ROBERTO NATOLI
XXXXXXX XXXXXX
CONTRATTI DI SUBFORNITURA
xxxxxxx editore - 2014
Estratto al volume:
TRATTATO DEI CONTRATTI
diretto da XXXXXXXX XXXXX
condirettore
XXXXXXX X. XXXXXXXXX
V
MERCATI REGOLATI
Capitolo X CONTRATTI DI SUBFORNITURA
di Xxxxxxx Xxxxxx
1. La legge sulla subfornitura nell’evoluzione del contesto produttivo italiano — 2. La subfornitura industriale: una nozione incerta — 3. Problemi di forma e contenuto — 4. La disciplina dei termini di pagamento — 5. L’adeguamento del corrispettivo; la nullità dello jus variandi e del recesso senza congruo preavviso — 6. La disciplina dell’interposizione e la responsabilità del subfornitore — 7. La conciliazione e l’arbitrato.
1. La legge sulla subfornitura nell’evoluzione del contesto produttivo italiano.
È affermazione condivisa, tra gli studiosi di organizzazione aziendale, che in un contesto produttivo come quello italiano, tradizionalmente ca- ratterizzato da un limitato grado di integrazione verticale delle imprese, l’impresa subfornitrice costituisce un attore centrale del processo produt- tivo. Gli operatori economici che operano a valle del processo produttivo, assemblando e distribuendo, si avvalgono di regola dell’apporto di altre imprese, alle quali « delegano » la produzione di beni intermedi e servizi, se non addirittura la realizzazione di un’intera fase produttiva (1).
Per varie ragioni economiche (costi per la selezione del partner com- merciale, di apprendimento, etc.) le relazioni commerciali tra queste im- prese raramente sono sporadiche e occasionali; ben più frequentemente invece, sono stabili e complesse, dando luogo a una struttura contrattuale che esula dal mero rapporto di scambio tra le parti.
Nel linguaggio degli studiosi di organizzazione aziendale questa strut- tura contrattuale stabile e complessa prende nome di subfornitura e l’im- presa che, per conto terzi e su commessa, produce beni e/o servizi per l’impresa committente prende nome di subfornitore.
Negli ultimi quattro decenni il ruolo delle imprese subfornitrici nel contesto produttivo italiano è stato sempre centrale, ma si è diversificato
(1) Cfr. XXXXXX e PABA, Per una storia dei distretti industriali dal secondo dopoguerra agli anni ’90, in BARCA (a cura di), Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, Donzelli, 1997, 265 ss.
nel tempo. Se si volesse tentare una periodizzazione si potrebbe procedere a una scansione temporale in tre distinte fasi: una prima fase corre dalla metà degli anni Settanta fino alla metà degli anni Ottanta del Novecento; una seconda fase corre dalla metà degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta; una terza fase corre dalla fine degli anni Novanta e arriva a oggi. La prima fase prende le mosse dalla crisi del modello fordista, fondato sull’egemonia della grande impresa, che internalizzava tutte le fasi della produzione. A causa di una pluralità di fattori convergenti, il modello della grande impresa fin allora imperante entra in crisi. Tra questi fattori gio- xxxx un ruolo di rilievo la complessificazione della domanda, non più rivolta a beni standard e massificati, ma sempre più diretta a beni diversi- ficati e sofisticati; l’aumento della concorrenza internazionale, innescato dal progressivo smantellamento delle barriere doganali; la crescente con- flittualità operaia, che produce un innalzamento dei costi di coordinamen- to interno; nello stesso periodo, peraltro, la crisi petrolifera ingenera un aumento generalizzato dei costi di produzione e l’introduzione della mi- croelettronica produce un abbassamento della dimensione minima effi- ciente (2). L’insieme di questi fattori innesca un profondo processo di riorganizzazione aziendale delle grandi imprese che si condensa in un assai più spiccato ricorso al mercato (3) e, dunque, in un’intensificazione dei rapporti commerciali con imprese distinte, spesso logisticamente situate in prossimità dell’impresa committente. In questo periodo la storia della subfornitura si intreccia con quella dell’indotto, che è termine per mezzo del quale si designa l’insieme delle piccole imprese che vive di commesse in
« conto terzi », esternalizzate dalle grandi imprese. Le imprese dell’indotto
operano frequentemente in una situazione economica di monopsonio, ovverosia di monocommittenza, e, per tale ragione, sono spesso « vittime » delle scelte dell’impresa committente, dalle cui decisioni può dipendere financo la stessa sopravvivenza economica (4). È in questo periodo che
(2) Cfr. GIUNTA e SCALERA, Dal decentramento alle catene globali del valore: la subfornitura industriale in Italia, in AGE, 2012, 197.
(3) Il passaggio dalla grande impresa che internalizza tutte le fasi dell’attività pro- duttiva all’impresa, di dimensioni più ridotte, che esternalizza una o più fasi del processo produttivo, noto come decentramento produttivo, è magistralmente spiegato, in termini di maggior convenienza economica dell’opzione buy rispetto all’opzione make, nel capitale saggio di XXXXX, The Nature of the Firm, in Economica, 1937, 386 (tr. it. La natura dell’impresa, in ID., Impresa mercato e diritto, Il Mulino, 1995, 73).
(4) Queste caratteristiche erano proprie non solo dei soli subfornitori italiani, ma di tutte le imprese che, in quel periodo storico, operavano al servizio di una sola o di pochissime committenti. Cfr., nella letteratura straniera, AOKI, Information, Incentives and Bargaining Structures in the Japanese Economy, Cambridge University Press, 1988; SALLEZ, De l’analyse structurelle de la firme à la division spatiale du travail, in Economie Appliquée, 1977, 32.
X.1.
CONTRATTI DI SUBFORNITURA
351
emerge una distinzione — come si vedrà, ancora utilizzata nella letteratura giuridica — tra subfornitura di specialità e subfornitura di capacità: la prima utilizzata per designare quelle situazioni in cui il committente si rivolge al subfornitore per acquisire beni o servizi che non è in grado di produrre da sé; la seconda utilizzata per designare quelle situazioni in cui si rivolge al subfornitore per aumentare la produzione di beni o servizi che è di per sé in grado di produrre, ma in quantità non sufficienti e per rispondere ad aumenti contingenti della domanda di mercato.
Nella seconda fase, che si apre agli inizi degli anni Ottanta e coincide con un periodo espansivo del ciclo economico, la grande impresa, anche a seguito di significativi processi di acquisizioni e incorporazioni, del ridi- mensionamento del conflitto sociale e delle maggiori efficienze legate al- l’adozione delle tecnologie elettroniche, muta le ragioni del ricorso alla subfornitura: i subfornitori non si identificano più necessariamente con i piccoli imprenditori poco specializzati che operano in situazioni di mono- committenza o quasi, ma sono spesso imprese più specializzate che coor- dinano tra loro fasi della produzione di beni e servizi. Al modello della gerarchia, che connotava la prima fase, tende a sostituirsi il modello del coordinamento; a una strategia meramente difensiva, adottata dalle gran- di imprese per reagire agli shock endogeni ed esogeni sopra ricordati, si sostituisce una strategia espansiva, basata sulla possibilità di realizzare efficienze collettive (5). Tutto ciò si riflette spesso sulla posizione contrat- tuale dell’impresa subfornitrice, la quale è sempre meno « vittima » del committente e sempre più parte attiva di una strategia economica com- plessa. In Italia forme di cooperazione tra imprese medio-piccole specia- lizzate si realizzano dapprima nei distretti industriali del nord, nord-est (6) e, poi, secondo alcuni studiosi, anche nel Mezzogiorno (7).
Nella terza fase, che prende l’avvio sul finire dello scorso secolo e che è tuttora in corso, i rapporti di subfornitura risentono delle conseguenze della globalizzazione degli scambi e dei mercati e dell’inesorabile afferma- zione delle infrastrutture della comunicazione. Questi due fattori epocali (e i loro corollari: riduzione dei costi di trasporto, di coordinamento, etc.) si traducono, anche nel contesto produttivo italiano, in un ulteriore processo di disintegrazione verticale delle attività produttive, che stavolta si fram- menta anche verso l’estero (sollevando, peraltro, intuibili problemi di
(5) Cfr. XXXXXXX, Collective Efficiency and Increasing Returns, in IDS Working Papers n. 50, March 1997, in xxx.xxx.xx.xx.
(6) Cfr. DEI OTTATI, Tra mercato e comunità: aspetti concettuali e ricerche empiriche sul distretto industriale, Xxxxxx Xxxxxx, 1995.
(7) VIESTI, Mezzogiorno dei distretti, Donzelli, 2000.
diritto internazionale privato (8), accentuando la tendenza delle grandi multinazionali a delegare parti del processo produttivo verso altri paesi, anche extracomunitari.
Se si tiene ferma questa periodizzazione, pur con i limiti che un tenta- tivo del genere porta con sé, si può avviare una riflessione sulla l. 198/1992 (d’ora in poi: l. subf.) osservando che essa, pur collocandosi temporalmen- te sul crinale tra la seconda e la terza fase evolutiva del contesto produttivo italiano, denunzia i limiti di una legge che, approvata dopo un tortuoso iter parlamentare, snodatosi lungo più d’una legislatura, contiene disposizioni che sembrano guardare più al passato che al presente e, in particolare, a quel passato nel quale l’impresa subfornitrice, che operava tipicamente nell’indotto della grande impresa, era sempre e inevitabilmente « preda » degli abusi dell’impresa committente, dalle cui decisioni dipendeva fre- quentemente la sua stessa sopravvivenza sul mercato.
2. La subfornitura industriale: una nozione incerta.
Il breve paragrafo introduttivo dedicato alla subfornitura nell’evolu- zione del contesto produttivo italiano aiuta a decrittare il testo di una legge che, com’è stato rilevato dai commentatori fin dalla sua entrata in vigore, utilizza « un linguaggio più vicino alla prassi che al tecnicismo giuridi- co » (9).
Xxxxxx, pertanto, del significato da ascrivere al lemma « subfornitura » nel linguaggio dell’organizzazione aziendale, è più facile accostarsi alla definizione offerta dall’art. 1, c. 1, l. subf., secondo cui « con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna ad effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime fornite dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’im- presa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche o tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impre- sa committente ». La lettera della legge distingue una subfornitura di lavorazione e una subforniture industriale: la prima si dà quando l’impresa
(8) Che investono anche l’art. 9, l. 192/1998, da una parte della dottrina reputata norma di applicazione necessaria ex art. 17, l. 218/1995 (cfr. XXXXXX, La legge n. 192/1998 sulla subfornitura: profili di diritto internazionale privato, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1999, 838 ss.); ma v., contra, FRANZINA, Considerazioni sulla legge applicabile all’abuso di dipendenza econo- mica, in Nuova giur. civ. comm., 2002, II, 230 ss. e, in particolare, 233.
(9) CASO e PARDOLESI, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scam- polo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv. dir. priv., 1998, 712.
subfornitrice si impegna a effettuare lavorazioni su prodotti semilavorati o materie prime fornite dall’impresa committente; la seconda si dà quando l’impresa subfornitrice si impegna a fornire all’impresa committente pro- dotti o servizi finiti.
La disposizione in oggetto ha sollevato subito dubbi e incertezze in ordine alla qualificazione tipologica della subfornitura industriale. In par- ticolare, fin dai primi commenti, ci si è chiesti se il legislatore avesse dettato un nuovo tipo contrattuale ovvero se avesse dettato regole destinate ad una applicazione trasversale a più tipi contrattuali.
Ha prevalso la seconda soluzione. La dottrina ha infatti rilevato che più tipi contrattuali, tra quelli noti, si prestano a realizzare la tipica funzione economica della subfornitura industriale. In particolare, tale funzione economica è svolta dai contratti di vendita, somministrazione e appal- to (10). Una tale soluzione reca con sé conseguenze pratiche di non poco momento. È evidente, infatti, che i rapporti di cui si discute continueranno a essere disciplinati dalle regole dettate per i diversi contratti cui sono riconducibili, se non espressamente derogate dalla l. subf. (11); diversa- mente, la ricerca della regola applicabile dovrebbe passare attraverso i consueti canoni di integrazione delle lacune dei contratti tipici (12).
Il maggior problema interpretativo sollecitato dalla norma attiene al requisito della cosiddetta dipendenza progettual-tecnologica. Si allude alla conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, mo- delli o prototipi forniti dall’impresa committente. Occorre infatti com- prendere se tale dipendenza sia necessaria soltanto nella subfornitura industriale (come certamente la lettera della legge consente di ritenere) oppure anche nella subfornitura di lavorazione. La disgiuntiva « o », ricor- rente nel corpo della disposizione in esame, se intesa alla lettera lascerebbe infatti intendere una lettura restrittiva del requisito della dipendenza (13). Per rispondere al quesito occorre considerare che la trama delle dispo- sizioni dettate dalla l. subf. evidenzia un chiaro intento di protezione dell’impresa subfornitrice, ritenuta in una posizione di disparità di potere
(10) In particolare, alla disciplina del contratto di appalto rimanda il riferimento alle lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime; alla disciplina della vendita il riferimento alla fornitura di prodotti destinati a essere incorporati o utilizzati dal commit- tente, alla disciplina della somministrazione il riferimento alla fornitura di servizi destinati a essere incorporati o utilizzati dal committente.
(11) X. XXXXXX, La subfornitura industriale, in Tratt. Contr. Xxxxxxxx, XVII, I contratti di somministrazione e di distribuzione, in X. XXXXXXXX e X. XXXXXXX (a cura di), Utet, 2011, 735.
(12) Su cui v. X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, in Tratt. Roppo, II,
Regolamento, Xxxxxxx, 2006, 195 ss.
(13) Così PADOVINI, La nuova disciplina della subfornitura nelle attività produttive, in
Studium iuris, 1999, 2.
contrattuale rispetto alla impresa committente. Tale disparità di potere contrattuale giustifica le diverse norme di protezione del subfornitore dettate dalla legge: ne consegue che, per esigenze di coerenza del sistema, il requisito della dipendenza progettuale e tecnologica va riferito non solo alla subfornitura di lavorazione, ma anche alla subfornitura di prodotto. Se così non fosse ne deriverebbe l’inaccettabile conseguenza che tutti i forni- tori di beni o servizi destinati a inserirsi nel ciclo produttivo di un’altra impresa, risulterebbero destinatari di una disciplina di protezione anche se non vi fosse disparità di potere contrattuale.
La soluzione qui proposta è accettata dalla giurisprudenza prevalente. Si è ritenuto, ad esempio, che « la vendita di beni che non divengono parte integrante nella produzione di altri beni complessi in mancanza di schemi precisi di produzione e fabbricazione, impedisce il riconoscimento della figura giuridica della subfornitura, dovendosi piuttosto riconoscere sem- plicemente una serie aperta di compravendite distinte e separate » (14). In termini più precisi si è osservato che si ha subfornitura, ex art. 1, l. subf., quando un’impresa committente isola una o più fasi del ciclo produttivo che potrebbe svolgere direttamente con una diversa organizzazione della produzione, per affidarle ad altra impresa che deve attenersi ad indispen- sabili direttive di carattere tecnico. La subfornitura è infatti caratterizzata dal controllo diretto e integrale dell’esecuzione dei lavori da parte dell’im- presa committente. Poiché il prodotto o servizio dev’essere inserito nella produzione di un bene complesso, il committente cede al subfornitore il
c.d. know how, inteso come patrimonio conoscitivo su come produrre un determinato bene o servizio, per mezzo del trasferimento di progetti ese- cutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli e prototipi (arg. ex art. 2, c. 5, l. subf.) (15).
La giurisprudenza richiede dunque per entrambi i tipi di subfornitura lo stato di dipendenza progettual-tecnologica. Per la prova di tale stato esige la dimostrazione che la produzione o la lavorazione sono avvenute in conformità a direttive tecniche o progetti forniti dall’impresa committente.
(14) T. Xxxxx 00.0.0000, in Xxxxxx Xxxxxxx, la cui massima recita così: « la vendita di beni che non divengono parte integrante nella produzione di altri beni complessi, in mancanza di schemi precisi di produzione e fabbricazione, impedisce il riconoscimento della figura giuridica della subfornitura, dovendosi, piuttosto, riconoscere semplicemente una serie aperta di compravendite distinte e separate ».
(15) T. Bari 13.7.2006 e T. Civitavecchia 5.4.2006, entrambi in Giur. comm., 2007, II, 1269, con nota di XXXXXXX, La nozione legislativa di subfornitura e il mancato esperimento del tentativo di conciliazione; T. Catania 9.7.2009, in Contr., 2010, 249, con nota di DI BIASE,
« Contrazione » delle relazioni commerciali ed abuso di dipendenza economica.
Questo esito è sostanzialmente accettato anche dalla dottrina (16), che pone pure l’accento sull’argomento sistematico desumibile dall’art. 7 l. subf., il quale evoca progetti e prescrizioni di carattere tecnico senza distin- guere tra i due tipi di subfornitura (17). Si osserva giustamente, però, che da ciò non deve inferirsi l’assenza di « capacità tecnica perché risulti appli- cabile la disciplina analizzata. Ciò a cui la norma attribuisce rilevanza, infatti, è che il trasferimento di know how da parte del committente risulti qualitativamente decisivo secondo un criterio di prevalenza » (18).
Acclarata l’indefettibilità della dipendenza progettual-tecnologica per l’applicazione a taluni contratti delle norme di protezione dettate dalla l. subf., si profila un ulteriore quesito inerente agli elementi da cui desumere tale dipendenza: in particolare, se la dipendenza va accertata in riferimen- to alla debolezza strutturale dell’impresa fornitrice o alle caratteristiche concretamente richieste per l’esecuzione della particolare prestazione de- dotta in contratto. Sembra da privilegiare quest’ultima soluzione, anche se, di regola, la debolezza strutturale dell’impresa fornitrice è spia anche di una debolezza nella fase esecutiva. Possono però darsi casi in cui un’im- presa strutturalmente debole sia tenuta ad eseguire prestazioni assoluta- mente comuni e fungibili le quali non richiedono alcun tipo di supporto progettuale, tecnico o tecnologico da parte del committente. In questi casi la dipendenza progettual-tecnologica dovrà ritenersi insussistente e l’ap- plicazione della legge dovrà escludersi (arg. ex art. 1, c. 2, l. subf., che esclude dall’ambito di applicazione della legge, tra l’altro, « i contratti aventi ad oggetto la fornitura di materie prime »: le quali, per definizione, non implicano una prestazione specifica).
Con l’approvazione della l. subf., dunque, il legislatore non ha intro- dotto un nuovo tipo contrattuale. Il legislatore ha invece preso in conside- razione una particolare forma di debolezza contrattuale, derivante dalla dipendenza progettual-tecnologica in cui versa un’impresa, che può tro- vare origine in una varietà di contratti e, in particolare, nella compraven- dita, nell’appalto o nella somministrazione (19). Senza questa particolare
(16) Da ultimo, XXXXXXX, La subfornitura, in GITTI, XXXXXXX e NOTARI (a cura di), I contratti per l’impresa, I, Il Mulino, 2012, 210 ss.; ma v. già CASO e PARDOLESI, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale), cit., 728; FRIGNANI, Disciplina della subfornitura nella legge 192/98 : problemi di diritto sostanziale, in Contr., 1998, 189.
(17) Così DE NOVA, La subfornitura: una legge grave, in Riv. dir. priv., 1998, 8.
(18) XXXXXXX, La subfornitura, cit., 212 e già PADOVINI, La nuova disciplina della subfor- nitura nelle attività produttive, cit., 2.
(19) Cfr. LECCESE, Subfornitura, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., Utet, 2012, 1016, per il quale il legislatore, non essendo riuscito nell’intento di tipizzare il contratto di subforni- tura, ha « dato vita più ad un « sovratipo » che ad un vero e proprio contratto, con l’interprete costretto, di volta in volta, a ricorrere alla disposizioni dettate ora in materia di
debolezza non si giustificano le norme di protezione dettate a tutela del subfornitore, le quali, incidendo sulla autonomia d’impresa, richiedono una ragione giustificativa forte e chiaramente definita. Ne risulta, pertan- to, che l’impresa che invoca una o più norme di protezione dettate dalla l. subf. deve dimostrare, giusta il disposto dell’art. 2697: i) che produzione o lavorazione sono destinate al ciclo produttivo dell’impresa committente; ii) che l’impresa committente ha impartito specifiche direttive tecniche o tecnologiche.
3. Problemi di forma e contenuto.
Assecondando un modulo ormai tipico della legislazione di protezione la l. subf. richiede, a pena di nullità, che il contratto sia stipulato per iscritto e ne prescrive un contenuto minimo necessario (20). La forma scritta si mostra strumentale a esigenze di trasparenza del regolamento contrattua- le (21), assolvendo a finalità, anche informative (22), estranee all’art. 1350 (23). La trasparenza, in particolare, si declina in un obbligo di indi- care in modo analitico i vari elementi del contratto (24), sì « da non inge- nerare incertezze nell’interpretazione dell’entità delle reciproche presta- zioni e nell’esecuzione del contratto » (art. 2, c. 4, l. subf.). Nel contratto, pertanto, « devono essere specificati: a) i requisiti specifici del bene o del
vendita, ora in materia di appalto, compreso quello d’opera, ora in materia di sommini- strazione ».
(20) Cfr., ad es., l’art. 3 l. 129/2004 (c.d. legge franchising); l’art. 4, c. 4, d.lgs. 231/2002 (che prescrive la forma scritta a pena di nullità del patto con cui si conviene un termine di pagamento superiore a quello legale); nonché l’art. 1742, che prescrive la forma scritta, però ad probationem, per il contratto di agenzia. Si è però correttamente avvertito che ciò non legittima « indebite generalizzazioni » tra il « neoformalismo » consumeristico e quello dei contratti stipulati tra imprenditori (così ADDIS, « Neoformalismo » e tutela dell’imprenditore debole, in Obbl. contr., 2012, 12).
(21) Sul punto v. X. XXXXXXXXX, Le regole di trasparenza nel contratto di subfornitura, in
Giur. comm., 2000, I, 216 ss.
(22) Lo stesso accade anche in materia di franchising (cfr. art. 3, cc.1e 4, l. 129/2004), dove, tuttavia, il nesso tra informazioni e forma scritta assolve anche, se non soprattutto, all’ulteriore funzione di garantire trattative precontrattuali piene perché avvenute in un ambiente informato (cfr. art. 4 l. 129/2004, che prescrive uno spatium deliberandi minimo di trenta giorni tra la consegna di copia del contratto da sottoscrivere e la conclusione dello stesso: in dottrina v. X’XXXXX, Il procedimento di formazione del contratto di franchising secondo l’art. 4 della l. 129/2004, in Riv. dir. priv., 2005, 769 ss.).
(23) Ancora X. XXXXXXXXX, Le regole di trasparenza nel contratto di subfornitura, cit., 219.
(24) Anche qui, in linea con una tendenza legislativa vieppiù diffusa: cfr. art. 123, c. 1, d.lgs. 385/1993 (c.d. t.u.b.), relativo alle informazioni di base dei contratti di credito ai consumatori. Sul punto x. XXXXXXXXXXX, Trasparenza contrattuale, in Enc. Dir., Xxxxxx, V, Xxxxxxx, 2012, 1314.
servizio richiesti dal committente, mediante precise indicazioni che con- sentano l’individuazione delle caratteristiche costruttive e funzionali, o anche attraverso il richiamo a norme tecniche che, quando non siano di uso comune per il subfornitore o non siano oggetto di norme di legge o regolamentari, debbono essere allegate in copia; b) il prezzo pattuito; c) i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento » (art. 2, c. 5,
l. subf.).
Tenendo conto delle concrete dinamiche di conclusione dei rapporti di subfornitura l’art. 2, c. 1, l. subf., aggiunge che integrano il requisito della forma scritta anche le comunicazioni effettuate via fax o con altra via telematica (e dunque, soprattutto, a mezzo e-mail o pec) (25). In linea con la trama protettiva che innerva la legge, l’art. 2, c. 1, secondo periodo, l. subf., soggiunge poi che « in caso di nullità [...] il subfornitore ha comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto ». Que- st’ultima regola richiama all’evidenza l’art. 2126: dettato, non a caso, per la disciplina di un tipico rapporto squilibrato come quello che nasce dal contratto di lavoro subordinato.
Allo scopo di agevolare la conclusione dei contratti, l’art. 2, c. 2, l. subf., consente però al subfornitore di accettare la proposta del committente, purché formulata per iscritto, mediante inizio di esecuzione. La norma, che è parsa in dottrina « indubbiamente singolare, e la cui ratio non è affatto facile da chiarire » (26), ha sollecitato una varietà di costruzioni dottrinali, spesso brillantemente argomentate, tese a conciliare l’espressa previsione di una forma ad substantiam con la possibilità di accettare me- diante inizio di esecuzione.
Si è rilevato che la funzione della norma è di temperare la rigidità che normalmente la previsione di vincoli di forma induce nella scelta tra le varie modalità di conclusione del contratto, consentendo che il requisito formale sia integrato dalla mera proposta per iscritto del proponente, seguita dal perfezionamento del contratto mediante inizio di esecuzione da parte del subfornitore oblato (27). E s’è ulteriormente osservato che una
(25) Prima dell’entrata in vigore della l. subf. per concludere un contratto si ricorreva
« al telefono, alla stretta di mano, a vaghe promesse e quant’altro fosse in grado di ingene- rare la peggiore confusione » (così X. XXXXXXX, Nuovi contratti di partenariato, in DRAETTA e VACCÀ (a cura di), Contratti di subfornitura: qualità e responsabilità, Egea, 1993, 98).
(26) X’XXXXX, Formazione del contratto, in Enc. Dir., Xxxxxx, Xxxxxxx, 2008, 593.
(27) Una tale soluzione, che sembra quella che meglio descrive il meccanismo perfezio- nativo positivamente previsto dall’art. 2, c. 2, l. subf., sembrerebbe peraltro dar ragione a chi ritiene che l’esecuzione ex art. 1327 non sia altro che « una condotta non dichiarativa socialmente e giuridicamente idonea a concludere un negozio », sicché questa modalità di conclusione sa- rebbe compatibile anche con il perfezionamento di contratti formali: così A.M. BENEDETTI, Auto-
tale possibilità ben si comprende alla luce delle concrete dinamiche dei rapporti di subfornitura, di regola unilateralmente disciplinati dal com- mittente: sicché consentire al subfornitore di scegliere la più opportuna modalità di stipulazione è, anche in questo caso, espressione della volontà del legislatore di riequilibrare un rapporto economico che nasce usual- mente squilibrato (28).
Nella generalità dei casi le cose dovrebbero però profilarsi diversa- mente. Le regole sulla forma e il contenuto dettate dalla l. subf. nascono per rimediare ai problemi insorti nella prassi. Uno dei più rilevanti scatu- riva dal fatto che « i rapporti tra acquirente/committente e subfornitore sono tradotti in forma scritta mediante un misterioso (per i giuristi) oggetto che la prassi qualifica con l’appellativo di ordine sul retro del quale, di solito in modo del tutto illeggibile, sarebbero stampate le condizioni gene- rali di acquisto di colui che emette l’ordine stesso » (29). Per questa ragione il legislatore ha previsto che il contratto debba sempre essere stipulato per iscritto (a pena di nullità). Siccome è il c.d. contratto quadro che regola « a monte » il rapporto, è qui che confluiscono le varie clausole indicate dal- l’art. 2, c. 5, l. subf.: le quali, se vessatorie, richiedono la doppia sottoscri- zione a pena di inefficacia. Disciplinate così le regole del rapporto, l’attua- zione avviene per mezzo di successivi contratti attuativi, che la prassi definisce « ordinativi » o semplicemente « ordini » e che il subfornitore può
« evadere » immediatamente, senza alcun atto negoziale di previa accetta- zione, in piena coerenza con le esigenze di speditezza tipica della subfor- nitura (30).
In quest’ottica concreta, anche il quesito inerente ai rapporti tra con- tratto formale, accettazione mediante inizio di esecuzione e doppia sotto- scrizione delle eventuali clausole vessatorie si può risolvere in questi ter- mini: i) la forma scritta deve investire il contratto quadro; ii) la doppia sottoscrizione che immunizza le clausole dalla vessatorietà deve essere preventiva e deve essere apposta in calce al medesimo contratto quadro;
nomia privata procedimentale. La formazione del contratto fra legge e volontà delle parti, Xxxxxxxxxxxx, 2002, 57 e ivi nota 54; contra, in punto di teoria generale del contratto, ADDIS, « Neoformalismo » e tutela dell’imprenditore debole, cit., 19, il quale, infatti, propende per la natura eccezionale della nor- ma dettata dall’art. 2, c. 2, l. subf.
(28) Cfr. XXXXX, « Neoformalismo » e tutela dell’imprenditore debole, cit., 17 s.
(29) Così descriveva la prassi, segnalandone al contempo i risvolti perversi in punto di opacità delle condizioni contrattuali, X. XXXXXXX, Nuovi contratti di partenariato, cit., 98.
(30) E, in generale, del traffico commerciale; la previsione di modalità di conclusione del contratto legalmente predeterminate ostacola, infatti, la moltiplicazione della ricchezza e la valorizzazione del capitale: cfr. XXXXXXXX, « Trasparenza » bancaria e diritto comune dei contratti, in Banca borsa tit. cred., 1990, I, 304 ss.
iii) l’accettazione mediante inizio di esecuzione non riguarda il contratto quadro ma il contratto attuativo (31).
Resta da chiarire, a questo punto, che disciplina applicare al caso, per vero infrequente, di rapporto di subfornitura non disciplinato da un con- tratto quadro. In linea con quanto previsto dall’art. 2, c. 2, l. subf., se l’ordine è inviato in forma scritta, il subfornitore potrà accettarlo mediante inizio di esecuzione, ferma restando la possibilità di contestare successiva- mente l’inefficacia delle eventuali clausole vessatorie predisposte dal com- mittente. Al riguardo ci si è interrogati sulla possibilità, per il committente, di subordinare la conclusione del contratto all’accettazione scritta del subfornitore, con ciò escludendo negozialmente la possibilità di accettare mediante inizio di esecuzione. La soluzione che ha registrato il maggior numero di consensi è nel senso della praticabilità di questa strada (32). Va però segnalata un’acuta tesi secondo cui al committente non sarebbe con- sentito vincolare l’accettazione della proposta al rispetto della forma scrit- ta, perché ciò contrasterebbe con la norma (imperativa perché rispondente a esigenze di protezione del subfornitore) che consente il perfezionamento del contratto tramite inizio di esecuzione (33). A sostegno di quest’ultima tesi potrebbe peraltro aggiungersi questo argomento pratico: lo strumento per non subire una contestazione di vessatorietà successiva al perfeziona- mento del contratto esiste, ed è offerto proprio dalla previa conclusione del contratto quadro.
(31) La vicenda ricorda descrittivamente quella della conclusione dei contratti rela- tivi alla prestazione di servizi di investimento, rispetto ai quali è quasi superfluo sottolineare quanto sia centrale la rapidità nell’esecuzione dell’ordine in un mercato caratterizzato da rapidissime fluttuazioni nei prezzi dei singoli strumenti finanziari. Anche tali contratti, ex art. 23, c. 1, t.u.f., devono essere redatti per iscritto; e pure tali contratti, nella prassi, sono seguiti dai singoli ordini di investimento. La differenza, sotto il profilo normativo, riposa in ciò, che in questa fattispecie la forma scritta non è espressamente richiesta a pena di nullità. Anche in questo diverso contesto normativo, non casualmente, uno dei problemi che più affaticano giurisprudenza e dottrina riguarda la forma degli « ordini di borsa », i quali consistono nell’incarico conferito dal cliente all’intermediario affinché questi concluda per suo conto una o più operazioni aventi ad oggetto l’acquisto, la vendita, lo scambio o la sottoscrizione di strumenti finanziari. Non è infatti chiaro se l’art. 23 cit. si applichi al solo contratto quadro o anche ai singoli ordini di borsa impartiti dall’investitore all’intermedia- rio, i quali, pertanto, risulterebbero affetti da nullità se, come è frequentemente accaduto, non redatti per iscritto. In dottrina v. DELLA VEDOVA, Xxxxx forma degli ordini di borsa, in Riv. dir. civ., 2010, I, 161 ss.
(32) Cfr. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica. Profili
ricostruttivi e sistematici, ESI, 2002, 103; MODICA, Vincoli di forma e disciplina del contratto. Dal negozio solenne al nuovo formalismo, Xxxxxxx, 2008, 278 s.
(33) X’XXXXX, Formazione del contratto, cit., 595 s., testo e nota 138; XXXXXXXXXXX, Neo- formalismo contrattuale, in Enc. dir., Xxxxxx, IV, Xxxxxxx, 2011, ad vocem; ADDIS, « Neoformali- smo » e tutela dell’imprenditore debole, cit., 20.
La forma scritta richiesta a pena di nullità e il contenuto minimo necessario del contratto assolvono evidentemente a una funzione di tutela del subfornitore. La l. subf., come si è ricordato, ha voluto rimediare alle situazioni di potenziale prevaricazione del subfornitore indotte dalla fre- quente conclusione dei contratti in forma orale, o dall’opacità dei regola- menti contrattuali. Lo ha fatto, tuttavia, in modo impreciso, lasciando aperta una serie di problemi interpretativi, puntualmente segnalati dalla riflessione dottrinale.
Il primo problema attiene alla natura della nullità per difetto di forma scritta e, conseguentemente, alla disciplina applicabile. L’art. 2, c. 1, l. subf., predica la nullità, ma non la qualifica in alcun modo. Una parte della dottrina ha ritenuto, in ragione delle evidenti istanze di protezione del subfornitore che informano l’ordito complessivo della l. subf., che la nullità sia relativa (34). Questa soluzione tuttavia non convince perché si fonda soltanto su un argomento teleologico (la debolezza del subfornitore, perciò meritevole di protezione), non sorretto da indici positivi (35). Questi ulti- mi, invece, nella misura in cui indicano comunque una tutela per il subfor- nitore, prevedendo sia l’irripetibilità delle prestazioni rese, sia la risarcibi- lità delle spese sostenute per aver eseguito in buona fede il contratto (cfr. art. 2, c. 1, l. subf.), dimostrano chiaramente che il legislatore ha deciso di battere vie diverse dalla nullità di protezione per tutelare l’impresa subfor- nitrice. Le finalità di protezione del subfornitore si sono infatti tradotte, nel corpo della legge, in strumenti mirati che fanno venir meno l’esigenza di ricercare, attraverso un’operazione di ortopedia interpretativa, nel rime- dio della nullità di protezione lo strumento per tutelare gli interessi del subfornitore (36). A ciò si aggiunga che il combinato disposto degli artt. 2,
c. 1, ultimo periodo, e 3, c. 4, l. subf., consente al subfornitore che abbia comunque reso prestazioni in favore del committente, anche se non pre- cedute da contratto scritto, di ottenere un decreto ingiuntivo provvisoria- mente esecutivo.
Alla luce di tutte queste considerazioni, fondate su argomenti testuali, il paventato timore che la nullità per difetto di forma scritta possa essere in-
(34) Cfr. LIVI, Le nullità, in CUFFARO (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, cit., 223; FRIGNANI, Disciplina della subfornitura nella legge 192/98: problemi di diritto sostanziale, cit., 192; XXXXXXXXXX, I contratti di subfornitura, Cedam, 1999, 71; GIOIA, La subfornitura nelle attività produttive, in Corr. giur., 1998, 884; PUTTI, Art. 2, in ALPA e CLARIZIA (a cura di), La subfornitura (commento alla legge 18-6-1998, n. 192), Xxxxxxx, 81 ss.
(35) Non pare, infatti, invocabile, a sostegno di questa tesi, l’art. 2, c. 2, l. subf., come invece ritenuto da MODICA, Vincoli di forma e disciplina del contratto. Dal negozio solenne al nuovo formalismo, cit., 238 ss.
(36) Xxxx stesso esito giunge XXXXX, « Neoformalismo » e tutela dell’imprenditore debole, cit.,
20 s.
vocata anche dal committente sembra davvero privo di fondamento. Il le- gislatore ha infatti congegnato un meccanismo per mezzo del quale la pro- tezione della parte debole del rapporto non passa per la restrizione della legittimazione attiva all’azione, ma per l’asimmetria degli effetti conseguenti alla pronuncia di nullità. Entrambe le parti potranno, cioè, agire in nullità: ma le conseguenze della declaratoria saranno ben più favorevoli al subfor- nitorechealcommittente. Ilquesitoinordineallaqualificazionedellanullità ex art. 2, c. 1, l. subf., deve pertanto risolversi nel senso dell’applicazione del regime codicistico tratteggiato dagli artt. 1421 ss. (37).
Il secondo problema attiene all’individuazione del rimedio per il caso in cui il contratto, pur concluso per iscritto, non contempli il contenuto richie- sto. Per risolverlo occorre procedere analiticamente, poiché non tutti gli elementi del contratto indicati dall’art. 2, c. 5, l. subf., possono definirsi es- senziali. Tali sono certamente il prezzo e il bene o il servizio: rispetto ai quali l’eventuale assenza dovrebbe importare la nullità del contratto, a meno che non sia possibile supplire alla lacuna contenutistica invocando il disposto degli artt. 1474, 1561, 1657, a seconda del tipo contrattuale che dà vita al rapporto di subfornitura. Riguardo ai termini e alle modalità di consegna, di collaudo e di pagamento l’eventuale lacuna contenutistica dovrebbe tro- vare facile integrazione nelle norme suppletive dettate dagli artt. 1182 e 1183 rispettivamente per la consegna e il pagamento (38). Più difficile è in- dividuare una norma suppletiva che integri la lacuna del regolamento con- trattuale in ordine al termine e alle modalità del collaudo. La difficoltà nasce dal fatto che non è chiaro cosa la l. subf. intenda con questa espressione. Tuttavia, se si ritiene che per « collaudo » si intende la verifica, potrebbe applicarsi l’art. 1665.
A ben vedere, però, una tale operazione di eterointegrazione del re- golamento contrattuale, se pure consente di mantenere in vita il contratto, svilisce la funzione di protezione del subfornitore che certamente, sia pur nella loro grossolanità, le disposizioni su forma e contenuto del contratto dettate dalla l. subf. intendono raggiungere. Scopo del legislatore è « con- segnare » al subfornitore un documento contrattuale, corredato di even- tuali allegati (39), dal quale si possano desumere i reciproci diritti e obbli- ghi delle parti con precisione e chiarezza. Un evidente nesso teleologico lega pertanto il requisito della forma scritta al contenuto minimo necessa- rio del contratto. Si potrebbe pertanto ritenere che l’eventuale mancanza
(37) Nello stesso senso DELFINI, Contratto di subfornitura: forma e contenuto, in in DE NOVA (a cura di), La subfornitura, Ipsoa, 1998, 11 ss.; ADDIS, « Neoformalismo » e tutela dell’im- prenditore debole, cit., 17 s.
(38) Ma x. xxxxx, xxx. 0.
(39) Cfr. art. 2, c. 5, lett. a), l. subf.
di elementi di contenuto necessario del regolamento conduca alla nullità del contratto per difetto di forma scritta (40) e si potrebbe, forse, profilare un’estensione dell’art. 2, c. 1, secondo periodo, x. xxxx. anche al caso del contratto redatto bensì per iscritto ma manchevole di clausole necessa- rie (41). Così ragionando il subfornitore non resterebbe privo tutela (42), poiché potrebbe comunque agire per il corrispettivo delle prestazioni effettuate e per il risarcimento del danno eventualmente patito (43).
Il terzo problema attiene, infine, all’individuazione del rimedio per il caso in cui il contenuto contrattuale, pur contemplando tutti gli elementi richiesti dall’art. 2, cc. 4-5, l. subf., non sia chiaro né trasparente.
La legge prende espressamente in considerazione il requisito della chiarezza del prezzo dei beni e servizi oggetto del contratto, disponendo che esso « deve essere determinato o determinabile in modo chiaro e preciso, tale da non ingenerare incertezze nell’interpretazione dell’entità del reciproche prestazioni o nell’esecuzione del contratto » (art. 2, c. 4, l. subf.). Il caso del prezzo espresso in modo poco chiaro sarà di regola un caso di prezzo espresso in modo (magari anche volutamente) confuso. In tale fattispecie, la prima regola applicabile sarà dunque l’art. 1370, che consente di interpretare la clausola nel modo più favorevole al subfornito- re. Se non sia dà una situazione di equivocità del prezzo, possono soccor- rere ancora una volta le regole dettate dagli artt. 1474, 1561 e 1657. Se neppure queste regole aiutano a definire il prezzo con precisione e chia-
(40) Nota correttamente MODICA, Vincoli di forma e disciplina del contratto. Dal negozio solenne al nuovo formalismo, cit., 257, proprio ragionando sull’art. 2, c. 4, l. subf., che « la proposta di distinguere caso per caso a seconda dell’essenzialità (in senso tradizionale quale appartenenza dell’elemento ai requisiti di cui all’art. 1325 c.c.) o meno dell’elemento mancante [...] convincente e praticabile per i contratti formali in genere, non è suscettibile di applicazione nel diritto speciale di derivazione europea, che non distingue quanto a rilevanza degli elementi da inserire nel contratto, e quando lo fa propende comunque per l’invalidazione dell’intero negozio manifestando una inequivoca tendenza a considerare
« essenziale » tutto il regolamento ».
(41) Non è privo di rilievo sistematico che, di recente e in una fattispecie per vari aspetti simile alla subfornitura, ovverosia per i contratti che hanno per oggetto la cessione di prodotti agricoli e alimentari, il legislatore, oltre ad aver previsto la forma scritta necessaria e requisiti di contenuto minimo del regolamento, abbia altresì previsto i rimedi per l’inosservanza di tali regole stabilendo la nullità dell’intero contratto (art. 62 d.l. 1/2012, convertito con modificazioni dalla l. 27/2012). Sulla nuova disciplina si vedano A.M. BENE- DETTI e BARTOLINI, La nuova disciplina dei contratti di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari, in Riv. dir. civ., 2013, I, 641 ss.
(42) Come invece ritenuto da XXXXXXXX, La nuova disciplina dei contratti di subfornitura, in Riv. giur. sarda, 1999, 602, il quale, anche alla luce di questo rilievo, esclude la possibilità di predicare la nullità per difetto di elementi di contenuto necessario non essenziali.
(43) E, in questo caso, per determinare il corrispettivo potrebbe farsi ricorso proprio agli artt. 1474, 1561, 1657 o 2225.
rezza, si potrà comunque valorizzare la regola generale di conservazione degli atti giuridici attingendo elementi di chiarezza, se vi siano state pre- gresse relazioni commerciali tra le parti, dal testo dei precedenti accor- di (44). Soltanto se nessuna di queste strade si mostra funzionale allo scopo, si dovrà postulare la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1418, c. 2 (45).
4. La disciplina dei termini di pagamento.
Un profilo storicamente critico dei rapporti di subfornitura è il rispetto dei termini di pagamento da parte del committente. La prassi precedente alla l. subf. registrava infatti termini irragionevolmente lunghi per mezzo dei quali il committente si finanziava in danno del fornitore.
Anche su questo profilo è pertanto intervenuto il legislatore, preve- dendo: i) che il contratto deve fissare i termini di pagamento della forni- tura, decorrenti dal momento della consegna del bene o dal momento della comunicazione dell’avvenuta esecuzione della prestazione, nonché le eventuali riduzioni del corrispettivo dovuto al fornitore in caso di paga- mento anticipato da parte del committente; ii) che « il prezzo pattuito deve essere corrisposto in un termine che non può eccedere i sessanta giorni dal momento della consegna del bene o dalla comunicazione dell’avvenuta esecuzione della prestazione » (art. 3, c. 2, l. subf.) (46); iii) che il mancato pagamento del corrispettivo nei termini pattuiti costituisce titolo per otte- nere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo ai sensi degli artt. 633 ss. c.p.c. (art. 3, c. 4, l. subf.) (47).
(44) È infatti frequente nella prassi che i rapporti di subfornitura si susseguano nel tempo attraverso una pluralità di contratti di breve durata che si rinnovano nel tempo con sistematico ritardo. In queste situazioni, nell’intervallo temporale tra lo spirare del termine del contratto precedente e l’inizio del successivo, il rapporto prosegue normalmente di fatto. Per un’esemplificazione concreta v. X. Xxxx, ord. 20.5.2002, in Foro it., 2002, I, 3222, con nota di XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica: dal « caso limite » alla (drastica) limitazione dei casi di applicazione del divieto?
(45) Parte della dottrina, tuttavia, ritiene applicabile, in luogo della nullità, il rimedio della responsabilità precontrattuale. Così PADOVINI, La nuova disciplina della subfornitura nelle attività produttive, cit., 3; E. XXXXXXXXX, Le regole di trasparenza nel contratto di subfornitura, cit., 226.
(46) Un diverso termine, non eccedente comunque i novanta giorni, può essere fissato in accordi collettivi di categoria, purché prevedano specifiche clausole « per garan- tire e migliorare i processi di innovazione tecnologica, di formazione professionale e di integrazione produttiva »: sul punto GITTI, Gli accordi interprofessionali « in deroga » alla disciplina legale del contratto di subfornitura, in Contr., 1999, 300 ss.
(47) Sul punto x. XXXXXXXXXX, Tutela del credito del subfornitore e procedimento monitorio, in Giur. it., 2002, 1768.
La disposizione sul termine di pagamento detta una norma imperati- va, non derogabile dalle parti. Occorre pertanto chiedersi quali sono le conseguenze di un’eventuale pattuizione che prevede termini più lunghi di sessanta giorni. La soluzione più equilibrata, non a caso accreditatasi nella dottrina maggioritaria, invoca il combinato disposto degli artt. 1419,
c. 2, e 1339, postulando per tale via l’automatica sostituzione del termine più lungo con quello massimo previsto dalla legge (48).
Invece se il contratto non prevede termini di pagamento, una parte della dottrina ritiene applicabile l’art. 1665; un’altra, ex art. 1339, l’art. 3, c. 2, l. subf., con la conseguente previsione del termine di 60 giorni (49). Né l’una né l’altra tesi convincono però del tutto.
Non convince l’applicazione dell’art. 1665, c. 5, secondo cui il diritto al corrispettivo sorge al momento dell’accettazione dell’opera da parte del committente (pur con l’avvertimento che se l’accettazione non giunge entro il termine di sessanta giorni opera il limite previsto dall’art. 3, c. 2, l. subf. e, pertanto, il credito diventa immediatamente esigibile) (50) perché, diversamente da quanto previsto dal codice civile per il contratto d’appal- to, la l. subf. prevede che l’esecuzione della subfornitura deve essere con- testata espressamente entro i termini stabiliti dal contratto, che non po- tranno tuttavia derogare ai più generali termini di legge. Anche questa è una norma di protezione, che riflette l’esigenza di contrastare una prassi doppiamente perniciosa. Il committente abusa infatti del suo potere con- trattuale una prima volta dettando unilateralmente le condizioni contrat- tuali e una seconda volta sollevando contestazioni strumentalmente al solo scopo di ritardare il pagamento o di ridurre il quantum dovuto (51). Per questa ragione, nell’ordito complessivo della legge non è previsto un mec- canismo simile a quello dell’accettazione da parte del committente nel contratto d’appalto, che si presterebbe facilmente a essere utilizzato allo scopo di dilazionare ingiustificatamente il pagamento. Da ciò deriva l’im- possibilità di subordinare, seppure nel limite di sessanta giorni dall’effet- tuazione della fornitura, il pagamento del corrispettivo all’accettazione. Il committente deve pertanto corrispondere il prezzo dovuto al subfornitore nel termine dovuto, per agire poi in responsabilità allegando l’esecuzione infedele della prestazione.
Non convince però neppure la tesi dell’applicazione, quale termine suppletivo, del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 3, c. 2, l. subf.,
(48) Cfr. DE NOVA, Introduzione, in DE NOVA (a cura di), La subfornitura, cit., 26.
(49) XXXXXXXXXX, I contratti di subfornitura, cit., 101.
(50) XXXXXXX, La subfornitura, cit., 222.
(51) Cfr. MONTICELLI, Tutela del credito del subfornitore e procedimento monitorio, cit.
poiché tralascia di considerare i rapporti tra la l. subf. e la disciplina dei ritardi di pagamento dettata dal d.lgs. 231/2002 (52).
Data la sovrapposizione tra l’art. 3 l. subf. e il d.lgs. 231/2002, per il criterio della lex specialis dovrebbe prevalere sempre la disciplina dettata dalla l. subf. in tutti i casi in cui vi sia un elemento di diversità rispetto alla disciplina generale dettata dal d.lgs. 231/2002. Là dove, invece, non vi sia sovrapposizione dovrà applicarsi la disciplina — che per le transazioni commerciali ha valenza generale — dettata dal d.lgs. 231/2002. Tanto accade proprio riguardo alla scadenza dell’obbligazione: che, « in deroga all’art. 1183, c. 1, e anzitutto al principio quod sine die debetur statim debetur (di cui è una applicazione l’art. 1498, c. 2) » stabilisce « un termine legale di trenta giorni, con decorrenza dai dies indicati dalla direttiva, da valere nei casi in cui le parti non abbiano fissato il tempo dell’adempimento » (53). Se il rapporto di subfornitura è privo di termine di adempimento, la scadenza dell’obbligazione pecuniaria del committente coinciderà dunque, ex art. 3, d.lgs. 231/2002, con il trentesimo giorno successivo agli eventi di cui all’art. 4, c. 2 (54) del medesimo decreto (55).
La l. subf. esibisce invece un residuo tratto di specialità (56) poiché, in caso di ritardo di pagamento superiore ai trenta giorni, il committente
(52) I rapporti di subfornitura ne integrano, infatti, entrambi i presupposti: sogget- tivamente, il rapporto di subfornitura lega per definizione due imprenditori commerciali; oggettivamente, la prestazione tipica del subfornitore si risolve sempre o nella consegna di un bene o nella prestazione di un servizio. In dottrina v. il commento all’art. 10 d.lgs. 231/2002 di XXXXXXX, in Nuove leggi civ. comm., 2004, 652 ss.; F.L. GAMBARO, Disciplina dei pagamenti e subfornitura industriale, in Riv. dir. priv., 2003, 805 ss.
(53) MENGONI, La direttiva 2000/35/CE in tema di mora debendi nelle obbligazioni pecu- niarie, in Eur. dir. priv., 2001, 79. Nello stesso senso, dopo le modifiche apportate alla disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali dal d.lgs. 192/2012, TAGLIALAVORO, La nuova direttiva europea in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Nuove leggi civ. comm., 2012, 13.
(54) E così, dunque: dall’emissione della fattura; dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi; dall’accettazione o dalla verifica. Il termine di trenta giorni può, peraltro, essere convenzionalmente esteso dalle parti, purché, nel caso in cui sia superiore a sessanta giorni, sia provato per iscritto e ciò non integri un accordo gravemente iniquo xxxxx xx xxx. 0, x.xxx. 000/0000 (xxx. 4, c. 3, d.lgs. 231/2002).
(55) Si aggiunga pure che se il credito non è scaduto il subfornitore non può accedere alla tutela monitoria prevista dall’art. 3, c. 4, l. subf.
(56) Il d.lgs. 192/2012 ha infatti armonizzato la misura degli interessi moratori modificando sia l’art. 2, c. 1, lett. e), d.lgs. 231/2002, sia l’art. 3, c. 3, l. subf.: per entrambe le fattispecie il tasso di interesse è, a partire dall’1.1.2013, pari al saggio d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di otto punti percentuali. In entrambe le discipline la mora è automatica (cfr. art. 3, c. 3, l. subf.; art. 4, c. 1, d.lgs. 231/2002).
deve corrispondere una penale pari al 5% del corrispettivo non pagato (art. 3, c. 3, ultima parte, l. subf.). La norma solleva un problema di coordinamento con l’art. 1382, c. 1, che esclude la risarcibilità del danno ulteriore, se non espressamente pattuita. Il riferimento alla pattuizione induce tuttavia a ritenere che la sfera applicativa della disposizione in discorso abbracci soltanto le penali convenzionali.
La disciplina dei ritardi di pagamento intercetta i rapporti di subfor- nitura anche sotto un altro aspetto. L’art. 10, c. 2, l. 180/2011 (c.d. Statuto delle imprese) ha infatti previsto che « in caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l’abuso si manifesta a prescindere dall’accertamento della dipen- denza economica ».
Il problema dei rapporti tra le due discipline è già stato evidenziato chiarendo che in forza del criterio di specialità nel conflitto tra i due ordini di norme deve prevalere la norma più specifica. Tuttavia l’art. 9 l. subf. ha un ambito di applicazione eccedente i meri rapporti di subfornitura ex art. 1 l. subf.
La natura non occasionale dei contratti d’impresa ostacola di fatto il creditore che vuole mantenere in vita la relazione commerciale dall’eser- citare, in costanza di rapporto contrattuale, i suoi diritti di credito, lascian- dolo, finché il rapporto sussiste, in balìa delle decisioni della controparte, che ritardando il pagamento può « autofinanziarsi gratuitamente o a basso tasso d’interesse » (57). Il legislatore è dunque intervenuto per stabilire che il sistematico ritardo di pagamento, tramite cui il debitore si finanzia indebitamente in danno del creditore, configura un abuso a prescindere dall’accertamento della dipendenza economica. Non occorre dunque che l’impresa dimostri di aver effettuato investimenti specifici che le hanno precluso soddisfacenti alternative di mercato. Basta provare che il ritardo non sia occasionale, ma reiterato e diffuso, per ammetterla alla tutela offerta dall’art. 9 l. subf. Xxxxxxx chiedersi quali siano le conseguenze di questa proposizione normativa. La risposta più sensata è che un insieme di atti giuridici come gli atti di adempimento di obbligazioni pecuniarie, che isolatamente presi rileverebbero soltanto ai fini della mora debendi (e, even- tualmente, della risoluzione per inadempimento), sono trattati, quoad ef- fectum, alla stregua di un abuso di dipendenza economica e dunque con- sentono l’applicazione del ricco apparato rimediale che presidia il divieto di cui all’art. 9 l. subf. Ciò significa che: i) si apre uno spazio di competenza dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (d’ora in poi: AGCM),
(57) MENGONI, La direttiva 2000/35/CE in tema di mora debendi nelle obbligazioni pecu- niarie, cit., 80.
la quale, se ritiene che il reiterato e diffuso ritardo nei pagamenti rileva per la concorrenza ed il mercato, può procedere, sia su segnalazione di terzi sia d’ufficio, alle diffide e alle sanzioni amministrative di cui all’art. 15 della l. 287/1990; ii) in ogni caso, il giudice ordinario competente può condannare al risarcimento dei danni o emettere provvedimenti inibitori (58).
Per il risarcimento dei danni va considerato che solo se il diffuso e reiterato ritardo di pagamenti (59) affligge la posizione di un’impresa qualificabile, ex art. 1 l. subf., come subfornitrice si applica, anche in caso di singolo ritardo superiore a trenta giorni, una penale ex lege pari al 5% dell’importo dovuto, che si aggiunge all’obbligazione di interessi moratori; se, invece, il diffuso e reiterato ritardo di pagamenti affligge un’impresa non subfornitrice, si applica l’art. 4 d.lgs. 231/2002: il quale prevede la stessa misura degli interessi moratori ma non contempla alcuna penale ex lege. La posizione del subfornitore conseguente anche a un singolo ritardo di pagamento è, dunque, più intensamente protetta di quella di ogni altra impresa commerciale. Una tale disparità di trattamento, che potrebbe sollevare qualche dubbio di legittimità costituzionale, ha dei riflessi anche sul discorso qui sviluppato poiché difficilmente, in caso di ritardo nell’a- dempimento da parte del committente, il rimedio risarcitorio conseguente all’applicazione dell’art. 9 l. subf. può trovare spazio. Si dovrebbe infatti dimostrare, attesa la funzione compensatoria della responsabilità civile, la sussistenza di un maggior danno rispetto a quello coperto dai sostanziosi interessi legali di mora (60) e, nel caso di ritardi superiori a trenta giorni, dalla penale ex lege.
Qualche spazio maggiore di utilità potrebbe invece profilarsi per l’im- presa non subfornitrice rispetto ai sistematici ritardi di pagamento della controparte debitrice. Qui la sola applicazione del d.lgs. 231/2002 importa esclusivamente la debenza di interessi legali di mora ma non la penale ex lege. Il risarcimento del danno ex art. 9 potrebbe pertanto coprire il danno differenziale patito dall’impresa creditrice a causa dei ritardi di pagamen- to. Anche in questo caso, tuttavia, un tale esito pare già raggiungibile per mezzo dell’art. 1224, c. 2.
(58) È in questo caso da escludere, per incompatibilità « ontologica », il rimedio della nullità, il quale non potrebbe certo appuntarsi contro un mero contegno omissivo qual è il ritardo, sia pur sistematico e reiterato. Il rimedio inibitorio, invece, dovrebbe esser volto a impedire, soprattutto in via cautelare, al debitore di ritardare artatamente il pagamento. Ma è facile intuire quanto sia scarsa l’efficacia di un provvedimento giudiziale del genere.
(59) Il plurale è d’obbligo, giacché è evidente che soltanto una pluralità di ritardi può integrare gli estremi di una violazione diffusa e reiterata.
(60) Ciò che porta ad affermare la compatibilità con l’art. 1224, c. 2, che esclude la risarcibilità del maggior danno per gli interessi convenzionali di mora.
Tanto rumore per nulla, probabilmente. A meno che — finalmen- te (61) — l’AGCM non prenda sul serio la sua competenza in materia di abusi di dipendenza economica e inizi a sanzionare, in via amministrativa, le imprese che sistematicamente, allo scopo di acquisire un vantaggio concorrenziale rispetto ai concorrenti che acquisiscono risorse finanziare attraverso i fisiologici canali di finanziamento interno o esterno, ritardano il pagamento delle proprie obbligazioni pecuniarie ai fornitori, confidando sulla scarsa propensione di questi ultimi a tutelare i propri diritti in costan- za di relazione commerciale.
5. L’adeguamento del corrispettivo; la nullità dello jus variandi e del recesso senza congruo preavviso.
A tutela dell’equilibrio economico raggiunto al momento della conclu- sione del contratto, l’art. 3, c. 5, l. subf., prevede il diritto del fornitore di ottenere, in ogni caso, un adeguamento del prezzo se ha sostenuto mag- giori costi in conseguenza di modifiche o varianti apportate su richiesta del committente. La disposizione va tuttavia coordinata con l’art. 6, c. 1, l. subf., che sancisce la nullità dei patti che consentono a una delle parti di modificare unilateralmente una o più clausole del contratto, aggiungendo però che sono valide le clausole che consentono al committente di preci- sare, con preavviso ed entro limiti temporali definiti, le quantità da pro- durre e i tempi di esecuzione della fornitura.
Si ritiene correttamente che il diritto all’adeguamento del corrispettivo ha natura inderogabile e opera pertanto anche nel silenzio delle parti sul punto (62). Va tuttavia chiarito qual è il suo concreto ambito di applicazio- ne e, in particolare, cosa si deve intendere per « significative modifiche e varianti ». Il quesito non è di agevole soluzione. Parte della dottrina, anche valorizzando la natura « transtipica » delle disposizioni dettate dalla l. subf., ha ritenuto applicabile il disposto dell’art. 1661, quanto meno rela- tivamente ai rapporti riconducibili al contratto d’appalto d’opera (63). La soluzione tuttavia convince poco. L’art. 1661 trova infatti ragione nello jus variandi riconosciuto ex lege all’appaltatore, il quale può apportare modifi- che purché nei limiti del sesto, ma, in questo caso, deve corrispondere all’appaltatore il compenso per i maggiori lavori eseguiti. Nella l. subf.,
(61) Ad oggi, scorrendo la banca dati dell’AGCM, non si rintracciano infatti istrutto- rie aperte ex art. 9, c. 3-bis, l. subf.
(62) Cfr. XXXXXXX, L’adeguamento del prezzo, in CUFFARO (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, cit., 154.
(63) Cfr. ALPA e LECCESE, Il contratto di subfornitura, in Tratt. Xxxxxxxx, XI, Utet, II ed., 2000, 249.
X.5.
CONTRATTI DI SUBFORNITURA
369
invece, al committente non compete alcuno jus variandi, neppure nei limiti del sesto del prezzo complessivo convenuto, come di desume a contrario dall’art. 6, c. 1, l. subf. per il quale le variazioni sono consentite soltanto se previamente pattuite e ogni patto contrario è nullo. Pertanto, non solo non si può richiamare l’art. 1661, dettato per un altro tipo normativo di pro- blema, ma si deve al contrario rilevare che, se un contratto di appalto dà vita a un rapporto di subfornitura, l’art. 1661 è derogato dalla norma speciale dettata dall’art. 6, c. 1, l. subf.
Deve allora ritenersi, da un lato, che le « modifiche e le varianti » sono quelle espressamente concordate, in costanza di rapporto, dalle parti, con pattuizione scritta (64); dall’altro, che siano « significative » quelle modifi- che e varianti « che comportino comunque incrementi dei costi », come richiesto testualmente dall’art. 3, c. 5, l. subf.
Una tale opzione interpretativa è densa di risvolti concreti. Se, per un verso, le « modifiche e le varianti » sono quelle espressamente concordate e se, per altro verso, in caso di modifiche e varianti significative deve sempre essere corrisposto un adeguamento di prezzo, ne segue logicamente che non è consentito alle parti rinegoziare il regolamento contrattuale preve- dendo un incremento della prestazione del subfornitore non accompagna- to da un incremento del corrispettivo dovuto. La disposizione, letta in questa luce, esibisce una forte istanza di protezione del subfornitore e si mostra consapevole delle modalità attraverso cui prendono corpo vessa- zioni e abusi nelle dinamiche concrete dei rapporti di subfornitura. Una tipica manifestazione di abuso — in un rapporto che tale è, tipologicamen- te, perché sussiste una dipendenza progettual-tecnologica e assai spesso economica di una parte nei confronti dell’altra — passa, infatti, per l’im- posizione di nuove clausole contrattuali che, pur dettando condizioni eco- nomiche più gravose, il subfornitore è costretto ad accettare pur di man- tenere in vita la relazione commerciale.
Per tutelare il subfornitore l’art. 3, c. 5, l. subf., dà dunque vita a un’obbligazione ex lege, che sorge per il mero fatto che siano state apportate
« modifiche o varianti significative », cioè tali da importare un aumento dei costi del subfornitore. In questo caso, anche se le parti hanno formalmente pattuito, in sede di accordi rinegoziativi, che tali modifiche e varianti devono apportarsi a corrispettivo invariato, sorge sempre un credito in
(64) Sarebbe infatti contraddittorio con lo spirito complessivo della legge — e, in particolare, con la forma protettiva prevista dall’art. 2, c. 1 — consentire una modifica orale delle condizioni contrattuali (fermo restando che, laddove ciò dovesse accadere, il subfor- nitore avrà comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede).
favore del subfornitore, che può essere fatto valere entro il termine ordi- nario di prescrizione (65).
Resta dunque da chiarire quale significato attribuire alla validità della clausola che consente al committente di precisare la quantità da produrre e i tempi di esecuzione della fornitura. La disposizione deve essere eviden- temente letta in combinato disposto con quella che prevede la nullità dello jus variandi sicché alla stessa non può che assegnarsi il significato di non escludere la validità delle clausole, assai frequenti nei rapporti di subfor- nitura perché coessenziali al tipo di operazione economica sottesa, che prevedono una naturale elasticità delle forniture per adeguarle alle varia- bili condizioni di mercato (66). I rapporti di subfornitura sono infatti disciplinati—e la legge è fedele specchio delle prassi di mercato (cfr. art. 2, c. 3, l. subf.) — da contratti quadro, cui seguono distinti contratti esecutivi. Le clausole in questione sono, dunque, le clausole contenute nei contratti quadro, i quali non specificano in anticipo la quantità di beni o servizi che il subfornitore si impegna a consegnare o prestare al commit- tente, ma devono prevedere — come testualmente disposto dall’art. 6, c. 1, ult. parte, l. subf. — i termini entro i quali il committente può disporre l’ordinativo e il subfornitore deve « evaderlo ». Con questa disposizione la legge disciplina pertanto un fenomeno non riconducibile allo jus variandi in senso stretto (67). In questa fattispecie non v’è tecnicamente alcuna modificazione unilaterale del contenuto del contratto (quadro); v’è, invece, mera attuazione dello stesso, secondo i canoni comportamentali concorda- ti tra le parti. Poiché « il prezzo dei beni o servizi oggetto del contratto deve essere determinato in modo chiaro e preciso, tale da non ingenerare incertezze nell’interpretazione dell’entità delle reciproche prestazioni e nell’esecuzione del contratto », l’art. 6, c. 1, ult. parte, l. subf., induce a ritenere che nei contratti quadro che regolano i rapporti di subfornitura possono bensì (e in coerenza con la funzione economica assolta dal con-
(65) Il termine decennale di prescrizione correrà in costanza di rapporto contrattua- le, giusta l’assenza di una disposizione, che si sarebbe rivelata probabilmente opportuna, di sospensione dei termini prescrizionali. Il termine è comunque sufficientemente lungo da consentire, di regola, al subfornitore di tutelare il proprio credito anche dopo la termina- zione del rapporto e dovrebbe peraltro decorrere non dal momento in cui la modifica o la variante è stata concordata, ma giusta il tenore letterale dell’art. 3, c. 5, l. subf., dal momento in cui è stata « apportata », cioè concretamente eseguita.
(66) Queste clausole si incontreranno normalmente, ma non esclusivamente, nelle subforniture di capacità, che ricorrono — come si è visto — proprio per fronteggiare aumenti contingenti della domanda di mercato.
(67) Il quale designa il potere legale o convenzionale di modificare unilateralmente il contenuto di un contratto di durata o ad esecuzione differita: cfr. PAGLIANTINI, Modifica- zione unilaterale del contratto (diritto civile), in Enc. Dir., Xxxxxx, VI, Xxxxxxx, 2013, ad vocem.
tratto) essere inserite clausole che prevedono una successiva determinazio- ne dell’entità della prestazione, purché siano preventivamente disciplinati i criteri per specificare le reciproche obbligazioni di committente e subfor- nitore.
L’art. 6, c. 2, l. subf., dispone la nullità del patto che attribuisce ad una delle parti (68) la facoltà di recesso senza congruo preavviso. La norma si spiega sull’esigenza di accordare al subfornitore, che tale è perché in posizione di dipendenza progettual-tecnologica e spesso economica nei confronti del committente, un periodo di tempo sufficiente a recuperare gli investimenti specifici effettuati per eseguire le prestazioni dedotte in contratto. È evidente il nesso tra questa disposizione e il divieto di abuso di dipendenza economica di cui all’art. 9 l. subf., che esprime — come si dirà
— una regola di stabilità del contratto per una durata almeno pari al tempo necessario per recuperare gli investimenti effettuati. La possibilità per il committente di recedere ad nutum dal contratto si traduce sempre, per il subfornitore, in un’ulteriore forma di soggezione. Considerata la nullità, ex art. 6, c. 1, l. subf., delle clausole contrattuali che prevedono lo jus variandi, il committente metterà infatti il subfornitore di fronte all’alternativa tra accettare condizioni peggiorative del rapporto formalmente concordate o subire il recesso. Privo di alternative soddisfacenti di mercato a cagione degli investimenti specifici dedicati al committente, il subfornitore presterà di regola il suo formale consenso a modificazioni peggiorative delle condi- zioni economiche o regolamentari del contratto. Una tale situazione può però evitarsi assegnando all’aggettivo « congruo » — ricorrente nel corpo dell’art. 6, c. 2, l. subf. — il significato di tempo utile per ammortizzare gli investimenti effettuati, secondo una regola puntualmente espressa dal legislatore nella contigua materia dell’affiliazione commerciale (cfr. art. 3, c. 2, l. 131/2004) (69).
6. La disciplina dell’interposizione e la responsabilità del subfornitore.
Sotto l’equivoca rubrica divieto di interposizione, l’art. 4 l. subf. disci- plina, in realtà, le modalità e i limiti dell’affidamento da parte del fornitore di una parte del bene o del servizio commissionatogli ad altra impresa fornitrice. A dispetto della rubrica, l’articolo in commento garantisce però un’ampia libertà di manovra al fornitore, dettando anche in questo caso una norma che deroga, in melius, all’art. 1656, il quale troverebbe altrimen-
(68) Con inciso pleonastico la disposizione citata aggiunge: « di un contratto ad esecuzione continuata o periodica ».
(69) Su cui x. XXXX, Il contratto di franchising, ESI, 2012, 117 ss.
ti applicazione tutte le volte in cui il contratto sotteso al rapporto di subfornitura fosse un appalto. Se si applicasse l’art. 1656 sarebbe escluso in radice il diritto del subfornitore di delegare autonomamente parte della produzione del bene o del servizio ad altra impresa. L’art. 4 l. subf., peraltro, non solo consente la delega di parte della produzione in assenza di preventivo consenso da parte del committente fino alla consistente quota del 50% dell’opera o del servizio, ma prevede anche la possibilità di delegare quote maggiori nel caso di consenso del committente. In una tale evenienza, soprattutto se il subfornitore, sia pur con il consenso del com- mittente, delega quote assai consistenti di attività, sorge però il quesito relativo al limite oltre il quale la delega di produzione snatura la qualità di subfornitore dell’impresa delegante, privandola dei requisiti tipologici ri- chiesti dall’art. 1 l. subf. Non pare infatti sostenibile l’idea che un’impresa che deleghi la gran parte della produzione dell’opera o del servizio com- missionatale, sia pur dietro direttive tecniche o fornitura di prototipi da parte del committente, possa comunque qualificarsi subfornitrice e gode- re, per conseguenza, della particolare protezione offerta dalla l. subf. In simili situazioni — in cui il primo subfornitore si atteggia sostanzialmente quale intermediario nella produzione, più che come subfornitore in senso stretto — le tutele previste dalla legge si dirigono esclusivamente verso le imprese sub-subfornitrici, uniche parti in una situazione di reale dipen- denza progettual-tecnologica.
Questa disciplina è peraltro latrice di significativi spunti interpretativi,
poiché accordando un tale favore verso ulteriori forme di decentramento produttivo, lascia intendere che, nell’idea del legislatore, il subfornitore non è necessariamente un’impresa talmente piccola da non avere altre relazioni di mercato diverse da quella con il committente. Il legislatore ha invece preso atto della ricorrenza fattuale per cui in certi contesti produt- tivi si realizzano forme di cosiddetta subfornitura a cascata. Con una disposizione di cui è facile intendere la ragione giustificativa ha tuttavia previsto, all’art. 4, c. 3, che al rapporto tra il fornitore ed il suo subfornitore si applichi interamente la l. subf. senza necessità di accertare la dipendenza progettuale tecnologica: la quale è, evidentemente, oggetto di una presun- zione assoluta. La subfornitura a cascata non è impermeabile alla regola- mentazione della subfornitura principale. È, infatti, previsto che i termini di pagamento non possano essere peggiorativi rispetto a quelli del rappor- to principale.
L’art. 4, c. 2, l. subf., prevede che gli accordi con cui il subfornitore
affida ad altra impresa l’esecuzione delle proprie prestazioni per una quota superiore alla metà o alla maggiore percentuale espressamente convenuta sono nulli. Si è giustamente fatto notare che tale nullità pregiudica soprat- tutto gli interessi dell’anello più debole della catena, vale a dire del sub-
subfornitore, il quale potrebbe anche ignorare quale sia l’effettivo oggetto del contratto principale. Anche in questo caso, tuttavia, si potrebbe invo- care l’art. 2, c. 1, l. subf., che consentirebbe di mantenere comunque il diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto. L’osta- colo a tale estensione è tuttavia frapposto dalla diversa fattispecie di riferi- mento: la disposizione appena richiamata ha un ambito oggettivo di appli- cazione limitato al caso della nullità del contratto di subfornitura stipulato in forma orale e dunque a un caso di nullità diverso dalla causa di nullità di cui all’art. 4, c. 2, l. subf. In ogni caso, però, a tutela delle ragioni del sub-subfornitore, soccorre il disposto dell’art. 1338, poiché è difficilmente contestabile che il subfornitore delegante non conoscesse la causa di inva- lidità del contratto: in questo caso, peraltro, lo stesso art. 2, c. 1, l. subf., potrebbe offrire un utile ausilio per la quantificazione del danno, parame- trabile proprio con riferimento al corrispettivo pattuito per le forniture effettuate.
Con una disposizione che tradisce la natura pratica dei problemi tipi-
camente sollevati dai contratti del decentramento produttivo, l’art. 5, c. 1,
l. subf., prevede che il subfornitore risponde del funzionamento e della qualità della parte o dell’assemblaggio da lui prodotti o del servizio fornito secondo le prescrizioni contrattuali regolate a regola d’arte. La disposizio- ne in commento non fa che stabilire una ovvia regola di responsabilità contrattuale in capo al fornitore che non esegua, ex art. 1218, esattamente la prestazione dovuta, ovverosia con la diligenza richiesta al debitore pro- fessionale (art. 1176, c. 2).
Ben più interessante è la norma dettata dall’art. 5, c. 2, l. subf., secondo cui « il subfornitore non può essere ritenuto responsabile per difetti di materiali o attrezzi fornitigli dal committente per l’esecuzione del contrat- to, purché li abbia tempestivamente segnalati committente ». Questa di- sposizione sembra una applicazione alla concreta dinamica dei rapporti di subfornitura della regola generale dettata dall’art. 1227, c. 2: ed infatti il risarcimento — normale conseguenza della responsabilità — non è dovuto per i danni che il committente avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, ovverosia, nel caso concreto, fornendo materiali o attrezzi pre- viamente controllati e verificati. Tuttavia, posto che i materiali e gli attrezzi entrano a far parte del ciclo produttivo del fornitore, occorre, perché la regola generale dettata dall’art. 1227, c. 2, operi, che il fornitore abbia prontamente denunziato i difetti. La disposizione sembra dunque evocare una causa di decadenza senza tuttavia stabilire un termine certo entro il quale la denunzia deve operare. Ci si potrebbe chiedere, pertanto, se non sia estensibile al caso in esame la disciplina dettata, in punto di onere di denunzia, in materia di vizi della cosa venduta: se così fosse il fornitore non
potrebbe essere tenuto indenne da responsabilità nel caso in cui non abbia denunciato entro otto giorni dalla scoperta i vizi e le difformità dei mate- riali e degli attrezzi consegnatigli dal committente.
L’art. 5, c. 3, l. subf., infine, non consente di derogare pattiziamente ai precedenti cc. 1 e 2. Una lettura testuale di questa disposizione induce a ritenere nulle anche le clausole di esonero da responsabilità per colpa lieve, altrimenti consentite dalla regola generale dettata dall’art. 1229. È evidente che tale soluzione — probabilmente contraria all’intenzione del legislatore storico — non giova al subfornitore, che troverebbe maggior tutela nella pattuizione della clausola di esonero da responsabilità.
7. La conciliazione e l’arbitrato.
L’art. 10, c. 1, l. subf. prevede una condizione di procedibilità delle controversie, subordinandole al previo esperimento di un tentativo obbli- gatorio di conciliazione presso le camera di commercio nel cui territorio ha sede l’impresa subfornitrice (70). La disposizione mira all’evidenza, in linea con gli obiettivi delle c.d. ADR, a semplificare il processo di compo- sizione dei conflitti in atto tra le parti di un rapporto contrattuale di durata in cui gioca un ruolo determinante la fiducia. Essa solleva, però, più d’un problema interpretativo.
In linea generale non è chiaro quale sia l’ambito oggettivo di applica- zione della disposizione. Al riguardo sono sostenibili due tesi. Una prima, di natura estensiva, ritiene che il tentativo obbligatorio di conciliazione deve esperirsi per tutte le controversie che trovano origine in rapporti riconducibili all’art. 1 l. subf. Una seconda tesi, di natura restrittiva, ritiene che il tentativo obbligatorio di conciliazione deve esperirsi soltanto per le controversie, ex art. 5 l. subf., inerenti all’esecuzione della subfornitura e, in particolare, alla qualità del prodotto o del servizio fornito dal subforni- tore.
La parte maggioritaria della giurisprudenza di merito ritiene che il tentativo di conciliazione va obbligatoriamente esperito prima di ogni controversia che investa rapporti di subfornitura, anche non relativa all’i- nadempimento del subfornitore. Una parte minoritaria della giurispru- denza di merito, argomentando dalla lettera della legge, che, all’art. 10, c. 1, dispone che il tentativo debba essere esperito « entro trenta giorni dalla
(70) L’art. 10, c. 2, l. subf., prevede inoltre che se le parti non conciliano entro trenta giorni, possono comunque accordarsi per deferire la controversia a una commissione arbitrale (istituita o presso la stessa camera di commercio innanzi alla quale si è svolto il tentativo di conciliazione, ovvero, in mancanza, presso altra commissione arbitrale sempre istituita presso altra camera di commercio).
X.7.
CONTRATTI DI SUBFORNITURA
375
scadenza del termine di cui all’art. 5, c. 4 », ha invece ritenuto che le uniche controversie improcedibili senza previo tentativo di conciliazione sono quelle relative all’inadempimento del subfornitore rispetto alle obbligazio- ni assunte (71).
Se si ritiene che la condizione di procedibilità investe tutte le contro- versie in materia di subfornitura sorge anche il problema se il tentativo di conciliazione deve essere esperito quando il subfornitore richieda l’emis- sione di provvedimenti cautelari o di decreti ingiuntivi; nonché se la conciliazione va tentata prima del giudizio di opposizione. Una parte minoritaria della giurisprudenza ha ritenuto obbligatorio il previo tenta- tivo di conciliazione anche prima dell’emissione di un decreto ingiunti- vo (72). L’indirizzo prevalente (73), suffragato pure dalla giurisprudenza costituzionale (74), argomentando dall’art. 3, c. 4, l. subf. (75), ha però ritenuto non necessario il previo esperimento del tentativo di conciliazione in caso di ricorso per decreto ingiuntivo (76). In particolare la Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costi- tuzionalità sollevata dalla giurisprudenza di merito (77), osservando che la disposizione « apprestando una tutela particolarmente intensa ai crediti dei subfornitori, con la previsione dell’ingiunzione di pagamento provvi- soriamente esecutiva, mostra all’evidenza di risolvere non irragionevol- mente in favore di una sollecita realizzazione delle pretese di tali soggetti (alla quale è funzionale il processo monitorio) la valutazione di bilancia- mento con l’esigenza di apprestare uno strumento di composizione tran- sattiva delle relative controversie ».
(71) T. Teramo, ord. 4.2.2010, in Xxxxxx Xxxxxxx.
(72) X. Xxxx, ord. 20.5.2002, in Foro it., 2002, I, 3208, con nota di XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica: dal « caso limite » alla drastica riduzione dei casi di divieto?, in un caso di abuso di dipendenza economica che traeva origine da un rapporto di subfornitura.
(73) A partire da T. Udine, ord. 27.4.2001, in Foro it., 2001, I, 2677.
(74) X. xxxx., xxx. 0.0.0000, x. 000, xx Xxxx xx., 2005, I, 666, con nota di XXXXXXXX,
Subfornitura tra questioni di costituzionalità e difficoltà applicative.
(75) Che consente di ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo allegando soltanto « la mancata corresponsione del prezzo entro i termini pattuiti ».
(76) In dottrina questa tesi era stata argomentata da MONTICELLI, Tutela del credito del subfornitore e procedimento monitorio, cit., in critica a CUFFARO, La disciplina delle controversie, in CUFFARO (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, Jovene, 1998, 367 ss., che, al contrario, propendeva per il necessario tentativo di conciliazione precedente al ricorso per decreto ingiuntivo. Perplessità su quest’esito interpretativo sono invece manifestate da X. XXXXXXXXX, Le camere di commercio e la conciliazione delle controversie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 962 ss.
(77) T. Xxxxxx, ord. 11.12.2002, in Giur. mer., 2003, 1739, con nota di SOTIRA, Il
tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di subfornitura ai sensi dell’art. 10 legge n. 192 del 1998.
L’indirizzo prevalente convince per due ragioni: su un piano generale, per- ché è evidente che le ragioni d’urgenza sono per natura incompatibili con l’e- sperimento di un tentativo di composizione bonaria della controversia; sul pia- no positivo perché collima con quanto oggi affermato dall’art. 5, c. 3, d.lgs. 28/ 2010, il quale espressamente dispone che « lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale ».
La giurisprudenza prevalente ritiene pure non obbligatorio il tentativo di conciliazione prima del giudizio di opposizione, poiché l’azione eserci- tata dall’ingiunto apre una fase eventuale in cui le argomentazioni dell’at- tore riguardano sostanzialmente eccezioni di carattere impeditivo delle pretese azionate con il decreto ingiuntivo opposto (78). La dottrina, diver- samente, ha proposto di distinguere tra giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in cui l’ingiunto sollevi mere eccezioni o spieghi anche doman- de riconvenzionali, suggerendo di escludere il tentativo obbligatorio di conciliazione per il primo caso e di ritenerlo invece dovuto per il secondo caso (79).
Un’isolata pronuncia della giurisprudenza di merito ha, infine, ritenu- to improcedibile, in assenza di tentativo di conciliazione, la domanda di sequestro conservativo spiegata dal subfornitore nel corso della causa di opposizione a decreto ingiuntivo attivata dal committente cui era stato ingiunto il pagamento dei corrispettivi dovuti (80). Quest’orientamento merita, però, di essere criticato per le stesse ragioni già addotte circa l’inopportunità del tentativo obbligatorio di conciliazione precedente alla domanda di provvedimenti d’urgenza o cautelari.
(78) Così, infatti, T. Belluno, ord. 4.11.2009, in Foro it., 2010, I, 692, con nota redazionale di MAJORANO; T. Biella, ord. 17.1.2006, in Giur. it., 2006, 2122; X. Xxxx, ord. 7.12.2004, in Xxxxxx Xxxxxxx.
(79) XXXXXXXXXX, Tutela del credito del subfornitore e procedimento monitorio, cit.
(80) T. Udine, ord. 27.4.2001, cit.