Contrattazione Collettiva e sostituzione del CCNL
Contrattazione Collettiva e sostituzione del CCNL
applicata ai lavoratori
ESEMPIO CASO PRESO IN ESAME
La società Alfa aderente ad una Associazione datoriale sottoscrittrice del contratto collettivo aziendale applicato in azienda, decide di mutare unilateralmente il CCNL ai propri dipendenti.
Alfa, pertanto, pur restando iscritta alla Associazione datoriale sottoscrittrice del CCNL di provenienza, ha applicato un CCNL diverso prevedente condizioni e trattamenti diversi rispetto al CCNL di provenienza.
Tale mutamento comporta delle perdite di carattere economico a fronte di una prestazione lavorativa svolta su 38 ore settimanali e retribuita secondo le 36 ore della contrattazione collettiva di provenienza.
I lavoratori si rivolgono ad un professionista onde ottenere un parere sulla legittimità dell’operato dell’azienda Alfa e consigli sulle azioni a tutela dei propri interessi e diritti.
Cenni di introduzione alla trattazione
Nel caso del mese si analizzeranno le questioni sottese al caso della società Alfa, che aderente ad un’associazione datoriale sottoscrittrice del contratto collettivo aziendale applicato in azienda, ha deciso di mutare unilateralmente il CCNL ai propri dipendenti.
I lavoratori della suddetta società pertanto si sono rivolti ad un professionista per ottenere un parere in merito alla legittimità dell’operato dell’azienda e consigli sulle azioni a tutela dei propri interessi e diritti.
Nella prima parte della trattazione verrà esaminata la disciplina normativa afferente la contrattazione collettiva con l’esame dell’articolo 39 della Costituzione, analizzando principalmente i profili di diritto comune, la parte normativa alla luce dell’articolo 36 della Costituzione, la parte obbligatoria, l’efficacia della contrattazione con la sopravvivenza dell’art. 2070 cod. civ., la conseguenziale derogabilità in melius e inderogabilità in peius con la relativa acquisizione dei diritti quesiti.
Nella seconda parte della disamina della questione si esamineranno le implicazioni conseguenti dalla interazione dei principi normativi esplicati, al caso pratico e nella parte finale dell’analisi si evidenzieranno le possibili ipotesi risolutorie secondo norma e la possibile risoluzione del caso pratico con le relative azioni proponibili a tutela.
CONTESTO NORMATIVO
La contrattazione collettiva
Nel vigente ordinamento lavoristico ,il sistema di contrattazione collettiva è regolato dalle norme di diritto comune e dall’autonomia contrattuale, stante perdurante mancata applicazione dell’art. 39 della Costituzione. La contrattazione collettiva consiste nel processo di regolamentazione congiunta dei rapporti di lavoro. I contenuti della stessa contrattazione dipendono dalla struttura del sistema produttivo e, del mercato del lavoro, il tutto alla luce dello sviluppo economico e della politica statale.
Il contratto collettivo è inteso come il contratto con cui i soggetti collettivi - organizzazione dei lavoratori e dei datori di lavoro-, predeterminano la disciplina dei rapporti individuali di lavoro con la stipulazione della parte normativa regolamentante gli aspetti di disciplina del rapporto di lavoro e della parte obbligatoria, costituita da clausole che hanno come destinatari gli stipulanti, e per mezzo delle parti stesse assumono reciproci impegni. L’unico elemento di rigidità ravvisabile, confermato anche dall’orientamento giurisprudenziale è rappresentato dal precetto rinvenibile, secondo un’interpretazione fortemente consolidata, nell’art.36 della Costituzione. Numerose sentenze hanno infatti asserito l’obbligo di riconoscere ai lavoratori i trattamenti minimi di
retribuzione diretta definiti dal CCNL della categoria di riferimento ratificato dalle Xx.Xx. comparativamente più rappresentative, verificandosi altrimenti il mancato soddisfacimento del diritto costituzionale spettante ad ogni lavoratore di ricevere trattamenti idonei a consentire, a sé ed ai propri familiari, un’esistenza «libera e dignitosa».
Il contratto collettivo di diritto comune opera dunque nei confronti del contratto individuale con la stessa efficacia della legge, pur restando un atto di autonomia privata.
Infatti dalla sua natura privatistica discendono una serie di conseguenze quali la non efficacia erga omnes, la libertà della forma, la non ammissibilità del ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione del contratto collettivo: ciò significa che alla Suprema Corte non si può chiedere di fornire l’esatta interpretazione del giudice di merito bensì di controllare il procedimento ermeneutico seguito dal giudice di merito.
Proprio in ragione del richiamo alle regole di diritto comune ed in particolare dell’art. 1322 c.c., alle Parti è consentito di stipulare “contratti che non appartengono ad una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, in cui vi rientrano gli aspetti economico normativi del rapporto di lavoro.
Tale aspetto, risulta essenziale al fine di comprendere l’esatta implicazione delle dinamiche investenti il caso in questione e richiamanti un ulteriore principio alla base di ogni valutazione di carattere pratico risiedente nel principio di libertà sindacale ex art. 39 Cost.
Sistema corporativo ed efficacia dei contratti collettivi
Il riconoscimento della libertà sindacale di cui all’art. 39 della Costituzione risulta essere il frutto di una vicenda storica che ha riguardato le organizzazioni rappresentative degli interessi professionali dei lavoratori.
La ratio di tale evoluzione è il riconoscimento di una dimensione collettiva e non più individuale della politica del lavoro.
L’oggettiva delicatezza dei problemi del lavoro ha giustificato l’intervento dello Stato nel processo di formazione del sindacato con modalità che si sono contraddistinte prima nella repressione dello stesso in epoca fascista, poi nella tolleranza ed infine nella regolamentazione autoritativa.
Con la caduta dell’ordinamento corporativo, infatti, la libertà sindacale ha ottenuto un pieno riconoscimento nel sistema dei rapporti sociali ed economici.
Il primo comma dell’art. 39 della Costituzione secondo cui l’organizzazione sindacale è libera ha determinato il superamento della concezione pubblicistica del sindacato e della gestione centralistica ed autoritaria in riferimento alle relazioni collettive.
Al riconoscimento della libertà sindacale si è affiancato il riconoscimento legale del sindacato mediante la registrazione ed è questo il motivo per cui la seconda parte dell’art. 39 della Costituzione è apparso un corpo estraneo rispetto al principio di apertura e da ciò si è evinto il rifiuto sindacale della legge di attuazione dell’art. 39 della Costituzione.
La seconda parte dell’art. 39 Cost. non (ancora) attuata dal legislatore ordinario, disegna un modello di relazioni sindacali che coniuga il potere di rappresentare i lavoratori, al fine di conferire ai contratti collettivi una efficacia verso tutta la comunità di lavoro (efficacia c.d. erga omnes), con il gradimento che ogni sigla sindacale riscuote (in termini di adesioni) tra i lavoratori di una determinata categoria (merceologica o produttiva).
Il 4° comma dell’art. 39 Cost. specifica che i sindacati registrati <<possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce>>, per cui il compito del legislatore è quello di individuare le modalità attraverso cui registrare il tasso di proselitismo di ogni sindacato ed i confini della <> che raggruppa o che va considerata come unificante una platea di lavoratori per i quali deve essere dettata una medesima regolamentazione contrattuale del rapporto di lavoro.
Fin dagli anni ’50, quando si animò il dibattito sulle leggi di recepimento del dettato costituzionale, fu chiaro che la ragione per cui non poteva essere attuata la previsione costituzionale non andava ricercata nella oggettiva difficoltà di disegnare i confini del mondo del lavoro tra una categoria e l’altra, quanto piuttosto nel rifiuto da parte del rinato <>, di accettare la <>.
Proclamata la Repubblica, il timore avvertito dai sindacalisti, anche a seguito dei risultati delle elezioni del 1948 che sancirono la vittoria del blocco di partiti politici moderati e meno legati, se non altro ideologicamente, alla classe dei lavoratori, fu quello che, attraverso la registrazione, fosse possibile un controllo da parte dello Stato sulla organizzazione interna del sindacato, con il rischio che ciò potesse avere ricadute anche sulla riduzione di autonomia e indipendenza nelle scelte politiche di iniziativa sindacale.
La libertà sindacale e le interazioni con lo Statuto dei Lavoratori
Nel nostro ordinamento il riconoscimento della libertà sindacale si incentra sul sintetico disposto dell’art. 39 Cost. 1 comma secondo cui l’organizzazione sindacale è libera, del quale, pure nell’inattuazione dei commi successivi, non è stata mai messa in dubbio la precettività e l’ampiezza dei contenuti.
La libertà sindacale positiva si sostanzia principalmente nelle libertà per il singolo di costituire un sindacato, di aderirvi; siffatta garanzia trova attuazione nell’art. 14 dello Statuto dei Lavoratori che ne ha garantito l’attuazione all’interno dei luoghi di lavoro e nel successivo articolo 15 che decreta la nullità degli atti discriminatori, rivolti a colpire un lavoratore in ragione della sua adesione ad una associazione sindacale .
L’articolo 15 alla lettera a) statuisce inoltre che è nullo qualsiasi atto o patto diretto a subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o meno ad un’associazione sindacale ovvero cessi di farne parte e contiene l’unico riferimento rinvenibile nella legislazione italiana alla libertà sindacale negativa vale a dire alla libertà del lavoratore di aderire o meno al sindacato: il lavoratore infatti non può essere discriminato in relazione all’assunzione, al licenziamento o qualunque altro momento del rapporto di lavoro in ragione della sua mancata affiliazione ad un sindacato.
Il contratto collettivo è ritenuto applicabile anche in mancanza del requisito di iscrizione, quando vi sia stato prestato esplicita o implicita adesione.
Il primo caso si verifica quando il contratto individuale rinvia alla disciplina collettiva; il secondo caso quando il contratto collettivo è di fatto spontaneamente applicato.
Portata e valenza dell’art. 2070 c.c. e mantenimento diritti quesiti
Le operazioni sull’adesione esplicita o implicita conciliano con il diritto comune e con il principio costituzionale di libertà sindacale.
In particolare la mancanza di una regolamentazione legislativa specifica della contrattazione collettiva ed il ricorso alle regole generali dell’ordinamento giuridico, per definire l’ambito di applicazione di ogni accordo, comportano rilevanti effetti anche sulla scelta del CCNL che si intende utilizzare per la disciplina dei rapporti di lavoro.
Al riguardo occorre tenere presente che nel nostro ordinamento risulta ancora vigente l’art. 2070 c.c. secondo cui l'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore
Se l'imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività.
Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un'attività organizzata, si applica il contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività.
Nonostante l’attualità, tuttavia, trattasi di una regolamentazione che seppur vigente si riferiva ad una regolamentazione contrattuale pre-costituzionale, ossia ai cd. contratti corporativi non più vigenti.
Secondo costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, è ormai affermato il principio della libertà di scelta del CCNL applicabile al singolo rapporto di lavoro, con conseguente facoltà di autodeterminazione normativa ed economica della disciplina contrattuale dei rapporti di lavoro.
Il primo comma secondo cui l'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'effettiva attività svolta, non trova applicazione per quei contratti collettivi di diritto comune, che hanno efficacia vincolante solo per gli iscritti alle associazioni stipulanti.
Nel concreto l’individuazione di un determinato contratto collettivo, prescinde dallo svolgimento di una determinata attività ed appartenenza a categoria professionale per i datori di lavoro non aderenti ad associazioni di categoria.
La libertà di scelta della individuazione della contrattazione collettiva, comporta ad ogni modo, nel caso di cambiamento di CCNL, il mantenimento dei diritti quesiti.
Ciò sta a significare che la problematica indotta dalla successione di normative contenute in contratti collettivi di pari livello sono risolte, secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate all’insegna del principio dell’identica o pari derogabilità, anche in peius, da parte della fonte successiva ma nei confronti di quella antecedente venuta a scadere e comunque senza pregiudizio alcuno, tuttavia, nei confronti dei diritti acquisiti al patrimonio dei lavoratori.
Ciò implica che la disciplina del rapporto di lavoro nell’ambito di un mutamento di contrattazione collettiva deve tener conto di detti diritti che, in quanto già acquisiti al patrimonio del lavoratore, risultano immodificabili da successive variazioni della contrattazione applicabile al rapporto.
Interazioni dei principi normativi in relazione al caso pratico
Premesso il quadro normativo di cui sopra in relazione alle osservazioni dal punto di vista operativo si osserva che la sostituzione del Ccnl di categoria individuato per la disciplina del rapporto di lavoro può essere considerata una procedura assoggettabile al principio, della successione temporale degli atti negoziali, per cui nei rapporti tra contratti del medesimo livello il contratto successivamente intervenuto può modificare, in senso migliorativo o peggiorativo, il contratto previgente.
Pertanto, con accordo collettivo, si può procedere alla sostituzione della regolamentazione collettiva precedentemente applicata ai lavoratori, vincolandoli alla nuova disciplina, il che significa per quanto attiene il livello nazionale di contrattazione, la esperibilità della completa sostituzione, con accordo sindacale, di un Ccnl con altro Ccnl quale riferimento per la gestione economica e normativa dei rapporti di lavoro.
Considerando che sovente che nella lettera di assunzione è indicata la determinazione contrattuale applicabile con conseguente insorgenza del vincolo contrattuale specifico, è evidente che il rapporto contrattuale collettivo e individuale risulterebbe gestibile attraverso pattuizioni individuali ai sensi dell’art.2113
c.c. ben considerando che eventuali modifiche della contrattazione collettiva applicabile al rapporto non previste da esplicite previsioni legislative non potrebbero produrre comunque penalizzazioni delle condizioni di lavoratori richiamate per relazioni attraverso il rinvio ad un Ccnl di categoria ed inducendo ad una valutazione complessiva tra il trattamento eventualmente peggiorativo rispetto alla componente negativa di un altro trattamento contrattuale.
Di particolare rilievo risulta essere anche la sussistenza, nell’ambito del rapporto di lavoro di procedure di prassi, intese quali comportamenti unilaterali del datore di lavoro ascrivibili alla categoria degli usi negoziali.
La sussistenza di una prassi pertanto può determinare la persistenza di obblighi di contenuto economico o normativo nonostante la sopravvenuta sostituzione del Ccnl applicato.
Ulteriore vincolo da considerare è l’appartenenza del datore di lavoro ad un particolare sistema associativo, i cui organi di rappresentanza abbiano condiviso con le Xx.Xx. i contenuti di uno specifico Ccnl, circostanza che comporta l’applicazione obbligatoria di tale regolamentazione, economica e normativa, a tutti i rapporti di lavoro dipendente, in ragione delle prescrizioni rinvenibili nella normativa civilistica generale che disciplina le relazioni tra mandanti e mandatari, alla sola condizione preliminare consistente nell’esecuzione di attività rientranti nell’ambito di competenza definito dal Ccnl medesimo.
In conseguenza del vincolo associativo, le associazioni datoriali operano infatti in rappresentanza delle imprese associate, sottoscrivendo intese categoriali produttive di obblighi indisponibili. Solo la cessazione del rapporto associativo, unitamente alla successiva scadenza del regime di durata della regolamentazione contrattuale categoriale applicata, possono determinare una combinazione di effetti che permette di procedere legittimamente alla sostituzione del Ccnl applicato ai rapporti di lavoro, in essere e futuri. In assenza di entrambe tali precondizioni, risulterebbe sempre rivendicabile la disciplina collettiva pregressa, rendendo inefficaci eventuali diverse determinazioni assunte dal datore di lavoro, in quanto si configurerebbe una violazione sia della previsioni civilistiche sul mandato con rappresentanza sia del principio di irrecedibilità, sino a scadenza, dai contratti collettivi a termine di diritto comune.
Ipotesi risolutorie secondo norma
Nel caso di specie ci si trova dinanzi alla società Alfa che aderente ad un’associazione sindacale ha deciso di mutare unilateralmente il Ccnl ai propri dipendenti. In tali ipotesi sono riconosciute trattamenti derivanti da specifichi vincoli contrattuali e legali.
In tale fattispecie la sostituzione del contratto collettivo ha quale scriminante fondamentale l’appartenenza della suddetta associazione di categoria situazioni che potrebbe esporre l’azienda a rivendicazioni da parte di lavoratori come di seguito evidenziate.
Le procedure di sostituzione del CCNL sono ascrivibili a due categorie: 1) ricorso ad un accordo collettivo di sostituzione; 2) provvedimento datoriale unilaterale.
Il ricorso ad un accordo collettivo di sostituzione, può trovare estrinsecazione sia nei c.d. accordi sindacali di armonizzazione, deputati a mediare i contenuti del CCNL di provenienza e del CCNL di destinazione sia in intese rigide, che si limitino a definire la data di decorrenza integrale della nuova regolamentazione contrattuale e tale nuova contrattazione si applicherà esclusivamente al personale neo assunto.
Conseguentemente l’abbandono del CCNL di provenienza comporterà de facto la perdita, da parte delle Xx.Xx. firmatarie, del vincolo associativo, e se asseverata dai lavoratori sarà condizione sufficiente per l’applicazione della nuova contrattazione collettiva.
Entrambe le procedure di sostituzione del CCNL producono effetti anche in riferimento alla natura economica.
In caso di ricorso ad un accordo collettivo di sostituzione eventuali incrementi di costo del lavoro possono essere scaglionati in occasione della definizione dei criteri di armonizzazione retributiva, mentre la capitalizzazione dei possibili risparmi, nell’ipotesi di passaggio ad un CCNL complessivamente peggiorativo per i lavoratori, può essere gestita preservando, definitivamente o pro tempore, la spettanza individuale delle erogazioni previste dalla contrattazione collettiva pregressa, con clausole di congelamento o di salvaguardia temporanea, per il personale già in forza, delle erogazioni non più dovute.
In caso di provvedimento datoriale unilaterale è prevista, invece l’applicazione forzosa della nuova disciplina contrattuale collettiva, con accorgimenti operativi finalizzati a prevenire i rischi risarcitori dovuti alla violazione di vari vincoli contrattuali.
Ulteriori rischi di contenzioso potrebbero poi derivare dall’eventuale attivazione, da parte del lavoratore, di un contenzioso giudiziario finalizzato all’accertamento dell’effettivo ambito di attività aziendale, per derivarne, l’identificazione della contrattazione nazionale di riferimento obbligatorio.
In caso di provvedimento unilaterale di sostituzione del CCNL, vi può essere la possibilità di rivendicazione individuale delle spettanze economiche e normative dovute ai sensi della contrattazione categoriale di provenienza.
Per ovviare a tale problematica risulta essere necessario garantire ai lavoratori una sorta di superminimo individuale dovuta dall’eventuale differenza retributiva tra le spettanze precedenti e quelle successive al provvedimento unilaterale di sostituzione del CCNL.
Per i trattamenti retributivi certi (minimo tabellare, Edr, contingenza, incrementi per anzianità, superminimi individuali) non sussiste penalizzazione economica, mentre per quanto attiene la retribuzione indiretta e differita (mensilità aggiuntive, indennità di malattia ed infortunio etc.) nonché i trattamenti retributivi diretti di carattere occasionale, ossia correlati a modalità solo eventuali di esecuzione delle prestazioni (le maggiorazioni per lavoro straordinario, festivo, notturno, le indennità per lavoro a turni, trasferte etc.) i rischi risarcitori conseguono solo ad un decorso temporale che abbia determinato la maturazione, in base al CCNL disapplicato, di trattamenti superiori a quelli dovuti in base al CCNL di nuova applicazione.
Inoltre per disincentivare eventuali azioni di rivendicazione promosse da singoli lavoratori, potrebbero essere inserite nella contrattazione aziendale trattamenti retributivi aggiuntivi concordati con le Xx.Xx. appartenenti alle federazioni titolari del nuovo CCNL applicato, assorbibili da eventuali differenziali conseguenti all’applicazione di trattamenti contrattuali nazionali maggiori rispetto a quelli considerati dalle parti sottoscrittrici oppure potrebbero essere attivate procedure di conciliazioni individuali ex art. 410 c.p.c. e 411 c.p.c, rispettivamente in sede sindacale e in sede amministrativa, contenenti la rinuncia dei lavoratori a rivendicare l’applicazione del CCNL dismesso dall’azienda, a fronte del riconoscimento di un’agevolazione aziendale, che potrebbe consistere - a seconda delle circostanze - nella stabilità occupazionale, in una concessione economica, in un percorso di accrescimento professionale, o nella conservazione della sede di lavoro.
Per quanto riguarda l’assunzione di nuovo personale, risulta necessaria la raccolta formale, contestualmente all’assunzione, della disponibilità del dipendente all’assoggettamento alla regolamentazione dedotta nel CCNL proposto dall’azienda.
È evidente che tali soluzioni gestionali richiederebbero comunque la disdetta dell’associazione di categoria da parte di Alfa onde evitare i rischi esposti.
Possibili e prospettabili risoluzioni al caso pratico
Nella situazione di fatto riscontrabile ed esaminata, elemento dirimente rispetto alla possibilità discussa ed approfondita di modificare contrattazione collettiva di riferimento secondo i principi di norma sora espressi, è costituita dalla circostanza che Alfa ha provveduto a modificare il CCNL di riferimento pur restando aderente ad associazione datoriale di categoria sottoscrittrice del CCNL disapplicato.
Tale condizione non consente, da un lato, di ritenere operativi i principi derivanti dalla disapplicazione dell’art. 2070 del codice civile – nel caso di specie infatti, osta alla libertà di autodeterminazione della categoria contrattuale l’adesione ad una organizzazione datoriale – e, dall’altro, del principio di libertà sindacale ex art. 39 Cost. in quanto per il caso di specie, l’adesione ad una determinata associazione sottoscrittrice di un determinato CCNL vincola il datore stesso a quel determinato contratto collettivo ritenuto unilateralmente disapplicabile in assenza di disdetta dalla medesima associazione datoriale sottoscrittrice del contratto collettivo non più applicato.
Per l’azienda Alfa il mutamento della contrattazione collettiva avrebbe dovuto al più passare attraverso idonei verbali di conciliazione individuali ex art. 410 e 411 cpc, con rinuncia espressa dei lavoratori a rivendicare l’applicazione del CCNL dismesso dall’azienda, fermi restando i diritti acquisiti.
Ciò in quanto l’azienda Alfa era vincolata all’osservanza del CCNL abbandonato, stante l’adesione alla Organizzazione datoriale sottoscrittrice di contratto collettivo che, proprio in base ai contenuti dell’interpello del Ministero del Lavoro n.7/2011, non poteva che vincolare la società al rispetto integrale del CCNL di provenienza non essendo stata formalizzata da parte dell’azienda stessa, alcuna disdetta formale dalla Organizzazione datoriale di appartenenza e tale che la stessa avrebbe potuto sciogliersi dal vincolo e determinarsi nell’applicazione di altra contrattazione collettiva nazionale.
Ed è questo il senso alla base del notorio caso Fiat che ha indotto Marchionne a dissociarsi da Confindustria al fine di determinarsi nella libera applicazione di altra contrattazione collettiva in quel caso di tipo aziendale.
Xxxxxx, la vigilanza sui contratti collettivi di lavoro, di cui all’art. 7, comma 1 lett. b), del D.Lgs. n. 124/2004, trova il suo principale strumento attuativo nell’istituto della diffida accertativa per crediti patrimoniali disciplinata dall’art. 12 del medesimo Decreto. In sostanza, il personale ispettivo del Ministero del Lavoro può diffidare il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore le somme, che risultino accertate quali crediti retributivi derivanti dall’applicazione dei contratti collettivi di lavoro.
Peraltro, proprio la circostanza per la quale in base ai contenuti dell’interpello del Ministero del Lavoro n. 21/2009 afferente al controllo sulla contrattazione collettiva da cui può conseguire l’adozione di una diffida accertativa - accertate per l’appunto le violazioni da parte del datore di lavoro - si rinviene la possibilità rimessa in capo ai lavoratori che non sono stati destinatari di alcuno strumento tutelante da parte dell’azienda Alfa, di poter agire anche davanti l’organo amministrativo mediante una richiesta di conciliazione monocratica ex art. 11 del D.LGS. 124/2004; istituto movimentabile per effetto che dall’attuale applicazione del diverso CCNL sostanzialmente è stato attribuito un trattamento di sicuro complessivamente deteriore rispetto a quanto già percepito ed anche per quanto attiene proprio la remuneratività della quantità di lavoro prestato in base al CCNL di destinazione.
La particolarità di questa conciliazione, consiste nel fatto che, davanti al solo funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro, le parti possono concludere un accordo transattivo che vede, contemporaneamente, la soluzione di rivendicazioni di natura patrimoniale avanzate dal lavoratore (anche collaboratore) nella richiesta di intervento ispettivo, accompagnate da violazioni alla normativa sul regolare rapporto di lavoro e dalla possibile conseguenza dell’evasione contributiva.
Il verbale sottoscritto dalle parti, con il riconoscimento di un periodo di lavoro concordato e con il conseguente versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi e con il saldo economico di quanto stabilito, fanno sì che non si proceda al controllo ispettivo. Ovviamente, l’eventuale mancato accordo o, maggiormente, l’assenza del datore di lavoro, regolarmente convocato, postulano l’esigenza di un celere accertamento da parte degli organi di vigilanza. L’accordo è inoppugnabile, non trovando applicazione i primi tre commi dell’art.2113 c.c.: così afferma il co.3 dell’art.11 del D.Lgs. n.124/04.
In concreto, pertanto, in ragione dell’unilateralità di cambio di contrattazione collettiva operata, nonostante la permanenza all’adesione all’associazione datoriale di categoria la società Alfa si è esposta alla rivendicazione dei dipendenti e, unicamente, l’adozione degli strumenti a tutela consentirebbe di limitare gli effetti pregiudizievoli in danno.