Contract
I CREDITI SPECIALI NEL TESTO UNICO BANCARIO
A) PREMESSA
Perfezionamento, efficacia e prova dell’esistenza del contratto di mutuo
Il contratto di mutuo (art. 1813 e segg. c.c.) si caratterizza per la consegna di denaro o cose fungibili, con la nascita in capo a chi le riceve dell’obbligo di restituirne l’equivalente, ma con la possibilità a suo favore di utilizzarle e di disporne liberamente ed è caratterizzato dalla funzione di far pervenire al beneficiario/mutuatario denaro (o cose fungibili) del finanziatore/mutuante, affinché il primo le destini alla soddisfazione del proprio interesse avendone sia pur temporaneamente la piena disponibilità, fine cui sono strumentali il trasferimento della proprietà e la fungibilità dei beni (denaro o cose generiche) che consente di restituirli non in natura, ma di uguale genere e quantità alla scadenza del rapporto.
Nonostante la “consegna” implichi una natura “reale” del mutuo, nel nostro ordinamento il mutuo è ritenuto (pur non perdendo la sua “realità”) anche come contratto “consensuale”, in quanto l’elemento del consenso delle parti si ritiene prevalga (oggi) sull’elemento reale, essendo l’accordo di per sé sufficiente a perfezionare il contratto (salvo l’efficacia di titolo esecutivo, di cui oltre) mentre la reale consegna (c.d. traditio) delle cose mutuate si viene a collocare solo nella fase esecutiva dopo che il contratto si è già perfezionato tra le parti. Per quanto detto anche se il nostro legislatore definisce il mutuo come il contratto con il quale una parte “…consegna all’altra una somma di denaro o di altre cose fungibili”, è ormai chiarito che non si intende affermarne la esclusiva natura reale del mutuo, ma si è semplicemente voluto descriverne il meccanismo operativo che interviene, ad esempio, tra la banca e il suo cliente.
La recente giurisprudenza ritiene, infatti, che l’elemento della “consegna” (c.d. traditio) del denaro che concretamente entra nella disponibilità del mutuatario, si realizzi anche senza la coincidenza con la dazione materiale della somma (dalla banca al cliente) ma anche dalla circostanza per cui il mutuatario entri nella
disponibilità del denaro mediante l’uscita dello stesso dalla disponibilità giuridica del mutuante che abbia adempiuto l’incarico di impiegare la somma per soddisfare un interesse del mutuante; ciò consegue al venir meno del requisito delle realità e al crescente ricorso alla dematerializzazione dei valori mobiliari ed alla loro sostituzione con annotazioni contabili.
Nel caso del denaro, infatti, esistono varie forme di “consegna” al mutuatario: accredito in conto corrente, assegno circolare in favore del cliente o di un terzo designato da mutuatario, oppure mediante l’impiego della somma nei modi concordati tra banca e cliente (es. deposito coattivo della somma in un conto vincolato a favore della banca in attesa del verificarsi di una serie di condizioni, tra cui l’iscrizione di ipoteca sui beni del mutuatario).
In sostanza la c.d. traditio della somma di danaro non deve necessariamente sostanziarsi nella consegna materiale delle somme, ben potendo essere attuata anche mediante attribuzione al mutuatario della disponibilità giuridica della somma con la conseguente nascita dell’obbligazione restitutoria del denaro.
Affinché si possa valutare la realità del contratto di mutuo e la sua idoneità ad essere utilizzato quale titolo esecutivo, non è di ostacolo l'esistenza di un separato atto di quietanza, perchè non è di per sé indice inequivoco di una semplice promessa di dare a mutuo o comunque di un contratto di mutuo di natura consensuale e non reale.
Quindi, ai fini dell’efficacia di titolo esecutivo il contratto di mutuo non perde, comunque, la sua natura reale se la somma concessa – anche se non contestualmente trasferita al mutuatario - viene erogata in un momento di poco successivo ed è regolarmente quietanzata, come recentemente stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, proprio in considerazione della crescente dematerializzazione dei valori mobiliari.
Ciò precisato va osservato che – se anche la “consegna” della somma può avvenire in vari modi – la prova della esistenza del contratto di mutuo come titolo di credito - anche ai fini dell’onere della prova della sua esistenza per richiedere la restituzione, in via monitoria o esecutiva, della somma mutuata da parte della banca creditrice – non può ricavarsi dalla sola “consegna” (rectius, disponibilità giuridica) del denaro effettuata con le varie modalità di cui sopra.
In sostanza la modalità di dazione/traditio di una somma di danaro non vale - di per sé - a fondare il fatto
costitutivo della pretesa di restituzione che si estende alla prova del titolo giuridico (es. il mutuo) implicante l’obbligo di restituzione della somma da parte del mutuatario.
Infatti se il debitore ammette la ricezione del denaro ma contesta il titolo (ad. esempio che non si tratti di mutuo ma di pagamento di pregressi rapporti finanziari/commerciali) posto alla base della pretesa creditoria di restituzione, la contestazione, ad opera del debitore, circa la sussistenza di un'obbligazione restitutoria impone al creditore (es. banca) di dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa, onere che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l'obbligo della restituzione.
Ne consegue che il creditore che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non solo l'avvenuta “consegna” della somma ma anche il titolo da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione.
Il mutuo di scopo e nullità del contratto
Il mutuo di scopo (o di destinazione) è il contratto con il quale una banca finanzia il cliente per il raggiungimento di uno scopo, preordinato per legge (c.d. mutuo di “scopo legale”) o per volontà convenzionale delle parti (c.d. mutuo di “scopo volontario”) e il mutuatario è obbligato a restituire la somma ricevuta, a pagare gli interessi (spesso agevolati) ed a svolgere l’attività concordata (c.d. obbligazione di scopo), secondo i tempi e le modalità prestabilite nel contratto.
La tipicità e disciplina del mutuo di scopo non è fornita (solo) dagli artt. 1813 e segg. del c.c. ma anche (e soprattutto) da norme di leggi speciali (c.d. leggi-incentivo e leggi sul credito agevolato) in quanto l’operazione con cui viene posto in essere un mutuo di scopo è caratterizzata, in genere, dalla esistenza di una serie di finanziamenti o incentivazioni inerenti alla possibilità di accesso al credito, alla durata di esso, alle modalità di restituzione delle somme ricevute, alla misura del tasso di interesse o alle garanzie richieste: tali agevolazioni consentono al mutuatario di godere di credito a condizioni più convenienti (credito c.d. “agevolato”) di quelle di mercato ma a condizione/obbligo di persegure certe attività e ad impiegare la somma per determinati fini.
La giurisprudenza individua nel mutuo di scopo un negozio tipico, dove la corrispettività e la consensualità entrano a far parte nella causa dell'obbligazione di destinazione: il denaro viene concesso per un fine particolare, in vista del cui raggiungimento viene fatto obbligo al mutuatario di fare, delle somme concesse, un certo impiego, attraverso il quale si realizza, oltre che l'interesse del mutuatario, un interesse specifico (pubblico, privato, determinato, concordato).
Nel mutuo di scopo, infatti, la presenza della obbligazione di destinazione contrassegna il contratto, in quanto la funzione economica e sociale di esso non si esaurisce nel godimento del danaro (e nel susseguente obbligo di restituzione), ma implica la realizzazione del risultato ultimo, rispetto al quale il godimento rappresenta un momento strumentale.
Perché possa parlarsi di mutuo di scopo è necessario che l'interesse alla realizzazione dello scopo abbia avuto un ruolo fondamentale nella conclusione del contratto e che sia sostanzialmente specificato nel contratto nel momento in cui si perfeziona l'accordo tra le parti.
Si ritiene che sia affetto da nullità il mutuo (di scopo) contratto con l'accordo (sottostante) di una utilizzazione del finanziamento per finalità diverse da quelle previste (ad es. dalla legge speciale che disciplina il finanziamento); la violazione da parte del mutuatario dell'obbligo di destinazione che gli fa carico può infatti comportare la conseguente nullià del contratto quale sanzione derivante dalla non realizzazione del fini previsto.
Ne deriva che nel mutuo di scopo la finalità cui la legge, per ragioni di interesse generale, intende sia destinata la somma presa a mutuo, acquista rilevanza causale rendendo inammissibile che il mutuatario destini la somma ad uno scopo diverso.
Ciò comporta che se un istituto di credito ha erogato ad un suo correntista un finanziamento agevolato (per attività particolari) non può, neppure con il consenso del mutuatario, operare compensazione tra le somme accreditate ed un debito contratto ad altro titolo dal correntista nei confronti delle stesso istituto ed il mutuo è nullo ex art. 1418 c.c. per mancanza originaria della causa.
Ne consegue, a contrariis, che non si può prescindere dalla verifica dell'attuazione o meno del risultato concreto previsto nel contratto di mutuo per valutare o meno la nullità del contratto.
Quindi - se sia stata in concreto raggiunta la finalità per la quale i finanziamenti erano stati erogati -
l’eventuale patto di compensazione tra un debito preesistente nei confronti della banca e le somme mutuate, con la parziale utilizzazione di queste ultime per estinguere i debiti precedentemente contratti dal mutuatario verso il mutuante, non determina la nullità del contratto per mancanza originaria della causa.
B) CONTRATTO DI MUTUO E CREDITO FONDIARIO (Artt. 38–41 T.U.B.)
In generale
Alla disciplina ordinaria del mutuo nel c.c. recano deroga alcune regole particolari, quali quelle dettate dagli artt. 39 e 40 e segg. del T.U.B.; nei mutui fondiari il mutuatario non è (di regola) vincolato in ordine all’utilizzazione di quanto ottenuto a mutuo anche se, in alcuni casi, al mutuatario può essere imposta un’utilizzazione predisposta alla realizzazione di uno scopo determinato (c.d. mutuo di scopo, di cui si è detto).
Peraltro il credito fondiario nacque al preciso fine di rigenerare e smobilizzare la proprietà terriera; ma, ciò nonostante, le norme che lo hanno da sempre disciplinato non hanno mai previsto l’esplicita determinazione della destinazione (scopo), come invece avvenne per gli altri crediti speciali.
In relazione, poi, ai rapporti tra mutuo e credito fondiario, va rilevato che il legislatore del 1993, nel dettare la nozione del “credito fondiario” (art. 38 T.U.B.), ha introdotto la nozione di “finanziamento fondiario” ritenuto idoneo ad individuare qualsiasi mezzo di approvvigionamento dell’impresa o del privato.
I problemi erano sorti quando nel nuovo modello di credito fondiario venne a confluire e confondersi il credito edilizio, da sempre considerato come mutuo di scopo, o quelle operazioni costituite da finanziamenti il cui ammontare è rapportato al “ costo delle opere da eseguire ” sugli immobili ipotecati.
La soluzione delle dispute è giunta con la Comunicazione della Banca d’Italia del febbraio 1994 , in cui si legge che “…la nuova disciplina del credito fondiario non prevede che il credito sia caratterizzato dallo scopo”, in quanto non sussistono vincoli di destinazione ex lege delle somme erogate.
Non si esclude, come detto, la possibilità, per le parti contrattuali, di concludere contratti di credito fondiario in cui sia individuata la “destinazione dei finanziamenti”, ammettendo che anche il credito fondiario possa configurarsi come “mutuo di scopo volontario”, tutte le volte in cui le parti decidano di individuare contrattualmente la destinazione dei finanziamenti (ad esempio mediante l’inserimento, in particolare, di una eventuale cessione dei crediti fondiari alla luce delle norme sulla “cartolarizzazione” dei crediti ipotecari; finanziamento concesso all’impresa per ristrutturare un debito residuo).
Più in generale, basta ricordare che l’acquisto della proprietà immobiliare già costituisce, di per sé, il fine comune della disciplina del credito fondiario.
Il finanziamento fondiario nel Testo Unico Bancario
Il credito fondiario (art. 38 T.U.B.) ha per oggetto la concessione da parte di banche di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca (contestualmente iscritta al momento del finanziamento), normalmente di primo grado su immobili; in presenza di ipoteche precedenti si può comunque erogare il finanziamento (con ipoteca di grado successivo) ma si scomputa, dal valore del bene, il debito residuo non ancora saldato, garantito e documentato.
Il concetto di “medio-lungo termine” ha una valenza anche fiscale in quanto l’applicazione dell’imposta sostitutiva (art. 15, comma 1, D.p.r. 601/1973, modificato da art. 20bis D.L. 145/2013 convertito con L. 9/2014) è legata alla durata minima del finanziamento; clausole inserite nel contratto del tipo “…le parti non possono recedere dal contratto di finanziamento prima di 18 mesi….” sono da considerarsi ormai prassi.
La Banca d'Italia determina il limite massimo di finanziabilità (ex lege l'80% del valore dell’immobile o del costo delle opere edilizie da eseguire e finanziare) e le c.d. “garanzie integrative” (fideiussioni bancarie, polizze fideiussorie di compagnie di assicurazione, garanzia rilasciata da consorzi e cooperative di garanzia fidi, cessioni di crediti verso lo Stato, cessioni di annualità o di contributi a carico dello Stato o di enti pubblici, pegno su titoli di Stato, in G.U. n. 76 del 2/4/2005) che consentono di portare il finanziamento al 100% del valore del bene o del costo delle predette opere.
Il limite massimo di finanziabilità deve essere rispettato in ogni momento della vita del contratto di finanziamento: ciò è molto importante, ad esempio, per i finanziamenti erogabili a “stato avanzamento lavori” (S.A.L.).
Altri aspetti rilevanti del finanziamento fondiario sono:
- la inefficacia (art. 65 L.F.) e la revocatoria (art. 67 L.F.) fallimentare non si applicano ai pagamenti (es. le rate di mutuo, le estinzioni anche anticipate, effettuati dal debitore, poi fallito, a fronte di crediti fondiari;
- i debitori hanno diritto di estinguere anticipatamente in tutto o in parte il finanziamento corrispondendo un compenso (penale) onnicomprensivo se contrattualmente prestabilito (n.b. la nullità del patto in forza di quanto stabilisce il c.d. “Decreto Bersani” X.Xxx. n° 7 del 31/1/2007 per mutui per prima casa erogati da banche);
- la risoluzione del contratto per inadempimento del mutuatario, può essere invocata dalla banca solo in ipotesi di ritardato pagamento o di mancato pagamento; nell’ipotesi di ritardo, esiste un lieve inadempimento sino a trenta giorni dalla scadenza della rata ed un grave inadempimento (e solo questo consente la risoluzione) in caso di 7 (sette) lievi inadempimenti anche non consecutivi, mentre in caso di mancato pagamento, per la risoluzione del contratto, occorre un inadempimento unico che duri per più di 180 giorni;
- la banca finanziatrice può iniziare o continuare autonomamente l'azione esecutiva sull’immobile ipotecato, in caso di risoluzione per mancato pagamento, anche in ipotesi di fallimento del debitore e soddisfarsi direttamente sul ricavato della vendita coattiva, senza attendere il riparto fallimentare (ipotesi di privilegio di natura processuale).
- l’aggiudicatario, all’asta, del bene ipotecato a seguito di mutuo/finanziamento fondiario ha diritto di subentrare nel contratto di finanziamento purché provveda al pagamento delle rate scadute.
In relazione alla garanzia ipotecaria concessa per l’erogazione del finanziamento va precisato:
- adeguamento automatico dell'ipoteca in presenza di clausole di indicizzazione se menzionate nella nota di iscrizione (deroga al principio di specialità delle ipoteche); peraltro l’ipoteca si estende anche alle maggiorazioni conseguenti al rischio di cambio;
- le ipoteche iscritte almeno 10 giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento a garanzia dei finanziamenti non sono assoggettate a revocatoria fallimentare;
- dopo il rimborso di almeno un quinto del debito originale, i debitori hanno diritto ad una riduzione proporzionale della somma iscritta e di ottenere la parziale liberazione di beni ipotecati purché i rimanenti beni costituiscano comunque garanzia sufficiente (ai sensi del rapporto di finanziabilità);
- in caso di edificio o complesso condominiale (si tratta di derivazione dal vecchio credito edilizio) per il quale può ottenersi l’accatastamento delle singole porzioni che lo costituiscono ancorché in corso di costruzione il debitore, il terzo acquirente, il promissario acquirente e l’assegnatario hanno diritto alla suddivisione del finanziamento in quote e al frazionamento dell'ipoteca (deroga all'art. 2809 cc. che afferma il principio di indivisibilità).
La suddivisione ed il frazionamento vanno annotati a margine della iscrizione.
Tale ultima fattispecie integra una sostituzione parziale ex lege del debitore originario con un terzo “subentrante” che, salvo diverso accordo, si sostituisce, per la quota parte, al debitore originario nello stesso finanziamento che mantiene la stessa durata e lo stesso tasso originario; le parti possono, comunque, derogare a queste norme e la banca può, ad esempio, inserire nel contratto originario, con il costruttore dell’immobile poi suddiviso, una clausola che preveda la modifica del tasso in sede di frazionamento del finanziamento (la giurisprudenza, però, è interventuta nel sostenere che il frazionamento non possa costituire fonte di nuove obbligazioni a carico del terzo acquirente.
Il mutuo fondiario (non di scopo) utilizzato per il ripianamento di precedenti esposizioni
Mentre il mutuo di scopo, come sopra detto, si caratterizza dall'obbligo del mutuatario di porre in essere e realizzare l'attività programmata - tanto che la presenza della clausola di destinazione comporta che, qualora non sia poi realizzato il fine finanziato, il contratto è nullo per mancanza di causa ex art. 1418 c.c. – in ipotesi di finanziamento (mutuo o apertura di credito) fondiario si “monetizza", in pratica, il valore di scambio del bene immobile ipotecato e permettendosi una durata medio-lunga, ciò essendo sufficiente ad integrarne la causa concreta del finanziamento fondiario.
Come sopra osservato, anche per ormai costante giurisprudenza, il mutuo fondiario non costituisce un mutuo di scopo, dal momento che non ne è elemento essenziale l’accordo (tra banca e cliente) di destinazione della somma mutuata a fini di miglioramento dei fondi sui quali è costituita l'ipoteca, che il
mutuatario sia tenuto a perseguire, nè l'istituto mutuante deve controllare l'utilizzazione che viene fatta della somma erogata.
Sono quindi superati quegli indirizzi giurisprudenziali di merito (Trib. di Latina n.326/2008 e Trib. di Venezia 27/7/2012, solo qui citate) che ritenevano nulli i mutui fondiari erogati per ripristinare precedenti esposizioni, in quanto la mancanza della causa tipica del contratto di mutuo fondiario non comporta la nullità del negozio indiretto stipulato fra le parti, ma solo l'inapplicabilità ad esso delle norme speciali dettate in materia del
T.U.B. n. 385/1993 (in particolare, del disposto dell'art. 39, che prevede il consolidamento e la non revocabilità dell'ipoteca fondiaria decorsi dieci giorni dall'iscrizione.
Ne deriva che, nel mutuo fondiario, il finanziamento con garanzia ipotecaria ben può essere finalizzato allo scopo che le parti si prefiggono, e, ad esempio, se questo è costituito dall'utilizzo della somma per sanare debiti pregressi verso la banca, non per ciò solo può parlarsi di nullità del contratto per illiceità o per mancanza di causa.
Se come detto sopra l’operazione di consolidamento di precedenti esposizioni chirografarie mediante l’utilizzo (in tutto o in parte) di erogazioni di mutui fondiari garantiti da ipoteca viene ammessa dalla giurisprudenza – che esclude la natura di mutuo di scopo al mutuo fondiario – come operazione lecita, va osservato che, per recente giurisprudenza di merito, la eventuale presenza di un c.d. “collegamento negoziale” tra il mutuo stipulato per ripianare il saldo debitore del conto e il conto corrente stesso, i vizi che colpiscono questo contratto si possono ripercuotere sul mutuo stesso.
In pratica se il mutuo è finalizzato a ripianare un passivo “viziato” perchè risultante dall’illegittima applicazione di clausole contrattuali nulle ovvero di oneri non pattuiti o non dovuti (es. somme riconosciute usurarie o anatocistiche), lo stesso mutuo viene considerato nullo per mancanza di causa concreta con la conseguenza che nulla deve essere restituito dal correntista alla banca (che, anzi, è tenuta a restituire al correntista/mutuatario le rate di mutuo versate) in quanto l’accredito, della somma mutuata, sul conto corrente passivo “viziato” risulterebbe operazione meramente “contabile” finalizzata a pagare un debito/scoperto non dovuto (appunto perchè usurario o anatocistico); la predetta nullità del mutuo comporta, peraltro, la non validità e l’inefficacia delle eventuali fideiussioni poste a garanzia del contratto di mutuo e, inoltre, l’illegittimità della segnalazione della posizione del debitore alla Centrale rischi, con obbligo di risarcimento dell’eventiuale danno patito e dimostrato dal cliente.
Mutui fondiari a ripianamento o consolidamento di pregresse esposizioni e fallimento del debitore mutuatario
Ferma, come sopra detto, l’ammissibilità dell’utilizzo del mutuo fondiario per il pagamento di pregresse esposizioni del cliente, il problema per la banca si pone in caso di fallimento del mutuatario e di mutuo fondiario ipotecario ritenuto dalla curatela fallimentare non destinato a creare effettiva disponibilità al mutuatario poi fallito ma diretto a trasformare il credito, della banca, da chirografario in credito privilegiato. Ne consegue, peraltro, l’ulteriore problema della inopponibilità al fallimento (ai fini dell’ammissione al passivo) sia del capitale a credito da mutuo che della prelazione ipotecaria o della sola ipoteca e quindi facendo salva l’ammissione al passivo del credito per capitale (che sarà comunque ammesso solo in via chirografaria).
A tale riguardo si deve considerare la giurisprudenza fallimentare che - dal disposto dell’art. 67 L.F. - distingue i c.d. “mezzi anomali di pagamento” (art. 67, 1° comma, n. 2) dalla costituzione di garanzia ipotecaria per “debiti preesistenti non scaduti o scaduti” (art. 67, 1° comma, nn. 3-4) .
Peraltro in relazione a tali fattispecie la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, distingue tra diverse ipotesi e precisamente:
- ipotesi di erogazione di mutuo mediante un procedimento negoziale indiretto per conseguire l’estinzione del del debito precedente;
- ipotesi di simulazione (parziale o totale) di erogazione del mutuo o ipotesi di novazione del precedente rapporto di affidamento con il nuovo finanziamento da mutuo.
Per la prima ipotesi (negozio indiretto) la giurisprudenza ritiene che - se la reale erogazione, con disponibilità della somma sul conto, di un mutuo fondiario ipotecario al cliente, poi fallito, sia stata posta in essere al solo scopo (indiretto) di pagare il debito non garantito e trasformarlo da credito chirografario preesistente in credito privilegiato - al curatore è sufficiente esperire l’azione revocatoria ex art. 67, 1° comma, n. 2, L.F.
senza giungere alla necessità di declaratoria di nullità del contratto di mutuo.
In sostanza il mutuo – usato in via indiretta per pagare il debito chirografario – e l’ipoteca iscritta per ottenere la prelazione mancante, comporterà l’applicabilità dell’art. 67, 1° comma, n. 2 L.F. in quanto il pagamento a ripianamento assume la veste di pagamento “anomalo” (non operato con versamento di denaro da parte del debitore ma con denaro della stessa banca) con la conseguente “doppia revocatoria” sia della garanzia ipotecaria che del pagamento derivante dall’erogazione del mutuo, salvo il diritto all’ammissione al passivo (in via chirografaria) della somma del mutuo erogato in quanto, anche a seguito dell’inefficia, consegue sempre il diritto al pagamento in moneta fallimentare.
Va osservato, per inciso, che trovandosi in situazione concorsuale (a tutela della par condicio creditorum) esiste anche il rischio – ove ne ricorrano i presupposti di colpevolezza e antigiuridicità – del concorso nel reato di bancarotta preferenziale di cui all’art. 216 L.F. con la connessa incriminabilità di tutti i soggetti (cliente e funzionario di banca) cui possa essere ascritta l’intera operazione.
In secondo luogo si può parlare di simulazione (versamento dell’importo sul conto del cliente senza che il mutuatario ne abbia acquisito in concreto la disponibilità giuridica) se le parti – senza volere realmente erogare un mutuo - abbiano solo inteso creare la (mancante) prelazione ipotecaria sul debito preesistente chirografario (in realtà non estinto) simulando quindi un mutuo non voluto, nè praticamente erogato, con coseguente applicazione dell’art. 67, 1° comma, n. 3 L.F. che disciplina la revocatoria, entro un anno, per le garanzie reali (pegno e ipoteca) concesse dal fallito “per debiti pregressi e non scaduti”.
Per la giurisprudenza l'ammissione al passivo della somma mutuata deve ritenersi incompatibile con le fattispecie della simulazione e della novazione (derivante dalla sostituzione alla precedente obbligazione di una nuova obbligazione assistita da garanzia ipotecaria), e non anche con quella del negozio indiretto.
Superamento dei limiti di massima di finanziabilità.
Il T.U.B., all’art. 38, 2° comma, stabilisce che la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del C.I.C.R., possa determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti fondiari, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da realizzare sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione di finanziamenti.
Attualmente limite massimo di finanziabilità è (ancora) stabilito – dopo una evoluzione che nel tempo è passata dal 50% al 75% - nel limite massimo dell’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sui beni medesimi, salvo (la prevista) possibilità di aumentare la percentuale sino al 100% mediante il rilascio di garanzie integrative.
Ne deriva che un particolare caso di “uso improprio” del credito fondiario può essere rappresentato dal mancato rispetto del limite massimo di finanziabilità fissato nell’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi, salva l’ipotesi di garanzie integrative, peraltro di non frequente riscontro nella pratica.
Ciò può avvenire, sia per errore, sia intenzionalmente (cercando di “mascherare la realtà”) sia come conseguenza delle “veloci” perizie acquisite dalla banca in sede di concessione del finanziamento.
Invero, la determinazione del valore del compendio immobiliare, in rapporto al quale viene determinato il
quantum finanziabile, si basa su perizie che, a volte, sono fortemente opinabili.
Di solito, il contratto di credito fondiario, portato all’attenzione del giudice (fallimentare) genera, quindi, una nuova perizia sugli immobili sui quali si è iscritta ipoteca e la seconda perizia – che arriva in un momento successivo - sconta il vantaggio di una serie di informazioni che, al momento della concessione del credito, non si era potuto considerare.
Peraltro, sul punto, è intervenuta anche la Direttiva 2000/12/CE in materia di accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio per la quale vi definisce il valore del credito ipotecario come quello “…determinato da un perito in base ad un prudente apprezzamento della futura negoziabilità dell’immobile stesso tenendo conto degli aspetti durevoli a lungo termine dell’immobile, delle condizioni normali e locali del mercato, dell’uso corrente dell’immobile e dei suoi appropriati usi alternativi “
Negli anni la giurisprudenza è intervenuta con “soluzioni”, peraltro in contrasto tra loro, che hanno comportato diversi effetti giuridici :
- nullità dell’intera operazione di credito fondiario (nella fattispecie decisa era un caso di mutuo “edilizio”, e quindi di scopo), a meno che non risultasse che le parti avrebbero comunque voluto il contratto per il diverso
minore importo così come risultante dal rispetto delle percentuali fissate dalla legge;
- parziale nullità del contratto di mutuo per la sola parte eccedente la percentuale massima di concessione del credito fondiario e conversione di questa parte in mutuo ipotecario ordinario, mentre per la parte rientrante nel suddetto limite continua a trovare applicazione la disciplina del credito fondiario;
- integrale nullità del contratto di mutuo, ex art. 1418 c.c., dovendosi ritenere che la determinazione dell'importo massimo finanziabile attenga alla struttura del contratto stesso, per contrasto a norma imperativa a tutela della collettività e non a tutela della banca e del cliente;
- nessuna nullità del mutuo in quanto il superamento del limite finanziabile comporterebbe solo violazione di norme di “buona condotta” della banca, poste a tutela di un interesse di settore e non certamente pubblico con conseguente applicazione di sanzioni amministrative a carico della banca erogante come previste dall’ordinamento bancario.
Con tale ultimo recente indirizzo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato dalla banca, afferma come, dalla violazione del limite di finanziabilità pari all’80% del valore dell’immobile, non possa discendere la nullità del contratto di mutuo fondiario.
In sostanza il Supremo Collegio evidenzia come l’art 38, 2° comma, T.U.B. non sia norma posta a tutela del contraente più debole, ma invece a tutela delle stesse banche e, indirettamente, del sistema bancario in quanto volta ad impedire che le banche assumano esposizioni finanziarie senza adeguate garanzie.
Se così non fosse il mutuatario potrebbe avere l’interesse ad ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile, anche a prescindere dal limite di finanziabilità, in quanto la sanzione (della nullità) colpirebbe, per certi versi, più la banca che il debitore (ad esempio in caso di fallimento).
Ne consegue l’ormai pacifico indirizzo giurisprudenziale per cui, in caso di violazione del limite citato, non risulterebbe applicabile la nullità relativa di cui agli artt. 117 e 127 T.U.B., posto che il cliente non avrebbe interesse a farla valere e perché comunque avrebbe applicazione l’art 127 comma secondo n. 1 TUB, secondo cui le disposizioni del Titolo VI, e quindi dell’art. 117 comma 8, sono derogabili solo in senso più favorevole al cliente, ed un mutuo concesso oltre il limite di finanziabilità è di regola più favorevole al cliente. In sostanza, le disposizioni del T.U.B. non appaiono volte ad inficiare norme inderogabili sulla validità del contratto ma appaiono norme di “buona condotta” per la banca, la cui violazione potrà comportare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario, qualora ne venga accertata la violazione a seguito dei controlli che competono alla Banca d’Italia, nonché eventuale responsabilità per la banca, senza ingenerare una causa di nullità, parziale o meno, del contratto di mutuo.
Da ultimo, osserva la Cassazione, essendo il limite di erogabilità del mutuo ipotecario stabilito anche e soprattutto in funzione della stabilità patrimoniale della banca erogante, far discendere dalla violazione di quel limite la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato ed il venire meno della connessa garanzia ipotecaria condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare ancor più proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere.
C) CREDITO AGRARIO, PESCHERECCIO, FINANZIAMENTO ALLE IMPRESE (Artt. 43-46 T.U.B.)
All’interno della categoria delle “particolari operazioni di credito” il legislatore ha inserito sia il credito agrario che quello peschereccio.
Il criterio di riferimento per l’erogazione di tali tipologie di credito è individuato solo nelle attività svolte, indipendentemente dal soggetto che le eserciti.
La specificità del credito agrario e peschereccio è riscontrabile anche nella vigente configurazione normativa che ammette la possibilità di destinare i finanziamenti a particolari settori produttivi, individuati con ampia flessibilità.
In altri termini, nella nuova disciplina formulata dal legislatore sono allentate le caratteristiche di “scopo” di tali finanziamenti, nel senso che in precedenza tali finanziamenti potevano essere concessi soltanto mediante la cambiale agraria (o pesca), con indicazione obbligatoria dello scopo del finanziamento e delle garanzie che lo assistevano.
Ora il comma 4 dell’art. 43 T.U.B. prevede che le operazioni di credito agrario e di credito peschereccio possono (non “devono”) essere effettuate con cambiale agraria o pesca, non ponendo più, quindi, limiti particolari alla forma tecnica.
Tale evoluzione mira a porre le premesse per la despecializzazione funzionale e temporale del credito, ampliando l’ambito operativo delle banche.
Sempre in questo versante scompare la distinzione tra credito d’esercizio, destinato alla conduzione dell’azienda agricola e tendenzialmente “a breve”, e credito di miglioramento finalizzato, invece, ai progetti di investimento e, quindi, “a medio e lungo termine”.
Sul versante degli enti erogatori, la despecializzazione contemplata dall’art. 43 T.U.B., che prevede l’erogazione del credito agrario e peschereccio da parte delle “banche”, elimina le barriere operative che limitavano a istituti specializzati la possibilità di erogare tali tipologie di finanziamento.
Le attività finanziabili sono ora individuate nelle attività agricole e in quelle connesse, in parte già elencate dal legislatore al 3° comma dell’articolo citato e ulteriormente ampliate dal C.I.C.R., ricomprendendo anche le attività svolte nei comparti dei servizi a favore dell’agricoltura e della pesca, quali quelli di natura informatica, di ricerca, di sperimentazione, di risparmio energetico e di trattamento industriale dei residui agroalimentari.
Il 4° comma dell’art. 43 T.U.B. individua la forma tecnica delle operazioni di credito agrario e peschereccio, precisando che le stesse possono essere effettuate mediante utilizzo, rispettivamente, di cambiale agraria e cambiale di pesca.
Il riferimento a tale strumento, retaggio della normativa precedente, ha poi trovato una sua giustificazione nella previsione della l. 17 febbraio 1994 n. 135 che collegava l’utilizzo della cambiale al riconoscimento del privilegio legale.
L’ulteriore modifica all’art. 44 T.U.B., da parte del d.lgs. 4 agosto 1999 n. 342, ha ampliato la possibilità di fruire del privilegio legale a tutte le operazione di credito agrario e peschereccio a breve e medio termine, non evidenziando, peraltro, il titolo contrattuale per effetto del quale il credito debba essere erogato.
Dal punto di vista giuridico, la cambiale agraria è un titolo di credito all’ordine che utilizza lo schema del pagherò cambiario in cui l’emittente si impegna a pagare incondizionatamente al prenditore (istituto di credito che eroga il credito) la somma indicata alla scadenza prefissata, di norma compresa tra uno e dodici mesi, essendo l’anno solare la durata di un intero ciclo produttivo.
Nel titolo devono essere indicati lo scopo del prestito, il luogo dello stesso (il terreno agricolo per il quale è concesso o il luogo in cui si trovano depositati i prodotti da utilizzare o da trasformare) e le garanzie dalle quali il prestito è assistito.
Queste tre indicazioni vengono considerate essenziali, nel senso che la loro eventuale assenza impedirebbe che l’operazione possa essere considerata prestito agrario o peschereccio e, quindi, beneficiare delle garanzie previste dalla legge.
La circostanza che uno dei requisiti della cambiale agraria sia l’indicazione dello scopo del prestito, che crea di fatto un legame costante tra rapporto contrattuale e cartolare, ha indotto dottrina e giurisprudenza a considerare la cambiale agraria (o pesca) come un titolo causale la cui letteralità è da considerarsi incompleta, o per relationem, con il rapporto fondamentale richiamato nel documento; tuttavia, in tal caso, la menzione del rapporto obbligatorio commerciale incide soltanto sulla possibilità di costituire il privilegio legale previsto dall’art. 46 T.U.B. .
La connessione, poi, tra la cambiale agraria (o pesca) e la garanzia sui frutti del fondo pone il problema se il trasferimento del titolo comporti anche quello della garanzia, problema al quale viene data soluzione positiva in considerazione sia delle espresse indicazioni che per legge la cambiale deve contenere, sia della ragione pratica, costituita dalla difficoltà di far circolare il titolo qualora il privilegio non assista il credito cartolare.
Artt. 44 e 45 T.U.B. Garanzie e Fondo Interbancario di Garanzia
La disciplina del credito agrario e peschereccio mantiene, oltre alla specificità degli istituti sostanziali, anche un particolare sistema di garanzie, disciplinato dall’art. 44 T.U.B.
Le garanzie sono articolate su una serie di cause legittime di prelazione – in deroga al principio della par condicio creditorum fissata dal combinato disposto degli artt. 2740-2741 c.c. – alle quali si aggiungono alcuni privilegi di procedura in sede di esecuzione forzata.
Ferma restando la libertà delle parti di convenire qualunque tipo di garanzia reale o personale a fronte dei finanziamenti, l’art. 44 T.U.B. prevede che, a seconda delle diverse tipologie, siano assistiti dalla garanzia specifica del privilegio legale, ovvero che a essi possano applicarsi la disciplina sul privilegio convenzionale per i finanziamenti alle imprese (art. 46 T.U.B.) o, nel caso di crediti garantiti da ipoteca su immobile, la disciplina prevista per le operazioni di credito fondiario.
Esaminando le diverse forme di garanzia previste per il credito agrario e peschereccio, il privilegio convenzionale speciale dell’art. 46 T.U.B. può assistere i finanziamenti di qualunque durata, compresi – per il credito agrario e peschereccio – quelli a breve termine (art. 44 T.U.B., 1° comma).
Esso è applicabile a un’ampia serie di beni mobili, non iscritti nei pubblici registri, che siano destinati all’esercizio dell’impresa.
Per la valida costituzione – a pena di nullità – il privilegio deve risultare da atto scritto e vi debbono essere esattamente descritti i beni e i crediti sui quali esso viene costituito, oltre alla banca creditrice, il debitore e il soggetto (quindi anche diverso da quello finanziato) che lo ha concesso, l’ammontare e le condizioni del finanziamento e la somma di denaro per la quale il privilegio viene assunto.
Il privilegio convenzionale è opponibile ai terzi purché vengano adempiute le prescritte formalità pubblicitarie (trascrizione nel registro previsto dall’art. 1524, 2 comma, del c.c.) dell’atto dal quale esso risulta; la trascrizione, inoltre, deve essere effettuata non solo negli uffici del luogo ove ha sede l’impresa finanziata, ma anche presso quelli del luogo ove ha sede o risiede il soggetto che ha concesso il privilegio.
Per il privilegio legale di cui all’art. 44, 2° comma T.U.B, si prevede che esso assista i finanziamenti a breve e medio termine e riguardi una vasta serie di beni mobili dell’impresa finanziata, che corrispondono, in larga parte, al capitale circolante (frutti pendenti, bestiame, merci, macchine, attrezzi, scorte) .
È sancito che il privilegio si estenda ai crediti, anche futuri, derivanti dalla vendita dei beni sopra indicati. Muovendo, poi, dalla formulazione letterale della norma, si ritiene che il privilegio operi solo per i crediti nei confronti di soggetti che rivestono le caratteristiche di “impresa” e che, in senso contrario, essi sarebbero privi di tale causa di prelazione.
Con riguardo alle particolari garanzie assicurate nel procedimento esecutivo, l’art. 44, 4° comma, ripropone nella sostanza anche il privilegio di procedura assimilabile ad un sequestro.
Infatti, secondo le nuove disposizioni, la banca creditrice, in caso di inadempimento del debitore, può richiedere al giudice del luogo in cui si trovano i beni sottoposti al privilegio (sia convenzionale ex art. 46
T.U.B che legale ex art. 44, 2° comma T.U.B.) di disporre “l’apprensione e la vendita” dei beni, che va effettuata ex art. 1515 c.c.. : viene, nella pratica, applicata una forma privata di autotutela, consistente in una vendita senza formalità giudiziarie, effettuata senza ritardo per conto e a spese del debitore, che presenta innegabili vantaggi nell’ipotesi di beni deperibili.
L’inquadramento sistematico delle garanzie previste dal T.U.B. a favore dei finanziamenti al credito agrario e peschereccio e le regole di conflitto con le altre cause di prelazione e quelle di priorità tra i privilegi vanno risolti secondo le previsioni dell’art. 2750, 2° comma, del c.c., a norma del quale “ai privilegi previsti da leggi speciali” si applicano “se non diversamente disposto” le norme del codice stesso.
Quanto al grado del privilegio, l’art. 46, 4° comma, T.U.B prevede una particolare posizione di favore, in quanto gli attribuisce quello previsto dall’art. 2777, ultimo comma del c.c., posposto unicamente al privilegio per le spese di giustizia e a quello di cui all’art. 2751 bis (retribuzioni e provvigioni, crediti dei coltivatori diretti, delle società o enti cooperativi e delle imprese artigiane).
Sempre il 4° comma dell’art. 46 T.U.B. precisa che anche tale collocazione non pregiudica gli altri titoli di prelazione di pari grado, purché con data certa anteriore a quella della trascrizione effettuata ai seni del 3° comma.
Come previsto nel 5°comma, art. 46 T.U.B., il privilegio sui beni può essere fatto valere anche nei confronti dei soggetti che li abbiano acquistati dopo la trascrizione, con l’unico limite della tutela possessoria ex art. 1153 c.c..
L’art. 44, 3° comma, T.U.B colloca il privilegio legale nel grado immediatamente successivo a quello previsto dall’art. 2778 al numero 2) c.c. per i crediti per le imposte dei redditi immobiliari, posposto anche ai crediti contributivi degli istituti, degli enti e dei fondi speciali che gestiscono forme di assistenza obbligatoria per invalidità, vecchiaia e per i superstiti.
Per il caso in cui i finanziamenti di credito agrario e peschereccio siano garantiti da ipoteca su immobili (art.
44, 5° comma, T.U.B.), agli stessi si applica la disciplina per le operazioni di credito fondiario.
Prevedendo una piena applicazione di tutti gli istituti in materia, nel caso ricorrano i requisiti della “fondiarietà”, ciò comporterà, per le banche creditrici, anche l’applicazione delle disposizioni dell’art. 39, 4° comma, T.U.B., sul rapporto tra garanzia ipotecaria e revocatoria fallimentare e quelle sul procedimento esecutivo disciplinate dall’art. 41 T.U.B., che prevede una serie di deroghe alla disciplina comune.
Il sistema delle garanzie al credito agrario e peschereccio comprendeva, poi, storicamente, anche alcuni fondi di garanzia istituiti con leggi speciali nell’ambito di programmi di sviluppo di settore, per i quali di prevedevano anche forme di sostegno pubblico, sotto la forma di contributi in conto interessi o in conto capitale.
Si trattava del Fondo Interbancario di Garanzia (F.I.G.), costituito con legge del 2 giugno 1961, n. 454.
Con il riordino della materia creditizia nel 1993, nel T.U.B. veniva mantenuta una linea di continuità con le precedenti legislazioni speciali, prevedendo all’art. 45 T.U.B. (ora abrogato) che le operazioni di credito agrario e peschereccio potessero essere assistite da garanzie rilasciate dal FIG.
Il legislatore, successivamente, ha sancito il superamento degli schemi di garanzia del F.I.G. e delle coesistenti Sezioni con la loro soppressione, senza il venir meno delle relative funzioni, attribuite all’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (I.S.M.E.A.), ente pubblico economico istituito con il d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 419.
Al contempo, sono state ampliate le forme tecniche attraverso le quali si possono realizzare l’intervento e la garanzia pubblica dello Stato.
L’I.S.M.E.A. – che ha il compito di fornire forme di garanzia creditizia e finanziaria per le imprese agricole e le loro forme associate, al fine di agevolare il rapporto con il sistema bancario e assicurativo – rilascia ora le garanzie al settore agricolo attraverso una società strumentale, la Società di Gestione Fondi per l’Agroalimentare s.r.l. (S.G.F.A.).
I criteri, le condizioni e le modalità per la prestazione delle garanzie sono disciplinate dai decreti del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali del 14 febbraio 2006.
Il sistema delle garanzie attivabili per i finanziamenti destinati alle attività agricole e a quelle connesse tende però a spostarsi, rispetto al previgente sistema di utilizzo del F.I.G. previsto dall’art. 45 T.U.B., verso agevolazioni appannaggio degli imprenditori agricoli e dei soggetti previsti nel d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228. Le garanzie a favore del comparto della pesca e dell’acquacoltura non risultano ancora operanti.
Finanziamenti alle imprese: costituzione di privilegi
L’art. 46 T.U.B. ha avuto una storia particolare e non ha dato luogo ad alcuna casistica giurisprudenziale in senso proprio.
Tale norma prevede la concessione da parte di banche, alle imprese, di finanziamenti a medio lungo termine, garantiti da privilegio speciale su beni mobili, comunque destinati all’esercizio dell’impresa, non iscritti nei pubblici registri.
Tale privilegio può avere ad oggetto: impianti ed opere esistenti e futuri; materie prime, scorte, prodotti in corso di lavorazione; beni comunque acquistati con il finanziamento stesso; crediti, anche futuri, derivanti dalla vendita dei beni indicati in precedenza.
Il 2° e 3° comma dell’art. 46 T.U.B. disciplinano la forma del contratto che dà luogo al privilegio e al regime di opponibilità dello stesso ai terzi.
Il privilegio deve risultare, a pena di nullità, da atto scritto, nel quale deve precisarsi la descrizione dei beni sui quali viene costituito, la banca creditrice, il debitore e il soggetto che lo ha concesso, l’ammontare e le condizioni di finanziamento, nonché la somma di denaro per la quale esso è assunto.
Tale disciplina chiarisce la configurazione della causa di prelazione in termini di ipoteca mobiliare, non richiede espressamente l’atto pubblico o l’autenticazione della sottoscrizione, ma l’intervento del notaio è necessario per poter trascrivere il privilegio nel registro indicato nell’art. 1524, comma 2, c.c..
L’esatta descrizione dei beni e dei crediti oggetto della garanzia ha il solo scopo di evitare incertezze circa la determinazione dell’oggetto medesimo, richiedendo la specifica previsione di criteri idonei a svolgere tale funzione anche dopo la costituzione della causa di prelazione.
Sussistendo i sopraindicati criteri di individuazione dell’oggetto della prelazione, il privilegio si consolida con riferimento alla data della sua costituzione, nei termini indicati nell’art. 67 L.F., non rilevando l’eventuale
vicenda sostitutiva dei beni che ne costituiscono l’oggetto (efficacia rotativa della garanzia).
Quanto all’opponibilità ai terzi del privilegio, il 3° comma dell’art. 46 T.U.B., disciplina il regime di pubblicità che la rende possibile, prevedendo la trascrizione dell’atto, da cui risulta il privilegio, nel registro previsto dall’art. 1524, comma 2, c.c., tenuto presso la cancelleria del Tribunale del luogo dove ha sede l’impresa finanziata; e ciò in quanto i beni oggetto del privilegio, anche quando appartengono ad un terzo datore, debbono sempre essere collegati o destinati all’esercizio dell’impresa.
Il testo attuale dell’art. 46, 3° comma, T.U.B. prevede che la trascrizione debba avvenire anche presso gli uffici del luogo dove ha sede o risiede il soggetto che ha concesso il privilegio.
Per realizzare la trascrizione, il nostro diritto positivo richiede l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata
ex art. 2703 c.c..
Una volta rispettato l’onere di pubblicità, secondo l’art. 46, 5° comma, T.U.B. il privilegio può essere fatto valere anche nei confronti dei terzi che abbiano acquistato diritti sui beni successivamente all’intervenuta trascrizione.
Il solo limite all’opponibilità del privilegio nei confronti dei terzi, che abbiano acquistato il diritto sui beni dopo l’intervenuta trascrizione, è costituito dall’art. 1153 c.c..
È utile, poi, chiarire entro quali limiti il privilegio di cui all’art. 46 T.U.B, relativamente all’opponibilità ai terzi, si differenzi dalle regole di opponibilità delle figure di privilegio previste dagli artt. 2747 e 2748 c.c..
Il privilegio di cui all’art. 46 T.U.B. è speciale e l’opponibilità ai terzi si realizza attraverso lo strumento della pubblicità, sicché risulta pienamente giustificata la soluzione adottata dal comma 5, che prevede, salva la riserva d’acquisto di buona fede, la prevalenza del privilegio rispetto ai diritti acquistati dai terzi sui beni che sono oggetto dello stesso, dopo l’avvenuta trascrizione.
Xxxxxx è la distinzione tra il privilegio in questione e il principio enunciato dal comma 2 dell’art. 2747 c.c.. La norma del codice stabilisce che, salva specifica disposizione di legge in senso contrario, il privilegio speciale sui beni mobili può esercitarsi anche in pregiudizio dei diritti, diversi dal pegno e dall’ipoteca, acquistati dai terzi posteriormente al sorgere dello stesso.
Essendo, tuttavia, indubbio il carattere generale della regola della circolazione, enunciata dagli artt. 1153 e 1155 c.c., nemmeno i privilegi speciali possono farsi valere nei confronti di quei terzi che hanno acquistato secondo la suddetta regola.
Contrariamente alla disciplina codicistica, la regola sancita dal 5° comma dell’art. 46 T.U.B, prevede la piena opponibilità del privilegio nei confronti di tutti coloro i quali abbiano acquistato diritti sui beni che ne sono oggetto dopo la trascrizione del relativo atto.
In questo caso la pubblicità svolge il ruolo di criterio di soluzione dei conflitti non solo rispetto ai terzi che abbiano acquistato diritti sui beni oggetto di garanzia, ma anche rispetto ai terzi creditori che abbiano acquistato a loro volta diritti di garanzia dopo la trascrizione, derogando chiaramente ai principi stabiliti nell’art. 2748 c.c. in tema di privilegi per far propria la disciplina prevista per l’ipoteca negli artt. 2808, 2852 e seguenti del c.c..
Infine, al privilegio in esame è attribuito, al 4° comma della norma in esame, il grado previsto nell’art. 2777, ultimo comma, c.c., sicché esso risulta posposto unicamente al privilegio per spese di giustizia e ai privilegi di cui all’art. 2751 bis c.c.
Il T.U.B., adottando la formula già collaudata per il credito industriale, ha tenuto a precisare che lo stesso privilegio non pregiudica gli altri titoli di prelazione di pari grado, con data anteriore a quella della trascrizione.
In definitiva, in caso di conflitto tra il privilegio ex art. 46 T.U.B. e gli altri privilegi dovrà aversi riguardo in primo luogo al grado del privilegio e, nell’ipotesi di parità di grado, all’anteriorità della trascrizione, derogandosi in tale ultimo caso all’art. 2782 c.c..
D) IL CREDITO AI CONSUMATORI (Artt. 121–125octies T.U.B.)
L’evoluzione normativa
La complessa legislazione italiana, per quanto interessa per la erogazione e la meritevolezza del c.d. credito ai consumo (oggi “credito ai consumatori”), è stata caratterizzata e integrata da molteplici provvedimenti, dapprima europei e, successivamente, interni.
La prima Direttiva europea è la 87/102/CEE del 22/12/1986 che sanciva, innanzitutto, delle definizioni tra cui quella di “consumatore” per cui era considerato tale “… la persona fisica che agisce, per le transazioni disciplinate dalla direttiva, per scopi estranei alla sua attività professionale. “
Tra le disposizioni importanti contenute nella citata Direttiva vanno indicate quelle concernenti il contratto di credito al consumo il quale deve essere concluso in forma scritta e deve contenere l’indicazione del tasso annuo effettivo globale (c.d. T.A.E.G.) e delle condizioni in base alle quali lo stesso può essere modificato; inoltre, copia scritta del contratto deve essere consegnata al consumatore.
Dopo la Direttiva europea 87/102/CEE altre due Direttive europee sono intervenute ad integrare la disciplina: si tratta delle Direttive 90/88/CEE e, successivamente, 98/7/CE.
Nel nostro ordinamento il recepimento delle prime Direttive comunitarie citate è avvenuto, innanzitutto, con la legge 19/2/1992, n. 142 (c.d. legge sulla “trasparenza bancaria”) e, successivamente, con il D.Lgs. legislativo 1/9/1993, n. 385 (il Testo Unico Bancario, T.U.B.), all’interno del quale sono poi confluite le disposizioni in materia di credito al consumo della citata legge 142/1992.
Va inoltre menzionata la delibera del C.I.C.R. (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) del 4/3/2003, la quale stabilisce norme sull’informazione precontrattuale e contrattuale, sulla pubblicità, sulle comunicazioni alla clientela.
Altro atto normativo interno e certamente rilevante, che faceva esplicito riferimento al credito al soggetto consumatore, è il c.d. “Codice del Consumo” del D.lgs. 6/9/2005, n. 206, che parlava di credito al consumo agli articoli 40, 41 e 42 (ora abrogati).
Successivamente è intervenuta la Direttiva europea 2008/48/CE cui è seguito il D.Lgs. del 13/8/2010 n. 141 e succ. mod. D.Lgs. 14/12/2010 n. 218, i Provvedimenti Banca d’Italia sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari del 29/7/2009 e 9/2/2011 e, recentemente, il Provvedimento del 15/7/2015 in vigore dal 1/10/2015.
Prima di analizzare le caratteristiche peculiari del credito al consumo, va sinteticamente rilevato che il recente intervento di Banca d’Italia del mese di luglio 2015 apporta modifiche (sostanzialmente in termini di trasparenza) alla parte relativa alla pubblicità e alle informazioni precontrattuali, al T.A.E.G. (nel caso in cui il finanziatore utilizzi informazioni ricavate per stima o costi relativi a servizi non siano quanrtificabili), alla stipula dei contratti mediante strumenti informatici o telematici, alle comunicazioni in corso di rapporto (nel caso di sconfinamenti deve essere comunicata al consumatore anche la commissione di istruttoria veloce) mentre la disciplina del recesso dal contratto, dell’inadempimento del fornitore del bene oggetto di finanziamento e del rimborso anticipato vengono nuovamente rinviate alla normativa, in materia, contenuta nel T.U.B. agli artt. 125ter e ss., introdotti dalla riforma del D.Lgs. 141/2010, di cui oltre.
Il credito al consumo nel nostro ordinamento – L’attuale testo normativo di riferimento per la banca
Per “credito al consumo” (rectius, “ai consumatori”) si intende la concessione, da parte di banche o di intermediari del credito (agenti o mediatori creditizi o altri soggetti) di finanziamenti in favore di una persona fisica c.d. “consumatore” (cfr. art. 3 del D.Lgs. 6/9/2005 n. 206 c.d. “codice del consumatore” per il quale è “consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attivita' imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”), finalizzata all’acquisto di beni di consumo, servizi, o per esigenze di carattere personale che può assumere varie tipologie :
a) dilazione di pagamento : quando il pagamento del bene o del servizio avviene attraverso rate e la concessione del credito viene accordata direttamente dal soggetto autorizzato a vendere beni e servizi;
b) finanziamento : quando viene erogato dalle banche o dagli intermediari finanziari.
Si rileva che nel caso sub a) di dilazione del pagamento, il soggetto che vende il bene o il servizio non può richiedere la corresponsione di interessi sulla somma dovuta e dilazionata; dal punto di vista normativo, la dilazione del pagamento, ad opera del fornitore del bene o del servizio, peraltro, è ancora disciplinata dall’art. 1523 c.c. che stabilisce che nella “vendita a rate” con riserva della proprietà, il compratore “finanziato” acquista la proprietà del bene con il pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma ne assume i rischi dal momento della consegna del bene in suo favore.
Va segnalato che non rientra nell’erogazione del credito al consumo la mera dilazione di pagamento a fronte di diluizione di prestazioni erogare.
Ben più delicato e, quindi, articolato – anche in considerazione delle maggiori difficoltà che si incontrano nella tutela attribuita al consumatore – è la vera e propria concessione di credito erogata sotto forma di prestiti/finanziamenti da banche o intermediari finanziari per ottenere beni o servizi da terzi.
Peraltro il terzo venditore o erogatore del bene o servizio, ha un preciso onere di identificare il richiedente consumatore cui viene concesso il finanziamento.
Il testo normativo (che interessa all’operatore di banca) al quale si deve fare riferimento per il “credito ai consumatori” è, quindi, ancora il T.U.B. dagli artt. 121 e segg. (ove viene trattato in modo sistematico come modificato, sostanzialmente, dai citati D.Lgs. 141/2010 e, in minima parte, D.Lgs. 218/2011), e i Provvedimenti di Banca Italia del 29/7/2009, 9/2/2011 e del 15/7/2015 (in vigore dal 1/10/2015) che intervengono soprattutto per definire i “dettagli tecnici” (ad es. foglio informativo del c/c, prototipo foglio informativo del mutuo, schema per l’indicazione dell’Indice Sintetico di Costo, ecc.) ai quali gli intermediari finanziari devono, di volta in volta, adeguarsi.
L’art. 121 del T.U.B. lett. c) fa riferimento al credito “ sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria” (mutui, aperture di credito, leasing finanziario ecc.) da parte del “finanziatore” inteso come (cfr. art. 121 lett. f) “un soggetto che, essendo abilitato a erogare finanziamenti a titolo professionale nel territorio della Repubblica, offre o stipula contratti di credito” (intermediari finanziari autorizzati da Banca di Italia e iscritti nell’elenco tenuto a cura di quest’ultima a norma dell’art. 106 T.U.B. nonchè, per la sola concessione gratuita di dilazione di pagamento, di venditori professionali di beni e servizi).
Esclusioni e deroghe dalla disciplina del “credito ai consumatori”
É peraltro sottratto alla disciplina del “credito ai consumatori” quanto indicato dall’art. 122 T.U.B., tra cui :
- lett. a) finanziamenti inferiori a € 200 e superiori a € 75.000;
- lett. b) contratti di somministrazione e di appalto;
- lett. c) e d) finanziamenti con esclusione di interessi o con commissioni di importo non significativo e rimborsabili entro 3 mesi dall’utilizzo delle somme;
- lett. e) mutui concessi per finanziare acquisto di beni immobili;
- lett. g) contratti di credito garantiti da ipoteca con durata superiore a 5 anni;
- lett. h) finanziamenti in base ad accordi raggiunti avanti l’autorità giudiziaria;
- lett. i) dilazioni per pagamenti di debiti preesistenti ;
- lett. l) finanziamenti garantiti da pegno su bene mobile se il consumatore non è obbligato per un ammontare eccedente il valore del bene ;
- lett. o) contratti di credito sottoforma di sconfinamento del c/c (salvo l’art. 125octies, di cui oltre)
Le disposizioni di legge cui al T.U.B. in merito al “credito ai consumatori” possono essere derogate solo in senso favorevole al cliente /consumatore (art. 127 T.U.B.); le deroghe in senso sfavorevole al consumatore sono colpite da nullità (vedi oltre) rilevabile di ufficio dal giudice.
Costi e Tassi
Riprendendo la disciplina dell’articolo 121, la lett. e) definisce il “costo totale del credito“ come la somma degli “ interessi e di tutti gli altri costi, incluse le commissioni, delle imposte e delle altre spese, a eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza “ compresi i premi assicurativi la cui conclusione sia ritenuta dal finanziatore conditio sine qua non per il finanziamento.
La successiva lett. m) dell’art. 121 T.U.B. definisce il T.A.E.G. (tasso annuo effettivo globale) come “ il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito “.
Una particolare nullità (relativa) è prevista dall’art. 125bis, 6° comma, T.U.B. per la violazione dell’obbligo di indicare correttamente e preventivamente, nei messaggi pubblicitari, il T.A.E.G. (vedi oltre) .
Informazioni pubblicitarie
L’art. 123 T.U.B. contiene gli obblighi di informazione pubblicitaria e stabilisce che il finanziatore, quando in un annuncio pubblicitario indica cifre e tassi relativi all’importo del credito, deve fornire le seguenti informazioni di base:
a) il tasso d'interesse, specificando se fisso o variabile, e le spese comprese nel costo totale del credito;
b) l'importo totale del credito;
c) il T.A.E.G.;
d) l'esistenza di eventuali servizi accessori necessari per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni pubblicizzate, qualora i costi relativi a tali servizi non siano inclusi nel TAEG in quanto non determinabili in anticipo;
e) la durata del contratto, se determinata;
f) se determinabile in anticipo, l'importo totale dovuto dal consumatore, nonche' l'ammontare delle singole rate.
Queste disposizioni costituiscono una disciplina più puntuale delle informazioni pubblicitarie; è esplicitamente sancito, infatti, l’obbligo di fornire le informazioni in maniera chiara, concisa e graficamente evidenziata mediante un esempio tipico.
Obblighi informativi e di merito creditizio
Il finanziatore deve, inoltre, adempiere in maniera chiara, completa e puntuale (anche se il credito al consumo avviene attraverso la dilazione di pagamento da parte di soggetto abilitato a vendere beni o servizi) a degli obblighi “informativi precontrattuali” (art. 124 T.U.B., sanzionato dall’art. 144 T.U.B. con ammende e qualificato come illecito extra-contrattuale, con supporti cartacei o durevoli (cfr. art. 121 lett. l) T.U.B.) che “di merito creditizio” (art. 124bis T.U.B., non sanzionato dal T.U.B.) anche attraverso l’accesso, da parte del creditore, alle banche dati che comporta, in caso di negazione del finanziamento, l’obbligo di comunicare al consumatore il risultato della consultazione (art. 125, 2° comma, T.U.B.).
Il finanziatore deve informare preventivamente il consumatore – al momento della prima volta che segnala informazioni ad una banca dati – sugli effetti di segnalazioni negative sulla capacità di accedere al credito; inoltre i finanziatori devono assicurare i consumatori che le informazioni/segnalazioni nelle banche dati siano esatte, aggiornate e prontamente rettificate se i dati dovessero risultare errati.
Contratti e comunicazioni al consumatore – Nullità per carenza di forma e nullità relativa delle sole clausole
L’art. 125bis T.U.B., che contiene norme sui contratti e sulle comunicazioni, stabilisce che il contratto deve essere sottoscritto su supporto cartaceo o su altro supporto durevole (anche, quindi, sottoscrizione di documento informatico con firma digitale o elettronica); è richiesto il requisito della forma scritta nei casi previsti dalla legge (cfr. Art. 117 T.U.B.) pena la nullità integrale del contratto.
Il contratto deve contenere tutte le informazioni e le condizioni previste da Banca Italia in conformità con le deliberazioni del C.I.C.R.
L’art. 125bis, 6° comma, T.U.B. prevede la nullità delle sole clausole contrattuali (e quindi una nullità relativa che non comporta nullità dell’intero contratto) relative a costi a carico del consumatore che - contrariamente a quanto previsto dall'art. 121, 1° comma, lett. e), T.U.B. (“costo totale del credito”) - non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel T.A.E.G. pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall'articolo 124 T.U.B. .
L’art. 125bis, 7° comma, T.U.B. stabilisce che nei casi di assenza o di nullita' delle relative clausole contrattuali :
- il T.A.E.G. equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto;
- nessuna altra somma e' dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese;
- la durata del credito e' di 36 mesi.
Nullità integrale del contratto di finanziamento per carenza di infomazioni
Per l’art. 125bis, 8° comma, T.U.B. il contratto e' nullo se non contiene le informazioni essenziali su:
- il tipo di contratto;
- le parti del contratto;
- l'importo totale del finanziamento e le condizioni di prelievo e di rimborso.
In caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in 36 rate mensili.
Il diritto di recesso dal contratto
Tra le norme più innovative e significative del credito ai consumatori vanno segnalate quelle relative al recesso dal contratto (artt. 125ter e 125quater T.U.B.) a seguito di un “ripensamento” del consumatore che può avvenire – a prescindere dai mezzi di comunicazione, dai tempi e dai luoghi di perfezionamento della formazione dell’accordo - per il solo fatto di aver aderito al contratto di finanziamento sia nei locali del finanziatore (banca) che presso il terzo (venditore/erogatore) del bene o del servizio per i quali il consumatore ha chiesto e ottenuto il finanziamento, da cui vuole recedere.
Il consumatore ha diritto di recedere dal contratto di credito senza motivazione con comunicazione scritta (raccomandata a.r., ex art. 64 cod. consumo, “….o qualsiasi mezzo che possa costituire prova conformemente alla legislazione nazionale” secondo la Direttiva 2008/48/CE ) che deve essere inviata (non si richiede quindi che sia pervenuta al destinatario nel termine) entro 14 giorni che decorrono o dal momento della conclusione del contratto, ovvero dal momento in cui (il termine quindi viene di fatto “sospeso”) il consumatore ha ricevuto tutte le informazioni di cui all’ art. 125bis, 1° comma, T.U.B. se tali informazioni sono posteriori alla conclusione del contratto.
Non occorre l’indicazione delle ragioni per cui il consumatore voglia recedere dal finanziamento.
Se il contratto ha già avuto esecuzione (con l’erogazione del finanziamento) per il consumatore – dal momento dell’efficacia del recesso – sorge l’obbligo di rimborsare al finanziatore il capitale riscosso e gli interessi maturati su di esso alla data del prelievo (al tasso debitore pattuito nel T.A.E.G.); nessun indennizzo, penale o risarcimento può essere richiesto (salvo oneri versati dal finanziatore alla P.A., quali tributi e imposte).
Il recesso si estende anche per ogni servizio accessorio (es. assicurazione stipulata in favore del finanziatore) collegato al finanziamento.
É peraltro abusiva la clausola con la quale il consumatore rinuncia al recesso e si assume comunque l’obbligo di corrispondere al finanziatore l’importo pattuito.
L’ art. 125quater T.U.B. prevede che, nei contratti di credito a tempo indeterminato, il consumatore possa recedere in ogni momento senza spese e senza penalità.
Nel contratto può essere previsto un preavviso per il recesso, che tuttavia non può essere superiore ad un mese.
Per tali ipotesi si prevede quindi che il consumatore potrà recedere in qualsiasi momento dal contratto senza penalità e senza alcun obbligo di preavviso, a meno che quest’ultimo non sia previsto contrattualmente e comunque in misura non superiore ad un mese.
Il finanziatore potrà recedere dal contratto a tempo indeterminato solo se tale possibilità sia prevista nel contratto, mediante comunicazione scritta o su altro supporto durevole al consumatore con un preavviso di due mesi.
Non è stata invece prevista la possibilità del finanziatore di recedere senza preavviso laddove sussista un motivo oggettivamente giustificato; infatti, nei contratti a tempo indeterminato, sono da considerarsi vessatorie, ai sensi del cod. del consumatore, le clausole che attribuiscono alla banca il diritto di recedere in mancanza di un giustificato motivo e senza un preavviso ragionevole dai contratti bancari e finanziari.
In ogni caso il finanziatore potrà, sempre se previsto contrattualmente, sospendere per una giusta causa l’utilizzo del credito da parte del consumatore, dandogliene comunicazione su supporto cartaceo o altro durevole, in anticipo ovvero, laddove ciò non sia possibile, immediatamente dopo la sospensione.
Rimborso anticipato, cessione dei crediti, “sconfinamento”
Il consumatore può, in qualunque momento, chiedere – al finanziatore - il rimborso anticipato.
Sul punto l’art.125 sexies T.U.B. prevede che il costo del credito per il consumatore (che rimborsa il capitale) sia ridotto di un ammontare pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto (debito) estinto anticipatamente .
E’ stabilito anche un indennizzo per il creditore, che però non può superare l’ 1% della somma rimborsata in
anticipo nel caso in cui la vita residua del contratto sia superiore ad 1 anno; nel caso in cui la vita del contratto sia pari o inferiore ad 1 anno l’indennizzo non può essere superiore allo 0,5%.
In ogni caso, l’ indennizzo non può essere maggiore degli interessi che il consumatore avrebbe pagato per la vita residua del contratto.
L’indennizzo alla banca non è dovuto in alcuni casi : ad. es. in caso di rimborso in esecuzione di un contratto di assicurazione del finanziamento o in caso di estinzione anticipata di un’apertura di credito.
In caso di cessione dei crediti il consumatore deve essere informato (art. 125 septies T.U.B.), a meno che il finanziatore cedente, in accordo con il terzo cessionario del credito, continui a gestire il credito nei confronti del consumatore.
In ogni caso il consumatore può opporre al terzo cessionario del credito ceduto tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere nei confronti del finanziatore cedente, compresa la compensazione tra debiti e crediti reciproci con il finanziatore originario (in deroga alla disposizione dell’art. 1248 c.c. che esclude la compensazione se il debitore ceduto accetta “puramente e semplicemente” la cessione).
In caso di finanziamento che preveda la possibilità per consumatore di utilizzare il finanziamento con un conto corrente con “sconfinamento” si applicano le disposizioni generali del T.U.B. in merito ai contratti bancari dall’art. 115 e segg.
La norma speciale per il “credito ai consumatori” (art. 125octies T.U.B.) prevede, in particolare, un obbligo del finanziatore di comunicare al cliente l’avvenuto “sconfinamento”, l’importo relativo, il tasso debitore applicato e penali, interessi moratori e spese applicabili.
Contratti di credito “collegati”
Merita attenzione la rilevanza che può assumentre il “collegamento” tra il contratto di finanziamento e il contratto per la fornitura di un bene e o di un servizio tutte le volte in cui il consumatore chieda il finanziamento per procurarsi il bene o il servizio da terzi.
Per individuare il “contratto di credito collegato” bisogna fare riferimento alla disposizione dellart. 121, 1° comma, lett. d) T.U.B. per il quale si intende “…il contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio….”, qualora ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
a) il finanziatore si avvale del fornitore del bene e/o del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito;
b) il bene o il servizio sono esplicitamente individuati nel contratto di credito.
La giurisprudenza, in caso di “collegamento” tra finanziamento e bene o servizio, ritiene, peraltro, si tratti di “mutuo di scopo” in quanto il contenuto contrattuale prevede la specifica destinazione del finanziamento per l’acquisto del bene o del servizio.
In tema di inadempimento del fornitore di beni o di servizi, l’art. 125quinquies T.U.B. stabilisce che il consumatore ha diritto di risolvere il contratto di credito collegato, se ha inutilmente costituito in mora il fornitore e l’inadempimento di quest’ultimo non abbia “scarsa importanza” (art. 1455 c.c.) e quindi sia un inadempimento “grave” .
Ciò comporta l’obbligo del finanziatore a restituire al consumatore le rate già pagate, oltre ad ogni altro onere applicato e, per il consumatore, in venir meno dell’obbligo di rimborsare il finanziatore delle somme erogate al terzo fornitore di beni e servizi (“gravemente” inadempiente) con il conseguente diritto del finanziatore di ripetere direttamente dal terzo le somme a lui erogate.
Clausole di esclusione della opponibilità di eccezioni da parte del consumatore
Con particolare riferimento al “collegamento negoziale” tra un contratto di finanziamento e uno di fornitura di beni o servizi va, inoltre, considerata la problematica delle legittimità o meno dell’inserimento nel contratto di finanziamento (da parte della banca, stante la sua maggiore forza contrattuale) di clausole con le quali si stabilisce che l’eventuale inadempimento del fornitore di beni o servizi non può incidere, in alcun modo, sugli obblighi restitutori assunti dal consumatore escludendo quindi l’opponibilità della eccezione di “grave” inadempimento del fornitore per ottenere gli effetti (liberatori) ex art. 125quinquies T.U.B. .
In altri termini, il problema ha riguardato la rilevanza e l’efficacia giuridica delle pattuizioni di esclusione volontaria del collegamento negoziale e dei suoi effetti.
Sul punto la Suprema Corte – pur riconoscendo che una clausola di rinuncia all’opponibilità delle eccezioni relative al contratto di fornitura di beni o servizi deve considerarsi comunque valida in quanto espressione di libertà negoziale delle parti – ha, tuttavia, riconosciuto che simili pattuizioni devono essere fatte oggetto di valutazione alla luce del contesto in cui si inseriscono e, in primo luogo, devono essere interpretate alla luce dei principi generali di “ buona fede e di correttezza” al fine di evitare l’effetto di restringere, in misura ingiustificata, la tutela del cliente consumatore il quale si ritroverebbe ad essere, oltre che vittima dell’inadempimento del fornitore, comunque vincolato dal persistente obbligo di restituzione delle rate per rimborsare un finanziamento per un bene o un servizio che non ha ottenuto.