FATTO
Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 2017, n. 788; Xxxxxxxx Presidente - Terrusi Relatore
(Omissis)
FATTO
La corte d'appello di Bari ha rigettato, per quanto in questa sede rileva, l'appello principale di C.S. avverso la sentenza con la quale, su ricorso della moglie Xx.Xx., il tribunale della stessa città, dichiarando la cessazione degli effetti civili del matrimonio da essi contratto nell'anno (OMISSIS), aveva stabilito a beneficio della moglie un assegno divorzile di Euro 350,00 mensili e, contestualmente, trasferito, sempre alla moglie, i diritti del marito pari a 1/2 della proprietà di un appartamento in comunione, oggetto di accordo sottoscritto dai coniugi il (OMISSIS) nell'ambito del giudizio anteriormente promosso per la modifica delle condizioni di separazione.
La corte d'appello ha ritenuto che tale accordo avesse integrato l'assunzione di un obbligo a contrarre da attuare attraverso il rimedio di cui all'art. 2932 c.c. e che lo stesso fosse da considerare nullo nei limiti della pattuizione che, quale condizione del trasferimento, aveva posto la rinuncia preventiva della Co. al futuro assegno divorzile. Ha ritenuto di non poter pronunciare la nullità dell'intero accordo, previo sindacato della volontà delle parti di non volerlo mantenere parzialmente, ai sensi dell'art. 1419 c.c., comma 1, non essendovi stata, dinanzi al tribunale, una sollecitazione in tal senso, giacché lo stesso C., con la domanda proposta nel causa riunita, aveva manifestato l'intento di ritenere valida la pattuizione relativa al trasferimento immobiliare.
Avverso la sentenza d'appello, depositata il 12-6-2013 e notificata il 28-6-2013, C. ha proposto ricorso per cassazione articolando cinque motivi, illustrati da memoria.
La Co. ha replicato con controricorso.
DIRITTO
1. - Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909
c.c. e art. 324 c.p.c., la violazione degli artt. 1343 e 1418 c.c. e il vizio di motivazione. Censura la sentenza: (1) per aver mancato di considerare l'efficacia di giudicato della sentenza del tribunale di Bari n. 482 del 2003, con la quale era stata rigettata l'originaria domanda di divorzio proposta in forma congiunta; (2) per aver posto a fondamento della decisione quella stessa convenzione (OMISSIS) che, incentrata sull'impegno del marito a trasferire la quota di comproprietà in cambio della rinuncia della moglie all'assegno divorzile, era stata considerata affetta da nullità parziale per illiceità della causa; e quindi (3) per non aver rispettato le dianzi citate norme del codice civile che, in caso di illiceità della causa, statuiscono la nullità dell'intero accordo.
Col secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dei principi relativi all'interpretazione del contratto e del collegamento negoziale (artt. 1361 e 1362 c.c.), omessa e/o erronea pronuncia sul punto e ingiustizia della sentenza per locupletazione a proprio danno, si duole che nessun tipo di indagine sia stata effettuata dalla corte d'appello nel senso della messa in relazione dell'impegno al trasferimento della quota immobiliare con la rinuncia all'assegno, per modo da considerare congiuntamente le due pattuizioni, la seconda avendo rappresentato il corrispettivo della cessione.
Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 1325 c.c., mancanza di causa nell'applicazione della pattuizione di trasferimento della quota, violazione e falsa applicazione dell'art. 1372 c.c. e dell'art. 5, comma 4, della Legge div., il ricorrente censura la sentenza per avere assecondato il trasferimento senza nulla sancire in ordine alla validità della collegata pattuizione di rinuncia all'assegno di divorzio. E dunque per aver asseverato e legittimato un contratto nullo per mancanza di causa, essendo mancata la funzione del trasferimento di ricchezza operato in favore della Co..
Col quarto motivo è dedotta l'erronea interpretazione della fattispecie e il vizio di motivazione della sentenza a cagione del contemporaneo accoglimento della domanda avente a oggetto il trasferimento della quota e della domanda avente a oggetto la corresponsione dell'assegno.
Infine col quinto motivo il ricorrente si duole della ingiusta applicazione del principio di soccombenza quanto alla sorte delle spese processuali.
2 - E' necessario innanzi tutto puntualizzare che nessuna violazione di giudicato può essere utilmente eccepita in questa sede con riferimento alla richiamata sentenza del tribunale di Bari n. 482 del 2003.
Il giudicato si dice essersi formato prima dell'instaurazione del giudizio definito dalla sentenza della corte d'appello e dinanzi alla detta corte) l'afferente questione non risulta esser stata prospettata.
Una violazione di giudicato non può costituire base del ricorso per cassazione avverso la sentenza che, per la ragione detta, nulla al riguardo abbia statuito.
Difatti, ove l'asserito antecedente giudicato non sia stato eccepito nel giudizio a quo, l'unico rimedio esperibile avverso la sentenza che si assume in contrasto con esso è la revocazione (cfr. Sez. un. n. 21943-10, cui adde Sez. 5^ n. 22505-15).
Va anche evidenziato che la richiamata sentenza del tribunale di Bari aveva trovato la propria ratio nell'impossibilità di dar corso alla congiunta domanda di divorzio in quanto legata alla condizione essenziale di una cessione immobiliare ivi non suscettibile di perfezionamento, in mancanza della personale comparizione (e sottoscrizione) delle parti dinanzi al collegio.
In sostanza, con la citata pronuncia il tribunale aveva riscontrato un vizio del ricorso congiunto perchè contenente "un atto di trasferimento immobiliare privo della forma legale", e tanto si evince con chiarezza dall'ampio stralcio della motivazione riportato dallo stesso ricorrente.
Da una simile statuizione non discendono effetti di giudicato in ordine alla diversa questione della validità o meno dell'impegno contrattuale in quanto correlato alla pattuizione sull'assegno di divorzio.
3. - Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè tra loro strettamente connessi, è invece fondato nel senso che segue.
Per ciò che è dato evincere dalla narrazione esposta dalla difesa di C., non avversata nel controricorso, la materia del contendere era nella specie derivata dalla riunione di due giudizi: l'uno instaurato dalla Co., finalizzato a ottenere la pronuncia di divorzio e la mera fissazione dell'assegno di mantenimento; l'altro instaurato dal C., finalizzato a ottenere la declaratoria di trasferimento alla moglie della quota di comproprietà dell'appartamento in esecuzione dell'accordo del 2002 e la contestuale declaratoria di non debenza di alcun assegno "per effetto del detto trasferimento di quota immobiliare".
L'impugnata sentenza appare xxxxxxxx già sotto il dianzi citato profilo, dal momento che non contiene la necessaria qualificazione della domanda ultima detta, apparentemente radicata sull'esecuzione di un impegno a trasferire da considerare, però, nel contesto di statuizioni incidenti sul divorzio: impegno potenzialmente assimilabile a un pactum de in solutum dando rilevante in tale sede sul piano dell'esecuzione.
4. - L'impugnata sentenza è in ogni modo carente anche a volerne seguire il ragionamento. Vanno in questa sede ribaditi i principi secondo i quali: (a) la determinazione dell'assegno di divorzio, secondo la regolamentazione datane dalla L. n. 898 del 1970, art. 5 e dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, anche per accordo fra le parti, in sede di separazione (Sez. 1^ n. 11575-01); (b) gli accordi con i quali i coniugi intendano regolare, in sede di separazione, i loro reciproci rapporti economici in relazione al futuro divorzio con riferimento all'assegno di mantenimento, sono nulli, per illiceità della causa, stante la natura assistenziale di tale assegno, previsto a tutela del coniuge più debole,
che rende indisponibile il diritto a richiederlo in sede di divorzio (Sez. 1^ n. 5302-06; n. 17634-07; e ancor prima n. 15349-00; n. 8109-00 e molte altre).
In rapporto a tali principi, le conseguenze ritenute dalla corte distrettuale sono errate. L'assegno divorzile è indisponibile per quanto concerne la componente assistenziale, sicché ogni patto intervenuto in altra sede, tendente a precludere o a limitare la richiesta di un assegno divorzile, deve considerarsi nullo. Invero la disposizione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 8, nel testo di cui alla L. n. 74 del 1987 - a norma del quale su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno di divorzio può avvenire in un'unica soluzione, ove questa sia ritenuta equa dal giudice, e in tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda a contenuto economico - non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendosi interpretare secundum ius, non possono implicare alcuna rinuncia a quell'assegno.
Sennonché questo implica che l'obbligazione avente a oggetto il trasferimento di un immobile, che, anteriormente assunta a eventuale tacitazione dell'assegno, si ritenga doversi eseguire trasponendola in sede divorzile col fine di adempimento dell'obbligo afferente, non può imporsi al coniuge avente diritto all'assegno.
La volontà di tale coniuge (nella specie, la moglie) di ottenere l'assegno in luogo del pattuito trasferimento immobiliare non è punto coercibile in nome dell'accordo anteriormente stipulato.
Ciò non comporta affatto, però, che quel coniuge possa veder riconosciuto, in sede di divorzio, come infine ritenuto dalla corte territoriale, e l'assegno e il diritto al trasferimento.
5. - Una simile conclusione contraddice l'affermata nullità per illiceità della causa, per quanto non essendo pertinenti le considerazioni di parte ricorrente in ordine all'istituto del collegamento negoziale (giacché codesto suppone, come ovvio, plurimi negozi).
Rileva che la nullità di un accordo per illiceità della causa è nullità del negozio non della singola pattuizione, volta che la pattuizione radichi - essa - il sinallagma.
Nella specie la sentenza riferisce, ripetendo l'accertamento del tribunale, che la pattuizione sull'assegno aveva costituito "condizione essenziale del trasferimento della quota di comproprietà dell'appartamento appartenente al C.".
E allora mai una tal premessa avrebbe potuto giustificare l'accoglimento della domanda di trasferimento; domanda che - ancora va sottolineato - non la moglie, ma X. aveva formulato e che dunque doveva essere necessariamente qualificata in relazione alla contestuale richiesta di dichiarare soddisfatto ogni diritto "per effetto del detto trasferimento di quota immobiliare".
In altre parole, data per acquisita la circostanza che ogni patto stipulato in epoca antecedente al divorzio, volto a predeterminare il contenuto dei rapporti patrimoniali del divorzio medesimo, deve ritenersi nullo per illiceità della causa, è di ogni evidenza che una simile nullità travolge anche la pattuizione finalizzata a rappresentare il sinallagma.
Altrimenti, non solo l'attribuzione patrimoniale concretizzata dall'obbligo a contrarre resterebbe priva di causa, ma verrebbe finanche vulnerata la nozione di causa del contratto, nella quale rileva il punto di incontro degli interessi concretamente perseguiti (e nel contratto espressi), essendo la disciplina del negozio giuridico qualificabile sempre come disciplina di interessi concreti, assetto di situazioni e rapporti e sintesi del mutamento così instaurato.
6. - Inconferente è l'assunto della corte territoriale secondo cui la nullità dell'intero accordo non avrebbe potuto essere pronunciata in difetto di sollecitazione di parte.
Non si trattava difatti di pronunciare la nullità, ma di rilevarla per la coerente statuizione sulla domanda di trasferimento immobiliare, che avrebbe dovuto costituire adempimento del contratto.
Questa corte da tempo ha chiarito il coordinamento tra il rilievo d'ufficio della nullità negoziale e il principio dispositivo nella differenza che corre tra la rilevazione della nullità,
sempre suscettibile di essere effettuata d'ufficio da parte del giudice, finanche per la prima volta in appello, e la sua pronuncia.
In particolare, la rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto opera di sicuro in ogni stato e grado del processo le volte in cui risulti chiesto l'adempimento della convenzione negoziale, essendo il giudice tenuto a verificare l'esistenza delle condizioni dell'azione e a rilevare d'ufficio le eccezioni che, senza ampliare l'oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda (v. per tutte Sez. 1^, n. 9395-11; Sez. 2^, n. 21632-06).
Rammentato che un tale principio di rilevabilità d'ufficio delle ipotesi di nullità negoziale rappresenta, dalla più recente evoluzione giurisprudenziale, un corollario dell'oggetto del processo anche al di là delle azioni di adempimento, e anche laddove vengano in esame distinte azioni di impugnativa negoziale (v. Sez. un. 26242-14), è del tutto evidente che mai l'impugnata sentenza avrebbe potuto prescinderne al fine di stabilire la sorte della domanda basata sugli effetti dell'accordo richiamato.
7. - L'impugnata sentenza va dunque cassata.
Segue il rinvio alla medesima corte d'appello di Bari, diversa sezione, la quale provvederà a rivalutare le pretese relative alle questioni economiche uniformandosi ai principi di diritto esposti.
La corte d'appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d'appello di Bari.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2017.