SERVIZI DI INVESTIMENTO ED OBBLIGHI DI INFORMAZIONE NEI CONFRONTI DELL’INVESTITORE1
Nullità
SERVIZI DI INVESTIMENTO ED OBBLIGHI DI INFORMAZIONE NEI CONFRONTI DELL’INVESTITORE1
Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxx, Xxx. X., 00 ottobre 2004
Pres. Marescotti B. – Rel. Xxxxxxx X. – E. F. e D. F. c. Banca Agricola Mantovana S.p.A.
Contratto di investimento –Obblighi di informazione – Violazione – Nullità - Insussistenza.
(Artt. 1418 e 1421; Artt. 6, 13 e 16 legge 2 gennaio 1991 n.1; Art. 6 e 11 Regolamento CONSOB n.
8850/1996;. Art. 28 del Reg. Consob n. 11522; Art. 21 decreto legislativo 28 febbraio 1998 n. 58 (TUIF))
I. In caso di violazione degli obblighi di informazione nei confronti dell’investitore da parte dell’intermediario, non può essere dichiarata la nullità del contratto di intermediazione mobiliare, perchè tale inadempimento riguarda la fase esecutiva del rapporto e non può dunque convertirsi in vizio di invalidità attinente alla genesi del negozio;
II. La sanzione della nullità non è in alcun modo applicabile - per comminatoria della legge speciale o della generale previsione dell’art. 1418 cod. civ. - alla violazione degli obblighi di informazione nei confronti dell’investitore da parte dell’intermediario.
III. Affinché possa essere riconosciuto il risarcimento del danno in favore dell’investitore in caso di violazione degli obblighi di informazione da parte dell’intermediario, è necessario che gli attori dimostrino la sussistenza del requisito etiologico, ossia del nesso causale tra il danno lamentato ed il mancato assolvimento della banca ai ripetuti doveri di informativa, essendo necessario a tal proposito comprovare che il danno non si sarebbe prodotto se invece tali doveri fossero stati adempiuti.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 12.12.1997 i signori Xxxx Xxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx convennero in giudizio avanti al Pretore di Milano la BANCA AGRICOLA MANTOVANA S.c.a.r.l., allegando di aver stipulato con quest’ultima, in data 3.2.1997, un contratto di intermediazione mobiliare in esecuzione del quale la banca aveva poi effettuato in data 6 e 18 febbraio 1997 tre operazioni su derivati MIBO (opzioni call su indice di borsa MIB 30) conclusesi con una perdita di £. 25.650.000 che, a loro dire, avrebbe potuto evitarsi se la banca convenuta non si fosse resa responsabile di una nutrita serie di carenze informative in violazione delle regole di comportamento e del dovere di informativa dettate dall'art. 6, comma 1, della legge 2 gennaio 1991,
n. 1 e dall'art. 6, commi 1 e 2, del Regolamento CONSOB n. 8850/94.
Chiedevano quindi che, accertati gli inadempimenti della banca ai suddetti obblighi, fosse dichiarata la nullità del contratto da essi sottoscritto il 3.2.1997, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione della somma di £. 25.650.000, ovvero, in subordine, che la banca fosse condannata al risarcimento del danno da essa cagionato, sempre comunque nella misura di £. 25.650.000 (oltre interessi, rivalutazione e spese del giudizio).
1 Pubblicato in Giurisprudenza di merito, 2005, fasc. 10, pt. 1, pp. 2056 – 2063 – published in Giurisprudenza di merito, 2005, fasc. 10,
pt. 1, pp. 2056 – 2063.
Radicatosi il giudizio, vi si costituì la Banca convenuta resistendo alle avverse domande la cui infondatezza, a suo dire, era dimostrata, tra l’altro, dalla copiosa documentazione da essa contestualmente prodotta in causa, in quanto atta a comprovare sia le regolari modalità di svolgimento dei servizi di esecuzione degli ordini impartiti dagli attori, sia l'avvenuta previa acquisizione delle informazioni sulla situazione finanziaria e sugli obiettivi di investimento dei clienti stessi, sia, infine, la avvenuta consegna agli attori della informativa riguardante la natura ed i rischi delle operazioni di investimento mobiliare.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Milano, subentrato all'adito Pretore a seguito dell'introduzione della figura del Giudice Unico di Xxxxx Xxxxx, con sentenza n. 1780/2002 pronunciata in data 23.1.2001 e pubblicata in data 7.2.2002, ha rigettato le domande attoree disponendo la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti.
A tale conclusione il Tribunale è pervenuto ritenendo, quanto alla domanda principale di nullità proposta dagli attori, per un verso che la avvenuta produzione in causa di più contratti di natura intermediatoria recanti date diverse di stipula, senza che fosse stato chiarito a quale di essi dovesse ascriversi il dedotto vizio, rendesse incerto in modo assoluto l'oggetto della domanda; e, per l’altro, che la declaratoria di nullità fosse impedita da un duplice ostacolo: perché la normativa di settore invocata dagli attori non comminava alcuna ipotesi di nullità per le violazioni ai doveri di informativa da essi dedotte; e perché esse non potevano neppure sussumersi fra le ipotesi generali di nullità contemplate nell’art. 1418 cod. civ.
Il Tribunale ha altresì respinto la domanda subordinata di risarcimento dei danni osservando che, seppure le informazioni fornite dalla Banca agli attori non erano risultate adeguate, essi non avevano comunque dimostrato, né era aliunde presumibile, che a fronte di una più completa informativa si sarebbero astenuti dal compiere le operazioni incriminate. Peraltro il Tribunale, in ragione della rilevata carenza informativa, ha comunque ritenuto equo compensare integralmente le spese del giudizio fra le parti.
Per la riforma di tale sentenza hanno interposto gravame avanti a questa Corte d’Xxxxxxx i sigg. Xxxx e Falchero con atto di citazione notificato in data 21.2.2003.
Con ordinanza in data 27.5.2003 questa Corte ha dichiarato l'interruzione del processo a sensi dell'art. 299 c.p.c. per intervenuta incorporazione della banca convenuta nella banca MONTE DEI PASCHI DI SIENA.
Gli appellanti hanno poi riassunto il processo ex art. 303 c.p.c. nei confronti della BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A.
Si è a questo punto costituita in giudizio - intervenendo per successione nel processo come conferitaria dell’azienda bancaria della società incorporata - la neo costituita BANCA AGRICOLA MANTOVANA S.p.A. resistendo al gravame e proponendo a sua volta appello incidentale.
Precisate di seguito le conclusioni - conformemente agli atti introduttivi – nei termini letteralmente trascritti in epigrafe, questa Corte ha infine trattenuto la causa in decisione all'udienza del giorno 1 giugno 2004, concedendo alle parti i termini ordinari previsti dagli artt. 190 e 352 C.P.C. per il deposito degli atti conclusivi.
Motivi della decisione
1. L'appellante articola cinque motivi d’impugnativa, con il primo dei quali deduce un’omissione di pronuncia in merito agli effetti del mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sulla BANCA AGRICOLA MANTOVANA. Ciò perché da una parte il Tribunale ha ritenuto che la Banca «non risulta avere eseguito alcune fondamentali informazioni in direzione degli attori, di cui alle norme di legge e regolamentari citate, in ordine alle quali l'onere della prova, attraverso la produzione di estratti previsti dalla normativa specifica, spettava alla stessa convenuta»; ma dall’altra non ha tratto alcuna conseguenza dalla constatata carenza di prova.
1.1. Rileva subito questa Corte che, per la verità, una conseguenza è stata tratta su questo punto dal Tribunale, sia pure limitatamente al regime delle spese processuali. Infatti il primo Giudice ha posto
la ritenuta carenza di prova sulla diligente fornitura di dati informativi da parte della Banca alla base della pronuncia di integrale compensazione delle spese di giudizio.
Proprio per tale ragione ora la Banca appellata, partendo dal contrario presupposto, quello cioè di avere assolto ai suoi oneri probatori, chiede con appello incidentale la parziale riforma dell’appellata sentenza con applicazione del principio generale di cui all'art. 91, primo comma, c.p.c., e conseguente condanna degli appellanti principali alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado.
1.2. Esaminandosi per il momento solo l’illustrato motivo dell’impugnativa principale, esso dev’essere disatteso.
Il Tribunale ha ritenuto che, pur incombendo alla banca convenuta l’onere di provare l’assolvimento dei suoi doveri di informativa e pur non avendolo essa soddisfatto, non potesse comunque conseguirne l’accoglimento delle domande attoree: di quella di nullità, perchè tale sanzione non era in alcun modo ricollegabile - per comminatoria della legge speciale o della generale previsione dell’art. 1418 cod. civ. - alla violazione dei suddetti doveri; e di quella del risarcimento del danno, perché comunque non era stato dimostrato dagli attori – cui incombeva questa volta il relativo onere
– la sussistenza del requisito etiologico, ossia del nesso causale tra il danno lamentato ed il mancato assolvimento della banca ai ripetuti doveri di informativa, essendo necessario a tal proposito comprovare che il danno non si sarebbe prodotto se invece tali doveri fossero stati adempiuti.
Come si vede, dunque, il motivo dell’impugnativa principale non coglie la ratio decidendi della pronuncia, che ha escluso il rilievo decisorio del mancato assolvimento della banca all’onus probandi rispetto al suo dovere di informativa, ritenendo che le domande attoree dovessero essere comunque rigettate a causa del difetto di prova sul nesso di causalità.
Né è dubbio che gli attori avessero mancato di assolvere a tale prova (e del resto nemmeno contestano questa circostanza nella loro impugnativa, limitandosi – come si è visto – a proporre argomenti di critica solo limitatamente alla mancata valorizzazione del difetto di prova in ordine alla diligenza della banca convenuta).
Merita solo aggiungere che ad una diversa conclusione non sarebbe possibile pervenire nemmeno in relazione alla possibile diversità di qualificazione del titolo di responsabilità ascrivibile alla banca: infatti l’onere della prova circa la sussistenza del nesso di causalità incombe all’attore che agisca in via risarcitoria sia che la responsabilità venga dedotta a titolo contrattuale, sia che la prospettazione evochi l’illecito aquiliano, le differenze di onus probandi inerendo – nei due diversi casi – solo alla prova della colpa del danneggiante-obbligato (che nella responsabilità contrattuale si presume).
Pertanto, una volta rilevata ed accertata la carenza di prova sul nesso di causalità, sarebbe stato e sarebbe comunque irrilevante accertare se la banca abbia tenuto un comportamento più o meno diligente nell’espletamento dell’incarico intermediatorio.
Peraltro nel caso di specie nemmeno a questo proposito potrebbe considerarsi fondata la tesi critica degli appellanti, non potendo affatto ritenersi indimostrato il diligente comportamento della banca. A tale conclusione conduce un esame delle norme di comportamento dell’intermediaria finanziaria invocate dagli stessi appellanti ed in effetti applicabili alla concreta fattispecie ratione temporis.
Al riguardo deve anzitutto ricordarsi che, effettivamente, l’onere probatorio sulla mancanza di colpa incombeva alla banca, ai sensi dell’art. 13, decimo comma, della legge n. 1/1991 («nei giudizi di risarcimento dei danni derivanti dallo svolgimento delle attività di cui all'articolo 1, comma primo, in violazione della presente legge, dei regolamenti, e delle disposizioni emanate dalle autorità di vigilanza, spetta alla società o soggetto convenuti l'onere della prova di avere agito con la diligenza del mandatario»).
Che la norma fosse applicabile alla convenuta derivava poi dal disposto dell’art. 16 della legge n. 1/1991:
«l'esercizio professionale nei confronti del pubblico delle attività di cui all'articolo 1, comma primo, è consentito, con esclusione di quella di cui alla lettera a) relativamente ai valori mobiliari diversi dai titoli di stato o garantiti dallo stato, quotati in borsa e negoziati al mercato ristretto, anche alle aziende ed istituti di credito, previa autorizzazione della Banca d'Italia (…). Le aziende
e gli istituti di credito autorizzati allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 1, comma primo, sono tenuti all'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 6, 8, 11 e 12, e sono soggetti alle norme sulla vigilanza di cui all'articolo 9».
Per effetto di tale duplice rinvio normativo sarebbe stato dunque nella specie applicabile sia l’art. 6 della medesima legge n. 1/1991, sia l’art. 6 del Regolamento CONSOB n. 8850/1994.
A tenore della prima norma (“PRINCIPI GENERALI E REGOLE DI COMPORTAMENTO”):
«Nello svolgimento delle loro attività le società di intermediazione mobiliare:
A) devono comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell'interesse del cliente;
B) devono pubblicare e trasmettere ai singoli clienti un apposito documento informativo contenente l'indicazione e la descrizione delle attività svolte (…);
C) devono stabilire i rapporti con il cliente stipulando un contratto scritto nel quale siano indicati la natura dei servizi forniti, le modalità di svolgimento dei servizi stessi e l'entità e i criteri di calcolo della loro remunerazione, nonché le altre condizioni particolari convenute con il cliente; copia del contratto deve essere consegnata contestualmente al cliente;
D) devono acquisire preventivamente le informazioni sulla situazione finanziaria del cliente rilevanti ai fini dello svolgimento delle attività di intermediazione mobiliare;
E) devono operare in modo che il cliente sia sempre adeguatamente informato sulla natura e sui rischi delle operazioni, sulle loro implicazioni e su qualsiasi atto, fatto o circostanza necessari per prendere consapevoli scelte di investimento o di disinvestimento;
F) non devono consigliare o effettuare operazioni con frequenza non necessaria o consigliare o effettuare operazioni di dimensioni eccessive in rapporto alla situazione finanziaria del cliente;
G) non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse conflittuale nell'operazione, a meno che non abbiano comunicato per iscritto al cliente la natura e l'estensione del loro interesse nell'operazione, e il cliente non abbia preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto alla effettuazione dell'operazione;
H) devono predisporre ed osservare procedure organizzative idonee ad assicurare il controllo interno sulla propria attività e su quella dei propri dipendenti (…)».
Tenuto conto non solo degli espliciti richiami svolti riguardo a tale norma dai Xxxx.ri Fava- Falchero, ma anche del contenuto sostanziale della citazione, deve ritenersi che essi abbiano in concreto dedotto solo la violazione dei doveri indicati ai punti A), D), E) ed F).
Essi hanno inoltre dedotto la violazione di entrambi i commi dell’art. 6 del Reg. CONSOB n. 8850/1994 (“FREQUENZA, DIMENSIONI E ADEGUATEZZA DELLE OPERAZIONI”),
secondo cui :
«1. Gli intermediari autorizzati si astengono dal consigliare o effettuare:
a) operazioni con frequenza non necessaria;
b) operazioni di dimensioni eccessive;
c) operazioni non adeguate per tipologia od oggetto.
2. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un cliente disposizioni relative ad operazioni che abbiano frequenza eccessiva o dimensioni eccessive ovvero non appaiano adeguate per il cliente stesso, lo informano compiutamente di tali circostanze e delle ragioni per cui non è opportuno procedere all'esecuzione di tali operazioni. Se il cliente richiede comunque l'esecuzione delle operazioni di cui trattasi i relativi ordini sono contrassegnati nell'ambito delle annotazioni e registrazioni di cui agli articoli 19, 20, 26, 29 e 34».
Ebbene, alla luce di tali norme, della produzione documentale in atti e dalla prospettazione attorea, può ritenersi che la banca abbia sufficientemente comprovato di aver assolto con correttezza ai suoi obblighi informativi.
Infatti, con riferimento ai punti C) e D) dell'art. 6 Legge n. 1/1991, la banca ha prodotto (sub 1 e 2) i documenti comprovanti l'effettiva osservanza delle regole di comportamento ivi dettate.
Si tratta del contratto-quadro “relativo a negoziazione, raccolta di ordini, sottoscrizione, collocamento e distribuzione dei valori mobiliari” sottoscritto da entrambi gli appellanti in data
3.2.1992; nonché del prospetto delle “informazioni sulla situazione finanziaria e sugli obiettivi di investimento” ugualmente sottoscritto in pari data da entrambi gli appellanti.
Nel contratto risultano indicati, come richiesto dal richiamato punto C), “la natura dei servizi forniti, le modalità di svolgimento dei servizi stessi e l'entità e i criteri di calcolo della loro remunerazione, nonché le altre condizioni particolari convenute con il cliente”.
Nel prospetto allegato al contratto vi è poi la richiesta, cui fa riferimento il citato punto D), delle “informazioni sulla situazione finanziaria del cliente rilevanti ai fini dello svolgimento delle attività di intermediazione mobiliare”, anche se poi dal medesimo documento risulta che i clienti non intesero fornire le informazioni in questione, del che non possono quindi lagnarsi.
Quanto ai doveri di cui al punto E) (adeguata informazione ai clienti “sulla natura e sui rischi delle operazioni, sulle loro implicazioni e su qualsiasi atto, fatto o circostanza necessari per prendere consapevoli scelte di investimento o di disinvestimento”), risulta che, sempre in occasione della raccolta delle “Informazioni sulla situazione finanziaria e sugli obiettivi di investimento” (doc. 2 convenuta), gli appellanti specificarono come propri obiettivi operazioni aventi il rischio più elevato (“prevalenza della rivalutabilità rapportata al rischio della oscillazione dei corsi”).
Ed in effetti, come ha fondatamente osservato la banca, tale elevata propensione al rischio ha trovato riscontro nel tipo di operazioni abitualmente compiute dagli appellanti, perlomeno nei limiti di quelle di cui vi è traccia in atti (v. estratti conto: operazioni in warrants e derivati).
Si tratta dunque di stabilire se gli appellanti – pur consapevoli ed anzi desiderosi di effettuare operazione ad alto rischio – fossero stati comunque informati dalla banca sulla pericolosità e sulla natura specifica delle operazioni in concreto rese oggetto di contestazione per le perdite subite (tre operazioni su derivati MIBO, ossia opzioni call su indice di borsa MIB 30).
Tale prova è stata efficacemente fornita dalla banca.
Essa ha invocato infatti le dichiarazioni rese dallo stesso appellante Sig. Fava con lettera datata 6.3.1997 (doc. 10 fasc. appellata), da lui non contestata ed anzi anche da lui prodotta, ove espressamente egli ammise, tra l’altro, mentre faceva una serie di precisazione chiaramente dimostrative della sua perfetta conoscenza della materia dell’investimento in strumenti finanziari, che:
«mi fu spiegato in modo preciso e puntuale tutte le condizioni su FIB 30 tanto che il 30.1.97 acquistai regolarmente il mio primo FIB 30. Anche per il MIBO 30 mi spiegarono tutte le modalità, rischi, quantitativi e spese... ". Sorprende dunque che gli appellanti abbiano potuto contestare, pur dinanzi a tale inequivoca ammissione, che la banca non avesse adempiuto all’obbligo informativo in parola.
Né il fatto che le ammissioni provengano solo da uno dei due sottoscrittori del contratto di intermediazione diminuisce il valore probatorio del documento appena considerato, visto che nel contratto di intermediazione si prevedeva testualmente la possibilità che ad impartire gli ordini provvedesse disgiuntamente ciascuno dei sottoscrittori. E le operazioni di cui si discute furono appunto eseguite su ordine (legittimo) del (solo) Sig. Fava, cui deve dunque esclusivamente rapportarsi l’assolvimento da parte della banca dell’onere informativo in esame.
Ha peraltro evidenziato la appellata che il Sig. Xxxx aveva anche una non comune conoscenza ed esperienza delle operazioni di borsa, stante la sua non contestata professione di dirigente di una primaria SIM, e la risalente attività di privato operatore in borsa.
Tali qualità personali, a fronte del convincimento di questa Corte, già sopra espresso, circa il dimostrato assolvimento dell’onere informativo da parte della banca, hanno mero e residuo valore confermativo di esso, sicchè le ripetute considerazioni critiche svolte dagli appellanti in relazione ad un loro autonomo valore probatorio si rivelano in concreto inconferenti.
È poi emerso che, anche in relazione alla fase esecutiva successiva all’esecuzione degli ordini, gli appellanti furono adeguatamente informati sullo svolgersi delle operazioni (v. documenti sub 6 e 7 fascicolo appellata: lettere contabili di esecuzione e svolgimento delle operazioni), che peraltro erano state comunque eseguite in base a regolari ordini scritti dei clienti (docc. nn. 4 e 5).
Infine, il rispetto degli adempimenti prescritti dall’art. 6 del citato Regolamento CONSOB risulta attestato dai documenti prodotti sub 3 (contratto di negoziazione sui derivati con le relative condizioni) e sub 8 e 9 del fascicolo dell’appellata (estratto del registro degli ordini e delle operazioni eseguite per conto degli attori).
Alla luce di tale documentazione può quindi ragionevolmente concludersi che, diversamente da quanto ritenuto sul punto dal Tribunale, la banca appellata abbia anche positivamente ed adeguatamente dimostrato di aver osservato gli obblighi informativi posti a suo carico, perlomeno con riferimento a quelli cui hanno fatto esplicito richiamo gli appellanti, e che abbia in tal modo dimostrato la mancanza di una sua colpa per negligenza nell’espletamento dell’incarico conferitole. Consequenziale è pertanto il rigetto dell’impugnativa principale con riferimento al primo motivo.
2. Con il secondo motivo d’impugnativa gli appellanti deducono l’erroneità della gravata pronuncia laddove il Tribunale, dopo aver criticato la confusa prospettazione degli attori circa il contratto di cui deducevano la nullità, ha rigettato anche nel merito tale domanda principale di nullità del contratto di intermediazione così come da essi proposta.
Essi puntualizzano di aver sì fatto riferimento nel giudizio di primo grado alla nullità del contratto in data "3.2.1997", come risultante dal doc. n. 1 dagli stessi prodotto, ma sostengono che si sarebbe trattato di un mero refuso, dovendo intendersi affetto da nullità il contratto sottoscritto il “3.2.1992”.
Quest’ultimo sarebbe dunque nullo se non altro perché mancante della sottoscrizione della Sig.ra Falchero.
In ogni caso, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, la violazione del dovere di diligenza, correttezza e trasparenza sarebbe – anche giusta l’orientamento della S. Corte (citata la sentenza della Cass. 15 marzo 2001, n. 3753) - motivo di nullità del contratto di intermediazione.
2.1. Reputa la Corte che anche tale motivo d’impugnativa debba essere disatteso.
In primo luogo deve prendersi atto che gli appellanti hanno in concreto rinunciato a far valere la nullità del contratto in data "3.2.1997", sicchè oggetto della domanda accertativa del vizio è divenuto solo il contratto in data “3.2.1992”.
Tuttavia la precisazione fatta quanto al contratto da considerare affetto da nullità è certamente tardiva, e non può considerarsi quale rettifica di un mero refuso.
Infatti, nella fase introduttiva del giudizio di primo grado gli attori indicarono esplicitamente nel contratto in data "3.2.1997" da essi prodotto l’oggetto effettuale della domanda di nullità, e dunque non poteva esservi dubbio sull’identificazione da essi proposta.
Il fatto che poi abbiano modificato impostazione alla luce delle produzioni della banca non renderebbe in astratto inammissibile la deduzione integrativa, purchè effettuata nel rispetto delle preclusioni processuali.
Ma appunto tale integrazione risulta nella specie effettuata per la prima volta solo in grado di appello, quando ormai - ai sensi e per gli effetti dell’art. 345 cod. proc. civ. – è preclusa anche qualunque variazione delle prospettazioni di fatto soggiacenti alla domanda originaria idonee a modificare il referente oggettivo di quest’ultima e quindi ad incidere sui diritti di difesa della controparte.
Né può ritenersi che con la detta precisazione gli appellanti si siano limitati a sollecitare l’esercizio del potere di dichiarazione officiosa della nullità di cui dispone comunque il Giudicante e che potrebbe essere esercitato anche in fase di gravame, o che comunque tale sollecitazione possa determinare la declaratoria di nullità ex officio: infatti la declaratoria della nullità è stata, nella specie, oggetto di una specifica domanda degli attori, e dunque va qualificata come esercizio di un potere dispositivo della parte che esclude qualunque sovrapposizione surrogatoria o integrativa da parte del Giudice.
Vi è, com’è noto, un necessario ed insuperabile collegamento contenutistico e funzionale tra domanda e potere decisorio, di talchè il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità del contratto ex art. 1421 cod. civ. deve necessariamente coordinarsi con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 cod. proc. civ. , con la conseguenza che solo ove sia in contestazione
l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, ed indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, l’eventuale nullità dell’atto stesso (ex multis, cfr. soprattutto Cass. 10 ottobre 1997, n. 9877; Cass. 7 aprile 1995, n. 4064; Cass. 22 aprile 1995, n. 4607; Cass. 15
febbraio 1991, n. 1589).
In conclusione, la integrazione in parola si risolve in un inammissibile mutamento della domanda originaria ovvero, alternativamente, nella formulazione di una domanda ex novo: in entrambi i casi conseguendone una pronuncia di inammissibilità.
2.2. Gli appellanti peraltro deducono per la prima volta in sede di appello anche una ulteriore specifica causa di nullità, ravvisata nella mancanza di sottoscrizione del contratto da parte della Sig.ra Falchero (consorte del Sig. Fava).
Anche in tal caso la deduzione è tardiva e quindi inammissibile, per le medesime ragioni appena dette.
La deduzione è peraltro anche infondata nel merito, poiché le produzioni acquisite, che documentano il contratto stipulato in data 3.2.1992 di cui ora si discute (e di cui si vorrebbe fosse dichiarata la nullità; il solo contratto, peraltro, cui avrebbe senso riferirsi, considerato che solo in esso si racchiuse la volontà negoziale di conferimento dell’incarico di intermediazione nei valori mobiliari), recano in effetti le sottoscrizioni di ambedue gli appellanti : sia del Sig. Xxxx, che della Sig.ra Falchero.
2.3. Infondato è poi anche l'argomento inerente alla pretesa esistenza di una ipotesi di nullità ricollegabile all’inadempimento ai doveri di diligenza da parte della banca, considerato che tale inadempimento, sì come in concreto dedotto, sarebbe in realtà refluente nella fase esecutiva del rapporto e non potrebbe quindi convertirsi in vizio di invalidità attinente alla fase di formazione genetica del negozio.
Vero è, inoltre, quanto rilevato dal primo Giudice a proposito della mancanza di altre ragioni di nullità evincibili dalla normativa di settore o dalla regola generale di sussunzione delle nullità testuali e virtuali contenuta nell'art. 1418 cod. civ.
Ed infine, come non ha mancato di evidenziare la appellata, non è nemmen vero che la sentenza della S. Corte citata dagli appellanti quale esempio di pronuncia dichiarativa della nullità del contratto per violazione del dovere di diligenza, correttezza e trasparenza, abbia sanzionato di nullità un contratto di negoziazione di valori mobiliari per tale causa, avendo invece ritenuto la S. Corte che tale sanzione fosse applicabile nel ben diverso caso di conclusione del contratto ad opera di un intermediario abusivo (massima ufficiale: “è nullo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 cod. civ., 1 seguenti legge 1/1991, il contratto di SWAP concluso da una società di intermediazione mobiliare non iscritta nel relativo albo, atteso che detta iscrizione è parametro ineludibile, nella voluntas legis espressa con riferimento alla materia dell'intermediazione mobiliare, di valutazione della validità o della nullità dei relativi contratti”).
3. Con il terzo motivo d’impugnativa gli appellanti lamentano che il Tribunale non abbia dato autonomo rilievo alle difese della Sig.ra Falchero, ed al fatto che questa non avesse firmato il contratto di intermediazione.
3.1. Accertata l’infondatezza di quest’ultima affermazione resta anche priva di rilievo la doglianza circa la scarsa considerazione avuta dal primo Giudice per l’autonoma posizione della Sig.ra Falchero, atteso che, in ogni caso, il suo consorte Xxx. Fava poteva, come già detto, anche autonomamente impartire gli ordini di acquisto e vendita dei valori o degli strumenti finanziari, come in concreto ha fatto; e del resto proprio e soltanto di ordini impartiti da costui si è nella specie trattato.
4. Con ulteriore profilo di critica gli appellanti sostengono che il Tribunale abbia fatto erronea applicazione dell’art. 11 del Regolamento CONSOB n. 8850/1996 (ma, rectius, n. 8850/1994), per aver ritenuto influente sulla valutazione dell’adempimento da parte della banca ai suoi obblighi informativi il fatto che il Sig. Xxxx fosse dirigente di una SIM, trascurando di considerare, da un lato, che costui dirigeva solo un reparto di pianificazione aziendale, circostanza che non poteva
certo garantire alcuna specifica conoscenza in campo di intermediazione mobiliare, e, dall’altro, che l’art. 11 del Regolamento citato non include questo tipo di clienti tra quelli cui può non fornirsi alcuna informazione specifica sui rischi delle operazioni di investimento. Infine, sarebbe illogico anche aver fatto derivare la conoscenza dei rischi da parte dei coniugi Xxxx e Xxxxxxxx dal fatto che avessero già operato su titoli mobiliari, non potendo il riferimento a tale indistinta categoria – cui appartengono anche titoli (come quelli di Stato) a vocazione meramente reddituale - dimostrare automaticamente un’operatività in titoli di rischio.
4.1. Anche tale complessa censura è priva di fondamento.
Si è già rilevato che, in mancanza di una prova del nesso etiologico, non avrebbe avuto in ogni caso rilievo la eventuale prova della negligenza della banca e quindi nemmeno il fatto che i clienti fossero o meno a conoscenza della rischiosità delle operazioni.
Ferma restando tale decisiva premessa, ad ogni modo la conoscenza della rischiosità delle operazioni trovava, come già detto, nella professione del Sig. Fava solo un elemento di coloritura probatoria, ben più rilevante essendo la ricordata ammissione contenuta nella lettera da lui scritta e sottoscritta di suo pugno con cui confermò di essere stato puntualmente informato su ogni rischio operativo; il fatto poi che gli appellanti operassero in titoli di puro rischio, e non in operazioni di mera e tranquilla redditualità, per quanto possa incidere sulla valutazione probatoria, è attestato dalla documentazione versata in atti (estratti di conto).
5. Infine, gli appellanti deducono la violazione del principio generale di buona fede precontrattuale e contrattuale e del principio di diligenza, correttezza e professionalità, in quanto non espressamente esaminati dal primo Giudice.
5.1. Tale censura segue la sorte delle altre.
Gli appellanti, infatti, come ha osservato ineccepibilmente la difesa dell’appellata, non hanno nemmeno precisato, in punto di fatto, in quali comportamenti od omissioni si sarebbero concretizzate le addotte violazioni del principio di buona fede, che peraltro non potrebbero certo farsi derivare sic et simpliciter dal preteso – ma neppure provato - inadempimento dell’intermediaria all'onere di informativa, relativamente al quale è stata semmai di converso dimostrata la sua diligenza.
6. In conclusione – per tutte le considerazioni fin qui svolte - l’appello principale dev’essere integralmente respinto.
7. La ritenuta positiva dimostrazione da parte della banca in ordine alla diligenza spiegata nell’eseguire le operazioni incriminate rende invece priva di adeguata giustificazione la pronuncia del primo Giudice in punto di compensazione delle spese di lite. Tale pronuncia si basava infatti sul convincimento che, se da un lato gli attori non avevano dimostrato il nesso di causalità, dall’altro nemmeno la banca aveva dimostrato di essere immune da colpa, il che, appunto, si è qui confutato. Sembra dunque congruente – in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla banca appellata e comunque tenuto conto dell’esito complessivo del giudizio - fare integrale applicazione dell’ordinario principio di soccombenza ai sensi dell'art. 91 cod. proc. civ.
Di conseguenza gli appellanti principali, quali soccombenti, dovranno rifondere in via meramente consequenziale le spese processuali sostenute dall'appellata in entrambi i gradi di giudizio.
La relativa misura, per brevità, viene direttamente liquidata in dispositivo (ex officio quanto alle spese relative al secondo grado, essendo mancato per esse il deposito di nota specifica da parte del difensore dell’appellata), tenuto conto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell'attività complessivamente svolta dai difensori, sulla base dei parametri contemplati dalla vigente Tariffa professionale, e tenuto conto della necessità di liquidare comunque, anche ex officio, le spese generali di studio che l’art. 15 della suddetta Tariffa quantifica a forfait nella misura del 10% (Cass. n. 11654/2002).
P Q M
La Corte d’Appello di Milano, Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda ed eccezione, così provvede: 1) respinge l'appello principale; 2) accoglie l’appello incidentale in relazione alla impugnata statuizione di compensazione delle spese processuali di
primo grado e per l’effetto, confermando nel resto l’impugnata sentenza n. 1780/2002 pronunciata dal Tribunale di Milano in data 23.1.2001 e pubblicata in data 7.2.2002, condanna gli appellanti all’integrale rifusione delle spese di lite sostenute dall’appellata anche nel primo grado di giudizio, oltre che in grado di appello, liquidandole per la fase di primo grado in € 3.030,20 (di cui € 300,00 per esborsi, € 1.182,00 per diritti, € 1.300,00 per onorari ed € 248,20 per spese generali di studio al 10%), e per il grado di appello ex officio in € 3.813,70 (di cui € 1.267,00 per diritti, € 2.200,00 per onorari ed € 346,70 per spese generali di studio al 10%), oltre ai competenti oneri fiscali e previdenziali.
IL COMMENTO
di Xxxxxxxx Xxxxxxx
e Xxxxxxxxxx Xxxxx
Avvocati in Milano
Gli autori commentano la recente sentenza della Corte di Appello di Milano sugli obblighi di informazione degli intermediari finanziari nei confronti degli investitori e sulle conseguenze derivanti dall’inadempimento di tali obblighi. Viene evidenziato, anzitutto come la sentenza affronti il tema con una motivazione poco articolata e poco approfondita, inidonea a sciogliere i numerosi dubbi che ancora avvolgono il problema né, conseguentemente, le incertezze della giurisprudenza che, nelle passate occasioni, ha emesso decisioni non coerenti. Si ritiene inoltre errata la mancata inclusione tra le ipotesi di nullità virtuale della violazione degli obblighi di informazione gravanti sugli intermediari nei confronti degli investitori, attesa la natura pubblica degli interessi protetti dalla normativa speciale.
Il caso
In attesa che i tempi processuali maturino e permettano alla Suprema Corte di esprimere il proprio orientamento, continuano2, senza che vi sia una linea guida ben definita, le pronunce delle corti di merito in materia di obblighi dell’intermediario finanziario nello svolgimento dell’attività di negoziazione di strumenti finanziari per conto terzi ed alle conseguenze giuridiche di tale violazione. Tra le ultime, la sentenza della Corte di Appello di Milano oggetto della presente nota. Tale pronuncia, se da un lato ha il merito di contribuire a fare ulteriore chiarezza in relazione agli obblighi che l’intermediario ha nei confronti dell’investitore, ribadendo quanto già espresso in sentenze precedentemente rese, dall’altro lato lascia ancora una volta in sospeso il tema delle conseguenze che la violazione di tali obblighi ha sul contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi d’investimento.
La vicenda riguarda un contratto di intermediazione mobiliare - stipulato da due investitori con la Banca Agricola Mantovana S.c.a.r.l. - in esecuzione del quale la banca aveva effettuato in data 6 e
18 febbraio 1997 tre operazioni su derivati MIBO (opzioni call su indice di borsa MIB 30) conclusesi con una perdita di £. 25.650.000. Ritenendo che avrebbero potuto evitare tale perdita se la banca avesse adempiuto agli obblighi di comportamento e di informazione dettati dall'art. 6, comma 1, della legge 2 gennaio 1991, n. 1 nonchè dall'art. 6, commi 1 e 2, del Regolamento CONSOB n. 8850/94, gli investitori citavano dinanzi al Tribunale di Milano la predetta banca, chiedendo l’accertamento degli inadempimenti di quest’ultima ai suddetti obblighi, e, per l’effetto, la dichiarazione della nullità del contratto di investimento da essi sottoscritto il 3.2.1997, con
2 Trib. Mantova 18 marzo 2004, in Le Società 2004, 1139; Trib. Desio 27 luglio 2004, in Giur. Mer., 2004, 2188; Trib. Firenze 30 maggio 2004, in xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx/XXX-00-00-00.xxx. Successivamente alla sentenza che si commenta, hanno deciso sulla questione anche: Trib. di Taranto, 27 ottobre 2004, in Riv. prat. soc., 2005, n. 5.
conseguente condanna della convenuta alla restituzione della somma di £. 25.650.000, ovvero, in subordine, che la banca fosse condannata al risarcimento del danno da essa cagionato, sempre comunque nella misura di £. 25.650.000 (oltre interessi, rivalutazione e spese del giudizio). Si costituiva la Banca resistendo alle avverse domande. Il Tribunale di Milano rigettava sia la domanda principale di nullità sia la domanda subordinata di risarcimento dei danni. Per quanto riguarda la domanda principale, il Tribunale osservava che la normativa di settore invocata dagli attori non comminava alcuna sanzione di nullità per la violazione dei doveri di informativa né che tale nullità poteva discendere dalla nullità generale di cui all’art. 1418 c.c.; per quanto riguarda la domanda subordinata, il Tribunale rilevava che, seppure le informazioni fornite dalla Banca agli attori non erano risultate adeguate, questi ultimi non avevano comunque dimostrato, né era aliunde presumibile, che a fronte di una più completa informativa si sarebbero astenuti dal compiere le operazioni incriminate. Tale pronuncia veniva impugnata dagli investitori dinanzi alla Corte di Appello di Milano,che decideva con la sentenza che si commenta.
Gli obblighi dell’intermediario: evoluzione normativa e beni giuridici tutelati
Appare quanto mai opportuno premettere che la sentenza in esame si riferisce ad una fattispecie regolata dalla normativa antecedente l’emanazione del decreto legislativo 28 febbraio 1998 n. 58 (Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria, TUIF)3, essendo stato il contratto oggetto della controversia stipulato ed eseguito nel 1997, sotto la vigenza della legge 2 gennaio 1991 n. 1 (legge sulle SIM). Nondimeno, il provvedimento appare estremamente interessante in quanto, richiamando gli obblighi previsti in capo agli intermediari finanziari dalla vecchia normativa e imponendo al lettore il confronto tra questi e quelli individuati dall’art. 214 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e dall’art. 285 Reg. Consob 1 luglio 1998, n. 115226, permette di interpretare quasi
3 Sul TUIF, si vedano, tra gli altri, X. Xxxx, Criteri generali, in La disciplina degli intermediari e dei mercati finanziari, a cura di Xxxxxxxxxxx, 0000, Xxxxxx; F. Xxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, Il Testo Unico della Finanza, Milano, 1998; X. Xxxxxxxx Bedogni, Criteri generali, in Il Testo Unico della Finanza. Commentario, a cura di X. Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. Xxxxxx, Altre regole di comportamento, in Il Testo Unico della Finanza. Commentario, a cura di X. Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. Xxxx, I servizi di investimento, in Il Testo Unico dei Mercati Finanziari, a cura di
X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. Xxxxx, Struttura e regolamentazione del mercato mobiliare, Milano, 1988.
4 Art. 21 TUIF (Criteri generali): “ 1. Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati;
b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento; d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi; e) svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati. 2. Nello svolgimento dei servizi le imprese di investimento, le banche e le società di gestione del risparmio possono, previo consenso scritto, agire in nome proprio e per conto del cliente”.
5 Art. 28 (Informazioni tra gli intermediari e gli investitori): “1. Prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono: a) chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L'eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all'Allegato n. 3. 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento. 3. Gli intermediari autorizzati informano prontamente e per iscritto l'investitore appena le operazioni in strumenti derivati e in warrant da lui disposte per finalità diverse da quelle di copertura abbiano generato una perdita, effettiva o potenziale, pari o superiore al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e garanzia per l'esecuzione delle operazioni. Il valore di riferimento di tali mezzi si ridetermina in occasione della comunicazione all'investitore della perdita, nonché in caso di versamenti o prelievi. Il nuovo valore di riferimento è prontamente comunicato all'investitore. In caso di versamenti o prelievi è comunque comunicato all'investitore il risultato fino ad allora conseguito. 4. Gli intermediari autorizzati informano prontamente e per iscritto l'investitore ove il patrimonio affidato
filologicamente il sistema normativo attualmente vigente in materia e utilizzare tale interpretazione per trarre le conclusioni sulle conseguenze che la violazione di tali obblighi comporta nei rapporti tra intermediario e cliente. Inutile dire quale sia l’importanza dell’interpretazione di tali norme in un momento in cui è necessario che la giurisprudenza prenda posizione sulle note vicende dell’acquisto da parte dei risparmiatori di obbligazioni Cirio, Xxxxxxxxxx e c.d. “tango bond” ed altri.
Il dovere delle società di intermediazione mobiliare di “comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente” (di cui all’art. 6, lettera a) della legge 1/1991) è stato modificato, ed attualmente l’art. 21 del TUIF non solo richiama l’obbligo di comportarsi secondo trasparenza ma, ciò che è ancora più importante, fa riferimento anche all’integrità dei mercati. Di fatto, utilizzando un approccio tipico della dottrina penalistica, ci sentiamo di rilevare che la norma individua il bene giuridico tutelato nell’integrità del mercato, e dunque nel corretto funzionamento di quel meccanismo che sebbene mosso da interessi individuali permette come una mano invisibile, per dirla con Xxxx Xxxxx, in condizioni di concorrenza perfetta, lo sviluppo dell’interesse collettivo. Non sono dunque solo gli interessi dell’investitore ad essere tutelati dal principio di correttezza ma anche e soprattutto l’interesse della collettività, che ha nel mercato, oggi, il luogo in cui si realizza il proprio benessere.
Il dovere di “acquisire preventivamente le informazioni sulla situazione finanziaria del cliente rilevanti ai fini dello svolgimento delle attività di intermediazione mobiliare e di operare in modo che il cliente sia sempre adeguatamente informato sulla natura e i rischi delle operazioni, sulle loro implicazioni e su qualsiasi atto, fatto o circostanza necessari per prendere consapevoli scelte di investimento o disinvestimento” (di cui all’art. 6, lettera d) ed e) della legge 1/1991) è stato ulteriormente rafforzato, sino a prendere le fattezze, per mezzo del combinato disposto degli art. 21 TUIF e art. 28 del Reg. Consob n. 11522, di quel principio che negli ordinamenti anglosassoni è conosciuto come “know your customer rule”7.
nell'ambito di una gestione si sia ridotto per effetto di perdite, effettive o potenziali, in misura pari o superiore al 30% del controvalore totale del patrimonio a disposizione alla data di inizio di ciascun anno, ovvero, se successiva, a quella di inizio del rapporto, tenuto conto di eventuali conferimenti o prelievi. Analoga informativa dovrà essere effettuata in occasione di ogni ulteriore riduzione pari o superiore al 10% di tale controvalore. 5. Gli intermediari autorizzati mettono sollecitamente a disposizione dell'investitore che ne faccia richiesta i documenti e le registrazioni in loro possesso che lo riguardano, contro rimborso delle spese effettivamente sostenute”.
6 Un’analisi del fenomeno del potere regolamentare della CONSOB e della valenza degli atti emanati in ragione di tale potere esula dal perimetro del presente lavoro. Per un approfondimento, si vedano, tra gli altri: X. Xxxxxxx, La Consob come autorità indipendente nella tutela del risparmio, in Il Foro Ital., 2000, 147; CONSOB. L’istituzione e la legge penale, Milano, 1987, a cura di G.M. FLICK; De Minico, Antitrust e Consob. Obiettivi e funzioni, Xxxxxx, 0000; X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxx, L’istituzione CONSOB. Funzioni e struttura, in Mercati finanziari, testi e materiali a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxx, I mercati e i valori mobiliari, 2964; X. Xxxxxx e X. Xxxxxxx, Autorità indipendenti, in Encicl. Del Dir. Aggiorn. VI, 186; Merusi, Le leggi del mercato, Bologna, 2002,; X. Xxxxxxx, Il potere normativo delle Autorità indipendenti, in I garanti delle regole, Bologna. 1996, 98; Nicodemo, Gli atti normativi delle Autorità indipendenti, Padova, 2000; X. Xxxx, Dalla legge al regolamento, Bologna, 2003; X. Xxxxxxxx, La regolazione intrusiva oggi, in Mercato Conc. Regole, 2002, 46; Xxxxxxxx, I poteri garanti della Costituzione e le Autorità indipendenti, Pisa, 1996; X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Società e Borsa (CONSOB), in Encicl. Del Dir. Aggiorn. VI, 1036; X. Xxxxxxx, La potestà regolamentare della Commissione Nazionale per le società e la borsa in materia d’intermediazione finanziaria, in Riv. Amm. e delle Acque Pubbl., 1995, 703 e ss.
7 Negli Stati Uniti, la New York Stock Exchange Rule (NYSE) 405, ufficialmente titolato "Diligence as to Accounts" è comunemente conosciuto come la "know your customer" rule, e richiede che ogni membro del NYSE "[u]se due diligence to learn the essential facts relative to every customer. . .”. Tale regola è collegata a quella prevista dalla National Association of Securities Dealers (NASD) Rule 2310 che richiede ai suoi membri di "make reasonable efforts to obtain information concerning: (1) the customer's financial status; (2) the customer's tax status; (3) the customer's investment objectives; and (4) such other information used or considered to be reasonable by such member or registered representative in making recommendations to the customer". In Gran Bretagna, invece, la regola è dettata dal Financial Services and Xxxxxxx Xxx 0000, formalmente Financial Services Xxx 0000, contiene la c.d. “the best advice rule” che “means that anyone advising on buying or selling investments or pensions must give clients and prospective clients best advice. This means the adviser will need to be aware of the client's circumstances and show where possible that the recommendations are based on an unbiased evaluation of what is best for the client”, mentre secondo il “know
Come meglio specificato anche dalla Consob8 deve esserci, ad iniziativa dell’intermediario, uno scambio continuo e bilaterale di informazioni costantemente aggiornate tra l’intermediario ed il cliente, teso a superare qualunque tipo di asimmetria informativa tra le parti ed a porre queste ultime sullo stesso livello. Anche in questo caso ci sembra di poter affermare che bene giuridico tutelato sia il corretto funzionamento del mercato il quale è tanto più efficiente quanto minori sono le asimmetrie informative tra gli operatori.
A latere di tale ragionamento, occorre poi porsi il problema di quali siano le informazioni minime che l’intermediario deve dare9 e se esso deve comunque comunicare qualsiasi informazione in suo possesso. Si entra così nell’area di un problema più vasto, che esula dai limiti della presente nota, e che riguarda gli obblighi di riservatezza ed i conflitti d’interessi che alcuni intermediari, ed in particolare le banche, hanno in virtù del loro ruolo di operatori polifunzionali, che li pone in una molteplicità di ruoli e posizioni all’interno del sistema economico10.
Da ultimo il dovere di “non consigliare o non effettuare operazioni con frequenza non necessaria o consigliare effettuare operazioni di dimensioni eccessive in rapporto alla situazione finanziaria del cliente” (di cui all’art. 6, lettera f) della legge 1/1991).
Il contenuto di tale obbligo è stato integrato e rafforzato, ed il sistema attuale prevede che nel caso in cui l’intermediario abbai segnalato l’inadeguatezza dell’operazione, e l’investitore intenda procedere nell’operazione ritenuta non adeguata dall’intermediario, l’operazione potrà essere eseguita soltanto sulla base di un ordine impartito per iscritto, ovvero registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, nel qual sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.
Si tratta della c.d. suitability rule11 e costituisce, come evidente, applicazione pratica della know your
costumer rule cui si è fatto riferimento sopra; solo una volta in possesso di tutti i dati e di tutte le informazioni necessarie relative al cliente, l’intermediario potrà verificare se l’operazione che il cliente ha chiesto di porre in essere è in linea o meno con quella che è la sua storia di investitore e con il suo profilo di rischio.
A differenza di quanto si è detto sopra circa bene giuridico tutelato dagli obblighi di correttezza e di scambio reciproco di informazioni, ci sembra di poter scorgere nella suitability rule una norma che tutela l’investitore, più che il mercato (che è certamente tutelato, ma in via indiretta); considerando l’investitore quasi uno sprovveduto, e comunque un soggetto poco avvezzo a padroneggiare i meccanismi di mercato, il sistema pone un obbligo di protezione dell’investitore in capo all’intermediario, chiedendogli una supervisione sulla decisione del cliente di investire. Seppur
your client rule” “the requirement of the adviser to evaluate an existing or prospective client's circumstances and investment objectives as would be reasonably expected in order to provide the best advice to the client”.
8 Comunicazioni DI/98087230, DI/98068218 e DI/30396.
9 X. Xxxxxxx, Violazione delle regole generali in materia di servizi di investimento, in Le società, 2004, 1139.
10 X. Xxxxx, Intervento al convegno dell’associazione Albese di studi di diritto commerciale, Alba 20 novembre 2004, pubblicato in Le Società, 2005, 277.
11 Il NASD Conduct Rule 2310, titolato “Recommendations to Customers (Suitability)”, prevede che: “ (a) In recommending to a customer the purchase, sale or exchange of any security, a member shall have reasonable grounds for believing that the recommendation is suitable for such customer upon the basis of the facts, if any, disclosed by such customer as to his other security holdings and as to his financial situation and needs.
(b) Prior to the execution of a transaction recommended to a non-institutional customer, other than transactions with customers where investments are limited to money market mutual funds, a member shall make reasonable efforts to obtain information concerning:
(1) the customer's financial status;
(2) the customer's tax status;
(3) the customer's investment objectives; and
(4) such other information used or considered to be reasonable by such member or registered representative in making recommendations to the customer.
(c) For purposes of this Rule, the term "non-institutional customer" shall mean a customer that does not qualify as an "institutional account" under Rule 3110(c)(4)”.
uscendo brevemente dal tema di questa nota, ci si chiede se sia corretto pensare all’investitore come ad un soggetto incapace di intendere e di volere pienamente il significato delle proprie azioni e che ha bisogno di un quasi-tutore che gli ricordi che sta prendendo una decisione rischiosa; ci si chiede anche come mai non ci sia nessuno nei casinò (che sono cosa ben diversa dal mercato) che ricordi ai giocatori il rischio cui vanno incontro; e da ultimo si constata che investire in strumenti finanziari non è un obbligo e che pertanto se l’investitore decide di farlo senza essere adeguatamente edotto del rischio ciò dovrebbe andare a suo unico danno e non dovrebbe certo comportare la responsabilità di chi ha agito da semplice intermediario senza segnalargli la possibilità di tale rischio.
Conseguenze della violazione degli obblighi dell’intermediario
Per quel che riguarda le conseguenze derivanti dalla violazione degli obblighi di informazione sul contratto di intermediazione stipulato tra l’investitore e l’intermediario, la sentenza oggetto della presente nota affronta il tema con una motivazione poco articolata e poco approfondita, che pertanto non riesce a sciogliere i numerosi dubbi che ancora avvolgono il problema né, conseguentemente, le incertezze della giurisprudenza che, nelle passate occasioni, ha emesso decisioni contrastanti12.
La Corte di Milano si limita ad affermare che l’inadempimento dei doveri di diligenza da parte dell’intermediario, che peraltro non risulta provato nella fattispecie de qua, sarebbe “refluente nella fase esecutiva del rapporto e non potrebbe quindi convertirsi in vizio di invalidità attinente alla fase di formazione genetica del negozio” e che è vero quanto indicato dal primo giudice e cioè che “mancano altre ragioni di nullità evincibili dalla normativa di settore o dalla regola generale di sussunzione delle nullità testuali e virtuali contenuta nell’articolo 1418 cod. civ.”.
Così argomentando la Corte sembra escludere in assoluto che la violazione degli obblighi di diligenza possa portare alla nullità del contratto stipulato tra il cliente e l’intermediario.
Ci permettiamo sommessamente di non concordare con entrambe le statuizioni rese dalla Corte. Riteniamo infatti, concordemente con altri commentatori che hanno trattato la materia de qua13, che l’inadempimento degli obblighi di informativa ha fondamentale importanza proprio nel momento della scelta dell’operazione di investimento, in quanto è l’informazione a determinare l’an, nonchè il modo, il tempo ed il quantum dell’investimento.
Neanche con riguardo alla seconda affermazione riteniamo di poter condividere il ragionamento della Corte d’Appello. Che il sistema degli obblighi di informativa sia posto a tutela di interessi di natura pubblica non discende solo dalla considerazione dell’esistenza di un sistema sanzionatorio a presidio del rispetto di tali norme, ma anche e soprattutto dall’interpretazione della normativa che sopra abbiamo tentato di dare, ovvero che il fine che tale sistema normativo ha è quello di tutelare il mercato e di far si che lo stesso possa avere quei requisiti di trasparenza che gli economisti considerano requisiti essenziali per il suo corretto funzionamento. Ciò significa tutelare interessi pubblici, appartenenti alla collettività indistintamente che trae giovamento dal corretto funzionamento del mercato. Tale affermazione è stata ribadita in più di una pronuncia14 è non è stata contestata dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ha però ritenuto di non poter applicare né l’istituto della nullità testuale né quello della nullità virtuale alla fattispecie in oggetto. Ora, se è vero che non esiste un’esplicita previsione normativa che commini la sanzione della nullità a contratti stipulati in violazione dei predetti obblighi di informazione, non ci sembra di poter condividere le considerazioni in merito all’esclusione della fattispecie dalla nullità virtuale. Il punto merita un approfondimento.
In particolare: la nullità virtuale.
12 Trib. Mantova cit.
13 X. Xxxxxxxxxx, commento a sentenza Trib. Mantova, in Riv. prat. soc., 2005, n. 5
14 Tale considerazione è stata peraltro effettuata oltre che dal tribunale di Taranto, che come scritto ha individuato un inadempimento, anche dal tribunale di Mantova, che individuando la natura di norme a protezione dell’ordine pubblico ha dichiarato la nullità del contratto di intermediazione finanziaria.
L’accenno fatto dalla Corte meneghina nella propria sentenza rappresenta l’ennesima conferma del riconoscimento, in giurisprudenza15, della categoria, accanto al quella delle nullità testuali espresse, delle cd. nullità virtuali, ossia di quelle nullità che pur non previste direttamente dalla norme violate, risultano implicitamente dalla natura imperativa della stessa16. In dottrina è stato evidenziato come la fattispecie autonoma della "nullità virtuale", potendo considerarsi norma di chiusura del sistema delle nullità civili, amplia contestualmente il campo di queste ultime17. A riguardo, la Suprema Corte già in tempi non sospetti affermava che un contratto può essere nullo anche se la norma imperativa violata non prevede espressamente la nullità. Diventa dunque fondamentale la concreta individuazione della norma imperativa la cui violazione determini la nullità del contratto. Al fine di identificare le norme imperative che legittimerebbero, in caso di violazione, la sanzione della nullità, parte della dottrina ritiene che un valido schema di classificazione sarebbe quello fondato sulla "natura della norma" infranta, così che, avendo riguardo alla materia da cui origina il precetto, si é distinto a seconda che fossero violate disposizioni penali, fiscali, valutarie o amministrative18. Xxxxx dottrina ritiene di desumere le nullità virtuali dalla "individuazione dell'elemento del processo di scambio che si scontra con la proibizione"19, ove, al fine della individuazione dello spazio di intervento dell'art. 1418, comma 1 c.c., vengono opportunamente distinte le ipotesi in cui la contrarietà a norme imperative attiene alla fase di formazione del negozio; quelle in cui essa riguarda il suo contenuto e quelle in cui la violazione della norma deriva dal contratto solo indirettamente, quale suo risultato ulteriore. Ora, secondo la giurisprudenza consolidata20 e buona parte della dottrina21, le norme imperative vengono individuate in base al carattere pubblico dell’interesse in esse tutelato. Il criterio generalmente invocato, infatti, fa riferimento alla tutela apprestata con la norma imperativa, di modo che si giunge a considerare come invalidi, in mancanza di un'esplicita sanzione normativa, i soli contratti posti in essere in violazione di una norma imperativa di ordine pubblico. Sulla scia della dottrina propugnata da un autore22, la giurisprudenza ha formulato infatti il principio secondo cui, dinanzi alla violazione di una norma imperativa che non preveda espressamente la nullità, occorre controllare la natura della disposizione violata per dedurne la nullità o la semplice irregolarità dell'atto, e tale controllo si risolve nell'indagine sullo scopo della legge e in particolare sulla natura della tutela apprestata, se cioè di interesse pubblico o privato23. Alla luce di tali principi, che si possono ritenere consolidati, del tutto erronea appare la decisione commentata, in quanto, come
15 Tra le più recenti, Cass. 17 giugno 1985, n. 3642, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 284; Cass. 8 marzo 1991, n.
2481, in Foro. It, 1991, I, 1427; Cass. 28 ottobre 1992, n. 11703, in Corr. giur., 1993, 1441; Cass. 18 maggio 1994, n.
4844, in Arch. civ., 1994, 1010 e in Giust. civ., 1998, I, 1355; Cass. 17 agosto 1999, n. 8688, in questa Rivista, I, 9, con
nota di Xxxxxxx; Cass. 12 ottobre 1999, n. 11442, in Mass. giust. civ., 1999, 314; Cass. 18 luglio 2003, n. 11256, in questa Rivista, III, 237, con nota di Xxxxxxx.
16 Villa, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, 4.
00 X. Xx Xxxx, Xx contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 436.
18 In questo senso, per tutti, X. Xx Xxxx, op. cit., 446 ss..
19 Cfr Villa, op. cit., 46.
20 Cass. 28 gennaio 2003, n. 1223, in Mass. Giust. Civ., 2003, fasc. 1; Cass. 19 luglio 2002, n. 10536, ivi, 2002, 1279;
Cass. 6 giugno 2002, n. 8246, ivi, 2002, 1617; Cass. 27 febbraio 2002, n. 2884, in Vita not., 2002. 000 x xx Xxxxx. Xxx.,
0000, X, 0000; Cass. 6 aprile 2001, n. 5114, in Foro. It., 2001, I, 2185; Cass. 15 marzo 2001, n. 3753, ivi, 2002, I, 868;
Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, in Fall., 2002, 377, con nota di Xxxxxxxx; Cass, 17 agosto 1998, n. 8066, in Mass. Giust.
Civ., 1998, 1713; Cass. 16 febbraio 1993, n. 1918, ivi, 1993, 318; Cass. 22 marzo 1998, n. 1437, in Foro it., 1989, I,
186; Cass. 15 settembre 1986, n. 5600, in Mass. Giust. Civ., 1985, 8; Cass. 17 giugno 1985, n. 3642, ivi, 6; Cass. 29
ottobre 1983, n. 6645, ivi, 1983, 9; Cass. 14 aprile 1986, n. 2601, ivi, 4; Cass. 4 dicembre 1982, n. 6601, in Giust. Civ.,
I, 1172, con nota di Xxxxxxxx; Cass. 25 maggio 1982, n. 3217, in Mass. giust. civ., 1982, 5; Cass. 11 ottobre 1979, n.
5311, in Foro pad., 1979, I, 364; Cass. 8 ottobre 1975, n. 3193, in Foro it., 1976, I, 712.
21 X. Xxxxxxx, Della simulazione, della nullità dei contratti, dell’annullabilità del contratto, in Comm. cod. civ., 82; Xxxxxxxxxx, Nullità speciali, Milano, 1995, 168; X. Xxxxxxxxx, Le cause di nullità, in Giur. sist. civ. comm., IV, 1, Torino, 1991, 373; X. Xxxxx, Il controllo sugli atti di autonomia privata, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 485-486; Villa, op. cit., 90.
22 Ferrara, Teoria del negozio illecito, Xxxxxx, 0000.
23 Così, Cass., s.u. 21 agosto 1972, n. 2697, in Giust. civ., 1972, 1, 1914.
visto, gli obblighi di informazione sono posti senza dubbio alcuno a protezione di un interesse pubblico e legittimano certamente, in caso di loro violazione, la nullità virtuale dei contratti stipulati proprio in ragione di tale abuso.
Il principio di buona fede nei contratti di investimento
Dalla sentenza commentata emerge come, tra i motivi di impugnazione, gli appellanti avessero posto una presunta violazione del principio generale di buona fede precontrattuale e contrattuale, nonchè del principio di diligenza, correttezza e professionalità. Tuttavia, la Corte di Xxxxxxx ha evidenziato come gli appellanti non avessero neanche precisato quali fossero state le addotte violazioni del principio di buona fede, che peraltro, secondo il giudice di secondo grado, non potrebbero certo farsi derivare sic et simpliciter dal preteso – ma neppure provato - inadempimento dell’intermediaria all'onere di informativa. Appare opportuno chiarire i rapporti tra i principi di buona fede e gli obblighi di informazione. Ora, va evidenziato come, nonostante la quasi assenza di previsioni codicistiche in merito ad obblighi di informazione tra le parti di un contratto, sia nella fase delle trattative che in quella dell’esecuzione, parte della dottrina24 ha affermato l'esistenza di un obbligo d'informazione fondato sugli articoli 1337 e 1375 c.c. i quali prevedono, per l’appunto, che le parti, nelle trattative, nella formazione e nell'esecuzione del contratto debbano comportarsi secondo buona fede25. Tale concetto costituisce, a sua volta, l'applicazione pratica di un principio più vasto, che è quello dell'obbligo della correttezza, che trova la propria enunciazione positiva nell'art. 1175 c.c.26. Ora, tale indirizzo è stato accolto da parte della giurisprudenza, che ha più volte affermato l'esistenza dell'obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto, in special modo in casi, nei quali una parte aveva omesso di comunicare all'altra notizie ritenute necessarie per l'esecuzione del contratto e per conservarne l'utilità27. La giurisprudenza di legittimità ha espressamente evidenziato come la violazione dell’obbligo di informazione integri una violazione del principio di buona fede28. Tale principio è stato di recente affermato sia in fase precontrattuale29
24 X. Xxxxxxx, Doveri di protezione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1960, 1343: "Nell'ambito dei doveri di protezione devono essere compresi solo quegli obblighi che sono connessi con il contenuto del contratto, nessun dubbio appare per gli obblighi di avviso". Si vedano anche X. Xxxxxxx, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir. comm. 1954, 185; Betti, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, I, 1953, 93 ss. Per quanto riguarda gli obblighi di informazione e la buona fede antecedente la conclusione del contratto vedi Xxxxxxx, Xxxxx in Contrahendo, in Contr. impr., 1987, 26: "i doveri di buona fede ex art.133 tra essi assumono la maggiore importanza quelli di avviso e di comunicazione".
25 L'art. 1337 c.c. stabilisce che "le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede". L'art. 1375 c.c. dispone poi che "il contratto deve essere eseguito secondo buona fede
26 "Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza".
27 Cass. 21 maggio 1973, n. 1460; Cass. 18 febbraio 1986, n. 969; “La buona fede, intesa in senso etico, come requisito della condotta, costituisce uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni e forma oggetto di un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recare pregiudizio all'altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato a diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale, che integrano, appunto, il contenuto della buona fede. Il dovere di buona fede va osservato, ai sensi degli art. 1337 e 1338 c.c., anche nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, ed è violato, non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recar pregiudizio all'altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato comunque improntato alla schiettezza, alla diligente correttezza ed al senso si solidarietà sociale; onde, pur se determinato da mera colpa, anche il silenzio serbato da uno dei contraenti, in ordine a circostanze o situazioni giuridiche che, in relazione all'oggetto di esso, presentino particolare rilevanza sotto il profilo giuridico ed economico, implica trasgressione a quel dovere”, Xxxx. 27 ottobre 1961, n. 2425 in Giur. it., 1963, I, 404.
28 “Nel valutare la legittimità della pretesa del socio all'informazione e simmetricamente quella del rifiuto della società è determinante riferirsi all' obbligo di esecuzione del contratto secondo canoni di buona fede”, App. Milano 31 gennaio 2003, in Giur. it. 2003, 1178; “Nei contratti a prestazioni corrispettive i doveri di correttezza, di buona fede e di diligenza - di cui agli art. 1337, 1338, 1374, 1375 e 1175 c.c. - si estendono anche alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di informazione, di collaborazione”, Xxxx. 16 novembre 2000, n. 14865, in Corr. Giur. 2001, 762, ed ancora “ Il principio che sorregge l'eccezione inadimpleti contractus, e che trova la sua consacrazione nella formulazione dell'art. 1460 c.c., trae fondamento dal nesso di interdipendenza che nei contratti a prestazioni
in tema di contratti bancari 30. In merito a questi ultimi, per comprendere meglio il meccanismo di imputazione di responsabilità nei confronti di una banca, in base alla violazione degli obblighi suesposti, occorre soffermarsi sul tipo di attività informativa delle banche e sull’affidamento che tali informazioni suscitano nei clienti31. Il maggiore affidamento che ovviamente il cliente è indotto a riporre nell’attività informativa della banca esige una adeguata protezione mediante il ricorso alla norma alla quale prescrive che nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176 2° comma c.c.). L’applicazione alla banca, in questi casi, del criterio della diligenza professionale consentirà pertanto di determinare il grado e il tipo di diligenza dovuti dal banchiere alla stregua volta a volta , del modello dell’agente di informazioni medio, del consulente finanziario medio ecc. Non è mancato chi si è posto il problema della responsabilità contrattuale della banca per inesatte informazioni- nel senso se il soggetto informante sia unicamente tenuto a dare le notizie già in suo possesso o se invece abbia l’obbligo di svolgere apposite ricerche per acquisirne altre. Secondo parte della dottrina che fa leva sugli artt. 1710 , 1° comma e 1759 c.c., in linea di principio dovrà ritenersi doverosa la ricerca da parte della banca – alla stregua e nei limiti dei criteri soggettivi di responsabilità di volta in volta applicabili- di notizie ulteriori rispetto a quelle già in suo possesso. Partendo dal presupposto di un obbligo contrattuale della banca di informare, si può giustificare a carico della stessa la configurabilità oltre che di una responsabilità per erronee informazioni, anche di una responsabilità (contrattuale) per reticenza e più in generale per omissione nel fornire al cliente le informazioni che, sulla base del grado di diligenza cui avrebbe dovuto uniformarsi , era tenuta a comunicare32.
Violazione degli obblighi di informazione e danno consequenziale: necessità del nesso causale
La Corte di Appello Milanese ha poi evidenziato come il motivo dell’impugnativa principale non cogliesse la ratio decidendi della pronuncia di primo grado, che aveva escluso il rilievo decisorio
corrispettive lega le opposte obbligazioni e prestazioni nell'ambito di un rapporto sinallagmatico il cui contenuto, indipendentemente da esplicite previsioni negoziali, è - secondo il principio interpretativo - integrativo correlato all'obbligo di correttezza delle parti (art. 1175 c.c.) - esteso alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di collaborazione, d informazione etc”, Cass. 16 gennaio 1997, n. 387, in Giust. civ. mass. 1997, 72.
29 “Nella fase antecedente alla conclusione di un contratto, le parti hanno, in ogni tempo, piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione e di richiedere tutto quanto ritengano opportuno in relazione al contenuto delle reciproche, future obbligazioni, con conseguente libertà, per ciascuna di esse, di recedere dalle trattative indipendentemente dalla esistenza di un giustificato motivo, con il solo limite del rispetto del principio d buona fede e correttezza, da intendersi, tra l'altro, come dovere d iinformazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative rispetto all'economia del contratto medesimo”. Cass. 29 maggio 1998, n. 5297, in Giust. civ. mass. 1998, 1159.
30 “In tema di esecuzione del contratto, la buona fede si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del "neminem laedere", senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte; tra i doveri di comportamento scaturenti dall'obbligo di buona fede vi è anche quello di fornire alla controparte la documentazione relativa al rapporto obbligatorio ed al suo svolgimento; in materia di contratti bancari, il diritto alla documentazione trova fondamento, oltre che negli art. 1374 e 1375 c.c., anche nell'art. 119 t.u. leggi bancarie il quale pone a carico della banca l'obbligo di periodica comunicazione di un prospetto che rappresenti la situazione del momento nel rapporto con il cliente ed accorda a questi il diritto di ottenere
- a sua spese, limitatamente agli ultimi dieci anni, indipendentemente dall'adempimento del dovere d informazione da parte della banca e anche dopo lo scioglimento del rapporto - la documentazione di ciascuna operazione registrata sull'estratto conto. (Nella specie, la S.C. ha cassato - e decidendo nel merito ordinato agli istituti di credito la consegna alla curatela del fallimento degli estratti conto degli ultimi due anni - la sentenza di merito che aveva escluso la configurabilità di un diritto alle copie dei documenti inerenti il rapporto una volta ricevute dalla banca le comunicazioni periodiche di cui all'art. 119 t.u. cit.).” Cass. 27 settembre 2001, n. 12093, in Giust. civ. mass. 2001,1696.
31 Sul punto, D. Cesiano, La responsabilita della banca per il collocamento di bonds in caso di insolvenza della società emittente, in xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxxxxxx_xxxxxxxx/xxxxxxx.xxxx.
32 X. Xxxx, Art. 21, in Il commentario unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, op. cit. Padova, 1998, 231 ss.
del mancato assolvimento della banca all’onus probandi rispetto al suo dovere di informativa, ritenendo che le domande attoree dovessero essere comunque rigettate a causa del difetto di prova sul nesso di causalità, di cui la prospettazione fatta dagli appellanti era carente. Invero, in un’azione di responsabilità civile l’attore deve provare che vi sia una qualche connessione ragionevole tra l’atto o l’omissione del convenuto ed il danno che egli lamenta: ciò in base al combinato disposto dell’art. 2043 c.c. con l’art. 2697 c.c., secondo cui al danneggiato incombe l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento della sua pretesa. A livello normativo, sul versante civilistico, l’art. 2043 c.c. indica chiaramente che il danno ingiusto deve risultare “cagionato” e che obbligato al risarcimento è colui che ha “commesso” il fatto. A sua volta, l’art. 1223 c.c. individua nelle “conseguenze” dannose il riferimento per determinare il risarcimento33. In merito al richiesta del nesso di causalità, le posizioni dottrinali che spaziano dalla cd. teoria della condicio sine qua non alla cd. teoria della causalità adeguata34. La giurisprudenza della Suprema Corte, nel tentativo di uniformare le varie correnti, ha affermato che tutti gli antecedenti in mancanza dei quali non si sarebbe verificato l’evento lesivo debbono considerarsi sue cause, abbiano essi agito in via diretta e prossima o in via indiretta e mediata, salvo il temperamento di cui all’art. 431 cod. pen., secondo cui la causa prossima sufficiente da sola produrre l’evento esclude il nesso fra questo e le altre cause antecedenti facendole scadere al rango di mere occasioni.35 Applicando tali principi al caso di specie, occorre rilevare che il presunto comportamento causa originaria di tutti i pretesi danni subiti dagli investitori risultava costituito dalla reticenza a fornire informazioni. Tale comportamento avrebbe indotto gli appellanti ad effettuare gli investimenti. Tuttavia, la prospettazione degli appellanti risultava appunto carente della dimostrazione del rapporto diretto tra i danni subiti ed il preteso comportamento, come correttamente evidenziato dalla Corte di Appello milanese.
33 Monateri, Manuale della responsabilità civile, Torino, 2002, 104 ss.
34 “Pertanto un evento dannoso è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cd. teoria della condicio sine qua non): ma nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiono del tutte inverosimili (cd. teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, la quale in realtà, come è stato esattamente osservato, oltre che una teoria causale, è anche una teoria dell'imputazione del danno)” Xxxx. 3 dicembre 2002, n. 17152.
35 Cass. 24 febbraio 1987, n. 1937; Cass. 21 dicembre 1984, n. 6652; Cass. 10 febbraio 1981, n .826; Cass. 8 gennaio 1981, n. 170; Cass. 6 gennaio 1981, n. 73; Cass. 4 luglio 1981, n. 4387.