UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
Dipartimento di Diritto Privato e Storia del Diritto Studi di diritto privato
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XXXXXXXX XXXXXXXX
ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA E SQUILIBRIO NEI CONTRATTI
TRA IMPRESE
NORMA, SISTEMA, TUTELE, PROSPETTIVE
NOTE INTRODUTTIVE
È un fatto sin troppo noto che la legislazione vada svolgendosi secondo modalità sempre più rarefatte, cioè open-texture (1), ab- bandonando la forma delle rules e assumendo quella degli stan- dards (2). In un contesto nel quale la realtà dei moderni traffici si fa ogni giorno più articolata e instabile, la speranza di poter classificare ciascuna situazione, caso per caso, sembra del resto destinata a rimanere delusa (3). Ed è d’altronde proprio per conservare intatto il suo significato ordinante che il diritto tende ultimamente a valersi di norme implicanti giudizi più “sfumati” di quello sussuntivo del fatto nello schema legislativo, che era tipico della tradizione libe- rale (4).
(1) H.L.A. XXXX, The concept of law, a cura di P.A. Xxxxxxx-J. Raz, Oxford, 1961, rist. 1994, 123 ss.
(2) Ricostruisce i termini del dibattito nordamericano sulla preferibilità di rules o standards, di recente, X. XXXXXXXXX, Xxxxxx a proposito di principi e clausole generali, a partire dall’esperienza del diritto commerciale, in Giurisprudenza e autorità indipen- denti nell’epoca del diritto liquido. Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, a cura di F. Di Ciommo-X. Xxxxxxx, Roma, 2018, 495 ss., nonché in Orizz. dir. comm., 2018/2, spec.
17 ss.; ma v. anche, nel contesto del diritto della concorrenza, X. XXXXX, EC Competition Law, Cambridge, 2007, 16 ss.
(3) Per un tentativo in questo senso, agli albori del diritto moderno, cfr. il codice civile prussiano « Das Allgemeine Landrecht für die Preußischen Staaten » (ALR), promulgato nel 1794 e contenente diciassettemila paragrafi, su cui X. XXXXX-X. XXXXXXX, Europa e linguaggi giuridici, Milano, 2008, 153.
(4) « Non più la rude serietà di fattispecie ed effetto [...], ma premesse storico- politiche e motivazioni sociologiche e indicazione di scopi »: così, discorrendo di fluidità della legge, N. IRTI, Diritto senza verità, Roma-Bari, 2011, 68. Promotore di una tale evoluzione della tecnica legislativa è stato, a partire dalla nota prolusione macera- tese del 1966, soprattutto X. XXXXXX, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1967, I, 83, rist. integr. Napoli, 2007; ID., Il tempo delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 709; ID., Le clausole generali nel tempo del diritto flessibile, in AA.VV., Lezioni sul contratto, a cura di A. Orestano, Torino, 2009, 97;
2 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
Alla crescente complessità dei rapporti regolati fa dunque da
pendant, nella stagione post-moderna, la crisi della fattispecie giu- ridica connotata dalla sua funzione disciplinante e prevedibile (5). Il diritto europeo e i principi costituzionali, intesi sempre più spesso come direttamente applicabili (6), assediano da più parti la cittadella del diritto privato preludendo scenari difficili da delineare nel mezzo della transizione. Criteri più duttili, e prima facie meno rassicuranti, stanno così prendendo il posto di quelli tradizionali per tenere sotto controllo operazioni economiche via via più elaborate, comprensibili soltanto in una prospettiva funzionale e globale.
Se questa è la posta in gioco, piuttosto naïve risulta l’afferma- zione di certa giurisprudenza di legittimità, approdata recentemente anche innanzi alla Corte costituzionale, per cui al giudice spette- rebbe intervenire in senso modificativo sul contratto, anche d’uffi-
mentre è più cauto, e critico, X. XXXXXXX, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 5 (ora in ID., Scritti I. Xxxxxx e teoria giuridica, a cura di X. Xxxxxxxxxx-A. Albanese-A. Nicolussi, Milano, 2011, 165, spec. 166): ulteriori riferi- menti al dibattito italiano in tema di clausole generali, xxxxxxxxxxsi negli anni successivi, nel § 3 del quarto capitolo, in fine.
(5) Denuncia con preoccupazione il fenomeno della “perdita della fattispecie”
G. DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1993, 74 s.; analogamente, più di recente, N. IRTI, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016, in un volume che raccoglie diversi saggi già pubblicati (tra i quali si segnalano soprattutto La crisi della fattispecie, in Riv. proc. civ., 2014, 36; Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, 987; Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 2015, 11, su cui v. le riflessioni di A. XXXXXXXXXX, Nota breve sulla “fattispecie”, ivi, 245) e, da ultimo, G. X’XXXXX, L’inso- stituibile leggerezza della fattispecie, in Giust. civ., 2019, 16 ss.; mentre coltivano una posizione diversa, sul punto, P. GROSSI, La invenzione del diritto: a proposito della funzione dei giudici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, spec. 841 s., e X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxxx e i « miti » della certezza del diritto e della c.d.« crisi » della fattispecie, Napoli, 2018, passim. In generale, sul concetto di fattispecie, si vedano X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, 1944, Napoli, rist. 1997, 103, e X. XXXXXXXXXX, voce Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 626.
(6) Così, per tutti, X. XXXXXX, Introduzione, in Trattato di diritto privato europeo, a cura di X. Xxxxxx, I, Padova, 20032, 1 ss. e ID., Il diritto civile dalle fonti ai principî, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 1 ss., anche nella recente Postfazione a X. XXXXXXX, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, rist. integr. Frosinone, 2019. In tema di applicazione diretta dei principi costituzionali nei rapporti di diritto privato (c.d. Xxxxxxxxxxxx), si veda infra nel testo.
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xxx, a garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (7). La tesi, conforme negli intenti alle direttive solidaristiche dell’art. 2 Cost., si rivela per la sua eccessiva semplicità “eccentrica”, ove non eversiva, nella misura in cui trascura di considerare i parametri in base ai quali il giudicante — istituzionalmente privo di strumenti idonei ad accertare i reali rapporti di forza tra i contraenti — possa rilevare lo squilibrio pattizio, da un lato, ed eventualmente ridefi- nire, dall’altro, l’assetto di interessi consacrato nel regolamento contrattuale.
Con tutta evidenza, l’esito delle trattative non rappresenta che la punta di un iceberg. Anche a voler ammettere una incursione tanto penetrante nel cuore dell’autonomia dei privati, si fatica perciò a comprendere come tale scrutinio giudiziale possa svolgersi senza infliggere al sinallagma contrattuale un vulnus più grave di quello a cui si intendeva porre rimedio.
Il discorso muta invece radicalmente quando, come nel caso del divieto di abuso di dipendenza economica, il legislatore abbia previsto una disposizione che, come si vedrà, autorizza e insieme orienta un controllo sull’equilibrio anche economico del contratto concluso tra imprese con asimmetria di potere contrattuale (8) (art.
(7) Riferimenti nei §§ 4-5 del secondo capitolo.
(8) Sull’opportunità di riunire in un’unica categoria, denominata “contratto asimmetrico”, la disciplina del contratto del consumatore e quella del contratto asimmetrico tra imprese, ovvero di distinguere piuttosto tra “secondo” e “terzo” contratto per descrivere rispettivamente i due fenomeni, si dirà appresso (infra nel § 2 del primo capitolo). Quale che sia la prospettiva adottata, l’emersione di tali figure contrattuali sembra erodere, come osserva G. DE NOVA, Dal tipo contrattuale al contratto alieno: i contratti d’impresa, in I contratti per l’impresa. I. Produzione, circolazione, gestione, garanzia, a cura di M.R. Xxxxxxx-G. Gitti-X. Xxxxxx, Bologna, 2012, 23 s., la categoria dei contratti (qualificanti l’attività) “d’impresa”: elaborata nell’ambito del celebre corso sui contratti delle imprese commerciali di A. DALMAR- TELLO, I contratti delle imprese commerciali, Padova, 1958, e ripresa poi da ID., Contratti di impresa, in Enc. giur. Treccani, XI, Roma, 1988, 1, ora entrambi in ID., Studi del diritto commerciale, I e II, Milano, 2009, 411 ss., 477 ss., 659 ss, e 287 ss., che raccoglie quei contratti connotati non solo dalla partecipazione di un imprenditore (cc.dd. contratti “delle imprese”), ma altresì dal fatto di essere funzionali alla realizzazione dell’attività d’impresa (e non, ad esempio, alla costituzione od organizzazione della stessa). Più di recente, per indicare i contratti « che servono al funzionamento
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9, legge 18 giugno 1998, n. 192). Qui a guidare la discrezionalità dell’interprete è un riferimento di diritto positivo che individua, sia pure “a maglie larghe”, i presupposti e i caratteri del sindacato giudiziale, limitandolo certe categorie di rapporti.
Per regolare una realtà complessa servono strumenti giuridici che di tale complessità possano farsi carico, non formule semplifi- canti e ad effetto: ed è proprio a questa esigenza che il legislatore ha cercato di rispondere introducendo il divieto oggetto del presente studio (9). Quest’ultimo, com’è noto, è disciplinato da una norma la cui formulazione ampia, circondando di limiti non marginali l’eser- cizio dell’autonomia contrattuale d’impresa (10), potrebbe far te- mere per la tenuta di uno dei principi fondamentali dell’ordina- mento interno ed europeo (11), vale a dire quello del libero mer- cato (12).
dell’impresa », preferiscono parlare di contratti “per l’impresa” M.R. XXXXXXX-G. GITTI-X. XXXXXX, Introduzione a I contratti per l’impresa. I, cit., 15 ss. Ulteriori riflessioni e approfondimenti, anche metodologici, riguardanti la categoria giuridica dei “contratti d’impresa” si trovano in X. XXXXXXXXX, Autonomia individuale e autonomia d’impresa, ivi, 33 ss., spec. 44 ss.
(9) Di norma « delicata e complessa » si è ad esempio parlato, a proposito dell’art. 9, l. n. 192/1998, nel corso della 288a seduta della Xa Commissione del Senato tenutasi il 20 gennaio 2000.
(10) Limiti che, come si vedrà, possono spaziare dalla libertà di definire l’assetto di interessi a quella di entrare a far parte del rapporto commerciale: sul punto si vedano, intanto, X. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e grave iniquità dell’ac- cordo sui termini di pagamento, in Contratti, 2003, 624, e X. XXXXX, L’abuso di dipendenza economica « fuori dal contratto » tra diritto civile e diritto antitrust, in Riv. dir. civ., 2000, II, 389; amplius nei §§ 2-3 del primo capitolo.
(11) Com’è noto, la preferenza per l’economia di mercato in un ordinamento come il nostro, nell’ambito del quale l’art. 41 Cost. non lascia dedurre una « precisa e rigida indicazione in materia di rapporti economici », ma solo la generica adesione a un regime cosiddetto misto (X. XXXXXXXX, Forme e soggetti della democrazia pluralista, Torino, 20002, 149 ss., spec. nota 25), deriva dal diritto eurounitario: cfr. il § 6 del secondo capitolo.
Termine estratto capitolo
(12) O, piuttosto, di una « economia sociale di mercato altamente competitiva », se si accoglie la proposta di X. XXXXXXXXX, La Costituzione economica. Libertà d’impresa ed economia sociale di mercato, in Il governo dell’economia: in ricordo di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx nel centenario della nascita, a cura di X. Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2018, 3 ss., spec. 46 ss. (e già ID., A « Highly Competitive Social Market Economy » as a Founding Element of the European Economic Constitution, in Conc. mer., 2011, 491 ss.), di
PIANO DELL’OPERA
L’art. 9, legge n. 192 del 1998 (« Abuso di dipendenza econo- mica ») introduce un “microsistema” normativo suscettibile di es- sere analizzato nei suoi diversi aspetti: l’enunciazione del divieto di abuso di dipendenza economica (primo comma, primo periodo) (1); la descrizione della dipendenza quale situazione fattuale in sé legittima (primo comma, secondo e terzo periodo) (2): l’esemplifi- cazione delle condotte abusive vietate in presenza del presupposto della dipendenza economica (secondo comma) (3); l’elenco dei rimedi azionabili dinanzi al giudice civile (terzo comma) (4); la definizione della competenza ulteriore ed eventuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (terzo comma-bis) (5).
(1) « fi vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice ».
(2) « Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti ».
(3) « L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto ».
(4) « Il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni » (periodo aggiunto dall’art. 11, l. 5 marzo 2001, n. 57).
(5) « Ferma restando l’eventuale applicazione dell’articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell’istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall’ar- ticolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell’impresa o delle imprese
12 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
La struttura della norma si riflette plasticamente in quella dei
contributi teorici ad essa dedicati, che il più delle volte, con l’indubbio pregio del rigore analitico e della chiarezza espositiva, sottopongono a separata disamina i singoli elementi costitutivi della disciplina: la definizione di dipendenza, le fattispecie di abuso, il catalogo dei rimedi, e così via.
Data la molteplicità di studi anche abbastanza recenti fedeli a tale impostazione (6), in questo lavoro si è preferito sviluppare la riflessione trasversalmente, privilegiando una linea di indagine orientata a presentare le problematiche sottese all’art. 9 in un quadro “dinamico”, che restituisca la dialettica tra i cosiddetti formanti dell’ordinamento giuridico: il legislatore, la dottrina, la giurisprudenza (7). L’obiettivo che questa ricerca si propone è, del resto, quello di mostrare il « disonorante divorzio tra scienza e giurisprudenza » (8), che ad oggi connota il divieto di abuso di
che abbiano commesso detto abuso. In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 [attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali], posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l’abuso si configura a prescindere dall’accertamento della dipendenza economica » (comma introdotto dall’art. 1, l. n. 57/2001 e modificato dall’art. 10, legge 11 novembre 2011,
n. 180, recante « Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese », a cui si deve l’aggiunta del capoverso).
(6) Tra cui segnalo X. XXXXXX, La subfornitura nelle attività produttive e l’abuso di dipendenza economica, in Trattato dei contratti, diretto da A. Xxxxxxxxx-X. Xxxxx, V, Mercati regolati, Milano, 2014, 377 ss., e già PH. XXXXXX, Abuso di dipendenza economica, in Portale Treccani - Enciclopedia Giuridica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2012, e ID., Abuso di dipendenza economica, in Tratt. contratti Xxxxxxxx- Xxxxxxxxx, XV, I contratti nella concorrenza, a cura di A. Catricalà-E. Xxxxxxxxx, Torino, 2011, 271 ss.
(7) La teoria dei “formanti legali” si deve, com’è noto, a R. SACCO, Legal Formants: A Dynamic Approach To Comparative Law, 39, in Am. J. Comp. L., I e II, 1991, rispettivamente 1 ss. e 342 ss.
(8) Per adoperare le parole dell’autorevole studioso, tra i fondatori del diritto comparato moderno, che ritiene il giudice un « legislatore in piccolo, ma vero legislatore », osservando che, mentre la legge « parla una volta sola, la giurisprudenza [parla] a ogni istante »: così E. XXXXX, Xxxxx necessità e della utilità dello studio della legislazione comparata, Prolusione per l’anno accademico 1845-46, letta il 19 novembre 1845 all’Università di Palermo, inedito conservato presso la Biblioteca comunale di Palermo, ora in Filosofia civile e diritto comparato in Xxxxxxx Xxxxx, a cura di X.
PIANO DELL’OPERA 13
dipendenza economica, e di formulare qualche proposta di raccordo tra la teoria e la prassi, in grado di schiudere orizzonti applicativi più ampi e “sfidanti” di quelli attualmente sperimentati dall’art. 9, l. subf.
Ciò premesso pare opportuno, ancora prima di avviare l’analisi, introdurre il contenuto dei capitoli in cui si articolerà la trattazione:
1) nel primo presenteremo la norma in esame che vieta, tra l’altro, l’imposizione di xxxxx xxxxxxxxxxx sin dall’origine: una fattispecie, come si avrà modo di osservare, di infrequente applicazione pratica;
2) nel secondo, spostando l’attenzione dalla norma al sistema, vedremo come si stia facendo strada in giurisprudenza, sulla base di principi e clausole generali, l’idea di un controllo sullo squilibrio contrattuale (originario), che prescinde dall’accertamento di una situazione di asimmetria di potere tra le parti come quella di dipendenza economica; 3) nel terzo illustreremo il funzionamento delle tutele, anzitutto invalidatorie, che in funzione protettiva pre- siedono all’ “adattamento” del contratto concluso mediante abuso di dipendenza economica; 4) nel quarto illustreremo alcune solu- zioni ermeneutiche volte ad ampliare le prospettive di tutela del- l’impresa dipendente contro l’imposizione di condizioni contrattuali ab origine abusive.
1) Più nel dettaglio, nel primo capitolo vedremo come gli studi di analisi economica del diritto abbiano sin da subito orientato l’attenzione degli interpreti verso una nozione di dipendenza eco- nomica che implica un consolidato rapporto commerciale tra le parti (§ 1), mentre la supposta affinità, riscontrata soprattutto inizialmente con la disciplina delle clausole abusive nei contratti del consumatore, ha portato la dottrina a occuparsi dapprima degli abusi di dipendenza economica che, traducendosi nell’imposizione di xxxxx xxxxxxxxxxx, possono essere definiti stipulativamente “con-
Xxxxxxxxxx, Napoli, 2003, 271 ss. Più di recente, elabora la nozione di « dissociazione tra formanti » R. SACCO, Legal Formants, cit., I e II, rispettivamente 32 s. e 343 s., ripreso, ex multis, da X. XXXXXX-P.G. MONATERI, Introduzione breve al diritto comparato, Padova 1997, 111 e 120.
14 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
trattuali” (§ 2). Ulteriori potenzialità della norma in esame sono state poi còlte e valorizzate, specie dopo che la novella del 2001 ha attribuito al giudice poteri inibitori in materia. Presentata la portata di questa novità, vedremo come l’interesse per le fattispecie “non contrattuali” di abuso — prive di corrispondenza nella disciplina protettiva del consumatore (come l’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali e il rifiuto abusivo di contrarre) — abbia lentamente preso il sopravvento, lasciando emergere le analogie sussistenti piuttosto con il divieto di abuso di posizione dominante e il diritto della concorrenza, nell’ambito del quale sono maturati indirizzi favorevoli a un’inibitoria dal contenuto atipico, per reagire efficacemente alla pratica del “refusal to deal” (§ 3).
commerciale, se non quando quest’ultima abbia interrotto “brutal- mente” il rapporto (§ 5).
Ciò non ha impedito al legislatore di tentare di promuovere l’applicazione dell’art. 9, l. subf. — ostacolata dalla difficoltà di ravvisare la dipendenza in concreto e dal disincentivo per l’impresa dipendente a impugnare i patti abusivi — mediante la previsione di una serie di fattispecie “tipiche” in cui la dipendenza si presume e/o
l’autorità antitrust è vincolata ad attivarsi. Ci soffermeremo così
Termine estratto capitolo
In seguito saranno, quindi, esaminati i profili applicativi del di- vieto di abuso di dipendenza economica, ed è allora che l’analisi farà emergere una certa “dissociazione” esistente tra la tendenza dottrinale a vedere nell’art. 9 un inedito strumento di controllo sullo squilibrio originario del contratto e la prassi giurisprudenziale, che usa la norma (quasi) esclusivamente per sanzionare gli abusi extracontrattuali con- sistenti nell’interruzione arbitraria di rapporti commerciali consoli- dati, sovente per ammetterne la prosecuzione “forzata”, fintantoché perdura la condizione di dipendenza di un partner nei confronti del- l’altro (§ 4). Allargando l’orizzonte alla giurisprudenza dell’autorità antitrust, daremo in seguito conto del fatto che l’inerzia della stessa a intervenire in questa materia, tramite i poteri officiosi introdotti dalla novella del 2001, lascia di fatto insoluto il problema delle resistenze che l’impresa dipendente incontra a convenire in giudizio il partner
Capitolo Primo
LA NORMA E IL MANCATO DIALOGO TRA “FORMANTI”
Sezione prima
Gli orizzonti di interesse della dottrina
SOMMARIO: 1. Il presupposto della dipendenza nei rapporti commerciali consolidati e l’influsso della law & economics. — 2. Abusi “contrattuali” e xxxxx xxxxxxxxxxx ab origine nel dibattito civilistico. — 3. Gli abusi “non contrattuali” e il recupero dell’esperienza antitrust da parte della dottrina commercialistica.
1. ll presupposto della dipendenza nei rapporti commerciali consoli- dati e l’influsso della law C economics.
Com’è noto, la legge 18 giugno 1998, n. 192, recante la « Di- sciplina della subfornitura nelle attività produttive », ha introdotto all’art. 9 il divieto di « abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice » (primo comma, primo periodo) (1): una previsione da cui traspare, già in prima approssi- mazione, l’intento legislativo di sanzionare “l’approfittamento” di una situazione di asimmetria di potere tra imprese.
La norma, poliedrica e ricca di sfaccettature secondo quanto si avrà modo di evidenziare nei paragrafi successivi, ha suscitato nell’ordinamento italiano un effetto dirompente che, trascorsi oltre
(1) Per il testo integrale della norma, v. supra in nota.
22 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
vent’anni dalla sua entrata in vigore, si presta ad essere apprezzato da varie angolature (2).
In questo senso occorre anzitutto considerare, sotto il profilo me- todologico, che essa ha contribuito a orientare l’attenzione degli stu- diosi di diritto contrattuale verso l’approccio cosiddetto di law C economics. Da quando la disciplina dell’abuso di dipendenza econo- mica è entrata in vigore, maneggiare lo strumentario concettuale del- l’analisi economica non costituisce più appannaggio di pochi sofisti- cati cultori, ma è diventato un’esigenza per gli interpreti chiamati a misurarsi con i presupposti applicativi del divieto stesso: in primis quello della dipendenza economica fondata, tra l’altro, sulla « reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti » (3) (art. 9, primo comma, ult. periodo).
Riferendosi al mercato, la norma esige infatti di impiegare criteri essenzialmente economici per determinare i contorni della dipen- denza (4). Ed è proprio con questa consapevolezza che la nostra
(2) Tra i numerosi studi si sono occupati del divieto di abuso di dipendenza economica nell’anno della sua entrata in vigore si segnalano, tra l’altro, X. XXXXXXX, Art. 9 - Abuso di dipendenza economica, in La subfornitura. Legge 18 giugno 1998, n. 192, a cura di X. De Nova-A. Chiesa-F. Delfini-X. Xxxxxxx-A. Salvadè, Milano, 1998, 77; A. BARBA, L’abuso di dipendenza economica: profili generali, in La subfornitura nelle attività produttive, a cura di X. Xxxxxxx, Napoli, 1998, 297 (ora in ID., Studi sull’abuso di dipendenza economica, Padova, 2018, 1); L. DELLI PRISCOLI, L’abuso di dipendenza economica nella nuova legge sulla subfornitura: rapporti con la disciplina delle clausole abusive e con la legge antitrust, in Giur. comm., 1998, 833; più in generale anche R. CASO, Subfornitura industriale: analisi giuseconomica delle situazioni di disparità di potere contrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 243; R. CASO-X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv. dir. priv., 1998, 712; X. XXXXXXXX, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza economica e tutela del contraente debole: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, in Rass. dir. civ., 1998, 639; G. DE NOVA, La subfornitura: una legge grave, in Riv. dir. priv., 1998, 449; G. GIOIA, La subfornitura nelle attività produttive, in Corr. giur., 1998, 882.
(3) Attraverso le quali autotutelarsi: cfr. G. OPPO, Principi, in Tratt. dir. comm., diretto da X. Xxxxxxxxx, I, 1, Torino 2001, 75 s., il quale osserva che, diversamente, si finirebbe per premiare l’inerzia imprenditoriale. Il tema si riallaccia a quello dell’au- toresponsabilità, su cui v. le note successive e il § 6 del secondo capitolo.
(4) Tra gli altri, autorevolmente, X. XXXXXXXXX, La responsabilità per abuso di dipendenza economica: la fattispecie, in Contr. impr., 2013, 10, Relazione al seminario sul tema « La responsabilità per abuso di dipendenza economica », svoltosi nell’ambito
LA NORMA E IL MANCATO DIALOGO TRA “FORMANTI” 23
dottrina ha da subito rivolto lo sguardo oltreoceano per attingere i risultati raggiunti dalla c.d. nuova economia istituzionale (new institutional economics) (5): una corrente del pensiero economico americano sviluppatasi a partire dal celebre saggio, risalente agli anni trenta del secolo scorso, in cui il premio Nobel Xxxxxx Xxxxx aveva individuato nei costi “transazionali” la spiegazione delle dimensioni dell’impresa e della sua stessa ragion d’essere (6).
Essa si sviluppa poi nel corso degli anni settanta grazie al contributo di Xxxxxx Xxxxxxxxxx, al quale va il merito di aver formulato una teorica completa e coerente, ritenuta l’espressione più compiuta dell’economia dei costi di transazione (transaction- costs economics). Com’è noto, il contributo di questo studioso consiste anzitutto nell’aver chiarito che il costo transattivo maggior- mente incidente sulle scelte di efficiente governo degli scambi è collegato al grado di specificità degli investimenti (asset specifi- city) (7).
dei « Colloqui baresi di diritto commerciale », presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, il 20 ottobre 2012. Più in generale, aveva sottolineato le difficoltà di accertare il presupposto della dipendenza economica il presidente Agcm,
A. Catricalà, nell’audizione presso la Xa Commissione del Senato, svolta l’8 giugno 2011, in sede di esame del d.d.l. n. 2626, recante « Norme per la tutela della libertà di impresa - Statuto delle imprese », approvato dalla Camera il 15 marzo 2011.
(5) Si veda anche, infra, il § 7.
(6) I costi di transazione sono i costi del mercato, ossia quelli che una impresa si trova a sostenere per reperire sul mercato beni o servizi, anziché produrli da sé: individuare la controparte dello scambio, negoziare le condizioni del contratto, otte- nerne l’esatta esecuzione anche in via giudiziale, etc.: per una esemplificazione, cfr. X.X. XXXXXXXXX, The Case for Xxxxx and Against “Coasenism”, in Yale L. J., 1989, 627, che parla di « get-together costs, information costs, decision and execution costs ». Introdu- cendo per la prima volta tale concetto nell’analisi economica, R.H. XXXXX definisce l’impresa come istituzione alternativa al mercato, centralizzata e retta da principi gerarchici, alla quale si ricorre quando i costi di transazione del mercato sono troppo elevati in The Nature of the Firm, in Economica, 1937, 386 ss. (trad. it. La natura dell’impresa, in ID., Impresa mercato e diritto, Bologna, 1995, 73 ss.). Con il fondamen- tale saggio, il premio Nobel americano segna l’origine di una nuova scuola di pensiero che vede nell’impresa una struttura di governo dei costi di transazione e non più una semplice funzione di produzione tecnologicamente determinata come voleva l’econo- mia neoclassica: cenni nel successivo § 7.
(7) Una definizione di investimento specifico è fornita, in dottrina, da X.X. XXXXXX, Asset specificity and vertical integration, in The New Palgrave. Dictionary of
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Specifici, o idiosincratici, sono gli investimenti non facilmente
convertibili in usi diversi per la presenza di elevati costi commutativi (switching cost) (8), che rendono irrecuperabili i costi sopportati (sunk costs). Quando l’impresa compie investimenti del genere, in vista di un certo rapporto commerciale (relational-specific in- vestments), tenderà dunque a diventare “prigioniera” del rapporto stesso (lock-in effect) (9), perché troverà più conveniente ottenere una remunerazione inferiore a quella attesa, che perdere l’intero valore del capitale.
Di tale condizione di minorato potere contrattuale il partner potrà allora approfittare tramite una serie di comportamenti oppor- tunistici (opportunistic behaviour) (10). In particolare, sfruttando il fattore di minaccia rappresentato dall’anticipata chiusura del rap- porto (termination), costui potrà “estorcere” alla controparte il
Economics and the Law, a cura di X. Xxxxxx, X, London-New York, 1998, 108 s., che lo descrive come « an investment which, once made (sunk) by one or both parties to an ongoing trading relationship, has a lower value in alternative uses than it has in the intended use supporting the specific bilateral trading relationship ». Analogamente, secondo la Commissione europea, è specifico al rapporto ogni investimento effettuato dal fornitore ovvero dall’acquirente che, in caso di risoluzione del contratto, « non p[ossa] essere venduto senza incorrere in perdite consistenti », né utilizzato « dal fornitore in relazione ad altri clienti », ovvero « dall’acquirente per acquistare e/o utilizzare prodotti forniti da altri fornitori »: cfr. Orientamenti sulle restrizioni verticali, 2010, C 130/1, § 107, lett. d), e già nell’omonima Comunicazione della Commissione, 2000, C 291/01, § 116, n. 4. Va quindi considerato specifico, ad esempio, l’investimento utilizzabile « solo per produrre un componente per un marchio specifico o per stoccare prodotti di un particolare marchio », che risulta inservibile « in modo redditizio per produrre o rivendere prodotti alternativi ». Affinché il rischio del sottoinvestimento sia concreto, si precisa, l’investimento oltre che specifico deve essere a lungo termine (nel senso che il relativo costo « non può essere recuperato a breve termine ») e asimmetrico (in quanto « uno dei contraenti investe più dell’altro »).
(8) Cfr., ex multis, L.M.B. XXXXXX, Introduction to Industrial Organization, Cambridge Mass., 2000, 217 s. L’insegnamento tradizionale secondo cui la presenza di costi commutativi tende a rendere i mercati meno competitivi è stato, però, più recentemente messo in discussione da X.X. XXXX-G.J. HITSCH-E. ROSSI, Do Switching Costs Make Markets Less Competitive?, in J. Mark. Res., 2009, 446.
(9) Nella manualistica microeconomica, v., fra gli altri, H.R. VARIAN, Interme- diate Microeconomics: a modern approach, New York-London, 20057, 655.
grave, cit., II, 703 ss.
(10) O.TE.eWrmILLIiAnMeSONe, sOtprpaorttutnoistcicabpehiatvoioulor in contracts, in The New Pal-
Capitolo Secondo
IL DIVIETO DI ABUSO
DI DIPENDENZA ECONOMICA NEL “SISTEMA”
Sezione prima
Tra legislazione generale e speciale
SOMMARIO: 1. La tendenziale insindacabilità dello squilibrio contrattuale nel codice previgente e in quello attuale: qui dit contractuel dit juste! — 2. La crescente rilevanza dello “squilibrio” nella legislazione speciale e il ruolo dell’art. 9, l. subf., tra giustizia procedurale (a) e sostanziale (b).
1. La tendenziale insindacabilità dello squilibrio contrattuale nel codice previgente e in quello attuale: qui dit contractuel, dit juste!.
Il primo capitolo si è concluso evidenziando come l’art. 9, l. subf., abbia introdotto un sindacato inedito sul contratto squilibrato e, in particolare, sulle condizioni ingiustificatamente gravose impo- ste all’impresa “dipendente”. È stato altresì osservato che la nozione di dipendenza economica affermatasi nella prassi giurisprudenziale non consente, in linea di massima, di esercitare un controllo sulle clausole squilibrate sin dall’origine.
Nel presente capitolo ci si propone di “immergere” la disciplina in esame nel sistema del diritto dei contratti, la cui evoluzione esprime, com’è noto, una crescente avversione nei confronti gli assetti contrattuali squilibrati. Ciò al fine di inquadrare la specificità del divieto di abusare dell’altrui “dipendenza”, attraverso l’imposi- zione di condizioni ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nell’ambito dell’attuale dibattito sulla cosiddetta giustizia del con-
132 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
tratto, che esso ha contribuito a ravvivare e ad arricchire di nuovi spunti (1).
Tale esigenza si pone perché è vivo il rischio che la peculiarità del controllo sullo squilibrio contrattuale delineato all’art. 9 scivoli in secondo piano, se la prospettiva adottata è quella di vedere in esso uno degli « indici di penetrazione dell’ordinamento di un principio di giustizia contrattuale » (2), anziché, prima di tutto, un dispositivo normativo che traduce un’istanza di tutela meritevole di essere indagata in quanto tale. Ragionando nel primo modo, il rischio è segnatamente di individuare non solo e non tanto una figura onni- vora di contratto c.d. asimmetrico che, a torto o a ragione (3), aggrega la disciplina del “secondo” e del “terzo” contratto, quanto addirittura un nuovo paradigma di contratto “giusto”, perché equi- librato, alla luce del quale le sfumature legislative dei richiamati
« indici » tendono a dissolversi, al cospetto di un pervasivo princi-
xxx che attribuirebbe al giudice un potere generalizzato di interve- nire sugli assetti squilibrati di privati interessi (4).
Per valorizzare il proprium della disciplina oggetto di indagine bisogna allora prendere le distanze da un simile approccio — piuttosto diffuso, come si vedrà, in dottrina e soprattutto in giuri- sprudenza — e focalizzare l’attenzione sulla stessa sforzandosi di collocarla nel sistema del diritto dei contratti, di cui fa parte da oltre due decenni. Per fare ciò, occorrerà anzitutto tornare sulla fisiono- mia del paradigma classico del negozio giuridico, insindacabile nel suo equilibrio originario, rispetto al quale l’introduzione dell’art. 9,
(1) Sul punto, ex multis, U. PERFETTI, L’ingiustizia del contratto, Milano, 2005, 3, e, nella letteratura più recente, X. XXXXXXX, Giustizia contrattuale e poteri conformativi del giudice, in Riv. dir. civ., 2019, 345 ss., spec. 348 e 359, oltre agli altri autori indicati alle note successive e nel prossimo paragrafo.
(2) La citazione è tratta da X. XXXXXXXX, voce Giustizia contrattuale, in Enc. dir.
— Xxxxxx, VII, Milano, 2014, 449.
(3) Per una lucida analisi del dibattito, al quale si è fatto riferimento nel secondo paragrafo del capitolo precedente, si rinvia ad X.X. XXXXXXXXX, voce Contratto asim- metrico, in Enc. dir. — Xxxxxx, V, Milano, 2012, 370 ss.
(4) In questa direzione è orientata la recente riflessione di G. X’XXXXX, Giustizia contrattuale e contratti asimmetrici, in Eur dir. priv., 2019, 45, e già 38, nota 58.
IL DIVIETO DI ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA NEL “SISTEMA” 133
l. subf., e degli attuali artt. 33 ss. cod. cons., è apparsa tanto dirompente da oscurare, in un primo momento, le differenze tra di essi.
In questo paragrafo proveremo dunque a tratteggiare in via preliminare quei lineamenti del diritto contrattuale tradizionale messi in discussione dalle recenti scelte normative, che notoriamente si caratterizza per l’influsso esercitato dal dogma volontaristico, il quale operava a più livelli.
In primo luogo, esso impediva a fonti diverse dalla volontà di concorrere, a monte, alla costruzione della regola negoziale (5). L’integrazione suppletiva si ritirava così negli angusti spazi dell’in- terpretazione contribuendo, sotto forma di “autointegrazione”, a sviluppare il contenuto volontario dell’accordo lacunoso (6). Ciò in
(5) Sulla norma negoziale, e quindi sulla « sovranità dell’individuo », si fondava tutto il sistema di diritto privato, come osserva A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il negozio giuridico, Torino, 1934, rist. 2006, 70. Risale, d’altronde, al fondatore della Scuola storica del diritto, von Savigny, come ricorda N. XXXX, nella prefazione della ristampa del volume, VII, nonché ID., Il negozio giuridico nel pensiero di Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx d’Xxxxxxxx, in Riv. dir. civ., 2007, 49 ss., l’idea che l’individuo possieda la « capacità naturale...di indurre mutamenti nell’ambiente giuridico mediante atti volontari »: una
« energia propria” non attribuita dal di fuori che “in se stessa trova fondamento ». In questo senso, la volontà assurgeva a « elemento del negozio giuridico destinato a prevalere su altri elementi di pari dignità e di natura omogenea », stagliandosi come
« un principio, che sta di fronte alla legge »: così ID., Letture bettiane sul negozio giuridico, Milano, 1991, 5, osservando che tale concezione non è priva di riscontri nel diritto positivo, là dove riconnette “forza di legge” al contratto (art. 1372 c.c., e già l’art. 1123 del codice previgente).
(6) Discorre a questo proposito di una tradizione sia teorica che giurispruden- ziale « fortemente svalutativa » dell’integrazione M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale, Torino, 2006, 66 s. Parlare di autointegrazione in ambito con- trattuale, dove la volontà va intesa in senso soggettivo, costituisce del resto un’opera- zione che oggi appare “finzionistica”: sorretta unicamente dal proposito ideologico di mostrare la perfetta simmetria tra il sistema di norme autonome, discendenti dal contratto, e quello di norme eteronome, poste dalla legge, la cui attitudine a comple- tarsi secondo logiche interne è figlia del mito dell’onnipotenza del legislatore nato con la rivoluzione francese: cfr. X. XXXXXX, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, rist. integr. 2004, 3 s., il quale ribadisce l’ontologica differenza che passa tra attività interpretativa, volta a « determinare il significato legale del contratto », svol- gendo le indicazioni esplicite o implicite delle parti, e attività integrativa, tesa ad aggiungere elementi che per via interpretativa non possono essere ricondotti alla volontà dei contraenti (7 ss. e 105 s.), sicché sterili e capricciosi appaiono a R. SACCO,
134 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
un contesto in cui la norma civile presentava natura essenzialmente dispositiva (7), e quindi derogabile dall’autonomia individuale, es- sendo volta a riempire le lacune del regolamento pattizio nel modo più conforme alla presumibile intenzione dei contraenti (8), mentre le norme inderogabili, protettive di interessi superindividuali, rap- presentavano l’eccezione.
Per altro verso, bisogna ricordare che le teorie organicistiche e della fattispecie, non di rado impregnate di “volontarismo”, conver- gevano nell’additare il negozio come radicalmente inesistente, a valle, ogni qualvolta venisse meno un elemento della fattispecie voluta dalle parti (9). Se il negozio nullo risultava dunque giuridi-
Il contratto, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 1975, 790 i tentativi di sfumare fino ad annullare la distinzione fra « testo interpretato e testo integrato ».
(7) Per tutti, X. XXXXXX, Il principio di buona fede, Prolusione al corso di diritto privato letta il giorno 8 maggio 19ł4 nell’Università di Roma, in Riv. dir. comm., 1964, I, 164 e 167, muovendo da premesse squisitamente volontaristiche tanto da affermare che i contraenti « sono legati ex voluntate non solo nei limiti da loro ideati, ma anche, in mancanza di una diversa intenzione da loro manifestata, da tutte le norme legisla- tive » (sulla distinzione tra incompletezza “giuridica” e incompletezza “economica”, cfr. retro, il § 1 del primo capitolo).
(8) Tant’è che, secondo X. XXXXXX, Il principio di buona fede, cit., 164, « l’ideale sarebbe di dare veste di legge agli usi generali o locali ed alle costumanze ».
(9) A. X’XXXX, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008, 55. Inconcepibile risultava d’altronde, alla stregua della teoria antropomorfica dell’acte-organisme, che guarda al negozio giuridico come a un organismo la cui vita coincide con l’efficacia, e alla nullità come patologia mortale, un contratto “mort-né” in grado dar vita a un qualsivoglia effetto; mentre se si ammette il negozio a produrre effetti, con la Pandettistica tedesca, in ragione della sua corrispondenza alla fattispecie astratta, si deve concludere che esso, in presenza di qualsiasi difformità, non è tale ed è quindi radicalmente inefficace (cfr. A. DI MAJO, Le nullità, in Trattato Bessone, VII, Torino, 2002, 102 s., X. XXXXXXXXXX, Nullità speciali, Milano, 1995, 77 e, in generale, X. XXXXXXXX-X. XXXX, Introduzione al diritto comparato, I, Principi fondamentali, rist. integr. con addenda, Milano, 1998, 174; per ulteriori riferimenti, A. LA SPINA, Destrut- turazione della nullità e inefficacia adeguata, Milano, 2012, 24, note 54 e 53). Esiti altrettanto drastici si determinano nell’ambito della concezione puramente volontari- stica per cui « se il negozio è volontà e la volontà non c’è, la conseguenza [...] avrebbe dovuto essere [...] che il negozio non c’è »: così A. GENTILI, Le invalidità, in Trattato dei contratti Xxxxxxxx, I contratti in generale, a cura di E. Xxxxxxxxx, Torino, 1999, II, 1263 ss., il quale osserva che discorrere di “negozio-nullo” o “negozio-inesistente” doveva
apparire incoeTreenrtempeirnlea measntcranaztatdoel csoasptraittoolologico cui riferire il predicato. A
rigore, il negozio improduttivo di effetti era, perciò, un quid di classificabile solo come
Capitolo Terzo
LE PROSPETTIVE DI ADATTAMENTO DEL CONTRATTO “ABUSIVO”: UNO SGUARDO AI RIMEDI
SOMMARIO: 1. Un tentativo di inquadramento della nullità del patto abusivo ex art. 9 nel sistema delle impugnative contrattuali. — 2. La nullità parziale con (necessaria) salvezza del contratto per il resto, tra riduzione teleologica e interpretazione te- leologicamente conforme. — 3. Segue. Altre deroghe imposte ex art. 9 alla disciplina comune della nullità. 4. Le tortuose vie dell’integrazione della lacuna “sopravve- nuta” relativa a un elemento essenziale: l’integrazione cogente. — 5. Segue. L’in- tegrazione dispositiva nel quadro del “nuovo” diritto dei contratti. — 6. Segue. Nullità, integrazione, inibitorie: rimedi specifici, tra surrogazione e coazione.
1. Un tentativo di inquadramento della nullità del patto abusivo ex
art. 9 nel sistema delle impugnative contrattuali.
Delineata la natura e la ratio del controllo sullo squilibrio contrattuale apprestato dall’art. 9, l. subf., si può ora concentrare l’attenzione sul rimedio invalidatorio previsto al terzo comma, espe- ribile dall’impresa “dipendente” a cui siano state imposte condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. Prima di illustrare il fun- zionamento del rimedio, si rende preliminarmente opportuno in- quadrare la nullità del patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica nel contesto delle impugnative contrattuali di diritto comune. In questo paragrafo introduttivo concentreremo, dunque, l’attenzione sugli elementi di continuità e di frattura tra la nullità a tutela dell’impresa dipendente e gli strumenti invalidatori tradizionali, dapprima con riguardo ai presupposti e, in un secondo momento, all’atteggiarsi del rimedio.
Un simile tentativo di analisi deve prendere le mosse dalla riflessione di chi ha autorevolmente sostenuto che la disciplina
250 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
dell’abuso di dipendenza economica tra imprese mostrerebbe punti di contatto con quella dell’annullamento per incapacità naturale (art. 428 cpv. c.c.) e della rescissione (artt. 1447 ss.) (1).
Sul punto, occorre da subito osservare che l’accostamento sembra legittimo soprattutto con riguardo a quest’ultima fattispecie: soltanto nell’ambito del rimedio rescissorio, così come a norma dell’art. 9, l. subf., il profilo dello squilibrio contrattuale assume diretta rilevanza, mentre ai fini della domanda di annullamento « il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere » e « la qualità del contratto » costituiscono, a rigore, solo alcuni degli indici dai quali poter desumere la sussi- stenza del presupposto della mala fede soggettiva (2).
La prossimità tra l’invalidità del contratto concluso mediante abuso di dipendenza economica e la rescissione appare, dunque, più
(1) Si fa riferimento a R. SACCO, in R. SACCO-G. DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Xxxxx, Torino, 2005, 611, per cui « l’art. 9 fa passare sotto i nostri occhi una coppia di circostanze cui noi siamo oramai in qualche modo familiari: a) una situazione oggettiva, o creata ad arte, patologica e capace di mettere in difficoltà un contraente: cioè la dipendenza economica (paragonabile all’incapacità, al pericolo, al bisogno); b) la condotta della controparte, che abusa della situazione (paragonabile alla malafede della controparte dell’incapace sommata al pregiudizio di quest’ultimo, e all’approfittamento operato da chi sfrutta il bisogno altrui, e così via) ». In un prospettiva diversa A.P. XXXXXX, Il contraente « debole », cit., 219, nota 99, non ravvisa invece alcuna continuità tra le discipline in esame sul presupposto, criticato nel precedente paragrafo, che l’art. 9, l. subf., introdurrebbe un controllo sul contratto puramente “sostanziale”, riguardante l’equivalenza oggettiva delle prestazioni.
(2) Che rappresenta l’unico elemento da accertare ex art. 428, secondo xxxxx, c.c., come ricordano X. XXXXXX-X. XXXXXX-P.G. MONATERI-X. XXXXXXXXX-TH. ULEN, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, Bologna, 1999, 261, mettendo in luce l’antitesi tra la scelta del legislatore italiano e il principio per cui « la mancanza di un’adeguata capacità di scelta dovrebbe essere rilevante solo se comporta un trasferimento di risorse che un contraente perfettamente razionale non avrebbe accet- tato », conducendo lo scambio lontano dai « canoni della razionalità ». Il fatto che il contenuto svantaggioso del contratto non costituisca un presupposto dell’annulla- mento (v., però, le pronunce che gli Autori citano in nota) trova, del resto, conferma sistematica nella circostanza che non venga contemplato, a differenza di quanto accade per la rescissione ex art. 1450 c.c., il potere del contraente contro il quale l’annulla- mento è domandato di paralizzare l’azione attraverso un’offerta di riduzione a equità:
v. X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, 1018.
LE PROSPETTIVE DI ADATTAMENTO DEL CONTRATTO “ABUSIVO” 251
marcata e spiega la circostanza per cui diverse voci in dottrina abbiano sottolineato una certa continuità tra le due discipline (3). Oltre alla duplicità di presupposti — la sussistenza di una situazione che metta in difficoltà un contraente e l’abuso compiuto dalla controparte — un ulteriore elemento comune ad esse è dato dal parametro di riferimento utile a valutare lo squilibrio “economico” del contratto (4), che è costituito in entrambi i casi dal (prezzo di) mercato (5), ovvero dal diritto dispositivo per quanto riguarda lo squilibrio c.d. normativo (6).
Riservandoci di svolgere nei paragrafi seguenti più approfondite riflessioni sulla portata dello ius dispositivum quale criterio per valutare ex art. 9 il carattere ingiustificatamente gravoso delle con-
(3) Trattandosi di rimedi che proteggono entrambi « chi contrae a condizioni ingiuste, per condizionamenti esterni che ne pregiudicano la libertà negoziale »: così, per tutti, X. XXXXX, Il contratto, cit., 2011, 872, già nell’edizione del 2001, 928, riferendosi in particolare alla rescissione per lesione; analogamente, secondo V.C. XXXXXX, La natura della responsabilità da abuso di dipendenza economica tra contratto, illecito aquiliano e culpa in contrahendo, in Nuova giur. civ. comm., 2012, 302, l’istituto della dipendenza economica « parrebbe mutuare la ratio civilistica alla base del rimedio rescissorio »; ma v. anche X. XXXXXXXX, Il contratto di subfornitura, cit., 381.
(4) Sulla possibilità di sindacare alla stregua dell’art. 9, l. subf., anche lo squilibrio “economico” del contratto, e sul quasi inestricabile intreccio dello stesso con lo squilibrio cosiddetto normativo, si veda il § 2 del primo capitolo, mentre per considerazioni più approfondite si rinvia ai paragrafi successivi.
(5) Per quanto riguarda la rescissione per lesione si veda, per tutti, A. BELVEDERE, Le dinamiche contratto-mercato, in Contratto e mercato. Liber amicorum per Xxxxxx Xxxxxxxx, I, a cura di X. Xxxxxxx, Milano, 2013, 237 ss., ora in ID., Scritti giuridici, II, Padova, 2016, spec. 1008, e, in relazione al divieto di abuso di dipendenza economica, letto sulla falsariga del divieto di abuso di posizione dominante, M.R. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, cit., spec. 152 ss., mentre altri, come M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006, 147 s., meno condivisibilmente rinviano al parametro del mercato evocando l’equità integrativa ex art. 1374 c.c. (su cui xxxxxxx nel quinto paragrafo del capitolo precedente, in nota).
(6) Che potrebbe investire sia il contratto concluso mediante abuso di dipen- denza economica, secondo quanto osservato nel § 2 del primo capitolo, sia il contratto concluso « a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un grave danno alla persona » a norma dell’art. 1447 c.c. (non invece quello concluso con approfittamento dello stato di bisogno, che postula una « sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra »: v. X. XXXXXXX, Giustizia contrattuale e poteri conformativi del giudice, in Riv. dir. civ., 2019, 350).
252 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
dizioni contrattuali imposte all’impresa dipendente (7), occorre ora proseguire l’analisi comparativa tra la disciplina oggetto di questa indagine e quella codicistica della rescissione. In particolare, dopo aver illustrato alcune analogie, si procederà a evidenziare le diffe- renze riscontrabili tra le due figure.
Se si concentra l’attenzione sull’istituto della rescissione del contratto concluso in stato di bisogno, si può agevolmente notare che la disciplina dell’abuso di dipendenza economica si presenta, nel complesso, meno “asfittica” (8) rispetto a quella dettata agli artt. 1448 c.c. e seguenti, tanto con riguardo ai presupposti quanto, come si vedrà, agli effetti. In questo senso, va anzitutto segnalato che “l’ingiustizia” del contratto concluso mediante abuso di dipendenza economica non si misura « col rigore numerico » della lesione ultra dimidium (9), essendo sufficiente riscontrare condizioni economiche ingiustificatamente gravose. L’aspetto più interessante, che consente di ricollegarsi alle osservazioni svolte nel paragrafo precedente, è però che l’art. 9, l. subf., reagisce a squilibri di potere contrattuale riconducibili alla « fisiologia delle relazioni socio-economiche (es- sendo fisiologico che sul mercato ci siano giocatori più forti e
(7) E per sostituirsi ad esse: si veda, intanto, A. X’XXXX, Invalidità dei patti abusivi, correzione legale del contratto e disciplina della nullità parziale, in Obbl. contr., 2008, 493 ss., e ID., Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008, 261 ss., spec. 267, ove l’A. nota come « al centro delle nostre fattispecie vi sia un conflitto tra regola pattizia e disciplina legale che può essere ragione di sacrificio della prima »; ma cfr. anche, nella giurisprudenza della Corte costituzionale federale tedesca, la ben nota pronuncia del Bundesverfassungsgericht, 19 ottobre 1993, in Nuova giur. civ. comm., 1995, 201, con nota di A. BARENGHI, Una pura formalità. A proposito di limiti e di garanzie dell’autonomia privata in diritto tedesco, spec. 203.
(8) Definisce così la disciplina della rescissione E. NAVARRETTA, Il contratto
« democratico » e la giustizia contrattuale, in Riv. dir. civ., 2016, 1284; tant’è che non sono mancati, in dottrina, tentativi di “allargare le maglie” della stessa in via interpre- tativa: in questo senso v., da ultimo, la proposta di X. XXXXXXX, Giustizia contrattuale e poteri conformativi del giudice, cit., spec. 368 s., alla quale si è fatto riferimento nel secondo paragrafo del capitolo precedente, in nota.
Termine estratto capitolo
(9) Così X. XXXXX, op. loc. ult. cit., alludendo al fatto che l’art. 1448 cpv. x.x. xxxxxxxx, come è noto, l’inammissibilità dell’azione di rescissione se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione, eseguita o promessa dalla parte danneg- giata, aveva al tempo del contratto.
Capitolo Quarto
OLTRE LA TUTELA DELL’AFFIDAMENTO
SOMMARIO: 1. Abusi sul crinale tra atto e rapporto: il caso Shell, una “rara avis”?. —
2. Dipendenza economica oltre l’affidamento: qualche spunto teorico. — 3. Segue. Un catalogo esemplificativo di “fattispecie”. — 4. La tutela dell’impresa dipen- dente e il ruolo del public enforcement. Conclusioni.
1. Abusi sul crinale tra atto e rapporto: il caso Shell, una “rara avis”?
Le questioni operative riguardanti “l’adattamento” del con- tratto contenente uno o più patti nulli ex art. 9, l. subf., che abbiamo indagato nel capitolo precedente, sono rimaste a lungo appannaggio esclusivo della riflessione teorica. E ciò benché la nullità del patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica fosse l’unico rimedio inizialmente previsto al terzo comma della norma, oltre a essere quello ritenuto più significativo dagli studiosi (1).
La ragione di tale scostamento della prassi applicativa rispetto al dibattito dottrinale è stata ravvisata (2) nella nozione di dipendenza che si è andata affermando in giurisprudenza, sulla scorta degli studi giuseconomici valorizzati fin da subito dalla dottrina (3). Una nozione che postula la previa stipula di un contratto tendente a privare una parte delle alternative sufficienti di cui disponeva prima della conclusione: vuoi perché comporta investimenti specifici, non facilmente convertibili in usi diversi, vuoi perché pone la stessa in una situazione di mera soggezione, attraverso la previsione di un diritto potestativo (ad esempio di recesso o ius variandi).
(1) Vedi il secondo paragrafo del primo capitolo.
(2) Vedi il quarto paragrafo del primo capitolo.
(3) Vedi il primo paragrafo del primo capitolo.
318 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
Si è visto che la dipendenza così intesa tendenzialmente non
consente di sindacare lo squilibrio contrattuale “originario” perché, se è il contratto a determinare il presupposto della violazione dell’art. 9 (in via di fatto o di diritto), è giocoforza che l’abuso si collochi sul piano dello svolgimento del rapporto, più che su quello della validità dell’atto. Come anticipato, una parte della dottrina ha sostenuto che esattamente questo — e solo questo — sarebbe l’ambito funzionale in cui la disciplina in esame sarebbe chiamata a operare. E, osservando che il campo in cui tipicamente si consu- mano gli abusi di dipendenza economica è proprio quello dell’eser- cizio dei diritti potestativi, ha riconosciuto una « saldatura tra la teorica dell’abuso del diritto ed il divieto di dipendenza econo- mica » (4), intendendo con ciò che né l’uno né l’altro istituto sarebbe chiamato a sindacare l’esercizio della libertà contrattuale, e dunque la scelta di pattuire un certo regolamento di interessi, quanto la conformità tra l’esercizio di un diritto previsto dal con- tratto e l’interesse in virtù del quale quel diritto è stato attribuito (5). In questo senso, l’art. 9 starebbe a chiarire che è vietato approfittare dell’assenza di soddisfacenti alternative indotta dal compimento di investimenti specifici a una certa relazione, al fine di estorcere all’impresa utilità ulteriori rispetto a quelle liberamente scambiate con la stipula del contratto (6), e ad articolare un venta- glio di rimedi effettivi attivabile dall’impresa dipendente in caso di
abuso (7).
Un tale approccio, che rischia di cristallizzare gli attuali orien- tamenti della giurisprudenza, appare eccessivamente restrittivo (8).
(4) X. XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, in Contratti, 2010, 526 s.
(5) Vedi la nota precedente.
(6) Pressoché testualmente X. XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, cit., 528 s.
(7) Vedi la nota precedente.
(8) Sul punto, condivisibilmente, X. XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e grave iniquità dell’accordo sui termini di pagamento, in Contratti, 2003, 625, per cui « la ragione, per la quale l’applicazione del rimedio della nullità previsto dall’art. 9 è critica, è che la giurisprudenza ad oggi concepisce l’abuso di dipendenza economica discipli-
OLTRE LA TUTELA DELL’AFFIDAMENTO 319
Da un lato infatti, come già osservato (9), dal punto di vista letterale il divieto di abuso di dipendenza economica vieta l’impo- sizione di condizioni ingiustificatamente gravose tout court, senza escludere quelle che sono tali fin dall’origine e suggerendo anzi, nel distinguere tra condotta interruttiva di relazioni commerciali e rifiuto di contrarre, che sarebbero configurabili anche abusi “origi- nari”. Dall’altro, sul versante sistematico, fanno riferimento a con- dizioni contrattuali squilibrate ab origine i vari interventi “evolutivi” del legislatore (10), che ha evocato il divieto di abuso di dipendenza economica in vari settori caratterizzati, appunto, dall’asimmetria di potere contrattuale e dalla conseguente diffusione di clausole abu- sive. Da ultimo, è stato osservato che, a ragionare diversamente, l’apporto dell’art. 9, l. subf., sarebbe tutto sommato ridotto e andrebbe a confondersi con l’ambito proprio del generale divieto di abuso del diritto, che essendo ancorato alla clausola generale di correttezza e buona fede in executivis (art. 1375 c.c.), implica un controllo sull’esercizio dei diritti riconosciuti dal contratto, senza comportare l’invalidità delle pattuizioni che li prevedono (11).
Si è così potuto concludere che la ratio del divieto di abuso di
dipendenza economica non è tanto, e soltanto, quella di proteggere l’affidamento dell’impresa dipendente sulla prosecuzione della rela- zione commerciale a fronte di investimenti (specifici o comunque) non convertibili in usi alternativi, ma piuttosto di tutelare l’effettivo esercizio, da parte di essa, della libertà di iniziativa economica, che implica anche il non trovarsi costretta a pattuire condizioni abusive. Ciò premesso, è ora fondamentale tornare per un attimo a esaminare la giurisprudenza sull’art. 9, l. subf., ed evidenziare il ruolo giocato dallo squilibrio contrattuale “originario” nell’ambito di talune decisioni, per convincersi senz’altro che la nozione di
nato dall’art. 9, non già come un abuso dell’autonomia contrattuale che conduce alla nullità di una clausola del contratto, bensì come un caso di abuso nell’esercizio di un diritto attribuito dal contratto ».
(9) Nel quarto paragrafo del primo capitolo.
(10) Illustrati nel sesto capitolo del primo paragrafo.
(11) Vedi il quarto paragrafo del primo capitolo.
320 ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
dipendenza oggi in voga non consente un sindacato sui patti nati abusivi. Tra le pronunce che, occupandosi di dipendenza econo- mica, si sono mosse sul delicato crinale tra abuso nell’atto e abuso nel rapporto, e sembrano sanzionare proprio l’imposizione di con- dizioni ingiustificatamente gravose ab origine, se ne segnalano al- cune.
Così, ad esempio, una decisione del tribunale di Trieste (12) si trova a fare i conti con una clausola contrattuale tramite cui una nota compagnia telefonica impone a un’impresa che esercita attività di call-center, nell’ipotesi in cui la seconda necessiti di effettuare il trasferimento dell’impianto e delle linee telefoniche in altra sede, di rivolgersi soltanto alla prima accettando il prezzo da questa unila- teralmente determinato per il trasloco.
Ebbene tale pronuncia, ritenuta da autorevole dottrina emble- matica di come la giurisprudenza abbia talora dichiarato nulla una clausola ex art. 9, l. subf. (13), parrebbe piuttosto aver sanzionato l’imposizione di prezzi eccessivi resa possibile da quella clausola squilibrata. Era, del resto, la previsione contrattuale di un diritto potestativo a causare la situazione di dipendenza economica, pri- vando l’impresa cliente di ogni alternativa, se non quella di « accet- tare qualsiasi prezzo gli [venisse] richiesto dal fornitore del servizio, ancorché gravemente sperequato » (14); sicché, sul piano giuridico,
(12) Trib. Trieste, 21 settembre 2006, in Contratti, 2007, 112, con nota di X. XXXXXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica ed “estorsione” post-contrattuale, e in Giur. it., 2007, 1737, con nota di C. SPACCAPELO, Abuso di dipendenza economica e provvedi- mento d’urgenza.
(13) X. XXXXX, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2011, 871 s.
Termine estratto capitolo
(14) Così Trib. Trieste, 21 settembre 2006, cit., 1738, per cui, oltretutto, costringere il cliente, « in questa delicata fase della sua attività imprenditoriale (è in corso il trasloco dai locali), [...] a disdire il rapporto per attivarne uno con un altro operatore e mutare le proprie strategie organizzative, le tariffe e quant’altro, oltre a esporlo ad un duplice costo (quello di chiusura e quello di nuova apertura), non gli garantirebbe la soluzione dei problemi a venire ». L’idea che la pronuncia indicata abbia sindacato un abuso nello svolgimento del rapporto, e non della costruzione del programma negoziale, si evince anche dal fatto che si evoca il principio generale di buona fede esecutiva e la regola di diritto comune dettata in tema di clausole limitative
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