. Nel nostro Paese vi sono, infatti,
63 Relazione illustrativa a “Industria 2015” nome sintetico del disegno di legge per la competitività ed il rilancio della politica industriale, approvato il 22 settembre del 2006
bassissimi investimenti in ricerca e sviluppo sia da parte delle Pubbliche Amministrazioni che da parte del sistema produttivo privato. Tale aspetto critico è stato ulteriormente acuito dalla crisi internazionale che per un decennio ha attraversato anche il nostro Paese, e che ha messo in luce, secondo la maggior parte delle recenti statistiche, imprese statiche, legate a modelli del passato o chiusi, che non paiono in grado di stare al passo con i tempi e con i cambiamenti in atto.
Specificatamente per quanto riguarda i distretti industriali, questi sono stati tacciati come “coloro il cui sviluppo dei lustri trascorsi fosse determinato più da vantaggi di costo, che dal carattere innovativo delle proprie proposizioni, piuttosto che dalla flessibilità o dalle competenze professionali lì allocate”64.
In realtà, tale valutazione negativa dei distretti industriali italiani attualmente è dovuta in particolare ai metodi ed ai criteri di analisi impiegati, che spesso si sono dimostrati inefficaci di cogliere il dato vitale del fenomeno distrettuale italiano anche in periodo di crisi.
I distretti industriali sono stati, infatti, spesso interpretati alla luce di indicatori internazionali al fine di compararli a quelle di altri competitors stranieri. Tali metodi hanno però evidenziato carenze metodologiche rilevanti65 che non hanno saputo cogliere il vigore dei distretti, realtà peculiare italiana come già ampiamente analizzato nel precedente capitolo difficilmente paragonabile a quella di altri cluster66 stranieri.
La stessa Unione Europea stilando le classifiche a seguito di studi67 sul fenomeno sui distretti industriali, ha preso a riferimento come parametro di misurazione del livello di innovazione raggiunto il numero di brevetti depositati, senza considerare che all'interno del distretto industriale italiano questo tipo di innovazione non sempre utilizza i canali formali (ossia tramite il deposito del brevetto), ma spesso e volentieri segue percorsi diversificati, particolarmente nelle PMI, ove tale dato (numero di brevetti depositati) non viene spesso considerato nemmeno nel relativo bilancio d'azienda. Del tutto erroneo è quindi valutare sulla scorta di tali indicatori, i quali si attagliano maggiormente a realtà imprenditoriali strutturate e di grandi dimensioni e non prendono in considerazione, invece, strumenti idonei ad innovare tipici del distretto industriale italiano quali l'osservazione imitativa, gli spin off aziendali, etc. Il criterio valutativo nel numero di brevetti depositati, infatti, parte da un “modello di
64 X. Xxxxxx. X. Xxxxxx, “Imprese distrettuali e processi di innovazione”, Osservatorio Distretti 2012.
65 Sul punto vedasi Studio realizzato da Xxxxxx e commento di X. Xxxxxxxxx, Processo alle classifiche sulla competitività, in “ Il Sole 24 Ore”, 17/01/2009.
66 I distretti italiani si differenziano dai cluster poiché questi ultimi sono generalmente indotti da grandi imprese e spesso privi di ogni connotazione territoriale e socio-culturale.
67 OECD/European Communities, Oslo Manual, guidelines for collecting and interpreting innovation data,
2005.
innovazione” che, come anzi detto, non è quello italiano e che si discosta di molto da quel background che ha invece permesso al distretto italiano di agire sin dalle sue origini come sistema di innovazione 68.
I distretti nostrani hanno spesso dimostrato di saper adattare progressivamente la produzione alla domanda, anche quando quest'ultima presentava variazioni marginali, attraverso metodi di innovazione incrementali non rilevabili dagli indicatori che normalmente vengono utilizzati per identificare il livello di innovazione quali ad esempio investimenti nei settori di ricerca e sviluppo (R&S), o in brevetti e così via.
L'innovazione del distretto italiano, normalmente a rete o a filiera, si svolge mediante canali che non sono tout-court riassumibili sotto la voce innovazione tecnologica, ma che si estrinsecano sotto molteplici profili quali ad esempio l'organizzazione della filiera medesima, il servizio al cliente, il marchio, l'attribuzione del valore del prodotto anche attraverso lavorazioni artigianali o personalizzate, etc.69
Il sistema dei distretti italiani, come tutti i distretti di origine marshalliana, funziona, piuttosto, sulla base di processi innovativi ccdd. “senza ricerca”, dimostrandosi sistemi locali assolutamente sui generis per quanto riguarda sia il tipo d'innovazione perseguita che il modo in cui la stessa viene sviluppata. Sono sistemi che particolarmente in passato hanno funzionato sulla base di una logica chiusa e non aperta all'innovazione ed all'internazionalizzazione: il loro mercato era aperto solo a valle, ma non nella fase produttiva, ed ha saputo distinguersi proprio per la capacità “autorigenerante”, reperendo o plasmando le risorse umane e cognitive necessarie70 in loco. In altre parole, “il modello distrettuale si configura pertanto come un sistema di innovazione scarsamente guidato da fattori istituzionali (mondo della ricerca, istituzioni, etc.) e ancorato invece a relazioni face to face, conseguenti alla contiguità fisica tra gli attori”71.
Completamente inversa, rispetto a quanto appena rappresentato, è invece la logica strategica
68 X. Xxxxxx e X. Xxxxxx, op. cit., sul punto sostengono che “la costruzione di indicatori utili a realizzare comparazioni su vasta scala sono indispensabili: definiscono una cornice, permettono di realizzare un benchmark. Tuttavia, sono un elemento necessario, ma non sufficiente, a descrivere i reali fenomeni
economici. Esiste un problema di criteri e di metodologie di rilevazione che non è in grado di cogliere le
modalità attraverso cui l'innovazione si dipana, soprattutto per quello che riguarda la specificità del nostro paese”. La medesima tesi è sostenuta da S. Trento, Innovazione e crescita delle imprese nei settori tradizionali, CSC Working Paper n.57, Centro Studi Confindustria, Roma, 2007.
69 X. Xxxxxx (a cura di), L'Italia delle imprese, Quaderni FNE, Collana ricerche n.63, Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxxx Xxx, 0000.
70 Cfr. G. Coro, X. Xxxxxxxxxxx, “Strategie di delocalizzazione e processi evolutivi nei distretti industriali italiani”, in “L'industria”, anno XX, n.4 ottobre-dicembre 1999.
71 X. Xxxxx, Dai sistemi locali ai network de-territorializzati: verso i meta-distretti e le reti tra distretti, pubblicato in Sinergie n. 83, 2010.
che ha condotto i distretti attualmente esistenti ad innovare per aumentare la loro competitività. Si sostiene infatti che “in merito ai sistemi distrettuali (siano essi marshalliani o ad alta tecnologia), il vantaggio competitivo e l'innovatività aziendale discendono pertanto dal processo di apprendimento collettivo che si è generato in un'area grazie al network territoriale; in altri termini, le imprese non sarebbero in grado di innovarsi senza “lavorare insieme” agli altri attori del sistema locale”72. Si fa cruciale per l'esistenza e la capacità di innovare distrettuale, pertanto, la presenza del network composto sia da imprese pubbliche che private, nonché da attori istituzionali come università, centri di ricerca, etc.
Il territorio per il distretto locale che si evolve innovandosi e globalizzandosi, diventa un elemento imprescindibile ma allo stesso tempo non più vincolante come in passato, per tutte le ragioni già esposte. Ciò ha dato la possibilità che si formassero nuovi sistemi territoriali di aggregazione tra imprese e da qualche anno si sta assistendo, infatti,alla creazione dei meta- distretti ed a fenomeni di aggregazione come le reti tra imprese.
Per scelta espositiva, nel presente paragrafo verranno qui di seguito analizzati i meta-distretti, sulla base della loro forte connotazione all'innovazione aziendale (vedasi i ccdd. distretti high tech o ICT (Information and Communication Technologies)), mentre nel successivo paragrafo viene maggiormente trattata la figura delle reti tra distretti in relazione alla loro tendenza trans-territoriale e più connessa al fattore internazionalizzazione, anche se non certamente privo di innovatività.
Con l'espressione meta-distretto si intende l'insieme delle imprese in collaborazione tra loro che non siano però appartenenti tutte al medesimo distretto, quanto piuttosto in zone territoriali diverse. In esso vengono elevati i livelli di integrazione nella complementarietà delle competenze tra imprese, dando spazio alla multisettorialità, all'attenzione per la ricerca e la sperimentazione. I meta-distretti, ovvero sistemi che travalicano la struttura del singolo distretto per involgere altre imprese, sono diventati uno strumento di governance per i sistemi locali anche a livello normativo, attraverso la legislazione regionale in particolare che per prima li ha riconosciuti.
La Legge Regionale n.8 del 2003, successivamente modificata dalla L.R. n.5 del 2006 ha definito il meta-distretto come “un distretto produttivo che presenta un'estesa diffusione della filiera sul territorio regionale, risultando uno strumento strategico per l'economia della regione”.
72 X. Xxxxx, Dai sistemi locali ai network de-territorializzati: verso i meta-distretti e le reti tra distretti, op. cit. Conformi a tale indirizzo anche X. Xxxxxxx, “Innovation Network: Spatial Perspectives” Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxx, “Proximity and complexity in the emergenceof high technology industry:
The Oxbridge comparison”, Geoforum, vol.29, n.4, 1998.
Se comparato con il distretto industriale tradizionale, il meta-distretto presenta diversi elementi di novità ed è un salto di qualità vero e proprio se considerato il contesto territoriale ed imprenditoriale italiano. Il distretto tradizionale è caratterizzato, infatti, da una forte territorialità che viene meno nel meta-distretto, il quale non risulta più circoscritto ad un ristretto numero di comuni. Grazie alle ICT, infatti, si è potuta così superare la co- localizzazione delle risorse e delle relazioni. “Nei meta-distretti, il sistema delle relazioni oltrepassa la scala locale e diviene regionale o nazionale e potenzialmente globale poiché la diffusione dell'ICT consente di moltiplicare relazioni virtuali che permettono di accedere a opportunità sia cognitive, sia commerciali prima assolutamente inimmaginabili”73.
Il dato territoriale non viene però del tutto abbandonato, nonostante la globalizzazione. Questa ne ha semplicemente cambiato la scala di riferimento, ampliandola e passando da una dimensione di impresa locale aderente a pochi comuni limitrofi ad aree discontinue e molto grandi.
Altro elemento di novità rispetto al distretto tradizionale è la già annunciata multisettorialità, poiché partecipando più distretti ed imprese al meta-distretto anche appartenenti a settori merceologici, produttivi o comparti diversi, si può porre in essere tutta una serie di servizi ulteriori non solo ai clienti ma anche per le stesse imprese che partecipano al meta-distretto. Data la loro rilevanza i meta-distretti possono permettersi di instaurare forti legami ad esempio con i centri di ricerca al fine di innovare. “E ciò sembra anche condizionare la a- territorialità di queste entità: più il livello di ricerca risulta generalizzato e poco specialistico, maggiore è il legame con il contesto produttivo locale; mentre per le aziende altamente specialistiche, sia per il tipo di ricerca sia per le competenze richieste, il livello di integrazione e penetrazione con il territorio diventa o provinciale o regionale o addirittura nazionale”74. In pratica, nei meta-distretti la contiguità fisica che ha caratterizzato le relazioni dei distretti del modello tradizionale si è trasformata in contiguità delle reti tra imprese che appartengono alla medesima filiera anche se non appartenenti tutti al medesimo distretto75, ma allo stesso tempo le nicchie di mercato esterne che i distretti tradizionali si sono conquistate in anni ed anni di lavoro e di continuo miglioramento non vanno perse ma esaltate su una nuova
73 X. Xxxxx, op.cit., del medesimo indirizzo: X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, “Dai distretti ai metadistretti: una definizione”, Luic Papers, n.96, Serie Economia e Istituzioni 3, 2001.
74 X. Xxxxx, op. cit.
75 X. Xxxxxxx, “Tra tradizioni locali e competizione globale: introduzione al fenomeno dei distretti industriali in Italia”, in Piccole imprese e distretti industriali. Politiche per lo sviluppo in Italia e in America Latina, Il Mulino, Bologna, 2006.
scala più ampia (internazionalizzazione) ed evolute a nuovi livelli76 (innovazione).
Per calare il discorso sino a qui intrapreso in termini più pratici si può osservare come i meta- distretti si pongano come una sorta di sintesi tra quello che era il sistema tradizionale di valorizzazione del territorio ed allo stesso tempo riescano a soddisfare l'esigenza di aprirsi a nuovi orizzonti per potenziare ed estendere quelli che inizialmente erano sistemi locali. Ad esempio il distretto veneto del legno-arredo che si mette in filiera con quello del design di Milano, piuttosto che rimanere attività produttive singole focalizzate in aree circoscritte.
4. Le reti per l'internazionalizzazione e le reti di distretti
Un'altra via che si coniuga strettamente a quella dell'innovazione ed al rapido mutamento dello scenario economico nonché del contesto produttivo in corso, tanto da portare alla necessità di ripensare all'impresa in forme diverse, è quella della internazionalizzazione. L'apertura sui mercati esteri da parte dei distretti italiani operativi si dimostra essenziale. L'internazionalizzazione ha funzionato, infatti, nei distretti come elemento di spinta per le imprese che vi partecipano al cambiamento verso una innovazione elevata e continua.
Si fa osservare che il tessuto industriale italiano è prevalentemente costituito da piccole e piccolissime imprese: le piccole e medie imprese occupano oltre l'80% della forza lavoro del Paese e rappresentano il 75% del Pil77. E' stato necessario, dunque, inserire ed attivare strumenti idonei a fronteggiare la competizione a livello mondiale e poter superare la dimensione locale, sviluppando una cultura della condivisione ed una progettualità comune al fine di riposizionarsi nel mercato globale.
Con l'internazionalizzazione si è osservato prevalere da parte dei distretti la logica del presidio di fette del mercato estero al fine di dimostrarsi il più possibile vicino al cliente e capaci di interpretare le sue esigenze, piuttosto che nella forma della delocalizzazione, verificatasi in un primo tempo e che considera il profilo transnazionale solo come utilizzo di aree per lo sbocco della propria produzione. In sintesi si può ben affermare che l'innovazione e l'internazionalizzazione siano strettamente connesse ed che anzi le imprese distrettuali più si internazionalizzano più innovano e viceversa.
Alcuni studi78 condotti sui distretti italiani in ambito di innovazione ed internazionalizzazione
76 Cfr. X. Xxxxxxxxx, “Traghettiamo i nostri distretti italiani oltre la crisi”, Il Ponte n.6, 2009.
77 “Distretti Industriali, Reti Innovative Regionali e Aggregazioni di Impresa” a commento della L.R. n.13/2014 in xxx.xxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxx-xxxxxxxxxx/xxxxxxxxx-xxxx-x-xxxxxxxxxxxx-xx000000.
78 X. Xxxxxx (a cura di) “L'Italia delle Imprese, Rapporto 2010” Fondazione Nord Est; dello stesso tenore X. Xxxxxx, Innovazione, capacità di assorbimento e capacità relazionale all'interno dei distretti industriali: una verifica, paper presentato alla XXXII Conferenza Società Italiana di Scienza Regionale, 2011.
hanno posto in rilievo il grado di innovazione raggiunto. Si è dimostrato, infatti, che il successo dell'attività svolta dipende attualmente sempre di più dalle capacità distrettuali di saper assorbire conoscenze codificate, particolarmente su scala internazionale, idonee a innovare e caratterizzare il prodotto anche in modo radicale.
L'internazionalizzazione dei distretti è stata influenzata particolarmente da due fenomeni che hanno interagito nell'ultimo decennio. Il primo è relativo al processo di produzione e circolazione delle conoscenze considerate rilevanti per l'innovazione. Tali conoscenze sono emerse come fondamentali a seguito della globalizzazione che ha investito anche gli stessi processi produttivi aziendali. Il secondo fenomeno riguarda, invece, i processi innovativi, i quali sono sempre più codificati e necessitano di conoscenze scientifiche formalizzate.
I distretti, pertanto, in tali circostanze hanno dovuto dimostrare in primis di saper riconoscere le fonti esterne di conoscenza necessaria e poi di interagire con le medesime utilizzando anche linguaggi tecnici e specialistici che non gli sono propri, in quanto diversi da quelli che tradizionalmente hanno condivisi al loro interno.
Oggi, molto più che in passato, l'innovazione e l'internazionalizzazione dei distretti industriali risultano essere profili strettamente connessi, tanto che all'interno dei distretti è possibile riconoscere diverse tipologie di imprese a seconda del grado di innovazione e la propensione all'internazionalizzazione raggiunti.
La prima tipologia di imprese riconoscibile è la ccdd. impresa leader che presenta una elevata capacità di proiettare le proprie relazioni oltre i confini distrettuali locali. Essa si dimostra più delle altre in grado di accedere a fonti di conoscenza esterne, nonché di assorbirle, decodificarle e trasmetterle alle altre imprese del distretto. “Possono quindi agire come gatekeepers della conoscenza all'interno del distretto, condividendo con le altre imprese distrettuali, dopo averle transcodificate, le conoscenze codificate acquisite all'esterno. In tali dinamiche i meccanismi con cui in passato le conoscenze si sono trasferite all'interno del distretto (osservazione imitativa, relazioni intradistrettuali...) possono essere utilizzati solo parzialmente. Il processo di transcodifica e diffusione delle conoscenze tacite implica dei costi a carico delle imprese leader, che si riducono all'aumentare della capacità di assorbire tali conoscenze da parte delle altre imprese distrettuali”79
A seguire vi sono le imprese ccd. co-operative sub-contractors, le quali collaborano con le imprese leader nel ciclo produttivo e nei processi di generazione dell'innovazione, pur non partecipando direttamente nei mercati esterni al distretto.
All'interno del distretto si possono, poi, riscontrare anche le imprese ccdd. follower, le quali
79 X. Xxxxxx, X. Xxxxxx, op. cit.
non partecipano ad economie esterne al distretto, non si occupano di innovazione ma partecipano semplicemente al ciclo produttivo. Infine, si trovano le ccdd. imprese unlinked, le quali si dimostrano assolutamente svincolate dai processi di innovazione e di upgrading di modelli organizzativi, incapaci di assorbire conoscenze codificate come i co-operative sub- contractors, ma allo stesso tempo neppure partecipative della produzione come follower. Per questa tipologia di imprese il rischio di essere tagliati fuori dal mercato, pur essendo parte di un distretto, è molto elevato. Sul punto si richiamano le riflessioni di alcuni autori80 i quali hanno evidenziato come per quest'ultima tipologia di imprese non vi sia altra strada se non quella di andare ad occupare segmenti di produzione sempre più bassi, a minore remuneratività, ed oltretutto con barriere molto basse all'entrata, ciò significa che il livello di competitività è molto alto poiché entrano in gioco anche competitors stranieri che possono produrre a costi estremamente bassi. “Tali dinamiche potrebbero generare un impoverimento del tessuto economico locale, riducendo i vantaggi competitivi dei network territoriali a causa dell'incapacità di queste aziende di contribuire ai processi locali di generazione e diffusione della conoscenza”81.
Per le imprese follower, e più di esse particolarmente per le unlinked, il pericolo è doppio ed è sia di ordine esterno a causa della perdita di competitività sia interno in quanto rischiano di vedersi marginalizzate dal circuito distrettuale a seguito di procedure più selettive che richiedono alle imprese partecipanti del distretto con maggiore capacità di assorbimento delle conoscenze specifiche.
Il fattore dell'internazionalizzazione del distretto ha influenzato, perciò notevolmente anche la filiera e la rete di relazioni produttive, cambiando i processi di organizzazione del lavoro e talvolta della produzione stessa. Ciò è avvenuto principalmente a seguito dello spostamento di fasi della lavorazione all'estero, qualificando ed elevando il livello nel contempo delle lavorazioni che sono rimaste in loco; cercando figure professionali sempre più specializzate ed investendo maggiormente nella tecnologia di rete.
Le reti e filiere da “corte” si trasformano in reti e filiere “lunghe”, tanto che alcuni autori si sono riferiti ai distretti come non “dis-larghi”82, proprio per mettere in luce attraverso un gioco di parole tale aspetto di apertura oltre i propri confini e ridefinizione del proprio rapporto con il territorio di origine.
80 Tra gli altri si segnalano X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, The Dynamics of an “Innivation Driven” Territorial System, in X. Xxxxxxx, X. Xxxx (a cura di), Growth and Innovation of Cooperative Regions – The Role of Internal and External Connection, Verlag Berlino Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx 0000.
81 X. Xxxxxx, X. Xxxxxx, op. cit.
82 Cfr. X. Xxxxxx, “Innovatori di confine. I percorsi del nuovo Nord Est”, Venezia, Marsilio, 2012.
Un profilo di criticità in relazione alla tendenza ad internazionalizzare si presenta, però, per le imprese, distrettuali e non, che hanno dimensioni ridotte, dato che il fenomeno meglio di attaglia a strutture dimensionalmente medie e grandi. “La competitività di una piccola impresa e la sua permanenza sul mercato si gioca lungo due versanti: la capacità di innovare il proprio prodotto o servizio in modo tale da farlo diventare quasi esclusivo, a elevato valore aggiunto; la possibilità di inserirsi nelle filiere internazionalizzate. In questo modo, le imprese di piccola taglia possono diventare grandi senza essere grosse”83.
L'evoluzione cui è stato sottoposto il distretto industriale particolarmente nell'ultimo decennio, ma avviatasi ancora nel corso degli anni '90, ha condotto anche alla formazione di “reti tra distretti” sia a livello nazionale che internazionale.
Le reti di distretti di differenziano dai meta-distretti, in quanto “l'integrazione tra distretti diversi, localizzati in aree anche molto lontane, si verifica tipicamente laddove si evidenzi una complementarietà di filiera, cosicché un distretto si possa configurare come area fornitore/cliente dell'altro; oppure se i distretti siano focalizzati su tecnologie avanzate e quindi necessitino di aperture, spesso globali, verso altri poli tecnologici complementari in termini di conoscenze specialistiche. In altri termini, le ICT sollecitano il territorio non solo a dilatarsi sotto un profilo geografico, ma anche a reperire territori complementari, con i quali si strutturano processi di divisione del lavoro nell'ambito della medesima filiera/settore”84.
Anche la legislazione ha preso coscienza di tali nuove forme aggregative, che necessitano di diverse specializzazioni e si integrano vicendevolmente per progettare iniziative innovative e comuni. Si è cercato di favorire la formazione di tali reti tra distretti con l'inserimento nell'Ordinamento di normative specifiche aventi tale scopo come la Legge n. 33 del 2009 e s.m.i., ove viene previsto il contratto di rete (che sarà oggetto specifico di trattazione nel prossimo capitolo di tesi).
Questa evoluzione dai distretti locali a reti trans-locali, come la rete tra distretti, ha permesso di salvaguardare l'esistenza e la natura dei distretti sotto due principali aspetti: da un lato ha fatto sì che il patrimonio conoscitivo tipico del distretto locale non fosse abbandonato e dall'altro ha impedito che una modello troppo focalizzato su sistemi tradizionali legati al territorio costituisse un limite e diventasse causa stessa della fine del distretto85.
La figura delle reti tra distretti si presenta come più adatta ad essere applicata per la gestione delle cosiddette attività high tech, ovvero a tutte quella attività produttive e di servizi ad alta
83 X. Xxxxxx, X. Xxxxxx, “Imprese distrettuali e processi di innovazione”, op. cit. e cfr. X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxx e
X. Xxxxx, “Le imprese italiane tra crisi e nuova globalizzazione”, Xxxx, Xxxxx X'Xxxxxx, 0000.
84 X. Xxxxx, op. cit.
85 Si rimanda al concetto di location paradox trattato nel capitolo I, par. 2, nota 58.
tecnologia, ove la filiera produttiva possa essere facilmente suddivisa in fasi che corrispondono ad altrettante aree di specializzazione ben definita, così che sia chiaro sin da subito il ruolo di ogni partecipante alla rete.
“L'individuazione dei meta-distretti e i contratti di rete (che travalicano addirittura i confini regionali incentivando l'attivazione di reti tra territori) risponde ad obiettivi di politica di sviluppo industriale territoriale”86.
Dal punto di vista normativo le reti tra distretti sono state previste a livello regionale solo recentemente, si evidenzia tra le altre la Legge regionale del Veneto n.13 del 2014 che ne da una sia pur succinta definizione riportando tale figura sotto la più ampia categoria della aggregazione di imprese.
86 X. Xxxxx, op. cit.
CAPITOLO III: I CONTRATTI DI RETE E DIMENSIONE DISTRETTUALE
1 Il contratto di rete: nozione e struttura
“Quando più imprese collaborano per il perseguimento di uno scopo comune (la produzione o la distribuzione di un prodotto finale), ciò avviene normalmente o nell’ambito di un gruppo (le diverse imprese sono formalmente autonome ma di fatto fanno tutte capo ad un unico proprietario) oppure nell’ambito di un vincolo societario o di un accordo comune (contratto di scopo comune). Nel caso delle reti invece le diverse imprese indipendenti realizzano, ciascuna autonomamente, una fase del ciclo produttivo/distributivo, contribuendo tutte a produrre, però indirettamente, il risultato finale. Non v’è un vincolo che leghi tutte le imprese in vista del risultato finale, ma solamente una molteplicità di rapporti contrattuali bilaterali che legano ciascuna impresa esclusivamente con la propria controparte per la realizzazione di una limitata fase produttiva/distributiva”87.
Per rete d'impresa si intende, pertanto, una specifica forma di aggregazione di imprese fondata, non tanto su vincoli di controllo e dipendenza, ma su un accordo negoziale, il ccdd. contatto di rete, con normativa introdotta nel nostro Ordinamento dalla L. n. 33 del 2009 e s.m.i., “che permette alle singole imprese aderenti, c.d. retiste, di collaborare, pur rimanendo persone giuridiche autonome, e di mettere in comune informazioni, risorse, prestazioni tecniche o tecnologiche, know how, di impegnarsi in progetti relativi alla produzione, al marketing, alla formazione del personale, ed a forme di investimento nell’acquisto di beni o servizi, alla promozione di marchi o brand, alla gestione della logistica, e ad ottenere i requisiti per partecipare a gare ed appalti, allineandosi così in team di eccellenza o di valorizzazione di realtà locali, tali da assumere anche un maggior peso in termini di competitività e visibilità sul mercato”88.
Il concetto di rete d'impresa è stato introdotto per la prima volta con la Legge n. 133 del 2008, ma la disciplina di riferimento è attualmente, come accennato, la Legge n. 33 del 2009 e s.m.i. Secondo tale normativa la Rete d'imprese può essere istituita da due o più imprese (contraenti), senza che vi sia un limite numerico di legge prefissato. E' chiaro il numero ottimale di imprese sarà dato in relazione all'oggetto della Rete medesima, che è ulteriore rispetto a quello delle singole imprese che aderiscono.
87 X. Xxxxxxxx, “Distretti e Reti d'impresa” , Unioncamere Veneto, in Eurosportello Veneto, 2009.
88 F. Stecca, Il distacco del lavoratore nelle reti d'impresa, in “Diritto & Diritti- Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet” all'indirizzo ηττπ://ωωω.διριττο.ιτ, ISSN 1127-8579, febbraio 2015.
Condizione necessaria alla creazione di una Rete d'imprese è che tutti gli aderenti alla rete debbano essere iscritti al registro delle imprese, poiché occorre depositare il contratto di rete nel registro quale adempimento fondamentale al fine di acquisire efficacia giuridica ai sensi della Legge n. 33 del 2009.
Un primo limite rilevabile è pertanto che non possono essere parte di una Rete di imprese, coloro che non sono regolarmente iscritti nel Registro delle Imprese, ossia né soggetti pubblici né esteri.
Altro elemento fondamentale del contratto di rete sul quale di fonda la Rete d'imprese è l'oggetto, che prevede la collaborazione delle imprese aderenti in vari ambiti. Le attività della Rete, infatti, devono per forza rientrare tra quelle delle imprese partecipanti alla Rete stessa. Va da sé che non potrà aderire alla Rete l'impresa che presenti un oggetto sociale che non abbia nulla a che fare con gli obiettivi che la Rete si pone e con gli oggetti sociali degli altri aderenti.
Ulteriore aspetto relativamente al contratto di rete è lo scopo in esso dedotto, che è poi lo scopo della Rete d'imprese. Secondo la normativa in analisi, lo scopo della Rete è quello idoneo ad “accrescere, individualmente e collettivamente, la propria innovativa e la propria competitività sul mercato”. Posto dunque che lo scopo della rete sia il favorire la competitività e l'innovazione delle imprese italiane sul territorio nazionale, nel singolo contratto di rete, che materialmente poi le imprese sono chiamate a redigere e sottoscrivere, dovranno essere previsti anche tutti gli obiettivi specifici, che costituiscono il parametro per l'individuazione delle attività di rete. A loro volta, le attività di rete costituiscono il ccdd. programma di rete. Le attività di rete, indicate in contratto, costituiscono le modalità concrete che ogni impresa aderente al contratto di rete individuerà, caso per caso, e tramite le quali l'impresa stessa intende perseguire lo scopo di rete, poiché “queste modalità di attuazione degli obiettivi, ovvero le attività di rete, dovranno poi essere esplicitate nel contratto di rete, in quanto assumono una valenza fondamentale, ed un riferimento necessario per l'avvio e lo svolgimento dell'attività della Rete stessa”89. In pratica, ogni azienda indicherà nel contratto di rete quali siano le modalità concrete e gli obiettivi specifici (le attività di rete) che intende mettere in campo. Le attività di rete consentono, dunque, il raggiungimento delle finalità generali (scopo di rete) che la Rete si pone per aumentare la competitività ed incrementare l'innovazione. Esse possono consistere in realizzazione di beni o servizi, offerte dei vari prodotti che le singole imprese aderenti già prima di aderire alla Rete producevano, ma ciò che cambia maggiormente, dopo aver aderito alla Rete, è l'ambito in cui tali attività possono
89 X. Xx Xxxx (a cura di)“La rete di imprese- istruzioni per l'uso” Unioncamere, marzo 2013.
essere presentate, ad esempio con un unico catalogo di Rete, o prodotti venduti sotto un marchio collettivo oppure mediante un unico sito internet, con ricerche di mercato, azioni di marketing, ecc.
La scelta che il nostro legislatore ha posto in essere nel disciplinare la Rete è stata quella di prevedere una norma che contemplasse un accordo volontario tra le parti, senza inserire norme sulla Rete di imprese nel Codice Civile, lasciando più spazio alle imprese retiste di condividere le attività, definite nel contratto di Xxxx realizzando le stesse in collaborazione l'una con l'altra.
Il contratto di Rete comporta comunque degli obblighi a carico di coloro che vi aderiscono. La legge n. 33 del 2009, sottolinea che “..a tal fine [gli imprenditori] si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni e prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa”.
Il contenuto di un contratto di Rete deve comprendere necessariamente: un programma comune di Rete; una collaborazione tra le imprese retiste; scambio di informazioni e prestazioni tra le retiste, ed infine l'esercizio di attività comuni che rientrino allo stesso tempo nell'oggetto di ciascuna impresa e sia negli scopi della Rete.
Per essere valido ed efficace il contratto di Xxxx deve essere poi redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, pertanto deve essere stipulato davanti al Notaio anche per atto firmato digitalmente90, nonché deve essere successivamente depositato nel Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio competente per territorio.
Stante quanto sino ad ora descritto, va evidenziato che, con modifiche introdotte dalle Leggi
n. 134 e 179 del 201291, esistano due tipologie di reti d'impresa a seconda che presentino soggettività giuridica92 o meno: le reti d'impresa soggetto e le reti d'impresa contratto.
Innanzi tutto va chiarito che, con l'adesione al contratto di Xxxx, le singole imprese non perdono la propria personalità giuridica autonoma.
Le recenti modifiche alla disciplina civilistica del contratto di rete, introdotte nel corso del
90 La firma digitale è prevista dagli artt. 24 e 25 del Codice dell'Amministrazione Pubblica digitale, D. Lgs. n. 82/2005.
91 Le novità introdotte dall’articolo 45 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto decreto crescita),
convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e dall’articolo 36 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (cosiddetto decreto crescita-bis), convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.
92 E' necessario distinguere la personalità giuridica dall'espressione soggettività giuridica. Sono dotati di personalità giuridica quegli enti che rispondono delle proprie obbligazioni tramite il patrimonio dell'ente e non dei singoli associati, cioè quegli enti che godono di autonomia patrimoniale perfetta.
2012 dai decreti crescita citati, hanno previsto espressamente la possibilità per alcuni contratti, a determinate condizioni, di acquisire la soggettività giuridica. “Si è inteso in tal modo chiarire la portata della disposizione con la quale è stato introdotto il principio della soggettività giuridica dei contratti di rete, al fine di sottolineare che l’acquisizione della stessa non è mai attribuita, seppure a determinate condizioni, automaticamente, ma solo su base opzionale, subordinata all’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese. Peraltro, la possibilità di configurare la “rete di imprese” non più soltanto come un semplice contratto tra imprese ma piuttosto quale “organizzazione”, dotata di autonoma soggettività giuridica, ha fatto emergere anche l’esigenza di meglio definire i rapporti della rete con i terzi”93.
Pertanto, le imprese che intendono creare una Rete avente propria soggettività giuridica (Reti- soggetto) devono innanzitutto prevederlo direttamente nel contratto di rete, a determinate condizioni, altrimenti restano Reti-contratto, ovvero singole imprese che si accordano senza creare un centro di imputazioni di rapporti giuridici autonomo. “L’attuale contesto normativo offre, pertanto, agli imprenditori che intendono costituire una rete di imprese, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legge n. 5 del 2009, l’alternativa fra due diverse forme giuridiche: l’adozione di un modello contrattuale “puro” di rete di imprese (cosiddetta “rete-contratto”) oppure la creazione di un nuovo soggetto giuridico (cosiddetta “rete-soggetto”)”94.
La Rete-soggetto, infatti, costituisce, sotto il profilo del diritto civile, un soggetto distinto dalle imprese che hanno sottoscritto il contratto.
Nel caso in cui le imprese aderenti abbiano inteso porre in essere una Rete-contratto, ovvero priva di soggettività giuridica, questo comporta che gli atti posti in essere in esecuzione del programma di rete producono i loro effetti direttamente nelle sfere giuridico-soggettive dei retisti. Nella Rete-contratto la titolarità di beni, di diritti, di obblighi ed di atti è riferibile unicamente alla quota parte delle singole imprese partecipanti. Pertanto, la titolarità delle situazioni giuridiche rimane individuale, ossia in capo alle singole imprese partecipanti, sebbene l’organo comune possa esercitare una rappresentanza unitaria nei confronti dei terzi. Ulteriormente, nella rete priva di soggettività giuridica, qualora il contratto preveda l'esistenza di un fondo comune, è prevista la destinazione di un complesso di beni e diritti per la realizzazione del programma comune di rete e i rapporti tra gli imprenditori partecipanti al contratto di rete. Il fondo patrimoniale di Rete priva di personalità giuridica non ha valore, invece, nei rapporti e nelle obbligazioni sorte con i terzi.
93 Agenzia delle Entrate, circolare n.20/E, Roma, 18 giugno 2013.
94 Agenzia delle Entrate, op. cit.
“La spendita del nome dei singoli soggetti rappresentati da parte dell’organo comune rende possibile, infatti, la diretta imputazione delle operazioni compiute ai singoli partecipanti” e “ciascuna impresa aderente alla rete, pertanto, farà concorrere alla formazione del proprio risultato di periodo i costi che ha sostenuto e i ricavi che ha realizzato per l’attuazione del programma di rete, a prescindere dall’esistenza o meno di un organo comune dotato di poteri di rappresentanza”95.
La Rete di imprese è stata pensata come strumento destinato principalmente a sostegno delle PMI che abbiano nei loro intenti quello di sviluppare la propria competitività senza tuttavia procedere a fusioni o incorporazioni da parte di un unico soggetto, mantenendo bensì una propria sfera di autonomia. “La grande innovazione della rete di imprese è in effetti la possibilità di coniugare indipendenza e autonomia imprenditoriale con la capacità di acquisire una massa critica di risorse finanziarie, tecniche e umane, o di know how, in grado di consentire il raggiungimento di obiettivi strategici, altrimenti fuori portata per una piccola impresa”96.
La Rete d'impresa non è tuttavia un nuovo modello societario, ma solo un contratto a cui le parti aderiscono per propria volontà e che consente una nuova forma di aggregazione tra imprese diverse. L'esperienza sino ad ora maturata con questo nuovo strumento ha posto in evidenza come esso venga principalmente utilizzato per realizzare insieme alle altre imprese un prodotto completo, ampliare la gamma di prodotti offerti, dare un servizio, o una soluzione ad imprese che appartengono alla medesima filiera produttiva al fine di impostare forme di coordinamento della subfornitura.
Da un punto di vista più ampio, il contratto di Rete può fornire un'ottima occasione alle PMI,anche quando queste siano già raggruppate in cluster o in distretti industriali, al fine di acquisire capacità di innovare e proporsi in mercati internazionali. Spesso le piccole imprese, sebbene riunite in distretti, non hanno idonei strumenti o risorse finanziarie per poter investine in ricerca ed innovazione. Questo, come si è già analizzato nei precedenti capitoli, è una conseguenza diretta sia per la piccola impresa individuale, la quale non ha le competenze sufficienti per innovare da sola, sia per il distretto industriale con sistema tradizionale.
La Rete d'impresa si presenta, pertanto, come un mezzo utile ad entrambe le suddette realtà al fine di uscire da sistemi fondamentalmente chiusi ed aprirsi a nuove possibilità. Tramite la Rete, infatti, le medesime imprese e distretti possono occuparsi della realizzazione di progetti finanziati da risorse messe in comune da altre imprese aderenti, o per l'approccio
95 Agenzia delle Entrate, circolare n.20/E, Roma, 18 giugno 2013.
96 X. Xx Xxxx (a cura di)“La rete di imprese- istruzioni per l'uso” Unioncamere, marzo 2013.
multidisciplinare che offre.
“In conclusione, il principio ispiratore della Rete è che l'unione fa la forza, con una logica che supera i limiti della territorialità e della specializzazione produttiva dei Distretti, della focalizzazione su singole fasi della produzione, tipica dei Consorzi, nonché della temporaneità dei raggruppamenti di imprese degli Ati, creati per singoli bandi ed opere, differenziandosi così dalle altre forme di aggregazione di imprese già esistenti. Ciò non toglie che la Rete potrebbe rappresentare una fase di passaggio verso un processo di aggregazione più spinto tra imprese […] con un'analogia scherzosa, ma decisamente comprensibile, la Rete è una sorta di fidanzamento tra imprese, che potrebbe precludere ad una unione più forte (come il matrimonio), quale può essere il consorzio, o addirittura la creazione di una società comune, dove far confluire le attività delle imprese aderenti alla Rete”97.
2 Analisi dei dati: focus sui distretti e reti d'impresa a livello nazionale
A livello nazionale, come già messo in luce nei paragrafi precedenti, “il sistema delle PMI italiane per sopravvivere nel mercato globale deve “internazionalizzarsi”, fare “massa critica”, e può farlo in due modi: o con il distretto, non più inteso in senso statico come aggregazione di imprese omogenee stanziate in un territorio limitato, ma in senso dinamico come organismo composto da imprese indipendenti che cooperano per il bene comune; oppure con la rete di imprese, intesa come aggregazione di PMI gravanti attorno ad un’impresa o ad un gruppo di imprese di spessore internazionale”98.
I due fenomeni dei distretti industriali e della rete d'imprese non sembrano, pertanto, porsi in contrasto tra loro, ma neppure come sostiene il CNEL99 che la Rete d'impresa altro non sia che l'evoluzione finale del distretto industriale tradizionale. Essi, anzi, pur rimanendo due forme di aggregazione e coordinamento tra imprese assai diverse, per quanto sin a qui analizzato, essi possono tuttavia ben combinarsi tra loro realizzando tra l'altro le, già accennate, reti tra distretti. Per tale modello economico ai già esistenti distretti industriali si può sovrapporre la rete d'impresa in quanto i medesimi si mettono in rapporto di interdipendenza l'uno con l'altro su base negoziale.
Da queste premesse parte l'analisi sui recenti dati relativi a distretti industriali e reti d'impresa sul territorio nazionale.
Le Reti d'impresa, come forma economico-giuridica di coordinamento e cooperazione tra
97 X. Xx Xxxx (a cura di)“La rete di imprese- istruzioni per l'uso” op. cit.
98 X. Xxxxxxxx, “Distretti e Reti d'impresa”, Unioncamere Veneto, in Eurosportello Veneto, 2009.
99 Vedesi Capitolo II, Par. 2.
imprese, che, attraverso la sottoscrizione del Contratto di Rete, si impegnano reciprocamente, in attuazione di un programma comune (e a collaborare in forme ed ambiti attinenti alle proprie attività), è entrata nel nostro Ordinamento con apposita disciplina normativa del 2009 con la Legge n. 33. Da allora sono trascorsi quasi 9 anni e sono stati fatti notevoli passi avanti. Il testo della richiamata norma ha subito diverse modificazioni e le imprese hanno capito la portata delle possibilità che dà questa nuova formula di aggregazione. I principali enti, protagonisti del settore commerciale ed industriale come Confindustria, le Camere di Commercio d'Italia, Confapi, e molti altri, hanno cercato di promuovere la conoscenza e la diffusione dello strumento della Rete d'impresa. Tutto questo è stato sorretto anche da politiche istituzionali di favore per la creazione delle Reti, con la possibilità di ottenere finanziamenti ad hoc da istituti di credito nonché incentivi da istituzioni pubbliche, senza però arrivare a mettere in essere degli aiuti di Stato tali da falsare il mercato e violare le disposizioni europee in ambito di concorrenza. Le stesse regioni attraverso politiche mirate e bandi stanno tutt'ora sostenendo la formazione delle reti d'impresa.
Ad oggi per i dati relativi alle Reti d'impresa esistenti e censite da Infocamere al 3 gennaio 2018, si registra un aumento rispetto al mese precedente di ben 931 imprese (un vero e proprio boom), per un totale di 23.352 imprese partecipanti a una rete. I contratti di rete stipulati, tramite i quali le imprese retiste si vincolano ed alleano a vicenda, sino a tale data sono 4.318, 95 in più rispetto al mese di novembre 2017. Va fatto osservare, inoltre, che i contratti con soggettività giuridica, compresi nel dato complessivo dei 4.318 contratti di rete, sono 610, confermando il trend in aumento100.
Per comprendere quanto sia esponenziale tale aumento, si riportano i dati aggiornati al 3 ottobre 2017 del numero di Reti d'impresa presenti sul territorio nazionale, ovvero 4.044 contratti, di cui 547 Reti con soggettività giuridica. Le imprese coinvolte nelle reti in quanto imprese aderenti o retiste erano 20.482 101, dislocate con sensibili variazioni su tutti il territorio nazionale. Un dato che si dimostra più che duplicato se comparato con quello relativo al marzo 2015 dove le imprese coinvolte in Reti d'impresa erano circa 10.000.
Se si considerano i dati relativi agli ultimi due anni si può affermare che vi è stato un aumento del 40% circa rispetto al totale sia delle imprese partecipanti a reti sia di contratti di rete stipulati.
I dati complessivi nazionali rivelano la seguente dislocazione delle Reti d'impresa su base regionale: Abruzzo 981, Basilicata 242, Calabria 554, Campania 1605, Xxxxxx Xxxxxxx 1790,
100 Dati Camere di Commercio d'Italia del 3 gennaio 2017 su dati Infocamere.
101 Dati Camere di Commercio d'Italia del 3 ottobre 2017 su dati Xxxxxxxxxx.
Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx 0000, Xxxxx 0000, Xxxxxxx 638, Lombardia 3057, Marche 702, Molise
43, Piemonte 1080, Puglia 1419, Sardegna 538, Sicilia 732, Toscana 1828, Trentino Alto
Adige 375, Umbria 481, Valle d'Aosta 48, Veneto 2031.
Da un punto di vista di localizzazione geografica i dati sopra esposti evidenziano come la regione Lazio abbia avuto una impennata ad inizio anno con un sostanziale raddoppio delle imprese di rete, se paragonato ai dati del novembre 2017, un dato oltre che rilevante, decisamente significativo del vivace tessuto imprenditoriale italiano. Il Lazio deve questo suo primato soprattutto al sostegno delle istituzioni, con un numero maggiore di reti registrato presso la Capitale. Va posto in evidenza come, comunque, il Lazio abbia surclassato anche la Lombardia, che sino al 2017 si era dimostrata la regione più vitale in relazione alla creazione di contratti di rete e numero di imprese aderenti. In Lombardia, infatti, fino al 2017 veniva stipulato circa un contratto di rete su quattro, dimostrandosi così la regione con più incremento di contratti, leader nel settore, con quasi un contratto su 7 a Milano. Le imprese coinvolte nei contratti di rete in Lombardia e a Milano erano rispettivamente il 16,8% e il 5,6% del totale delle Reti d'impresa esistenti al maggio 2016102.
I dati evidenziano, quindi, come le reti di imprese, che costituiscono uno dei modi per superare il nanismo delle aziende italiane, abbiano colto gli ampi spazi di crescita che tale modalità di aggregazione permette.
Per un ulteriore confronto statistico rispetto alla rappresentata situazione attuale, si fa presente che “negli ultimi 8 mesi [fino a maggio 2016] le imprese coinvolte in contratti di rete, nate
102 Dati pubblicati in “Alleanze contro la crisi, boom per le reti di imprese sul territorio” in Crema Oggi, 5 febbraio 2017.
per legge nel 2009, hanno fatto il boom aumentando del 17% in Italia, dell’11% in Lombardia e del 10% a Milano. A gennaio 2017 in Italia i contratti di rete sono 3.248 (823 Lombardia, 461 Milano) e le imprese in rete16.898 (2.831 Lombardia, 943 Milano)”103.
Guardando ai dati su base nazionali, sempre relativi al maggio 2016, su 15.704 imprese coinvolte in contratti di rete dietro la Lombardia (con 2.659 aziende aderenti) si piazza la Toscana con 1.561, al terzo posto vi è l’Xxxxxx Xxxxxxx, con 1.534. Seguono il Veneto (con 1.413), il Lazio (con 1.355), la Puglia (con 957), la Campania (con 858), il Piemonte (con 12), l’Abruzzo (con 809) e, per chiudere con il Friuli Venezia Giulia (con 693).
“In alto i calici, dunque, per un fenomeno poco noto che sta incrinando il tradizionale individualismo degli imprenditori italiani. “La collaborazione all’interno della rete - dice Xxxx Xx Xxxxx, presidente di Unioncamere - consente di avviare progetti e iniziative che l’impresa, da sola, difficilmente potrebbe sostenere. Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx, presidente di Confindustria: “L’affermazione delle reti di impresa ha una forte valenza qualitativa: gli imprenditori stanno cambiando cultura, superano l’individualismo e puntano a traguardi comuni”104.
Qui di seguito, invece, si riportano i dati relativi al giorno 3 di ogni mese a partire da agosto 2015 fino a gennaio 2018, i quali testimoniano con chiarezza la progressione continua ed in aumento, su tutto il territorio nazionale, del numero di contratti di rete stipulati ed imprese aggregate (con dati Infocamere del gennaio 2018). Sulla base di questi dati è stato elaborato il seguente grafico ove si mettono a confronto, da settembre 2015 a gennaio2018, le imprese che partecipano a contratti di rete con i numero effettivo dei contratti di rete stipulati e registrati:
103 Dati pubblicati in Adnkronos, Economia, “Imprese, Confcommercio Lombardia: manager di rete vitale”, 7 marzo 2017.
104 “Reti: dalla pasta alla meccanica ecco le medie imprese “virtuali”, di Xxxxxxx Xxxxxxx, pubblicato in Repubblica, Economia&Finanza, 12 giugno 2017.
Anno 2018
Gennaio 2018:4.318 Contratti di rete -23.352 imprese partecipanti Anno 2017
Dicembre 2017: 4.223 Contratti di rete- 22.421 imprese partecipanti Novembre 2017:4.088 Contratti di rete-20.885 imprese partecipanti Ottobre 2017: 4.044 Contratti di rete - 20.482 imprese partecipanti Settembre 2017: 3.992 Contratti di rete - 20.157 imprese partecipanti Agosto 2017: 3.940 Contratti di rete - 19.865 imprese partecipanti Luglio 2017: 3.869 Contratti di rete - 19.503 imprese partecipanti Giugno 2017: 3.791 Contratti di rete - 19.058 imprese partecipanti Maggio 2017: 3.697 Contratti di Rete - 18.566 imprese partecipanti Aprile 2017: 3.588 Contratti di Rete - 18.079 imprese partecipanti Marzo 2017: 3.479 Contratti di Rete - 17.664 imprese partecipanti Febbraio 2017: 3.386 Contratti di Rete - 17.343 imprese partecipanti Gennaio 2017: 3.320 Contratti di Rete - 16.893 imprese partecipanti
Anno 2016
Dicembre 2016: 3.243 Contratti di Rete - 16.587 Imprese partecipanti Novembre 2016: 3.189 Contratti di Rete - 16.048 Imprese partecipanti Ottobre 2016: 3.114 Contratti di Rete - 15.704 Imprese partecipanti Settembre 2016: 3.056 Contratti di Rete - 15.433 Imprese partecipanti Agosto 2016: 2.999 Contratti di Rete - 15.187 Imprese partecipanti
Luglio 2016: 2.935 Contratti di Rete - 14.827 Imprese partecipanti Giugno 2016: 2.880 Contratti di Rete - 14.462 Imprese partecipanti Maggio 2016: 2.844 Contratti di Rete - 14.305 Imprese partecipanti Aprile 2016: 2.793 Contratti di Rete - 13.978 Imprese partecipanti Marzo 2016 : 2.699 Contratti di Rete - 13.518 Imprese partecipanti Febbraio 2016: 2.643 Contratti di Rete - 13.214 Imprese partecipanti Gennaio 2016 : 2.596 Contratti di Rete - 13.008 Imprese partecipanti
Anno 2015
Dicembre 2015: 2.542 Contratti di Rete - 12.770 Imprese partecipanti Novembre 2015: 2.475 Contratti di Rete - 12.419 Imprese partecipanti Ottobre 2015: 2.405 Contratti di Rete - 12.089 Imprese partecipanti Settembre 2015: 2.348 Contratti di Rete - 11.879 Imprese partecipanti Agosto 2015: 2.304 Contratti di Rete - 11.674 Imprese partecipanti
Dai dati sopra esposti si nota chiaramente che in poco più di due anni, sia i contratti di rete che il numero di imprese aderenti ad essi, sono raddoppiati. Da 2.304 contratti di rete stipulati nell'agosto 2015 si è giunti a 4.318 contratti nel gennaio 2018.
I dati suddetti danno una precisa idea della rilevanza del fenomeno delle Reti d'impresa nel panorama industriale, nonché del successo dello strumento giuridico-economico anche in periodo di crisi, atteso che la relativa disciplina con L. n.33 è entrata in vigore, come già ricordato, solo a partire dal 2009 e che si è passati da 19 reti nel 2010 a ben 1.227 nel 2013105 e a 4.318 attuale: una crescita a dir poco esponenziale.
Le progressione quantitativa di creazione di nuove reti come si è potuto vedere, analizzando anche i dati più recenti, è rimasta elevata.
L'impresa, che secondo le recenti statistiche, è quella che più delle altre entra a far parte di una rete d'impresa, presenta normalmente una forza lavoro con non più di 50 addetti ai lavori (circa l'87,6 % del totale)106 ed è normalmente una s.r.l.
“Quanto alla tipologia di imprese che più delle altre dimostra una spiccata vocazione a collaborare, il primato va alle cooperative: per ogni mille imprese registrate, infatti, le coop che hanno dichiarato di avere sottoscritto un contratto di rete sono 9.3 un valore più che doppio rispetto al 4,2 del giugno 2014. In termini assoluti, invece, la parte del leone tra le imprese che aderiscono ad un contratto di rete la fanno le società di capitale per un rapporto
105 Fonte dati ISTAT e Confindustria 2016.
106 Fonte dati gfinance Gruppo Impresa 2016.
di 5,7 imprese ogni mille registrate con la stessa natura giuridica”107
“Certo, bisogna tenere conto che le reti si creano in fretta (magari per ottenere agevolazioni) ma quando non c'è un progetto industriale alle spalle si disfano altrettanto velocemente. Resta un fatto però: pur con tutti i limiti del caso, il contratto di rete resta lo strumento più concreto per le pmi che vogliono farsi grandi”108.
3 Analisi delle imprese venete che partecipano a contratti di rete
Nel presente paragrafo, con approccio più empirico, attraverso l'analisi dei dati pubblicati dalle Camere di Commercio d'Italia, aggiornato al 3 gennaio 2018, ove vengono raccolte le generalità delle 23.352 imprese partecipanti a reti d'impresa, in formato excel, si intende porre in essere un'indagine indirizzata ad osservare l'attuale tessuto industriale veneto che partecipa a reti d'impresa, al fine di fornirne una sorta di identikit.
Dal complessivo numero nazionale di imprese partecipanti a reti (il predetto documento di Infocamere in excel presenta, infatti, un totale di 20.116 righe corrispondenti ai dati di altrettante imprese) sono state isolate e considerate le sole imprese venete che partecipano sia a reti con partecipanti che hanno sede totalmente nella regione Veneto, sia in reti che sono in sinergia con imprese site in altre regioni.
E' stata presa in considerazione la natura giuridica dell'impresa partecipante, ovvero società di persone, di capitali, cooperativa, consorzio, etc, per valutarne l'incidenza, nonché il tipo di attività esercitata: industriale, artigianato, commercio, servizi, agricoltura, etc. e l'apporto dato alla rete.
E' stato, altresì, considerato, l'anno in cui la rete è nata, il numero delle reti d'impresa venete dotate di soggettività giuridica rispetto a quelle che non ne sono fornite, ed infine lo scopo che si prefiggono in contratto le imprese retiste.
Da questa ricerca sono scaturite le seguenti osservazioni.
Nella regione Veneto sono attualmente presenti 2.031 imprese in rete con 388 contratti di rete di cui 39 con soggettività giuridica, una media leggermente inferiore a quella che si riscontra a livello nazionale.
Negli appendici A e B, allegati alla presente tesi, si presentano le due tabelle relative alle
2.031 imprese che partecipano a contratti di rete nel Veneto, senza soggettività giuridica
107 Fonte Dati Infocamenre 2016.
108 X. Xxxxxx “Imprese in rete: è boom “ in squadra il fatturato aumenta del 30%” pubblicato nel Corriere della Sera, il 6 gennaio 2018.
(appendice A) e con soggettività giuridica (appendice B), estrapolate dai dati a livello nazionale offerti da Unioncamere nel febbraio 2018.
Dal lavoro di analisi e selezione dei dati delle imprese venete al fine di elaborare le predette tabelle, sono emersi alcuni aspetti evidenziati nelle osservazioni che seguono.
La natura giuridica, in prevalenza riscontrata, tra le imprese venete coinvolte in reti si allinea con quella riscontrata sul territorio nazionale. Vi è, infatti una prevalenza di reti di medio piccole dimensioni, ossia involgente un numero basso di imprese (inferiore mediamente a 9), con una prevalenza di imprese individuali tra le società di persone, mentre per le società di capitali la tipologia certamente predominante è la srl; molto frequenti soprattutto nel settore sociale, servizi e turistico, è la presenza di onlus, e cooperative, spesso anche queste ultime a responsabilità limitata.
Nelle reti composte da imprese aventi tutte sede nei vari comuni veneti l'attività maggiormente esercitate sono di tipo artigianale ed industriale, e corrispondono in buona misura alle attività di vocazione tradizionale dei luoghi di riferimento. Lo scopo prevalente mente perseguito da questo tipo di reti, che spesso si presentano come reti orizzontali. Più specificatamente le reti di tipo orizzontale riguardano imprese che operano in settori affini poiché appartenenti allo stesso comparto, come ad esempio per la produzione di vino, prodotti agroalimentari, etc. In tali circostanze le imprese che si mettono insieme per aumentare il proprio peso critico, internazionalizzarsi e ottimizzare i processi di approvvigionamento e produzione. Allo stesso modo reti orizzontali possono formarsi in settori ed attività complementari; è il caso delle imprese di costruzioni tradizionali che si mettono in rete con imprese che operano nel settore del risparmio energetico, del fotovoltaico, delle pulizie, etc. per offrire servizi integrati ed ampliare la propria offerta come per la rete veneta “Gruppo Bottol” o “Rete Casa” ed ancora “Imprese Dolomitiche”, ecc.
Infine, la rete orizzontale può formarsi per svolgere attività congiunte di marketing, promozione e sviluppo delle relazioni con altri soggetti presenti sul territorio.
Le reti, invece, composte da imprese aventi sede in più regioni e non solo nei comuni e province del Veneto, presentato più spesso una struttura verticale, con apporti molto diversificati da parte delle retiste. Alle reti di tipo verticale aderiscono imprese che operano a monte o a valle di un proprio processo produttivo, sorrette da fornitori e sub-fornitori, e si rende visibile nel rapporto tra imprese di produzione e di commercializzazione. In particolare, le imprese venete che partecipano a questo tipo di rete sono imprese di servizi e lo scopo che si prefigge questo tipo di rete punta più all'innovazione ed all'internazionalizzazione, ponendo in essere una sorta di filiera produttiva.
Tra le importanti reti venete vi è certamente da segnalare “Tekne Community”, rete orizzontale a sostegno della ricerca scientifica nella lavorazione dell'acciaio, formata da 32 imprese aderenti appartenenti al padovano come Sacma al trevigiano ed ad altre regioni d'Italia, composta totalmente da società di capitali, s.p.a. ed s.r.l. Questa rete ha l’obiettivo di finanziare progetti finalizzati al miglioramento ambientale, risparmio energetico, sostenibilità, miglioramento delle performance produttive e della qualità di vita; tutto nell’ambito delle attività siderurgica allargata all’intero ciclo, dalle materie prime ai sottoprodotti.
Le reti attualmente operative nel territorio veneto sono composte da imprese che operano in alcuni settori specifici che potremmo definire rilevanti per l'economia regionale. Essi sono principalmente il turismo, il settore alimentare, innovazione sociale, edilizia e costruzioni, servizi medicali e sanitari, servizi bancari e finanziari, ecc.
Nel presente lavoro di indagine si è preso in considerazione, tra gli altri, il settore turistico veneto, atteso che anche sotto il report Intesa Sanpaolo –Mediocredito Italiano sulle reti di imprese nel marzo 2014, veniva indicato un numero di imprese coinvolte in rete nel settore turistico pari a 27 (5,5% del totale), mentre nel report successivo del mese di novembre 2014 il numero di imprese partecipanti a reti turistiche saliva a 41 (5,8% del totale).
Tali dati danno prova di come il settore turistico alleato in reti d'impresa sia in piena evoluzione, con imprese in sinergia per la tutela e valorizzazione di specifiche zone, per fare alcuni esempi: Cycling in the Venice Garden (TV), Rete Verona Garda Bike (VR), Rete itinerari palladiani (Lonigo, VI), DOC – di Origine Culturale (Museo diffuso della cultura produttiva veneta), involge imprese con sede in tutte le province venete e si pone come scopo quello di valorizzare il territorio attraverso il cd. heritage marketing.
Va certamente segnalata, per il turismo, la rete “SlowVenice Network”, una rete di imprese turistiche locali, impegnata nell’offerta di pacchetti turistici tipici della vacanza cd. “slow”., nata a sua volta dall'unione di due reti, Laguna Nord Slow Experience e Brenta- Adige Slow Experience, i cui contratti di rete sono stati stipulati nel 2014.
Lo scopo di questa rete è distinguersi per autenticità, sostenibilità e contatto con il territorio locale. Altra importante realtà turistica in rete è “Rete Arenili di Jesolo”, rete stipulata nel febbraio del 2016, con soggettività giuridica, il cui scopo è quello di coordinare le attività istituzionali comuni, assistere i soci, svolgere servizi amministrativi in favore degli aderenti e organizzare attività promozionali che accrescano l’attrattività per il turista del territorio jesolano, o ancora “In Soave”, rete nata nel febbraio 2015. Le imprese partecipanti sono impegnate nel promuovere il proprio territorio, ricco di vigneti e vocato all’enogastronomia, al turismo esperienziale e alla riscoperta di tradizioni, solo per citarne alcune tra le più
importanti delle molte reti a vocazione turistica sorte nella regione. Moltissime si sono registrate nel 2017, con un vero e proprio boom.
Lo stesso Dipartimento Turismo della Regione Veneto ha sostenuto, infatti, la creazione di nuovi prodotti turistici in bicicletta e strumenti di promozione dei percorsi all’interno della Rete Escursionistica Veneta (REV).
Altra realtà molto importante e di successo nel mondo delle reti d'impresa è “il Buon Gusto Veneto”, rete dell'agroalimentare fondata nel 2015, vanta ben 56 imprese aderenti. E' di tipo verticale, con imprese che appartengono a settori produttivi differenti come artigianato, commercio, servizi, industria, agricoltura, ed imprese oltre che venete anche della provincia di Mantova. La mission de Il Buon Gusto Veneto è di promuovere DOP, DOC, DOCG del territorio, renderle accessibili ad un largo pubblico e sostenere tradizioni e artigianalità in un mercato sempre più complesso e articolato.
La rete vive in un clima di scambio e collaborazione ove non mancano le iniziative di co- marketing a beneficio delle aziende partner e per il gradimento del consumatore.
Tutti esempi, quelli sino ad ora citati, di reti d'impresa venete che hanno raggiunto un discreto grado di successo.
La graduatoria sopra riportata esprime la rilevanza delle imprese in rete sul territorio regionale rispetto al totale delle imprese con sede in quella medesima regione. I dati sono forniti da Unioncamere Infocamere per l'annualità 2016, e come si può notare la regione Veneto si piazza all'ottavo posto per presenza di imprese in rete nel proprio territorio.
Più in dettaglio, il numero delle imprese che partecipano a reti d'impresa in Veneto, suddivise per provincia, sono le seguenti109:
109 Fonte dati Unioncamere Infocamere 2016.
1. Verona con 330 imprese in rete su un totale di 96.336 imprese registrate;
2. Venezia con 268 imprese in rete su un totale di 77.488 imprese registrate;
3. Padova con 233 imprese in rete su un totale di 99.255 imprese registrate;
4. Vicenza con 186 imprese in rete su un totale di 83.275 imprese registrate;
5. Belluno con 47 imprese in rete su un totale di 15.978 imprese registrate;
6. Rovigo con 33 imprese in rete su un totale di 28.077 imprese registrate.
Sebbene i numeri delle imprese che partecipano a reti d'impresa appaiano, di primo acchito, esigui rispetto al totale delle imprese registrate, questi vanno confrontati, per comprenderne la rilevanza, con i dati a livello nazionale; l'Italia, nel 2016, presentava infatti 15.443 imprese in rete su un totale di 6.070.045 imprese iscritte. Il Veneto, pertanto, si dimostra regione piuttosto attiva, non solo sul fronte dei distretti industriali, ma anche sotto il più recente fenomeno delle imprese che si aggregano in rete.
4. Analisi dei distretti industriali veneti e comparazione con le imprese venete partecipanti a contratti di rete
Le forme di aggregazione tra imprese come le reti si propongono, come più volte sottolineato, di fornire alle imprese strumenti utili per favorire l’aumento della competitività e della capacità di innovazione. Particolarmente nelle collaborazioni tra imprese, il contratto di rete, di recente introduzione, è uno strumento finalizzato a governare le interrelazioni al fine di ottenere vantaggi economici, di competitività ma anche fiscali.
I distretti industriali, invece, come già più diffusamente spiegato, rilevano come fenomeno, non solo industriale ma anche sociale, conosciuto e diffuso sul territorio nazionale.
Pur essendo distretti e contratti di rete concetti molto diversi tra loro, risultano essere tuttavia modelli in parte sovrapponibili.
Il modello “distrettuale” è stato fondamentale per la storia economica della regione Veneto nonché di tutto il nord-est, e ancor di più se ci si riferisce alle aree del Veneto centrale e della Pedemontana.
“Per comprendere il fenomeno dei distretti produttivi veneti ci si deve riportare ad un momento storico (indicativamente tra il secondo dopoguerra e gli anni ‘70) in cui le imprese e i mercati avevano ancora dimensioni locali e in cui si sviluppavano le prime piccole/medie imprese, soprattutto manifatturiere e spesso strettamente legate al territorio in cui erano localizzate (ad esempio per la presenza di materie prime). In questo contesto si deve inquadrare una comunità - tipicamente dotata di grande iniziativa, di senso imprenditoriale e
di spirito emulativo - i cui membri manifestano la tendenza a “mettersi in proprio”, a tentar fortuna avviando un’impresa simile o connessa a quella di cui hanno avuto conoscenza, per aver lavorato in essa o comunque perché insediata nel territorio in cui vivono”110.
Una fragilità del modello veneto dei distretti si individua, tuttavia, nella gestione del capitale umano. Lo spirito che anima l'imprenditore veneto, di stampo tradizionale, presenta una concezione strettamente padronale della propria attività, riassumibile nel seguente pensiero “l’azienda me la son costruita io ed è proprietà mia e della mia famiglia”. Questo approccio, però, spesso ha condotto a considerare l'azienda come cosa propria o di famiglia “… quindi io sono il padrone e tutti quelli che ci lavorano sono dipendenti sostituibili”. Questa connotazione fortemente individualistica, che ha contraddistinto, e tuttora contraddistingue, la platea imprenditoriale veneta, seppur caratterizzata da una profonda dedizione al lavoro, condizione che ha fatto la fortuna delle PMI nel Veneto, ha tuttavia portato ad identificare l’impresa nella persona dell'imprenditore “ed a vedere nei suoi lavoratori dei meri dipendenti subordinati, giammai possibili collaboratori in grado di contribuire alla sviluppo della sua azienda”111. Questo limite si è manifestato in tutta la sua dimensione proprio con la crisi del 2008, ove i distretti veneti sono passati da 40 ai 17 dello scorso anno.
Da un punto di vista generale, il Veneto rappresenta, altresì, una delle regioni più importanti per quota di imprese sul totale nazionale. Nel 2011 in Veneto sono presenti ed attive l'8,6% delle imprese nazionali. E' la quarta regione italiana, dopo Lombardia, Campania e Lazio. Le imprese in attività, con sede amministrativa in Veneto, censite al IX Censimento generale dell’industria e dei servizi, avvenuto nel 2011, sono ben 403.169. Tutte queste aziende creano oltre 1,6 milioni di posti lavoro.
Nell’analisi del censimento si evidenzia, inoltre, la diffusione della microimpresa, ovvero delle piccolissime imprese che presentano non più di 9 addetti, e che raggiunge, in questa regione, quasi il 94% del totale delle imprese112.
110 CIRN (a cusa di), Centro Interdipartimentale di ricerca sul Nordest Xxxxxxx Xxxx “Il sistema delle piccole e medie imprese- dal distretto alla rete d'imprese”, Scheda informativa n.64, Regione Veneto, 2014.
111 X. Xxxxxxxx, Distretti e Reti d'imprese, Unioncamere Veneto, in Eurosportello Veneto, 2009
112 CIRN op. cit.
Figura 1: mappa delle agglomerazioni industriali per anno (Comuni appartenenti ad almeno una agglomerazione) in Veneto (Fonte: Censimento dell’Industria e dei Servizi - Elaborazioni Banca d’Italia, L’economia del Nord- est, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxx Xxxxx, 2011)
La figura, qui sopra riportata, rende bene, anche da un punto di vista visivo, la progressione espansiva delle agglomerazioni industriali (colorate in blu) dal 1950 al 2006. Con l'espressione agglomerazioni industriali si intendono, in questa sede, genericamente tutte le forme di aggregazione, e pertanto anche i distretti e le reti embrionali, non ancora formalizzate legislativamente.
Si nota molto chiaramente come le zone e i Comuni coinvolti siano aumentati a dismisura, involgendo, a macchia di leopardo, tutta la regione.
I dati ufficiali dell’ultimo Rapporto Statistico, pubblicato dalla Regione Veneto su dati ISTAT, dicono che il Veneto nel 2016 ha agganciato la ripresa, e ciò è confermato anche dai dati tendenziali relativi ai primi mesi del 2017.
E' la conferma che l’economia veneta sta crescendo più del contesto nazionale. Il Pil lo scorso anno è aumentato dell’1,2%, (a fronte di una media nazionale del +0,9%), soprattutto grazie all’export dei distretti, che proprio nel 2016 ha raggiunto il suo massimo storico: con 58,2 miliardi di euro di fatturato estero (in crescita del’1,3% annuo)113.
Il Veneto si conferma così la seconda regione italiana per interscambio con l’estero. Gli elementi di forza di tale rimonta si sono dimostrati proprio i sistemi produttivi rappresentati dai distretti industriali e dalle reti innovative: i primi perché hanno dimostrato capacità riorganizzativa e di adattamento alle nuove condizioni economiche e della tecnologia; le seconde perché, come nuovo strumento giuridico-economico, si sono dimostrate adatte a cogliere le nuove possibilità e le sfide che il mercato globalizzato attualmente offre.
La Regione Veneto nel 2018 presenta ben 17 distretti industriali specializzati, che sono “espressione della capacità del sistema di imprese e delle istituzioni locali di sviluppare una
113 Dati pubblicati in Comunicato stampa n. 1000 della Regione Veneto del 14 luglio 2017.
progettualità”114.
I distretti industriali veneti sono disciplinati dalla Legge Regionale n. 13 del 2014, “Disciplina dei distretti industriali, delle reti innovative e delle aggregazioni di imprese”. La vigente normativa li inquadra come sistemi produttivi, all'interno di una zona circoscritta del territorio regionale, costituito principalmente da PMI che operano su specifiche filiere e sono prevalentemente a vocazione artigianale.
Il 2014 si è dimostrato per i distretti industriali del Veneto un anno nero. In quel periodo, infatti, si è passati da un numero di 40 distretti ai 17 attuali.
La regione riconosce i distretti industriali, attraverso atti normativi della potestà regionale (deliberazione di giunta regionale), valutando l'esistenza di numerosi criteri e requisiti, quali la storicità, la localizzazione geografica, il numero delle imprese industriali ed artigianali operative nella medesima filiera, nonché la competitività sia sui mercati nazionali che su quelli internazionali.
Con deliberazione n. 2415 del 16 dicembre 2014, la Giunta regionale ha, infatti, individuato 17 distretti industriali definendone gli ambiti geografici e settoriali concludendo di fatto la prima fase di attuazione della legge regionale 30 maggio 2014, n. 13.
Le imprese che fanno parte di un distretto industriale sono quelle che, contestualmente hanno sede operativa all’interno di un Comune ricompreso nella mappa che identifica il distretto ed hanno annotato al registro delle imprese uno dei codici di attività economica ATECO 2007 individuati per il distretto.
I distretti riconosciuti dalla regione sono i seguenti115:
1.DISTRETTO DELLE CALZATURE DELLA RIVIERA DEL BRENTA:
Il distretto è localizzato tra la provincia di Padova e Venezia ed insiste in particolare nella zona della Riviera del Brenta. Qui si producono calzature da donna di tipo classico per i marchi più prestigiosi della moda italiana e internazionale. Il distretto è composto per la maggior parte da PMI che affrontano con successo il mercato mondiale proponendo calzature di alta qualità e sempre al passo con le ultime tendenze, riconosciute a livello nazionale ed internazionale come “Made in Italy”. La specificità del settore deriva dal fatto che la quasi totalità delle calzature griffate presenti sui mercati
114 “ Alla scoperta dei distretti industriali del Veneto” pubblicato in Business People, rivista on-line
ωωω.βυσινεσσποεπλε.ιτ, in data 26 ottobre 2017.
115 Informazioni prese sui singoli distretti dal sito dell'Osservatorio Nazionale Distretti Italiani, Regione Veneto, del 5.02.2018, ηττπ://ωωω.οσσερϖατοριοδιστρεττι.οργ
mondiali sono quasi totalmente pensate, prodotte e commercializzate, da calzaturifici della Riviera del Brenta e produce circa 19 milioni di paia di calzature di alta moda/lusso di cui il 91% viene esportato.
La Regione ha appositamente riconosciuto il distretto con Deliberazione di Giunta Regionale
n. 2415 del 16.12.2014, Individuazione Distretti industriali. L.R. 30 maggio 2014, n. 13, articolo 3, comma 1. Deliberazione n. 143/CR del 29 settembre 2014.
Per avere un'idea più precisa dell'attività e dell'export di questo distretto industriale si riporta la seguente tabella relativa alle annualità 2012, 2013 e 2014:
N. Imprese (2014) | 2.628 | Var.% Imprese (2013/2014) | -0,87 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 1.736 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -2,58 |
X. Xxxxxxx (2013) | 14.325 | Var.% Addetti (2012/2013) | -7,18 |
Export 2014 (Mln Euro) | 1.352 | Var.% Export (2013/2014) | 1,21 |
2. DISTRETTO TESSILE-ABBIGLIAMENTO DEL VENETO ORIENTALE:
Il distretto si localizza nelle province di Venezia e Rovigo, esso comprende aziende del tessile e abbigliamento specializzate nella fabbricazione e confezionamenti di tessili. Molte aziende che partecipano al distretto sono riconosciute a livello nazionale ed internazionale nel settore delle confezioni sartoriali, come ad esempio ai famosi merletti di Burano, che si diffusero nella repubblica di Venezia intorno al 0000.Xx tessuto viene prodotto principalmente nell’area del veneziano, ove vengono confezionati capi di maglieria per uomo, donna e bambino, completi, giacche, gonne e pantaloni, giubboni, calze uomo/donna, abiti da sera, cravatte, foulards. La filiera conta di una rete di piccole e medie imprese e di un numero limitato di aziende più grandi che lavorano con i più esigenti mercati internazionali.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto:
N. Imprese (2014) | 1.702 | Var.% Imprese (2013/2014) | -2,01 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 1.139 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -7,70 |
X. Xxxxxxx (2013) | 6.632 | Var.% Addetti (2012/2013) | -7,93 |
Export 2014 (Mln Euro) | 289 | Var.% Export (2013/2014) |
3. DISTRETTO TESSILE ABBIGLIAMENTO SCHIO - THIENE – VALDAGNO:
Il distretto si estende in provincia di Vicenza, principalmente nei comuni di Schio, Thiene e Valdagno.
Le aziende del distretto sono specializzate in diverse fasi di lavorazione del tessuto come tessitura, filatura, nonché nel confezionamento e nella maglieria. Numerose sono le aziende con brand proprio oltre a committenti terzi come Vuitton, Gucci, Moncler, Dior, Chanel, i quali hanno instaurato collaborazioni di lunga data sul territorio. Il distretto è stato, ed è anche oggi, patria di nomi storici della moda e abbigliamento di fama nazionale ed internazionale, come l'azienda Marzotto S.p.a., primo gruppo italiano del tessile; Diesel con sede storica a Breganze; Bottega Veneta, oggi di proprietà della multinazionale francese PPR, ma solidamente radicata in Veneto, tanto da creare sul territorio distrettuale una scuola che tramanda il mestiere. Il territorio, ove ha sede il distretto, è caratterizzato in particolare dall'industria metalmeccanica, laniera, alimentare, dolciaria e delle confezioni oltre ad alcune (anche se poche) presenze legate all'industria farmaceutica, dei marmi e delle calzature. Già intorno al 1820 nascevano, nell'area di Schio,le prime fabbriche, come il Lanificio Xxxxxx e Xxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxx (che il figlio fece crescere fino a farlo divenire, al tempo, la maggior azienda laniera del mondo: Lanerossi). Furono anche queste prime aziende a favorire lo sviluppo nel territorio di altri lanifici e di tutte le attività collaterali e connesse (come la produzione di navette e la produzione di macchine per il comparto).
4. DISTRETTO DEGLI ELETTRODOMESTICI INOX VALLEY:
Il distretto si colloca in provincia di Treviso, in una zona compresa tra Treviso, Conegliano e Xxxxxxxx Veneto, con estensioni che giungono fino alla provincia di Pordenone e Belluno. Le aziende che partecipano al distretto si caratterizzano per la loro varietà di attività produttive, che spaziano da quelle ad elevato contenuto tecnologico a quello con forti esigenze di personalizzazione del prodotto, come ad esempio la produzione di impianti professionali per il food service equipment o di macchinari per l’enologico, e in generale per l’imbottigliamento). Esse comprendono anche forme più tradizionali, quali le carpenterie e le lavorazioni a caldo, per finire con quelle caratterizzate da modelli di produzione "di massa", come la termomeccanica, il cd. elettrodomestico bianco e l’elettromeccanico. In questo settore sono presenti sia aziende di prodotti finiti che aziende di subfornitura specializzate nella produzione di componenti finiti e nella realizzazione di lavorazioni su specifiche tecniche
richieste dai committenti.
La Regione ha riconosciuto il distretto in analisi con Deliberazione della Giunta regionale n. 2415 del 16.12.2014, Individuazione Distretti industriali. L.R. 30.05.2014, n. 13, art. 3, co. 1. Deliberazione n. 143/CR del 29.09.2014.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto:
N. Imprese (2014) | 3.779 | Var.% Imprese (2013/2014) | -0,84 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 2.632 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -4,12 |
X. Xxxxxxx (2013) | 35.655 | Var.% Addetti (2012/2013) | -2,03 |
Export 2014 (Mln Euro) | 3.896 | Var.% Export (2013/2014) |
Il distretto, sotto il profilo della produzione, si divide in tre grandi filoni: 1. elettrodomestici per uso domestico; 2. food service equipment per la ristorazione professionale e per le comunità; 3. piccoli elettrodomestici.
Molte aziende ricorrono all'esternalizzazione di alcune fasi del ciclo di lavorazione soprattutto per componenti elettrici ed elettronici, mantenendo tuttavia all'interno attività distrettuale, montaggio e collaudo finale dei prodotti.
5.DISTRETTO CARTARIO DI VERONA:
Il distretto si espande su tutta la provincia di Verona e ricomprende numerosi comuni dell'area. Il distretto cartario di Verona è caratterizzato da un sistema integrato di imprese per la realizzazione di prodotti grafici e della comunicazione. Fanno parte della filiera aziende di prodotti e servizi che utilizzano la stampa ma anche i media e il digitale.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto:
N. Imprese (2014) | 653 | Var.% Imprese (2013/2014) | -2,10 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 475 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -6,31 |
X. Xxxxxxx (2013) | 7.191 | Var.% Addetti (2012/2013) | -4,36 |
Export 2014 (Mln Euro) | 125 | Var.% Export (2013/2014) | -10,52 |
Nella filiera operano diverse tipologie di industrie cartarie e cartotecniche come ad esempio studi di grafica, aziende di prestampa, di stampa, di confezione e allestimento, di distribuzione, smaltimento e riciclaggio carta. Tutte le aziende sono dedicate alle diverse linee di prodotto quali stampati editoriali, commerciali, packaging rigido e flessibile, quotidiani e
periodici, stampati pubblicitari, analogici, su CD, per il Web, etc.). Nel distretto, inoltre, si possono trovare anche produttori e distributori di carte e di cartoncini, agenzie pubblicitarie, allestitori e aziende specializzate in lavorazioni poststampa e packaging, produttori e distributori di materiali di consumo come inchiostri e quant'altro. Una piccola fetta produttiva riguarda, infine, i produttori di macchine per l’industria della carta e del cartone, per la stampa come produttori di lastre per stampa, stabilimenti per la produzione di rulli da stampa, rivestimenti cilindri in gomma, aziende di manutenzione e di distribuzione di attrezzature grafiche. Editoria/stampa è il comparto che raggruppa il maggior numero di imprese e di occupati. Va segnalato che le aziende specializzate nelle fasi di prestampa hanno acquisito oggi un ruolo significativo riscuotendo un discreto riconoscimento a livello nazionale e internazionale.
6. DISTRETTO DEL MOBILE D'ARTE DI BASSANO:
Bassano del Grappa fa parte della provincia di Vicenza e costituisce un suo polo industriale. Il suo comprensorio è composto da una ventina di comuni con una popolazione complessiva di 150000 abitanti circa: Bassano del Grappa, Campolongo sul Brenta, Cartigliano, Cassola, Cismon del Grappa, Marostica, Xxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Mussolente, Nove, Pianezze, Pove del Grappa, Pozzoleone, Romano d'Ezzelino, Rosà, Rossano Veneto, Schiavon, Solagna, Tezze sul Brenta (VI), di Asolo, Borso del Grappa, Crespano del Grappa, Fonte, Paderno del Grappa, San Zenone degli Ezzelini (TV) e di Cittadella, Fontaniva e Galliera Veneta (PD).
La zona industriale bassanese è caratterizzata, oltre che dalla presenza di imprese di dimensione medio-piccola, anche da una pluralità di specializzazioni produttive attorno alle quali si sono formate delle concentrazioni aziendali. Questa peculiarità del territorio dipende in maniera rilevante dalla posizione occupata dal comune bassanese. Che si trova in una posizione strategica all’incrocio tra le province di Vicenza, Padova, Treviso, Trento e Belluno. I numerosi collegamenti stradali e ferroviari contribuiscono, altresì, ad attribuirle la funzione di un polo attorno al quale le altre zone circostanti si sviluppano. Il distretto è specializzato nelle produzioni di mobili in stile cd. “arte povera”, nel restauro e nella riproduzione di mobili d’epoca, che riprendono antichi modelli d’arredamento sia d’origine francese che italiana.
Negli anni l’evoluzione del distretto ha, comunque, registrato una differenziazione stilistica quanto alla realizzazione di prodotti di più elevata qualità rispetto ad altre aree specializzate ed si è rafforzato strutturalmente attraverso politiche di specializzazione ed integrazione.
Il distretto di Bassano vanta una diffusa presenza di piccole imprese ma un numero limitato di
aziende di taglia più elevata, le quali tuttavia hanno conquistato un forte riconoscimento sul mercato, posizionandosi in mercati circoscritti ma in grado di esprimere una domanda abbastanza stabile. Il distretto, infatti, focalizza la propria produzione su aspetti produttivi con forte richiamo a processi lavorativi artigianali. Il distretto consta di circa 500 piccole e medie imprese che danno lavoro in media a 7 persone per singola unità produttiva: di queste più del 30% si occupa della produzione ci prodotti finiti, mentre le imprese di sub-fornitura rappresentano poco meno del 60% delle imprese totali.
Il distretto del Mobile d’Arte di Bassano è stato riconosciuto ufficialmente come distretto produttivo da parte della Regione Veneto con Decreto della Giunta Regionale n.2502 del 08/08/2003
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto116:
N. Imprese (2014) | 1.619 | Var.% Imprese (2013/2014) | -1,28 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 1.647 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -2,83 |
X. Xxxxxxx (2013) | 8.667 | Var.% Addetti (2012/2013) | -0,76 |
Export 2014 (Mln Euro) | 417 | Var.% Export (2013/2014) | -3,63 |
0. XXXXXXXXX XXX XXXXX X XXXXX XXXXXX XXX XXXXXX:
Il Distretto si situa nella parte occidentale della regione veneta, nel territorio che abbraccia le aree della Valpolicella, Lessinia, Valpantena, estendendosi sino a quelle vicentine del Chiampo e di Asiago, nonché in quelle padovano dei Colli Euganei. La zona è tradizionalmente nota per l’attività lapidea di estrazione e dell’industria del marmo per lavorazioni dei materiali lapidei. Le qualità di marmo qui prodotte sono numerose. Le più celebri sono il Rosso Verona ed il Nembro, e vengono utilizzate per la costruzione di fontane, ornamenti, vasche, pavimenti e svariate opere di valore artistico.
Il distretto del marmo è il più importante distretto di trasformazione al mondo, le aziende locali, infatti, che vi partecipano, lavorano materiali provenienti da svariate parti del mondo. Qui si trovano in assoluto tutte le varietà di pietre ornamentali. Il distretto industriale rappresenta il principale polo italiano per la lavorazione del marmo e del granito. Detiene la leadership negli scambi internazionali, infatti, il 5% dell’export
116 I dati riportati fanno riferimento ai principali ambiti merceologici di specializzazione del distretto (core business), cui possono aggiungersene altri che, essendo meno rilevanti, non vengono esposti singolarmente ma sono inclusi nell’eventuale colonna del totale. Tutti i dati presentati riguardano l’intero
territorio provinciale sul quale insiste il distretto.
mondiale è coperto dalle pietre lavorate dalle aziende del distretto e tutta la produzione copre un terzo delle esportazioni italiane.
Per dare un'idea della quantità di pietra estratta e lavorata basti pensa che il valore delle esportazioni solo del marmo veronese nel 2010 (export verona - mondo) si aggira sui 371.483.421 euro.
Nel settore del marmo, la provincia di Verona rimane leader indiscussa a livello nazionale, coprendo circa il 28% delle esportazioni italiane e a livello mondiale per la produzione degli agglomerati ricopre l'80% della produzione mentre è al 95% di quella nazionale. Uno dei punti forza del distretto è la ricchezza di strutture collegate al medesimo, tra cui non solo le numerose associazioni del settore (Xx.Xx. Ve. E Consorzio Marmisti Valpantena) e Marmomacc, l’importante manifestazione che si tiene in Fiera a Verona a settembre. Oltre a ciò va annoverato anche il Centro di Formazione Professionale del Marmo a Sant’Ambrogio e il Centro Servizi Marmo scarl, ovvero l’ ente istituzionale della Camera di Commercio di Verona, sede del distretto.
Il distretto si caratterizza per tradizione ed esperienza, scrupolosa divisione del lavoro e specializzazione, una struttura a rete con integrazione verticale e concorrenza orizzontale, notevole grado di cooperazione tra imprese, tendenza all’innovazione e all’efficienza. L'attività principale trasformazione, delle aziende del distretto è la lavorazione modellatura e finitura delle pietre naturali e produzione di agglomerati con il 5% imprese di estrazione e il 95 % imprese di lavorazione e trasformazione. Vi è la presenza di imprese manifatturiere di piccole e medie dimensioni, presenza di numerose aziende terziste, decentramento di alcune fasi del processo produttivo, elevato grado di specializzazione ed infine cooperazione tra imprese per soddisfare qualsiasi tipo di clientela e di progetto. Il distretto dei Marmi e delle Pietre del Veneto è stato riconosciuto ufficialmente con la Legge Regionale n.8 del 04/04/2003 pubblicata in Bur 36/2003: "Disciplina delle aggregazioni di filiera, dei distretti produttivi ed interventi di sviluppo industriale e produttivo locale".
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto117:
N. Imprese (2014) | 580 | Var.% Imprese (2013/2014) | -0,51 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 415 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -2,58 |
X. Xxxxxxx (2013) | 3.109 | Var.% Addetti (2012/2013) | -3,60 |
117 I dati riportati fanno riferimento ai principali ambiti merceologici di specializzazione del distretto (core business), cui possono aggiungersene altri che, essendo meno rilevanti, non vengono esposti singolarmente ma sono comunque inclusi nell’eventuale colonna del totale. Tutti i dati presentati riguardano
l’intero territorio provinciale sul quale insiste il distretto.
Export 2014 (Mln Euro) | 391 | Var.% Export (2013/2014) | -0,04 |
Da un punto di vista geografico, il distretto è collocato nella parte occidentale della regione veneta, più esattamente nella zona della Valpolicella e della Lessinia, occupando una vasta area che va dalla provincia di Verona alla provincia di Vicenza. In particolare, Sant’Ambrogio, Dolcè, Sant’Xxxx d’Alfaedo e Grezzana sono i comuni che accolgono questa concentrazione industriale e che ne promuovono lo sviluppo. Questa area è tradizionalmente nota per l’attività lapidea e dell’industria del marmo, visto che i precedenti storici risalgono addirittura all’epoca romana..
I prodotti tipici di questa area distrettuale sono relativi a una serie di varietà di marmi. Va fatto osservare come delle 527 aziende aderenti al distretto ne esistano 43 dedite all’estrazione in cava e ben 484 alla lavorazione dei materiali lapidei. Per quanto riguarda gli addetti solo il 5% dei dipendenti si occupa della fase estrattiva, mentre il resto si dedica alla lavorazione che rappresenta il processo in cui le aziende venete riescono ad eccellere e ad imporsi come leader nei mercati internazionali.
8. DISTRETTO DELLO SPORTSYSTEM DI MONTEBELLUNA:
Il Distretto dello Sportsystem di Montebelluna copre una superficie di circa 320 Kmq e comprende i Comuni di Valdobbiadene, Pederobba, Monfumo, Cavaso del Tomba, Castelcucco, Cornuda, Fonte, Maser, Asolo, Altivole, Castello di Godevo, Castelfranco Veneto, Vedelago, Caerano, Montebelluna, Crocetta, Volpago, Trevignano, Istrana, Giavera del Montello, Nervosa, Arcade, Ponzano Veneto, Villorba e San Xxxxxx di Callalta. Lo Sportsystem District montebellunese è specializzato nella progettazione, produzione e commercializzazione di articoli sportivi: calzature specialistiche, abbigliamento e attrezzi pensati per la pratica sportiva e costituisce un centro calzaturiero di importanza mondiale. I punti di forza che hanno determinato il successo del distretto montebellunese sono connessi ai caratteri distintivi dei prodotti. La presenza di una comunità locale ben integrata, con frequenti rapporti interpersonali tra i soggetti locali; l'accentata divisione del lavoro tra le imprese e la scomponibilità in fasi del processo produttivo. Accanto alle universalmente conosciute ditte con marchio e alle multinazionali, operano PMI a conduzione familiare con una miriade di produttori di materiali o componenti per calzature, che costituiscono il cosiddetto indotto118. Il rapporto tra piccoli produttori e mercati esterni di sbocco, le continue
118 Indotto: Si dice indotto industriale, di solito, l'insieme di sotto industrie o artigiani che producono parti elementari necessarie alle grandi industrie per realizzare i prodotti finiti.
innovazioni tecnologiche-organizzative, il know how degli imprenditori locali, dei modellisti e dei creativi, al quale ricorrono molte aziende straniere e che ha decretato la competitività a livello mondiale del Made in Montebelluna sono gli elementi rendono assolutamente di stampo tradizionale questo distretto. Il territorio del distretto si estende indicativamente ai piedi del Montello e lungo il corso del fiume Piave. La popolazione residente nell’area del distretto è di circa 100.000 persone.
Il Distretto dello Sportsystem di Montebelluna è stato riconosciuto ufficialmente con Legge Regionale n.8, del 4 aprile 2003 “Disciplina dei distretti produttivi ed interventi di politica industriale locale”.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto119:
N. Imprese (2014) | 1.375 | Var.% Imprese (2013/2014) | -3,64 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 902 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -3,22 |
X. Xxxxxxx (2013) | 10.357 | Var.% Addetti (2012/2013) | -3,81 |
Export 2014 (Mln Euro) | 1.613 | Var.% Export (2013/2014) | 4,59 |
Il distretto è specializzato, in generale, nella progettazione, produzione e commercializzazione di articoli sportivi: calzature specialistiche, abbigliamento e attrezzi pensati per la pratica sportiva.
9. DISTRETTO DEL MOBILE CLASSICO DELLA BASSA VERONESE:
Il Distretto del Mobile Classico della Bassa Veronese si sviluppa nella parte meridionale della Regione Veneto. Territorialmente insiste sulle Province di Verona, Padova e Rovigo, coinvolgendo 43 comuni di cui 23 della provincia di Verona, 14 della provincia di Padova, 6 della provincia di Rovigo.
Più in dettaglio, nella Provincia di Verona: Angiari, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant’Xxxx, Bovolone, Casaleone, Castagnaro, Cerea, Concamarise, Gazzo Veronese, Isola della Scala, Isola Rizza, Legnago, Minerbe, Nogara, Oppeano, Pressana, Roverchiara, Salizzole, Sanguinetto, San Xxxxxx di Morubio, Terrazzo, Villabartolomea;
Nella Provincia di Padova: Carceri, Casale di Scodosia, Castelbaldo, Masi, Megliadino San
119 I dati riportati fanno riferimento ai principali ambiti merceologici di specializzazione del distretto (core business), cui possono aggiungersene altri che, essendo meno rilevanti, non vengono esposti singolarmente ma sono comunque inclusi nell’eventuale colonna del totale. Tutti i dati presentati riguardano
l’intero territorio provinciale sul quale insiste il distretto.
Fidenzio, Megliadino San Vitale, Merlara, Montagnana, Ospedaletto Euganeo, Piacenza d’Adige, Ponso, Saletto, Santa Margherita d’Adige, Urbana;
Nella Provincia di Rovigo: Badia Polesine, Bagnolo di Po, Canda, Castelguglielmo, Giacciano con Baruchella, Trecenta.
Le specializzazioni produttive del distretto sono la produzione e lavorazione di mobili classici e in stile, cucine in legno, salotti imbottiti sia di linea moderna che di rifacimento, arredi per bagni, armadi, toilettes, letti in ferro battuto ed ottone, arredi moderni in genere e mobili di tipo "arte povera".
Il Distretto si caratterizza per la presenza di un numero molto elevato di PMI, prevalentemente di tipo artigianale, con marcate differenze tra loro per tipologia di prodotto, organizzazione produttiva e commerciale, nonché mercati di destinazione dell’export. Diffusa è la presenza di specialisti di fase o di componenti, produttori di mobili in stile, artigiani di nicchia, piccole imprese industriali in fase di crescita, imprese leader e commerciali. Il tessuto distrettuale è comunque composto principalmente da piccole aziende di tipo artigianale, poco strutturate, che si servono spesso di intermediari ed accentrano all’interno quasi tutte le fasi di produzione, decentrando a specialisti di fase soprattutto la lucidatura dei pezzi o alcune particolari operazioni di finitura come decorazione, verniciatura, intaglio, intarsio.
La varietà delle produzioni è tra i motivi del successo di mercato del distretto, che può rispondere alle variazioni di gusto della clientela trovando nel proprio bagaglio produttivo soluzioni adeguate. Il Distretto del Mobile Classico della Bassa Veronese è stato riconosciuto Deliberazione della Giunta regionale n.2415 del 16 dicembre 2014 “Individuazione Distretti industriali. L.R. 30 maggio 2014, n. 13, articolo 3, comma 1. Deliberazione n. 143/CR del 29
settembre 2014”.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto120:
N. Imprese (2014) | 1.969 | Var.% Imprese (2013/2014) | -0,71 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 2.016 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -4,18 |
X. Xxxxxxx (2013) | 7.293 | Var.% Addetti (2012/2013) | -5,55 |
Export 2014 (Mln Euro) | 146 | Var.% Export (2013/2014) | -2,96 |
Da un punto di vista organizzativo, il distretto conta, nei comuni interessati, sia imprese del settore del mobile “in senso stretto”, in particolare nell’area veronese, che è quella
120 I dati riportati fanno riferimento ai principali ambiti merceologici di specializzazione del distretto (core business), cui possono aggiungersene altri che, essendo meno rilevanti, non vengono esposti singolarmente ma sono comunque inclusi nell’eventuale colonna del totale. Tutti i dati presentati riguardano
l’intero territorio provinciale sul quale insiste il distretto.
tradizionalmente più nota e che rappresenta una delle realtà più significative del Veneto, oltre a numerose imprese legate alle attività della filiera. Obiettivo primario del Distretto è la tutela e la promozione della cultura e della qualità del mobile sui mercati nazionali ed internazionali, una produzione esclusiva e fortemente radicata in un territorio unico per caratteri ambientali, storici, artistici e culturali.
I prodotti finali erogati da questo distretto sono piuttosto eterogenei in termini di tipologie di mobili e di materiali utilizzati per la loro realizzazione. Riguardo quest’ultimo punto va notato che oltre ai tradizionali materiali (noce, ciliegio e abete) si utilizzano anche legnami provenienti dall’estero o da paesi esotici. Il prodotto finale riguarda principalmente.
10. DISTRETTO DELL’OCCHIALE DI BELLUNO:
Il distretto degli occhiali si estende in tutto il territorio della provincia di Belluno, dove si possono individuare tre importanti aree di concentrazione: il Cadore, l’Agordino e le zone di Longarone, Alpago, Feltrino, Bellunese (Belluno e Ponte nelle Alpi) e Val Belluna (Mel, Sedico, Sospirolo, Trichiana, Limana). Tuttavia, si contano presenze significative di imprese anche nelle province di Treviso, Padova e Venezia, nonché in alcuni comuni adiacenti in Friuli Venezia Giulia.
Il distretto è specializzato in tutte le produzioni che riguardano l’occhiale: montature da vista, occhiali da sole, minuterie per occhiali, astucci e, in misura minore, lenti. Nel distretto si coprono tutte le fasce di qualità: alta (prezzo elevato, elevata qualità di materiali e lavorazioni,griffe), media (alta qualità e marchio classico o prodotti adatti a determinati usi), medio-bassa (materiali meno pregiati e buona qualità). Per quanto riguarda i settori di supporto si segnalano alcune aziende specializzate nella produzione di macchinari per il settore, di attrezzature di produzione e in trattamenti galvanici. Nel distretto operano, da un lato, poche grandi imprese e gruppi internazionali che, nati all’interno del distretto, hanno negli ultimi anni raggiunto dimensioni tali da esser diventati leader mondiali del settore anche sui mercati internazionali. Distribuiscono prodotti con marchi propri e in licenza, presidiano importanti attività di marketing, quali la progettazione
del prodotto, la comunicazione e la logistica ed hanno il controllo diretto della distribuzione attraverso una rete di agenti propri e l'apertura di filiali commerciali all’estero, oltre che con l’acquisizione di catene di ottica a livello internazionale.
Va rilevato come all'interno dei distretti vi sia un insieme di PMI specializzate nella produzione del prodotto, di parti componenti o in alcune specifiche lavorazioni, che cedono ai committenti, aziende licenziatarie e con marchi propri oppure distributori.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto:
N. Imprese (2014) | 46 | Var.% Imprese (2013/2014) | -2,13 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 5 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -16,67 |
X. Xxxxxxx (2013) | 88 | Var.% Addetti (2012/2013) | 12,01 |
Export 2014 (Mln Euro) | 4 | Var.% Export (2013/2014) | -24,73 |
Il distretto industriale dell’occhialeria bellunese e trevigiana è stato individuato con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 79 del 22.11.1999 (BUR n. 112/1999).
11. DISTRETTO DEL VETRO ARTISTICO DI MURANO:
Il Distretto del vetro artistico ha sede a Murano, un’isola della Laguna Veneta, situata a nord-est di Venezia, il Comune di riferimento. È composta da sette isole minori, di cui due di origine artificiale (Xxxxx Xxxxxxxxx e Sacca San Mattia):
ciascun isola è divisa da canali e rii ed è collegata alle altre attraverso ponti. L’isola di Murano è totalmente urbanizzata (ad eccezione della Sacca X. Xxxxxx, tuttora in fase di bonifica) e vi abitano circa 5.500 persone. La produzione vetraria a Murano vanta una tradizione produttiva millenaria: per secoli, grazie alla creatività e all’abilità manuale di generazioni di famiglie di maestri vetrai, Xxxxxx è stata la culla mondiale del vetro artistico e oggi la lavorazione del suo vetro costituisce una delle forme più raffinate di artigianato artistico nel mondo, profondamente legato alle sue radici e tradizioni storiche. Alcuni dei prodotti caratteristici dell’attività vetraria nell’isola sono: articoli per l’illuminazione, vetri incisi, vetri decorati per accidatura e sabbiatura, vetri molati, lavorazioni murrine, specchi e vetri a lume.
Il binomio vetro-arte continua a caratterizzare Xxxxxx, con uno sforzo continuo da parte degli imprenditori locali di mantenere e rafforzare l'immagine e i livelli qualitativi, creando strumenti di servizio alle imprese, come consorzi specializzati nella promozione e nella commercializzazione oltre che negli acquisti collettivi delle materie prime, e dando vita al
marchio di qualità “Vetri Murano” che si propone di salvaguardare il distretto dalle sfide della produzione a basso costo. Il Distretto del Vetro artistico di Murano è stato riconosciuto in base alla L. 8/2003 della Regione Veneto e successive modifiche.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto121
N. Imprese (2014) | 474 | Var.% Imprese (2013/2014) | -1,25 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 365 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -2,41 |
X. Xxxxxxx (2013) | 2.516 | Var.% Addetti (2012/2013) | -0,32 |
Export 2014 (Mln Euro) | 97 | Var.% Export (2013/2014) | -3,44 |
Il vetro artistico di Xxxxxx ha sviluppato nel corso degli anni una ricchissima articolazione produttiva che spazia in tutte le forme del vetro. In linea generale, i vetri muranesi, seppure diversificati sia qualitativamente che funzionalmente, sono sempre orientati verso un prodotto che abbia in diversa misura un certo contenuto artistico: gli articoli più propriamente “seriali” hanno infatti un peso assai minore nella vetraria muranese. Alcuni dei prodotti caratteristici dell’attività vetraria nell’isola sono: articoli per l’illuminazione, vetri incisi, vetri decorati per accidatura e sabbiatura, vetri molati, lavorazioni murrine, specchi e vetri a lume.
12. DISTRETTO VICENTINO DELLA CONCIA:
Il distretto si estende principalmente nella provincia di Vicenza. L'attuale peculiarità di quest'area è rappresentata, dal punto di vista industriale, dalla contemporanea presenza di PMI e grandi gruppi industriali all'avanguardia nell'automazione e standardizzazione delle fasi del processo conciario, mentre sul piano produttivo la principale specializzazione sono le pelli bovine medio-grandi che vengono destinate ai clienti dell'imbottito (arredamento ed interni auto), della calzatura ed della pelletteria122.
Il distretto Vicentino della Concia, primo polo conciario italiano e tra i più importanti a livello internazionale, ha subito profonde trasformazioni in questi ultimi anni, riuscendo a reggere l’urto provocato dalla recente crisi che ha segnato, talvolta in modo deciso, i settori tipici del made in Italy.
E stata la capacità delle imprese operanti nel triangolo Arzignano, Montebello, Valle del
121 I dati riportati fanno riferimento ai principali ambiti merceologici di specializzazione del distretto (core business), cui possono aggiungersene altri che, essendo meno rilevanti, non vengono esposti singolarmente ma sono comunque inclusi nell’eventuale colonna del totale. Tutti i dati presentati riguardano
l’intero territorio provinciale sul quale insiste il distretto.
122 Fonte dati UNIC
Chiampo, di subcontrattare le parti più o meno critiche del processo produttivo, creando economie di scala e mantenendo, all’interno dell’azienda di prodotto finale, unicamente quelle attività, come la tinteggiatura o la finitura, garanzia di un maggiore valore aggiunto del prodotto
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto:
N. Imprese (2014) | 1.016 | Var.% Imprese (2013/2014) | 1,40 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 652 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | 1,72 |
X. Xxxxxxx (2013) | 11.136 | Var.% Addetti (2012/2013) | -0,27 |
Export 2014 (Mln Euro) | 2.401 | Var.% Export (2013/2014) | 8,53 |
Il distretto della Concia di Arzignano è stato riconosciuto a livello regionale con la delibera della Giunta Regionale n. 2415 del 16/12/2014. All’interno del distretto della Valle del Chiampo sono presenti circa 860 imprese che impiegano 11.140 addetti alla produzione. La caratteristica del cluster sono l’eterogeneità dei prodotti realizzati quali arredamento, calzature, pelletteria, abbigliamento e la pluralità delle fasi di lavorazione espletate come la rifinitura, tintura, ingrasso. La lavorazione della concia si situa quasi esclusivamente nel comprensorio vicentino, dal momento che finora il ricorso alla esternalizzazione è stato piuttosto modesto e ricopre appena l’0,8% del totale delle lavorazioni.
13. DISTRETTO CALZATURIERO VERONESE:
Il Distretto Calzaturiero Veronese è collocato nella parte orientale ed occidentale della provincia di Verona. I comuni che registrano la maggiore densità di imprese facenti parte del distretto sono: San Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Bussolengo, Sona, Pescantina, Villafranca e naturalmente, Verona.
Le attività del Distretto sono focalizzate sulla produzione di calzature da passeggio in pelle e cuoio di uso comune sia per uomo che per donna. Nell'area distrettuale sono presenti anche attività rivolte alla preparazione della concia e del cuoio, di prodotti ausiliari per la industria calzaturiera e delle pelli.
Il distretto calzaturiero di Verona è stato riconosciuto ufficialmente con Legge Regionale n.8.del
04/04/2003 (Bur 36 /2003) “ Disciplina delle aggregazioni di filiera, dei distretti produttivi ed interventi di sviluppo industriale e produttivo locale”. Il riconoscimento è stato riconfermato nel 2006 e nel 2009.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto123
N. Imprese (2014) | 1.074 | Var.% Imprese (2013/2014) | 1,80 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 630 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -8,30 |
X. Xxxxxxx (2013) | 6.176 | Var.% Addetti (2012/2013) | -8,42 |
Export 2014 (Mln Euro) | 1.172 | Var.% Export (2013/2014) | 8,06 |
Il territorio considerato appare piuttosto denso di concentrazioni industriali, in particolar modo possiamo notare come questa area, alla pari di tutta la Regione Veneto, sia probabilmente la regione italiana dove la cultura dei distretti appare maggiormente radicata e affermata. Inoltre il Distretto calzaturiero è collocato in una posizione molto favorevole che vede da un lato il Lago di Garda e dall’altro la Valle D’Alpone.
Territori coinvolti: Affi, Albaredo d’Adige, Bussolengo, Calmiero, Caprino Veronese, Castel d’Azzano, Castelnuovo del Garda, Cologna Veneta, Costermano, Isola della Scala, Lavagno, Lazise, Montecchia di Corsara, Negrar, Nogarole Rocca, Oppiano, Pastrengo, Pescantina, Roncà, Roverè Veronese, San Xxxxxxxx Xxxxxxxx, San Xxxxxxxx Xxxxxxxx, San Xxxxxxx Buon Albergo, San Xxxxxx in Cariano, Sommacampagna, Sona, Sorgà, Tregnano, Valeggio sul Mincio, Verona, Veronella, Vestanova, Vigasio, Villafranca di Verona, Zevio.
Da un punto di vista delle imprese partecipanti, il Distretto comprende 130 aziende firmatarie del patto 2009-2011 che presentano circa 3000 addetti alla produzione. Tali imprese unite rappresentano una delle migliori realtà italiane in termini di export, tanto che la Provincia di Verona si colloca al quarto posto nella apposita graduatoria nazionale.
Le prime aziende distrettuali risalgono agli anni ’50 e nel tempo le loro capacità si sono estese anche alla commercializzazione del prodotto e all’applicazione delle nuove tecnologie. Nell’ambito del distretto veronese si realizzano soprattutto calzature, però esistono anche attività rivolte alla preparazione della concia e del cuoio, di prodotti ausiliari per le industrie tessili e di macchine e apparecchi per l’industria delle pelli.
123 I dati riportati fanno riferimento ai principali ambiti merceologici di specializzazione del distretto (core business), cui possono aggiungersene altri che, essendo meno rilevanti, non vengono esposti singolarmente ma sono comunque inclusi nell’eventuale colonna del totale. Tutti i dati presentati riguardano
l’intero territorio provinciale sul quale insiste il distretto.
14. METADISTRETTO DELLA MECCATRONICA E DELLE TECNOLOGIE MECCANICHE INNOVATIVE:
Il distretto si estende su tutto il territorio regionale veneto. I comparti dell’automazione, delle macchine per l’industria e delle macchine ed apparecchi elettrici ed elettronici rappresentano il nucleo forte del distretto. Diffusa è la presenza di alcune attività quali la fabbricazione di motori, generatori e trasformatori elettrici, la fabbricazione di apparecchiature per il controllo dei processi industriali, la fabbricazione di macchine utensili, la fabbricazione di pompe e compressori, la fabbricazione di macchine per la lavorazione di prodotti alimentari, per la lavorazione tessile, del legno, per l’industria delle pelli, la fabbricazione di robot industriali, di antenne e accessori, ecc. Il distretto rappresenta un sistema altamente specializzato dove le singole aziende sono tra loro fortemente interconnesse costituendo una ragnatela produttiva unica al mondo. Al suo interno, accanto ai grandi produttori di macchine per gli altri distretti produttivi, come l’alimentare, il tessile, la lavorazione del legno, il packaging, ecc., esistono altre imprese di dimensioni inferiori ma altamente competitive specializzate nella componentistica per macchine tessili o negli impianti per tintorie nonché una folta schiera di terzisti meccanici che producono tanto per il meccanico tessile che per il meccanico generale. Con Legge regionale 4 aprile 2003, n. 8 "Disciplina dei distretti produttivi ed interventi di politica industriale locale", come modificata dalla Legge regionale 16 marzo 2006, n. 5, la Giunta Regionale ha inteso promuovere azioni coordinate di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo locale. Il 29 maggio 2007 è stato approvato con delibera n.1576 della giunta regionale veneta la natura di Metadistretto della Meccanica e delle Teconolie Innovative al presente Distretto.
La tabella qui di seguito presenta i dati quantitativi più significativi del distretto124
N. Imprese (2014) | 5.091 | Var.% Imprese (2013/2014) | 0,59 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 3.852 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -3,14 |
X. Xxxxxxx (2013) | 53.320 | Var.% Addetti (2012/2013) | -0,81 |
Export 2014 (Mln Euro) | 5.383 | Var.% Export (2013/2014) | 4,90 |
L’appartenenza al comparto della meccatronica non è individuabile attraverso una
124 I dati riportati fanno riferimento ai principali ambiti merceologici di specializzazione del distretto (core business), cui possono aggiungersene altri che, essendo meno rilevanti, non vengono esposti singolarmente ma sono comunque inclusi nell’eventuale colonna del totale. Tutti i dati presentati riguardano
l’intero territorio provinciale sul quale insiste il distretto.
classificazione merceologica, ma richiede la definizione di aree dove vengono realizzati prodotti potenzialmente meccatronici125.
Utilizzando appositi criteri di aggregazione sono state individuati i seguenti comparti: automazione; macchine per l’industria; macchine ed apparecchi elettrici ed elettronici.
15. DISTRETTO VENETO DELLA TERMOMECCANICA – VENETOCLIMA:
Il distretto Venetoclima è radicato principalmente in alcuni comuni della provincia di Verona e in altri di province limitrofe. Il Distretto è specializzato nelle attività del settore termomeccanico, che coinvolge tutti i sistemi legati alla gestione della temperatura e dell’umidità di un ambiente. I principali prodotti di termoregolazione riguardano sia la gestione del calore, attraverso termosifoni, caldaie, generatori di calore, bruciatori, scalda- acqua, termoconvettori a gas e generatori di aria calda, sia la gestione del freddo, con refrigeratori, ventilconvettori e condizionatori.
Le sperimentazioni sui primi impianti civili di riscaldamento risalgono al primo dopoguerra, periodo in cui inizia lo sviluppo della grande distribuzione degli impianti e la produzione di acqua calda tramite generatori di calore e scambiatori. Da allora le aziende venete del settore si sono sempre più specializzate, rendendo necessaria la creazione del distretto della termomeccanica.
Con Legge regionale 4 aprile 2003, n. 8 "Disciplina dei distretti produttivi ed interventi di politica industriale locale", come modificata dalla Legge regionale 16 marzo 2006, n. 5, la Giunta Regionale ha inteso promuovere azioni coordinate di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo locale. Tra le finalità della Legge regionale in oggetto si richiama il sostegno all'innovazione per i settori produttivi, tramite la promozione e lo sviluppo dell'intero sistema produttivo regionale implementandone ed ampliandone le potenzialità. La citata Legge disciplina inoltre, nell'ambito della più generale azione di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo regionale, i criteri di individuazione e le procedure di riconoscimento dei Patti di Sviluppo dei distretti/metadistretti produttivi, nonché le modalità di attuazione degli interventi per la crescita dell'intero sistema produttivo locale.
125 La meccatronica è la disciplina che studia il modo di far interagire tre sottodiscipline – la meccanica, l'elettronica e l'informatica – al fine di automatizzare i sistemi di produzione per semplificare il lavoro umano.
N. Imprese (2014) | 3.311 | Var.% Imprese (2013/2014) | -0,54 |
N. Imprese fino a 49 addetti (2013) | 2.416 | Var.% Imprese fino a 49 addetti (2012/2013) | -0,49 |
X. Xxxxxxx (2013) | 27.790 | Var.% Addetti (2012/2013) | -1,53 |
Export 2014 (Mln Euro) | 2.895 | Var.% Export (2013/2014) | -0,93 |
16. DISTRETTO DI CONEGLIANO VALDOBBIADENE - PROSECCO SUPERIORE:
Il distretto è stato riconosciuto dalla regione Veneto con DGR n. 1949 del 23 dicembre 2015. E' soggetto giuridico rappresentante Consorzio Tutela del Vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco con Codici Ateco di riferimento 11.02, Area territoriale composta dai comuni di Cappella Maggiore, Cimadolmo, Cison di Valmarino, Codognè, Colle Xxxxxxx, Conegliano, Cordignano, Cornuda, Crocetta del Montello, Farra di Soligo, Follina, Fontanelle, Fregona, Gaiarine, Giavera del Montello, Godega di Sant'Urbano, Mansuè, Mareno di Piave, Maserada sul Piave, Miane, Moriago della Battaglia, Nervesa della Battaglia, Oderzo, Ormelle, Orsago, Pederobba, Pieve di Soligo, Ponzano Veneto, Portobuffolè, Refrontolo, Revine Lago, San Fior, San Xxxxxx di Feletto, San Polo di Piave, San Vendemiano, Sarmede, Sernaglia della Battaglia, Susegana, Treviso, Valdobbiadene, Vazzola, Vidor, Xxxxxxxx Veneto, Volpago del Montello.
Il Conegliano Valdobbiadene DOCG è una delle grandi denominazioni italiane di origine del vino. E’ in quarta posizione nella classifica generale in termini di produzione ma, è in testa, insieme all’Asti, relativamente alla produzione di spumante DOCG.
Nel 2016 la produzione ha raggiunto gli oltre 90 milioni di bottiglie prodotte, a partire da
7.549 ettari di vigneto.
L’attività della denominazione coinvolge 5.600 addetti ed altre migliaia di operatori impiegati nei settori collegati alla produzione del vino, come la ristorazione, il turismo e la produzione di macchine enologiche.
Il distretto si compone di oltre 3.000 aziende agricole, 450 cantine di vinificazione e 178 spumantisti.
Gli obiettivi dell’attività del Distretto del Conegliano Valdobbiadene Prosecco ruotano attorno al perfezionamento della qualità del prodotto e all’attenzione crescente alla riduzione dell’impatto ambientale della viticoltura, nella direzione di una produzione sempre più sostenibile e rispettosa della natura e dei cittadini che vivono nel territorio distrettuale. Vengono, inoltre, considerati l’incremento della conoscenza del prodotto in Italia e all’estero, come espressione di un’eccellenza del Made in Italy. Scopi ulteriori oggetto dell'attività del distretto sono il rafforzamento dell’internazionalizzazione delle aziende e l’accesso a nuovi mercati, l’incremento dei flussi turistici nel territorio 126.
17. DISTRETTO ORAFO ARGENTIERO DI VICENZA:
Il distretto Orafo Argentiero si riferisce ai seguenti comuni del vicentino: Altavilla Vic., Arcugnano, Arzignano, Bassano del Grappa, Bolzano Vic., Brendola, Bressanvido, Brogliano, Caldogno, Caminsano Vic., Cartiglaino, Cassola, Castegnero, Castelgomberto, Costabissara, Creazzo, Dueville, Gambugliano, Grumolo delle Abbadesse, Isola Vic., Longare, Montecchio Maggiore, Montecchio Precalcino, Montegalda, Montegaldella, Monteviale, Monticello C.O., Mussolente, Nanto, Nove, Pove del Grappa, Pozzoleone, Xxxxxx Xxx., Romano d'Ezzelino, Xxxx, Sandrigo, Xxx Xxxxxxx, Schiavon, Solagna, Sovizzo, Tezze sul Brenta, Torri di Quartesolo, Trissino, Valdagno, Vicenza, Villaverla, Zovencedo e ai seguenti comuni al di fuori della provincia: Borso del Grappa, San Zenone degli Ezzelini, Campodoro. La gamma produttiva offerta è molto variegata e spazia dall'alta gioielleria, semi e minigioielleria, oreficeria e argenteria, ai prodotti di tendenza, ai semilavorati, dalle montature per gioielli, chiusure, portaorologi, al vasellame d’argento, servizi da tavola, complementi d’arredo, incisioni, sculture, quadri. All’interno del distretto è possibile trovare tipologie di imprese molto differenti tra loro. Infatti esistono molte piccole e medie realtà imprenditoriali altamente specializzate che occupano un ruolo di terzisti e, allo stesso tempo, grandi imprese altamente meccanicizzate che trainano il distretto e ne rendono famosi i prodotti in tutto il mondo.
Il distretto è caratterizzato dalla presenza di un limitato numero di medie imprese e di molte piccole aziende, spesso artigianali ed altamente specializzate. Di rilievo però anche alcune realtà industriali capaci di realizzare elevati volumi, soprattutto per quel che riguarda
126 Fonte: Elaborazioni dell’Ufficio di Statistica della Regione del Veneto su dati Istat 2015
catename, cinturini e medaglie. Decisamente sviluppato è inoltre l’indotto, che lavora solo o parzialmente conto terzi.
Di buon livello è l'integrazione che coinvolge alcuni settori di supporto tecnico come meccanica strumentale, stampistica, galvanica, ecc., e di servizio quali trasporto e corrieri specializzati, sistemi di sicurezza, ecc.; settori che fungono da supporto anche a livello di commercializzazione, incentivando la diffusione sui mercati esteri, specialmente in Medio Oriente, Stati Uniti e Giappone.
Il distretto Orafo – Argentiero di Vicenza è stato riconosciuto ufficialmente come distretto produttivo ai sensi del Decreto della Giunta Regionale n.2502 del 08/08/2003 “Disciplina dei distretti produttivi del Veneto ed interventi di politica industriale locale.
Il distretto Orafo Argentiero si espande in un’area del Veneto che va da Vicenza a Bassano del Grappa ed arriva fino a Trissino. La città è nota per la sua tradizione orafa che risale addirittura all’epoca paleoveneta e longobarda, questa fama si è consolidata nel corso dei secoli e ha portato il
distretto vicentino ad essere uno degli agglomerati industriali più famosi in assoluto nel panorama nazionale.
Il distretto vicentino è rappresentato da poco più di 800 aziende di grandi e piccole dimensioni che forniscono lavoro a circa 9.000 persone. Esso elabora circa il 30% dell’oro importato nel nostro paese e mostra un peso pari al 30% sul totale delle esportazioni italiane nel settore orafo, nonostante il comparto affronti un momento di crisi che prosegue da qualche anno e che deve attribuirsi alla costante crescita del prezzo dell’oro.
Alla luce della panoramica svolta, sul tema distretti industriali e reti d'impresa in Italia, si possono, dunque, trarre le seguenti riflessioni: le imprese, che tendono ad aggregarsi, sono prevalentemente di piccole e medie dimensioni, collegate tra loro in reti (verticali e orizzontali) con lo scopo di ottenere in tal modo economie di scala e regimi di produzione più efficienti. “Le reti sono peraltro modelli generali di organizzazione del business usati dalle imprese moderne di ogni dimensione per diventare più competitive o semplicemente per riuscire a sopravvivere. La recente affermazione industriale di aree un tempo “emergenti”, con abissali differenziali favorevoli nei costi di produzione, ha da un lato messo a dura prova i vantaggi storici di alcuni distretti industriali italiani, determinandone la crisi, dall’altro reso ancor più urgente l’impiego ancor più efficiente della forma organizzativa della rete
d’imprese, nell’intento di contrastare gli effetti dei punti di debolezza connessi alla piccola dimensione”127.
Posto, dunque, che è sempre stato possibile costruire all'interno dei distretti reti informali (di condivisione delle conoscenze, know how, ecc. -vedesi capitolo II), nell'ultimo decennio il legislatore italiano ha introdotto un’importante novità nella disciplina riservata all’attività d’impresa. Più specificatamente, con la Legge n. 122/2010 art. 42, co. 2 bis, che modifica la legge n.33/2009, il legislatore ha voluto formalizzare la collaborazione tra imprese mediante il “contratto di rete”.
Si rende opportuno, a questo punto della tesi, confrontare le figure di contratto di rete e distretto, già ampiamente e singolarmente trattati, evidenziando le differenze tra questi due modelli aggregativi tra imprese a rilevanza economica e giuridica.
Sotto il profilo strettamente economico, il distretto si presenta come una forma aggregativa “caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali128”, ma sotto il profilo giuridico, dopo l'entrata in vigore del contratto di rete, si rende necessario affrontare il problema di capire se un distretto industriale italiano possa essere supportato anche da un contratto di rete. In altre parole, il contratto di rete potrebbe essere il mezzo giuridico per formalizzare un distretto industriale?
Alla luce di quanto sino a qui analizzato, per i due modelli (contratti di rete e distretti) si può certamente affermare che non sono in contrasto, tuttavia non risultano neppure completamente sovrapponibili.
Reti e distretti possono tuttavia sviluppare significative sinergie. Confrontando i due strumenti, ci si accorge, infatti, che il distretto è caratterizzato dalla specializzazione produttiva e mediamente da un elevato numero di imprese partecipanti, che non assumono particolari obblighi collaborativi vicendevolmente. Eventuali obblighi e prerogative vengono definiti di volta in volta sulla base di accordi flessibili non formalizzati.
Le reti d’impresa, invece, presentano una natura “formale” che si estrinseca nel contratto di rete. Esse non sono organizzate, come invece avviene nei distretti, in base alla specializzazione produttiva perché potrebbero far parte della rete anche soggetti che svolgono attività molto diverse, sebbene complementari. Allo stesso modo i contratti di rete non sono ancorati al dato geografico, come invece lo sono i distretti.
127 X. Xxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, “Contratti di rete e distretti:sotto i profili organizzativo, contabile e fiscale” Universitas Mercatorum-Università telematica delle Camere di Commercio, Roma, 2014.
128 Becattini G., “Il distretto industriale”, Xxxxxxxxx & Xxxxxxx, 2000
Da quanto analizzato nei dati pubblicati dalle Camere di Commercio d'Italia, aggiornato al 3 gennaio 2018, si è potuta evidenziare una prevalenza di modelli aggregativi di tipo orizzontale ovvero tra imprese che svolgono attività complementari e che cercano di allearsi per condividere ed abbassare i costi (commerciali, di internazionalizzazione, ecc.) nonché centralizzare gli acquisti.
Certamente sono rinvenibili, seppure numericamente inferiori, le reti verticali ovvero reti di imprese che iniziano processi di integrazione con i clienti e i fornitori.
I contratti di rete, non necessariamente, infatti, presentano prossimità territoriale tra imprese retiste- Le reti d'impresa possono essere costituite senza alcun vincolo territoriale, a differenza di quanto accade nel distretto. La tendenza che emerge dall'analisi dei dati va proprio in questo verso, ovvero il contratto di rete tende a scavalcare i confini geografici della singola area per coinvolgere in modo trasversale più aree geografiche rilevanti per produttività, senza contare che il numero medio di retisti per ciascun contratto è mediamente di circa 5-6 unità, ossia piuttosto ridotto.
“I contratti di rete non sembrano rappresentare una forma incompatibile con i distretti, in quanto potrebbero in astratto possederne gran parte delle caratteristiche (ancorché in concreto siano utilizzate per un’ampia casistica di forme collaborative, che in generale non hanno le peculiarità del contesto territoriale e della specializzazione produttiva che caratterizzano il distretto).
In questo senso, è ragionevole che nell’ambito dei distretti possano facilmente proliferare contratti di rete agevolati dalla conoscenza diretta e dalla prossimità territoriale dei partecipanti” 129.
Il contratto di rete, pertanto, è strumento capace di attrarre verso di sé imprese che operano in settori diversi ed in differenti contesti geografici, come ad esempio “Rete d'impresa VACANZAATTIVA”, ove numerose imprese dislocate in tutta Italia ed operanti nei settori del turismo e servizi collaborano attraverso un contratto di rete al fine di accrescere la propria capacità di penetrazione sui mercati nazionali ed internazionali.
La distribuzione per numero di settori coinvolti conferma, infatti, come circa un contratto di rete su quattro annoveri imprese appartenenti a tre o più settori, valutati secondo la denominazione delle Sezioni Ateco 2007.
Sostanzialmente, per quanto sino ad ora visto, distretto e rete d'impresa sembrano perseguire i medesimi vantaggi, denotando una tendenziale compatibilità di obiettivi.
129 X. Xxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, op.cit.
Ciò nonostante, il programma di rete, contenuto nel contratto, manifesta formalmente i vincoli e gli impegni reciproci tra le imprese retiste, nonché le modalità di collaborazione, tali da rendere il contratto di rete non idoneo a disciplinare ed organizzare i rapporti di un distretto industriale spesso composto da decine e decine di imprese.
“Nei distretti, la specializzazione produttiva e la prossimità territoriale generano quasi spontaneamente vantaggi economici per tutte le imprese distrettuali, che la formalizzazione richiesta da un contratto di rete finirebbe solo per vincolare in maniera innaturale e non necessaria. Inoltre, il fatto che tra le imprese distrettuali vi sia cooperazione sul fronte dei costi e delle tecnologie, ma anche competizione nei confronti del mercato, genera ulteriori complessità nella formalizzazione di un contratto di rete che abbia ad oggetto l’intera cooperazione tra le imprese distrettuali (e quindi, in sostanza, l’intero distretto). Quanto sopra vale per la “rete contratto”, e ancor di più per la “rete soggetto”130.
Anche se non del tutto tra loro omogenei né sovrapponibili, i modelli del distretto e del contratto di rete paiono essere sempre di più avvicinati anche dal legislatore nazionale, il quale negli ultimi anni è parso muoversi nella direzione di una lettura coordinata dei due strumenti in analisi, come confermano le attività parlamentari, basti prendere in considerazione l'art. 3 L. 33/2009, rubricato “Distretti, reti e contratti di rete” come tema unitario.
L’impiego del contratto di rete nei distretti può, quindi, essere considerato sotto un duplice aspetto: da un lato, potrebbe atteggiarsi a formalizzazione giuridica del distretto e dei rapporti con le imprese partecipanti; dall'altro, invece, e più concretamente, viene già in parte impiegato per formalizzare i rapporti tra alcune imprese che partecipano al distretto, e che presentano esigenze e specifiche competenze, con imprese esterne al distretto ma collegate alle prime attraverso la rete al fine di raggiungere particolari sinergie. Per fare un esempio di quanto si va dicendo, si pensi alle imprese fornitrici di imprese distrettuali, che potrebbero unirsi per consolidare ed estendere il rapporto facendolo salire a livello di intero distretto. Come esempio concreto di questo particolare rapporto, in mancanza di dati a livello generale in studi del settore, rileva, a seguito dell'analisi del documento citato delle Camere di Commercio d'Italia, aggiornato al 3 febbraio 2018, contenente l'elenco delle imprese in rete in Italia, la presenza della rete d'impresa AGRI VINO FVG, di recentissima creazione, anno 2017, che coinvolge imprese aventi sede nella zone del trevigiano e del pordenonense già parte dei distretti del vino, analizzati nel presente paragrafo.
130 X. Xxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, op.cit.
Altre imprese che fanno parte di distretti industriali ed allo stesso tempo partecipano anche a contratti di rete, rinvenute nel corso della predetta indagine sul documento excel di Unioncamere, sono le seguenti:
− Distretto del Prosecco di Valdobbiadene (industrie alimentari e delle bevande):
1. Rete Mia
2. AGRI VINO FVG
3. XX.XX in Rete
− Distretto della Concia di Arzignano (calzature ed articoli sportivi):
1. DECOR SYS
− Distretto della Calzatura del Brenta (calzature, concia ed articoli sportivi):
1. Rete XXXXXXXXX 00000
2. REC Rete Europea Calzature
3. Rete per cambiare
4. Rete (denominazione assente) sede Vigonovo
− Distretto del Mobile classico di Bassano del Grappa (industria del legno e dell'arredamento)
1. Contratto Castelfranco Costruzioni 3C rete di marca
− Distretto del Marmo Veronese (lavorazione minerali non metalliferi):
1. Rete Stone Cutting Technology SCT
− Distretto del Freddo del Padovano (meccanica)
1. Rete Link
2. Rete ADNOVA
3. Rete MZ- Zanirato
− Distretto della Meccanica dell'Alto Vicentino (meccanica)
1. Rete BFTA SPA
2. Rete NET SERVICE
− Distretto Ittico del Polesine (industrie alimentari e delle bevande)
1. NUOVI ORIZZONTI
− Distretto dell'Ottica Bellunese (ottica ed apparecchiature medicali)
1. IMPRESE DOLOMITICHE
Per dettagli sulle singole attività dedotte nel contratto di rete e delle imprese che vi partecipano vedasi Tabelle di Appendice A e B allegati alla presente tesi.
Come si può notare non sono numerosissime, atteso che trattasi di nuovo fenomeno aggregativo che sta prendendo piede proprio negli ultimi anni. Si attende dunque un trend in
aumento per cui imprese distrettuali si avvarranno sempre più spesso di più contratti di reti per fasi di produzione o strategiche sinergie.
In sintesi, è di tutta evidenza che così come è strutturato il contratto di rete non può essere integralmente impiegato per formalizzare i rapporti del distretto nel suo complesso. Il contratto di rete si dimostra, invece, strumento in grado di assicurare accordi strategici ed operativi tra un numero limitato di imprese, anche in contesti distrettuali.
“La presenza di un contratto, in forza di un rapporto maggiormente formalizzato e limitato ad un numero ristretto di beneficiari, rende di fatto più solida e “programmata” la collaborazione con il distretto o nell’ambito di esso, aumentando il potere contrattuale congiunto delle imprese nei confronti degli stakeholders131 anche ai fini del merito di credito132”.
131 Stakeholder: con tale vocabolo anglosassone si intendono tutti i soggetti, individui od organizzazioni, attivamente coinvolti in un’iniziativa economica (progetto, azienda), il cui interesse è negativamente o positivamente influenzato dal risultato dell’esecuzione, o dall’andamento, dell’iniziativa e la cui azione o
reazione a sua volta influenza le fasi o il completamento di un progetto o il destino di un’organizzazione. (da
Enciclopedia Treccani on-line 2018, xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx)
132 X. Xxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, op.cit.
CONCLUSIONI FINALI
Il processo di globalizzazione, iniziato parecchi decenni or sono, ha comportato un processo di ridefinizione dei rapporti economici a livello mondiale che sta continuando tuttora, e che ha ricevuto un notevole impulso acceleratorio dalla crisi economica, che ha colpito il nostro paese dal 2008.
Tale scenario ha modificato il sistema competitivo delle imprese, che hanno dovuto porre in essere cambiamenti drastici per sopravvivere, quali abbassare i costi di produzione, internazionalizzarsi e trovare nuovi mercati di sbocco per i propri prodotti, anche attraverso l'impiego di nuove tecnologie ed adottando nuovi modelli aggregativi sconosciuti alla tradizione imprenditoriale italiana.
La citata crisi finanziaria ha oltretutto aggravato le posizioni delle imprese in difficoltà rendendo ostico l’accesso al credito presso il sistema bancario.
Le PMI italiane, infatti, nelle circostanze descritte di forte competitività internazionale e di calante competitività del paese Italia, sono risultate tra le più colpite dalla crisi sia per la scarsa capacità di avviare percorsi di crescita, a causa delle piccole dimensioni e limitate risorse, e sia per la poca capacità di innovare e, non per ultimo, per la difficoltà di accesso al mercato del credito.
In questo contesto hanno cominciato a svilupparsi le reti di impresa, un modulo aggregativo, previsto legislativamente, che consente di sfruttare parte dei vantaggi della grande dimensione, pur senza tuttavia annullare le singole identità aziendali e lasciando loro l'autonomia di cui già godevano in partenza prima di diventare retiste, Xxxxx contare che questo nuovo modello incontra il favore delle istituzioni che hanno predisposto innegabili vantaggi di ordine fiscale, nonché la possibilità di ottenere sovvenzioni e partecipare a bandi di gara pubblica per l'assegnazione di appalti, ecc.
In altre parole, ed alla luce di quanto approfondito nel presente elaborato, si può affermare che la rete d’impresa sia una forma di aggregazione che sfrutta i meccanismi della collaborazione e dell'alleanza tra imprese, candidandosi ad essere uno strumento atto a favorire l’aumento della competitività e dell’innovazione delle imprese che ne fanno parte.
Basti pensare che il numero di imprese venete che hanno aderito a contratti di rete, dal 2015 al 2018, è raddoppiato. Il dato non cambia a livello nazionale.
Sotto il versante dei distretti industriali, invece, va fatto osservare che attualmente i distretti del Veneto che hanno saputo superare la crisi, stanno attualmente dimostrando di avere una grande vitalità.
Il seguente grafico a colonne orizzontali è esplicativo di questa ripresa dei distretti veneti nella fase post-crisi:
Secondo il grafico133 sopra riportato, riferentesi a dati del 2017, si può notare da subito come nella top quindici della classifica dei distretti più produttivi dell'anno, a livello nazionale, figurino ben otto distretti veneti, confermando la robustezza del settore produttivo e del sistema che lo sostiene.
Tale classifica, stilata dall'elaborazione dei dati relativi a 149 distretti aventi sede in tutta Italia, è stata svolta dalla direzione studi e ricerche di Intesa San Paolo.
Lo stesso presidente della Regione Veneto ha commentato tali risultanze del rapporto annuale con le seguenti parole “Non solo il Prosecco a Conegliano e Valdobbiadene, ma anche l’occhialeria nel Bellunese, il settore dolciario a Verona, le materie plastiche a Treviso e la meccanica strumentale di Vicenza si sono guadagnati l’Oscar della crescita per fatturati ed export: segno di un Veneto che produce, sa fare gioco di squadra tra imprese e territorio e sa creare prospettive di sviluppo non solo per sé ma per l’intero paese”.
Queste prospettive per l'immediato futuro dei distretti si palesano essere positive, soprattutto per la presenza di nuovi attori altamente dinamici e di esternalità positive134 che rappresentano fattori di competitività importanti per i distretti industriali.
Nel biennio 2017-2018 è previsto un ulteriore aumento della crescita pari al +4,3%, spinta sia
133 Grafico pubblicato su Economie, Veneto, in data 7 marzo 2017, sulla base del rapporto Intesa Sanpaolo.
134 Tra le esternalità più rilevanti si fa cenno ai bassi costi del petrolio nonché alle politiche monetarie favorevoli della BCE.
dai mercati esteri che dalla domanda interna, con un aumento degli investimenti.
Nel 2018, inoltre, ci si attende un contributo importante dalla filiera metalmeccanica, a seguito della ripartenza del ciclo edilizio e degli investimenti in macchinari, a loro volta supportati dalle misure di incentivazione, anche istituzionali, previste nel Piano Industria 4.0. Concludendo, alla luce di quanto espresso, sia i distretti che le reti d'impresa risultano per le PMI strumenti idonei a sviluppare aggregazioni di tipo sia orizzontale che verticale.
Nei distretti le aggregazioni sono tipicamente verticali in quanto esse riguardano imprese che ricercano sinergie produttive, tipico il caso della produzione per fasi, cercando di condividere il personale o risparmiare sui costi nell’ambito dei processi di approvvigionamento e commercializzazione.
Nel caso del contratto di rete le aggregazioni potranno essere sia di tipo orizzontale che verticale.
Attualmente sulla base dei dati analizzati, vi è una prevalenza di strutture organizzative orizzontali in rete rispetto a quelle verticali, probabilmente per ragioni di prossimità di zona. Sono rinvenibili, sebbene in rari casi e non documentati in modo specifico, forme di parziale sovrapposizione tra i due modelli aggregativi presentati in questa tesi: distretto industriale e rete d'impresa, nelle modalità descritte al paragrafo precedente.
Tale circostanza, ossia la parziale sovrapposizione del modello distrettuale con quello del contratto di rete, apre una nuova via di evoluzione nell'organizzazione dei rapporti tra PMI; percorso che negli anni a venire potrebbe rivelarsi non solo praticabile, ma bensì configurarsi come il sistema migliore per riacquistare quella competitività di cui pochi decenni fa le PMI, e le PMI che partecipano a distretti, erano in possesso.
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