Capitolo 1
Capitolo 1
Le fonti del contratto d’agenzia
Sommario
1.1. L’origine storica del contratto d’agenzia. – 1.2 Gli accordi economici col‐ lettivi. – 1.3. La disciplina codicistica. – 1.3.1. I riferimenti normativi. –
1.3.2. (Segue) La normativa lavoristica. – 1.4. La direttiva comunitaria n. 86/653. – 1.5. Il rapporto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale; a) sul principio del c.d. primato del diritto comunitario; b) sul principio della
c.d. interpretazione conforme.
1.1. L’origine storica del contratto d’agenzia
Il contratto d’agenzia rappresenta uno dei negozi maggior- mente utilizzati dall’imprenditore commerciale 1 per diffondere i propri prodotti, unitamente ad altri negozi di distribuzione 2
1 Il contratto d’agenzia è così un «contratto di impresa», in quanto non so- lo concluso da un imprenditore, ma anche poiché attraverso di esso si applica e si realizza la specifica e oggettivamente qualificante attività d’impresa. Xxx. XX XXXX, 0000, 23. In precedenza, sul tema, cfr. XXXXXXXXXXX, 1988, 1 (ora, in DALMARTELLO, 2009, 287). L’argomento, infine, è affrontato in numerosi scritti nell’opera DOLMETTA-PORTALE (a cura di), 2010, passim: ivi, PORTALE, 39 ss.; XXXXXXXXX, 89 ss.; XXXXXXXX, 107 ss.; XXXXXXX, 127 ss.
2 Anche nel sistema francese è diffusa questa definizione: cfr., ad esempio, BEHAR-TOUCHAIS-VIRASSAMY, 1999, 181; XXXXXXXX-XXXXXX, 0000, passim;
XXXXXXX, 2008, passim. Anche nel diritto anglosassone si ha una trattazione unitaria del tema. Si veda, ad esempio, CHRISTOU, 2011, passim; XXXXXX, 2005, 63. Per una analisi comparatistica nei diversi stati dell’Unione Europea si veda XXXXXXX-XXXXXXX, 2000, passim.
In Italia, PARDOLESI, 1979, 92 ss., annovera l’agenzia come il principale contratto appartenente a questa categoria.
quali la mediazione, il procacciamento d’affari e, più recente- mente, anche il franchising e la concessione di vendita. Con la stipulazione di questo contratto, infatti, l’imprenditore cerca di incrementare la conclusione di affari, avvalendosi dell’opera dell’agente: quest’ultimo soggetto assume l’obbligazione prin- cipale di favorire l’invio di offerte commerciali da parte dei po- tenziali clienti del preponente 3.
Il contratto d’agenzia rappresenta, quindi, uno degli strumenti a disposizione dell’imprenditore per acquisire nuovi clienti, sot- traendoli ai concorrenti 4.
Se la figura sopra delineata era certamente conosciuta già dalla prassi commerciale anche nell’800, il codice di commer- cio del 1882 non conteneva una disciplina tipica del contratto d’agenzia 5, lasciando così all’interprete il compito di individua- re la normativa applicabile dalle disposizioni relative a fattispe- cie similari.
Una situazione analoga si riscontrava in tutto il contesto eu- ropeo: anche gli altri ordinamenti non prevedevano una disci- plina tipica per il contratto d’agenzia. Il primo ordinamento eu- ropeo ad avere tipizzato il contratto d’agenzia fu la Germania che nel 1897 dettò una specifica normativa per quel contratto, oramai divenuto un «tipo» 6. Da ultimo vi arrivò la Francia ove l’agent commercial è stato riconosciuto solo nel 1958 7.
Nel nostro ordinamento, per molto tempo, l’unico riferimen-
3 Così ZANELLI, 1963-1964, 161.
4 La precisazione si impone sin d’ora in quanto l’intera disciplina della materia è fortemente influenzata da una direttiva europea la cui primaria fina- lità non risulta tanto quella di dettare norme uniformi relative alla conclusione del contratto, bensì quella di disciplinare il diritto della concorrenza, mediante un fattore di armonizzazione. Il profilo è presente in molti autori: cfr., ad esempio, XXXXX, 2012, 11; XXXXXXXXX-XXXXX-XXXXXXXX, 0000, 1.
5 Così FORMIGGINI, 1952, 2, ove ricorda che solo con l’entrata in vigore del codice civile vigente si è ricondotto il contratto di agenzia fra i contratti tipici.
6 Per una analisi dell’evoluzione normativa nel sistema tedesco, cfr. HOPT, 2015, sub § 84, n. 2.
7 Ricorda la storia del contratto d’agenzia nello spazio europeo PARDOLE- SI, 1979, 100 e 101.
to normativo alla figura del contratto d’agenzia era presente all’art. 1882, comma 3, c.c., ove si prevedevano le c.d. imprese di commissione, di agenzia e di uffici di affari: l’agente di com- mercio, tenendo un’agenzia o un ufficio di affari, compiva abi- tualmente atti di commercio e doveva così considerarsi un com- merciante (tranne che non esercitasse la sua attività in forma au- tonoma, fattispecie riconducibile all’agente impiegato).
Nulla essendovi nel codice abrogato al di là della semplice classificazione dell’attività dell’agente tra i c.d. atti di commer- cio, la disciplina del contratto trovava la sua fonte principale nei patti contrattuali e negli usi.
In mancanza di una disciplina dettata dalle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia privata, le sopra richiamate norme sulla commissione rinviavano in gran parte alla normativa previ- sta per il contratto di mandato 8. La materia in oggetto trovava il suo riferimento principale nell’istituto del mandato (che, all’epo- ca, a differenza di quanto oggi accade, conteneva in sé anche la differente e distinta disciplina della rappresentanza). Si osservava poi che l’applicazione delle norme sul mandato poteva trovare una giustificazione stante il contenuto dell’ultimo comma del- l’art. 350 c. comm., che attribuiva al mandatario commerciale la facoltà di compiere tutti gli atti necessari all’esecuzione del- l’affare, con ciò offrendo un argomento testuale a chi richiamava la disciplina sul mandato per regolamentare il contratto d’agen- zia. Soluzione questa che non trovava un ostacolo nella sussi- stenza di profonde differenze tra il mandatario e l’agente 9, prima fra tutte quella secondo cui il mandatario aveva l’obbligo di trat- tare affari commerciali mentre l’agente, se privo dell’eventuale potere rappresentativo, aveva il compito di svolgere solo attività prodromiche e preparatorie alla conclusione del contratto 10.
8 Un’evoluzione analoga la si trova anche nel modello francese. Cfr. XXXXXXXX, 2005, 3 ss. Si veda anche l’analisi storica condotta da XXXXXX, 1963, 61 ss.
9 Per l’analisi delle differenze tra il contratto d’agenzia e il contratto di mandato si rinvia al Cap. 10.
10 Per una aggiornata ricostruzione dell’istituto nella vigenza del codice previgente si veda TRIONI, 2006, 10 ss.
Il commissionario, l’agente e il mandatario, con o senza rap- presentanza, erano così figure che nel codice previgente veni- vano unificate, stante la loro funzione di intermediazione nel processo di vendita. Per questa ragione questi soggetti potevano qualificarsi come ausiliari del commercio. Tutti svolgevano at- tività che si inserivano nella fase antecedente la conclusione di contratti commerciali, ossia di negozi volti a favorire la diffu- sione dei prodotti dell’imprenditore.
Lo schema della commissione risultava però inadeguato allo sviluppo dell’impresa sia per la sua caratteristica occasionalità sia per lo strutturale difetto di immediatezza 11.
Anche lo strumento della rappresentanza in senso tecnico non risultava idonea in quanto, da un lato, presupponeva un con- tinuo e serio controllo dell’operato del rappresentante e dall’al- tro richiedeva una assoluta fiducia nell’operato del rappresen- tante 12: l’istituto della rappresentanza risultava così non confa- cente per la conclusione di una serie indefinita di atti, per lo più in piazze differenti da quelle in cui operava il rappresentato.
Lo sviluppo dei traffici richiedeva di soddisfare una esigenza prima ignota, ossia quella di instaurare un rapporto stabile con la clientela al fine di collocare più rapidamente le merci e per far pervenire al produttore tutte quelle informazioni necessarie ad orientare in modo consapevole la sua attività produttiva, soddisfacendo le esigenze dell’acquirente.
Si ricercava, inoltre, un modello contrattuale che consentisse ad un commerciante di conferire ad una persona l’incarico di procurare e trattare, sopra una determinata piazza o in una de- terminata regione, affari di vendita in nome e per conto di lui, riservandosi, però, la conclusione dei singoli affari, a differenza di quanto accadeva nella rappresentanza in senso tecnico 13.
Proprio per questa ragione, pur in assenza di un’espressa pre- visione normativa, si andò delineando la figura giuridica del- l’agente di commercio: la dottrina, con una particolare attenzio-
11 Così afferma PARDOLESI, 1979, 94. Si veda anche SRAFFA, 1933, 34.
00 Xxx. XXXXXX, 0000, 34.
00 Xxx. XXXXXX, 0000, 34.
ne alla realtà dei fatti, definiva l’agente di commercio come co- lui che esercitava in modo professionale ed in modo indipen- dente la propria industria, così assumendo uno stabile incarico da una o più ditte di trattare o di concludere affari di commercio in nome e per conto altrui 14.
Si può inoltre affermare, stante il rinvio alla disciplina sul mandato 15, che già nel codice del 1882 era presente la distin- zione tra l’agente di commercio non rappresentante e l’agente con rappresentanza. Nel primo caso l’agente era incaricato sta- bilmente da una o più imprese di promuovere la conclusione di contratti in determinate zone. Nel secondo caso, invece, l’agen- te era preposto anche alla conclusione degli affari in nome delle imprese preponenti in una determinata zona.
Nondimeno la giurisprudenza, sotto la guida della dottrina, xxx conosceva il contratto d’agenzia, avendo cura di differen- ziarlo da figure affini, ma diverse, come, ad esempio, quella del viaggiatore 16.
Vista la centralità della figura dell’agente di commercio nell’ambito delle attività d’impresa, si assisteva nei primi anni del ’900 ad un primo tentativo di codificazione della fattispecie in oggetto: il progetto Vivante del 1920 di riforma del codice di commercio aveva così definito l’agente come colui che «è inca- ricato stabilmente e personalmente da una o più ditte italiane o straniere di promuovere gli affari in una determinata piazza o regione e di trasmettere le proposte per l’accettazione» 17.
Permanendo l’assenza di una disciplina positiva, nel ritardo nell’emanazione del nuovo codice, le associazioni di categoria, stante i poteri loro attribuiti dall’ordinamento sindacale corpora-
14 In questo senso si vedano i contributi di SRAFFA, 1933, 33-35; VIVANTE, 1921, I, 614 e BOLAFFIO, 1937, 24.
Analizzano il tema anche: ZANI, 1919, 53 e 54; XXXXXXXX, 1906, I, 1, 305
ss.; XXXXXXX, 0000; SOMMA, 1911, n. 200; MIRTI DELLA VALLE, 1915, 98.
15 Si veda, in particolare, SRAFFA, 1933, 7 e 8.
16 Si veda, ad esempio, Cass., Sez. Un., 28 maggio-9 luglio 1931, in Giur. lav., 1934, IX, 202 ss.
17 Il progetto, con il verbale delle adunanze plenarie, è pubblicato nella
Riv. dir. comm., 1920, I, 273-276.
tivo nel dettare la normativa applicabile ai rapporti collettivi di lavoro, stipulavano un primo accordo economico collettivo tra imprese e agenti di assicurazione ove la figura dell’agente veni- va individuata in quella di «colui al quale viene conferito il mandato di provvedere a proprio rischio e spese alla gestione dell’agenzia ed allo sviluppo degli affari e che svolge diretta- mente i suoi rapporti con la direzione della compagnia» 18. L’agen- te di commercio venne poi individuato dall’accordo economico collettivo del 30 giugno 1938 come colui che è «incaricato sta- bilmente da una o più ditte di promuovere la conclusione di contratti in una determinata zona; è rappresentante di commer- cio chi è incaricato stabilmente da una o più ditte di concludere contratti in nome delle medesime in una determinata zona».
È, tuttavia, solo con la codificazione del 1942 – con cui si realizza la «unificazione» del diritto privato, ma al tempo stesso la sua «commercializzazione» – che questa figura commerciale trova una sua prima definizione legislativa: tanto i tentativi di riforma del codice di commercio quanto gli interventi dell’ordi- namento sindacale corporativo indussero il legislatore del 1942 a disciplinare il contratto d’agenzia, così prevedendo le disposi- zioni di cui agli artt. 1742 ss. c.c.
È bene sin d’ora precisare, anche se il profilo emergerà con evidenza nel corso dell’intera trattazione, che l’intervento nor- mativo non venne voluto dal legislatore come esaustivo dell’in- tera materia, venendo dato anzi grande rilievo alla contrattazio-
18 Il riferimento è all’A.e.c. 12 ottobre 1931 stipulato dalla Confederazione Fascista degli Industriali, la Confederazione Fascista dei Commercianti e la Federazione Nazionale Fascista degli Agenti o Rappresentanti di Commercio, pubblicato con decreto del Capo del Governo 24 ottobre 1939, n. 1900. Si ri- corda che le norme corporative, all’interno delle quali debbono ricondursi an- che gli accordi economici collettivi, erano da ritenersi fonti del diritto, sebbe- ne subordinate alla legge e ai regolamenti ex art. 1 delle preleggi. La loro effi- cacia era generale e le loro disposizioni erano inderogabili da parte dei con- tratti individuali di lavoro, salvo che il singolo contratto contenesse disposi- zioni più favorevoli per l’agente. In difetto, le pattuizioni individuali contrarie venivano sostituite di diritto da quelle contenute nell’A.e.c. Sul punto si veda TOFFOLETTO, 2008, 4.
ne collettiva quale fonte integrativa del contratto 19. Il legislato- re, quindi, si limitò a fissare i principi essenziali della materia, rinviando alla contrattazione collettiva per la disciplina di det- taglio dei singoli istituti 20.
A fianco di questa regolamentazione sono così sempre inter- venuti nel tempo gli accordi economici collettivi con la finalità di dettare un’analitica disciplina dell’atto e del rapporto contrat- tuale, regolamentando molti aspetti lasciati volutamente privi di una disciplina da parte del legislatore.
Sebbene la normativa verrà analizzata nel prosieguo, in oc- casione della trattazione di ciascun profilo del contratto d’agen- zia, pare opportuno sin d’ora mettere in evidenza quale sia stata la ragione che indusse a tipizzare normativamente questa figura che era rimasta, come illustrato, esclusivamente un tipo giuri- sprudenziale.
L’intervento normativo in oggetto venne guidato non solo dalla necessità di tracciare una linea distintiva più netta fra le varie figure che operano all’interno della distribuzione com- merciale 21, così superando quella assimilazione tra diverse fat- tispecie presente nel codice di commercio, ma anche dalla di- chiarata volontà di assicurare all’agente una forma di tutela di- versa (e più ampia) rispetto a quella che godeva in precedenza. Come poco sopra ricordato, la disciplina dell’intero contratto po- teva essere rimessa all’esercizio dell’autonomia privata, con con- seguente possibilità d’imposizione di condizioni contrattuali par- ticolarmente gravose da parte del preponente, il tutto a danno del- l’agente, già all’epoca considerato un contraente debole 22.
19 Sul tema dell’integrazione del contratto si rinvia a XXXXXXXXXX, 2006, 211 ss. Recentemente si veda D’AMICO, 2015, 247 ss.; SACCO, 2010, 761 ss.;
RODOTÀ, 2004, passim.
20 È opportuno ricordare che gli accordi collettivi stipulati nel periodo fasci- sta continuavano ad avere vigore, pur essendo stata la materia disciplinata da una legge successiva. Si trattava, infatti, di fonti normative diverse di talché la legge non poteva avere effetto abrogativo della normativa sindacale. Sui pro- blemi di coordinamento che ne seguirono si veda FORMIGGINI, 1952, 5, nota 4.
21 All’analisi di questo profilo è dedicato il Cap. 10.
22 È interessante notare come SRAFFA, 1933, 35-36, affermi che il contrat-
Se, infatti, in passato la figura dell’agente doveva necessa- riamente essere ricondotta solamente allo statuto dell’impren- ditore (stante anche l’inserimento della previgente disciplina nel codice di commercio), con la codificazione del 1942 l’agente viene considerato soprattutto come imprenditore, ma con una indipendenza limitata. Se ne vuole così sottolineare la vicinanza anche e soprattutto alla figura del lavoratore subordinato 23.
Segno di questa visione originaria del codice civile, d’al- tronde, si ravvisa in tutte quelle disposizioni che delineano, a differenza di quanto si è verificato nella prassi degli affari so- prattutto negli ultimi decenni, l’agente come persona fisica: ne è
to di commissione inizia a non essere più utilizzato anche perché le imprese di commissione sono oramai rappresentate da «forti e potenti» società. Vicever- sa, «la tendenza e la necessità dei grandi industriali e commercianti di dare unità di indirizzo alle operazioni di vendita intorno a cui si accentra la loro attività trovarono più facile maniera di essere soddisfatte ricorrendo ad agen- ti che fossero veri e propri dipendenti, disposti a seguire le istruzioni ricevute, disposti, specialmente, a prestare un’opera anche secondaria ed accessoria quale si è quella di preparare il terreno, di fertilizzarlo per rendere più pro- duttiva l’energia dei commessi viaggiatori inviati sulla piazza dalla casa». Come si evince dalle osservazioni dell’A., l’imprenditore era alla ricerca di un ausiliario nello sviluppo degli affari che fosse in una posizione di debolezza rispetto alla posizione di forza che avevano assunto i commissionari.
23 Non si vuole in questa sede entrare nel dibattito relativo alla natura giu- ridica della figura dell’agente, anche se pare corretta la tesi di chi riconduce la figura in oggetto all’imprenditore o al piccolo imprenditore, a seconda della organizzazione dallo stesso assunta (cfr., ad esempio, XXXXXXXX-XXXXXXXXXX, 2014, 52 ss.). Non convincente, per le ragioni che verranno esposte, è quella ricostruzione che pone accanto all’agente piccolo imprenditore anche l’agente lavoratore autonomo (si veda, ad esempio, TRIONI, 2006, 16 ss.). D’altronde già BIGIAVI, 1947, 94 ss., rilevava che «non esiste un concetto autonomo di lavoratore autonomo distinto da quello di piccolo imprenditore: esiste un concetto di lavoratore autonomo (contratto d’opera) distinto (oltre che dal lavoratore subordinato) dal contratto d’appalto: e la differenza tra i due con- tratti (quando l’assuntore sia un professionista e l’attività svolta non sia intel- lettuale od artistica) risiede soltanto in questo: che nel contratto d’appalto l’assuntore è un imprenditore normale, nel contratto d’opera (lavoro autono- mo) è un piccolo imprenditore … In altre parole si deve ripetere che, se auto- nomo è il contratto di lavoro autonomo, non autonomo è il concetto di lavorato- re autonomo (…) poiché il concetto di lavoratore autonomo implica la reitera- zione, la professionalità e, quindi, si copre con quello di imprenditore».
esempio l’art. 1751 c.c. che affronta problematiche che non avreb- bero ragion d’essere con riguardo agli agenti persone giuridi- che 24. L’agente viene, quindi, considerato come un imprendito- re dotato di una forza contrattuale ridotta rispetto a quella del pre- ponente.
Questa volontà legislativa costituisce il fondamento di tutti quegli orientamenti giurisprudenziali, che emergeranno nel cor- so della trattazione, che attribuiscono all’agente persona fisica uno statuto differente – così provvisto di maggiori tutele pro- cessuali e sostanziali – rispetto a quella dell’agente persona giu- ridica, soprattutto ove l’attività venga svolta con lavoro che non sia prevalentemente individuale, ma organizzato. Si pensi non solo al profilo processuale dell’applicabilità o meno del rito del lavoro alle controversie tra agente e preponente, ma ad altri isti- tuti quali, ad esempio, quelli relativi al privilegio per il paga- mento delle provvigioni maturate, riconosciuto solo all’agente persona fisica 25, e ai limiti imposti dall’art. 2213 c.c. alla stipu- lazione di transazioni, norma applicabile solo agli accordi con- clusi dall’agente persona fisica.
1.2. Gli accordi economici collettivi
Lo studio del contratto d’agenzia richiede in primo luogo l’analisi delle norme contenute nel codice civile: essendo un contratto tipico 26, la sua disciplina risulta dalla combinazione
24 Cosi TRIONI, 2006, 16 ss. L’art. 1751, comma 2, c.c., ricorda che l’in- dennità di scioglimento del contratto è dovuta se l’agente recede per circostan- ze a lui attribuibili quali l’età, l’infermità o la malattia per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività. L’art. 1751, ul- xxxx xxxxx, c.c., infatti, stabilisce che l’indennità è dovuta anche se il rap- porto cessa per morte dell’agente.
25 Cfr., ad esempio, Cass., Sez. I., 14 giugno 2000, n. 8114, in Arch. civ., 2000, 1107; in Foro it., 2000, I, 3526; in Xxxxxxxxx, 2001, 482; in Giur.
comm., 2001, II, 403.
26 Per l’analisi del tema dei contratti tipici ed atipici si rinvia per tutti a DE NOVA, 2014, passim e a SCALFI, 1960, passim. Per una ricostruzione storica dell’istituto si veda TRIONI, 2006, 2 ss.; ZANELLI, 1963-1964, 147 ss.
delle norme contenute sul contratto in generale (artt. 1321-1469 c.c.) con quelle dettate per lo specifico contratto tipico (artt. 1742-1753 c.c.). Gli agenti di assicurazione trovano poi una ul- teriore trattazione anche negli artt. 1753 e 1903 c.c. 27.
La disciplina del contratto d’agenzia, però, si arricchisce di ulteriori norme, riconducibili ad una pluralità di fonti ulteriori, le cui previsioni devono essere interpretate e coordinate con la disciplina codicistica 28.
Si tratta tanto di fonti contrattuali (contrattazione collettiva) quanto di fonti legali. Si può sin d’ora dire che il complessivo assetto regolativo del rapporto è dunque solo in parte (minima) dettato dai contraenti, risultando dall’agire combinato, oltre che dell’autonomia individuale, altresì dell’intervento della legge e di quello della contrattazione collettiva. La legge e la contratta- zione collettiva stabiliscono dei minimi di trattamento (norma- tivo ed economico), cui le parti non possono in alcun modo de- rogare in pejus.
Prendendo avvio dalle fonti contrattuali, il contratto d’agen- zia trova una specifica disciplina negli accordi economici col- lettivi (di seguito A.e.c.), ossia in tutti quegli accordi stipulati tra le organizzazioni sindacali delle imprese preponenti e quelle degli agenti 29.
I) Le disposizioni contenute negli A.e.c. non trovano, però, un’applicazione automatica a qualsiasi contratto d’agenzia c.d. interno 30. Se, infatti, gli A.e.c. stipulati durante il periodo fascista erano da ricondursi alle norme corporative e, in quanto tali, erano
27 Per l’analisi di questa figura si rinvia all’ultimo paragrafo del Cap. 10.
28 Sulla complessità delle fonti del diritto contrattuale, per una ricostruzio- ne problematica del tema si veda BRECCIA, 2010, 394 ss.
29 Attualmente sono in vigore diversi A.e.c.: l’A.e.c. 30 luglio 2014 disci- plina i rapporti tra agenti e preponenti operanti nel settore industria e l’A.e.c. 16 febbraio 2009 disciplina i rapporti tra agenti e preponenti operanti nel set- tore commercio. Per settori specifici sono attualmente in vigore altri A.e.c.: nella presente trattazione, tuttavia, si intende far riferimento solo a questi due accordi economici.
30 Per contratto d’agenzia interno si intende un contratto concluso tra sog- getti residenti nello Stato italiano.
fonti di diritto definite all’art. 5 delle preleggi, una volta sop- presso l’ordinamento sindacale fascista, gli A.e.c. rivestono esclu- sivamente natura di contratti di diritto privato ex art. 1322 c.c. 31. Avendo così perso la natura di fonti del diritto 32, i contratti col- lettivi di diritto comune hanno un’efficacia soggettiva limitata agli aderenti alle associazioni sindacali che li hanno stipulati 33.
È così indiscusso che la disciplina propria della contrattazio- ne collettiva trova applicazione allorché il contratto d’agenzia sia stipulato tra un agente e un preponente iscritto alle relative organizzazioni sindacali e ciò anche se le parti, nella stipulazio- ne del contratto, hanno omesso qualsiasi riferimento all’A.e.c. Questa soluzione si giustifica in quanto gli A.e.c. sono contratti di diritto privato e come tali risultano efficaci solo tra soggetti giuridici iscritti alle organizzazioni datoriali e sindacali che li hanno stipulati.
È parimenti certo che la disciplina collettiva non trova appli- cazione a quei contratti d’agenzia stipulati tra un agente e un preponente, entrambi non aderenti alle organizzazioni sindacali che hanno concluso l’A.e.c. La disciplina collettiva potrebbe, però, essere parimenti applicabile anche in quest’ultimo caso se le parti del contratto d’agenzia abbiano espressamente o tacita-
31 Per un’analisi anche di questo profilo si rinvia a XXXXX, 2014, passim. Il principio è presente anche in giurisprudenza: si veda, ad esempio, Cass., Sez. Lav., 11 agosto 1981, n. 4895, in Dejure, ove si precisa che gli accordi economici collettivi post corporativi hanno natura di negozi di diritto privato. Proprio per questa ragione la loro interpretazione, compiuta dal giudice di me- rito, è censurabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica o per vizi di motivazione.
32 Cfr. TRIONI, 2006, 20 ss., ove rileva come non possa considerarsi fonte del diritto in senso stretto la disciplina collettiva che trovi applicazione in for- za di un atto di autonomia privata quale è l’adesione alle associazioni stipu- lanti l’A.e.c.
33 Xxxxxxx XXXXXX, 1970, 26, che, rispetto alla figura più generale del con- tratto tipo, l’accordo economico collettivo di diritto comune è una particolare specificazione caratterizzata dal fatto che esso è volto a regolare futuri rappor- ti che potranno intercorrere non tra le parti contraenti, ma tra altri soggetti in virtù della rappresentanza che questi hanno conferito alle parti medesime.
mente 34 rinviato, in tutto o in parte 35, alle disposizioni dell’A.e.c.: le parti, per mezzo di un atto di autonomia privata, dimostrano la volontà di rendere applicabili anche al loro rapporto contrat- tuale le norme degli accordi economici collettivi.
Rimane, infine, l’ipotesi del contratto d’agenzia in cui solo una parte contraente è aderente all’organizzazione sindacale che ha stipulato l’A.e.c.: in questo caso si deve comunque ritenere applicabile la normativa contrattuale collettiva, stante il suo ca- rattere di maggior tutela dell’agente.
Più complessa è, poi, l’analisi del tema allorché il contratto d’agenzia presenti dei profili internazionali, ossia risulti conclu- so tra una parte italiana e una parte straniera ovvero, seppur con- cluso tra soggetti italiani, debba trovare esecuzione in una zona territoriale posta al di fuori dello stato italiano. In questa ipotesi il problema è duplice: da un lato, il primo profilo da considerare attiene alla possibilità di applicare degli accordi di diritto co- mune ad agenti stranieri che non siano iscritti alle associazioni di categoria che hanno firmato l’accordo; dall’altro lato, viene a
34 L’applicazione degli A.e.c. deriva, infatti, dall’appartenenza dei soggetti contraenti alle associazioni stipulanti ovvero dal fatto che «abbiano espressa- mente aderito ai patti collettivi ovvero li abbiano implicitamente recepiti at- traverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolun- gata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti»: così Cass, Sez. Lav., 16 gennaio1996, n. 319, in Lavoro nella giur., 1996, 586.
35 Il recepimento dell’accordo economico collettivo da parte di soggetti non appartenenti alle associazioni sindacali stipulanti può avvenire in due di- versi modi. La parti possono recepire tutto l’accordo nella sua interezza ovve- ro possono richiamare singole disposizioni specifiche in esso contenute. In quest’ultimo caso, però, qualora il preponente contesti le clausole non recepite dell’A.e.c., è da escludere che il contratto collettivo possa spiegare efficacia vincolante nei suoi confronti anche per quanto riguarda le clausole da lui con- testate. In questo senso si veda Cass., Sez. Lav., 6 novembre 1990, n. 10654, in Riv. giur. lav., 1991, II, 277.
Parimenti si è altresì precisato che laddove le parti abbiano esplicitamente o implicitamente aderito agli A.e.c., anche se non appartenenti alle associa- zioni sindacali stipulanti, non può essere eccepita dall’impresa mandante la propria appartenenza ad un settore produttivo diverso da quello al quale il contratto si riferisce: così Xxxx., Sez. Lav., 14 gennaio 1999, n. 368, in Giust. civ. Mass., 1999, 83.
rilievo l’aspetto che riguarda l’applicabilità degli accordi collet- tivi al di fuori dell’ambito territoriale italiano.
Per quel che concerne il primo profilo, non essendo l’agente straniero iscritto (di norma) ad una associazione italiana degli agenti di commercio, gli accordi economici collettivi di diritto comune risultano applicabili solo ove siano espressamente ri- chiamati ovvero allorché si assista, seppur tacitamente, ad una applicazione costante ed uniforme delle relative clausole. Que- sta è la soluzione cui è pervenuta anche la giurisprudenza, chia- mata ad analizzare una fattispecie nella quale un agente stranie- ro, non iscritto ad alcuna associazione firmataria degli accordi economici collettivi, aveva domandato che gli venisse ricono- sciuta l’indennità suppletiva di clientela prevista dai predetti ac- cordi. La Suprema Corte rigettava la domanda dell’agente, rile- vando come non potesse ritenersi integrata la fattispecie del- l’adesione tacita delle parti agli accordi economici collettivi per il semplice fatto che l’agente avesse manifestato nel corso del giudizio la volontà di applicare le norme del suddetto accordo economico collettivo 36.
In merito poi alla possibilità di applicare gli accordi econo- mici collettivi al di fuori del territorio italiano, è presente in giu- risprudenza un contrasto allorché le parti abbiano scelto come legge applicabile quella italiana, senza in alcun modo specifica- re se trovino o meno applicazione anche le norme contenute nella contrattazione collettiva 37.
36 In questo senso si veda Cass., 11 novembre 1988, n. 6114, in Arch. civ., 1989, 394.
37 Il problema non si pone, invece, per quelle disposizioni degli accordi economici collettivi che sono espressamente richiamate delle norme del codi- ce civile come avveniva prima del 1992 per le disposizioni di cui agli artt. 1750 e 1752 c.c.: la determinazione del termine di preavviso nonché il calcolo della indennità di scioglimento veniva rimessa agli accordi economici colletti-
vi. Secondo la Suprema Corte, trattandosi di norme che non presuppongono affatto lo svolgimento di attività lavorativa all’interno del territorio italiano, le predette disposizioni si possono applicare anche a contratti d’agenzia interna- zionali. Cfr. Cass., Sez. Lav., 3 luglio 1987, n. 5827, in Foro it., Rep. 1987, voce Agenzia, n. 61, secondo cui «l’indennità di preavviso all’agente, in caso di recesso del preponente dal contratto di agenzia a tempo indeterminato fa
È, infatti, presente un primo orientamento, ad oggi maggiori- tario, secondo cui i contratti collettivi hanno una efficacia limi- tata al territorio nazionale, con la conseguenza che non possono trovare applicazione rispetto a contratti d’agenzia la cui xxxx xxxxxx x xxxxxxx xxx xxxxxxxxxx xxxxxxxx 00.
È, tuttavia, rinvenibile un diverso orientamento, ad oggi mi- noritario, che consente di applicare a contratti d’agenzia inter- nazionali anche quegli istituti contrattuali che secondo la volon- tà e l’intenzione delle parti sociali debbono rivestire una effica- cia extraterritoriale 39. In questo contesto, ad esempio, si colloca una decisione della Suprema Corte che ha dovuto valutare la possibilità di applicare ad un contratto d’agenzia internazionale la disciplina dello star del credere, così come prevista dall’ac- cordo economico collettivo del 20 giugno 1956, nella parte in cui limitava quella garanzia al 20% della provvigione maturata. Secondo la giurisprudenza, l’applicazione di quella disposizione si giustificava esclusivamente nell’ambito del territorio italiano e non anche al di fuori dello stesso: mentre rispetto ad un con-
parte del trattamento economico e normativo minimo stabilito dal c.c.n.l. 20 giugno 1956 che, oltreché esteso erga omnes dall’articolo unico del d.P.R. 16 gennaio 1961 n. 145 deve intendersi richiamato, in tema di determinazione della detta indennità dagli stessi art. 1750, 1751 c.c. Ne consegue che, in as- senza di una espressa previsione del criterio di territorialità, la detta indenni- tà è dovuta anche all’agente (nella specie: straniero) che abbia svolto al- l’estero la propria attività, quando il contratto, stipulato in Italia, sia comun- que soggetto alla legge italiana» e Cass., Sez. Lav., 16 febbraio 1988, n. 1631, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1989, 382.
38 In questo senso Cass., Sez. Lav., 16 aprile 1993, n. 4505, in Mass. giur. lav., 1993, 158 ss. per la quale «i contratti collettivi di lavoro spiegano la loro efficacia, di regola, all’interno del territorio nazionale e, in mancanza di di- versa ed esplicita volontà delle parti (sociali) contraenti, non sono quindi ap- plicabili ad attività lavorative svolte al di fuori dei confini dello Stato, salvo l’accertamento del giudice del merito (incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato) circa la sussistenza di una pattuizione individuale nel senso dell’applicabilità di un contratto collettivo al rapporto di lavoro svolto- si all’estero»; Cass., 30 maggio 1989, n. 2611, in Dir. lav., 1989, II, 412.
39 Cfr. Cass., Sez. Lav., 5 settembre 1988, n. 5021, in Mass. giur. lav., 1988, 639. In modo similare, Cass., Sez. Lav., 15 luglio 1994, n. 6652, in
Giust. civ., 1955, I, 445.
tratto d’agenzia da eseguirsi in Italia il preponente italiano può controllare la clientela, così giustificandosi la limitazione della garanzia al 20%, allorché il contratto debba avere esecuzione all’estero non sarebbe possibile onerare il preponente di con- trollare la clientela. Per questa ragione sarebbe valida una clau- sola contrattuale che preveda lo star del credere nella misura (superiore) del 100% 40.
In questo contesto si deve allora chiarire quando, in assenza di determinazione del territorio, un contratto d’agenzia possa essere eseguito al di fuori dello Stato italiano. Si deve affermare che la zona geografica, in assenza di una determinazione delle parti, deve ritenersi limitata al solo territorio italiano. Isolata, invero, è rimasta quella diversa ricostruzione secondo cui l’am- bito territoriale del contratto collettivo non deve considerarsi limitato al territorio nazionale in mancanza di una esplicita e diversa previsione delle parti sociali 41, dovendosi ritenersi este- so a qualsiasi zona del mondo.
II) Per quel che concerne poi il diverso profilo del rapporto tra la singola previsione dello specifico contratto e le disposi- zioni contenute negli A.e.c., si ritiene generalmente applicabile il principio contenuto nell’art. 2077 c.c., secondo il quale le clausole difformi dei contratti individuali sono sostituite di di- ritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro 42. Il contratto individuale non può derogare in pejus rispetto alle previsioni minime contenute nella legge. Si tratta quindi di una inderogabilità unidirezionale, che è compatibile con trattamenti più favorevoli per il prestatore di lavoro previsti nel contratto individuale 43.
40 In questo senso si veda Cass., Sez. Lav., 9 ottobre 1990, n. 9936, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1992, 76 ss. e in Foro it., 1990, I, 3115.
41 Per questa ricostruzione si veda Cass., Sez. Lav., 25 febbraio 1988, n.
2029, in Foro it., 1988, II, 1544.
42 Per l’analisi di questo profilo si veda MAZZOTTA, 2014, 136 ss.
43 Un problema legato alle deroghe in melius è peraltro quello di verificare in qual modo debba operarsi la comparazione fra i trattamenti assicurati dal contratto individuale e dal contratto collettivo. Può infatti non essere semplice
È, quindi, possibile affermare che la pattuizione con cui le parti prevedono una disciplina peggiorativa per l’agente rispetto a quanto previsto dall’A.e.c. sia automaticamente nulla, con conseguente sostituzione automatica della stessa con la diversa disciplina contenuta negli A.e.c. 44. Il meccanismo attraverso il quale le norme inderogabili (della legge e del contratto colletti- vo) agiscono sulla pattuizione privatistica è quello classico della nullità parziale, regolata dall’art. 1419 c.c., con il corollario del- la sostituzione di diritto delle clausole nulle con le norme impe- rative (e v. anche l’art. 1339 c.c., che regola l’inserzione auto- matica di clausole imposte dalla legge).
È vero che le disposizioni contenute negli artt. 2066-2077
c.c. sono relative ai soli contratti collettivi in senso stretto e, quindi, al rapporto di lavoro subordinato, con esclusione del
individuare quale delle due fonti assicura il trattamento più favorevole. Nulla quaestio evidentemente se – a parità di regolamentazione – il contratto indivi- duale contiene un solo istituto (per esempio la durata delle ferie) che si pre- senta maggiormente vantaggioso per il lavoratore. In tal caso prevarrà ovvia- mente la fonte individuale.
La questione è più complessa nel caso in cui le due fonti presentino van- taggi e svantaggi, variamente intersecati. In relazione a tali problematiche si contrappongono tradizionalmente varie opinioni: una fa leva su un raffronto operato fra le singole clausole (c.d. teoria del cumulo), un’altra sposta il con- fronto sul piano dei singoli istituti contrattuali, una terza (c.d. teoria del con- globamento) – obiettivamente la più complessa da un punto di vista applicati- vo – pretenderebbe di operare un raffronto globale tra le varie previsioni, in- tendendo in qualche modo soppesare i due contratti nel loro insieme per sce- gliere, all’esito di tale operazione, quello più favorevole.
Si tratta di soluzioni – tutte plausibili e ragionevoli – che però assai spesso si scontrano con la volontà delle parti contrattuali collettive che usualmente introducono le cosiddette clausole di inscindibilità, attraverso le quali segna- lano che il «pacchetto» contrattuale va preso nel suo insieme e non può essere oggetto di una parcellizzazione che consenta di estrapolare la regolamentazio- ne di singoli istituti.
44 Cfr. in questo senso Cass., Sez. Lav., 17 aprile 2012, n. 6005, in Dejure, la quale, seppur indirettamente, afferma l’applicabilità dell’art. 2077 c.c. a tutti i contratti di agenzia conclusi tra un preponente ed un agente persona fisica. Viceversa, come era accaduto nel caso analizzato dalla sentenza, l’art. 2077
c.c. non poteva trovare applicazione allorché il contratto fosse stato concluso da un agente costituito in una delle forme societarie previste dal codice civile.
rapporto d’agenzia 45. Il meccanismo di sostituzione automatica delle clausole collettive a quelle individuali difformi, previsto dagli artt. 2066-2077 c.c., pare però doversi applicare anche al contratto d’agenzia al fine di assicurare la c.d. efficacia reale alle regole dettate dalle rappresentanze di categoria 46.
Il principio, tuttavia, trova applicazione solo allorché l’agen- te sia una persona fisica e non già allorché sia costituito nella forma societaria in quanto la norma è posta a tutela del lavoro parasubordinato 47.
45 La soluzione qui offerta non risulta, tuttavia, incontestata: parte della giurisprudenza, infatti, rileva che la previsione di cui all’art. 2077 c.c. è norma prevista esclusivamente per il contratto di lavoro subordinato e, in quanto tale, non potrebbe essere applicata al contratto d’agenzia. Così App. Venezia, 5 aprile 2011, n. 53, in Dejure. In dottrina cfr. XXXXXXXXXX, 2008, 76, dove pre- cisa che la soluzione offerta si giustifica anche in quanto le disposizioni nor- mative previste per il contratto di lavoro presuppongono un contratto colletti- vo, fonte di diritto ex artt. 1 e 5 prel., e tale non è il contratto collettivo di di- ritto comune.
46 Così TRIONI, 2006, 28. Secondo questo autore, a sostegno della ricostru- zione prospettata nel testo, dovrebbe richiamarsi anche l’art. 6, l. 11 agosto 1973, n. 533 che equipara i contratti e accordi collettivi post-corporativi alle norme autoritative. La conclusione viene poi espressamente ribadita dal mede- simo autore a pagina 30 ove si legge che «non potrebbe, invece, dubitarsi che la funzione sociale tutt’ora svolta dagli accordi economici collettivi post- corporativi in materia di agenzia è sostanzialmente identica a quella dei con- tratti collettivi; con la conseguenza che la loro stipulazione non solo è ovvia- mente lecita, ma produce effetti vincolanti per gli iscritti alle associazioni firmatarie. Quanto poi al modo di operare di questo vincolo, la sua idoneità a spiegare effetti non meramente obbligatori, ma i c.d. effetti reali, che si realizza attraverso il meccanismo di sostituzione automatica previsto dall’art. 2066 c.c., non può revocarsi in dubbio, a fronte di altri dati testuali, in quanto la volontà del legislatore, ove si accedesse alla tesi opposta, sarebbe vanificata».
Di diverso avviso sono SARACINI-TOFFOLETTO, 2014, 76, secondo i quali il principio dell’inderogabilità in pejus sussisterebbe solo per i contratti d’agenzia stipulati dall’agente persona fisica. In questa fattispecie troverebbe applicazione l’art. 2113 c.c.: la pattuizione, però, non sarebbe nulla con con- seguente sua sostituzione automatica con la norma degli A.e.c., bensì potrebbe essere annullata ad istanza dell’agente entro sei mesi dalla cessazione del rap- porto di lavoro. In difetto la pattuizione peggiorativa dovrebbe rimanere valida.
47 Soluzione difforme è accolta da TRIONI, 2006, 31, secondo il quale la sostituzione automatica delle clausole dovrebbe avvenire con riferimento al
Pare, quindi, indiscussa la possibilità per l’autonomia contrat- tuale di derogare alla disciplina collettiva solo in meglio per l’agen- te. Ove la deroga introdotta dalle parti sia invece peggiorativa per l’agente, la clausola è considerata nulla e verrà sostituita automati- camente dalla disciplina della contrattazione collettiva.
Il principio sopra esposto (ammissibilità della sola deroga migliorativa) è, in ogni caso, subordinato alla condizione che la pattuizione non si ponga in contrasto con le norme imperative e con le norme inderogabili contenute nella direttiva comunitaria che disciplina la materia 48.
Ad oggi gli A.e.c. attualmente in vigore sono il testo unico del 16 febbraio 2009 per il settore commercio, del 30 luglio 2014 per il settore industria, del 17 settembre 2014 per il settore della piccola e media industria e quello del 12 giugno 2002 per il settore artigianato.
1.3. La disciplina codicistica
1.3.1. I riferimenti normativi
Il contratto d’agenzia trova la sua disciplina all’interno del codice civile, prima nelle disposizioni sul contratto in generale (artt. 1321-1469 c.c.) e poi in quelle relative ai singoli contratti (artt. 1742-1753 c.c.) 49.
contratto d’agenzia concluso da qualsiasi agente, persona fisica o giuridica:
«poiché quella contenuta negli accordi economici è in prevalenza una disci- plina sostanziale, di fatto integrativa di quella legale, privare l’agente im- prenditore della tutela derivante dall’art. 2066, solo perché esso non benefi- cia di quella processuale riservata all’agente con determinate caratteristiche soggettive, implicherebbe una disparità di trattamento non giustificata razio- nalmente e quindi non consentita dall’art. 3 della Costituzione». Nello stesso senso si veda anche Xxxx., Sez. Lav., 17 aprile 2012, n. 6005, cit.
48 In questo senso VENEZIA-BALDI, 2015, 29.
49 La disciplina del contratto d’agenzia che verrà analizzata nella presente trattazione è esclusivamente quella propria dell’attività di agente, così come descritta dall’art. 1742 c.c. Con il termine di agenzia, tuttavia, il legislatore ha designato anche altre figure di agenti che hanno una speciale disciplina legi-
Sin d’ora pare opportuno precisare che la disciplina specifica dettata dal codice civile in tema di contratto d’agenzia si applica anche a tutte quelle fattispecie caratterizzate dalla presenza di prestazioni eventuali ed accessorie al negozio e che potrebbero costituire l’oggetto di un separato e diverso contratto, avente una sua disciplina speciale e differente. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi dell’agente che sia anche depositario dei beni prodot- ti e venduti dal preponente. In questo caso, in mancanza di una regolamentazione pattizia, nel silenzio delle norme dettate in tema di agenzia, si pone il problema del soggetto che debba so- stenere le spese del deposito.
Il profilo è disciplinato, infatti, tanto dall’art. 1748, comma 7, c.c., in tema di contratto d’agenzia, secondo cui le spese sono a carico dell’agente, quanto dall’art. 1774, comma 2, c.c., in te- ma di contratto di deposito, ove si stabilisce che le spese sono a carico del depositante, ossia del preponente. L’applicazione del- l’una o dell’altra disciplina conduce ad esiti contrapposti.
Il problema deve essere risolto facendo applicazione del principio generale secondo cui, allorché ad un contratto princi- pale siano collegati dei contratti accessori non idonei a snatura- re la causa tipica del contratto principale, le prestazioni accesso- rie sono disciplinate dalle norme del contratto principale. Nono- stante la fattispecie concreta presenti alcune prestazioni ulteriori rispetto allo schema astratto, si rimane sempre all’interno del tipo, rientrando quelle prestazioni nella c.d. elasticità del tipo 50. Solo ove queste prestazioni non siano regolate dalle norme spe- ciali riguardanti il contratto principale, potrà farsi riferimento
slativa, generalmente dovuta a ragioni d’interesse pubblico del settore in cui opera quel diverso agente. Così, ad esempio, si trova nel codice civile la di- sciplina dell’agente di assicurazione (art. 1753 c.c. e art. 1903 c.c.). L’agente di assicurazione deve ritenersi un agente di commercio, sottoposto alle norme sul contratto di agenzia, ma caratterizzato da particolari ed ulteriori poteri a lui attribuiti dall’art. 1903 c.c.
Il tema è inoltre disciplinato anche dal d.l. 7 settembre 2005, n. 209, ossia dal Codice delle assicurazioni: nel Titolo IX del Codice (artt. 106-121) è det- tata la disciplina dei c.d. intermediari dell’assicurazione, ossia gli agenti di assicurazione di broker.
50 Sulla c.d. elasticità del tipo, vedi ROPPO, 2011, 403.
alla disciplina del tipo contrattuale cui appartiene la prestazione accessoria.
L’applicazione di questo principio deve indurre a ritenere, nell’esempio proposto, che le spese del deposito debbano essere regolamentate, in assenza di una diversa clausola contrattuale, dalla norma propria del contratto d’agenzia (art. 1748, comma 7, c.c.) 51.
Ne viene, come sopra precisato, che la disciplina codicistica del contratto d’agenzia si applica anche a tutte quelle prestazio- ni accessorie al contratto stesso, integranti l’oggetto di un diver- so contratto tipico, aventi una differente disciplina.
Per quel che concerne le fonti legislative del negozio, il con- tratto d’agenzia non è disciplinato dal solo codice civile. Nume- rosi sono, tuttavia, altri provvedimenti legislativi riguardanti, in particolare, la professione di agente, gli aspetti previdenziali e i profili processuali della materia 52.
Per quel che concerne lo svolgimento della professione d’agen- te deve ricordarsi la l. 3 maggio 1985, n. 204 (poi modificata dalla l. 15 maggio 1986, n. 190) relativa all’attività di agente e
51 In questo senso si veda Cass., Sez. Lav., 16 maggio 1968, n. 1535, in Giust. civ., 1968, I, 757. In modo similare, successivamente, si sono espresse Cass., Sez. Lav., 14 gennaio 1974, n. 116, in Giur. it., 1974, I, 1, c. 1920 e
Cass., Sez. Lav., 19 febbraio 1983, n. 1278, in Mass. giur. lav., 1983, 13.
52 Il tema, rispetto al contratto d’agenzia, è stato analizzato da MAZZA, Le prestazioni accessorie dell’agente di commercio, in Contr. e impr., 1989, 854. Secondo l’Autore, si potrebbero configurare tre diverse ipotesi: «prestazioni even- tuali che, inserendosi nel quadro del contratto tipico concorrono, con le presta- zioni proprie del contratto d’agenzia, alla realizzazione dell’obbligazione prin- cipale dell’agente di commercio (…), e secondo la giurisprudenza in questi casi ci si trova di fronte ad un contratto con causa unica al quale si devono applicare le norme proprie del contratto d’agenzia; b) può accadere però che le prestazioni accessorie si sovrappongano a quelle proprie del contratto d’agenzia snaturan- done la causa tipica. La giurisprudenza ritiene che non si possa fare ricorso allo schema del contratto misto e che si debba invece applicare la regola della preva- lenza – come sopra indicato; c) esistono, infine, prestazioni eventuali che, pur ac- cedendo al contratto d’agenzia, ed essendo a questo legate da un nesso genetico o funzionale, mantengono distinte le loro proprie cause da quella dell’agenzia. Se- condo la giurisprudenza queste attività accessorie determinano la sussistenza di contratti collegati cui applicare la loro autonoma regolamentazione».