Registrazione contratto di affitto agrario.
Registrazione contratto di affitto agrario.
Interpretazione dell’atto
Cass. Sez. Trib. 15 marzo 2021, n. 7157 - Chindemi, pres.; Balsamo, est. - Agenzia delle Entrate (Avv. gen. Stato) c. GVM, Società agricola s.r.l. unipersonale (avv. Richiello). (Conferma Comm. trib. reg. Firenze 26 ottobre 2015)
Imposte e tasse - Imposta di registro - Affitto di fondo rustico - Comunione ereditaria - Eredi di titolare di azienda agricola privi della qualifica di IAP - Affitto agrario ex legge n. 203/1982 del fondo a società IAP - Atto registrato ai sensi dell’art. 5, Tariffa, parte I, del d.p.r. n. 131/1986 - Opposizione dell’Ufficio - Atto a contenuto patrimoniale - Interpretazione del contratto ex art. 20 della legge di registro - Escluso intento elusivo.
Fermo restando il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, con l’art. 1, comma 87, della legge n. 205/2017 è stato significati- vamente ristretto l’oggetto dell’interpretazione negoziale al solo atto presentato alla registrazione ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili; non rilevando quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali.
(Omissis)
FATTO
1. La Comunione ereditaria «eredi Ficulle Xxxxx» e la società Agricola G.V.M. s.r.l. unipersonale stipulavano - in data 31 dicembre 2020 - un contratto di affitto di fondo agricolo per la durata di anni otto, applicando l’imposta di registro nella misura dell’0,50 per cento in base all’art. 5, comma 1, lett. a) della Tariffa allegata al d.p.r. n. 131 del 1986. L’Agenzia delle Entrate notificava il 10 e 11 luglio 2012 avvisi di accertamento e liquidazione della maggiore imposta di registro, sul presupposto che si trattava di affitto di azienda esente da IVA a cui andava applicata l’imposta di registro proporzionale e che anche per gli allegati all’atto era dovuto il pagamento dell’imposta di bollo per la somma di Euro 2.163,78.
Gli eredi Ficulle Xxxxx e la società agricola impugnavano gli avvisi sul presupposto che, deceduto il titolare dell’azienda agricola, non possedendo gli eredi la qualifica di imprenditori agricoli professionali, erano costretti a concedere alla società GVM l’affitto agrario ex legge n. 203 del 1982.
La C.T.P. di Grosseto accoglieva il ricorso con sentenza che veniva appellata dall’Agenzia delle Entrate.
La C.T.R. della Toscana, nel respingere il gravame dell’Ufficio, affermava la tempestività del ricorso proposto dai contribuenti tenuto conto della sospensione, legge n. 218 del 1997, ex art. 6, commi 2 e 3 dei termini per l’impugnazione di cui al comma 2; nel merito, il giudicante affermava che nell’individuare la natura del contratto concluso occorreva indagare la comune intenzione delle parti contraenti, i quali dopo il decesso de cuius, in assenza dei requisiti necessari per proseguire l’attività, erano stati costretti a rivolgersi ad un imprenditore agricolo per la prosecuzione dell’attività; con ciò sostenendo che gli eredi avevano agito in buona fede senza alcun scopo elusivo o di frode al fisco, tant’è che l’impresa era iscritta alla camera di commercio quale piccola impresa agricola; che gli eredi non erano in possesso dei requisiti soggettivi; che l’imprenditore agricolo subentrato nel possesso possedeva detti requisiti.
Avverso la sentenza n. 1882/5/15, depositata il 26 ottobre 2015, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. La società G.V.M. S.R.L. unipersonale società agricola resiste con controricorso e memorie difensive ex art. 380 bis. c.p.c.
DIRITTO
2. Preliminarmente, si rileva che l’omessa notifica del ricorso alla comunione ereditaria non impone l’integrazione del contraddittorio, alla luce del principio reiteratamente affermato da questa Corte secondo il quale «il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effettì. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione dei giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia
dell’effettività dei diritti processuali delle parti» (Cass. n. 12515/2018; n. 8980/2020).
3. La ricorrente lamenta la violazione del d.lgs. n. 218 del 1997, art. 6, commi 1 e 2 e del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21 per avere il decidente applicato la sospensione dei termini di cui al cit. art. 6 anche ad atti, come quello di liquidazione dell’imposta di registro, la cui natura non è accertativa e non presuppone margini di discussione e confronto. Trattandosi di atto di mera liquidazione dell’imposta di registro, dove si contrappongono due diverse interpretazioni del negozio giuridico registrato, secondo l’ente finanziario non troverebbe applicazione l’istituto dell’accertamento con adesione e conseguentemente neppure il disposto dell’art. 6 cit. che sterilizza per novanta giorni il termine d’impugnazione, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, l’avviso di accertamento, in assenza di tempestiva impugnazione, diviene definitivo, ciò in quanto, a norma del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 6 e 12 soltanto all’atto del perfezionamento della definizione l’avviso perde efficacia (Cass. n. 3368 del 2012), secondo un meccanismo non dissimile da quello per il normale consolidamento del silenzio-rifiuto (legge n. 241 del 1990, art. 2; art. 21 proc. trib.), il che rende coerente con l’ordinamento generale considerare tacitamente rigettata l’istanza di accertamento con adesione, una volta che sia spirato quel termine dalla presentazione della istanza senza che l’Ufficio abbia risposto (Cass. n. 993 del 21 gennaio 2015; Cass. n. 15401 del 21 giugno 2017).
4. Can la seconda censura, che reca violazione degli artt. 20 e 40, art. 5, comma 1, lett. a) e art. 9 della Tariffa allagata al d.p.r.
n. 131 del 1986, nonché del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 8 si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice d’appello non ha considerato che l’imposta di registro è una tipica imposta d’atto regolata dalla legge in relazione all’oggettiva sussistenza di un atto giuridico da interpretare ed intendere secondo l’intrinseca natura e lo specifico contenuto dell’atto stesso.
Alla stregua dell’art. 20 cit., l’imposta è applicata secondo la natura intrinseca e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente, imponendo all’interprete di considerare la reale natura dell’atto, invocando i principi affermati da questa Corte che ha dato preminenza alla causa reale del contratto nella individuazione della natura imponibile.
Argomenta la ricorrente che la C.T.R. non ha considerato la volontà delle parti di affittare l’azienda, inferibile dall’inventario dei beni esistenti sul fondo, delle scorte morte, delle attrezzature e dei macchinari, delle cambiali agrarie e dei finanziamenti in atto, circostanze queste che denotano la volontà di affittare l’azienda e non il mero fondo agricolo, avendo i contraenti individuato l’oggetto dell’affitto nel complesso aziendale costituito da una molteplicità di elementi correlati da vincoli di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un fine produttivo.
5. La prima censura è destituita di fondamento.
Com’è noto, l’accertamento con adesione è l’istituto deflattivo, che permette al contribuente di definire un rapporto tributario controverso, riguardante le imposte dirette e indirette (d.lgs. n. 218 del 1997, art. 1, comma 1: imposte sui redditi ed imposta sul valore aggiunto, comma 2: imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria e catastale, INVIM), mediante il contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, e tuttavia sono esclusi dall’ambito di operatività di detto istituto gli atti espressivi di sole sanzioni (cfr. però Cass. n. 18377/2015), gli avvisi di liquidazione delle imposte e gli avvisi di liquidazione delle dichiarazioni, atti che sono oggettivamente fuori dal perimetro di applicazione della «adesione» del contribuente.
L’avviso di liquidazione dedotto in lite, relativo alla diversa interpretazione del negozio sottoposto a registrazione, con conseguente applicazione dell’imposta proporzionale di registro, costituisce autonomo esercizio del potere impositivo (mediante avviso di accertamento o di rettifica), suscettibile appunto della «adesione» del contribuente.
6. Parimenti non merita accoglimento il secondo motivo di ricorso.
Il dato normativo di partenza, quello sul quale si è poggiato l’avviso opposto, è costituito dal d.p.r. n. 131 del 1986, previgente art. 20 (Testo Unico imposta di registro): «Interpretazione degli atti. 1. L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente». La legge di bilancio previsionale per l’anno 2018 [legge n. 205 del 1917, art. 1, comma 87, lett. a)] è intervenuta su questa norma, la quale trova oggi una più circoscritta definizione: «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesi o, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». Fermo restando il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo in questione ha significativamente ristretto l’oggetto dell’interpretazione negoziale al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili; non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali.
Quanto all’efficacia temporale di quest’ultima disposizione (se applicabile solo per il futuro, ovvero anche agli atti registrati
prima della sua entrata in vigore ed ancora in corso di accertamento o sub judice), questa corte di legittimità ha maturato, nel corso del 2018, un monolitico orientamento in questo senso: «in tema di imposta di registro, la legge n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), modificativo del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 20 con effetto dal 10 gennaio 2018, non ha natura interpretativa, ma innovativa, in quanto introduce limiti all’attività di riqualificazione della fattispecie precedentemente non previsti: ne deriva che tale disposizione non ha efficacia retroattiva e, pertanto, gli atti antecedenti alla data della entrata in vigore della stessa continuano ad essere assoggettati all’imposta secondo la disciplina contemplata dal d.p.r. n. 131 del 1986, detto art. 20 nella previgente formulazione» (Cass. 2007/18; così Xxxx. nn. 4407/18; 5748/18; 7637/18; 8619/18; 13610/18 ed altre).
Tuttavia, il legislatore è nuovamente intervenuto con la legge di bilancio previsionale per l’anno 2019, stabilendo (legge n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084) che: «La l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del Testo Unico di cui al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1». Si tratta di disposizione con la quale il legislatore ha palesato la volontà di attribuire portata retroattiva alla formulazione dell’art. 20 risultante dalla legge di bilancio 2018, quale effetto normalmente riconducibile alla norma di interpretazione autentica ed alla sua natura prettamente dichiarativa di un significato fin dall’inizio contenuto nella norma interpretata. Interpretazione confermata anche dall’arresto delle Sez. Un. n. 18520/2019.
Secondo le Sez. Un., la rilevanza del collegamento fra le singole pattuizioni valorizzata in seno al primo orientamento si dovrebbe ritenere esclusa in base al testo recentemente novellato del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 20 in virtù del quale l’imposta di registro va «(...) applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» [la l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), vi ha aggiunto le parole da «sulla base» in poi], e alla retroattività della novella, scaturente dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, secondo cui «La l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del Testo Unico di cui al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1».
Sulla legittimità costituzionale dell’art. 20 cit. è intervenuta, poi, la Corte costituzionale con decisione n. 158/2020 (questione sollevata con ordinanza di questa Corte n. 23549/2019), secondo la quale il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di "imposta d’atto" dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal Testo Unico. In tal modo risulta rispettata la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, coerenza sulla cui verifica verte il giudizio di legittimità costituzionale (su tale esigenza, ex multis, sentenze n. 10 del 2015, n. 116 del 2013, n. 223 del 2012 e n. 111 del 1997). Con la conseguenza che, come ha anche dedotto l’ente finanziario, non essendo stato contestato ai contraenti l’intento elusivo, ma una diversa qualificazione giuridica del negozio posto in essere, in contrasto con il disposto dell’art. 20 come novellato, detta censura deve essere disattesa.
7. In conclusione, il ricorso va respinto.
In considerazione dello jus superveniens rispetto alla data di deposito della sentenza di appello e dell’intervento delle Sez. Un., sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
(Omissis)
Registrazione contratto di affitto agrario.
Interpretazione dell’atto
La legge n. 203/1982, recante norme sui contratti agrari, è finalizzata ad assicurare la continuità della coltivazione e conduzione del fondo, prevedendo una durata contrattuale non inferiore a quindici anni e non superiore a trenta in caso di stipula senza assistenza sindacale delle parti.
L’arco temporale di quindici anni, ritenuto «minimo» ai fini della durata del contratto di affitto agrario, risponde alla necessità, rispetto alle altre locazioni immobiliari più brevi, di poter organizzare l’attività sulla base previsionale degli ammortamenti dei fattori della produzione. La coltivazione del terreno agri- colo è condizionata da varie fasi (semina, raccolta dei prodotti, ed altro) che implicano ovviamente un’adeguata programmazione da parte del conduttore del fondo.
La stessa legge consente tuttavia di derogare validamente alle relative disposizioni quando il contratto è stipulato dalle parti con l’assistenza delle organizzazioni professionali agricole dove risultano iscritti il proprietario e l’affittuario1. Cosicché è possibile stipulare contratti di affitto agrario di durata inferiore a quindici anni a condizione che tale periodo sia in grado di garantire il completamento del ciclo biologico di una determinata coltura che si vuole praticare nel terreno oggetto di contratto.
Unica eccezione è quella della locazione di terreni montani con finalità di alpeggio o di terreni agricoli ubicati nelle comunità montane la cui durata dell’affitto può essere ridotta a sei anni.
La continuità della conduzione e coltivazione del fondo può esplicarsi anche nel caso di morte del pro- prietario di fondi rustici da lui condotti o coltivati direttamente anche tramite il contributo dei suoi fami- liari. L’art. 49 della legge citata dispone, infatti, che quelli tra gli eredi che, al momento dell’apertura della successione, risultino avere esercitato e continuino ad esercitare sul terreno l’attività agricola, in qualità di IAP2 o di coltivatori diretti, hanno diritto a continuare nell’attività medesima anche per le porzioni ricom- prese nelle quote degli altri coeredi e sono considerati affittuari di esse.
La norma, al pari di altre (ad esempio: patto di famiglia con le debite eccezioni)3, tende ad assicurare la stabilità ed integrità aziendale mediante il trasferimento del patrimonio fondiario agli eredi agricoltori.
Può verificarsi però che questi ultimi non siano in possesso dei requisiti richiesti dalla legge, privi cioè della qualifica di coltivatore diretto o IAP, per cui, non avendo le necessarie capacità per proseguire l’attività, siano costretti a rivolgersi ad un imprenditore agricolo (IAP) per la prosecuzione della condu- zione dei fondi stipulando un contratto di affitto agrario ai sensi della legge n. 203/1982.
Il caso di specie è quello di cui si è occupata la Cassazione con l’ordinanza n. 7157 del 15 marzo 2021, in epigrafe, a seguito del contenzioso sorto fra una comunione ereditaria e l’Ufficio dell’Agenzia delle En- trate.
1 L’art. 45 della legge n. 203/1982 prevede che «sono validi tra le parti, anche in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari, gli accordi, anche non aventi natura transattiva, stipulati tra le parti stesse in materia di contratti agrari con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organiz- zazioni provinciali, e le transazioni stipulate davanti al giudice competente».
2 Con l’art. 1, comma 515, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) è stato aggiunto un ulteriore comma all’art. 7 della
l. 3 maggio 1982, n. 203 disponendo che i contratti di affitto di fondi rustici si applicano anche agli imprenditori agricoli professionali (IAP) purché iscritti nella previdenza agricola.
3 Il «patto di famiglia» è stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 2 della legge n. 55/2006. Sebbene inserito nell’ambito delle successioni, va comunque inteso quale «atto tra vivi» traslativo, ad efficacia reale e necessariamente gratuito (Agenzia delle Entrate, circolare n. 3/E/2008). La finalità di questo nuovo contratto tipico, che deve essere stipulato, a pena di nullità, nelle forme dell’atto pubblico, è quella di agevolare il trasferimento, all’interno del nucleo familiare, al quale già appartengano, aziende o partecipazioni societarie. Consente, quindi, di anticipare, per tale tipologia di beni, gli effetti stessi della successione, mediante la loro immediata attribuzione al discendente che, fra tutti, è ritenuto maggiormente idoneo a garantire la continuità generazionale dell’impresa familiare; al contempo prevenendo future liti divisionali e di riduzione tra coeredi.
Il contratto d’affitto, stipulato nell’anno 2012, con il quale gli eredi del de cuius avevano locato il fondo ad una società agricola (IAP), per la durata di otto anni (si presume mediante patti in deroga), era stato regolarmente registrato dai medesimi applicando l’imposta di registro nella misura dello 0,50 per cento in base a quanto previsto dall’art. 5, Tariffa, parte I, del d.p.r. n. 131/1986 (Testo Unico dell’imposta di registro - T.U.R.).
Di diverso avviso l’Amministrazione finanziaria la quale riteneva che, essendo un atto esente da IVA, si dovesse applicare, nello specifico, l’imposta di registro proporzionale con l’aliquota del 3 per cento (art. 9 della Tariffa, parte I, del T.U.R.) nonché l’imposta di bollo per gli allegati.
Per l’Ufficio si trattava, quindi, di un atto riguardante prestazioni a contenuto patrimoniale posto che la volontà delle parti, emergente dal contratto, non era quella di affittare il fondo bensì l’intero complesso aziendale. Tale valutazione era suffragata dal fatto che l’inventario dei beni esistenti sul fondo evidenziava la presenza di scorte morte, attrezzature, macchinari, cambiali agrarie nonché i finanziamenti in corso; beni correlati da vincoli di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un fine produt- tivo.
A questo proposito, va detto che l’affitto d’azienda è soggetto ad IVA e, in attuazione del principio di alternatività IVA/registro, ad imposta di registro in misura fissa se posto in essere da «imprenditori» nell’esercizio dell’impresa. Diversamente, esula dal campo applicativo dell’IVA ed è soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale4. L’affitto di azienda agricola rientra nel regime di esenzione dell’im- posta sul valore aggiunto (IVA), previsto dall’art. 10, comma 1, n. 8, del d.p.r. n. 633/1972, per cui risulta assoggettato all’imposta di registro in misura proporzionale; non si applica cioè l’art. 40 del d.p.r. n. 131/1986 il quale prevede l’alternatività fra IVA e imposta di registro.
Nella fattispecie, le parti avevano individuato l’oggetto dell’affitto nel complesso dei beni attinenti il fondo; tale comportamento denotava la volontà manifesta di affittare l’intera azienda e non il mero fondo agricolo.
Di conseguenza, erano stati notificati alle parti (eredi e società agricola IAP) distinti avvisi di accertamento e liquidazione della maggiore imposta di registro.
Gli interessati impugnavano gli avvisi ribadendo che, essendo deceduto il titolare dell’azienda agricola, gli aventi causa, privi della qualifica di imprenditori agricoli professionali (IAP), si erano trovati nella neces- sità di concedere alla società agricola l’affitto agrario del fondo (ex legge n. 203/1982) per la prosecuzione dell’attività medesima, soddisfacendo così quanto richiesto dalla legge sull’affitto agrario; avevano, quindi, agito in buona fede senza alcun intento elusivo o di frode al fisco, tant’è che l’impresa risultava iscritta alla Camera di commercio con la qualifica suddetta di IAP.
Entrambe le Commissioni tributarie (provinciale e regionale) si erano pronunciate a favore delle parti accogliendo il ricorso e respingendo poi l’appello dell’Agenzia delle Entrate.
Quest’ultima ricorreva per Cassazione sostenendo che erano state disattese le seguenti disposizioni del T.U.R.: artt. 20 e 40, art. 5, comma 1, lett. a) e art. 9 della Tariffa, parte I, nonché art. 10, comma 1, n. 8, del d.p.r n. 633/1972, in materia di IVA.
Per l’Amministrazione finanziaria la C.T.R, in particolare, non aveva tenuto conto che l’imposta di regi- stro è una tipica «imposta d’atto» regolata dalla legge in relazione all’oggettiva sussistenza di un atto giu- ridico da interpretare ed intendere secondo l’intrinseca natura e lo specifico contenuto dell’atto stesso. Per la soluzione della vertenza era necessario, quindi, interpretare correttamente il contratto posto che l’imposta di registro, dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta, è definita appunto come «imposta d’atto» in quanto riferibile ad un atto o negozio giuridico che è solitamente redatto, come nel caso di specie, nella forma scritta.
Un contributo, in tal senso, è quello fornito dall’art. 20 del T.U.R., invocato dall’Ufficio, il quale indica, ai fini dell’applicazione del tributo, i criteri da seguire nella «interpretazione degli atti» al fine di valutare,
4 Agenzia delle Entrate: circolare n. 18/E del 29 maggio 2013.
al di là della forma, i possibili effetti giuridici che ne possono conseguire per determinare poi la relativa tassazione.
L’articolo, nella versione attuale, stabilisce che l’imposta di registro «è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra- testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».
In origine la norma prevedeva che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente» ma con l’art. 1, comma 87, lett. a), della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) è stato rivisto e modificato nel testo corrente.
Occorre sottolineare, per inciso, che l’Amministrazione finanziaria tende ad individuare nella norma an- che una regola antielusiva; parere non condiviso dalla Cassazione5.
Esaminando il ricorso, la Suprema Corte ha osservato che gli avvisi di accertamento si erano basati sul disposto previgente, risalente all’epoca dei fatti (anno 2012). Fermo restando il principio basilare di pre- valenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo in questione – sottolineano i giudici di legitti- mità – ha significativamente ristretto l’oggetto dell’interpretazione negoziale al solo atto presentato alla registrazione ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili; non rilevano quindi più, come espres- samente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali. Lo stesso legislatore ha voluto attribuire, fra l’altro, alla norma, così modificata, natura interpretativa con effetto retroattivo.
La Corte rammenta le dispute sorte proprio sull’aspetto temporale al fine di accertare se l’art. 20 del T.U.R., così modificato, fosse applicabile solo per il futuro ovvero anche agli atti registrati prima della sua entrata in vigore ed ancora in corso di accertamento.
In un primo momento la Cassazione aveva maturato il convincimento che le rettifiche non attribuissero alla norma natura interpretativa, bensì innovativa, in quanto introducevano limiti all’attività di riqualifica- zione della fattispecie, precedentemente non previsti: conseguiva, quindi, che tale disposizione non aveva efficacia retroattiva e, pertanto, gli atti antecedenti alla data della entrata in vigore della stessa continua- vano ad essere assoggettati all’imposta secondo la disciplina previgente alla riformulazione del testo6.
Al fine di dare certezza alla norma il legislatore è nuovamente intervenuto, con l’art. 1, comma 1084 della legge n. 145/20187, disponendo che la norma costituiva interpretazione autentica del testo dell’art. 20, comma 1, d.p.r. n. 131/1986. Si trattava, quindi, di un provvedimento con il quale si rendeva manifesta la volontà di attribuire effetto retroattivo alla formulazione dell’art. 20, risultante dalla legge di bilancio 2018, quale effetto abitualmente riconducibile alla norma di interpretazione autentica ed alla sua natura prettamente dichiarativa di un significato fin dall’inizio contenuto nella norma intesa; interpretazione confermata anche delle Sez. Un. le quali hanno ritenuto che la formulazione del testo così modificato costituisce interpretazione autentica dell’art. 20, comma 18.
Anche la Corte costituzionale è stata chiamata in causa al fine di esprimersi sulla legittimità costituzionale dell’articolo; questione sollevata dalla Cassazione9.
Facendo seguito alla richiesta, la Consulta ha ritenuto che il legislatore abbia inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di «imposta d’atto»
5 Cfr. Cass. Sez. V Civ. 19 giugno 2013, n. 15319, in Diritto e Giustizia online, 2013, 24 giugno, second cui «(…) in tema di imposta di registro, il d.p.r. n. 131 del 1986, art. 20 concerne l’oggettiva portata effettuale dei negozi e non contiene quindi una disposizione antielusiva strictu sensu»; Xxxx. Sez.V Civ. 10 febbraio 2017, n. 3562, in XxXxxx Xxxxxxx, «(…) il ricordato art. 20,
T.U. registro non esprime una regola antielusiva, bensì una regola interpretativa».
6 Cfr. Cass. Sez. V Civ. 26 gennaio 2018, n. 2007, in DeJure Xxxxxxx; Cass. Sez. V Civ. 23 febbraio 2018, n. 4407, ivi; Cass. Sez. V Civ. 28 marzo 2018, n. 7637, ivi; Cass. Sez. V Civ. 9 aprile 2018, n. 8619, ivi.
7 Con effetto dal 10 gennaio 2018.
8 Cfr. Cass. Sez. Un. Civ. 10 luglio 2019, n. 18520, in Foro it., 2019, 11, I, 3591.
9 Cfr. Cass. Sez. V Civ. 23 settembre 2019, n. 23549, in Diritto & Giustizia, 2019, 24 settembre.
dell’imposta di registro precisando l’oggetto dell’imposizione, in coerenza con la struttura di un prelievo, e degli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espres- samente regolate dal Testo Unico. In tal modo risulta rispettata la coerenza interna della struttura dell’im- posta con il suo presupposto economico; coerenza sulla cui verifica verteva il giudizio di legittimità co- stituzionale10.
Da ultimo la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità co- stituzionale sollevate sull’articolo in questione11.
Nella vertenza non era stato contestato ai contraenti l’intento elusivo, ma una diversa qualificazione giu- ridica del negozio posto in essere, in contrasto con il disposto dell’art. 20. Come già anticipato le modifi- che della norma hanno significativamente ristretto l’oggetto dell’interpretazione negoziale al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Si trattava, nello speci- fico, di un atto di affitto di fondo rustico soggetto come tale all’imposta di registro con applicazione dell’aliquota agevolata nella misura dello 0,50 per cento.
La Corte ha quindi respinto il ricorso.
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10 Corte cost. 21 luglio 2020, n. 158, in Diritto & Giustizia, 2020, 22 luglio.
11 Corte cost. 16 marzo 2021, n. 39, in Foro it., 2021, 4, I, 1117.