Università degli Studi di Catania
Università degli Studi di Catania
Facoltà di Giurisprudenza
Corso di Dottorato in Diritto del Lavoro Europeo XXIV ciclo
DOTT.SSA PAOLA ALOI
IL CONTRATTO A TERMINE TRA ORDINAMENTO NAZIONALE E ORDINAMENTO COMUNITARIO
TESI DI DOTTORATO
Coordinatore Tutor
Ch.mo Prof. Bruno Caruso Ch.mo Prof. Antonio Viscomi
INDICE INTRODUZIONE
CAPITOLO I
LA DIRETTIVA 1999/70/CE SUL LAVORO A TEMPO DETERMINATO.
1- La politica sociale nell’ordinamento comunitario
2. La strategia europea per l'occupazione (SEO)
3 L’accordo quadro del 18 marzo 1999 concluso da CES, UNICE e CEEP i contenuti dell’accordo: analisi delle clausole
3.1 Il principio di non discriminazione (clausola 4).
3.2 La prevenzione degli abusi nella normativa comunitaria.
3.3 La clausola di non regresso (clausola 8).
CAPITOLO II
EVOLUZIONE NORMATIVA
2.1 La disciplina del contratto a termine dal codice civile del 1865 alla riforma della l.230/1962
2.2 La riforma radicale introdotta dal d.lgs.368 /01
2.3. Le modifiche introdotte dalla l.247/2007
2.4 le novità introdotte dalla l. n.133/2008
2.5 Il collegato al lavoro e le novità sul contratto a tempo determinato.
2.6 La riforma Fornero sul contratto a tempo determinato
CAPITOLO III
L'APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA COMUNITARIA IN ITALIA
3.1 La successione dei contratti a termine nella giurisprudenza comunitaria e nazionale.
3.1.1 Il caso “Poste”
3.2 Il lavoro a termine nel pubblico impiego
3.2.1 Il personale della scuola
CONCLUSIONE BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
Il contratto di lavoro a tempo determinato è stato oggetto di intervento legislativo da parte dell’Unione Europea e la normativa nazionale deve necessariamente essere analizzata ed interpretata alla luce della disciplina comunitaria.
Nel corso degli anni l'evoluzione del mercato del lavoro, dovuta anche alle sempre più diversificate esigenze sia dei datori di lavoro che degli stessi lavoratori, e la volontà da parte degli Stati europei di formare una normativa giuslavoristica sempre più omogenea, ha portato all'introduzione, nell'ordinamento giuridico italiano, di nuove tipologie contrattuali di lavoro spesso foriere di problemi attuativi ed interpretativi.
Certo, includere il contratto di lavoro a termine tra i “nuovi contratti” non è corretto data la sua presenza nel nostro ordinamento già nel Codice Civile del 1942, anche se al tempo presentava caratteristiche molto differenti da quelle attuali.
Del resto è anche vero che il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, recependo la Direttiva comunitaria 1999/70/CE, non solo ha abrogato la previgente normativa in materia di contratto di lavoro a termine, ma ha introdotto nel nostro ordinamento una disciplina del tutto innovativa, imponendo così agli interpreti una nuova linea di pensiero rispetto a tale istituto. L’analisi giuridica ha due ampi profili d’indagine, il primo relativo all’interpretazione del d.lgs. n. 368/2001 con riguardo alla divergenza e
convergenza tra il vecchio e il nuovo sistema normativo al fine di valutare se il
d.lgs. n. 368/2001 abbia rispettato o meno il divieto di “reformatio in peius” contenuto nella Direttiva 1999/70/CE.
Il secondo profilo relativo ai rapporti tra il d.lgs. n. 368/2001 e la direttiva comunitaria di cui il decreto costituisce l’atto traspositivo nel diritto interno. Il principio della prevalenza della norma comunitaria su quella nazionale impone non solo di dare attuazione adeguata alle direttive comunitarie, ma anche di interpretare le norme nazionali alla luce della lettera e dello scopo della direttiva. In presenza, dunque, di più interpretazioni possibili del d.lgs. 368/2001, deve privilegiarsi il significato del testo normativo nazionale conforme alla direttiva comunitaria, in caso contrario si potrebbe giungere all'eventuale incostituzionalità del disposto normativo per eccesso di delega e quindi per violazione dell’art. 76 Cost. in quanto il legislatore delegato non avrebbe rispettato i principi che sorreggono la delega di potere legislativo.
Obiettivo della tesi analizzare la Direttiva 1999/70/CE, anche alla luce delle recenti pronunce della Corte di Giustizia europea, e delle vicende che hanno portato alla sua recezione nel nostro ordinamento, attuata con il decreto legislativo n. 368 del 2001; ripercorrere le tappe più significative che hanno condotto all’attuale disciplina; infine, presentare gli aspetti principali della nuova normativa, con particolare riferimento alle questioni che l’interpretazione dottrinaria e l’applicazione giurisprudenziale di questi anni hanno evidenziato.
CAPITOLO I
LA DIRETTIVA 1999/70/CE SUL LAVORO A TEMPO DETERMINATO.
1- La politica sociale nell’ordinamento comunitario
L’evoluzione dell’ordinamento comunitario, nonostante la ricca normativa OIL in materia di lavoro e nonostante le più recenti acquisizioni del Trattato di Maastricht, ha puntato sull'aspetto mercantilistico del mercato interno1 piuttosto che sulla componente sociale.
L’obiettivo primario è stato la creazione di un mercato europeo fondato sulla concorrenza. Si è puntato alla liberalizzazione degli scambi e all’istituzione di una tariffa doganale comune verso il resto del mondo, mentre i diritti sociali e del lavoro hanno avuto rilievo in funzione della loro incidenza sul raggiungimento dell’obiettivo.
In quest’ottica le varie disposizioni del Trattato di Roma (1957) che attengono direttamente o indirettamente gli aspetti sociali, si basano sulla fiducia nelle capacità spontanee del mercato di promuovere anche il miglioramento e l’armonizzazione dei sistemi sociali.
La dimensione sociale viene in rilievo alla fine degli anni 60' . In particolare nel 1974 il Consiglio approva il primo Programma d’azione in materia sociale in cui non solo si enfatizza l’interdipendenza tra azione economica e azione sociale comune, ma, soprattutto si giunge ad affermare che l’espansione economica non
1R. FOGLIA, Il Lavoro, estratto da Il diritto privato dell’unione europea, volume XXVI, Tomo II, G. Giappichelli Editore, Torino, 1999, pag. 1.
è un fine in sé ma deve tradursi in un miglioramento della qualità e del livello di vita2.
Nel corso degli anni ’80 i problemi economici conducono, tuttavia, ad una nuova impasse della politica sociale comunitaria a cui si tenta di sopperire sia con lo stanziamento di fondi volti ad incoraggiare una serie di iniziative sul piano occupazionale e sociale, sia con la redazione nel 1986 dell’Atto Unico Europeo3. . Quest'ultimo, nel porre l’obiettivo dell’unità economica e monetaria e pur avendo un centro di interesse ancora economico, introduce il nuovo concetto della coesione economica e sociale tra Stati membri che le autorità comunitarie devono promuovere, impegnandosi a <<ridurre il divario fra le diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite>> (art. 130). L’ Atto Unico segna un progresso anche nella direzione del miglioramento dell’ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori, che diventava obiettivo primario della Comunità (art. 118 A), per cui alla regola dell’unanimità, ribadita per le direttive <<relative ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti>> (art. 100 A) si sostituisce, nella sola materia dell’ambiente di lavoro, quella della maggioranza qualificata.
Nonostante la Carta europea dei diritti sociali fondamentali del 1989, avesse inizialmente affermato che dovesse essere dato eguale rilievo agli aspetti sociali e agli aspetti economici, la Comunità non riuscì a raggiungere l'obiettivo laddove
2 V. M. ROCCELLA – T. TREU, Diritto del lavoro della Comunità Europea, Cedam, Padova, 2002, p.
3M. COLUCCI, Alla ricerca di una strategia europea per l’occupazione, in Dir. lav., 1999, p. 240.
sui temi di fondo della politica sociale emerse un netto squilibrio in favore della politica economica individuando la possibilità dell’armonizzazione dei sistemi sociali solo come conseguenza del funzionamento del mercato comune.
Le difficoltà del processo di integrazione sociale si manifestarono con
evidenza in occasione del vertice di Maastricht (dicembre 1991) poiché riguardo agli aspetti sociali a seguito dell’opposizione della Gran Bretagna si dovette adottare un Protocollo separato, vincolante soltanto per gli altri 11 Stati membri. Ebbene, l’Accordo allegato al Protocollo (APS: Accordo sulla politica sociale) ha ampliato, innanzitutto, i compiti comunitari nella sfera sociale, assegnando congiuntamente alla Comunità e agli Stati membri gli obiettivi della promozione dell’occupazione, del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, di una protezione sociale adeguata, del dialogo sociale, dello sviluppo delle risorse umane al fine di consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e di combattere le esclusioni. Obiettivi da realizzare, tuttavia, tenendo conto delle diversità delle pratiche nazionali e della necessità di mantenere la competitività dell’economia comunitaria (art.1).
4GUARRIELLO, Il ruolo delle parti sociali nella produzione e nella attuazione del diritto comunitario, in“Europa e diritto privato”, 1999, pp. 223 ss., dà conto delle interessanti questioni sorte a riguardo, sia in merito alla natura dell’atto di trasposizione (che ha preso fino ad ora la forma della direttiva), sia circa la effettiva rappresentatività dei sindacati stipulanti (riconosciuta con la sentenza 17.6.1998 del Tribunale di primo grado, nella misura in cui i firmatari avessero rappresentatività cumulativa sufficiente: a riguardo
ottenere la convergenza in materia di lavoro in occasione : sia della recezione delle direttive comunitarie in materia sociale sia dell’iniziativa legislativa della Commissione.
I problemi strutturali e le difficoltà macroeconomiche degli anni '90 hanno portato a focalizzare l’attenzione della politica comunitaria sul problema dell’occupazione fissando quale obiettivo per il 2010 quello di <<diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale>> .
Quali le azioni della Comunità e degli Stati membri al fine di raggiungere l'obiettivo programmato? Fondamentalmente tre:
1. Il passaggio ad un’economia e una società basate sulla conoscenza, ciò attraverso lo sviluppo di politiche in materia di società dell’informazione, la competitività e l’innovazione;
2. La valorizzazione delle persone e combattere l’esclusione sociale;
3. Un'attività di sostegno del contesto economico e la determinazione delle prospettive di crescita.
I Consigli Europei successivi a quello “fondativo” di Lisbona hanno sviluppato e arricchito l’approccio integrato alle questioni economiche, occupazionali.
2. La strategia europea per l'occupazione (SEO)
M. BIAGI, Il ruolo delle parti sociali in Europa: dal dialogo a partnership, Dir. rel. ind., 1999, n. 1, p. 28) sia circa la sussistenza di un potere di adattamento riservato alle istituzioni comunitarie.
Il 20 e 21 Novembre 1997 si è tenuto il vertice straordinario di Lussemburgo il quale è stato incentrato sul tema dell'occupazione, ed è stato dato avvio alla c.d. strategia europea per l’occupazione (SEO). Con la SEO sono state adottate le prime linee guida per il 1998 e si è introdotto un nuovo metodo di lavoro, "il metodo aperto di coordinamento” (MAC).
Quali le finalità di questo metodo?
Sicuramente la creazione di un equilibrio fra la responsabilità della comunità e quella degli Stati membri (il principio di "sussidiarietà"); la definizione degli obiettivi comuni quantificati da perseguire a livello comunitario; la previsione di una forma di sorveglianza a livello europeo sostenuta dallo scambio di esperienze.
Il MAC facilita il dibattito politico a vari livelli e segue un approccio integrato: le iniziative intraprese nel settore dell'occupazione devono essere coerenti con i settori afferenti a quelli dell'occupazione quali le politiche sociali, l'istruzione, il regime fiscale, la politica delle imprese e lo sviluppo regionale.
Le linee di azione che gli Stati devono mettere in atto sono : l'occupabilità, l' imprenditorialità, l'adattabilità e la pari opportunità articolati a loro volta in una serie di linee-guida.
Per raggiungere la piena occupazione ed <<offrire a ogni giovane, prima che siano trascorsi sei mesi di disoccupazione, la possibilità di ricominciare con un’attività di formazione o di riqualificazione professionale, con la pratica
lavorativa, con un lavoro o altra misura che ne favorisca l’inserimento
professionale>> gli Stati devono puntare sulla formazione ed adoperarsi per aumentare il numero delle persone che beneficiano di misure attive atte a facilitare l’inserimento professionale (attività di formazione o provvedimenti analoghi), in modo da raggiungere almeno il 20% dei disoccupati.
L’imprenditorialità deve essere portata a sviluppare il proprio potenziale poiché solo in tal modo è in grado di contribuire all'incremento dell'occupazione . Si evidenziava come uno sviluppo del lavoro autonomo può portare alla crescita di opportunità occupazionali e, dunque, debbano essere elaborate e applicate regole chiare, stabili e affidabili volte alla creazione e alla gestione di imprese e la semplificazione degli obblighi amministrativi per le piccole e medie imprese (PMI);
Nell'ambito delle pari opportunità l'obiettivo è quello di rafforzare le politiche contro le discriminazioni perpetrate a danno delle donne.
L'orientamento riguardante l'adattabilità, punta sulla modernizzazione dell'organizzazione, la flessibilità del lavoro, la predisposizione di contratti adattabili ai diversi tipi di lavoro, il sostegno alla formazione in seno alle imprese eliminando ostacoli fiscali e mobilitando aiuti statali per migliorare le competenze della popolazione attiva, la creazione di posti di lavoro duraturi e il funzionamento efficiente del mercato del lavoro.
Lo stesso da una parte valorizza l’esigenza di <<rendere produttive e competitive le imprese>>,dall'altro sottolinea l’obiettivo di <<raggiungere l’equilibrio necessario tra flessibilità e sicurezza e di migliorare la qualità del lavoro>>.
L'adattabilità deve riguardare sia le imprese che i lavoratori e deve puntare al raggiungimento dell'equilibrio fra la flessibilità e la sicurezza sul lavoro.
Naturalmente l'adattabilità deve confrontarsi con il principio di sussidiarietà e l’autonomia decisionale dei singoli Stati membri poiché la diversità delle tematiche proposte fa riflettere sull’esigenza di tener conto della diversità di approccio al problema “adattabilità” riscontrabile nei singoli Stati membri.
Non ci si può esimere dall'evidenziare come l’adattabilità, ha uno spazio ridotto se confrontato con lo spazio dedicato alle altre linee guida e ciò è incomprensibile laddove gli eventi economico-sociali sottesi a questo orientamento sono fenomeni di primaria importanza per lo sviluppo politiche del lavoro.
Tre linee-guida in cui si articola l'adattabilità.
La prima invita le parti sociali a negoziare ai livelli tradizionali ma soprattutto ai livelli di settore e di impresa, accordi volti a modernizzare l’organizzazione del lavoro, al fine di rendere più produttive e competitive le imprese.
L'obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso la formazione e la riconversione, l’introduzione di nuove tecnologie, le nuove forme di lavoro e le questioni collegate all’orario di lavoro .
5 P. REBOANI, Il terzo pilastro: l’adattabilità, in Dir. rel. ind., 2000, n. 2, p. 153.
Alla base di tutto deve esserci un contemperamento della maggiore flessibilità con adeguati livelli di sicurezza dei lavoratori.
La seconda linea- guida sottolinea agli Stati membri l’opportunità di introdurre nel proprio ordinamento legislativo tipologie contrattuali più flessibili e adattabili alle nuove forme di lavoro.
La terza, infine, è rivolta alla formazione in azienda e invita gli Stati membri ad esaminare gli ostacoli, soprattutto fiscali, che possono impedire l’investimento in capitale umano, rivedendo, se del caso, la normativa esistente per introdurre incentivi, fiscali o di altro tipo, atti a promuovere la formazione nell’impresa.
L'adattabilità , in sostanza, è quella che legittima il ricorso a forme di lavoro flessibile, che favorisce rapporti di lavoro “non standard” (quelli che in Italia vengono definiti lavori atipici) ; che agisce sulla mobilizzazione dell’offerta di lavoro consentendo il raggiungimento di più alti tassi di occupazione.
Se l'Unione Europea si è indirizzata, dunque, verso una flessibilità regolata: il concetto di adattabilità e la diffusione di tipologie contrattuali innovative e “non standard” non devono indurre a ritenere che l’obiettivo sia quello di originare una sfrenata liberalizzazione del mercato6 oppure di limitare l’esercizio dell’azione sindacale; piuttosto, l’adattabilità deve stimolare la costruzione di istituti normativi o contrattuali che consentano lo sviluppo dell’occupazione in una realtà economica e sociale in mutamento continuo e sottoposta ad una crescente accelerazione dei processi.
6 CARUSO B., Alla ricerca della “flessibilità mite”: il terzo pilastro delle politiche del lavoro comunitarie, in Dix rel. ind., 2000, n. 2, p. 41 SS.;
In tale approccio trova ragionevole collocazione la direttiva sul contratto a termine emanata in seguito all’accordo raggiunto dalle parti sociali, la terza dopo quella sui congedi parentali e sul part-time, sulla base dell’attuale art. 138 del Trattato. In questo caso la Commissione ha svolto un ruolo maieutico rispetto all’accordo, lasciando ampio spazio alle parti sociali e mantenendosi in una posizione molto defilata.
Il giudizio sul risultato finale del negoziato (l’accordo sul contratto a temine) può ritenersi positivo, laddove si tratta della direttiva, probabilmente, più importante sui lavori atipici sinora emanata, in cui il tentativo di mediare l’esigenza di flessibilità per le imprese e una maggiore sicurezza per i lavoratori è condotto al livello più avanzato concesso dagli attuali equilibri politico/sindacali, sia in ambito nazionale, che nelle sedi comunitarie.
Nella direttiva sul contratto a termine, e nella mediazione raggiunta dalle parti sociali, si è affermata la consapevolezza che il contratto a temine, nella sua dimensione di strumento di politica attiva del lavoro, è sicuramente un utile incentivo alla flessibilità in entrata ed, in quanto tale, non va eccessivamente soffocato da rigidità burocratiche ed ingiustificate restrizioni.
Ma, allo stesso tempo, nell’accordo è presente la consapevolezza che non si tratta di una tipologia di rapporto di lavoro atipico sul quale scommettere per il futuro perché non genera sicurezza e finisce per ostacolare, per esempio, gli investimenti formativi di lunga durata sulla risorsa lavoro.
3 L’ACCORDO QUADRO DEL 18 MARZO 1999 CONCLUSO DA CES, UNICE E CEEP I CONTENUTI DELL’ACCORDO: ANALISI DELLE CLAUSOLE
Dopo tanti insuccessi e vent’anni di tentativi , il 18 marzo 1999 si è giunti all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato approvato da UNICE ( Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità Europea) , CEEP (Centro Europeo dell'impresa a partecipazione pubblica) e CES ( Confederazione Europea dei sindacati) ; accordo pedissequamente recepito nella Direttiva 1999/70/CE.
Nello stesso si sono elaborati i “principi generali ed i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato”, al fine di garantire la parità di trattamento dei lavoratori e di prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di successivi contratti di lavoro o da rapporti di questo tipo.
Gli obiettivi dell'accordo possono individuarsi nell'applicazione e nel rispetto del principio di non discriminazione e nel creare un quadro normativo atto a prevenire abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o di
7Manuela Rinaldi, Il contratto a tempo determinato in Riv. Officina del Diritto, Giuffrè 2011
rapporti a tempo determinato8. Viene lasciata ai singoli Stati la definizione e applicazione dettagliata della normativa .
L'accordo consta di tre parti:
Preambolo;
dodici considerazioni generali;
otto clausole che costituiscono la componente precettiva.
In dottrina è stato già rilevato come la direttiva 99/70/CE sia figlia della nuova fase del diritto sociale comunitario dopo Amsterdam9 in cui si è espressa l’idea di una convergenza tra politiche sociali e domanda di flessibilità. È da evidenziare come nel diritto comunitario venga ribadita la natura eccezionale del ricorso al contratto a tempo determinato laddove si afferma che “i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra datori e lavoratori”. Quest'ultimo continua a rappresentare la figura contrattuale più idonea a mantenere ad un livello adeguato la qualità della vita e le performance dei prestatori.
Naturalmente, considerando che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro che a quelle dei lavoratori, si è giunti a concludere che l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro è consentita ma unicamente in quanto contemperata da un regime di
8M.R. Gheido, Alfredo Casotti, Codice delle Direttive , Commentato, II ed. 2010, Ipsoa p.493
9BARBERA M., Dopo Amsterdam. 1 nuovi confini del diritto sociale comunitario, Promodis Italia, 2000, p. 113
sicurezza per i lavoratori, che sia basato su “ragioni oggettive” -che giustificano la deroga alla regola del lavoro stabile.
La genericità della formula è in qualche modo compensata dalla “clausola di non regresso” in base alla quale l’applicazione dell’accordo da parte dei paesi membri non può costituire “un valido motivo per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso”.
Tale impostazione è stata apprezzata in molti Paesi come per es. il Regno Unito che prontamente si è attivato per dare attuazione ai principi da questa dettati in materia di : parità di trattamento, diritti di informazione, licenziamento
ingiustificato...... L'Italia, la Francia, la Spagna11 e la Grecia hanno attuato
10Loredana Zappalà, La riforma del contratto a termine obblighi comunitari: come si attua una direttiva travisandola, in Il Diritto del mercato del lavoro, Saggi 3\1, 637
11 Sull’evoluzione del lavoro a termine in Spagna dopo la riforma del 1997 v. Escu-DERO RODRIGUEZ R., Contratos formativos y contratos temporales: el intendo de recuperation de la causalidad, in Las reformas kzborales de 1997, Aranzadi, 1998, p. 85 SS.;
SANTE V., Stabilità del rapporto di lavoro a termine in Spagna: una riflessione comparata alla luce della direttiva europea, in Quad. dix hv. rel. ind., 2000, n. 23, p. 233 SS., che sottolinea come la vicenda spagnola insegni chiaramente che la mancanza di stabilità
restrittivamente la direttiva con fissazione di limiti alla durata massima del contratto (Francia, Germania e per talune ipotesi anche Spagna e Portogallo), o alla sua prorogabilità (una sola volta in Italia, due volte in Francia, Portogallo e Grecia, senza limitazioni in Spagna e Germania), con obbligo della forma scritta, etc. . La Spagna che, già dal 1997, aveva liberalizzato il lavoro a termine, ha proceduto ad una riforma dello strumento contrattuale rendendone più rigorosa la disciplina riportando in auge la centralità al lavoro stabile.
Gli obiettivi perseguiti dall'accordo quadro sono indicati dalla clausola 1 nel: a) il migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il principio di no discriminazione; b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
Quanto al primo degli scopi, esso è ripreso dalla clausola 4 della direttiva comunitaria rubricata, appunto, “principio di non discriminazione”. La norma, espressione della filosofia dell’accordo, è diretta ad evitare che la risposta alle esigenze di flessibilizzazione provenienti dai mutamenti congiunturali della domanda e dell’offerta di lavoro e dalla necessità di accrescere le possibilità occupazionali, si traduca nell’esclusione di alcune fasce più deboli di lavoratori
non serve alla crescita economica del paese, tanto più ove l’economia si fondi su lavorazioni che richiedono un forte coinvolgimento dei lavoratori nei processi produttivi.
La riduzione del tasso di disoccupazione registratasi in Spagna in conseguenza della riforma del 1997 sembra - secondo l’autore - dare certezza empirica a questa osservazione, proponendo un modello di flessibilità controllata per via collettiva ed una graduale stabilizzazione dei lavoratori precari.
da una serie di tutele e benefici normalmente accordati ai dipendenti con un impiego stabile e a tempo pieno.
Quanto al secondo degli scopi perseguiti dall’accordo, indicato nella clausola 5, “misure di prevenzione degli abusi”, delinea il quadro normativo preannunciato dalla clausola 1 al fine di assicurare un utilizzo non fraudolento dell’istituto del rinnovo dei contratti a tempo determinato. La norma impone agli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o alle parti sociali stesse, di introdurre, in assenza di norme equivalenti, “una o più misure relative a”: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
La clausola 212 stabilisce il campo d'applicazione dell'accordo, affermando che esso <<si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro>>.
Gli stati membri, secondo quanto disposto dal 2° comma della clausola hanno la possibilità di escludere, previa consultazione delle parti sociali, l’applicabilità dell'accordo a particolari tipologie contrattuali. Ecco, che vengono richiamati i
12 1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di
assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai:
a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato;
b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici.
rapporti di formazione professionale, i rapporti di apprendistato e comunque quei rapporti di lavoro che facciano riferimento ad uno specifico programma di formazione, inserimento o riqualificazione professionale o un programma che usufruisca di contributi pubblici. Direttamente escluse sono invece le fattispecie cosiddette di lavoro senza contratto (clausola 2.1) e, come risulta dal preambolo, i contratti di lavoro interinale, <<data la specificità del lavoro temporaneo rispetto a quello genericamente a termine>>. La clausola 313 dell'accordo fornisce una definizione dei termini utilizzati nella normativa. Per lavoratore a tempo determinato si intende una <<persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro ed il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una determinata data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico>>.
Per lavoratore a tempo indeterminato comparabile, si intende un <<lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata. Sul principio di non discriminazione e sulla prevenzione degli abusi, che costituiscono il fulcro della normativa comunitaria sul contratto a termine. appartenente allo stesso
131. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o 120 un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
2. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrà fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di quest’ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali.
stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze>>.
Chiarito il significato attribuibile alle qualificazioni è possibile nella pratica effettuare un confronto tra lavoratore a termine e lavoratore a tempo indeterminato, utile in sede di accertamento di comportamenti discriminanti .
Sono previste, poi, alcune tutele “minori” sul piano individuale e collettivo (clausole 6 e 7), tutte in vario modo esplicazione del principio di non discriminazione.
Si prevede un diritto14 di precedenza, per cui i <<posti vacanti che si rendano disponibili all'interno della stessa impresa o stabilimento, in modo da garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri lavoratori>>. Ciò al fine di evitare che i posti che si rendano vacanti o comunque le opportunità di lavoro stabili all'interno dell'azienda siano esclusi a priori al lavoratore a termine.
La clausola contiene altresì una “raccomandazione”, affinché i datori di lavoro agevolino l'accesso dei lavoratori a termine a opportunità di formazione, al fine di valorizzarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale.
14. Clausola 6 I datori di lavoro informano i lavoratori a tempo determinato dei posti vacanti che si rendano disponibili nell’impresa o stabilimento, in modo da garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri 122 lavoratori. Tali informazioni possono essere fornite sotto forma di annuncio pubblico in un luogo adeguato dell’impresa o dello stabilimento.
2. Nella misura del possibile, i datori di lavoro dovrebbero agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di formazione adeguate, per aumentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale.
È indubbio che la previsione di un diritto di formazione, così come quello dell'informazione siano funzionali al tentativo di evitare l'isolamento del lavoratore possibile conseguenza della precarietà dell’impiego.
I lavoratori a termine vengono computati nella soglia numerica oltre la quale possono costituirsi, nell’ambito dell’impresa, gli organi di rappresentanza sindacale previsti dalla legislazione nazionale ed europea15. L’accordo demanda, anche in questo caso, agli Stati membri previa consultazione delle parti sociali, e/o alle parti sociali stesse, la definizione delle modalità applicative della norma, secondo legislazione, contrattazione e prassi nazionali, nel rispetto del principio generale di non discriminazione di cui alla clausola 4.
15La clausola 7 1. I lavoratori a tempo determinato devono essere presi in considerazione in sede di calcolo della soglia oltre la quale, ai sensi delle disposizioni nazionali, possono costituirsi gli organi di rappresentanza dei lavoratori nelle imprese previsti dalle normative comunitarie e nazionali.
2. Le normative per l’applicazione della clausola 7.1 vengono definite dagli Stati membri previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse ai sensi delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, vista anche la clausola 4.1.
3. Nella misura del possibile, i datori di lavoro dovrebbero prendere in considerazione la fornitura di adeguata informazione agli organi di rappresentanza dei lavoratori in merito al lavoro a tempo determinato nell’azienda.
La clausola 816, infine, detta disposizioni di attuazione di vario contenuto. Innanzitutto, viene ribadito il ruolo di minimo comune denominatore assunto dall’accordo quadro, legittimandosi gli Stati membri e/o le parti sociali a mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori (cl. 8.1). Ad integrazione di tale regola, si vieta, nella fase traspositiva, di ridurre il <<livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso>> (cl. 8.3, c.d. clausola di non regresso). L’accordo non pregiudica, comunque, azioni che la Comunità vorrà intraprendere, in particolare, in tema di parità di trattamento o delle pari opportunità tra uomini e donne (cl. 8.2), né negoziati a livello nazionale o comunitario diretti all’adeguamento e/o all’integrazione delle disposizioni dell’accordo stesso (cl. 8.4).
La clausola in esame riconosce la competenza degli Stati membri nella prevenzione e nella composizione di controversie concernenti l’applicazione
161. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo. 123
2. Il presente accordo non pregiudica ulteriori disposizioni comunitarie più specifiche, in particolare per quanto riguarda la parità di trattamento e di opportunità uomo-donna.
3. L’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso.
4. Il presente accordo non pregiudica il diritto delle parti sociali di concludere, al livello appropriato, ivi compreso quello europeo, accordi che adattino e/o completino le disposizioni del presente accordo in modo da tenere conto delle esigenze specifiche delle parti sociali interessate.
5. La prevenzione e la soluzione delle controversie e delle vertenze scaturite dall’applicazione del presente accordo dovranno procedere in conformità con le leggi, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
6. Le parti contraenti verificano l’applicazione del presente accordo cinque anni dopo la data della decisione del Consiglio, se richiesto da una delle parti firmatarie dello stesso.
dell’accordo sulla base delle leggi, dei contratti collettivi o delle prassi nazionali (cl. 8.5).
L’ultimo comma della clausola 8 prevede la possibilità, qualora vi sia la richiesta di almeno una delle parti firmatarie, di verificare l’applicazione dell’accordo cinque anni dopo la decisione del Consiglio.
3.4 Il principio di non discriminazione (clausola 4).
La clausola 4.1 stabilisce che <<per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive>>.
Secondo quanto indicato per discriminazione 17deve intendersi <<una ingiustificata differenza di trattamento dovuta ad un fattore tipizzato dalla legge>>; di conseguenza <<ogni altra differenza per ragioni atipiche (...) non può essere definita discriminazione in senso tecnico e resta estranea alla relativa disciplina>>, ma è da osservare che nonostante l’utilizzo del termine
17<<Il punto 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori stabilisce, tra l’altro, che la realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori della Comunità europea. Tale processo avverrà mediante il ravvicinamento di tali condizioni che costituisca un progresso, soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e il lavoro stagionale>>.
In dottrina si veda RENDINA M., Il principio di non discriminazione nelle direttive europee sul parttime e sul contratto a termine, in Mass. giur. lav., 2000, n. 1-2, p. 36.
“discriminazione”, nella clausola si configura più propriamente il principio di parità di trattamento : ogni differenza di trattamento del lavoratore a termine rispetto al lavoratore a tempo indeterminato comparabile dovrà presumersi illegittima, salvo non ricorrano ragioni oggettive che giustifichino deroghe in peius..
V'è di più. Poiché le cause giustificative delle eccezioni sono plurime l’effettività del principio è in forte dubbio, anche nel 3° comma della clausola 4 che rimette agli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o alle parti sociali stesse il compito di applicare il principio di parità di trattamento <<viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e le prassi nazionali>>. La direttiva, in altre parole, fa salve quelle disposizioni di legge o di contratto che, senza costituire illegittima discriminazione, prevedono nei singoli ordinamenti trattamenti differenziati tra lavoratori a termine e lavoratori assunti stabilmente, purché tali differenze non siano giustificate dal <<solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato>> (cl. 4.1). Del resto, una applicazione meccanica ed astratta del principio può, non solo generare irragionevoli parità, ma risultare, in certi casi, persino controproducente se attuata a lavoratori che svolgono la loro prestazione lavorativa in condizioni del tutto peculiari, rispetto a quelle dei lavoratori stabile. Indicativo, sotto questo profilo, è l’aspetto della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori temporanei: essendo generalizzata la tendenza ad assegnare ai lavoratori temporanei compiti o lavori ripetitivi o pericolosi, o da svolgersi in ambienti insalubri (c.d. esternalizzazione del rischio),
che il personale stabile dell’impresa normalmente rifiuterebbe di svolgere, e dato
che il senso di alienazione, frustrazione e disaffezione al lavoro che spesso caratterizza i lavoratori temporanei
aumenta enormemente il rischio di incidenti per disattenzione, stress, negligenza, la garanzia della salute e sicurezza sul posto di lavoro non può essere assicurata dalla pura e semplice applicazione delle disposizioni in materia di prevenzione stabilite con riferimento ai lavoratori stabili dell’impresa, ma richiede piuttosto la predisposizione di una normativa specifica.
La clausola al punto due contiene un'altro principio, quello del pro rata temporis18, diretto, appunto, ad evitare che il ricorso al contratto a termine si traduca nell’esclusione di alcune fasce deboli di lavoratori dall’accesso a benefici normalmente accordati ai lavoratori a tempo indeterminato. Esso indica la ragionevole possibilità di proporzionare solo quei trattamenti strettamente legati alla ridotta durata della prestazione lavorativa escludendo ogni differenza di trattamento riguardo agli istituti del rapporto di lavoro che non presentano tale caratteristica.
Nella clausola 4.4 si specifica che <<i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando i criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive>>; dal che si desume che <<quando i diritti dei lavoratori sono condizionati o comunque variamente modulati in relazione al possesso di una data anzianità di servizio, questa condizione o articolazione delle tutele
18 G. FRANZA,2002, op.cit., p. 24; S. SCARPONI, 1999, op.cit., p. 4
riferite all’anzianità debba essere applicata senza distinzione alcuna sia a lavoratori stabili che a quelli a termine>>. Ciò dovrebbe comportare l’obbligo di collegare, ai fini del computo dell’anzianità di servizio utile per l’accesso a certi benefici, anche più rapporti a termine non successivi svoltisi in periodi differenti entro un ragionevole arco temporale.
3.3 La prevenzione degli abusi nella normativa comunitaria.
L'obiettivo dell'accordo è quello di <<creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato>>, ma come si può osservare, si ritiene che la distorsione della normativa possa verificarsi solo nella fase del rinnovo e non in quella della stipula.
L’assenza di una esplicita disciplina del primo contratto a termine nella parte dispositiva della direttiva comunitaria, censurata anche dal Parlamento Europeo, assume particolare importanza nell’ordinamento italiano, in cui la liberalizzazione delle causali di legittima apposizione del termine, effettuata dall’art. 1, comma 1°, d.lgs. n. 368/2001, ha determinato l’esigenza di individuare una interpretazione della normativa interna conforme alle indicazioni comunitarie. Il vuoto normativo riguardo alla giustificazione del primo termine, originato dalla rinuncia delle parti stipulanti ad armonizzare sistemi nazionali estremamente eterogenei, non autorizza tuttavia una ricostruzione della
disciplina comunitaria nel senso di una totale fungibilità tra contratto a tempo
indeterminato e contratto a termine. Infatti, oltre al reiterato riconoscimento del contratto a tempo indeterminato come <<forma comune dei rapporti di lavoro>>, da cui si desume a contrario la confermata specialità del rapporto di lavoro a termine, è lo stesso accordo quadro, nella considerazione generale n. 7, a sostenere che un modo di prevenire gli abusi - si potrebbe intendere, anzi, il primo modo di prevenire gli abusi – è proprio quello di consentire l’utilizzazione dei contratti di lavoro a tempo determinato a fronte di “ragioni oggettive”. Inoltre, una delle parti sociali, la CES, in una nota di valutazione diffusa ancor prima del recepimento dell’accordo europeo nella Direttiva n.99/70/CE, ha precisato che il riferimento alle “ragioni oggettive”, concepite quale strumento di lotta agli abusi, va ritenuto applicabile anche alla stipulazione del primo contratto. Del resto, è da escludere che la direttiva si proponga di incentivare la diffusione del contratto a tempo determinato: un obiettivo del genere non è riconoscibile né nel preambolo, né nelle considerazioni generali, né in alcuna delle sue clausole, diversamente da quanto previsto nell’accordo sul part-time, recepito con la Direttiva n. 97/81/CE, la cui clausola 1 pone espressamente tra gli scopi della normativa quello di <<facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria>>.
La clausola 5 indica una serie di misure aventi finalità antifrodatoria, dirette a
sanzionare l’utilizzazione incontrollata di contratti a termine successivi tra le stesse parti ovvero la continua proroga dello stesso contratto.
La clausola 5.1 impone agli Stati membri previa consultazione delle parti sociali
e/o alle parti sociali stesse, di introdurre, in assenza di norme equivalenti, <<una
o più misure relative a>>: a) le ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
La clausola 5.2 precisa che “gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati “successivi”; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.
Il contenuto della clausola cinque o meglio il suo recepimento da parte degli Stati membri ha suscitato perplessità e la Corte di Giustizia europea con la sentenza del 4 luglio 2006, proc. C-212/04 (Adeneler)19, è intervenuta rispondendo a tre questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Salonicco concernenti l’interpretazione proprio della clausola 5. La prima questione riguarda l’interpretazione della nozione di “ragioni obiettive” che giustificano il rinnovo di contratti a tempo determinato successivi. Dopo aver riconosciuto che la
19 Sentenza della Corte (Grande Sezione) 4 luglio 2006 <<Direttiva 1999/70/CE – Clausole 1, lett. b), e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato – Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico – Nozioni di “contratti successivi” e di “ragioni obiettive” che giustificano il rinnovo di tali contratti – Misure di prevenzione degli abusi – Sanzioni – Portata dell’obbligo di interpretazione conforme
>>. La domanda di causa è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il sig. Adeneler e altri 17 dipendenti e il loro datore di lavoro, l’Ellenikos Organismos Galaktos ( Ente ellenico del latte) avente ad oggetto il mancato rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato che li vincolavano a quest’ultimo. La domanda verte sull’interpretazione delle clausole 1 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e sull’estensione dell’obbligo di interpretazione conforme imposto ai giudici degli Stati membri. La sentenza si può leggere in Mass. giur. lav., 2006, n. 10, pp. 736 ss..
direttiva non individua il contenuto di tale nozione, la Corte precisa che il suo senso e la sua portata devono essere determinati considerando lo scopo perseguito dall’accordo quadro e sottolinea che esso parte dalla premessa secondo la quale i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro , che il beneficio della stabilità dell’impiego costituisce un elemento portante della tutela dei lavoratori e che, pertanto, l’accordo intende circoscrivere il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo una serie di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti . Le “ragioni obiettive” indicate dalla clausola 5, n. 1, lett. a), devono quindi consistere in
<<circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attività…che possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro>>. Non soddisferebbe tali requisiti e non sarebbe, dunque, conforme alla finalità di tutela perseguita dall’accordo quadro, <<una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi>> . La seconda questione esaminata dalla Corte concerne la nozione di contratti a termine “successivi”. Sebbene la clausola 5, n. 2, lasci agli Stati membri la cura di
determinare la definizione del carattere “successivo” dei contratti, così come
delle condizioni alle quali i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato devono essere ritenuti come conclusi a tempo indeterminato, secondo la Corte tale potere discrezionale non è illimitato, in quanto esso non può in alcun caso pregiudicare lo scopo o l’effettività dell’accordo quadro. Pertanto <<una disposizione nazionale che consideri successivi i soli contratti di lavoro a tempo determinato separati da un lasso temporale inferiore o pari a 20 giorni lavorativi deve essere considerata tale da compromettere l’obiettivo, la finalità nonché l’effettività dell’accordo quadro>>.
.I giudici di Lussemburgo non si esprimono sulla temporaneità delle ragioni legittimanti l’apposizione del termine ma sottolineano la necessità che la disciplina nazionale individui, se non direttamente i settori e le attività interessate, almeno dei <<criteri oggettivi e trasparenti>> che giustifichino il ricorso a contratti a termine successivi .
La Corte, infine, si è pronunciata sul profilo delle sanzioni che i legislatori nazionali devono introdurre affinché le prescrizioni europee, qualora violate, non risultino minus quam perfectae. Essa rileva che l’accordo <<non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato>> né prevede altre sanzioni specifiche, limitandosi ad imporre l’adozione di una delle misure elencate nella clausola 5.1, dirette a prevenire l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi. Tuttavia, nell’ambito della libertà lasciata agli Stati membri nella scelta delle forme e dei mezzi più idonei a garantire l’efficacia
pratica delle direttive (art. 249 TCE), essi sono tenuti ad introdurre misure
sanzionatorie non solo proporzionate ma anche sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’effettività delle prescrizioni antifraudolente imposte dalla disciplina europea
3.4 La clausola di non regresso (clausola 8).
La clausola 820 contiene le disposizioni di attuazione dell’accordo, che, con alcune varianti, seguono gli schemi adottati nell’analoga parte finale dell’accordo sul lavoro a tempo parziale e dell’accordo sui congedi parentali. Oltre a stabilire che gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nell’accordo (cl. 8.1), a chiarire che l’accordo <<non pregiudica ulteriori disposizioni comunitarie più specifiche, in particolare per quanto riguarda la parità di trattamento e di opportunità uomo-donna>> (cl. 8.2) né <<il diritto delle parti sociali di concludere al livello appropriato, ivi compreso quello europeo, accordi che adattino e/o completino le disposizioni del presente accordo in modo da tenere conto delle esigenze specifiche delle parti sociali interessate>> (cl. 8.4), la clausola 8 enuncia il fondamentale principio di non regresso, secondo cui <<l’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso>> (cl. 8.3)21.
21Le osservazioni di ROCCELLA M., Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo sul lavoro a termine, del 12 luglio 2001,
Molto si è discusso in dottrina22 sul valore da attribuire alle c. d. clausole di “non regresso”, inserite talvolta nel preambolo delle direttive, più spesso nel corpo delle stesse, con una sistematicità tale da assurgere a vero e proprio principio generale del diritto sociale comunitario.
Ebbene, con riguardo alla portata dell’obbligo di <<non regresso>> si è affermato che la funzione di simili clausole è quella di evitare, in diretto ed immediato collegamento con la trasposizione delle direttive sociali, delle “corse verso il basso delle regolazioni interne e di favorire, viceversa, un reale progresso delle disposizioni protettive”, come richiesto dal Trattato istitutivo della Comunità Europea. Ciò non significa che la clausola di non regresso ponga agli Stati un generale obbligo di stand still. La possibilità di intervenire sulla disciplina interna in termini anche peggiorativi rispetto al regime preesistente in considerazione dell’evoluzione della situazione, ma pur sempre nel rispetto delle esigenze minime fissate dalla normativa comunitaria, è spesso contemplata direttamente dalle direttive, come nel caso della n. 93/104/CE in materia di orario di lavoro e della n. 97/81/CE sul part-time, e anche dove non si rinvenga una espressa indicazione in tal senso, dovrebbe ritenersi comunque ammessa in virtù del principio della sovranità degli Stati membri.
La modifica peggiorativa della preesistente disciplina, pur nel rispetto dei minimi comunitari, sarebbe sempre possibile, anche con il provvedimento con cui si dà formale ed esplicita attuazione ad una direttiva munita di clausola di
22M. DELFINO, Il principio di non regresso nelle direttive in materia di politica sociale, in Dir. lav. rel. ind., 2002, pp. 487 ss.;
non regresso, ma in via di eccezione e purché le ragioni economiche e sociali che inducono alla trasposizione modificativa in peius siano esplicitate con chiarezza, così da evidenziare che si tratta di una precisa scelta politica del legislatore nazionale, di cui, pertanto, esso si assume piena e formale responsabilità di fronte ai cittadini e alla Comunità. Secondo una diversa interpretazione la possibilità di diminuire il livello di protezione dei lavoratori sarebbe ammessa solo se giustificata da motivazioni diverse dall’attuazione della direttiva, esterne agli obiettivi in essa contenuti, e solo nell’ipotesi in cui si intenda perseguire altri obiettivi comunitari, in particolare le finalità in materia di politica sociale indicate nell’art. 136 TCE, in special modo la promozione dell’occupazione.
Neanche la prima pronuncia al riguardo della Corte di Giustizia ha dato soluzioni. Nel caso Mangold la Corte, ritiene, invece, che le clausole di non regresso, come quella inserita nella direttiva 99/70/CE, che non autorizzano espressamente gli Stati membri a introdurre disposizioni differenti, abbiano un valore più vincolante delle altre e impongano di conservare la legislazione di miglior favore, dopo aver precisato che per <<applicazione>> della direttiva non si intende soltanto la sola iniziale trasposizione ma <<ogni misura nazionale intesa a garantire che l’obiettivo da questa perseguito possa essere raggiunto, comprese le misure che, successivamente alla trasposizione propriamente detta, completano o modificano le norme nazionali già adottate>> , si limita ad affermare che <<una reformatio in peius della protezione offerta ai lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato, non è, in quanto tale, vietata
dall’accordo quadro quando non è in alcun modo collegata con l’applicazione di
questo>> ; la riduzione delle tutele e cioè l’abbassamento dell’età oltre la quale è consentita la stipula di contratti a tempo determinato senza restrizioni, è giustificata <<non già dalla necessità di applicare l’accordo quadro, ma da quella di incentivare l’occupazione delle persone anziane in Germania>> , con la conseguenza che non sussiste violazione della clausola di non regresso
La sentenza Mangold non appare, dunque, risolutiva : oltre a non fornire alcun elemento utile per identificare <<l’ambito coperto>> dal divieto di regresso né per comprendere le modalità della comparazione, non è chiaro soprattutto quando una reformatio in peius possa considerarsi non collegata in alcun modo con l’applicazione di una direttiva.
Altra pronuncia da tenere presente è quella della Corte di giustizia UE n.98/2009, la quale ha sottolineato che deve considerarsi legittimo il disposto normativo di cui al D.lgs n.368/2001.
Secondo i giudici comunitari l'Italia non ha violato la clausola di non regresso contenuta nella sopra citata Direttiva n. 1999/70/CE sul contratto a tempo determinato e conseguentemente deve considerarsi legittimo il contratto a termine stipulato per ragioni sostitutive che non contenga il nominativo del lavoratore da sostituire. In tale decisione la Corte ha concluso che la normativa non viola la clausola purché siano presenti altre garanzie o misure di tutela o riguardino una categoria circoscritta di lavoratori con contratto a termine.23
23Manuela Rinaldi, già citata pag.12
CAPITOLO II
EVOLUZIONE NORMATIVA
2.1 LA DISCIPLINA DEL CONTRATTO A TERMINE DAL CODICE CIVILE DEL 1865 ALLA RIFORMA DELLA L.230/1962
Nel sistema normativo interno il contratto a tempo determinato trovava nel codice civile del 1865 la sua consacrazione laddove all'art.1628 poteva leggersi: “ nessuno può obbligare la propria opera all'altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa” . Lo scopo del legislatore era quello di evitare la costituzione di vincoli perpetui e rapporti a vita di tipo servili. In sostanza, si tutelava il lavoratore vietando le assunzioni a tempo indeterminato. Nel corso del tempo nella prassi si consolidò la libera recedibilità nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a seguito dell'evoluzione sociale i timori del lavoro servile si attenuarono notevolmente. Venuti, quindi, meno i timori del 1865 si è passati ad un aperto sfavore verso il contratto a tempo determinato in quanto ostacolava la continuità dell'occupazione e privava il dipendente delle tutele proprie del tempo indeterminato.
Nel codice del 1942 con l'art.2097 c.c. il contratto si considera a tempo indeterminato mentre per la stipula del contratto a tempo determinato è necessaria la forma scritta , è espressamente prevista l'inefficacia del termine se concordato al fine di eludere le disposizioni a tempo indeterminato e la
prosecuzione del lavoro dopo la scadenza del termine trasforma il contratto a
tempo indeterminato salva diversa volontà delle parti.24
Il ridimensionamento del contratto di lavoro a termine trova il suo rafforzamento nella l.230/6225 nella quale vengono inserite le disposizioni di cui all'art.2097 c.c. conseguentemente abrogato.
Nella vigenza della norma vengono precisate le “cause” per le quali è possibile inserire la clausola del termine e tali cause sono tassative ovvero quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell'attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima; quando l'assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione; per la esecuzione di un'opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale;per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell'ambito dell'azienda; per l'assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi; quando
l'assunzione venga effettuata da aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti
24A. Vallebona, C. Pisani , Il nuovo lavoro a termine, Cedam 2001, 3
25Sulla 1. 230/62 e successive modificazioni, nonché sulle altre disposizioni che hanno disciplinato l’istituto (quali ad es. l’art. 23, 1. 56/87), la letteratura è sterminata; fra le più significative v. MONTUSCHI L., Relazione, in Il contratto a termine, Giuffrè, 1979; MONTUSCHI L., La durata del contratto di lavoro, RESCIGNO (a cura di), Trattato di diritto privato, Utet, 1986, 15, vol. 1, p. 301 SS.; MENGHINI L., Il lavoro a termine, in Tratt.
V. Rescigno, vol. 1, 621; D’ANTONA M., Occupazione flessibile e nuove tipologie del rapporto di lavoro,1988, ora in Opere, Giuffrè, 2000, vol. 111, p. 1147 SS.; ROCCELLA M., I rapporti di lavoro a termine, in Le assunzioni. Prova e termine nei rapporti di lavoro, in I? SCHLESINGER (a cura di), Il Codice Civile. Commentario, Giuffrè, 1990, p. 73 SS
i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi precisi e per periodi determinati.
Si confermava l'inefficacia del contratto senza la stipula scritta del termine con onere del datore di consegnare l'atto scritto al lavoratore. La forma scritta doveva, in particolare, riguardare il termine , non più le ragioni giustificatrici , e non era surrogabile da altra scrittura unilaterale.
L'impostazione vincolistica emerge anche nell'eventuale proroga del termine consentito una sola volta e a determinate condizioni: consenso del lavoratore 26; durata non superiore al contratto iniziale ; stessa attività lavorativa e eccezionalità della proroga ammessa solo per esigenze contingenti ed imprevedibili.27
La riassunzione a termine del medesimo lavoratore era consentita solo dopo un certo intervallo di tempo ed in caso di violazione di questo divieto antifraudolento il contratto si considerava dall'origine a tempo indeterminato. Anche se le singole proroghe potevano ritenersi lecite il lavoratore provando la destinazione comunque elusiva delle successive assunzioni a termine poteva ottenere il riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato.
Poiché la normativa, tuttavia, s' inseriva in un contesto giuridico caratterizzato dalla libera recedibilità delle parti del rapporto di lavoro la stessa non ha trovato una vera attuazione se non a seguito dell'introduzione dell'art.18 st.lav.. In effetti, il rigore della L.230/62 aveva prodotto un effetto dirompente sui datori di lavoro
26Cass. 28/05/1990 n.4939 MGL 1990
27Cass. 12 novembre 1992 n.12166 DPL 1993, 132
2.2 LA RIFORMA RADICALE INTRODOTTA DAL D.LGS.368 /01
Apparentemente il testo legislativo del 2001 non ha apportato novità laddove non ha modificato gli aspetti legati allo svolgimento del rapporto a termine. Lo stesso non ha inciso sulla proroga del contratto a termine; sull'intervallo tra un contratto a termine e l'altro; sulla forma scritta richiesta per la stipulazione di un contratto a termine. Eppure è possibile affermare che la riforma è stata profonda, in quanto la stessa ha inciso sulla possibilità di stipulare un contratto a termine. Cambia, in maniera radicale, l'approccio al contratto di cui si parla. Mentre in precedenza il termine poteva essere apposto solo in presenza di determinate ragioni, specificamente e tassativamente indicate dalla legge o dal contratto collettivo, dall'entrata in vigore della nuova normativa la stipulazione del
28La Corte Costituzionale 13 ottobre 2000 n. 419 FI 2001, I, 1087 riconosceva, salvi gli obblighi comunitari l'assenza di vincoli costituzionali alla discrezionalità del legislatore ordinario nella disciplina del contratto a termine, in quanto il diritto del lavoro non comporta una diretta ed incondizionata tutela del posto di lavoro.
Prima il datore di lavoro poteva esclusivamente attenersi alle ipotesi tassativamente indicate al di fuori delle quali era radicalmente vietato stipulare un contratto a termine, pena la conversione a tempo indeterminato del rapporto. Adesso il datore di lavoro ha la facoltà di stipulare i contratti a termine purché ricorra la ragione definita solo genericamente dalla legge.. Il sistema si trasforma da chiuso o tipico a un sistema aperto o atipico.
La novità è sostanziale: cambia il momento costitutivo con l'attribuzione al datore di lavoro di una ben più ampia facoltà di stipulare i contratti di questo tipo.
La formula utilizzata dal legislatore è elastica e indefinita. Tuttavia, volendo provare a indicare quali ragioni possano concretamente legittimare la stipulazione del termine, si può pensare in primo luogo ai casi già contemplati dalla L. 230/62 . Le ipotesi che, in via esclusiva e tassativa, consentivano l'apposizione del termine possono essere utilizzati come esempi di valide giustificazioni dell'apposizione del termine, ma gli stessi costituiscono appunto solo esempi della ragione che, secondo la nuova normativa, può legittimare l'assunzione di un lavoratore a termine.
È anche vero che per quanto elastica sia la lettera della norma, si deve tener presente che la ragione tecnica o produttiva o organizzativa deve comunque
29Trib. Milano 13 novembre 2003 in Riv.Crit. Dir. Lav., 2004, 78 in senso conforme Corte di App. Bari 20 luglio 2005 in Foro.it 2006, 5 1540
legittimare l'apposizione di un termine ad un contratto che, altrimenti, si trasforma a tempo indeterminato e deve farsi riferimento sempre ad un'esigenza particolare, eccezionale o comunque transitoria, tale da non poter essere soddisfatta né con l'impiego del personale già dipendente, né con l'assunzione di nuovi lavoratori a tempo indeterminato.
V'è da aggiungere che la legge prevede anche ipotesi in cui l'apposizione di un termine è vietata. Ciò accade nei seguenti casi:
sostituzione di lavoratori scioperanti;
con riguardo alle unità produttive dove, nei sei mesi precedenti, siano stati effettuati licenziamenti collettivi che abbiano coinvolto lavoratori adibiti alle medesime mansioni cui fa riferimento il contratto a tempo determinato (salvo che l'assunzione avvenga per la sostituzione di lavoratori assenti, o sia concluso ex art. 8 c. 2 L. 223/91, o ancora abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi; in ogni caso, gli accordi sindacali possono portare deroghe a questo divieto);
con riguardo alle unità produttive nelle quali sia in atto una sospensione dei rapporti di lavoro o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui fa riferimento il contratto a termine;
infine, l'assunzione a termine è preclusa per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ex art. 4 D. Lgs. 626/94.
Il contratto a termine non dovrebbe durare complessivamente più di tre anni anche se c'è da dire che la durata non superiore a tre anni è riferita alla sola proroga e non alla durata massima del rapporto. Ciò significa che nessuna norma vieta esplicitamente l'apposizione di un termine superiore a tre anni.
30Cass. Civ. 13 maggio 2010 n.11625, lav. Nella giur.2010,726 ….La specificazione delle ragioni giustificatrici del termine può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi accessibili alle parti.
31R. Scognamiglio, Manuale di Diritto del lavoro, ed II , Napoli, 2005 ..si manifestano anche esigenze e possibilità per l'apposizione fin dal momento del sorgere del rapporto di un termine di durata per la cessazione che il datore può imporre mediante la stipula di un'apposita clausola.
32Corte di Cassazione n.12985 del 2008 tramite un'esegesi sistematica e adeguatrice dell'art.1 comma 1 dlgs 368/01 rivaluta la necessità di una puntuale e rigorosa motivazione nell'apposizione del termine anche al primo contratto, in quanto considerato rientrante nell'ambito di applicazione della normativa comunitaria. In sostanza, anche in assenza di un apposito regime sanzionatorio, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine , alla stregua di una esegesi del dato positivo nel quadro delineato dalla direttiva 1999/70 CE alla illegittimità del termine e alla nullità
La continuazione del rapporto dopo la scadenza del termine non comporta di per sé la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Infatti, in caso di continuazione del rapporto dopo la scadenza, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, in misura del venti per cento, per ogni giorno di prosecuzione del rapporto fino al decimo; per ogni giorno ulteriore la maggiorazione è fissata nella misura del quaranta per cento. La trasformazione del rapporto a tempo indeterminato si verifica solo nel caso di continuazione del rapporto oltre il ventesimo giorno, se il contratto aveva una durata inferiore a sei mesi, ovvero negli altri casi oltre il trentesimo giorno.
i fini della conversione a tempo indeterminato del rapporto, invece, la norma distingue a seconda che il termine fosse di durata inferiore a sei mesi, ovvero di durata pari o superiore a quella appena indicata. Nel primo caso, la conversione si verifica se il rapporto prosegue oltre il ventesimo giorno dopo la scadenza; nel secondo caso, perchè si verifichi la conversione è necessaria la prosecuzione oltre il trentesimo giorno.
Al fine di evitare abusivi ricorsi al lavoro a tempo determinato, l’art. 5 c. 3 D. Lgs. 368/01 ha previsto che, tra un contratto a termine e l’altro, debba intercorrere un intervallo minimo: si tratta di dieci giorni, ovvero di venti, a seconda che il contratto sia di durata fino a sei mesi o sia superiore. Se questo intervallo non viene rispettato, il secondo contratto si reputa a tempo indeterminato; se i due rapporti si succedono senza soluzione di continuità, si
della clausola di apposizione del termine consegue l'invalidità parziale della stessa e l'instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
considera a tempo indeterminato l'intero rapporto, dalla data di stipulazione del primo contratto.
Il decreto legislativo 368/01, contiene una serie di rinvii alla contrattazione collettiva:
1. deroghe al divieto di assumere a termine lavoratori, da adibire a mansioni che erano state occupate da lavoratori messi in mobilità nei sei mesi precedenti;
2. limiti quantitativi di utilizzo dei contratti a termine. Ciò evidentemente vuol dire che, in un accordo collettivo, si può disporre che i lavoratori assunti a termine non eccedano una certa percentuale dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. L'importanza di simili disposizioni è limitata dalle numerose deroghe introdotte dal legislatore, che verranno successivamente illustrate;
3. formazione dei lavoratori assunti a termine, che hanno in ogni caso diritto, secondo quanto disposto dal D Lgs. 368/01, a una formazione sufficiente, nonché adeguata alle caratteristiche della mansione che dovranno svolgere, e ciò al fine di prevenire i rischi connessi. Questa formazione - per così dire - di base, può essere ampliata dalla contrattazione collettiva, che può prevedere modalità e strumenti che consentano ai lavoratori a termine l'accesso alla formazione, al fine di migliorarne la qualificazione, la carriera e la mobilità occupazionale;
4. disciplina delle informazioni.
5. diritto di precedenza nell'assunzione presso la stessa azienda a favore dei lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato per le ipotesi già previste dall'art. 23 c. 2 L. 56/87. Anche se è da dire che il diritto di precedenza si estingue nel termine di un anno dalla cessazione del rapporto.
6. con specifico riguardo ai settori del turismo e dei pubblici esercizi, i contratti collettivi, stipulati con sindacati locali o nazionali aderenti a confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, possono prevedere l'assunzione diretta di manodopera per l'esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni. I lavoratori conseguentemente assunti sono esclusi dalla disciplina del D. Lgs. 368/01.
2.3. LE MODIFICHE INTRODOTTE DALLA L.247/2007
33Manuela Rinaldi , il contratto a tempo determinato, officina del diritto 2011 p.8
Si tratta di una sorta di consacrazione con cui si precisa che nel nostro ordinamento il contratto a tempo indeterminato è la regola mentre il contratto a termine è l'eccezione.
Secondo alcuni 'introduzione del comma 1 ha solo finalità propagandistica34 in quanto il testo originario del decreto in sostanza già conteneva il principio dell'eccezione laddove si indicava il termine “consentita”.
In realtà due le possibili interpretazioni o si considera venuto meno il rapporto regola-eccezione tra le due forme contrattuali37 o o le stesse sarebbero in un rapporto di subalternità38.
34Vallebona, Questioni sul contratto a termine , in GDLRI, 2008 , n.118,2,292 Romei , Questioni sul contratto a termine, GDLRI, 2008, n.118, 2, 320 35Visonà, Questioni sul contratto a termine , in GDLRI, 2008 , n.118,2,300
36Speziale, Il contratto a tempo determinato quale strumento di flessibilità, nel lavoro pubblico e privato nonché nella prospettiva comunitaria, In un incontro di studio sul tema Il lavoro Flessibile , organizzato dal CSM , Roma 4-6.5.2009.
37Montuschi Ancora nuove regole per il lavoro a termine, in ADL, 2006, 46
38Menghini , La nuova disciplina del lavoro a termine, Milano , 2002, 26
2.4 LE NOVITÀ INTRODOTTE DALLA L. n.133/2008
Nell'agosto del 2008 viene pubblicata la L.133/2008 recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico , la semplificazione, la competitività , la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria con il quale vengono inserite una serie di modifiche al dlgs 368/01.
Dal punto di vista sostanziale il comma 1 dell'art.21 della l. 133/2008 è volto a novellare l'art. 1 del D.Lgs 368/01 , con la modifica viene, infatti, precisato che l'apposizione del termine è consentita anche se tali ragioni giustificative sono riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.
39Cass.21.5.2008 n.12985; Cass. 27.10.2005 n.20858
40Lunardon, L'eccezionalità del contratto a termine : dalle causali alla specificazione delle ragioni giustificatrici, in ADL 2007, I, 41
Il secondo il terzo ed il quarto comma introducono deroghe alla normativa proponendo un rinvio o delega alla contrattazione collettiva stipulata a livello nazionale territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Ed infatti, il secondo comma modifica il comma 4 bis dell'art.5 del d.lgs 368/01 laddove specifica che i limiti posti al continuo rinnovo dei contratti a termine con lo stesso lavoratore non si applicano nel caso in cui i contratti collettivi dispongano diversamente.
La sentenza della Consulta è fondamentale perchè segna un momento di frattura nel sistema delle fonti del diritto nel rapporto tra normativa comunitaria e
42La consulta ha ritenuto fondate le questioni di illegittimità costituzionali sollevate in riferimento all'art. 3 della Carta costituzionale con la conseguenza che anche ai contratti a tempo determinato sipulati dalle Poste Italiane , può applicarsi la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato e il risarcimento del danno.
2.5 IL COLLEGATO AL LAVORO E LE NOVITA' SUL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO.
Tra le tante modifiche apportate dalla L. 183/10, quelle più dirompenti sul piano pratico sembrano essere quelle relative al contratto a termine; in effetti, l'aver
43De Michele la sentenza “Houdini” della Corte Costituzionale sul contratto a tempo
determinato, in Lav. Giur.10/09
44F. Bonfrate , La disposizione transitoria concernente l'indennizzo per violazione della norma in materia di apposizione e di proroga del termine, in Codice Commentato del lavoro a cura di Pessi, 2011 , 1550
rubricato la norma “Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato”richiamando espressamente, ed esclusivamente, il contratto a termine fa capire che questo era l’istituto di maggior interesse .
In primo luogo, la lettera a. e d) del c. 3 estende la nuova disciplina dell’art. 6 L. 604/66 ai “licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla legittimità del termine apposto al contratto ed anche all'azione di nullità del termine apposto in violazione delle disposizioni de cui agli artt.1,2 e4 del Dlgs 368/2001 con termine decorrente dalla scadenza del medesimo”.
45Cass. 1.02.2010 n.2279 Ricerca giuridica.com; cass. 26/01/2010 n.1577.
46Manuela Rinaldi già cit. p.50
Se la norma è stata facilmente interpretata nel caso di un rapporto caratterizzato da un unico contratto a termine poiché in questo caso è evidente che i termini di impugnazione decorrono dopo la cessazione del rapporto. Qualche perplessità ha suscitato l'applicazione del disposto normativo in presenza di una pluralità di contratti a termine che si sono succeduti nel tempo. In effetti, in tal caso si potrebbe sostenere che il lavoratore debba impugnare ogni singolo contratto, anche se il relativo termine di impugnazione decorre non dopo la cessazione definitiva del rapporto, ma durante l’esecuzione di un successivo contratto a termine altrimenti rischierebbe le decadenze di cui all'art.6 della L.604/66.
Ebbene è evidente che ciò non sia possibile perché un lavoratore non impugnerà mai un precedente contratto a termine mentre ne sta svolgendo un altro anche perché ciò impedirebbe il controllo giudiziario in un caso in cui il datore di lavoro abbia fatto illegittimo ricorso a un rapporto di lavoro eccezionale, in luogo dell’ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
In realtà, è da osservare che, benché il rapporto sia apparentemente frammentato tra un contratto a termine e l’altro, in realtà la illegittimità del termine comporta la sussistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato; in buona sostanza, anche in tale ipotesi vi è un unico termine scaduto, ovvero quello che ha comportato definitivamente la fine del rapporto con la conseguenza che il giorno dal quale decorrono i termini di 60 e 270 giorni è quello della scadenza del termine conclusivo, dopo il quale il rapporto (complessivamente considerato) è finito.
L'art.32 al comma 5 “indennità onnicomprensiva” stabilisce che nei casi di conversione del contratto il giudice condanna il datore al solo risarcimento del lavoratore stabilendo un indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità.
Il comma 7, estende la disciplina dell’indennità onnicomprensiva ex art. 32 c. 5 ai giudizi pendenti. Preliminarmente, bisogna osservare che il legislatore si riferisce ai soli giudizi pendenti in primo grado: l’art. 421 cpc, contemplato dalla norma, disciplina i poteri istruttori del giudice di primo grado, mentre i medesimi poteri del giudice dell’appello sono trattati all’art. 437 c. 2 cpc. A maggior ragione, la norma non contempla i giudizi pendenti avanti la Corte di cassazione, dove non può esservi istruttoria.
In ogni caso, la norma è di dubbia legittimità costituzionale. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 311 del 2009, ha recepito, in virtù del rinvio mobile realizzato tramite l’art. 117 c. 1 Cost., il divieto di interventi legislativi retroattivi anche in materia civile, contemplando come eccezione la sola ipotesi che tali interventi retroattivi siano dovuti a motivi imperativi di interessi generali, così accogliendo l’interpretazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali come proposta in alcune sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Per questo motivo, ogni disposizione retroattiva contenuta nella L. 183/10 è irrimediabilmente illegittima.
L’art. 32 inoltre ha subito una prima modifica con il decreto Milleproghe
L.10/2011 che all'art.2 c.54 che ha riaperto i termini per l'impugnazione dei
licenziamenti rimandando al 31 dicembre 2011il termine per proporre impugnativa da parte dei lavoratori il cui contratto a tempo determinato sia cessato prima dell'entrato in vigore del collegato lavoro.
Dubbi di legittimità costituzionali sono stati sollevati anche con riferimento all'indennizzo previsto dall'art.32 laddove si esclude ogni altro credito indennitario o risarcitorio in capo al lavoratore. In effetti, secondo la Suprema Corte di Cassazione47 la norma dovrebbe ritenersi lesiva dei principi di ragionevolezza e di effettività del rimedio giurisdizionale, nonché il diritto al lavoro riconosciuti a tutti i cittadini dall'art. 4 Cost. E dalla Direttiva 99/70/CE nella parte in cui impone di garantire ai lavoratori a tempo determinato che subiscono un abuso del contratto un risarcimento proporzionato48.
La Consulta , tuttavia, con la sentenza 303/ 2011 ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'art.32 c.5 della L.183/01 relativamente ai limiti di indennizzo che il datore deve pagare al lavoratore che ottenga la conversione del contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato. La Corte ha ritenuto affidata alla discrezionalità del legislatore la scelta dei tempi e dei modi di attuazione della garanzia del diritto al lavoro . In questo caso la garanzia in questione è stata realizzata mediante la conversazione del contratto. Non esiste, dunque, alcuna violazione neppure sul versante della normativa comunitaria laddove vengono soddisfatte attraverso la conversione e l'indennità quelle esigenza di misure di
48Luca Faila e Francesco Rotondi in Il Punto, guida al lavoro n.12 dicembre2011/gennaio 2012 p.XX; V. Speziale, Mora del creditore e contratto di lavoro , Cacucci, Bari , 1993, 293 ss.
contrasto dell'abusivo ricorso al termine nei contratti di lavoro, proporzionate e sufficientemente effettive e dissuasive.
La Corte ha ritenuto non sussistente i rilievi di legittimità costituzionale con riferimento all'art.117 Cost e alle norme CEDU infatti “ ricorrono tutte le condizioni in presenza delle quali la Corte di Strasburgo ritiene compatibile con l'art.6 CEDU nuove disposizioni dalla portata retroattiva volta a regolare diritti già risultanti da leggi in vigore. Sulla base dei motivi d'interesse generale che vengono individuati dai singoli Stati contraenti che sono nella posizione migliore per enuclearli la Corte ha ritenuto che le ragioni di utilità generale possono essere nella specie ricondotte all'avvertita esigenza di una tutela economica dei lavoratori a tempo determinato più adeguata al bisogno di certezza dei rapporti giuridici tra tutte le parti coinvolte nei processi produttivi anche al fine di superare le inevitabili divergenze applicative cui aveva dato luogo il sistema previgente.
La disciplina nazionale ha optato per la forfettizzazione indennitaria del risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente assunto a tempo determinato, in sé proporzionata, nonché complementare e funzionale al riaffermato primato della garanzia del posto di lavoro.
In verità dell'art. 32 comma 5 sono state date ben tre interpretazioni secondo le quali l'indennità risarcitoria può essere considerata:
49Luca Failla e Francesco Rotondi op. cit. XXIII -XXIV
1 sostituitiva della trasformazione del rapporto e dell'eventuale retribuzione maturata dal lavoratore nel periodo intercorrente tra la data di cessazione del rapporto e la data di riammissione in servizio;
2. sostitutiva della sola eventuale retribuzione maturata dal lavoratore nel periodo intercorrente tra la data di cessazione del rapporto e la data della riammissione in servizio ferma restando la trasformazione del rapporto;
3. aggiunta rispetto sia alla trasformazione del rapporto sia all'eventuale retribuzione maturata dal lavoratore nel periodo intercorrente tra la data di
cessazione del rapporto e la data di decorrenza della riammissione in servizio. Autorevole dottrina ha sostenuto che l'indennità risarcitoria si applichi sia nell'ipotesi di conversione espressamente previste dalla legge sia in quelle conseguenti alla nullità del termine accertata dal giudice50. Secondo una parte della dottrina 51 l'indennità assorbe qualsiasi risarcimento in quanto l'aggettivo “onnicomprensiva “ esprime la volontà del legislatore di predeterminare e non accrescere il risarcimento. Secondo altra dottrina 52 è da escludersi che il risarcimento previsto nell'art. 32 c.5 sia aggiuntivo rispetto al risarcimento di diritto comune a titolo di penale per l'illiceità del termine anche se il richiamo a formule analoghe all'art. 18 st.lav e art. 8 L.604/66 attribuisce al giudicante una maggiore possibilità di valutazione .
50A. Vallebona , Indennità per il termine illegittimo : palese infondatezza delle accuse di incostituzionalità, Massimario di giurisprudenza del Lavoro n.12/2011
51A. Vallebona , da Mass. Di Giurisprudenza del lavoro n. 2/2011 . M. Tiraboschi , Il Collegato lavoro , Il Sole 24 Ore 2010, nonché M. Tatatrelli, Entità del risarcimento fissata dal giudice , in Guida al Diritto , Sole 24 Ore , n. 48 del 4/12/2010 p.8
52P.Tosi Il contratto di lavoro a tempo determinato nel collegato al lavoro alla legge finanziaria , in Ridl , 2010, I, 480
2.6 LA RIFORMA FORNERO SUL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
La nuova riforma appena varata apporta modifiche sostanziali alla disciplina del contratto a termine. Per agevolare le esigenze di flessibilità delle imprese, è
53Vallebona Critica all'ordinanza della Corte Cassazione n.2112/11, in Massimario della giurisprudenza del Lavoro 1/02/2011 n.1
54Vallebona A. Lavoro a termine: il limite comunitario al regresso delle tutele ed i poteri del giudice nazionale, in Mass. Giur. Lav. 2010, 633
stato eliminato il cosiddetto causalone nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato presso il singolo datore di lavoro. Il contratto a tempo determinato potrà essere stipulato per una durata massima di 12 mesi senza che venga apposta la causale all’atto della stipula. Il causalone può non essere necessario anche nei casi in cui questo è specificamente previsto dai contratti collettivi per assunzioni che avvengono nell’ambito di particolari processi organizzativi, comunque nel limite del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva.
Più tutele per i lavoratori sono previste per i periodi di lavoro con un tetto massimo di 36 mesi, effettuabili come lavoratore a termine presso lo stesso datore di lavoro e dall’aumento delle pause obbligatorie tra un contratto e l’altro che sale da 10 a 60 giorni per i contratti inferiori a sei mesi e da 20 a 90 per quelli di durata superiore. Anche qui i contratti collettivi di lavoro possono prevedere riduzioni di questi periodi per particolari esigenze organizzative (come l’avvio di una nuova attività o il lancio di un prodotto o servizio innovativo).
Con l’entrata in vigore della riforma del lavoro nel 2012 Si allungano i tempi per impugnare il contratto a termine, la stessa dovrà essere effettuata entro 120 giorni in via stragiudiziale oppure entro 180 giorni per quella giudiziale. La norma si applicherà solo per quei contratti a tempo determinato saranno scaduti al primo gennaio 2013. C’è infine un maggior onere contributivo per le imprese sui contratti a termine: un’aliquota aggiuntiva dell’1,4%, che va a finanziare l’ASPI . Accogliendo le richieste delle aziende, questo contributo è stato eliminato per gli
stagionali (diversamente dal testo originario), né ai contratti di sostituzione e agli
apprendisti. Nel caso in cui l’azienda trasformi il contratto a tempo indeterminato, si vede restituite le ultime sei mensilità di questo contributo addizionale. La restituzione avviene anche se il lavoratore è riassunto a tempo indeterminato entro sei mesi dalla scadenza del contratto a termine (solo per il numero di mensilità restanti, ad esempio una mensilità se l’assunzione avviene dopo cinque mesi).
L'APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA COMUNITARIA IN ITALIA
55Articoli e commenti individuati su internet
3.1 LA SUCCESSIONE DEI CONTRATTI A TERMINE NELLA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E NAZIONALE.
La disciplina nazionale del contratto a tempo determinato, anche grazie alle frequenti evoluzioni normative, ha favorito l’insorgenza di alcune questioni interpretative, risolte in modo non sempre univoco dalla giurisprudenza.
La Corte di giustizia CE è stata più volte chiamata a fornire chiarimenti interpretativi sulla Direttiva 28 giugno 1999, n.1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, attuata nel nostro ordinamento dal d.lgs 368/2001, ciò al fine di consentire ai giudici dei diversi Stati membri di interpretare la normativa nazionale sul contratto a termine conformemente alla direttiva comunitaria.
La sentenza della Corte in seguito al ricorso di un giudice nazionale di uno Stato membro costituisce l'interpretazione ufficiale della questione e, come tale, vale per tutti gli Stati membri ecco perchè la corretta interpretazione della nostra normativa nazionale comporta la conoscenza e l’esame delle pronunce comunitarie.
Ad esempio la sentenza 23 aprile 2009 (procedimenti riuniti da C-378/07 a C- 380/07), c.d. sentenza Angelidaki della Corte di giustizia in materia di contratto di lavoro a tempo determinato fornisce alcuni elementi utili per l’interpretazione del d.lgs. 368/2001, in particolare la stessa ha affrontato due tematiche su cui la dottrina italiana è ancora divisa: la questione relativa all’a-causalità del termine e
quella sulla natura temporanea o meno delle ragioni poste a fondamento del contratto.
Il dibattito in Italia vede i sostenitori della teoria acausale i quali hanno ravvisato nella eccessiva genericità dell’art. 1, comma 1°, del d.lgs. 368, un motivo di contrasto con le finalità di tutela perseguite dalla direttiva ed una palese violazione della clausola di non
regresso56.
In sostanza, la disposizione citata costituirebbe una formula vuota tanto da rendere irrilevante la motivazione per cui può essere apposto un termine al contratto di lavoro
Al contrario, secondo la diversa interpretazione, la normativa del 2001 costituirebbe una soluzione di compromesso che non esprime affatto una indifferenza fra contratto a termine e contratto a tempo indeterminato, ma al contrario, anche nel nuovo assetto il contratto a termine continua ad essere una fattispecie derogatoria rispetto alla regola generale del contratto a tempo indeterminato.
56ROCCELLA M., Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo sul lavoro a termine, 2001, in: http://www.cgil.it/giuridico.
57MARESCA, Apposizione del termine successione di contratti a tempo determinato e nuovi limiti legali: primi problemi applicativi dell'art.5, commi 4 e ter , d.lgs 368/2001, in RIDL, 2008, I, 298
I fautori della teoria causale fondano la legittimità della determinazione del termine sulla oggettività delle condizioni . La causalità del termine viene desunta da altre considerazioni di carattere sistematico. Se, infatti, l’intento del legislatore fosse stato quello di affermare la natura acausale del termine, il suo intervento avrebbe dovuto limitarsi alla semplice rimozione dei limiti previsti dalla legge n. 230/1962, con il risultato di rimettere alla mera discrezionalità del datore di lavoro la scelta di stipulare un contratto a termine anziché uno a tempo indeterminato58. Il fatto stesso che il decreto delegato abbia invece dettato delle regole per la fase genetica del rapporto depone nel senso di escludere che il datore di lavoro sia libero di stipulare ad nutum59. L’apposizione del termine, infatti, rimane <<consentita>> soltanto <<a fronte>> e quindi in presenza di
<<ragioni>> oggettive che devono essere <<specificate>> a pena di inefficacia in apposito <<atto scritto>>: se le ragioni per cui è possibile assumere a termine fossero le stesse per cui si assume, senza bisogno di specifica causale, a tempo indeterminato, rimarrebbe misteriosa la ratio dell’art. 1.60
Le ragioni oggettive devono essere considerate come vere e proprie causali giustificatrici del termine così come l’obbligo di specificazione non può essere
58R. DEL PUNTA, La sfuggente temporaneità: note accorpate sul lavoro a termine e lavoro interinale, in Dir. rel ind., 2002, pp. 547-548; V. SPEZIALE, La riforma del contratto a tempo determinato, 2003, op.cit., p. 230; M. PAPALEONI, Le linee fondamentali della nuova disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato: d.lgs. 6 settembre 2001, n . 368, in Arg. dir. lav., 2002, p. 682;
59VISONA', Questioni sul contratto a termine , in GDLRI, 2008, n.118,2, 300 ritiene che la nuova disciplina costituisca una sorta di avvertimento circa la priorità del contratto di lavoro a tempo indeterminato sul contratto di lavoro a tempo determinato, senza alcun carattere innovativo rispetto al decreto originario.
60SPEZIALE, Il contratto a tempo determinato quale strumento di flessibilità nel lavoro pubblico e privato
nonché nella prospettiva comunitaria, in Incontro di studio sul tema: il lavoro flessibile, organizzato dal CSM, Roma, 4-6.5.2009
considerato semplicemente un metro per verificare l’effettiva sussistenza o la liceità e non arbitrarietà della ragione addotta, che bilancerebbe l’ampiezza della clausola prevista dall’art. 1. La motivazione di un atto è, infatti, necessariamente collegata alla possibilità di controllo del suo contenuto, che a sua volta implica che il potere esercitato non è incondizionato ma soggetto a presupposti che ne regolano l’esercizio. Del resto, la stessa analogia tra la formulazione dell’art. 1, d.lgs. 368, e quella dell’art. 2103 c.c. in materia di trasferimento del lavoratore, richiamata da alcuni al fine di escludere l’inevitabilità della scelta datoriale e il controllo giudiziale sul merito delle ragioni, sembra confermare che l’apposizione del termine non è per l’ordinamento libera, ma è ancorata alla sussistenza di determinate causali. Non pare convincente, poi, la tesi secondo cui l’obbligo di specificazione servirebbe a consentire un controllo sulla proroga, per appurare, cioè, che essa, come richiesto dall’art. 4, oltre a rispondere a ragioni oggettive, si riferisca <<alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto stesso è stato stipulato a tempo determinato>>: oltre al fatto che le ragioni sottostanti alla proroga non devono necessariamente essere le stesse del primo contratto, sarebbe, poi, paradossale ritenere libero il primo contratto e vincolata la proroga, ponendo però vincoli al primo al solo fine di essere utilizzati per valutare la legittimità di una (solo eventuale) proroga.
Il Ministero del lavoro, in tale contesto incerto, ha espresso la propria interpretazione precisando che le ragioni giustificative del termine devono prescindere dalla straordinarietà , eccezionalità , imprevedibilità e temporaneità
delle esigenze e che quindi il contratto a termine dovrà essere considerato
In verità anche i sostenitori della teoria acausale hanno osservato come la motivazione sia il contrappeso alla perdita di garanzia insita nella formulazione generica utilizzata dal legislatore, consentendo al giudice di verificare l’effettività delle esigenze aziendali, peraltro insindacabili nel merito, e l’esistenza del nesso causale tra le esigenze stesse e l’assunzione62. Naturalmente per i sostenitori della tesi acausale che tali esigenze siano configurate come semplici motivi privi di rilevanza causale ma ugualmente sottoposti al controllo del giudice non cambia la sostanza della questione in esame dato che, essendo la loro specificazione scritta un requisito costitutivo per la valida apposizione del termine, la mancata indicazione delle ragioni o la loro genericità determina concordemente il mancato assolvimento dell’onere formale e, conseguentemente, per espressa disposizione normativa, l’inefficacia del termine.
La dottrina ha naturalmente sostenuto le proprie interpretazioni ( causale – a causale) anche alla luce del rapporto con la direttiva europea.
Si è ritenuto che il legislatore nazionale- richiedendo la specificazioni delle ragioni che richiedono il ricorso al contratto a termine - abbia posto una tutela
61Circolare del Ministero del lavoro del 1/08/2002 n. 42
62S. CIUCCIOVINO, Commento all’art. 1, 2002, op.cit., p. 38; F. BIANCHI D’URSO- G.
VIDIRI, Il nuovo contratto a termine…, 2002, op.cit., p. 122,
ancor più limitativa rispetto a quanto richiesto dalla direttiva medesima. Quest’ultima, infatti, individua il lavoro a tempo determinato nel contratto in cui il termine finale apposto al medesimo riguardi “condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico”. La direttiva ha considerato possibile l’apposizione di un termine finale a-causale63 determinando esclusivamente un obbligo per gli Stati membri di recepire nel loro ordinamento almeno una delle misure previste dalla direttiva per prevenire gli abusi nell’utilizzo dei contratti a termine. La normativa comunitaria non impone, dunque, agli Stati membri di adottare norme circa i requisiti di legittimità necessari alla costituzione di un unico contratto a termine in sé considerato o del primo in caso di rinnovi . In considerazione di ciò, si è dunque sostenuto che il d.lgs. 368/2001, anche a seguito della modifica intervenuta nel 2007, “in coerenza con la direttiva e conformemente alla stessa, tracci una netta distinzione tra l’apposizione del termine al contratto di lavoro e l’utilizzo reiterato delle assunzioni a termine”.
In particolare, osserva la Corte,64 “(…) questo tipo di contratti a tempo determinato non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, la quale verte unicamente sulla prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, dato
63Maresca, Apposizione del termine, successione di contratti a tempo determinato e nuovi limiti legali: primi problemi applicativi dell’art. 5, comma 4-bis e ter, d.lgs. 368/2001 in RIDL, 2008, 287
64Corte di giustizia, sentenza 23 aprile 2009 (procedimenti riuniti da C-378/07 a C- 380/07), c.d. sentenza Angelidaki
che le ragioni enunciate al n. 1, lett. a) di tale clausola vertono unicamente sul rinnovo di detti contratti o rapporti” .
La Corte ricorda, poi, che l’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato fondato su ragioni obiettive costituisce un mezzo di prevenzione degli abusi, al pari delle altre misure previste dalla medesima clausola 5: la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Al riguardo, la sentenza rileva che gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità nell’attuazione della clausola 5, n.1, dell’accordo quadro, potendo scegliere di ricorrere ad una o più tra le misure enunciate al n. 1, lett. a)-c) di tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore.
La portata dell’orientamento espresso dalla Corte, che conferma le tesi sopra prospettate sulla a-casualità del termine, risulta ridimensionata da quanto successivamente sostenuto nella medesima sentenza con riferimento all’altra tematica, oggetto di dibattito, riguardante la temporaneità o meno delle ragioni poste alla base del contratto a termine.
La Corte appoggia la tesi della necessaria temporaneità delle esigenze poste a fondamento della stipula di un contratto a termine. In particolare, richiamando la sentenza Adeneler del 4 luglio 2006 C-2121/04 e l’ordinanza Vassilakis del 12 giugno 2008 C-364/07, la sentenza in questione sostiene come fondare il contratto a termine su esigenze aventi carattere permanente e durevole si porrebbe in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla clausola 5, la quale mira a prevenire in
modo effettivo l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.
Un tale utilizzo dei contratti a tempo determinato sarebbe, invece, incompatibile con la premessa sulla quale si fonda l’accordo quadro e, cioè, il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, mentre i contratti a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività, come si evince dai punti 6 e 8 delle considerazioni generali dell’accordo quadro stesso (v. punti 103-106 della sentenza).
Dunque, secondo la sentenza in questione, il contratto a termine, per essere legittimamente stipulato, deve necessariamente fare fronte ad esigenze provvisorie del datore di lavoro. Esigenze provvisorie che di per sé costituiscono ragioni obiettive per il rinnovo di tali contratti ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a) dell’accordo quadro.
Il rinnovo dei contratti di lavoro contrasta, dunque, con la direttiva comunitaria se lo stesso si fonda su esigenze che nella realtà sono permanenti e durevoli.
Sennonché, è da considerare che nell’attuazione della direttiva il d.lgs. 386/2001 consente l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”.
E’, dunque, la legislazione nazionale che, pur non essendovi tenuta, lega la legittimazione del contratto a termine alla sussistenza di determinate ragioni, a
prescindere dalla ratio sottesa alla direttiva medesima, la prevenzione degli abusi in caso di rinnovo.
Il vincolo auto-posto dal legislatore nazionale, di per sé legittimo in virtù di quanto disposto dalla clausola 8, n. 1 della direttiva (“Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo”) fa apparire problematico il non rispetto dello stesso, alla luce di quanto previsto dal successivo punto 3 della medesima clausola 8, ai sensi del quale “l’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso”.
Diversamente, il principio della necessaria temporaneità delle esigenze poste a fondamento del ricorso al contratto a termine non è superato dall’inciso, contenuto nel medesimo art. 1 d.lgs. 368/2001 “anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”. Tale locuzione, come affermato da parte della dottrina, non è, infatti, dirimente per escludere il requisito della temporaneità. Sono, infatti, concepibili attività temporanee riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro( si pensi alle c.d. punte stagionali).
Del resto le esigenze sostitutive temporanee o ricorrenti o addirittura permanenti giustificano pienamente l'utilizzo del contratto a termine tanto da rendere non giustificabile la conversione di una successione continua di contratti a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. La Corte di Giustizia Europea si è espressa infatti a favore dell'amministrazione, sostenendo che la
trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato di un
dipendente non può avvenire per esigenze sostitutive, anche se risultano ricorrenti o addirittura permanenti. Insomma, la trasformazione del contratto reiterato a TD a TI non può avvenire automaticamente, ma bisogna verificarne le motivazioni65. La Corte dichiara che l’esigenza temporanea di personale sostitutivo – come prevede la normativa tedesca – può, in linea di principio, costituire una ragione obiettiva ai sensi del diritto dell'Unione che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale sostitutivo sia il rinnovo di tali contratti. Il solo fatto che un datore di lavoro sia obbligato a ricorrere a sostituzioni temporanee in modo ricorrente, se non addirittura permanente, e che si possa provvedere a tali sostituzioni anche attraverso l’assunzione di dipendenti in forza di contratti di lavoro a tempo indeterminato non comporta l’assenza di una ragione obiettiva, né l’esistenza di un abuso. In effetti, il fatto di richiedere automaticamente la conclusione di contratti a tempo indeterminato – qualora le dimensioni dell’impresa o dell’ente interessato e la composizione del suo personale comportino che il datore di lavoro debba far fronte ad un’esigenza ricorrente o permanente di personale sostitutivo –
oltrepasserebbe gli obiettivi perseguiti dall’accordo quadro delle parti sociali
65Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 26 gennaio 2012 Sentenza nella causa C-586/10 Bianca Kücük Il caso: “Una cittadina tedesca, la signora Kucuk, che aveva lavorato in forza di 13 contratti di lavoro a tempo determinato presso il Land, ha presentato ricorso sostenendo l'illegittimità del suo ultimo contratto di lavoro e chiedendone la trasformazione a tempo indeterminato. I contratti della signora Kucuk venivano conclusi a fronte di congedi temporanei, compresi congedi parentali di educazione e di congedi speciali fruiti da assistenti assunti a tempo indeterminato, ed erano diretti a garantire la sostituzione di questi ultimi. Si tratta di sostituzioni temporanee e con un'esigenza limitata nel tempo, che secondo la Corte di Giustizia Europea, non garantiscono le basi per la trasformazione del contratto a tempo indeterminato”
europee attuato dal diritto dell’Unione, e violerebbe, pertanto, il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri e alle parti sociali. Tuttavia, nella valutazione, in un caso specifico, della questione se il rinnovo di un contratto a tempo determinato sia giustificato da una ragione obiettiva, come l’esigenza temporanea di personale sostitutivo, le autorità nazionali devono prendere in considerazione tutte le circostanze di detto caso specifico, compresi il numero e la durata complessiva dei contratti a tempo determinato conclusi in passato con il medesimo datore di lavoro. La Corte non risolve la controversia nazionale. Rinviando al giudice nazionale la risoluzione della controversia conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
La giurisprudenza italiana nel decidere in merito a contratti successivi66 ha spesso ritenuto illegittimo la stipula dei contratti successivi soprattutto alla luce della normativa del 2007 la quale ha ulteriormente circoscritto l'ambito di legittimità della successione dei contratti aggiungendo alla necessaria giustificazione del termine anche la regola della durata massima. Nel nostro ordinamento, dunque, sono previste ben due delle tre misure alternative prescritte dalla Direttiva n.1999/70 per prevenire gli abusi derivanti dalla successione dei contratti a termine67.
La normativa italiana è , dunque, fortemente limitativa. E' mutato il metodo con
il quale il legislatore ha inteso affrontare il problema del contratto a termine 68:
66Trib. Milano 17/06/2009 n.2588 e per tutte Cass. Sez. lav. 21.5.2008 n.12985
67Vallebona, Questioni sul contratto a termine , in GDLRI, 2008 N.118, 2,293
68Trib. Milano 24 dicembre 2005, in Orient. giur. lav., 2006. n. 1, p. 117 e, in termini identici, Trib. Milano 25 novembre 2004 (ord.), in Riv. crit. dir. lav., 2005, p. 162
anziché definire, come in passato, le singole fattispecie legali per poi verificare la conformità ad esse o a quelle elaborate dalla contrattazione collettiva dell’indicazione contenuta in contratto, il momento del controllo viene ora effettuato in base a quanto ha indicato nel contratto individuale lo stesso datore di lavoro; ecco perchè diviene essenziale che il datore dia certezza per iscritto delle ragioni del termine. Il legislatore non ha concesso <<una licenza incondizionata al datore di lavoro di derogare alla regola generale dell’assunzione a tempo indeterminato, ma, al contrario, consentendo alle parti di ricorrere al contratto a termine per le più svariate esigenze, ha richiesto che il giudice ne possa controllare la reale esistenza nel caso concreto, affinché la clausola di durata non venga utilizzata, in frode alla legge, anche quando non vi siano reali ragioni oggettive. Coerentemente, l’onere di specificazione non può ritenersi assolto mediante una riproposizione tautologica delle causali indicate astrattamente nel comma 1 dell’art. 1, occorrendo <<descrivere, seppur sinteticamente, la realtà particolare attinente all’impresa (e, spesso, alle peculiari e concrete necessità relative all’ufficio interno alla stessa, se di grandi dimensioni) che ha portato l’imprenditore ad effettuare un’assunzione a termine per coprire il posto di lavoro di cui si tratta.
3.1.1 IL CASO POSTE
Proprio con riferimento al mancato rispetto dell’obbligo di specificazione di cui all’art. 1, comma 2°, sono stati ritenuti invalidi i termini apposti a contratti di
lavoro contenenti il rinvio a norme di contratti collettivi di settore che, peraltro, contemplavano una pluralità di ragioni giustificatrici del tutto diverse tra loro così come troppo generica e tale da impedire ogni riferimento ad esigenze precise e dettagliate, è stata giudicata nella maggior parte dei casi la causale più frequentemente utilizzata nei contratti a termine stipulati da Poste Italiane, riproduttiva delle formule dell’art. 1, d.lgs. n. 368, e dell’art. 25 del CCNL dell’11/01/2001: <<esigenze tecniche, organizzative e produttive connesse a processi di riorganizzazione dei Centri Rete Postali, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonché all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo>> o <<per far fronte a maggiori flussi di traffico nel periodo natalizio>>.
In Italia la disciplina legislativa relativa ai contratti a termine con le aziende postali ha generato dibattito e nel 2006 modificata. L'art.2 del Dlgs 368/01 disponeva l’obbligo di stipulazione di atto scritto, di indicazione delle ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive e di consegna di copia del contratto al lavoratore, ma con il comma 558 dell’art. 1 della legge 266/2005 (finanziaria 2006) è stato aggiunto alla norma di cui sopra l’ulteriore seguente
comma, che è quello che rileva nei contratti stipulati da Poste dal 2006 in poi: 1-
bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando l'assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale, riferito al 1º gennaio dell'anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente comma.
Ecco che una tale interpretazione non è apparsa convincente alla luce della normativa europea, laddove la disciplina di cui al citato art. 1 bis si presenta indubbiamente violativa della direttiva CE 70/1999, posto che la libertà di assumere a termine nel settore postale senza dovere giustificare le ragioni della stipula di tali contratti rende inefficace la previsione della direttiva secondo cui il contratto a tempo indeterminato è la forma comune dei rapporti di lavoro e il contratto a tempo indeterminato deve essere basato su ragioni oggettive e verificabili. E se una norma dell’ordinamento italiano è in contrasto con i principi dell’ordinamento europeo il giudice è tenuto a disapplicarla. Inoltre la norma,
69MARAZZA, Le assunzioni a termine “formalmente acausali” a norma dell'art.2 d.lgs.368/2001 sono compatibili con la disciplina comunitaria , in RIDL, 2008, II.
ove consenta l’assunzione libera ed immotivata di lavoratori a termine presso Poste italiane, si presenta in palese violazione della clausola di non regresso della direttiva CE 70/199970. Come si è detto sopra, infatti, la direttiva ha disposto che l’applicazione del presente accordo non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso. Ed appare evidente che la norma della finanziaria 2006 che riguarda Poste, inserita nel D.Lgs. 368/2001 che costituisce applicazione della direttiva CE, disciplina in modo peggiorativo la materia per quanto attiene i lavoratori del settore postale. Ed anche questo è un ulteriore motivo che dovrebbe portare alla disapplicazione della norma del 2006, con la conseguente trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
In senso contrario si è sostenuto che, in realtà, la clausola di non regresso vieta agli stati membri di approfittare dell'attuazione della direttiva e ridurre il livello generale di tutela offerta ai lavoratori in presenza di due circostanze: in presenza di una normativa emessa in applicazione dell'accordo o nell'ambito di copertura dell'accordo stesso71. Nel caso dell'art.2 comma 1 bis questo non costituisce una modalità applicativa , laddove la stessa è nata dall'esigenza di risolvere la questione dei lavoratori precari nel settore postale , quindi per rispondere a proprie ed autonome finalità72.
70Trib. Trani 6.05.2008 , conformi Trib. Trani 5.2.2009; Trib. Roma 21.3.2008; Trib. Foggia 11.4.2007
71Sentenza Mangold punti 50 e 52
72Trib. Roma 30.5.2008; Corte di Appello Milano 13.1.2009; Trib. Roma 23.4.2008 e sul punto si veda anche C. Giust. CE 23.4.2009 causa C-378 Angelidaki.
Altra parte della giurisprudenza ha altresì sostenuto la legittimità della nuova normativa e la non configurabilità della violazione della clausola di non regresso sulla ritenuta equivalenza della nuova disciplina rispetto alla previgente che impone la necessaria indicazione e specificazione delle ragioni dell'assunzione73 nonché sul richiamo al disposto di cui all'accordo recepito dalla direttiva in quanto l'articolo altro non è che una normativa specifica prevista per un particolare settore di attività74. Del resto la Corte europea ha ritenuto conforme alla clausola di non regresso le disposizioni riguardanti una categoria circoscritta di lavoratori o idonee ad essere compensate dall'adozione di misure preventive dell'utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivo75.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 214/2009 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale rispetto all'art.3 Cost. ritenendo che l'art.2 1°c. Bis costituisca la tipizzazione legislativa di un'ipotesi di valida apposizione del termine. Secondo la Corte la norma sulla base di una ragionevole valutazione preventiva ed astratta delle esigenze delle imprese concessionarie dei servizi postali di disporre di una quota di organico flessibile ha previsto appunto che tali imprese possano stipulare contratti a termine senza la necessità della puntuale indicazione volta per volta delle ragioni giustificatrici del termine.
L’ordinanza del Tribunale di Trani76 ha rimesso nuovamente alla Corte di giustizia la compatibilità della normativa nazionale con quella europea. Oltre a
questioni che già sono state sottolineate da molti (dalla violazione della clausola
74Trib. Roma 30.5.2008
75C. Giust. CE 23.4.2009 causa C-378 Angelidaki. Punto 146
76Ordinanza Tribunale Trani del 25.11.2009
8, n. 3, di non regresso, alla assenza di misure compensative richieste dal direttiva a fronte del peggioramento che comporta la norma per i lavoratori postali) si segnala il rilievo che, a fronte di un (presunto) particolare onere connesso all’esercizio del servizio postale universale, il relativo prezzo non risulta essere “pagato” dalla collettività (come sarebbe naturale, essendo la collettività che ne ricava il beneficio) ma solo da una ristretta cerchia di lavoratori (postini, smistatori, ecc.) che del tutto casualmente hanno la ventura di reperire lavoro presso uno delle poche aziende che, oggi, ha lavoro da offrire. Con ordinanza resa in data 11.11.2010, la Corte di giustizia dell’Unità europea ha deciso che l’art. 2 comma 1 bis del D.Lgs. 368/2001 non osta alla direttiva CE 1999/70.
L’ordinanza è netta nel ritenere la compatibilità dell’art. 2 comma 1 bis con la normativa europea, poiché la Direttiva 1999/70 non disporrebbe obblighi circa la l’enunciazione di ragioni obiettive in merito alla stipulazione del primo contratto, poiché la clausola 5 dell’accordo quadro del 18.3.1999 che costituirebbe il cuore della Direttiva, si applica solo alla successione di contratti.
Allo stesso modo, non sarebbe violata la clausola 8 della Direttiva (clausola di non regresso) poiché l’art. 2 comma 1 bis è stato inserito nel decreto 368/2001 con la finanziarie del 2006 (quindi in data successiva) e risulta scollegato dall’applicazione della Direttiva, perseguendo obiettivi diversi da questa (ragioni di ordine finanziario).
3.2 IL LAVORO A TERMINE NEL PUBBLICO IMPIEGO
77Corte di Giustizia 11.11.2010 ha deciso che “ la clausola 8, punto 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, quale quella prevista dall’art. 2, comma 1 bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES, la quale, a differenza del regime giuridico applicabile prima dell’entrata in vigore di questo decreto, consente a un’impresa, quale la Poste Italiane SpA, di concludere, rispettando determinate condizioni, un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato con un lavoratore, quale il sig. Vino, senza dover indicare le ragioni obiettive che giustifichino il ricorso a un contratto concluso per una siffatta durata, dal momento che questa normativa non è collegata all’attuazione di detto accordo quadro. A questo proposito è irrilevante il fatto che lo scopo perseguito da tale normativa non sia degno di una protezione almeno equivalente alla tutela dei lavoratori a tempo determinato, cui mira detto accordo”.
78Per una ricostruzione approfondita delle diverse tappe della privatizzazione, v. S.S. MANCA, Il lavoro a termine “pubblico” e “privato”. Origine, differenze e analogie, nonché prospettive in ambito nazionale e comunitario nella difficile epoca sociale del
Le linee di fondo della nuova normativa sono costituite dalla separazione tra materie riservate alla legge ed agli atti unilaterali della P.A. (l’organizzazione degli Uffici, le dotazioni organiche, le procedure concorsuali) e le materie assoggettate alla disciplina privatistica (la disciplina del rapporto di lavoro); dalla separazione tra compiti di indirizzo politico-amministrativo, riservati al Governo, e compiti di organizzazione e gestione degli Uffici e dei rapporti di lavoro, che spettano alla Dirigenza; dall’ampliamento delle norme della contrattazione collettiva e dalla semplificazione della relativa procedura con la previsione di un apposito organo, l’ARAN, delegato a rappresentare la Pubblica Amministrazione nella contrattazione collettiva; dalla fruizione piena dei diritti sindacali previsti dal Titolo III dello Statuto dei Lavoratori, la legge 300 del 1970, che trova applicazione in tutte le Pubbliche Amministrazioni indipendentemente dal numero di dipendenti; dal riallineamento della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici a quella privatistica sotto il profilo della mobilità individuale e collettiva; dalla devoluzione del contenzioso in materia al Giudice Ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro, con la sola eccezione di quello attinente alla procedure concorsuali e di quello relativo ai rapporti di lavoro sottratti alla c.d. privatizzazione e dalla applicazione anche alle controversie in materia di lavoro pubblico del tentativo obbligatorio di conciliazione; alla disciplina della Dirigenza Pubblica ispirata a criteri di managerialità ed assoggettata a controlli volti a verificare che l’attività dei Dirigenti non sia più
“lavoro flessibile”, in www.flessibilitaelavoropubblico.it/documenti.
misurata solo in relazione ai parametri della legalità, ma anche sotto il profilo della rispondenza dei risultati effettivamente conseguiti rispetto agli obiettivi programmati, alla capacità di organizzare le strutture, alla capacità di valorizzare il patrimonio umano e professionale a disposizione. S i è realizzata in tal modo una vera e propria rivoluzione culturale oltre che giuridica, che si è trasfusa nei nuovi contratti collettivi, ed un autentico processo di democraticizzazione ha attraversato il mondo del pubblico impiego79
Tra le novità l'estensione del ricorso al contratto a termine ma l'art.36 del decreto citato costituisce lex specialis rispetto alla disciplina contenuta nel D.Lgs 368/1180
.
In effetti, mentre nel D.Lgs 29/93 si sanciva il divieto per le PP.AA. di ricorrere ad assunzioni a tempo determinato per periodi superiori a tre mesi con la seconda privatizzazione ovvero con il D.Lgs 80/98 è stato enfatizzato il ricorso alla flessibilità vista come strumento di modernizzazione della P.A. . In particolare, all'art.22 si stabiliva che “ le pubbliche amministrazioni si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa. I contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato e dei contratti di formazione e lavoro e degli altri rapporti formativi
79Donatella De Benedittis Il rapporto di lavoro pubblico ed i nuovi contratti collettivi Articolo di 02.04.2007 in www.altalex.it
80Trib. Napoli 8/3/2010, Est. D’Ancona, in D&L 2010, con nota di Tiziana Laratta ...Nel pubblico impiego, quanto ai contratti a termine, non si applica la disciplina contenuta nel D.Lgs. 6/9/01 n. 368, che vale per i rapporti in cui il datore di lavoro è un soggetto privato, bensì quella di cui all’art. 36 D.Lgs. 30/3/01 n. 165 quale lex specialis....
della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”.
L'applicazione della normativa privatistica anche al pubblico impiego trova due limiti che distinguono i due rapporti di lavoro. Nel pubblico impiego continua a vigere l'accesso mediante concorso e il divieto assoluto della conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
L’art. 36, comma 5, D. Lgs n. 165\2001, ribadisce, come detto, che «in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni», stabilisce che «il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative» e che «le amministrazioni hanno l’obbligo i recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave». L’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, poiché è destinato a operare in un settore ben determinato (il pubblico impiego), assume carattere di specialità rispetto alla più generale e sopravvenuta disciplina dei contratti a tempo determinato81. Pertanto, si deve ritenere che il divieto di
81In senso contrario ,A. MARESCA, in G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Commentario, 2002, op.cit., pp. 117-118,secondo il quale <<sembra possa affermarsi che una disposizione in materia di lavoro a termine riferita ad uno specifico settore (e la questione assume particolare rilievo applicativo nel lavoro pubblico contrattualizzato) dovrà ritenersi abrogata con l’entrata in vigore del d.lgs. non essendo sufficiente la sua specialità a preservarne la vigenza che, invece, sarà possibile soltanto se tale disposizione, oltre ad essere speciale, risulta comunque compatibile con la nuova disciplina…>>
L. DE ANGELIS, Il contratto a termine con le pubbliche amministrazioni: aspetti peculiari, in Riv. crit. dir. lav., 2002, I, p. 45; R. SALOMONE, Contratto a termine e lavoro pubblico, in M. BIAGI (a cura di), Il nuovo lavoro a termine, 2002, op.cit., p. 276; G. SANTORO PASSARELLI, Note introduttive,2002, op.cit., p. 29. Trib. Roma 3 febbraio 2004,
conversione del rapporto sancito dall’art. 36, comma 2, non sia stato abrogato dal d.lgs. n. 368/2001. Quel divieto costituisce la diretta conseguenza del principio costituzionale, secondo cui agli impieghi pubblici si accede mediante concorso ed è anche compatibile con la direttiva comunitaria in tema di assunzioni a termine.
82 La disposizione di cui all'art. 36, 5° comma, D.Lgs. 30/3/01 n. 165, non contrasta con l'art. 5 dell'accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70 in materia di contratti a termine - che a sua volta non contrasta con l'art. 4, comma 2, TUE non essendo in alcun modo atto a pregiudicare le strutture fondamentali, politiche e costituzionali, né le funzioni essenziali dello Stato membro - a condizione che l'ordinamento interno preveda, nel settore interessato, altre misure effettive per evitare ed eventualmente sanzionare il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato stipulati in successione.
Nel 2006 la Corte di giustizia 83 come già detto nel primo capitolo della presente elaborazione, ha sentenziato che «l'accordo quadro osta all’applicazione di una normativa nazionale che vieti in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di
in Arg. dir. lav., 2005, p. 905, e, recentemente, Trib. Foggia 6 novembre 2006, in Lav. prev. oggi, 2007, n. 2, p. 344 (con nota di M.N. BETTINI, Successione di contratti a termine nella Pubblica Amministrazione) che sottolinea come <<la relazione di specialità tra due leggi va verificata in base a criteri oggettivi, e non deve essere necessariamente acclarata da appositanorma, allorquando, come nel caso di specie (…), la diversa tipologia e natura delle situazioni rispettivamente contemplate dalle leggi stesse, impone una diversa disciplina alla stregua dei criteri di ragionevolezza e di logica giuridica>>, risultando dunque inconferente che il d.lgs. n. 368 non abbia escluso espressamente dal suo ambito applicativo gli artt. 35 e 36 del d.lgs. n. 165/2001 e non ne abbia rimarcato a chiare lettere il carattere speciale.
82Corte app. Perugia 16/6/2011, Pres. Pratillo Hellmann Est. Angeleri, in Lav. nella giur. 2011, 960.
83Sentenza 4 luglio 2006 – Causa C-212, relativa al procedimento C-212/04 Adeneler e altri c\Ellinikos Organismos Galaktos – ELOG,emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un Giudice greco e vertente sull’interpretazione dell’accordo quadro allegato proprio alla direttiva comunitaria 1999/70/C,
trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare fabbisogni permanenti e durevoli del datore di lavoro e devono essere considerati abusivi». Del resto la direttiva 1999/70 e l’accordo-quadro sono applicabili ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e altri enti del settore pubblico laddove «le disposizioni dell’accordo non contengono alcuna indicazione dalla quale possa dedursi che il loro campo di applicazione si limiti ai contratti a tempo determinato conclusi dai lavoratori con datori di lavoro del solo settore privato» .
Inoltre, «la nozione di lavoratori a tempo determinato ai sensi dell’accordo quadro, figurante nella clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro» . La clausola 2, punto 2, dello stesso accordo quadro, non solo non prevedere l’esclusione dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con un datore di lavoro del settore pubblico, ma si limita a offrire agli Stati membri e\o alle parti sociali la facoltà di sottrarre al campo di applicazione di tale accordo i rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato», nonché i contratti e i rapporti di lavoro «definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici».
Lo schema dell'accordo è quello che individua nel contratto di lavoro a tempo
indeterminato la forma comune dei rapporti di lavoro e nella stabilità l'elemento portante della tutela dei lavoratori; pertanto, il ricorso ai contratti di lavoro a
tempo determinato può ritenersi legittimo solo in presenza di determinate circostanze oggettive e per rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro che dei lavoratori.
Successivamente lo stesso Giudice Europeo85 ha affrontato espressamente il problema italiano, statuendo chiaramente che «affinché una normativa nazionale che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa
essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno
84Dott. Francesco Magnosi , L’illegittimità del termine apposto ad una serie successiva di contratti di lavoro a tempo determinato nel pubblico impiego, tra criteri risarcitori ed equo indennizzo Articolo 07.02.12
85Corte di Giustizia, 7 settembre 2006 emessa nella causa C-53/04 e che riguardava il caso Italia
dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione».
In effetti, la conversione del rapporto nel nostro ordinamento , a differenza del caso della Grecia, non poteva essere disposta, per effetto della vigenza dell’art. 36
D. Lgs. 165/2001, il quale prevede il risarcimento del danno derivante dall’illegittima apposizione del termine, non già la stabilizzazione del rapporto. La Corte di Strasburgo, tuttavia, ha colto l'occasione per precisare con fermezza che la successione di rapporti contrattuali di lavoro con la Pubbliche Amministrazioni può non considerarsi abusiva solo ed esclusivamente se tesa a soddisfare esigenze transitorie mentre è illegittima se il ricorso sistematico a contratti a termine è utilizzato per soddisfare esigenze non meramente temporanee e di lungo periodo.
Poiché il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche neppure nel caso in cui sono stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma anche sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro».In Italia si è resa necessaria adottare una misura sanzionatoria “alternativa” alla conversione del contratto, che sia, al contempo, rispettosa dei parametri determinati dal Giudice europeo, e che consenta al lavoratore di ottenere un giusto ristoro per l’ingiustizia subita.
In mancanza di efficacia diretta, i giudici nazionali devono interpretare il diritto
interno alla luce del testo e della finalità della direttiva per raggiungere i risultati perseguiti da quest’ultima, privilegiando l’interpretazione delle disposizioni nazionali maggiormente conformi a tale finalità, per giungere ad una soluzione compatibile con le disposizioni della direttiva. In armonia con il criterio dell’effettività dei principi giuridici, proprio del diritto comunitario, la Corte di Giustizia impone di verificare non già che nel diritto nazionale sia presente una qualsivoglia misura di contrasto dell’abuso, bensì di verificare che la misura individuata sia applicabile e, se applicabile, sia anche efficace.
Nel D.Lgs. 5 settembre 2001, n. 165, si rinviene un sistema sanzionatorio capace – in ragione di una più accentuata responsabilizzazione dei dirigenti pubblici e del riconoscimento del diritto al risarcimento di tutti i danni subiti in concreto dal lavoratore – di prevenire, dapprima, e sanzionare, poi, in forma adeguata l’utilizzo abusivo da parte della P.A. dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione»
Secondo parte della dottrina tale norma non solo non rappresenta uno strumento adeguato per prevenire l’utilizzo abusivo da parte della Pubblica Amministrazione ma neppure sanziona adeguatamente l’eventuale abusivo utilizzo, così come imporrebbe le giurisprudenza comunitaria. La circostanza che il ricorso abusivo da parte della pubblica amministrazione ai contratti di lavoro a tempo determinato in violazione delle disposizioni imperative faccia sorgere in capo al lavoratore il diritto al risarcimento del danno non costituisce né uno strumento di prevenzione né una sanzione.
Tale norma si limita, infatti, a prevedere l’obbligo di eliminare (risarcire) le
conseguenze dannose che sono derivate dalla condotta illecita, ma nulla prevede per prevenire e dissuadere la Pubblica Amministrazione dall’utilizzare o ricorrere abusivamente a contratti di lavoro a tempo determinato né prevede una sanzione adeguata in caso di violazione. Alla luce delle evoluzioni giurisprudenziali, si dovrebbe dichiarare nulla la clausola di apposizione del termine inserita nel 1^ contratto stipulato dal lavoratore, nonché illegittima la successione dei contratti stipulati a tempo determinato, e per l’effetto riconoscere il diritto al risarcimento del danno patito, ai sensi dell’art. 18, della legge n. 300/70, ovvero in applicazione del combinato disposto dell’art. 36 D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e della legge 183/2010, ovvero in forza delle disposizioni del diritto comunitario, per la mancata attuazione della direttiva. Infatti, «nel caso in cui il risultato prescritto da una direttiva non possa essere conseguito mediante interpretazione, occorre ricordare che, secondo la sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C- 6/90 e C-9/90, Francovic e a., l diritto comunitario impone agli Stati membri di risarcire i danni da essi causati ai singoli a causa della mancata attuazione di tale direttiva, purché siano soddisfatte tre condizioni. Anzitutto la direttiva deve avere lo scopo di attribuire diritti a favore dei singoli. Deve essere poi possibile individuare il contenuto di tali diritti sulla base delle disposizioni della detta direttiva. Infine deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato membro e il danno subito
Alla luce delle suesposte considerazioni, la stipula di contratti di lavoro a tempo
determinato, quando non sia imposta da esigenze particolari, si risolve in un mero escamotage adottato dall’Amministrazione per evitare la stabilizzazione
del rapporto di lavoro del personale posto alle sue dipendenze. Così, il contratto a tempo determinato, stipulato ab origine dal malcapitato, nella sostanza, costituirà, se reiterato illegittimamente, il primo di una lunga serie di contratti a tempo, che si concluderanno con il licenziamento del lavoratore in occasione della scadenza pattuita, e ciò in spregio alla rigorosa normativa vigente in materia, che prevede – esclusivamente in presenza di ipotesi tassative ed eccezionali e nel rispetto dei requisiti formali richiesti ad substantiam – la possibilità di lavoro subordinato a termine per i dipendenti della P.A.
Dalla scansione della casistica, invero, emerge molto spesso che i contratti a tempo vengono stipulati in successione tra loro, o comunque entro un lasso di tempo certamente ristretto, tale da confermare l’assunto secondo cui, nella sostanza, il rapporto di lavoro si protrae in maniera ininterrotta, e non certamente per soddisfare esigenze provvisorie. I contratti in oggetto, infatti, vengono conclusi, nella maggior parte dei casi, per sopperire ad esigenze lavorative assolutamente non transitorie nonché ad un fabbisogno durevole ed al fine di sopperire alle carenze strutturali e permanenti degli uffici pubblici . Peraltro, in violazione del D. Lgs. 368/2001, nei contratti non vengono quasi mai indicate le esigenze e le ragioni che avrebbero giustificato l’apposizione del termine. Per la verità, con riferimento ad uno degli aspetti più rilevanti della disciplina quale quello della individuazione delle causali giustificative della apposizione del termine al contratto di lavoro, si è rilevato che non si potranno individuare fattispecie legittimanti il contratto a termine non caratterizzate da
entrambi i requisiti della temporaneità e della eccezionalità, pena la illegittimità
della clausola per contrasto con norma imperativa di legge. Orbene, il rinnovo illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato è consentito se giustificato da una ragione obiettiva. Siffatta ragione sussiste, in particolare, se il rinnovo è giustificato dalla forma, dal tipo o dall’attività del datore di lavoro o da motivi o esigenze particolari, qualora tali circostanze risultino direttamente o indirettamente dal contratto interessato, come ad esempio in caso di sostituzione provvisoria del lavoratore, di esecuzione di lavori provvisori, di temporaneo sovraccarico di lavoro, oppure nel caso in cui la durata limitata è legata all’istruzione o alla formazione, qualora il rinnovo del contratto avvenga con lo scopo di facilitare il passaggio del lavoratore ad un’occupazione analoga, o di realizzare un’opera o un programma concreti o è relativo al raggiungimento di un risultato concreto .
A ben vedere, quindi, nel comparto pubblico il ricorso al contratto a termine deve essere scoraggiato in ogni maniera, e tollerato solo in casi particolari. Diversamente, esso deve considerarsi censurabile per violazione di norme imperative di legge; disincentivato anche per le conseguenze che può determinare in termini di garanzia di efficienza della pubblica amministrazione e di tutela dei lavoratori e deve essere risarcito al lavoratore il relativo danno subito.
Per porre rimedio a situazioni di <<precariato stabile>> createsi negli anni e dirette a far fronte ad esigenze permanenti dell’amministrazione, la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), all’art. 1, comma 519, ha previsto la
stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale assunto a tempo
determinato in servizio da almeno tre anni anche non continuativi nell’arco dell’ultimo quinquennio, purché siano state superate procedure selettive di tipo concorsuale86. Se è vero, come è stato osservato87, che si tratta di una sanatoria e, quindi, di una disposizione straordinaria ed eccezionale, finalizzata non a sanzionare comportamenti illegittimi ma solo a sanarne gli effetti, e come tale non destinata ad incidere su possibili comportamenti abusivi futuri, appare lodevole l’intento di frenare un uso eccessivamente disinvolto del lavoro precario e ripristinare una corretta gerarchia tra rapporto di lavoro a tempo indeterminato e rapporto di lavoro a termine, in cui sia restituita a quest’ultimo la tradizionale funzione di strumento di flessibilità diretto a soddisfare esigenze lavorative temporanee e non anche stabili.
Ed ancora poiché non è possibile la sanzione della conversione ed in pratica risulta impossibile per il Giudice investito della relativa questione convertire il contratto con un sentenza, è necessario che i Giudici operanti all’interno dei singoli Stati applichino le norme relative al risarcimento del danno in modo adeguato ed effettivamente commisurato alle aspettative risarcitorie del lavoratore, atteso che il risarcimento e/o l’indennizzo sono gli unici strumenti –
86RICCARDO NOBILE La stabilizzazione del personale a tempo determinato negli enti locali territoriali: l’art. 1, comma 558 della legge
27 dicembre 2006 n. 296 e le relative questioni interpretativo-applicative in www.lexitalia.it
87L. OLIVIERI, Dal blocco delle assunzioni a tempo indeterminato, al blocco delle assunzioni a tempo determinato, tra stabilizzazioni, sanatorie e schizofrenie legislative, in www.lexitalia.it., secondo il quale per prevenire abusi nella successione di contratti a termine, anziché creare una disciplina speciale di tipo amministrativo diretta a limitarne fortemente l’utilizzo, come ha fatto la legge n. 80/2006, occorrerebbe, al contrario, estendere al lavoro pubblico le tutele apprestate dal d.lgs. n. 368, in particolare la sanzione della “conversione”.
in attesa di una riforma complessiva o di una pronuncia della Corte Costituzionale – in grado di rendere giustizia al lavoratore assunto a seguito di una serie di contratti di lavoro il cui termine è illegittimo.
Nel nostro ordinamento è stata la giurisprudenza lavorista più sensibile alle problematiche dei lavoratori, sulla base delle richiamate indicazioni europee, ad apprestare una tutela giuridica avanzata nei confronti dei lavoratori precari del settore pubblico, predisponendo, nell’impossibilità di convertire con sentenza il contratto, un sistema risarcitorio od indennitario variamente disciplinato, e tendente a scoraggiare le P.A. a far ricorso all’odiosa pratica del contratto a termine.
Il giudice del lavoro del Tribunale di Genova ha ad esempio rilevato che, per quanto si presentino come negozi autonomi che dispongono una “proroga” del servizio da prestare, i contratti a termine conclusi in successione tra loro sono in aperto conflitto anche con il disposto di cui all’art. 4, primo comma, D. Lgs.
368/2001, il quale ammette la proroga del contratto di lavoro a tempo determinato una sola volta; in sostanza tale articolo dispone che «il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore
ai tre anni». Comunque, rileva principalmente il fatto che l’Autorità giudiziaria
del Tribunale genovese abbia ritenuto che, allo stato dell’ordinamento giuridico nazionale, l’unica misura attualmente idonea a tutelare i diritti del lavoratore a tempo del settore pubblico sia il risarcimento88 per equivalente, per cui «il criterio dell’adeguatezza e dell’effettività è data non soltanto dall’idoneità dello strumento a riparare il danno sofferto, ma anche dalla forza dissuasiva che è propria dei meccanismi sanzionatori».
3.3.1 IL PERSONALE DELLA SCUOLA
88Cass. 20 marzo 2012 n. 4417, Cass. 31 gennaio 2012 n.392, Cass. 15 giugno 2010 n. 14350
e Cass. 7 maggio 2008 n.11161
89Trib. Rossano 13/6/2007, Est. Coppola, con nota di Letizia Martini, 737)La responsabilità della PA, ai sensi dell'art. 36 D.Lgs. 30/3/01 n. 165 per illegittima apposizione del termine in una successione di contratti a tempo determinato, ha natura contrattuale; stante la legittimità della disciplina della mancata conversione, il danno risarcibile va commisurato alle retribuzioni non percepite per il tempo mediamente necessario per ricercare una nuova occupazione stabile, tenuto conto di zona geografica, età dei lavoratori, sesso e titolo di studio.
Trib. Genova 5/4/2007, Giud. Basilico, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano,...dall'accertata nullità del termine apposto al contratto di lavoro alle dipendenze di un'amministrazione pubblica non può conseguire la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; tuttavia, il lavoratore acquisisce il diritto al risarcimento del danno subito, che va parametrato alla sanzione prevista dal quarto e quinto comma dell'art. 18 St. Lav. Trib. Milano 12/1/2007, Est. Sala, in D&L 2007, 182....nell'ipotesi in cui, nell'ambito della dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, siano illegittimamente stipulati con soluzione di continuità diversi contratti di lavoro a tempo determinato, pur non potendo aversi conversione del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, è dovuto al lavoratore il risarcimento del danno, ex art. 36, 2° comma, D. Lgs. 165/01; tale risarcimento può essere quantificato calcolando l'indennità di esclusività prevista dalla contrattazione collettiva.
Nel mondo del lavoro italiano ed in particolare nel comparto pubblico , un settore particolarmente caldo e oggetto di continue discussioni è quello della scuola. Il reclutamento del personale della scuola, costituito da precari e personale di ruolo, è disciplinato dal d.lgs. n. 297 del 1994 e successive modificazioni ed integrazioni 90ed è escluso dall’ambito di applicazione della normativa dei contratti a termine prevista per i lavoratori privati. Lo speciale regime del reclutamento del personale scolastico c.d. precario si articola in un sistema di supplenze regolato dall'art. 4 della legge n. 124 del 1999 cit. I criteri in base ai quali sono conferite le supplenze annuali sono precisati dai successivi commi 6 e 7 i quali stabiliscono, ai fini dei successivi regolamenti da adottarsi con
D.M. - poi emanati con i D.M. n. 201 del 2000, n. 131 del 2007 e n. 430. L'art. 1, comma 605, lett. c), della Legge n. 296 del 2006 ha trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento. Il descritto quadro normativo rappresenta un insieme di fonti che valgono, per la loro completezza, organicità e funzionalizzazione, a costituire un corpus speciale autonomo disciplinante la materia del reclutamento del personale in ordine al quale, non trova applicazione, come innanzi rilevato, il D.Lgs. n. 368 del 2001 - emanato in attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES.
90La disciplina sul reclutamento del personale assunto a termine del cd. settore scolastico, ex d.lgs. n. 297 del 1994, non può ritenersi abrogata dal D.Lgs n.368 del 2001corrisponde al principio, immanente del nostro ordinamento giuridico secondo il quale lex. posterior generalis non derogat legi priori speciali per tutte Cass. 31 gennaio 2012 n.392 .
Ebbene proprio con riferimento al personale scolastico cd. precario la cui assunzione avviene attraverso un meccanismo di supplenze regolato dall’art. 4 della legge n. 124 del 1999 che sorgono i problemi di compatibilità con la normativa comunitaria.
Tale sistema delle supplenze dovrebbe costituire un percorso formativo-selettivo, al termine del quale il personale della scuola viene immesso in ruolo in virtù di un sistema alternativo a quello del concorso per titoli ed esami.
Un discorso analogo, peraltro, si può fare per le supplenze dal primo settembre al trenta giugno, le quali vengono conferite in relazione a “posti di fatto
91 La Corte specifica che la disciplina del reclutamento del personale scolastico, ed in particolare quella relativa al conferimento delle supplenze, è conforme alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro di cui alla Direttiva del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e costituisce, quindi, "norma equivalente".
disponibili”, vale a dire quei posti che non rientrano nel cosiddetto organico di diritto del personale docente, ma sussistono in funzione della variabilità del numero degli alunni iscritti. Anche nel caso di tale tipologia di supplenze, è consentita la reiterazione del contratto di lavoro per un numero indeterminato di volte (anche dieci o quindici anni scolastici, come effettivamente accade), con la conseguenza che, grazie a questo meccanismo di supplenze che la legge chiama “temporanee”, è possibile mantenere, eventualmente, sottodimensionato l’organico di diritto e soddisfare, contemporaneamente, le esigenze di lungo periodo dell’Amministrazione.
La legittimità dell'agire dell'amministrazione è, dunque, collegata al fattore oggettivo, relativo all’attività scolastica, ovvero allo stretto collegamento tra la necessità di ricorrere alla supplenza e la ciclica variazione in aumento ed in diminuzione della popolazione scolastica e la sua collocazione geografica. Né può sottacersi la situazione di precarietà risulta bilanciata ampiamente da una sostanziale e garantita immissione in ruolo che, per altri dipendenti del pubblico impiego è ottenibile solo attraverso il concorso e per quelli privati può risultare di fatto un approdo irraggiungibile. Ciò ha portato autorevole dottrina a parlare di una tipologia di flessibilità atipica destinata a trasformarsi in una attività lavorativa stabile.
Poiché l'agire dell'amministrazione scolastica è da ritenersi legittima mancando l'abuso del diritto nel succedersi di detti contratti, non può riconoscersi al lavoratore il diritto al risarcimento del danno. La conclusione,è da ricavarsi sia
dalla normativa statale che da quella comunitaria per le quali v'è la piena
legittimità del reclutamento del personale scolastico articolato sulla successione di pur numerosi contratti a termine, ravvisandosi un abuso del diritto nel caso in cui si sia in presenza di supplenze annuali o temporanee al di fuori delle condizioni legislativamente previste. In sostanza: a) nel particolare settore del personale della scuola statale non ha mai trovato attuazione la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla Direttiva 1999/70/CE, mentre la legislazione scolastica italiana consente una reiterazione di contratti di lavoro a termine, anche senza soluzione di continuità, volta a soddisfare esigenze strutturali dell’Amministrazione;
La decisione ultima della Cassazione 93 nel richiamare anche la sentenza della Corte europea94 ha evidenziato che ai contratti a termine stipulati dal personale ATA si applica la regolamentazione della Direttiva 1999/70/Ce e,
92MARCO CINI, La successione di contratti di lavoro a tempo determinato nella scuola statale Articolo 11.09.2009 www.altalex.it
93Corte di Cassazione – Sentenza n. 10127 del 20 giugno 2012
94Corte di Giustizia con ordinanza del 1° ottobre 2010 causa 03/10, Affatato, punto 40, e giurisprudenza comunitaria conforme ivi richiamata, secondo cui la clausola 5 dell'accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro del settore pubblico
conseguentemente, del D.Lgs. n. 368/200195. A questi contratti non si applica, quanto alle sanzioni relative alle violazioni del D.Lgs. n. 368/2001, l’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001, perché i contratti a termine sono stipulati nel rispetto della normativa di settore. Il diritto al risarcimento del danno subito non spetta in quanto manca l’abuso del diritto nel succedersi di detti contratti nel rispetto della normativa statale e di quella comunitaria L’abuso del diritto si può ravvisare solo nel in cui si sia in presenza di supplenze annuali o temporanee al di fuori delle condizioni legislativamente previste (come, ad esempio, nel mancato rispetto delle graduatorie nella assegnazione delle supplenze), che rende azionabile un sistema capace - in ragione di una accentuata responsabilizzazione dei dirigenti pubblici e del riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni subiti dal dipendente - di prevenire, prima, ed eventualmente di sanzionare, poi, in forma adeguata, l'utilizzo abusivo da parte dei suddetti dirigenti dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato96. Risulta invece applicabile l’art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001 (introdotto dalla l. n. 247/2007) anche alla
95Trib. Genova, 24/5/2011, Est. Basilico, in Lav. nella giur. 2011 ….La direttiva 1999/70/CE e il D.Lgs. n. 368/2001 (ivi compreso l’art. 5, comma 4 bis) che l’ha trasposta nell’ordinamento nazionale, sono applicabili anche ai contratti a termine nel settore scolastico, salve le norme speciali previste. L’inserimento nelle graduatorie permanenti a esaurimento non dà luogo ai presupposti per derogare alla regola del concorso pubblico prevista dall’art. 97, comma 1, Cost., e la violazione del D.Lgs. n. 368/2001 non comporta la riqualificazione dei rapporti a termine in un contratto a tempo indeterminato, in quanto sono di ostacolo le norme di cui agli artt. 36, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001 per il rapporto di lavoro pubblico in generale e 4, comma 1, L. n. 124/1999, per il comparto scolastico in particolare. Il risarcimento del danno ex art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 costituisce la misura appropriata, richiesta dalla Corte di Giustizia UE nelle cause “Marrosu-Sardino” e “Vassallo”, in quanto abbina alla portata strettamente risarcitoria del danno conseguente alla perdita del posto di lavoro l’effetto dissuasivo in ragione della rigidità del valore economico previsto. ….
96 Cass. 13 gennaio 2012 n. 392
Pubblica Amministrazione, e, dunque, in caso di superamento del limite dei 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, il contratto si considera a tempo indeterminato anche nel settore scolastico. Tale disposizione non contrasta con l’art. 97, comma 3, Cost., poiché, come nel caso del personale ATA – l’accesso all’impiego non avviene tramite concorso, bensì mediante procedure selettive e regimi di reclutamento diversi, ex art. 97, comma 3, Cost.; il richiamo al principio costituzionale del pubblico concorso, in quanto ostativo alla conversione, è inconferente97. Si tratta di una interpretazione nuova della giurisprudenza la quale sino ad oggi ha sostenuto98 che i rapporti di lavoro reiteratamente conclusi dal MIUR con gli insegnanti sono nulli per assenza di ragioni di carattere temporaneo alla base della stipulazione dei contratti stessi. Dalla nullità del termine apposto ai contratti di lavoro conclusi fra il Ministero e gli insegnanti non può derivare la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato stanti i principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione e il disposto dell’art. 36, d.lgs. 368/2001, ma solo il diritto al risarcimento del danno, danno che deve essere quantificato nella maggiore retribuzione che sarebbe spettata all’insegnante se fosse stato assunto a tempo indeterminato sin dalla costituzione del primo contratto a termine. Il D.Lgs. n. 165 del 2001 riconosce la praticabilità del contratto a termine e di altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico valorizzando il ruolo della contrattazione collettiva con l'attribuzione
97Trib. Napoli 16/6/2011, Est. Coppola, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Vincenzo De Michele, 697
98Trib. Treviso 20/7/2010, Giud. De Luca, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Francesco Rossi, 389)
alla stessa di una più accentuata rilevanza rispetto al passato e prevede, in caso di violazione di norme imperative in materia, un proprio e specifico regime sanzionatorio costituito dal diritto del lavoratore al risarcimento del danno. Principio quest'ultimo non contrastante con la direttiva 1999/70/CE, in quanto idoneo a prevenire e sanzionare l'utilizzo abusivo dei contratti a termine da parte della pubblica amministrazione e che è consequenziale alla configurazione come regolamentazione speciale ed alternativa a quella prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001 relativa alla disciplina generale del contratto a termine.
CONCLUSIONI
La strategia europea per l’occupazione sottolinea l'importanza delle politiche attive del mercato del lavoro che devono essere necessariamente programmate nel senso della flessibilità e sicurezza.
In tale contesto si colloca la direttiva 1999/70 la quale , suscitando perplessità e timori in chi vorrebbe un'applicazione uniforme e serrata della normativa europea, lascia ampia discrezionalità applicativa agli stati membri. L'obiettivo deve essere, dunque, la flessibilità ma nel contempo la riduzione della frammentazione del mercato del lavoro. Il contratto indeterminato non può garantire il raggiungimento degli obiettivi della riforma mentre forme contrattuali in cui le condizioni sono indubbiamente meno protettive possono da
un lato stimolare le imprese e dall’altro sviluppare nuove professionalità.
Il contratto di lavoro a tempo determinato rappresenta oggi un utile strumento che, per certi versi, permette a datore e lavoratore di contemperare i reciproci interessi, con indubbi benefici per entrambi e, in ultima analisi, per il mercato stesso. L'utilità e la capacità , grazie allo stesso di superare le difficoltà contingenti del mercato naturalmente sussiste solo laddove lo stesso non venga utilizzato arbitrariamente.
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