GIORGIO REMOTTI
XXXXXXX XXXXXXX
LA GESTIONE COLLETTIVA
DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
CONFORMAZIONE DEI MERCATI, MODELLI ORGANIZZATIVI, STRUTTURE CONTRATTUALI
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Quaderni di
GIURISPRUDENZA COMMERCIALE
INTRODUZIONE
Sin dalla sua genesi, la gestione collettiva dei diritti d’autore ha rappresentato una tecnica d’esercizio dell’autonomia privata finalizzata a realizzare un’organizzazione capace di meglio soddisfare gli interessi indi- viduali dei titolari.
Sotto il profilo teleologico è questo il leitmotiv del fenomeno in esame. Nel corso della storia alla gestione collettiva sono state peraltro affidate ulteriori funzioni a presidio di interessi considerati, secondo concezioni oggi superate, di rilevanza generale, che hanno indotto determinati ordi- namenti (tra i quali l’Italia) ad assoggettare l’attività d’intermediazione dei diritti d’autore ad una riserva esclusiva, coerentemente attribuita ad una società di gestione collettiva (d’ora in poi anche solo “collecting” (1) rivestente natura di ente pubblico economico. Xxxxxxx, tuttavia, constatare la tendenza degli ultimi anni al progressivo ritorno verso forme organizza- tive privatistiche, a scapito della dimensione pubblicistica del fenomeno. Tendenza, quest’ultima, che ha trovato conferma con l’emanazione della direttiva UE n. 26 del 26 febbraio 2014 che ha imposto il superamento del monopolio ex lege e promosso un modello di mercato concorrenziale dei servizi di gestione collettiva a livello europeo. Così, secondo uno scorrere del tempo (illusoriamente) circolare, la gestione collettiva è tornata all’ori- ginaria natura privatistica, seppur irreversibilmente segnata dalle trasfor- mazioni che ne hanno accompagnato il percorso evolutivo e che oggi contaminano l’ispirazione liberista che anima la direttiva, sollevando que- siti ai quali questo lavoro mira a dare risposta.
Il presente studio si prefigge l’obiettivo di astrarre una chiave di lettura
della disciplina della gestione collettiva dei diritti d’autore e connessi introdotta (in attuazione della direttiva 2014/26) dal d.lgs. 35/2017 (d’ora in poi anche “l.g.c.”). La complessità del sistema di gestione collettiva si riflette, inevitabilmente, in una struttura argomentativa articolata ed ete- rogenea, sicché si sveleranno qui al lettore, con il piano del libro, anche i
(1) Il termine “collecting” (sineddoche dell’anglicismo “Copyright Collecting Society”), invalso nella letteratura di settore per designare le società di gestione collettiva dei diritti d’autore e connessi, ha di recente trovato riconoscimento positivo all’art. 19 del d.l. 148/ 2017.
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principali esiti guadagnati, a beneficio di una maggiore chiarezza del discorso.
Si anticipa che la chiave interpretativa della disciplina in campo pare potersi ricavare dall’obiettivo di edificare un mercato pluralista e compe- titivo dei servizi d’intermediazione dei diritti d’autore e connessi utile a rendere più efficiente in chiave allocativa e dinamica la gestione collettiva dei diritti, comprimendo i costi delle licenze e agevolando la circolazione delle opere. Si dimostrerà pertanto che la disciplina della gestione collettiva risponde alla funzione di aumento della “intensità catallàttica”, da inten- dersi come l’incremento del livello degli scambi di quantità economiche che si realizzano nel mercato (2). Funzione quest’ultima che assicura uno sfruttamento più intenso dei diritti d’autore e connessi, sì da consentire l’equa remunerazione dei titolari dei diritti e la compressione dei prezzi delle licenze per gli utilizzatori.
Sulla scorta di tale funzione, pertanto, si procederà ad analizzare il dato positivo per identificare gli assetti di mercato che il legislatore promuove; per selezionare le forme collaborative (associative e societarie) più confacenti alle regole di corporate governance che la disciplina armo- nizzata introduce; e, quindi, per formulare proposte coerenti circa le strutture contrattuali di cui sono parte le collecting.
Lo studio muove dall’esame delle radici storiche della gestione collet- tiva dei diritti d’autore e delle ragioni che hanno portato il relativo mercato a strutturarsi quasi ovunque in forma monopolistica.
Alle origini del fenomeno la solidarietà ha rivestito il ruolo di principio ispiratore dei modelli di gestione collettiva che andavano sorgendo nell’Eu- ropa continentale. Le prime collecting hanno svolto principalmente la funzione solidaristica (di coalizione) impedendo la competizione al ribasso tra autori ed artisti per autorizzare lo sfruttamento delle loro opere, così da permettere di aumentarne la forza negoziale nei confronti delle imprese culturali, le quali, perseguendo finalità lucrative, hanno sempre nutrito
(2) Il termine catallàttica deriva dal greco “καταλλάττω” ed indica l’attività di “scam- bio” (di beni e servizi), di cui si rinviene traccia nella retorica aristotelica (x. XXXX, Anonymi et Xxxxxxxx in artem rhetoricam commentaria. Commentaria in Aristotelem Xxxxxx XXX, Xxxxxx, 0000, 237). Xxxxxxx xxxxxxx e declinato in “catallactics” dal teologo anglicano ed economista XXXXXXX, nel lavoro Introductory lectures on political economy, 2nd ed., London, 1831, 6, per indicare la “science of exchanges”, a sua volta richiamato da XXXXXXX, nel Trattato di logica economica, vol. I, Padova, 1962, 537 dove si legge che « la base dell’attività economica è la catallattica, ossia lo scambio tra quantità economiche ». Da questo concetto la letteratura economica ha coniato il termine “catallaxis” per indicare l’ordine spontaneamente generato dagli aggiustamenti reciproci delle numerose economie individuali attraverso gli scambi che si realizzano in un mercato (v. XXX XXXXX, Legge, legislazione e libertà, Milano, 1986, 314 ss.). Pertanto, con il sintagma “elevazione dell’intensità catallàttica” si intende significare la funzione d’incremento del livello degli scambi di quantità economiche che si realizzano nel mercato.
INTRODUZIONE
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l’interesse antitetico a corrispondere il minor prezzo possibile per fruire delle opere protette.
Nel corso del XX secolo, nelle esperienze autoritarie di Italia e Germania, le tradizionali funzioni solidaristiche delle collecting hanno trovato piena affermazione con l’instaurazione di un monopolio ex lege per l’attività d’intermediazione dei diritti d’autore che ha consentito il perse- guimento di obiettivi extra-mercatisti di matrice pubblicistica, e trovato nel modello economico corporativo il proprio “habitat” naturale. Da tale prospettiva potrà valorizzarsi il nesso d’interdipendenza tra una gestione collettiva improntata alla solidarietà e l’accentramento del mercato.
Attraverso lo studio dell’evoluzione del fenomeno si disveleranno i problemi che hanno accompagnato la gestione accentrata. Sarà così pos- sibile astrarre le principali ragioni che spiegano la deriva monopolistica del mercato, distinguendo tra gli elementi intrinseci all’attività di gestione collettiva, che sotto il profilo della razionalità economica spiegano la tendenza all’accentramento, e gli elementi estrinseci, quali sono, ad esem- pio, determinate scelte politiche che, altrettanto, hanno contribuito alla formazione (e al mantenimento) di situazioni di monopolio.
Nel tentativo di porre rimedio alle disfunzioni palesate da collecting arroccate in posizioni di monopolio all’interno dei confini nazionali, a partire dagli anni ’70, le istituzioni europee, prima di battere il selciato
della regolazione, sono intervenute in materia attraverso la disciplina antitrust. L’approccio si è mostrato però inadeguato. L’intrinseca limita- tezza dell’intervento antitrust e il progresso tecnologico (che ha portato forme di fruizione delle opere sempre più ubique) hanno reso ineludibile un intervento regolatorio atto a costituire un playing field europeo della gestione collettiva.
Così è stata varata la direttiva UE 2014/26 allo scopo di rendere più efficiente in chiave mercantile, allocativa e dinamica l’attività di collecting. Si mostrerà il percorso evolutivo della disciplina della gestione collettiva che, da regolazione propria dei singoli Stati membri informata ad obiettivi solidaristici redistributivi ed egalitari, trascende oggi i confini nazionali per valorizzare una dimensione mercantile informata al perseguimento dell’ot- timalità allocativa. Potrà così cogliersi tutta la distanza tra il tradizionale modello di gestione collettiva, avverso alla dinamica mercantile, di natura essenzialmente corporativa e a vocazione solidaristica, rispetto a quello di afflato liberista caldeggiato dalla direttiva che, da un canto, affida al mercato il perseguimento di un obiettivo efficientista senza, d’altro canto canto, trascurare profili regolatori diretti a promuovere una dinamica cooperativa tra titolari dei diritti, collecting e utilizzatori.
Tuttavia, per appurare se l’efficienza ricercata dalla direttiva imponga effettivamente una certa “dose” di concorrenza, occorre prima verificare che il mercato della gestione collettiva non rivesta le caratteristiche del
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monopolio naturale. Si guarderà, allora, agli scenari di mercato che pos- sono realizzarsi a seguito della frammentazione dei repertori per sondare se l’introduzione della dinamica competitiva possa effettivamente condurre ad un modello di gestione più efficiente, anche alla luce dell’incremento dei costi di transazione che accompagna l’aumento del numero di intermediari. Si vedrà, quindi, che la direttiva promuove una destrutturazione del mercato della gestione collettiva, puntando alla formazione di collecting specialistiche assoggettate ad una concorrenza sincronica là dove le carat- teristiche del mercato consentano l’efficiente compresenza di più società di gestione, e diacronica là dove si riscontri invece la presenza di costi subadditivi.
In Italia l’attuazione della direttiva 2014/26 è avvenuta in due tempi, con il d.lgs. 35/2017 che ha introdotto una disciplina ad hoc per le collecting, e con l’art. 19 del d.l. 148/2017 che ha novellato l’art. 180 l.a. Con quest’ultimo intervento si è superato il monopolio attribuito alla SIAE, ammettendo che l’intermediazione dei diritti d’autore possa essere affidata anche ad altri OGC, ma non alle EGI. L’esclusione delle EGI solleva qualche perplessità poiché, sebbene in linea con un’interpretazione lette- rale del dato positivo, risulta distonica rispetto agli obiettivi perseguiti dalla direttiva.
Si passerà poi all’esame delle diverse tesi in campo circa l’ambito di operatività dell’art. 180 l.a., valorizzando la soluzione per cui la disposi-
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Identificate le possibili conformazioni dei mercati della gestione col- lettiva, si procederà a verificare come le regole in campo mirino ad assicurare un level playing field europeo della gestione collettiva, onde fornire risposta ad alcuni primi interrogativi. Tra essi rientra anzitutto il quesito riguardo al (la ratio che giustifica il) perimetro di operatività del d.lgs. 35/2017, nonché la ragione sottesa alla previsione di due distinti tipi di collecting come gli organismi di gestione collettiva (OGC) e le entità di gestione indipendente (EGI), ai quali si applicano poche regole uniformi e molte altre difformi. Vedremo pertanto che la disciplina in campo attrae nel proprio perimetro operativo qualsiasi soggetto che svolga un’attività di collecting, e che la difformità regolatoria tra i due tipi si spiega alla luce della “funzione di servizio universale” affidata ai soli OGC, nonché per dispiegare una competizione transtipica tra forme organizzative. Inserendo cioè nello stesso mercato due tipi di collecting si innesca un’interazione dinamica capace di proiettare l’efficienza di un modello sull’altro, in vista del raggiungimento dell’ottimo allocativo. Difatti, le caratteristiche strut- turali di un tipo consentono di meglio perseguire determinati interessi, stabilendo così il benchmark di mercato (anche) per l’altro tipo, struttu- ralmente meno portato a perseguire quegli stessi interessi, ma meglio attrezzato a perseguirne altri, in relazione ai quali, a sua volta, determinerà il benchmark.
Capitolo I
LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI: DALLA GENESI DEL FENOMENO ALLA DIRETTIVA UE 2014/26
SOMMARIO: Sezione I. GENESI E SVILUPPO DELLA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
NELL’EUROPA CONTINENTALE. — 1. Alle origini della gestione collettiva dei diritti d’autore.
— 2. L’emersione del modello corporativo di gestione dei diritti d’autore in Italia e Germania: il monopolio legale in favore di EIDA e STAGMA. — 3. La deriva mono- polistica del mercato della gestione collettiva: tra scelte politiche e razionalità econo- mica. — 4. I sistemi nazionali di gestione collettiva “a liberalizzazione debole”: le esperienze di Francia e Germania. — 5. La persistenza del monopolio in Italia nel nuovo quadro costituzionale repubblicano: la limitazione alla libertà d’iniziativa economica a presidio d’interessi pubblicistici. — 6. Il declino del modello monopolistico in Italia: la liberalizzazione della gestione collettiva dei diritti connessi. — 7. Le criticità del modello di gestione collettiva “solidaristico-monopolistico”: verso la svolta “efficientista”. — Sezione II. LO SVILUPPO DELLA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA SULLA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI
D’AUTORE E CONNESSI. — 8. Primi tentativi di superamento del modello monopolistico nazionale di gestione collettiva: le collecting societies al vaglio del diritto antitrust europeo. — 9. Il cambio di rotta della Commissione. Verso lo smantellamento dei monopoli attraverso il superamento delle barriere nazionali: dalle censure antitrust agli interventi di soft law. — 10. La direttiva UE 2014/26: struttura, obiettivi e funzioni. —
11. L’obiettivo efficientista del modello armonizzato di gestione collettiva. — 11.1. L’efficienza sotto il profilo degli effetti allocativi. — 11.2. e l’efficienza sotto il profilo
degli effetti distributivi. — Sezione III. ANALISI DEI POSSIBILI SCENARI DI MERCATO DELLA GESTIONE COLLETTIVA. — 12. La tesi per cui la gestione collettiva configura un’ipotesi di monopolio naturale. I (supposti) vantaggi del modello monopolistico. — 12.1. In particolare: l’argomento della riduzione dei costi transattivi. — 12.2. e della presenza
di economie di scala e di gamma. — 13. Critica alla tesi per cui la gestione collettiva configurerebbe (sempre) un monopolio naturale. — 14. Possibili scenari competitivi del mercato della gestione collettiva. — 14.1. Primo scenario. Pluralità di collecting societies offerenti la stessa tipologia di diritti relativi al medesimo repertorio. — 14.2. Secondo scenario. Pluralità di collecting societies offerenti la stessa tipologia di diritti relativa- mente a repertori differenti. — 14.3. Terzo scenario. Pluralità di collecting societies offerenti diverse tipologie di diritti. — 14.4. La contendibilità quale elemento ordinante i mercati europei della gestione collettiva tra concorrenza sincronica e diacronica. — Sezione IV. IL “CAMPO DA GIOCO” EUROPEO DELLA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E
CONNESSI. — 15. Sulla categoria delle collecting societies soggette alla direttiva. — 15.1. La concezione armonizzata di “attività di gestione collettiva” alla luce delle funzioni caratterizzanti le collecting societies. — 15.2. Fisionomia della categoria armonizzata delle collecting societies. — 15.3. Collecting societies, nuovi intermediari e altri aggre- gatori di diritti. — 16. Gli organismi di gestione collettiva e le entità di gestione indipendenti. — 16.1. Profili strutturali comuni tra tipi di collecting societies e loro disciplina uniforme. — 16.2. Profili strutturali differenziali tra tipi di collecting societies e loro disciplina difforme.
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Sezione I
GENESI E SVILUPPO DELLA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI NELL’EUROPA CONTINENTALE
1. Alle origini della gestione collettiva dei diritti d’autore.
Gli albori della gestione collettiva si scorgono nella Francia prerivo- luzionaria del ’700 (1), sebbene per convenzione la genesi del fenomeno sia
(1) All’epoca alcuni autori di opere drammatiche hanno iniziato a reclamare ai direttori dei teatri parigini dell’Opéra e della Comédie Française un trattamento economico confacente allo sfruttamento delle loro opere. I direttori delle compagnie teatrali (‘capocomici’), forti dei privilegi sovrani, erano restii ad attribuire agli autori una remunerazione adeguata. Questi, per lo sfruttamento delle loro opere, erano costretti ad accontentarsi: talvolta, di un importo deciso ad libitum dal capocomico (‘mal-taillée’); talaltra, di un ammontare parametrato sugli utili conseguiti dal teatro. In questo contesto Beaumarchais il 3 luglio del 1777 ha fondato la Société des Auteurs et Compositeurs Dramatiques (SACD) (x. XXXXX, La société des auteurs et compositeurs dramatiques, Paris, 1908). L’iniziativa ha dato avvio alla rivendicazione di una pretesa creditoria degli autori drammatici nei confronti dei capocomici i cui primi frutti si sono manifestati con l’arrêt del Conseil d’Etat du Roi del 12 maggio 1780 intitolato Mémoire à consulter et consultation pour les curés du Dauphiné sur l’insuffisance de la portion congrue. La decisione aveva imposto ai direttori teatrali l’obbligo di comunicare agli autori una contabilità meno arbitraria, sebbene i gestori dei teatri avessero conservato la possibilità di rappresentare l’opera senza previo consenso degli autori (x. XXXXXXXXXXXX (XXXXX DE), Compte rendu de l’affaire des auteurs dramatiques et des comédiens français, in Oeuvres complete de Xxxxxxxxxxxx d’une notice sur sa vie et ses ouvrages, vol. VI, Paris, 1828, 3 ss. e 126). Solo il 18 novembre del 1837 la Société des Auteurs è venuta ad assumere la forma della società civile con la denominazione di Société des Auteurs et Compositeurs Dramati- ques, rimanendo attiva fino al 1879 (x. XXXXX, op. cit., 121 ss.; e XXXXXX, La proprietà intellettuale, 2a ed., vol. II, Torino, 1917, 381 s.). Le funzioni della Société erano ampie: si occupava di tutelare i propri soci nei confronti degli impresari teatrali e dei direttori artistici; svolgeva l’attività di esazione dei compensi spettanti agli autori aderenti; infine, effettuava una ripartizione delle royalties riscosse attraverso la predisposizione di un fondo comune dei proventi. Contestualmente alla nuova collecting erano state attribuite alcune finalità mutua- listiche, quali, ad esempio, l’istituzione di un fondo di sostegno per gli autori aderenti e i loro successori, e la predisposizione di una cassa comune per il trattamento previdenziale dei soci (x. XXXXX, op. cit., 207 ss.). La Société non sostituiva la gestione collettiva dei diritti a quella individuale dei propri membri, ma predisponeva un modello di contratto in cui erano fissate condizioni minime per le prestazioni a tutela di ciascun autore. Lo statuto della Societé prevedeva varie limitazioni per i soci, tra le quali il divieto di svolgere attività lesive dell’interesse collettivo, come consentire la rappresentazione delle opere in un teatro o da una compagnia teatrale che non avesse sottoscritto il modello di contratto elaborato dalla Société; piuttosto che stipulare accordi contrattuali stabilenti un onorario inferiore a quello fissato dal modello di contratto della Société. Lo scopo di tali clausole era quello di scongiurare la concorrenza al ribasso tra i soggetti aderenti, posto che l’utilità del singolo nel breve periodo avrebbe eroso nel tempo i benefici per tutti gli altri autori. La Société non aveva però ancora assunto quasi nessuno dei tratti caratterizzanti le moderne collecting. Si trattava di un sodalizio privo di un effettivo riconoscimento giuridico, quindi di qualsiasi forza impositiva nei confronti dei propri aderenti, cosicché non erano infrequenti diserzioni dei propri membri speranzosi di attrarre le simpatie di qualche importante direttore teatrale affinché mettesse in scena le loro opere. L’esigenza di dotare la Société di un riconoscimento giuridico emerge dopo la rivoluzione con la sostituzione del sistema dei privilegi sovrani con un diritto esclusivo preregolato ex lege in favore degli autori (x. XXXXXXX, Diritto d’autore europeo, Torino, 2011, 9 ss., e 14, nota 44). Con l’abolizione dei privilegi teatrali, dal 1791 si è assistito all’apertura di numerose sale di spettacolo e café-concert. Già nel 1807 i privilegi venivano però sostituiti dalla necessaria autorizzazione prefettizia. Con la rivoluzione del febbraio 1848 anche questa
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fatta coincidere con la vicenda giudiziaria Bourget x. Xxxxx di quasi un secolo più tardi dove, per la prima volta, è emersa l’esigenza di dare forma a un’organizzazione capace di assicurare una remunerazione agli autori di un’opera dell’ingegno (2).
Si tratta di un contenzioso avviato da alcuni autori per l’esazione di un corrispettivo per l’esecuzione di loro opere nei confronti dei titolari dei café-concert (3). Emergeva così il problema di effettività che sconta un diritto su beni immateriali (né rivali né agevolmente escludibili) e, perciò, l’esigenza di dar vita ad un’organizzazione capace di controllare efficace- mente il rispetto del diritto d’autore (4). All’esito della vicenda giudiziaria, il 28 febbraio 1851, i medesimi autori hanno dato vita a un’organizzazione collettiva non lucrativa in forma cooperativa per la gestione e il monito- raggio dei diritti d’autore: la Société des Auteurs, Compositeurs et Éditeurs de Musique (SACEM) (5).
Il modello d’oltralpe di gestione collettiva dei diritti d’autore ha influenzato le esperienze dei paesi vicini e dato avvio ad un tipo di gestione collettiva continentale distinto da quello britannico che, qualche anno più tardi, ha iniziato a prendere forma (6).
condizione veniva abolita; sebbene già un’ordinanza del 17 novembre 1849 la reintroduceva per consentire una censura preventiva sull’esecuzione di canzoni a tema politico (c.d. “goguette”). Solo con la definitiva abolizione dei monopoli teatrali del 1864 si è assistito alla nascita di nuovi teatri e sale spettacolo a Parigi (x. XXXXXXX, Les cafés-concerts. Histoire d’un divertissement, 1849-1914, Xxxxx, 0000, 20 ss.).
(2) La vicenda narra che al Café des Ambassadeurs di Parigi il paroliere Xxxxxxx e i compositori Xxxxxxx e Xxxxxxx si sono rifiutati di pagare le loro ordinazioni dopo aver udito eseguite le loro opere senza che previamente fosse stato chiesto loro un consenso né offerto un compenso (v. XXXXXX, La légalité des sociétés d’auteurs et d’artists dramatiques, Xxxxx, 0000, 59 ss.; XXXXXXXXXX, Collective management in France, in Collective Management of Copyright and Related rights, 2d ed., a cura di Xxxxxxx, Alphen aan den Rijn, 2010, 170 ss.). Dall’antefatto tra il 1847 e il 1849 sono stati instaurati due procedimenti giudiziari, all’esito dei quali è stata riconosciuta agli autori la lesione dei loro diritti (v. Tribunal de commerce de la Seine 8 sep- tembre 1847, in Mémorial du commerce, 1847, II, 503 s.; Tribunal de commerce de la Seine 3 août 1848, ivi, 1848, II, 475, secondo il quale « les droit d’auteurs sont dus â l’auteur des paroles des chansonnettes par le maitre de café ou d’etablissment qui le fait chanter en plein air »; decisione confermata dalla Cour d’appel de Paris, 28 avril 1849, ivi, 1849, II, 538).
(3) I café-concert o café-chantant (music-hall) sono rappresentazioni artistiche (tra cui spezzoni di operette teatrali, numeri di arte varia, balletti, tableaux vivants, e così via) eseguite presso bar e sale da the. Il termine (che originariamente intendeva lo spettacolo) ha assunto il valore semantico di indicare i luoghi d’esecuzione.
(4) Sull’emersione del diritto d’autore nella Francia rivoluzionaria in luogo del previ- gente sistema dei privilegi ottriati v. KEREVER, Révolution française et droit d’auteur, in RIDA, 1989, 1 ss.; e XXXX, Alle origini del copyright e del diritto d’autore, Roma, 2010, 177 ss.; BERTANI, Diritto d’autore europeo, cit., 9 ss.
(5) La SACEM aggregava al suo interno sia autori che editori, una peculiarità che consente di qualificarla come la prima società di gestione collettiva moderna (v. NÉRISSON, Collective Mangement of Copyright in France, in Collective Management of Copyright and Related Rights, 3d ed., a cura di Xxxxxxx, Alphen aan den Rijn, 2016, 177).
(6) Nel Regno Unito il fenomeno della gestione collettiva ha tardato ad affermarsi. Le prime collecting sono sorte solo agli inizi del XX secolo. La Mechanical Copyright Licenses Company Ltd. (MECOLICO) è sorta nel 1910, precedendo l’emanazione del Copyright Act del 1911 (x. XXXXXXXXX, Collective Management in the United Kingdom (and Ireland), in Collective Management of Copyright, cit., 2d ed., 252 ss.; XXXXXX e SHERMAN, Intellectual Property Law, 4th
16 LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
Le società di gestione collettiva, che nel corso del XIX secolo nascono in Europa, mostrano dalla specola funzionale una flessione ibrida, giacché esse sorgono: sia per l’affermazione e la rivendicazione di interessi di categoria, mostrando un afflato solidaristico (7); sia per regolare la circo-
ed., Xxxxxx, 0000, 305 ss.). La collecting aveva una struttura di limited liability company e risultava servente a intermediare i diritti e quindi a raccogliere le royalties spettanti ai produttori di fonogrammi. A differenza delle società continentali, aventi vocazione solidaristica, essa non gestiva un repertorio, ma si occupava solo di recuperare di volta in volta le royalties per conto dei singoli produttori di fonogrammi per poi distribuirle tra gli aventi diritto, assumendo i tratti di un puro intermediario con finalità lucrative (x. XXXXXXXXXX e XXXXXXXXX, Music and Copyright: The Case of Xxxxxx and his Publishers, London, 2007, 389 ss.). Nel 1924 la collecting si è fusa con altre società similari sorte medio tempore nel Regno Unito e dato vita alla Mechanical Copyright Protection Society, una società con finalità di lucro detenuta dalla Music Publishers Association, che inizialmente raggruppava gli otto più importanti produttori londinesi v. Bill- board, 6 novembre 1976, “The history of the Mechanical Copyright Protection Society”). Più simile alle collecting continentali, poiché rispondente anche a funzioni solidaristiche, risulta la Performing Rights Society (PRS), nata nel 1914 per la tutela e la gestione dei diritti di autori, artisti, compositori ed editori. In concorrenza con PRS nel 1932 è sorta la British Copyright Protection Company (BRITICO), specializzata nella gestione dei diritti di autori tedeschi e francesi nel Regno Unito. In argomento x. XXXXXXX, Harmonious Alliance. A history of the Performance Right Society, Xxxxxx, 0000. Diversamente dall’esperienza che stava maturando nell’Europa continentale, quelle d’oltremanica si organizzavano secondo modelli di limited liability company perseguenti finalità di lucro assecondando una funzione squisitamente mer- cantile d’intermediazione dei diritti (x. XXXXXXXXX, op. ult. cit., 228; e v. anche il Xxxxxxx Com- mittee Report, “Report of the Copyright Committee”, 1952, Cmd 8662, Parliamentary Papers, 1951-2, vol. 9, § 136 ss.).
(7) L’elaborazione del principio di solidarietà nel periodo storico considerato muove dal
che porrà le basi per la nascita della concezione liberista (v. HAWYARD, Solidarity and the Re- formist Sociology of Xxxxxx Xxxxxxxx, I, in American Jour. of Econ. & Sociology, 1963, 216). Xxxx, dopo aver ribadito la libertà degli individui come uomini (liberté), la loro eguaglianza quali cittadini (égalité), senza menzionarla dissolveva tuttavia la fratellanza (fraternité) nel principio della dipendenza di tutti ad una sola legislazione comune (x. XXXX, Per la pace perpetua. Progetto filosofico, Palermo, 1973, 23 ss.). Ciò spiega perché la solidarietà nella Francia rivoluzionaria faticava a guadagnare l’autonomia semantica e tendeva a confondersi con la fraternité (x. XXXXXX, Giusnaturalismo e diritto europeo. Human Rights e Grundrechte, Milano, 2002, 102, da cui emerge l’agganciamento di questa concezione all’assunto di Xxxxx per il quale « ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessuno altro che lui », così XXXXX, Due trattati sul governo, a cura di Xxxxxxxx, Torino, 1948, 249). Questa nozione ha consentito negli anni successivi l’elaborazione del principio di solidarietà quale “vincolo di interdipendenza delle sfere individuali”(x. XXXXXXXX, De la division du travail social: étude sur l’organisation des sociétés supérieures, Paris, 1893), e in seguito di “assistenza reciproca fra i membri di uno stesso gruppo” (v. XXXXXXXXX, voce Solidarietà, in Dizionario di filosofia, a cura di Id., 3a ed., Torino,
Termine estratto capitolo
campo delle obbligazioni e, quindi, dal vincolo d’interdipendenza tra debitori per cui ciascuno può essere chiamato a rispondere dell’intero debito (come testimonia l’etimo in solidu, v. XX XXXXXXX, voce solidarité, in Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers par una société de gens de lettres, a cura di Xxxxxxx e X’Xxxxxxxx, t. XV, Neufchastel, 1751, 320). Nella Francia rivoluzionaria il principio di solidarietà non trova particolari simpatie poiché « si teme che la solidarietà altro non sia che un travestimento di carità, beneficenza, compassione, tutte parole che non appartengono al lessico della dignità e dei diritti ma [...] rinviano piuttosto alla benevolenza altrui, sottolineando la minorità, e la subalternità, di chi si trova a esserne soggetto » (così RODOTÀ, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Bari, 2004, 25) ossia una logica aristocratica incompatibile con il nuovo ordine borghese fondato su eguaglianza, fratellanza e legalità. La proprietà intesa in senso lato all’epoca si è fatta a strumento di eman- cipazione dal modello politico aristocratico e assolutista, e ha incarnato le istanze antitetiche del modello borghese che si andava affermando. E per apparente paradosso liberava l’uomo dal giogo della “solidarietà collettiva” implicita nella condizione di servo, in un impeto di libertà
Sezione II
LO SVILUPPO DELLA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA SULLA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
8. Primi tentativi di superamento del modello monopolistico na- zionale di gestione collettiva: le collecting societies al vaglio del diritto antitrust europeo.
Nel 2014 le istituzioni europee hanno emanato la direttiva sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e connessi. In Italia il recepimento di questo atto di armonizzazione ha incontrato diverse difficoltà (150), ma prima di esaminare la normativa di attuazione occorre transitare per una messa a fuoco degli obiettivi che la direttiva persegue.
Vedremo che l’atto di armonizzazione promuove un modello di mer- cato concorrenziale che risponde alla funzione di rendere più efficiente l’attività delle collecting, stabilendo regole utili per incentivare una com- posizione spontanea dei conflitti d’interesse che si manifestano tipicamente nella gestione collettiva dei diritti d’autore e connessi.
In particolare, nell’analisi di seguito proposta emergerà che l’efficienza ricercata dalla dir. 2014/26 si sostanzia nel tentativo di massimizzare la soddisfazione complessiva degli interessi dei partecipanti al sistema di gestione collettiva. Cosicché, osservando il fenomeno in prospettiva sto- rica, con riferimento allo scenario italiano, si assiste al passaggio da una matrice corporativa a vocazione solidaristica avversa alla dinamica mer- cantile ad un modello d’intermediazione d’ispirazione liberista che affida al mercato il perseguimento di un obiettivo efficientista in chiave allocativa e dinamica. In tal senso, la direttiva delinea un sistema di gestione collettiva polimorfo entro cui la dimensione efficientista (perseguita, anzitutto, me- diante la liberalizzazione del settore) coesiste con quella cooperativa (ricercata attraverso una puntuale regolazione dei relativi rapporti nego-
(150) Sui problemi di attuazione della direttiva in Italia x. XXXXX, Il d.lgs. n. 35/17 di attuazione della direttiva collecting: accesso al mercato, controlli e governance, in NLCC, 2017, 1128, secondo cui ciò è dipeso anche dalla « non chiara ratio ispiratrice delle norme europee ».
DALLA GENESI DEL FENOMENO ALLA DIRETTIVA UE 2014/26
61
ziali). È dunque dal binomio concorrenza-regolazione che occorre muovere per ricostruire la chiave di lettura della disciplina dettata dalla direttiva.
Al riguardo, occorre prendere atto che l’attività di gestione collettiva dei diritti d’autore è volta, per sua natura, a conciliare molteplici posizioni antagoniste, tra le quali, anzitutto, viene in gioco quella del titolare dei diritti ad ottenere una remunerazione più elevata possibile per lo sfrutta- mento delle sue opere, rispetto all’interesse degli utilizzatori a versare una somma più ridotta possibile per l’utilizzo delle medesime opere. La dir. 2014/26 si prefigge l’obiettivo di condurre questi interessi al massimo livello di soddisfazione complessiva (i.e. l’ottimo allocativo), promuovendo la realizzazione di un mercato capace, per un verso, di contenere i costi di gestione patiti dalle collecting, e per altro verso, di elevare la frequenza degli scambi, nonché, per conseguenza, l’intensità dello sfruttamento dei diritti oggetto di intermediazione collettiva. Cosicché, per merito dell’in- cremento dell’intensità catallàttica (intesa come la frequenza degli scambi che si realizzano in un dato mercato) anche a fronte della riduzione del corrispettivo per le licenze concesse, il titolare finisce, comunque, per ottenere una remunerazione più elevata dallo sfruttamento dei propri diritti.
Tra le regole contenute nella dir. 2014/26 non poche appaiono il
precipitato delle decisioni che la Commissione e la Corte di giustizia sono
state chiamate a prendere negli anni antecedenti alla sua adozione in presenza di comportamenti abusivi che hanno pregiudicato l’assetto con- correnziale dei mercati coinvolti dalla gestione collettiva dei diritti d’autore e connessi (151). Decisioni che hanno svolto, pertanto, un ruolo di senti- nelle riguardo alle principali problematiche affliggenti le collecting e i loro mercati, dalle quali pare utile prendere le mosse nel tentativo di ricostruire gli obiettivi più autentici dell’atto di armonizzazione.
L’obiettivo efficientista della direttiva si pone, così, all’esito di un percorso non lineare condotto da diversi attori a livello europeo su cui conviene soffermarsi. La regolazione della gestione collettiva dei diritti d’autore e connessi in Europa è stata per lungo tempo demandata princi-
(151) Per una ricostruzione puntuale di queste decisioni v. AREZZO, Aggregazione e frammentazione dei diritti nella Proposta di Direttiva sulla concessione di licenze multi territoriali per i diritti online relativi alle opere musicali: quali spazi per le licenze multi- diritto?, in AIDA, 2013, 83 ss., dove si evidenzia che in primo luogo la proposta di direttiva intende realizzare un mercato concorrenziale della gestione collettiva con contestuale fram- mentazione dei repertori gestiti in ambito nazionale allo scopo di rivoluzionare la circolazione dei contenuti allo scopo di incentivare la nascita di nuovi servizi di intermediazione dei diritti. In secondo luogo, con riguardo alle opere musicali online, al contrario la proposta di direttiva impone un sistema di licenze mutliterritoriali che mira ad aggregare all’interno di pochi repertori di società di gestione collettiva paneuropee i diritti necessari per consentire tali modalità di sfruttamento.
62 LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
palmente ai legislatori nazionali (152). Nel rispetto dei principi di propor- zionalità e di sussidiarietà, le istituzioni europee si sono astenute (fino alla direttiva) dal fornire una base normativa comune che disciplinasse funditus la materia. Negli ultimi anni l’impronta marcatamente statuale della ge- stione collettiva ha però iniziato a vacillare. La costituzione di un mercato comune per l’Europa, la progressiva armonizzazione del diritto d’autore, lo sviluppo delle tecnologie digitali e di internet hanno spinto le istituzioni europee a intervenire in questo settore, sia attraverso l’applicazione della normativa antitrust sia mediante alcuni atti di soft law, nel tentativo di ammodernare un sistema che aveva mostrato gravi inefficienze (153).
Più di preciso, è possibile scorgere due distinti approcci che hanno connotato l’azione delle istituzioni europee in questo campo. In un primo momento (tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso), la Corte di giustizia e la Commissione sono intervenute sull’operato delle società di gestione collet- tiva applicando il diritto della concorrenza, senza però incidere a fondo sui modelli monopolistici radicati su base nazionale, finendo persino in qual- che misura per rafforzarli. In un secondo momento (iniziato col nuovo millennio), la Commissione ha adottato un approccio favorevole all’instau- razione di un modello concorrenziale della gestione collettiva (non più su base nazionale, ma) su scala europea. Inizialmente, questa scelta politica non ha trovato seguito nella giurisprudenza europea, ed è stata accolta con qualche scetticismo dal Parlamento UE, ma ha trovato poi accoglimento con l’adozione della dir. 2014/26.
Il primo degli approcci sopra indicati risulta in linea con l’obiettivo dell’Europa post-bellica di formare un mercato comune eliminando gli ostacoli alla libera circolazione di persone, merci e capitali. Tale approccio ha richiesto un cambio di rotta delle politiche economiche a livello nazio- nale. E necessitava, per conseguenza, di « porre fine ad una tradizione di favore per i cartelli e i “campioni nazionali” » (154). Da questa prospettiva
(152) Invero già con la dir. CEE 83/93 il legislatore europeo aveva previsto una gestione collettiva obbligatoria del diritto di ritrasmissione via cavo, tuttavia, tale intervento incideva solo marginalmente (e indirettamente) sui modelli di gestione collettiva adottati in ambito nazionale, come si evince dall’art. 13 a mente del quale « le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano la competenza degli Stati membri in materia di disciplina delle attività delle società di gestione collettiva ».
(153) Si pensi guardando all’Italia alle vicende che hanno coinvolto XXXXX e SIAE. Sulla vicenda IMAIE v. sopra nota 126. Mentre per SIAE nel 2011 uno sbilancio del prospetto economico ne ha determinato il commissariamento. Segnatamente in seguito a un costante accrescimento delle spese di gestione che hanno determinato ingenti perdite con il d.P.R. del 9 marzo 2011 è stato nominato un commissario straordinario con « l’incarico di adottare gli atti necessari ed opportuni al fine di assicurare il risanamento finanziario e l’equilibrio, economico-gestionale della Società, nonché l’instaurarsi di una dialettica interna più equili- brata, [...] ad assicurare una effettiva rappresentatività in seno agli organi sociali della SIAE ai titolari dei diritti in rapporto ai relativi contributi economici ».
(154) Così LIBERTINI, Diritto della concorrenza dell’Unione europea, Milano, 2014, 57. In argomento v. anche PACE, Diritto europeo della concorrenza, Padova, 2007, 28 s. secondo
DALLA GENESI DEL FENOMENO ALLA DIRETTIVA UE 2014/26
63
è infatti emersa l’esigenza di stabilire se, nel settore della gestione collettiva dei diritti d’autore, fossero tollerabili posizioni di monopolio o dominanza nei mercati domestici (155), considerati gli effetti restrittivi della concor- renza che si generavano nel mercato interno (156).
Un primo problema ha riguardato l’interrogativo se la disciplina antitrust di cui agli artt. 81 e 82 TCE (oggi 101 e 102 TFUE) fosse applicabile al campo della gestione collettiva. Per rispondere a questo interrogativo è stato necessario comprendere se le collecting potessero ricondursi alla nozione d’impresa accolta dal diritto comunitario. La Corte di giustizia sul punto si è espressa affermativamente: e ciò in virtù dell’am- piezza della nozione funzionale d’impresa da essa elaborata nell’applica- zione della disciplina antimonopolistica (157), che « abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica a prescindere dallo status giuri- dico e dalle sue modalità di finanziamento » (158). Così, indipendentemente dalla tipica assenza di uno scopo lucrativo (159), la Corte ha rilevato che le società di gestione collettiva esercitano un’attività d’intermediazione di diritti patrimoniali d’autore e connessi avente natura economica, ossia un’attività d’impresa.
cui « gli artt. 85 e 86 TCEE (1957) determinavano nel territorio europeo la nascita del “diritto di tutela della concorrenza” (Wettbewerbsrecht) in opposizione al “diritto statale dei cartelli industriali” (Kartellrecht), così come era stato conosciuto negli Stati europei negli anni ’20 e ’30 ».
(155) A prescindere dal fatto che il monopolio nell’intermediazione dei diritti fosse il risultato di una precisa volontà di legge come in Italia, o il risultato di un assetto spontaneo di mercato come in Francia e Germania (x. XXXXXXXXXXX, I diritti esclusivi delle collecting societies, in AIDA, 2001, 207).
(156) Il monopolio o la dominanza nei singoli mercati nazionali rappresentano d’altro canto « una posizione dominante in un parte sostanziale del mercato comune » così inter alia Corte giust., 13 luglio 1989, cause riunite 000/, 000/00 x 000/00, Xxxxxxxx, xx. 0, xx XXX, 0000, 509 ss.
T-325/94, T-328/94, T-329/94 e T-335/94, T- 305/94, Pvc, ivi, 1999, II, 931 ss. Sulla
nozione d’impresa accolta a livello UE in ambito antitrust per tutti v. DONATIVI, Impresa e gruppo nella legge antitrust, Milano, 1996, passim; e più di recente in generale sulla nozione d’impresa elaborata nell’ordinamento europeo v. anche XXXXXX, L’impresa fra tradizione e innovazione, Torino, 2018, 87 ss. Con specifico riguardo alla gestione collettiva in letteratura
x. XXXXXXXXXX, Antitrust e società di gestione dei diritti d’autore, in AIDA, 1995, 125 ss.; XXXXXX, La S.I.A.E. esercita un’attività industriale?, in IDA, 1995, 516 ss.; XXXXXXXXXX, op. cit., 444.
(158) Così Corte giust., 23 aprile 1991, C-41/90, Xxxxxx, in Riv. it. dir. pubbl. comm., 1992, 1322. E nello stesso senso x. Xxxxx xxxxx., 00 marzo 2009, C-113/07, Selex, in Racc. 2011, I, 2271 ss.
(159) Prima della dir. 2014/26 le collecting tipicamente non avevano scopo di lucro, e in determinati ordinamenti (come in Francia) era espressamente vietato (v. art. L 321-1 come modificato dalla Loi del 11 mars 2014, art. 16 n. 2014-315, nella formulazione anteriore all’intervento della Ordonnance n. 1823 del 2016).
Termine estratto capitolo
(157) X. Xxxxx xxxxx., 00 xxxxxx 0000, X-00/00, Xxxxxx, xx Xxx. xx. dir. pubbl. comm., 1992, 1322. E v. anche Corte giust., 26 marzo 2009, C-113/07, Selex, in Racc., 2011, I, 2271 ss.; Xxxxx xxxxx., 00 dicembre 1997, C-55/96, Jobcentre, in Foro it., 1998, IV, 41 ss.; Xxxxx xxxxx., 00 novembre 1985, C-244/94, Fédération francaise, ivi, 1996, IV, 71 ss.; Trib. CE, 4 marzo 2003, T-319/99, Fenin, in Racc., 2003, II, 357 ss.; Trib. CE, 20 aprile 1999, nelle cause riunite T-305/94, T-306/94, T-307/94, T-313/94, T-314/94, T-315/94, T-316/94, T-318/94,
Sezione III
ANALISI DEI POSSIBILI SCENARI DI MERCATO DELLA GESTIONE COLLETTIVA
12. La tesi per cui la gestione collettiva configura un’ipotesi di monopolio naturale. I (supposti) vantaggi del modello mono- polistico.
La presenza di economie di scala e di gamma, oltreché, di elevati costi di transazione, nell’attività di gestione collettiva, comporta la tendenza alla formazione di una struttura di mercato accentrata. Non sorprende, per- tanto, che la dottrina maggioritaria ritenga che la gestione collettiva configuri un’ipotesi di monopolio naturale (283).
È chiaro che, in linea di principio, la realizzazione di un mercato concorrenziale in luogo dell’individuazione di un’unica autorità (rectius di un mercato accentrato ove il monopolista assume i tratti del regolatore di quel mercato) implica dei costi di transazione più elevati. Dal che pare contraddittorio sostenere che la direttiva, da un canto, avvalori la funzione
(283) La tesi per cui l’attività di gestione collettiva configura un monopolio naturale trova sostegno in letteratura, tra i molti x. XXXXX, op. cit., 516; XXXXX, Das Recht der Verwertungsgesellschaften in Deutschland nach Erlass der Kommissionsempfehlung über die kollektive Verwertung von Online-Musikrechten, in Impulse für eine europäische Harmoni- sierung des Urheberrechts, a cura di Hilty e Xxxxxx, Berlin, 2007, 369 ss.; XXXXXXXXX e GIANNACCARI, op. cit., 82; FELS e XXXXXX, Australian Intellectual Property Law, Competition and Collecting Societies: Efficiency, Monopoly, Competition and Regulation, in Xxxxxxxxx e Atanasiu, European Comeptition Law Annual 2005, The Interaction between Competition Law and Intellectual Property Law, London, 2007, 329 ss. e in particolare 334; XXXXXXX, Competition Law and Copyright: Observations from the World of Collecting Societies, in Competition Law and Intellectual Property: A European Perspective, a cura di Caggiano, Muscolo e Xxxxxxx, Alphen aan den Rijn, 2012, 203 ss.; XXXXXX, Introduction to Copyright and Collective Management in Competition Law, in Jour. of Law and Econ. 2013, 37 ss.; SARTI, La categoria delle collecting, cit., 7; ID., Liberalizzazioni, cit.; 1 ss.; TRUMPKE, Exklusivität und Xxxxxxxxxxxxxxx, Xxxxx-Xxxxx, 0000, 70 ss.; e v. anche le considerazioni di XXXXXXXX, Com- petition for Collective Management in Europe: a Necessity or a Paradox, in Concurrences, 2006, 15 ss.; e di BIXIO, Modelli di gestione collettiva, cit., 75 ss. Questa concezione muove dalla constatazione per cui l’industria dei servizi di gestione collettiva si caratterizza per la presenza di economie di scala. Tuttavia, nel prosieguo, vedremo che ciò non (sempre) basta. In argomento x. XXXXXX, Natural Monopoly and Its Regulation, in Stanford Law Rev., 1968, 548 ss.; e sulla nozione di contendibilità quale condizione necessaria all’efficienza del mercato
x. XXXXXX, XXXXXX e WILLIG, Contestable Markets and the Xxxxxx xx Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxx
Xxxx, 0000.
100
LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
di riduzione dei costi transattivi, e d’altro canto, esiga il superamento della struttura di mercato monopolistica.
Guardando alla natura dell’impresa si osserva che « il funzionamento di un mercato ha un costo e [...] creando un’organizzazione e permettendo a una certa autorità (un “imprenditore”) di allocare le risorse, vengono risparmiati i costi del mercato » (284). L’impresa svolge, anzitutto, una funzione di riduzione dei costi di transazione: in assenza di un’organizza-
zione imprenditoriale lieviterebbe grandemente il numero di contratti necessari per realizzare un determinato prodotto o servizio, e cioè per organizzare i fattori produttivi. La circolazione mercantile che si realizza mediante il contratto affida l’allocazione delle risorse al meccanismo dei prezzi. Questo meccanismo comporta però dei costi, quali, ad esempio, quelli necessari a individuare i prezzi “giusti” dei differenti apporti, quelli di negoziazione e conclusione del contratto, nonché quelli legati all’esecu- zione ed eventualmente all’enforcement dei termini contrattuali. L’impresa consente una sensibile riduzione di questi costi, dato che essa si sostituisce alla molteplicità dei contratti necessari per l’organizzazione dei fattori produttivi e per la circolazione dei prodotti e servizi realizzati. (285). Perciò, se l’istituzione di un’impresa consente una prima contrazione dei costi di transazione, allora, riducendo il numero delle imprese, i costi transattivi dovrebbero ulteriormente abbassarsi (286). Ecco la contraddizione (appa- rente) di un modello di gestione collettiva, che da un lato si professa efficientista, ma che dall’altro lato, consente la moltiplicazione dei soggetti operanti nel mercato, determinando un incremento dei costi transattivi, così riducendo l’efficienza del sistema. In tal modo, se l’industria dei servizi
(284) Così XXXXX, Impresa, mercato e diritto, Bologna, 1995, 80 (l’opera da cui si cita ripubblica e traduce i principali lavori di Xxxxx, e in particolare ID., The Firm, the Market and the Law, Chicago, 1988; ID., The nature of the firm, 1. Origin, 2. Meaning, 3. Influence, in Jour. of Law Econ. and Org., 1988; ID., Durability and Monopoly, in Jour. of Law and Econ., 1972). Xxxxx prosegue osservando che « l’imprenditore deve svolgere la sua funzione a un costo più basso di quello che nasce dal ricorso al mercato, perché qualora egli non possa ottenere i fattori di produzione a un prezzo minore rispetto alle transazioni di mercato, è sempre possibile tornare a farvi ricorso ». Sono queste le basi della teoria del nexus of contracts per la quale l’impresa (organizzata in forma societaria) sarebbe inquadrabile quale rete (nexus) di accordi tra privati (contracts); v. già ID., The nature of the firm, in Economica, 1937, 386 e nella dottrina italiana x. XXXXXXXXX, La “nexus of contract” theory. Teorie e visioni del diritto societario, Milano, 2000, 7 ss.
(285) Si osserva che « un fattore di produzione (o il suo proprietario) non deve concludere una serie di contratti con i fattori con cui egli sta cooperando all’interno dell’impresa, come invece sarebbe necessario, ovviamente se questa cooperazione fosse l’effetto diretto del funzionamento del meccanismo dei prezzi » così XXXXX, Impresa, mercato, cit., 79.
(286) Tra i costi di transazione che precedono la transazione-scambio, devono anzitutto essere considerati quelli legati alla ricerca della controparte contrattuale. Sicché il modello monopolistico porterebbe al risparmio di questi costi, posto che essendoci un solo soggetto legittimato a contrarre nessuna risorsa dovrebbe essere impiegata al fine di identificare la controparte contraente. Inoltre, un elevato numero di imprese nel mercato riduce i benefici generati dalle economie di scala.
DALLA GENESI DEL FENOMENO ALLA DIRETTIVA UE 2014/26
101
di gestione collettiva si configurasse quale monopolio naturale, allora, per definizione non potrebbe guadagnare efficienza una volta inserita in un contesto concorrenziale.
L’introduzione della facoltà accordata al titolare dall’art. 5.2 dir. di scegliere liberamente la collecting cui affidare la gestione dei propri diritti, per un verso, mette fuori gioco la possibilità per uno Stato membro di istituire un monopolio ex lege (287), ma, per converso, non implica pure che un assetto monopolistico non possa essere raggiunto spontaneamente dal mercato. Inoltre, qualora si dimostrasse che la gestione collettiva configura un’ipotesi di monopolio naturale, allora, non potrebbe escludersi che un modello di mercato monopolistico (a concorrenza diacronica) non si stagli all’orizzonte ideale (ricercato e presidiato) dalla dir. 2014/26. In quest’ipo- tesi, le regole di concorrenza acquisterebbero una funzione transitoria, di accompagnamento del mercato nella sua fase di accentramento, e presidie- rebbero poi l’interesse ad una contendibilità di quel mercato allo scopo di limitare il potere di monopolio, recuperando così (almeno in parte) una funzione efficientista declinata in termini allocativi. Resta quindi da chie- dersi se la dimensione monopolistica della gestione collettiva non trovi tutt’oggi una giustificazione in termini di efficienza economica.
Le società di gestione collettiva si sono storicamente affermate (anche) per porre rimedio al fallimento del mercato derivante dalle difficoltà che l’esercizio individuale dei diritti d’autore concretamente determina (288).
(287) Il punto non è pacifico in letteratura. Secondo un’opinione la dir. 2014/26 tollera un monopolio de iure. Precisamente « la direttiva sembra lasciare agli Stati membri ampi margini di discrezionalità nella disciplina di tale attività, al limite consentendo agli Stati membri di riservarla in esclusiva ad un organismo di gestione collettiva che sia in grado di effettuare un controllo capillare ed efficace del rispetto dei diritti d’autore nel relativo territorio, ciò che alla vigilia dell’emanazione della direttiva la Corte di giustizia con la sentenza del 27 febbraio 2014 nel caso OSA aveva ritenuto conforme al principio di libertà di prestazione dei servizi » x. XXXXXX, Diritto di autore, in Diritto industriale, a cura di Aa.Vv., 6a ed., Torino, 2020, 715. Di contrario avviso però l’AGCM che nel Parere del 1° giugno 2016, AS1281 secondo cui « alla luce dell’ampliamento delle modalità di sfruttamento dei diritti legato alle nuove tecnologie, risulta ormai inattuale la previsione di un regime di intermediazione esclusiva in capo a SIAE. Il superamento di tale regime risulta ancora più opportuno se si considerano le normative interne degli altri Stati europei, che non conoscono analoghi regimi di riserva » (e v. anche la decisione del 25 settembre 2018, n. 27359, A508
- Siae/servizi intermediazione, in Boll. n. 40/2018. In Italia il monopolio ex lege ha caratte- rizzato il mercato della gestione collettiva dei diritti connessi fino al 2012 (v. art. 39 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1 c.d. “decreto liberalizzazioni”, recante il titolo « disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività » e convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27); e quello dei diritti d’autore fino al 2018 (v. il d.lgs. 15 marzo 2017, n. 35 come modificato dal d.l. 16 ottobre 2017, n. 148).
(288) Sulle ragioni economiche che giustificano un modello di mercato monopolistico
v. ex multis XXXXXX e XXXXX, Economics of Copyright Collecting Societies, in IIC, 2007, 937 ss. E sul punto v. anche FICSOR, Collective Management of Copyright and Related Rights, Geneve, 2002, 96 ss. Sulle ragioni economiche del tradizionale assetto monopolistico della gestione collettiva europea v. l’analisi ricognitiva di BIXIO, Modelli di gestione collettiva, cit., 75 ss. Nella letteratura americana si è osservato che le collecting rappresenterebbero il caso più noto di un c.d. “benign cartel” atteso che produrrebbero l’effetto di « eliminate price
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LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
Dal che emergono i (già accennati) argomenti economici che depongono a favore dell’adozione di un asseto di mercato monopolistico: ossia quelli per cui un modello di gestione accentrato — realizza un sistema “one stop shop” e quindi — permette una forte riduzione dei costi di transazione legati all’amministrazione dei diritti d’autore e connessi; anche in ragione della presenza di economie di scala e di gamma, che caratterizzano il settore. E tali argomenti, secondo parte della letteratura, valgono a raffi- gurare la gestione collettiva quale ipotesi di monopolio naturale (289). Cosicché — per definizione — non potrebbe aggettivarsi efficiente un mercato a concorrenza sincronica che, al contrario, determina un innalza- mento dei costi di transazione e una riduzione delle rendite derivanti dalla scalabilità e dalle economie di scopo.
12.1. In particolare: l’argomento della riduzione dei costi transattivi.
La riduzione dei costi transattivi, che la gestione accentrata dei diritti comporta, riguarda sia le attività prodromiche, sia quelle successive, alla formazione degli accordi di licenza (290).
Nell’analisi che segue conviene riferirsi alla tripartizione proposta da Xxxxxxx (291). Essa consente infatti di scorgere il risparmio che un
competition among the members of each association but at the same time to eliminate the prohibitive costs to the performing entities of dealing separately with each composer » così XXXXXX, Antitrust Law, 2nd ed., Xxxxxxx, 0000, 30. Contra v. però XXXX, The Potential Demise of Another Natural Monopoly: Rethinking the Collective Administration of Performing Rights, in Jour. of Comp. Law and Econ., 2005 541 ss.; EAD., The Potential Demise of Another Natural Monopoly: New Technologies and the Administration of Performing Rights, ivi 2006, 245 ss.; e EAD., Commenatry: Is Collective Administration of Copyrights Justified by the Economic Literature?, in Intellectual Property and Competition Law, a cura di Xxxxx, Xxxxxxxxxx e Vaver, Toronto, 2009, 449 ss.; nonché di XXXXXX e XXXXXXX-BISCOFFSHAUSEN, op. cit., 467 ss. che mettono in evidenza come i sistemi di Digital Rights Management (DRM) possano determinare una riduzione dei costi transattivi; e quindi talvolta sostituirsi alla gestione collettiva dei diritti d’autore, talaltra rafforzarne il funzionamento.
(289) Si è evidenziato che « Gleichwohl scheint ihre natürliche Monopolstellung als ein
für Rechteinhaber und Nutzer hat sich der Weg über eine Verwertungsgesellschaft, die eine Monopolstellung besitzt, im Gegensatz zu mehreren konkurrierenden Verwertungsgesell- schaften, zumindest in Kontinentaleuropa, entwickelt und bewährt. Nicht ohne Grund ist die Monopolstellung einer Verwertungsgesellschaft in einigen Rechtsordnungen gesetzlich vor- geschrieben » così TRUMPKE, op. cit., 71. Nello stesso senso x. XXXXX, Das Recht der Xxxxxx- tungsgesellschaften, cit., 369 ss. e in particolare 376; XXXXX, op. cit., 513 ss.; XXXXXXXXX e GIANNACCARI, op. cit., 82; XXXXX, Collecting societies e potere monopolistico, cit., 27.
(290) Osserva Xxxxx che « al fine di concludere una transazione di mercato è necessario scoprire la persona con la quale si desidera trattare, informare la gente che si desidera trattare e su quali termini, intraprendere una negoziazione che conduca all’affare, scrivere il contratto, eseguire le ispezioni necessarie per essere sicuri che vengano osservati i termini del contratto e così via » così XXXXX, Impresa, mercato e diritto, Bologna, 2006, 46 s.; dove si ripete la definizione già elaborata nel saggio ID., The Problem of Social Cost, cit., 15.
(291) La definizione del concetto di “costo di transazione” è stata analiticamente circoscritta da XXXXXXX, The Problem of Externality, in Jour. of Law and Econ. 1979, 148, il
Termine estratto capitolo
„ökonomisch unausweichliches Übel“ jedenfalls dem Grunde nach akzeptiert zu sein. Denn
Sezione IV
IL “CAMPO DA GIOCO” EUROPEO DELLA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
15. Sulla categoria delle collecting societies soggette alla direttiva.
La dir. 2014/26 introduce una disciplina comune per le società di gestione collettiva realizzando una “parità delle armi” prodromica al di- spiego di una giusta dinamica competitiva (417). La direttiva mira ad uniformare le regole applicabili agli operatori della gestione collettiva in ambito europeo al fine di consentire una concorrenza priva di quelle distorsioni che una frammentazione delle “regole di gioco” su base nazio- nale inevitabilmente porterebbe.
La costruzione di un campo di gioco solleva però il problema di determinare l’esatto perimetro di operatività delle regole e, quindi, occorre chiedersi quali soggetti che aggregano diritti d’autore o connessi possono accedere al “campo di gioco” (cioè, a quali soggetti la disciplina della direttiva si applica, e a quali, invece, non si estende) (418).
Il perimetro operativo della dir. 2014/26 è definito attraverso un (primo) criterio oggettivo che si sostanzia nello svolgere un’attività di gestione dei diritti d’autore e connessi a vantaggio collettivo dei titolari dei diritti (419) circoscritto da un (secondo) criterio soggettivo rappresentato
(417) X. XXXXX, La categoria delle collecting, cit., 3 ss.; e XXXXXXXXXX e XXXXXX, Collecting societies, in 2005 EU Competition Law Policy Workshop/Proceedings, Europe University Institute, Xxxxxx Xxxxxxx Centre for Advanced Studies 2005, 1 ss. e v. anche AREZZO, Società di gestione, cit., 672 s. Secondo l’orientamento tradizionale, le società di gestione collettiva devono agire al di fuori della dinamica concorrenziale perché la gestione accentrata dei diritti è necessaria per abbattere i costi di transazione attraverso la realizza- zione di economie di scala tanto più efficienti quanto più è grande il repertorio da esse gestito.
V. però anche le considerazioni critiche di XXXXX, Concorrenza e level playing field, cit., 841 ss.
(418) Interrogativi già sollevati in dottrina da XXXXX, op. loc. ult. citt. a cui però forniremo qui risposte non sovrapponibili. Ciò dipende per larga parte da una diversa impostazione di partenza (o chiave di lettura) riguardo alla disciplina in campo. Questa autorevole opinione muove da un’impostazione differente che tende a valorizzare (diretta- mente) la funzione di remunerazione dei titolari dei diritti anche attraverso la marginalizza- zione della remunerazione di eventuali investimenti capitalistici nel settore della gestione collettiva.
(419) Cfr. art. 3 lett. a) e lett. b) dir. 2014/26 che nel definire le due tipologie di
collecting s prevede che queste assumano quale « finalità unica o principale » la gestione
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dalla limitazione per cui solo le collecting costituite secondo uno tra i due tipi dettati dalla direttiva degli “organismi di gestione collettiva” e delle “entità di gestione indipendente” possono svolgere tale attività (420). Si tratta di due tipi di collecting (gli OGC e le EGI) soggette ad una disciplina solo in parte coincidente. Ciò solleva un secondo xxxxxxx, che attiene alla ratio giustificatrice di un “campo da gioco” a cui partecipano due soggetti ai quali si applicano due diversi regimi normativi. Ci soffermeremo ora sul primo quesito relativo all’esatto ambito di operatività della direttiva, ricostruendo la categoria delle collecting assoggettate alla disciplina armo- nizzata, mentre si tornerà più avanti sulla seconda questione della ratio discretiva tra OGC e EGI (421).
Il complesso di regole europee sulla gestione collettiva dettate dalla direttiva non si spiega nella sola ricerca di un efficientamento dell’attività di gestione dei diritti da declinarsi in chiave allocativa e di riduzione dei
collettiva a vantaggio collettivo dei titolari dei diritti. Secondo la direttiva il titolare dei diritti è una « qualsiasi persona o entità che detiene diritti d’autore o diritti connessi ai diritti d’autore o a cui, in base a un accordo per lo sfruttamento dei diritti o alla legge spetta una parte dei proventi » cfr. art. 3 lett. c) dir. Diversamente da quanto prevedeva la Raccoman- dazione del 2005 vengono quindi ricompresi tutti i soggetti a cui spettano delle royalties a prescindere che questi siano effettivamente autori, artisti interpreti o esecutori, editori, produttori e così via. Osserva la letteratura che i « “Right holder” must be defined in broad enough terms so as to encompass all categories of members whose rights are managed by any type of CMO, including not only natural persons and legal entities holding a copyright or related right, but also publishers » così XXXXXXXX e XXX XXXXXX, op. cit., 144. L’ampiezza della definizione spazza via i dubbi emersi in passato in alcuni ordinamenti sulla opportunità di ricomprendere nel sistema di gestione collettiva anche gli editori (in particolare in Germania
x. XXXXXX, Umsetzung der EU-Richtlinie für Verwertungsgesellschaften in deutsches Recht - Umsetzungsbedarf aus der Sicht der VG Wort, in ZUM, 2014, 470 ss.). Così, ad es., all’inizio del secolo la giurisprudenza amministrativa tedesca negò ad un collettore di diritti la ZPÜ (su cui x. XXXXXX, Die Zusammenarbeit der Verwertungsgesellschaften unter der Aufschit des Deutschen Patent- und Mrkenamtes, in GRUR, 1999, 885 ss.) per la pubblicazione di rassegne stampa elettroniche a cui partecipavano solo editori di giornali (la Zentralstelle für private Überspielungsrechte (ZPÜ)) la natura di collecting (v. BayVGH, 13 August 2002, PMG, in ZUM, 2003, 78). Questa decisione seppur criticata dalla letteratura tedesca (x. XXXXXXXXXXX, Die verwertungsgesellschaft i. S.v.§ 1UrhWahrnG, in ZUM, 2008, 625 ss.; e per una panoramica delle controversie emerse in quell’ordinamento v. NÉRISSON, La gestion collective des droits des auteurs en France et en Allemagne: quelle légitimité?, Xxxxx, 0000, 50 ss.) mostra plasticamente quanto incerta risultasse sotto il profilo definitorio la natura (e l’attività) di una collecting. Precisamente il 20° considerando dopo aver evidenziato che « è opportuno che l’adesione agli organismi di gestione collettiva sia basata su criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori », soggiunge che « tali criteri si applicano anche agli editori, i quali in virtù di un accordo sullo sfruttamento dei diritti spetta una quota delle entrate gestite dagli organismi di gestione collettiva e che hanno diritto alla riscossione di tali entrate ». Questa disposizione riflette le prassi negoziali di settore che vede, per solito, autori e artisti interpreti o esecutori trasferire una quota dei loro diritti ad un editore affinché questi ne consenta lo sfruttamento mediante la realizzazione di prodotti culturali.
(420) Più di preciso la direttiva disciplina gli enti che gestiscono « i diritti d’autore o i diritti connessi ai diritti d’autore per conto di più di un titolare dei diritti, a vantaggio collettivo di tali titolari come finalità unica o principale » cfr. art. 3 dir. 2014/26. Questo è il dato comune alle definizioni dettate dal medesimo art. 3 lett. a) e b) per gli OGC e le EGI che sono i tipi di collecting disciplinate dalla direttiva.
(421) V. infra parr. 16 ss.
DALLA GENESI DEL FENOMENO ALLA DIRETTIVA UE 2014/26
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costi di transazione. Si pensi, ad esempio, alla circoscrizione del level playing field della gestione collettiva alle sole collecting rientranti nella definizione di cui all’art. 3; all’introduzione di una specifica disciplina applicabile solo a certi soggetti aggregatori di diritti d’autore e connessi e non ad altri; e alla limitazione di determinate attività di concessione delle licenze solo ad alcuni soggetti gestori (come previsto, ad es., dalla dir. 790/2019 agli artt. 8 e 12). Queste regole appaiono stravaganti rispetto ad un modello efficientista che affida alla dinamica competitiva il persegui- mento di un’efficienza allocativa dinamica, poiché risultano ancillari a funzioni diverse rispetto quelle perseguibili mediante il meccanismo dei prezzi. Ed è in queste finalità ulteriori che risiede la chiave di volta di un modello di mercato regolamentato della gestione collettiva, che vede nell’obbligo di perseguimento di un “vantaggio collettivo” il minimo co- mune denominatore dei soggetti che in quel mercato possono operare.
15.1. La concezione armonizzata di “attività di gestione collettiva” alla luce delle funzioni caratterizzanti le collecting societies.
Il primo criterio utile a delineare la categoria delle società di gestione collettiva soggette alla dir. 2014/26 si sostanzia in una metonimia (l’attività per definire la categoria) che costituisce il comune denominatore delle definizioni di OGC ed EGI. Così, ex art. 3.1. dir. entrambi i tipi di collecting sono definiti come soggetti che svolgono un’attività di gestione dei diritti d’autore o connessi « per conto di più di un titolare dei diritti, a vantaggio collettivo di tali titolari, come finalità unica o principale ». Se di primo acchito ciò può apparire tautologico, invero, definire l’ubi consistam del concetto di attività di gestione collettiva appare tutt’altro che scontato. Circoscrivere l’ambito dell’attività di gestione collettiva non è un’opera- zione neutrale rispetto a quella della selezione delle funzioni che una collecting è chiamata a realizzare.
In passato dottrina e giurisprudenza si sono interrogate circa l’effettiva estensione della nozione di collecting (in generale) e di attività di gestione collettiva (in particolare) (422). Pare utile riprendere succintamente i ter- mini del dibattito.
(422) Sin dai primi del ’900 dottrina e giurisprudenza si sono cimentate sulla questione della natura delle collecting (per una descrizione del dibattito x. XXXXXXXX, op. cit., 146 ss.; XXXXXX, op. cit., vol. II, Torino, 1917, 391 ss. In giurisprudenza x. Xxxx. Xxxxxxx, 00 febbraio 1910, in Il dir. comm., 1910, II, 146 ss.). La questione è stata nuovamente oggetto di riflessioni anche di recente quando vennero presentati da parte del legislatore europeo i primi progetti per l’adozione di una direttiva in materia di gestione collettiva (sul punto v. in particolare SARTI, La categoria delle collecting, cit., 3 ss.). In Germania (dopo la vicenda poc’anzi esaminata che coinvolse ZPÜ, su cui v. sopra la nota 419) la questione della definizione della natura delle collecting e così dell’attività da queste svolta è stata oggetto di un acceso dibattito quando si trattò di determinare se CELAS GmbH potesse (o meno)
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Prima del varo della dir. 2014/26 sono emerse due concezioni anta- goniste circa l’attività di gestione collettiva (423). La prima è fedele al modello “tradizionale” di gestione collettiva e cioè quello c.d. “universali- stico e solidaristico” (redistributivo) (424). Secondo questa impostazione l’attività di gestione collettiva si caratterizza non tanto e non solo per lo svolgimento dell’intermediazione dei diritti (posto che questa attività non presenterebbe profili differenziali rispetto a quella svolta da altri soggetti aggregatori di diritti quali sono, ad es., emittenti, editori e produttori), ma riposa nell’assolvimento di una funzione solidaristica; sicché l’attività di
classificarsi quale collecting (x. XXXXX, op. cit., 136 ss. e soprattutto 309 ss.). CELAS era una società di capitali tedesca che aggregava il repertorio della società di gestione collettiva GEMA con quello dell’inglese PRS, e amministrava i diritti di riproduzione meccanica sulle opere della major discografica EMI. CELAS è sorta per la gestione dei diritti di riproduzione meccanica allo scopo della messa a disposizione on-line delle opere musicali (x. XXXXXXXXX, op. cit., 771 e 780 s.). Il modello di gestione dei diritti di CELAS non appariva informato ad una dimensione solidaristica posto che non aggregava tutti i titolari (quantomeno di alcune categorie) dei diritti d’autore e connessi, bensì repertori specificamente individuati. Xxxxxx non sorprende che la qualificazione quale collecting di questa società è stata molto discussa in letteratura; e così coloro che ritenevano che l’attività di gestione collettiva, per potersi qualificare tale, dovesse assumere una curvatura solidaristica, preferirono negare la natura di collecting a CELAS (x. XXXXXX, Rechtewahrnehmung durch Verwertungsgesellschaften bei der Nutzung von Musikwerken in Internet, in ZUM, 2009, 121 ss.). E dello stesso avviso il Deutsches Patent-und Xxxxxxxxx (che il 7 febbraio del 2007 ha informato GEMA di non aver iscritto CELAS nel registro delle collecting non potendola considerare tale (x. XXXX e XXXXX, Recht und Praxis der Gema. Handbuch und Kommentar, a cura di Xxxxxx, Xxxxxx e Riesenhu- ber, Berlin, 2008, 814) avanzando alcune considerazioni riprese tempo dopo da una giuri- sprudenza in un obiter dictum (v. LG Xxxxxxx, 00 juni 2009, in NJOZ, 2009, 3193 s.). Diversamente coloro i quali prediligevano una concezione della gestione collettiva non strettamente piegata alla funzione solidaristica hanno ritenuto coerente riconoscere a CELAS la qualifica di collecting (x. XXXXX, Neue Entwicklungen auf dem Gebiet der Lizenzierung von Musikrechten durch Verwertungsgesellschaften in Europa, in GRUR Int., 2008, 996 ss. dove l’a. critica la decisione del DPMA di non iscrivere CELAS nel registro delle collecting; e nello stesso senso v. anche XXXXXX e ALTEMARK, Musikverwertungsgesellschaften und das Urheber- rechtswahrnemungsgesetz am Xxxxxxx xxx XXXXX, xx XXXX, 0000, 16 ss.).
(423) Per una descrizione di queste due concezioni circa l’attività di gestione collettiva
dei diritti d’autore e connessi x. XXXXXXXXXX, op. cit., 443 ss.
dell’ingegno in ragione dell’interesse comune a tutte le tipologie di titolari dei diritti (e cioè a prescindere dalla categoria e dalla dimensione economica dei loro diritti) ad incrementarne la circolazione; (ii) nell’assolvere compiti solidaristici (consistenti nel realizzare una coalizione tra i titolari dei diritti per conseguire vantaggi comuni, nel rafforzamento del loro potere negoziale nei confronti dell’impresa culturale e di altri utilizzatori, nell’impedire forme di concorrenza al ribasso tra i medesimi titolari, nell’attuare forme di sussidio delle economie individuali deboli anche a detrimento di quelle forti accettando pure il verificarsi di diseco- nomie di scala); (iii) nel conferimento — secondo un principio di parità di trattamento — dei vantaggi realizzati mediante lo svolgimento in comune dell’attività di gestione ai membri della collecting e ad eventuali terzi palesando la vocazione altruistica del modello in esame È stato osservato che « la parità di trattamento ha una curvatura egualitaria all’interno della categoria soggettiva di riferimento. Costa di più amministrare i diritti di minor valore economico che quelli di maggior valore; e l’inclusione dei primi nella gestione tende a creare diseconomie di scala, che pur favorendo i creatori deboli sacrificano quelli forti » così RICOLFI, Figure e tecniche, cit., 12.
Termine estratto capitolo
(424) Secondo la letteratura (per tutti x. XXXXX, Gestione collettiva e modelli, cit., 40) questo modello si spiega alla luce delle funzioni storiche che hanno caratterizzato l’origine stessa del fenomeno che possiamo riepilogare: (i) nell’agevolare la negoziazione delle opere
Capitolo II
LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE
E CONNESSI IN ITALIA
SOMMARIO: Sezione I. L’ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA UE 2014/26. — 1. Il d.lgs. n. 35 del 2017
di recepimento della direttiva UE 2014/26 e il mantenimento del monopolio SIAE. —
2. La teoria della compatibilità del monopolio legale con il diritto UE. Critica. — 3. Il revirement del legislatore italiano. Il d.l. 16 ottobre 2017 n. 148 di abrogazione del monopolio SIAE: sospetti di incompatibilità tra il “nuovo” art. 180 l.a. e i principi generali dell’ordinamento europeo e nazionale. — 4. L’art. 180 l.a. tra residui di esclusiva ed esclusione delle EGI. L’estensione della riserva all’attività di intermedia- zione in favore degli OGC. — 4.1. La tesi per cui l’art. 180 l.a. si applica solo ad opere di autori italiani (o domiciliati in Italia), e non a collecting societies straniere (seppur esercitanti diritti inerenti allo Schutzland italiano). Critica. — 4.2. La tesi per cui l’art. 180 l.a. si applica alle collecting societies che gestiscono diritti inerenti allo Schutzland italiano. Critica. — 4.3. La tesi per cui l’art. 180 l.a. si applica alle sole collecting societies (aventi sede o) stabilite nel territorio italiano. — 5. Le conformazioni del mercato interno della gestione collettiva. I limiti legali alla libertà di iniziativa economica e all’autonomia privata. Le condizioni generali di contratto e il “potere sostanzialmente normativo” delle collecting societies. — Sezione II. LE REGOLE GENERALI INERENTI AI RAPPORTI TRA I TITOLARI DEI DIRITTI E LE COLLECTING SOCIETIES. — 6. Il principio generale ordinante i rapporti “a monte” delle società di gestione collettiva: l’obbligo di agire nell’interesse (collettivo) dei titolari dei diritti. — 7. La libertà di scelta del titolare dei diritti (e le problematiche che questa solleva). — 7.1. Il problema della sovrapposizione dei repertori (o della legittimità delle clausole di esclusiva). — 7.2. Il problema dei diritti ancillari a quelli oggetto del mandato in relazione ad una forma di utilizzazione. — 8. L’obbligo di assunzione dell’incarico di gestione dei diritti per le società di gestione collettiva ex art. 4 co. 3 l.g.c. (o sulle “ragioni oggettivamente giustificate” quale esimente all’obbligo di gestione). — Sezione III. LE REGOLE GENERALI INFORMANTI I RAPPORTI TRA COLLECTING SOCIETIES E UTILIZZATORI. — 9. Profili regolatori dei rapporti tra società di gestione collettiva e utilizzatori: il ruolo della clausola generale di buona fede. — 9.1 La buona fede in sede di negoziazione delle licenze tra collecting societies e utilizzatori: obblighi di protezione e di cooperazione (tra “Market-rational” e “Market-rectyfing” Regulation). — 9.2. L’obbligo di scambiarsi “tutte le informazioni necessarie” alla stipula della licenza. — 10. Il dovere di informazione ex art. 23 l.g.c. quale strumento di “Market-rational Regulation”.
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LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
Sezione I
L’ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA UE 2014/26
1. Il d.lgs. n. 35 del 2017 di recepimento della direttiva UE 2014/26 e il mantenimento del monopolio SIAE.
L’attuazione della direttiva 2014/26 in Italia è stata alquanto compli- cata, anche in ragione delle divergenti opinioni circa l’opportunità di mantenere la riserva ex art. 180 l.a. in favore della SIAE (1).
Il dibattito che ha preceduto il recepimento della direttiva si è incen- trato, anzitutto, sull’art. 5.2 che consente ai titolari di affidare la gestione dei propri diritti ad un organismo di gestione collettiva di loro scelta operante in un qualsiasi Stato membro. Il dato testuale non fornisce, però, indicazioni univoche circa il destino dei monopoli nazionali (2). E in letteratura sono venuti a delinearsi tre indirizzi (3).
Un primo indirizzo si è espresso in modo apertamente favorevole alla liberalizzazione del settore. Secondo questa linea, la dir. 2014/26 intende realizzare un’opera di “market building”, con l’obiettivo di favorire la formazione spontanea di una pluralità di collecting libere di adottare qualsiasi modello organizzativo e di conformare la propria offerta di servizi nel mercato.
L’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato si è espressa a
(1) In ragione di tali difficoltà il Parlamento ha inserito la delega al Governo per l’attuazione della direttiva solo con la l. n. 170/2016, quindi con discreto ritardo, dato che il recepimento avrebbe dovuto aver luogo entro il 10 aprile 2016 (ex art. 43 par. 1, dir.). Il recepimento è così avvenuto solo il 15 marzo 2017, con il D.lgs. n. 35. Peraltro, l’implemen- tazione della direttiva è avvenuta con ritardo anche in Francia (con l’Ordonnance n. 2016-1823 del 22 décembre 2016) e in Germania (con il Gesetz über die Wahrnehmung von Urheberrechten und verwandten Schutzrechten durch Verwertungsgesellschaften del 24 maggio 2016 (d’ora in poi VGG).
(2) In Italia, il problema del monopolio ha riguardato solo alcuni diritti d’autore (« dei diritti di rappresentazione, di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica » cfr. art. 180 co. 1 l.a.). Non ha riguardato invece i diritti connessi al diritto d’autore già oggetto di liberalizzazione ex art. 39 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con Legge 24 marzo 2012, n. 27, dove è previsto che « al fine di favorire la creazione di nuove imprese nel settore della tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori, mediante lo sviluppo del pluralismo competitivo e consentendo maggiori economicità di gestione nonché l’effettiva partecipazione e controllo da parte dei titolari dei diritti, l’attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore di cui alla legge 22 aprile 1941, n. 633, in qualunque forma attuata, è libera ». La norma « liberalizza espressamente l’attività di intermediazione dei diritti connessi ex lege auctore. Il modello di funzionamento di queste società di gestione collettiva è quindi avvicinato a quelle di diritto comune disciplinate dal libro V del c.c., in base al modello fatto proprio anche nella direttiva 2014/26/UE » così ROVATI, op. cit., 10.
(3) Per una disamina delle posizioni emerse attorno al recepimento della direttiva 0000/00 x. XXXXXX, op. cit., 9.
LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI IN ITALIA 183
sostegno di questa linea. Nelle more del recepimento nell’esercizio dei propri poteri di advocacy, l’AGCM ha formulato due distinti pareri inerenti al disegno di legge di attuazione della dir. 2014/26 che manteneva a favore di SIAE il monopolio ex art. 180 l.a. (4). Secondo l’Autorità l’effettivo esercizio della libertà di scelta prevista dall’art. 5.2 dir. sarebbe stato ostacolato all’interno dell’ordinamento italiano dalla presenza della riserva esclusiva della gestione di alcuni diritti d’autore (5). In un contesto già caratterizzato da profondi cambiamenti tecnologici, osserva l’AGCM,
l’eventuale mancata apertura del mercato nazionale della gestione dei diritti d’autore comporterebbe una limitazione alla libertà d’iniziativa economica degli operatori e di scelta degli utilizzatori provocando « un grave danno all’efficienza economica del settore » (6). Secondo l’Autorità
« la costruzione di un mercato unico della gestione collettiva dei diritti su opere musicali (non solamente online) non [può] essere raggiunto senza un adeguato livellamento del playing field, che riguardi il complesso degli operatori comunitari senza tenere conto dei confini nazionali » (7). Il mantenimento del monopolio ex lege avrebbe cioè provocato un danno all’efficienza del sistema ponendosi in contrasto con l’obiettivo, stabilito dall’art. 5.2 dir., di garantire la libertà dei titolari di scegliere « tra una pluralità di operatori in grado di competere con l’incumbent senza discri- minazioni » (8). Con queste argomentazioni l’AGCM ha ravvisato nel disegno di legge recante la delega al Governo per l’attuazione della dir. 2014/26 l’occasione per abrogare il monopolio SIAE (9).
(4) Precisamente con un primo parere L’AGCM segnalava la carenza di poteri delegati al Governo e suggeriva una modifica legislativa diretta ad aprire il mercato nazionale dei diritti d’autore e perciò ad eliminare il monopolio attribuito alla SIAE ex art. 180 l.a. (v. AGCM, 1° giugno 2016, n. AS1281, sulla Gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e concessione di licenze multi-territoriali per i diritti su opere musicali per l’uso on line nel mercato interno, in Boll. AGCM n. 3/2013, 33 ss. Con un secondo parere l’AGCM criticava lo schema di decreto legislativo di attuazione in allora in discussione X. XXXX, 00 ottobre 2016, n. AS1303, sullo Schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2014/ 26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d’autore, in Boll. AGCM n. 37/2016, 31 ss. In argomento v. MUSCOLO, La prospettiva pro-concorrenziale ed il sistema della gestione collet- tiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi in Italia alla luce della Direttiva 2014/26/UE, in Tavoli dell’Intergruppo Innovazione per il Mercato Unico Digitale, in Law and Media Working Papers, n. 9/2017, 21 s.
(5) Monopolio che ricorda l’AGCM rappresenta oltretutto una singolarità nel pano- rama legislativo europeo Cfr. AGCM, 1° giugno 2016, n. AS1281, in Boll. AGCM n. 3/2013, 33 ss.
(6) Ibidem.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) A favore di questo indirizzo x. XXXXXX, Copyright collecting societies e regole di concorrenza. Un’indagine comparatistica, Torino, 2012, 214 ss. e in particolare 218. Qualche tempo prima l’orientamento favorevole alla liberalizzazione di questa attività era stato già posto alla base di due decisioni del Tribunale di Milano (in sede cautelare e poi di reclamo) ove si caldeggiava una prospettiva liberalizzatrice consentendo a una collecting society straniera di operare nel mercato della gestione collettiva italiano, v. Trib. Milano, ord. 15 luglio 2014, in AIDA, 2015, 1688; e Trib. Milano, ord. 6 ottobre 2014, ivi, 1696. Per una
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Una seconda linea di pensiero, del pari, si è espressa a favore dell’even- tuale abrogazione della riserva ex art. 180 l.a., ma in termini più cauti. Attraverso un’interpretazione letterale dell’art. 5.2 dir. 2014/26 l’opinione in parola ha considerato legittimo restringere l’ambito di operatività della disposizione alle sole collecting costituite in forma di OGC (e non anche alle EGI) (10). Pertanto, la riserva ex art. 180 l.a. sarebbe risultata incom- patibile con l’atto di armonizzazione solo nella misura in cui avesse precluso anche ad altri OGC di operare nel mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore (11).
Una terza opinione, al contrario, ha reputato legittimo l’eventuale mantenimento del monopolio SIAE. Muovendo da una lettura restrittiva della dir. 2014/26, tale voce ha sostenuto che la libertà di scelta ex art. 5.2 dir. sia da riferirsi esclusivamente alla negoziazione transfrontaliera dei diversi repertori. Secondo la tesi occorre cioè distinguere la libertà (affer- mata all’art. 5.2 dir.) di scelta dei titolari circa l’OGC a cui affidare la gestione dei propri diritti, da quella (ricavata per via interpretativa) per
l’OGC di operare direttamente nei territori di tutti gli Stati membri
dell’UE (12).
Il legislatore ha inizialmente accolto quest’ultima tesi. Il d.lgs. 35/ 2017 (nel recepire la dir. 2014/26) all’art. 4 co. 2 stabilisce che « i titolari dei diritti possono affidare ad un organismo di gestione collettiva o ad un’entità di gestione indipendente di loro scelta la gestione dei loro diritti », soggiungendo però « fatto salvo quanto disposto dall’art. 180, della legge 22 aprile 1941, n. 633, in riferimento all’attività di intermediazione dei
Libertini, vol. II, Milano, 2015, 1141; e XXXXXXXXX, La direttiva Xxxxxxx, cit., 28 ss.).
(10) In effetti l’art. 5.2 si riferisce espressamente solo agli OGC e la disposizione in parola neppure risulta richiamata dall’art. 2.4 dir. 2014/26 là dove indica le norme estensibili (anche) alle EGI. Sulla disciplina uniforme alle EGI e agli OGC v. sopra Cap. I, par. 16 e ss.
(11) Come si vedrà tra breve (v. infra par. 3) in Italia a seguito della modifica al d.lgs. 35/2017 (ex art. 19 del d.l. 148/2017) finirà per prevalere questa opzione ermeneutica.
(12) X. XXXXXX, op. cit., 719. E sul punto x. XXXXX, Appunti, cit., 902 ss.; ID., L’abroga- zione del monopolio SIAE (art. 180 l.a.) nel contesto dell’attuazione della direttiva collecting, in NLCC, 2018, 1057 s. xxx osserva che « in questo contesto l’art. 180 non poteva estendere il monopolio SIAE alla prestazione transfrontaliera di servizi da parte di collecting estere. Così interpretata, la disciplina italiana poteva essere ragionevolmente considerata compatibile con la direttiva: che se da un lato all’art. 5 impone di liberalizzare la prestazione transfrontaliera di servizi di collecting; dall’altro non esclude esplicitamente la possibilità per gli Stati membri di mantenere in regime di monopolio la gestione delle attività da parte di soggetti stabiliti all’interno del territorio nazionale ».
Termine estratto capitolo
critica v. REMOTTI, Diffusione di brani musicali da parte di un intermediario straniero, concorrenza sleale e riserva SIAE, in IDI, 2015, 335 ss. (sulla considerazione per cui il provvedimento risultava anteriore alla scadenza del termine per il recepimento e inerente ad un’attività di gestione avvenuta prima dell’emanazione della direttiva stessa). Altre critiche all’iniziale mantenimento della riserva sono state mosse da XXXXXXXXX, Il monopolio SIAE e la direttiva Xxxxxxx: come stanno davvero le cose?, in IDI, 2017, 78 ss.; XXXXXXXX, Sullo statuto concorrenziale delle collecting societies, in Impresa e mercato. Studi dedicati a Xxxxx
Sezione II
LE REGOLE GENERALI INERENTI AI RAPPORTI TRA I TITOLARI DEI DIRITTI E LE COLLECTING SOCIETIES
6. Il principio generale ordinante i rapporti “a monte” delle so- cietà di gestione collettiva: l’obbligo di agire nell’interesse (col- lettivo) dei titolari dei diritti.
L’art. 4 l.g.c. rubricato “principi generali e diritti dei titolari dei diritti” al co. 1 prevede che « gli organismi di gestione collettiva agiscono nell’in- teresse dei titolari dei diritti da essi rappresentati, senza imporre loro alcun obbligo che non sia oggettivamente necessario alla protezione dei loro diritti e interessi o alla gestione efficace di questi ultimi ». Nella direttiva la disposizione era rivolta ai soli OGC (173). Diversamente in sede di attua- zione l’art. 4 co. 8 l.g.c. estende il principio anche alle EGI (174).
Alla norma in parola viene attribuito un ruolo ordinante l’analisi della disciplina relativa alla configurazione dei rapporti tra titolari dei diritti e collecting (175). Xxxxxxx tuttavia chiedersi quale sia il significato del principio in esame.
(173) L’art. 4 dir. 2014/26 menziona esclusivamente gli OGC e questa norma non risulta richiamata dall’art. 2.4 dir. che elenca le regole estensibili alle EGI.
(174) Ancora una volta si presenta un problema di coordinamento con il diritto internazionale privato. Per le ragioni già esposte (al par. 4.3) pare preferibile ritenere che questa disposizione possa trovare applicazione solo nei confronti delle EGI stabilite in Italia. La difformità regolatoria che si innesca tra i diversi Stati membri può certamente allentare il processo di integrazione dei mercati nazionali della gestione collettiva nel mercato interno e prestare il fianco a fenomeni di concorrenza regolatoria. Tuttavia, la scelta di adottare una direttiva in luogo di un regolamento è parsa una scelta obbligata, una volta constatata la presenza di discipline domestiche molto difformi che richiedono un processo di armonizza- zione che per contraltare accetta un certo margine di discrezionalità in sede di attuazione (in argomento v. anche XXXXXXXXX, Il monopolio, cit., 78 ss.)
(175) Lo si evince dalla stessa rubrica che qualifica espressamente la norma quale “principio generale”. La qualificazione non appare perspicua. L’identificazione del concetto di “principio generale” e la conseguente tassonomia dei principi impegna la dottrina da molto tempo. Ad es. all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, oltre all’artificiosa distinzione tra “norme prescrittive” e “programmatiche”, si è negato che i principi potessero propriamente qualificarsi quali norme « nel malcelato scopo di circoscri- vere l’efficacia giuridica della nuova Costituzione » così GUASTINI, Teoria e dogmatica, cit., 273; e AZZARITI, Problemi attuali di diritto costituzionale, Milano, 1951, 97 ss. Altri autori hanno tentato il distinguo tra “regole” e “principi” per spiegare che la giurisprudenza quando
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LA GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D’AUTORE E CONNESSI
Nella ricerca del suo significato letterale (176) può osservarsi che la disposizione si compone di due periodi: un primo enunciato, avente un contenuto positivo, che obbliga la collecting a informare la propria attività al perseguimento dell’interesse dei titolari dei diritti; un secondo enunciato, di contenuto negativo, consistente nel divieto di imporre ai medesimi titolari obblighi oggettivamente non giustificati in vista della tutela dei loro interessi. Data la vaghezza semantica del primo enunciato, si potrebbe cedere alla tentazione di ritenere che la disposizione non contenga invero due norme deontiche distinte (l’una, a contenuto positivo, l’altra, nega- tivo), bensì una sola. Dal che il primo periodo esprimerebbe il principio generale che informa l’azione della società di gestione come precisato dal secondo periodo. Ne risulta che per perseguire l’interesse generale dei titolari dei diritti rappresentati dalla collecting, a quest’ultima è vietato imporre qualsiasi obbligo che non si giustifichi obiettivamente in vista della tutela di quegli stessi interessi. Questa interpretazione consente di superare la vaghezza del primo enunciato appiattendolo sul secondo.
L’esito ermeneutico guadagnato non pare però convincente. Per con- ferire un significato autonomo al principio espresso dall’art. 4 co. 1 l.g.c., pare opportuno: in primo luogo, tentare un raccordo con le funzioni sottese all’impianto regolatorio in cui la norma in parola è collocata (alla luce del contesto); e in secondo luogo, verificare se i risultati interpretativi così raggiunti trovino conforto nelle disposizioni particolari che regolano spe- cifici profili di condotta dell’OGC.
Cominciamo col tentare un raccordo con le funzioni sottese alla disciplina della gestione collettiva. La concorrenza promossa dalla dir. 2014/26 è anche diretta ad attivare un meccanismo di benchmarking sull’offerta (non solo sul piano del prezzo, ma pure inerente alle condizioni di contratto) tra le diverse collecting concorrenti, e cioè una dinamica capace di elevare la circolazione delle opere dell’ingegno, ovverosia di incrementare l’intensità catallàttica e quindi lo sfruttamento dei diritti. Da questa visuale, l’art. 4 co. 1 l.g.c. riflette sul piano della disciplina dei rapporti tra titolare dei diritti e OGC il medesimo obiettivo di perseguire l’efficienza allocativa retrostante alle regole deputate a governare il mer- cato della gestione collettiva. Nell’incentrare l’interpretazione della norma
si trova a decidere casi di particolare complessità (c.d. “hard cases”) deve applicare principi etici e politici che rappresentano standards non direttamente espressi dalla legge, x. XXXXXXX, I diritti presi sul serio, Bologna, 1982, 90 ss. Non è questa la sede per prender partito ex professo su di un tema tanto complesso. Ai fini che qui interessano basti evidenziare che l’art. 4 co. 1 l.g.c. è una “norma di principio” nel duplice senso che essa informa i rapporti tra i titolari dei diritti e le collecting (sebbene quale principio non determini precisamente le condizioni che ne rendono necessaria la sua applicazione), e che essa fissa uno standard di condotta che per essere riempito di significato deve essere integrato per via interpretativa.
(176) Su questo tipo di argomentazione in particolare x. XXXXXXXXX, Interpretazione letterale: giuristi e linguisti a confronto, in Significato letterale e interpretazione del diritto, a cura di Xxxxxxxx, Torino, 2000, 95 ss.
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sul secondo enunciato (di contenuto negativo), allora, questa finirebbe per assumere quale funzione esclusiva quella di vietare alla società di gestione collettiva di imporre ai titolari dei diritti obblighi che possano alterare la rappresentazione dell’ottimo allocativo (177).
A ben guardare questa interpretazione fotografa però solo in parte la ratio dell’art. 4 co. 1 l.g.c. Xxxxxxx, se la norma rappresentasse la stretta traduzione dell’obiettivo di ricerca dell’efficienza allocativa nella lingua dei rapporti intercorrenti tra titolari dei diritti e collecting, non sarebbe impe- dito a quest’ultima di adottare un modello di gestione collettiva dedicato, cioè una gestione su base individuale di molteplici diritti. Questo tipo di gestione non è tuttavia compatibile con i requisiti della fattispecie armo- nizzata di società di gestione collettiva (178).
Per conseguenza, il principio generale stabilito all’art. 4 co. 1 l.g.c.
deve essere letto non solo alla luce del primo obiettivo ordinante la disciplina della gestione collettiva (di ricerca dell’ottimo allocativo), ma pure tenendo conto dei profili regolatori che caratterizzano l’intervento legislativo.
Tra questi profili si riscontra, anzitutto, il vincolo teleologico stabilito all’art. 2 co. 1 l.g.c. per cui una collecting deve agire “per conto di più di un titolare dei diritti” e a loro “vantaggio collettivo”. La norma esprime un principio generale che xxxxxxxxx sul piano disciplinare quanto imposto tra
(177) Si potrebbe eccepire che l’art. 4 co. 1 l.g.c. afferisca profili (non allocativi, ma) redistributivi. Ciò perché, in chiave strettamente allocativa, l’efficienza può ritenersi guada- gnata quando si attesti il raggiungimento di una massimizzazione del benessere complessivo, essendo indifferente che il beneficio sia allocato in favore dei titolari dei diritti, degli utilizzatori, piuttosto che dei soggetti detentori la collecting. Più sopra (v. Cap. I, par. 11.1), si è visto che il concetto di efficienza a cui occorre fare riferimento è quello elaborato dagli economisti Xxxxxx e Xxxxx, a mente del quale affinché un modello possa predicarsi efficiente non deve essere possibile determinare un incremento complessivo delle utilità della collettività quand’anche questa determini il detrimento di qualche economia individuale purché com- pensata dal miglioramento di qualche altra economia individuale (seppur in concreto tale compensazione non avvenga). Diversamente la norma in parola pone al centro l’interesse dei titolari dei diritti di modo che sia impedito alla collecting di imporre obblighi non oggettiva- mente necessari ad una efficiente protezione dei loro diritti e interessi. Privilegiare una specifica classe di soggetti in luogo di un’altra significa interferire sulla redistribuzione delle risorse più che sulla loro allocazione ottimale. Neppure questo argomento soddisfa appieno. Definire efficiente un modello di mercato sotto il profilo allocativo richiede di considerare anche l’efficienza guadagnata dalla destinazione delle risorse. Detto altrimenti, può ritenersi che un modello di mercato realizzi l’ottimo allocativo quando determini una assegnazione delle risorse verso coloro che possono assicurarne un utilizzo più efficiente di modo che il benessere collettivo ne risulti accresciuto (x. XXXXXXX, Norme efficienti, cit., 9). Così nel campo della gestione collettiva privilegiare la categoria dei titolari (siano essi autori, editori, artisti, o imprese culturali) implica tendenzialmente incentivare il fronte della produzione creativa, quindi la realizzazione di nuove opere dell’ingegno e dunque aumentare la dimen- sione del mercato e per conseguenza l’intensità catallàttica e così la soddisfazione comples- siva.
(178) Su questo punto v. sopra Cap. I, par. 15.1; e sulla distinzione tra l’attività di gestione collettiva e l’attività di intermediazione prestata su base individuale v. sopra Cap. I, par. 15.3.
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i profili strutturali di cui alla nozione armonizzata di collecting (179). Da questa considerazione emerge che “l’interesse dei titolari dei diritti” non deve essere inteso nel senso di un vantaggio individuale (del singolo titolare dei diritti), bensì di un “vantaggio collettivo”.
Si potrebbe addurre in contrario, che la diposizione dettata all’art. 4 co. 1 l.g.c. sia ridondante, ripetendo quanto già disposto dall’art. 3 co. 1
l.g.c. Non è così. L’art. 3 co. 1 è una disposizione relativa alla fattispecie costitutiva (adeontica), diversamente l’art. 4 co. 1 l.g.c. è una norma di
condotta (deontica). Tale diversità di natura si riflette sul piano degli effetti: non integrare l’art. 3 co. 1 l.g.c. implica l’uscita del soggetto dal regime disciplinare dettato dal d.lgs. 35/2017; diversamente, violare l’art. 4 co. 1 l.g.c. significa (secondo quanto previsto dall’art. 40 l.g.c.) esporsi alla possibile comminatoria da parte di AGCOM della sanzione ex art. 41 co. 2 l.g.c. (180).
Queste riflessioni consentono ora di affermare che, nel ricostruire il significato più autentico della regola di condotta prevista all’art. 4 co. 1 l.g.c., bisogna tenere a mente la natura bifronte che caratterizza l’inter- vento di armonizzazione alla base della legge di attuazione in esame, e quindi considerare sia la funzione efficientista sottesa al processo di liberalizzazione, sia quella cooperativa sottesa ai profili di regolazione. Il principio generale volto a disciplinare la condotta degli OGC deve cioè compendiare al suo interno sia la funzione di ricerca dell’efficienza alloca- tiva, sia quella redistributiva (seppur sempre entro i limiti di una mutualità cooperativa non strettamente solidaristica). Così, mentre il secondo enun- ciato dell’art. 4 co. 1 l.g.c., nel vietare all’OGC di imporre ai titolari dei diritti qualsiasi obbligo eccedente quelli necessari a garantire un presidio effettivo dei loro interessi, riflette l’obiettivo di ricerca dell’efficienza allocativa, il primo enunciato, nell’imporre all’OGC di perseguire un interesse (non individuale, ma) collettivo, riverbera la mutualità coopera- tiva che (ancora) caratterizza l’attività di gestione collettiva.
una gestione efficiente dei diritti e quindi fatto divieto di imporre al titolare dei diritti obblighi o condizioni che non trovano giustificazione in chiave efficientista-allocativa; d’altro canto, è pure imposto all’OGC di perseguire un interesse collettivo, e quindi fatto divieto di praticare arbitrariamente
(179) Precisamente l’art. 2 co. 1 l.g.c. (che riprende le definizioni dettate all’art. 3 dir. 2014/26) prevede che un OGC gestisce i diritti d’autore o connessi « per conto di più di un titolare, a vantaggio collettivo di tali titolari come finalità unica o principale ».
(180) Precisamente all’art. 41 co. 2 l.g.c. si prevede espressamente che qualora la collecting violi l’art. 4 co. 1 l.g.c. « salvo che il fatto non costituisca reato, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni applica le sanzioni amministrative pecuniarie da 20.000 euro a
100.000 euro ».
Termine estratto capitolo
Non solo. I due enunciati dell’art. 4 co. 1 l.g.c. operano sinergica- mente. Ne deriva che, se da un canto, è fatto obbligo all’OGC di assicurare
Sezione III
LE REGOLE GENERALI INFORMANTI I RAPPORTI TRA COLLECTING SOCIETIES E UTILIZZATORI
9. Profili regolatori dei rapporti tra società di gestione collettiva e utilizzatori: il ruolo della clausola generale di buona fede.
Sin qui l’esame delle disposizioni che informano i rapporti a monte della gestione collettiva. Procediamo ora con l’esame delle regole generali che ordinano le relazioni negoziali a valle tra collecting e utilizzatori.
Nel disciplinare questo versante del mercato il legislatore europeo ha scelto di non ricorrere alla tecnica della fattispecie attorno a cui ricostruire il relativo regime disciplinare (263), ma preferito identificare l’operazione economica e riconnettere a quest’ultima taluni profili cogenti di regola- zione facendo ricorso a clausole generali. Il legislatore ha stabilito cioè una serie di regole ordinanti l’attività di licensing che non si innestano su un determinato tipo contrattuale, ma insistono su un determinato “momento storico” (la fase delle trattative), o su di un determinato risultato pratico dell’operazione negoziale considerata (la commisurazione delle royalties). La scelta è stata mantenuta in sede di recepimento. Il d.lgs. 35/2017 non riconduce l’operazione economica di affidamento gestorio ad un determinato tipo di contratto. Il legislatore interno ha preferito fare ricorso ad una serie di clausole elastiche che fungono da parametri utili a regolare l’attività di licensing collettivo, a prescindere dalla qualificazione giuridica che tale operazione economica assume in concreto (264). Se dalla specola
(263) Su questo profilo e più in generale sulle caratteristiche del diritto contrattuale europeo v. ALPA, Il contratto in generale, vol. I, Xxxxx, teorie e metodi, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx, Messineo, e Xxxxxxx, continuato da Xxxxxxxxxxx, Milano, 2014, 755 ss.; e MAZZAMUTO, Il contratto di diritto europeo, 2a ed., Torino, 2015, 143 ss.
(264) Si conferma così la tendenza del legislatore moderno alla “perdita e alla crisi della fattispecie”. Precisamente si assiste: da un lato all’intensificarsi di regole di controllo e di tutela del contratto per lo più cogenti e caratterizzate da una voluta indeterminatezza quanto all’ambito di applicazione (“perdita della fattispecie”); e dall’altro lato all’arretramento della tecnica legislativa di disciplinare il contratto alla luce del tipo prediligendo una regolazione (anche più stringente) della “operazione economica” (“crisi della fattispecie”). Non bisogna però confondere il fenomeno etichettato da DE NOVA, I singoli contratti: dal titolo terzo del libro quarto del codice civile alla disciplina attuale, in I cinquant’anni del codice civile, vol.
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europea l’adozione di questa tecnica trova una (prima) spiegazione in ragione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità che guidano il sistema delle competenze UE (265), dal punto di vista del legislatore italiano la giustificazione pare riposare su profili funzionali. Segnatamente, nel rego- lare questo versante del mercato il legislatore ha preferito non costringere all’interno di una fattispecie predeterminata l’operazione economica, la- sciando al mercato la spontanea ricerca degli strumenti adeguati a favorire la circolazione delle opere e richiamando però una serie di principi, clausole generali e concetti elastici (buona fede, equità, ragionevolezza,
proporzionalità e così via) capaci di conferire al negozio una precisa dimensione valoriale.
Passando all’esame delle norme che regolano il versante a valle del mercato, vi è anzitutto da segnalare che la disciplina si incentra sulla
I., Milano, 236 s. quale “perdita della fattispecie”, con quello indagato da IRTI, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016, 19 ss. e 107 ss. nominato “crisi della fattispecie”. Sebbene si tratta di due fenomeni incidenti sulla tecnica legislativa e quindi sui profili disciplinari dei contratti, essi differiscono però per il fatto che: mentre con il primo (la perdita della fattispecie) si intende la progressiva erosione dell’autonomia delle parti sempre più soffocata da una serie di norme cogenti incidenti sul contenuto; con il secondo (la crisi della fattispecie) si intende l’arretramento del giudizio sussuntivo e quindi l’irruzione dei valori trainati da un sempre più pervasivo e intenso ricorso alle clausole generali nel campo dei contratti.
(265) V. IRTI, Un diritto incalcolabile, cit., 112. V. anche XXXXXXXXXX, Causa e giustizia contrattuale a confronto: prospettive di riforma, in Riv. dir. civ., 2006, 411 ss.; EAD., Le ragioni della causa e il problema dei rimedi. L’evoluzione storica e le prospettive nel diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. comm., 2003, 979 ss., e in particolare 992 ss. Il processo di armonizzazione europea tra i differenti ordinamenti domestici dei singoli Stati membri favorisce l’impiego di regole maggiormente flessibili, atteso che « il bisogno di assecondare l’apparente ossimoro di un’uniformità rispettosa delle specificità locali rinviene nella flessi- bilità delle clausole generali e degli standard la possibilità di utilizzare un criterio aggregante capace di riflettere le peculiarità nazionali » così NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, in Eur. dir. priv., 2012, 955; e v. anche STORME, Good Faith and The Contents of Contract in European Private law, in Eur. Priv. Law, 2003, 13. Il crescente impiego della clausola generale di buona fede trova testimonianza ad es.: (i) in diversi testi delle direttive europee (solo per fare alcuni esempi oltre alla direttiva 2014/26 in esame v. la dir. CEE 1986/653 relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti; la dir. CE 1993/13 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori; la dir. CE 2005/29 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno), e per uno sguardo sull’origine e sulla evoluzione nel diritto europeo della clausola di buona fede x. XXXXXXX, Il principio generale di buona fede, in Manuale di diritto privato europeo, vol. II, Proprietà obbligazioni contratti, a cura di Castronovo e Mazzamuto, Milano, 2007, 495 ss.; (ii) nei progetti di armonizzazione (si pensi ai Principles of European contract Law (PECL), su cui x. XXXXXXXXXX, Good Faith and the Principles of European Contract Law, in Eur. dir. priv., 2005, 589 s.; oppure ai Principi Unidroit (e in particolare all’art. 1.7), su cui v. DI MAJO, I “Principles” dei contratti commerciali internazionali tra Civil Law e Common Law, in Riv. dir. civ., 1995, I, 609 ss.; BONELL, Un “Codice” Internazionale del Diritto dei Contratti, 2a ed., Milano, 2004, 134 ss.; oppure ancora all’acquis communautaire, su cui x. XXXXXXX, Clausole generali e nozioni giuridiche indeterminate nei Principi Acquis del diritto comunitario dei contratti, in I
« princìpi » del diritto comunitario dei contratti, a cura di De Cristofaro, Torino, 2009, 189
s.); (iii) nel Draft Common Frame of Reference (DCFR), su cui x. XXXXX e XXXXXXXX-PELÈSE,
Good Faith and Fair Dealing in The DCFR, in ERCL, 2008, 338 s.
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clausola generale di buona fede (richiamata dall’art. 16.1 dir. 2014/26, e quindi dall’art. 22 co. 1 e menzionata dal successivo art. 23 l.g.c.).
La propensione mostrata dal legislatore europeo all’adozione della clausola di buona fede si spiega alla luce dei profili evolutivi dell’assetto economico e giuridico europeo. Precisamente, a partire dal finire dello scorso millennio si è assistito al progressivo abbandono dell’idea qui dit contractuel dit juste (266), secondo cui il contratto (quando non sussistano situazioni anomale) rappresenterebbe un meccanismo naturalmente ido- neo ad assicurare una composizione equilibrata degli interessi dei con- traenti. Per conseguenza, si è assistito pure ad un cambio di approccio regolatorio testimoniato dal passaggio da un tradizionale assetto legislativo informato ad una rigorosa separazione tra il potere d’intervento dello Stato nell’economia (accettato solo in ragione del perseguimento di interessi collettivi riconducibili alla c.d. “giustizia sociale”), e il governo della sfera privata lasciato al contratto (quale strumento di autonoma regolazione degli interessi individuali) ad una politica UE che affida al mercato il perseguimento di determinati interessi (sia individuali sia collettivi) la cui regolazione viene realizzata (anche) intervenendo sulla disciplina dei con- tratti che quel mercato compongono.
A conferma, si è osservato che, mentre in un primo momento, la buona fede ha giocato un ruolo marginale nella regolazione delle dinamiche di mercato (267), in un secondo momento tale canone ha visto espandere le funzioni affidategli, sicché « dominante è stata la tendenza ad attribuire [ad
(266) Celebre passo comunemente attribuito a XXXXXXXX, La science sociale contempo- raine, Parigi, 1880, 410. In argomento v. X’XXXXX, Giustizia contrattuale e contratti asim- metrici, in La funzione delle norme generali sui contratti e sugli atti di autonomia privata, a cura di Navarretta, Torino, 2021, 251 ss. e in particolare 264 s.). In argomento v. anche FERRO XXXXX, Prime riflessioni in tema di incompatibilità strutturale tra mercato concorrenziale e diritto del contraente finale a condizioni eque, in Concorrenza e mercato. Le tutele civili delle imprese e dei consumatori, a cura di Xxxxxxx, Padova, 2005, 554, dove (nel solco delle tesi di Xxxxx) si sottolinea come nella concezione del codice civile del ’42 tutte le « condizioni contrattuali sono considerate dall’ordinamento “giuste” in quanto e per il solo fatto di essere state liberamente individuate dai contraenti, indipendentemente dalla circostanza che siano o meno “eque” (ovviamente nel senso di “proporzionate alle esigenze”) ». Così la dottrina ha osservato che « l’ottimismo ispirato dalla visione liberista è stato duramente contestato. Il contratto viene concluso in un quadro economico dominato da cento strettoie [...] la volontà di produttori monopolisti o oligopolisti, i cartelli, le pratiche restrittive falsano il mercato. Il produttore trova comodo limitare l’afflusso di beni sul mercato per mantenere alta la domanda e scarsa l’offerta e produrre lievitazioni artificiose dei prezzi. Il contraente profes- sionale dispone dei mezzi occorrenti per abusare del consumatore non professionale. Alla luce di questi rilievi, l’equazione che fa coincidere autonomia contrattuale e giustizia cessa di essere un postulato », così SACCO, Contratto, Autonomia, Mercato, in Id. e De Nova, Il contratto, cit., 23.
(267) In questa prima fase alla buona fede si affidava un compito circoscritto a correggere eventuali distorsioni nell’allocazione degli interessi divisati dalle parti mediante il contratto assicurando un giusto procedimento di formazione della volontà negoziale, specie elevando gli oneri informativi gravanti sulle parti contraenti. Sul punto v. IRTI, L’ordine giuridico, cit., 111 ss.
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esso] il ruolo di incarnare il passaggio da una visione puramente egoista e individualista del contratto ad una concezione che, più che definirsi in senso stretto altruista, può qualificarsi cooperativa » (268). Constatata tale rinnovata funzione della clausola di buona fede, resta ora da chiedersi come questa si concretizzi nei rapporti in esame (269).
Nel d.lgs. 35/2017 sono due le norme valevoli sia per gli OGC che per le EGI inerenti all’attività di licensing nel mercato a valle.
La prima disposizione è quella dettata all’art. 22 co. 1 (di attuazione dell’art. 16 par. 1 dir. 2014/26) secondo cui « gli organismi di gestione collettiva, da un lato, e gli utilizzatori, dall’altro, conducono in buona fede le negoziazioni per la concessione di licenze sui diritti, scambiandosi a tal fine tutte le informazioni necessarie » (270). Guardando alla dir. 2014/26, la dottrina ha osservato che la norma (l’art. 16.1 dir.) deve essere letta in chiave sistematica con l’art. 36 dir. che impegna gli Stati membri ad istituire appositi meccanismi di public enforcement volti ad assicurare il rispetto delle diposizioni di cui al Titolo II dir. e quindi anche dell’art.
16.1 (271). Il guadagno che discende dalla lettura proposta è chiaro: per il suo tramite si verrebbe ad istituire un controllo pubblicistico sull’attività di concessione delle licenze. Un controllo finalizzato a vigilare sulla politica di concessione delle licenze affinché le collecting rispettino il canone di buona fede, che a sua volta rifletterebbe l’interesse a che le licenze vengano concesse per un giusto prezzo, non già da intendersi quale “giusto prezzo concorrenziale” (o prezzo di mercato), bensì quale giusto compenso per i titolari dei diritti (272). Da questa prospettiva il dovere di condotta secondo buona fede esorbiterebbe la sfera soggettiva delle parti giuridicamente
(268) Così XXXXXXXXXX, Buona fede e ragionevolezza, cit., 956 s. La concezione a cui Xxxxxxxxxx si riferisce trova un riscontro nella definizione di buona fede che si rinviene sia all’art. I.1:103, co.1 del DCFR, sia all’art. 2 lett. b) nella proposta originaria (con l’emenda- mento n. 28 è stata eliminata la definizione) di Regolamento sulla vendita del 2013 (COM(2011)0635 - C7-0329/2011 - 2011/0284(COD) secondo cui questa rappresenta uno
« standard di condotta caratterizzato da onestà, lealtà e considerazione degli interessi dell’al- tra parte della transazione o del rapporto in questione ».
terminologica. Per “concretizzazione” di una clausola generale si intende per solito la sua concreta applicazione. Sul metodo attraverso cui la clausola generale può essere concretizzata
x. xxxxx xxx. 0, x per ulteriori riferimenti x. xxxxx xx xxxx 000. Diversamente però si intende qui contestualizzare la clausola generale all’ambito dei rapporti a cui si riferisce l’art. 22 l.g.c. e quindi indagare il metodo generale di applicazione e non dunque come essa concretamente operi in relazione ad uno specifico caso concreto.
(270) L’ambito di operatività della disposizione de qua è esteso anche alle EGI dall’art. 3 co. 2 l.g.c. Il rinvio è espressamente riferito solo al primo comma dell’art. 22 l.g.c. e non anche alle altre disposizioni contenute nel medesimo articolo. Questa regola ha osservato la dottrina rappresenta l’autentico playing field della gestione collettiva (quantomeno per il mercato a valle). Sul punto x. XXXXX, Concorrenza e level playing field, cit., 856 s.
(271) Ibidem.
(272) X. XXXXX, Campi di gioco e vasi di Pandora, cit., 535 ss. e in particolare 563 s., e 566 s. Dove l’a. avverte poi che « se così fosse, l’interprete dovrebbe poi ulteriormente chiedersi se e in che misura i valori sottostanti a questo meccanismo siano antitetici agli
Termine estratto capitolo
(269) Il punto verrà affrontato infra al par. 8.2. Appare però doverosa una precisazione