Contratto preliminare
Contratto preliminare
Sul preliminare di vendita di un bene appartenente ad una società stipulato solo da alcuni soci
CASSAZIONE CIVILE, sez.II, 3 novembre 2000, n. 14346
Pres. Xxxxxxxxxxx - Xxx. Scherillo - P.M. Uccella (diff.) - Cocconcelli (avv.ti Irti e Costanza) x. Xxxxxxxx (avv.ti Smedile e Ziveri)
Contratti - Contratto preliminare - Compravendita di bene appartenente ad una società di capitali - Alcuni soci pro- mittenti venditori - Invalidità
(Artt.1362, 1381 c.c.)
È invalido il contratto preliminare di compravendita di un bene appartenente ad una società di capitali, al- lorché i promittenti venditori siano soltanto alcuni dei soci, a nulla rilevando sotto questo profilo la qualifi- cazione del contratto come promessa di vendita di cosa altrui ovvero come promessa del fatto del terzo. Xxx nell’una che nell’altra ipotesi, per potere realizzare il trasferimento sarebbe occorsa pur sempre una delibe- ra societaria che autorizzasse (nel primo caso) la vendita del bene dalla società ai promittenti venditori, af- finché potessero trasferirla poi alla promissaria, com’è nello schema della promessa di vendita di cosa al- trui, ovvero (nel secondo caso) la vendita da parte della società direttamente ai promissari acquirenti, com’è nello schema della promessa del fatto del terzo.
(Massima non ufficiale)
Motivi della decisione
I - Col primo motivo di denuncia violazione di legge (art. 1362 c.c.) per avere la sentenza interpretato la scrit- tura privata del 24 maggio 1984 senza tenere conto del suo significato letterale. Le espressioni usate dalle parti dimostravano, secondo le ricorrenti, che la parte indica- ta come “venditrice” e come tale considerata da entram- bi i contraenti, era una parte plurisoggettiva, costituita, cioè, da tutti e sei i fratelli Xxxxxxxxxxx, e non soltanto dai tre firmatari della scrittura. Erroneamente, quindi, la sentenza aveva ritenuto valido ed efficace il contratto, che, invece, essendo privo della sottoscrizione di tutti i membri della parte plurisoggettiva, doveva considerarsi nullo o, quanto meno, inefficace.
Col secondo motivo, connesso col primo, si denuncia ancora violazione di legge (artt. 1362, 1381 c.c.) perché la sentenza, qualificando il contratto come preliminare di vendita di cosa altrui, non aveva considerato che esso riguardava il trasferimento di un immobile appartenente alla s.r.l. di cui i sei fratelli Xxxxxxxxxxx detenevano l’in- tero capitale sociale e che, pertanto, lo schema negozia- le più compatibile con la situazione di fatto e di diritto era quello (prospettato dagli appellanti) della promessa
del fatto del terzo e non quello (adottato dalla sentenza) della promessa di vendita di cosa altrui. Secondo le ri- correnti, infatti, era più ragionevole ritenere che i Coc- concelli avessero promesso un determinato comporta- mento della società, che essi, essendo soci, erano in gra- do di determinare (e cioè il fatto del terzo, consistente nella conclusione della vendita direttamente dalla Su- pergrana alla Fantuzzi), anziché ritenere che si fossero obbligati - come accade nella promessa di vendita di co- sa altrui - ad acquistare essi stessi la proprietà dell’immo- bile per poi trasferirla alla Fantuzzi.
…Omissis…
II - I primi due motivi di censura vanno esaminati con- giuntamente perché tra loro connessi.
Le doglianze sono fondate.
Nel dirimere il contrasto, lungamente protrattosi nella giurisprudenza di legittimità, in ordine all’efficacia del contratto preliminare avente ad oggetto un bene appar- tenente in comproprietà a più soggetti, le sezioni unite di questa corte, con la sentenza n. 7481/93, hanno afferma- to, tra l’altro, che, essendo il bene in comunione consi- derato, di norma, dalle parti come un unicum inscindi- bile, e non come somma delle singole quote facenti capo
ai comproprietari, questi ultimi costituiscono un’“unica parte complessa”, per cui le loro dichiarazioni si fondono in un’unica volontà negoziale. Hanno altresì osservato che, quando non è manifestato il consenso di tutti, la vo- lontà negoziale di una delle parti del contratto prelimi- nare non si forma o si forma invalidamente, con la con- seguenza che il contratto è inefficace non soltanto nei confronti dei comproprietari rimasti estranei al contrat- to, ma anche nei confronti dei promittenti venditori, a meno che non risulti la concreta volontà di questi ultimi di obbligarsi limitatamente alle quote di cui essi sono ti- tolari. A tale proposito, assumono valore decisivo le in- dicazioni dell’oggetto del contratto come un bene unita- rio e, soprattutto, la previsione di un prezzo globale.
In definitiva, quindi, secondo l’indirizzo indicato dalle sezioni unite, se all’esito dell’indagine, che è rimessa al giudice di merito, non emergono elementi tali da far ri- tenere che l’obbligo di vendere è stato assunto soltanto da alcuni dei comproprietari, per cui la promessa deve essere riferita non al bene unitariamente inteso ma solo a quella parte di esso di cui potevano disporre i singoli promittenti, il contratto preliminare non può esplicare alcun effetto perché non si è validamente formata la vo- lontà negoziale della parte complessa promittente.
L’accertamento in ordine alla comune intenzione delle parti deve tendere, pertanto, a verificare se la menzione nell’atto, quale parte promittente venditrice, di tutti i comproprietari abbia carattere essenziale, nel senso che tutti sono obbligati a vendere il bene comune in ragione dell’imprescindibile oggetto del contratto, costituito dal- l’obbligazione di trasferire la proprietà del bene comune nella sua interezza.
Il principio espresso dalle sezioni unite può trovare ap- plicazione anche con riguardo a fattispecie diverse dalla promessa di vendita di immobile comune, sempre che concorrano, quali elementi essenziali della pattuizione (l’accertamento dei quali è riservato al giudice di meri- to), il requisito soggettivo dell’“unica parte complessa” nel senso di cui sopra, e quello oggettivo dell’obbligo, as- sunto da siffatta parte contraente, di trasferire i diritti su un bene non di comune proprietà, che - per previsione contrattuale - possa realizzarsi solo grazie all’adempimen- to unitario e globale.
Nel caso di specie, gli elementi che caratterizzavano la scrittura 24 maggio 1984 sono costituiti non soltanto dalla sua predisposizione formale come contratto facen- te capo, quale parte venditrice, a tutto il gruppo Coc- concelli con previsione di un prezzo unico come corri- spettivo dell’intero bene, ma, altresì, dall’individuazione del bene compromesso in vendita come appartenente in proprietà alla società Supergrana, di cui i sei fratelli Xxx- concelli detenevano l’intero capitale sociale. Tali ele- menti, entrambi pacifici, imponevano al giudice di ap- pello di accertare preliminarmente se il contratto, co- munque qualificato, era stato voluto dai contraenti con riferimento a tutti i promittenti enunciati nell’atto e al bene considerato unitariamente ovvero come impegno
assunto soltanto dai tre sottoscrittori e, come tale, ope- rante nei limiti delle rispettive quote sul bene, ovvero quale impegno di costoro a realizzarne il globale trasferi- mento.
Essendo il bene di proprietà della società, i contraenti ben avrebbero potuto prevedere che occorresse l’assenso di tutti i soci per poterne trasferire la proprietà alla Fan- tuzzi, a nulla rilevando sotto questo profilo la qualificazio- ne del contratto come promessa di vendita di cosa altrui ovvero come promessa di fatto del terzo. Sia nell’una che nell’altra ipotesi, per potere realizzare il trasferimento sa- rebbe occorsa pur sempre una delibera societaria che au- torizzasse (nel primo caso) la vendita del bene dalla so- cietà ai promittenti venditori, affinché potessero trasfe- rirla poi alla promissaria, com’è nello schema della pro- messa di vendita di cosa altrui, ovvero (nel secondo caso) la vendita da parte della società direttamente alla Fantuz- zi, com’è nello schema della promessa del fatto del terzo. In altri termini, se l’obbligazione assunta dai tre promit- tenti, comunque intesa (sia come impegno di costoro di trasferire in proprietà il bene altrui alla promissaria ov- vero come impegno a far concludere la vendita dalla so- cietà), avesse avuto per oggetto una prestazione che, per essere adempiuta, necessitava dell’apporto di tutti gli aventi diritto sul bene, sarebbe stato necessario, perché la stessa fosse efficace, che l’impegno fosse assunto da tutti e sei i fratelli Xxxxxxxxxxx e non solo da alcuni di es- si, dovendosi ritenere - in caso contrario - che il contrat- to preliminare non era stato validamente concluso, in quanto portante un’obbligazione a carico di tutti i sog- getti considerati parti essenziali nel loro complesso senza il necessario, globale assenso.
Concentrandosi sul problema della qualificazione del contratto, la sentenza ha completamente trascurato di accertare qual’era stata la volontà dei contraenti, sia in relazione al tenore letterale che al contenuto sostanziale della scrittura. Entrambi i suddetti aspetti risultano con- siderati soltanto in funzione della qualificazione del con- tratto, avendo la sentenza dato per dimostrato ciò che invece doveva essere accertato, e cioè se il contratto, con quelle caratteristiche formali e sostanziali di cui fi- nora si è detto, era stato validamente concluso.
La sentenza, alle pagg. 10 e 13, si limita ad affermare che l’avvenuta sottoscrizione da parte soltanto di alcuni dei fratelli Xxxxxxxxxxx comportava unicamente che l’obbli- gazione di trasferire alla Fantuzzi la proprietà del lotto di terreno appartenente alla società Supergrana era stata assunta esclusivamente da coloro che avevano sotto- scritto la scrittura stessa, ma, al pari della sentenza di pri- mo grado - alla quale fa richiamo - non indica le ragioni per le quali doveva ritenersi valido un contratto che di- sponeva di un bene senza il consenso di tutti coloro che nell’atto figuravano quali parte promittente.
In relazione ai motivi la sentenza va, pertanto, xxxxxxx con rinvio per nuovo esame alla corte d’appello, altra sezione, che farà applicazione del principio innanzi enunciato.
…Omissis…
OSSERVAZIONI
Come emerge dalla narrativa della sentenza cui so- no dedicate le brevi osservazioni che seguono, la vicen- da oggetto della decisione trae origine dalla avvenuta sottoscrizione, da parte di tre dei sei fratelli che veniva- no menzionati nell’atto, di una scrittura contenente un contratto preliminare di vendita di un lotto di terreno edificabile sito in Parma, di proprietà di una S.r.l. di cui i fratelli erano titolari dell’intero capitale sociale. Poiché alla scadenza pattuita non era avvenuta la stipulazione del rogito, la promissaria acquirente, dopo aver lamenta- to l’inadempimento dei tre firmatari della scrittura ed avere evidenziato la esiguità del patrimonio degli stessi, chiedeva l’autorizzazione al sequestro conservativo dei loro beni e, eseguito il sequestro ottenuto, iniziava il giu- dizio di merito diretto a far dichiarare la risoluzione del- l’accordo di cui alla scrittura privata, per inadempimen- to dei tre fratelli sottoscrittori oltre al risarcimento dei danni. Nel costituirsi i convenuti deducevano che la scrittura non era un contratto preliminare, ma una boz- za di contratto la cui validità era subordinata alla sotto- scrizione degli altri tre soci della società proprietaria del- l’immobile oggetto del contratto. Sia il Tribunale di Par- ma, sia la Corte di Bologna davano ragione alla promis- saria acquirente: qualificato il contratto come prelimina- re di cosa altrui affermavano l’inadempimento dei pro- mittenti venditori. La Cassazione, nell’esaminare con- giuntamente i primi due motivi del ricorso proposto dai tre fratelli soccombenti nel giudizio di merito, ha ritenu- to fondati i motivi volti a lamentare la violazione delle norme in materia di interpretazione del contratto e del disposto dell’art. 1381 c.c.
L’iter logico seguito nella pronuncia è volto a ricom- prendere il caso descritto in precedenza nella problema- tica del contratto preliminare di vendita di bene in co- munione sottoscritto da parte solo di alcuni comproprie- tari pro indiviso. In questa prospettiva non può non evi- denziarsi subito che la pronuncia finisce col sovrapporre in modo difficilmente comprensibile le due fattispecie, tanto da affermare che il giudice d’appello avrebbe do- vuto accertare se il contratto «era stato voluto dai con- traenti con riferimento a tutti i promittenti enunciati nell’atto ed al bene considerato unitariamente ovvero come impegno assunto soltanto dai tre sottoscrittori e, come tale, operante nei limiti delle rispettive quote sul bene, ovvero quale impegno di costoro a realizzarne il globale trasferimento». È evidente che, con il riferimen- to alle «quote» la Cassazione non ha inteso aver riguar- do alle quote sociali e che pertanto l’alternativa proposta non ha alcun senso logico giuridico. Ciò perché i soci di una società proprietaria di un immobile non sono titola- ri di alcuna quota sul bene e non sono comproprietari dell’immobile, ma sono i titolari esclusivi delle quote so- ciali di loro rispettiva spettanza. Nulla autorizza, infatti, a ritenere che le quote sociali appartenessero in comu-
nione ai singoli soci, per cui neppure sotto questo profi- lo il caso oggetto della decisione presenta collegamenti con quello del preliminare di vendita stipulato solo da alcuni dei comproprietari. Pare pertanto davvero inspie- gabile la sovrapposizione che la Cassazione ha realizzato tra due situazioni giuridicamente molto distanti fra loro ed il cui unico punto di contatto è rappresentato dal fat- to della mancata sottoscrizione del contratto da parte di tutti coloro che sono titolari, in un caso, dell’immobile e, nell’altro caso, del capitale sociale: un punto di contatto che è più apparente che reale se si considera la distanza che passa tra il regime della comunione e quello della soggettività della società.
Del resto l’inciso finale della motivazione pare spo- stare l’accento su una prospettiva diversa da quella svi- luppata nel corso delle precedenti argomentazioni: pren- dendo in esame l’affermazione del giudice di merito, se- condo cui era sorta a carico dei soli sottoscrittori l’obbli- gazione di trasferire la proprietà del lotto di terreno ap- partenente alla società, la sentenza in esame ha censura- to questa conclusione, enunciata senza la indicazione delle «ragioni per le quali doveva ritenersi valido un contratto che disponeva di un bene senza il consenso di tutti coloro che nell’atto figuravano quale parte promit- tente». Una questione, quella posta nel riportato passag- gio finale della motivazione della Cassazione, che tra- scende la problematica del contratto preliminare di beni altrui ma che per contro è rimasta completamente assor- bita dalle argomentazioni che la decisione ha dedicato a quella problematica, come se il caso esaminato dal giu- dice di merito riguardasse un impegno assunto da alcuni comproprietari pro indiviso di un immobile. Proprio a causa di questa sovrapposizione si spiega come mai la pronuncia in esame abbia ritenuto di dedicare la prima parte della motivazione al richiamo della nota sentenza delle Sezioni Unite 8 luglio 1993, n. 7481 (pubblicata in questa Rivista 1993, 11,1320 con commento di V. Car- bone; in Foro it. 1993, I, 2456 con nota di Xxxxxxxxx e La Rocca; in Giur. it. 1994, I, 1, 886 con nota di Xxxxxxx; in Giust. civ. 1993, I, 2037; in Nuova giur. civ. comm. 1994, I, 351 con nota di Xxxxxxxxx; in Riv. not. 1995, II, 1309 con nota di Xx Xxx; in Arch. civ. 1993, 1152). Con essa la Cassazione aveva inteso dirimere il contrasto svi- luppatosi al proprio interno in ordine alla valutazione del preliminare di vendita di bene unitariamente consi- derato, sottoscritto da parte solo di alcuni tra i compro- prietari pro indiviso: senza voler ripercorrere gli orienta- menti che si erano contrapposti quali emergono dalla motivazione della pronuncia e sono esaminati nelle no- te citate, è opportuno ricordare che la questione sulla quale esisteva maggiore contrasto era relativa alla possi- bilità che il promissario acquirente, a fronte della pro- messa di vendita dell’immobile sottoscritta solo da alcu- ni dei comproprietari, potesse richiedere la sentenza co-
stitutiva di cui all’art 2932 c.c. limitatamente alle quote pro indiviso dell’immobile appartenenti ai promittenti venditori.
Come è evidente, la questione così proposta riguar- da i soli contratti preliminari: per la vendita del bene in comunione conclusa solo da alcuni comunisti si pone la distinta problematica della applicabilità dell’art. 1480 c.c., essendo controverso se la norma ora richiamata concerna, oltre che il caso della vendita di bene oggetto di proprietà esclusiva, sia pure parziale, dell’alienante, anche il caso del bene di cui l’alienante sia comproprie- tario pro indiviso. Potendosi prospettare, con riferimento a questa seconda evenienza, l’applicazione diretta del- l’art. 1479 c.c. con conseguente non necessità, ai fini della risoluzione del contratto, della verifica imposta dal- l’art. 1480 c.c.
Fino alla sentenza delle Sezione Unite del ’93 le due problematiche connesse al contratto preliminare di ven- dita ed al contratto di vendita stipulati da alcuni comu- nisti erano pertanto, in buona misura, distinte dal mo- mento che, in relazione alla prima, venivano in conside- razione soprattutto questioni inerenti alla esecuzione del contratto preliminare ed alla sua intangibilità ad opera della sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 c.c.; e pro- spettandosi, con riferimento ai contratti definitivi di vendita, questioni di confine tra la disciplina della ven- dita di cosa altrui e di cosa solo parzialmente altrui.
Le Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto «in ordine agli effetti del contratto preliminare di vendita di un bene considerato nella sua interezza da parte di alcu- ni soltanto dei comproprietari» (espressione, quella tra virgolette, ripresa, così come quelle che seguono, dalla sentenza n. 7481/93) ha ritenuto non condivisibile la te- si della «inefficacia relativa» del contratto preliminare che rimette al promissario la decisione se far valere la inefficacia o ottenere il trasferimento delle quote appar- tenenti ai promittenti; ed ha svolto argomentazioni rife- rite sia al preliminare di vendita sia alla vendita: «nel ca- so in cui con riferimento alla vendita di un bene in co- munione, il consenso non sia stato manifestato da tutti i comproprietari, o sia stato validamente manifestato da alcuni soltanto di essi, non di inefficacia, ma di inesi- stenza (per mancato perfezionamento del suo iter forma- tivo) o di invalidità del contratto si dovrà parlare, non essendosi formato (o non essendo stato validamente ma- nifestato) il consenso di una delle parti. Quando, infatti, l’oggetto di una promessa di vendita sia un bene in co- munione, di regola, le parti considerano tale bene come un unicum inscindibile e non come somma delle singo- le quote che fanno capo ai singoli comproprietari e cor- relativamente questi ultimi costituiscono un’unica parte complessa, per cui le loro dichiarazioni di volontà di vo- ler promettere in vendita non hanno autonomia, ma si fondono in un’unica volontà negoziale (quella della par- te promittente venditrice). Ne consegue che quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida) non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle
parti del contratto preliminare, il quale non viene ad esi- stenza (o è nullo)». Dopo aver fatto queste affermazioni di carattere generale le Sezioni Unite le hanno circo- stanziate nel senso di lasciare aperto lo spiraglio costitui- to dalla eventualità «che un documento sia formulato in modo tale che risulti in esso la riproduzione di più con- tratti preliminari in base ai quali ognuno dei compro- prietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente: in tal caso, a meno del- la previsione di una condizione (risolutiva o sospensiva) o della ricorrenza di una ipotesi di collegamento nego- ziale, la mancata conclusione (o la eventuale invalidità) di uno dei contratti non si ripercuoterà sugli altri per cui il promissario acquirente potrà pretendere la stipulazio- ne del contratto definitivo dai comproprietari stipulanti relativamente alle quote di cui gli stessi sono titolari».
Nel richiamare il contenuto della sentenza delle Sezioni Unite la decisione in esame riproduce sia le pre- messe di ordine generale che imporrebbero di affermare l’inesistenza dell’accordo in mancanza di sottoscrizione del contratto da parte di tutti i comunisti, sia l’eventua- lità che la promessa non abbia avuto come oggetto l’in- tero immobile ma solo «quella parte di esso di cui pote- vano disporre i singoli promittenti»; con la conseguenza che l’accertamento del giudice di merito deve essere di- retto a verificare se «la menzione nell’atto, quale parte promittente venditrice, di tutti i comproprietari abbia carattere essenziale, nel senso che tutti sono obbligati a vendere il bene comune in ragione dell’imprescindibile oggetto del contratto, costituito dall’obbligazione di tra- sferire la proprietà del bene comune nella sua interezza».
La ragione del richiamo del precedente del ’93 si trova esposta subito dopo il periodo ora riportato: il prin- cipio espresso dalle Sezioni Unite può trovare applica- zione anche a fattispecie diverse allorché ricorrano i due requisiti, il primo soggettivo il secondo oggettivo, costi- tuiti dall’«unica parte complessa» e dal trasferimento dei diritti su un bene «di comune proprietà» (tale dovendo- si intendere logicamente il riferimento al requisito og- gettivo malgrado il «non» di troppo che compare nella motivazione).
Nella specie la Cassazione ha ritenuto che ricorres- se l’«unica parte complessa» per il fatto della «predispo- sizione formale» del contratto come «facente capo, qua- le parte venditrice a tutto il gruppo Cocconcelli» (cioè a tutti e sei i fratelli dei quali solo tre avevano poi sotto- scritto il documento); ed ha ritenuto presente pure il re- quisito oggettivo, costituito dalla indicazione dell’intero lotto immobiliare e dalla previsione di un prezzo unico. Il giudice del merito avrebbe conseguentemente dovuto accertare se il contratto era stato voluto con riferimento a tutti i promittenti enunciati nell’atto e al bene consi- derato unitariamente o se si fosse verificata l’alternativa che abbiamo già richiamato all’inizio di queste brevi no- te riportando tra virgolette il pensiero della Corte.
È a questo punto facile obiettare che la Cassazione ha prospettato per il giudice di merito una alternativa
che, quanto meno, per la seconda parte non aveva alcun senso: mai, infatti, si sarebbe potuto collegare ad un ac- cordo sottoscritto da tre soci relativamente ad un bene appartenente alla società l’impegno di trasferire il bene
«nei limiti delle rispettive quote». A meno di non im- maginare che, per assurdo, la Cassazione abbia inteso ri- ferirsi non alle quote di comproprietà immobiliare, nella specie inesistenti, ma alle quote sociali di proprietà esclusiva dei tre sottoscrittori!
Se possibile, l’ulteriore percorso argomentativo del- la sentenza rende ancor più grave e inspiegabile la so- vrapposizione fra le due diverse fattispecie: dalla premes- sa che il bene apparteneva alla società si trae il corollario che «i contraenti ben avrebbero potuto prevedere che occorresse l’assenso di tutti i soci» e ciò sia nel caso in cui l’accordo andasse qualificato come promessa di vendita di cosa altrui sia nella eventualità in cui fosse stata sotto- scritta la «promessa del fatto del terzo». Nell’uno e nel- l’altro caso sarebbe stata necessaria una delibera societa- ria e, quindi, «l’apporto di tutti gli aventi diritto sul be- ne».
È sfuggito alla Corte di cassazione che la società di capitali è gestita non dai soci ma dagli amministratori, i quali tanto più se, come è probabile nella specie, l’ogget- to sociale era la compravendita di immobili, ben avreb- bero potuto alienare senza una previa delibera assem- bleare.
È altresì sfuggito alla Cassazione che le assemblee delle società deliberano non all’unanimità ma a maggio- ranza e che le quote valgono per la percentuale di parte- cipazione al capitale sociale. Inoltre anche a volere ipo- tizzare che l’impegno contrattuale fosse stato sottoscritto da tutti e sei i fratelli non si sarebbe mai verificata la si- tuazione che si verifica allorché il bene in comunione sia oggetto di un contratto al quale partecipino tutti i co- munisti (sia poi esso un contratto preliminare o definiti- vo).
la intestazione della scrittura anche agli altri o all’altro socio. Non par dubbio che in tal caso non ci sarebbe sta- ta alcuna esitazione nel qualificare l’atto quale promessa di vendita di cosa altrui, tanto più che la stessa pronun- cia dichiara irrilevante «sotto questo profilo» (della parte- cipazione all’atto da parte di tutti i soci) «la qualificazio- ne del contratto come promessa di vendita di cosa altrui ovvero come promessa di fatto del terzo».
La massima estrapolata dalla decisione individua fe- delmente il dilemma emergente dal contenuto della pro- nuncia, per cui non mancherà di meravigliare il lettore, il quale saprà così che per il giudice di legittimità il con- tratto stipulato da un qualunque estraneo in relazione al- l’immobile di una società, andrà qualificato come vendi- ta o promessa di vendita di cosa altrui, mentre lo stesso contratto concluso da uno o più soci richiederà un’inda- gine da parte del giudice del merito volta ad accertare
«se l’obbligazione dei promittenti venditori, per essere adempiuta, necessita del consenso di tutti i soci», un’in- dagine all’esito della quale l’incredulo lettore scoprirà l’insufficienza «del consenso di tutti i soci» dal momen- to che l’adempimento dell’obbligazione dei promittenti venditori richiederà l’intervento del legale rappresen- tante della società o di un procuratore munito dei neces- sari poteri.
Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
È sfuggito, infine, alla Cassazione che l’«unica parte complessa» alla quale si è riferita la decisione delle Se- zioni Unite richiamata in precedenza è stata individuata non in ragione del mero dato estrinseco e formale della intestazione della scrittura ad una pluralità di persone tra le quali solo alcune hanno poi provveduto alla sottoscri- zione, ma in connessione proprio con il regime di com- proprietà esistente sul bene, con la conseguenza, già te- stualmente richiamata, della non autonomia delle sin- gole dichiarazioni di volontà che «si fondono in un’uni- ca volontà negoziale (quella della parte promittente venditrice)».
In definitiva, i tre sottoscrittori del documento con- trattuale si sono potuti liberare del vincolo conseguente all’accordo da essi sottoscritto, speculando sulla circo- stanza che la intestazione dell’atto recava la menzione anche del nominativo degli altri tre fratelli: viene da chiedersi, infatti, se la Cassazione avrebbe ripetuto gli stessi concetti anche nell’ipotesi in cui l’atto fosse stato sottoscritto da uno, due, tre, quattro o cinque soci senza