FIDALDO
FIDALDO
Federazione Italiana Datori di Lavoro Domestico
Aderente a Confedilizia
Memoria del 23 aprile 2015
Camera dei deputati
XI Commissione (Lavoro pubblico e privato)
ATTO DEL GOVERNO N. 158 SOTTOPOSTO A PARERE PARLAMENTARE
“Schema di decreto legislativo recante testo organico delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni (158)”
(articolo 1, commi 7 e 11, della legge 10 dicembre 2014, n. 183)
Associazioni Costituenti:
A.D.L.C.
INTRODUZIONE
Il lavoro domestico negli ultimi 100 anni ha cambiato completamente struttura e motivazione. Negli ultimi 25 anni, col recedere del welfare statale, le famiglie hanno dovuto sostituirlo. A ciò non ha fatto seguito una coerente modificazione della normativa.
Sempre nell’intento di tutelare le famiglie datrici di lavoro domestico più incisivamente, non potendoci limitare a rappresentarle solo nella contrattazione collettiva, interveniamo con la presente memoria per cercare di migliorare, anche se parzialmente con le poche osservazioni che rappresenteremo, una situazione sociale molto modificata e sicuramente pesante dal punto di vista economico.
Xxxxxxx sostenuto convintamente il recepimento del c.d. Jobs Act e la approvazione da parte del Parlamento ci trova sicuramente favorevoli. In occasione dei nostri precedenti interventi abbiamo sottolineato alcuni, pochi, punti negativi per il lavoro domestico. Uno di questi è il lavoro accessorio.
A questo proposito, vogliamo ricordare che: il settore del lavoro domestico è in netta espansione e questa espansione è ininterrotta sino al 2012, nonostante l’attuale, lunga, paurosa crisi economica che dal 2008 sta investendo l’Europa, l’Italia ed i paesi del sud Europa in misura drammatica. Soprattutto dal punto di vista occupazionale. I numeri e le previsioni statistiche lo dimostrano: nell’anno 2012 risultano iscritti all’INPS 993.719 lavoratori domestici, mentre nel 2011 erano 888.855. ISTAT e CENSIS indicano nel 2020 il raggiungimento di 2.000.000 di addetti al settore. Riteniamo che i dati, semmai, siano sotto stimati e già oggi i rapporti di lavoro domestico raggiungano tali cifre. Purtroppo più della metà dei rapporti di lavoro sono irregolari e completamente sconosciuti allo Stato (al nero).
In Europa ed in Italia sono all’ordine del giorno delle norme, come questa che stiamo esaminando, che vogliono affrontare il tema della occupazione ed il contrasto alla disoccupazione. Riteniamo che l’emersione del lavoro irregolare rientri pienamente in questa logica; soprattutto è importante affrontare il tema in un settore che è in espansione, in un settore il cui CCNL, se tutti i lavoratori fossero regolarmente denunciati, sarebbe già oggi il primo CCNL come numero di addetti; scavalcando metalmeccanici, pubblico impiego e commercio.
L’attenzione che chiediamo è quindi, a nostro avviso, legittima sia per le dimensioni del fenomeno, sia per la particolare condizione ambientale di esecuzione del lavoro, sia, infine, per il particolare status e del lavoratore domestico e della famiglia datrice di lavoro.
SINTESI DEI PUNTI PRINCIPALI
Non riteniamo affrontare l’articolato dell’Atto del Governo n. 158, in modo analitico, ma vogliamo affrontare solamente il Capo I (artt. da 51 a 54): Lavoro accessorio – il punto che ci pare critico, non solo per il lavoro domestico, è l’equivoco irrisolto della natura del lavoro accessorio, poi a seguire l’esclusione del settore del lavoro domestico dal plafond relativo al datore di lavoro.
Sul primo punto possiamo assicurare che l’assenza di una regolazione completa sta mettendo in difficoltà le famiglie che si debbono difendere in tribunale.
Sul secondo punto, sempre connesso al rischio di cause e vertenze, la mancanza di una soglia, gli € 2.000 come per imprese e professionisti, allarga ad oltre il 60% dei rapporti l’applicazione potenziale delle norme sul lavoro accessorio, anche se si tratta di lavoro non occasionale e stabile, in molti casi superiore a 10-15 anni di durata.
Le famiglie hanno bisogno di certezze e debbono fruire di tali norme senza correre il rischio di contenzioso.
LAVORO ACCESSORIO: ELEVAZIONE DEI LIMITI DI REDDITO ANNUI PREVISTI
L’art. 51 dell’Atto del Governo n. 158, prevede che “Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso dell’anno civile, … omissis … nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, …”
Nel settore domestico era già prevista la possibilità di ricorrere all’utilizzo del lavoro accessorio retribuito attraverso i buoni lavoro, ed essendo stato soppresso il limite dell’occasionalità, esisteva solo il limite reddituale. Secondo la normativa vigente i compensi complessivamente percepiti dal prestatore non possono superare per il 2014, € 5.050 netti (€ 6.740 lordi) nel corso di un anno solare, con riferimento alla totalità dei committenti. Il committente ha l’obbligo di verificare il non superamento del limite economico da parte del prestatore. A tal fine, dovrà richiedere al prestatore una dichiarazione in ordine al non superamento degli importi massimi previsti, riferita sia ai voucher riscossi nell’anno solare, che a quelli ricevuti dallo stesso o da altri committenti e non ancora riscossi.
Quindi, di fatto, già con il Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99, è stata liberalizzata la possibilità di utilizzo dei c.d. voucher. Il risultato è una impennata dell’utilizzo, che è quasi raddoppiato. Nel 2013 ha registrato per il nostro settore un incremento del 91%, rispetto all’anno precedente, passando da 880.000 ore nel 2012 a 1.550.000 ore nel 2013; nel 2014, i dati si riferiscono al solo primo semestre, sono stati venduti 1.100.000 il ché lascia supporre che ne siano stati venduti oltre
2.200.000 (incremento del 42%). Ciò ha prodotto sicuramente un’emersione di rapporti di lavoro, che altrimenti sarebbero rimasti in nero; però un uso troppo largo degli stessi (si pensi che il limite reddituale corrisponde all’attività di una colf per 23 ore settimanali), va a ridimensionare le tutele sociali che negli anni le parti hanno inteso riconoscere ai lavoratori. Non da ultimo la tutela della maternità.
Nel commentare l’Atto del Governo n. 158 del 9 aprile 2015, sottoposto a parere parlamentare, come FIDALDO ci domandiamo se questo è un fatto positivo tout-court o se, viceversa, dietro il fenomeno positivo descritto, vi siano delle insidie nel medio lungo periodo. Sottolineiamo l’esistenza di molteplici casi di ricorso al giudice e la concreta possibilità di contenzioso su vasta scala per rivendicare ferie, 13ma, TFR ed ogni altro istituto contrattuale non applicato. Come già accennato il quasi il 90% dei rapporti non a tempo pieno, anche se costanti, rientrerebbero in tale importo, contraddicendo il concetto di occasionalità reintrodotto, almeno per imprese e professionisti (c. 3 art. 52), e quello di accessorietà ribadito più volte nel documento del Governo inviato alle Camere.
Sicuramente l’utilizzo maggiormente permissivo sta facendo emergere, nel totale, rapporti di lavoro prima non regolari, ma la mancanza per il settore domestico del concetto di “occasionalità” e del plafond massimo per committente dei 2.000 euro previsti per imprese e professionisti, ci espongono a dei rischi. Non ci vogliamo sostituire ai sindacati, al contrario, vogliamo tutelare le famiglie e i datori di lavoro.
Siamo contrari perché l’esperienza ormai ci conferma che l’assenza dell’occasionalità di per sé è la conferma della regolarità, che permette ai lavoratori di contestare il mancato riconoscimento delle tutele contrattuali, dalle ferie alla tredicesima, al TFR, alla malattia, maternità, ecc.., regolarità (in assenza di occasionalità) che viene ribadita dal tetto massimo di € 7.000 ora in via di introduzione. Retribuzione questa percepita da oltre il 60% dei lavoratori domestici e da quasi il 90% dei lavoratori non a tempo pieno.
Su questo punto, peraltro, già nello scorso mese di luglio 2013 ci eravamo permessi di presentare all’XI Commissione del Senato, una memoria sulla nostra preoccupazione e contrarietà a tale liberalizzazione, durante l’iter di conversione del DL 76/2013, contrarietà ribadita nel 2014 in occasione delle audizioni alle commissioni di Senato e Camera durante l’iter di approvazione del “Jobs Act”.
Avendo meglio ponderato il complesso delle norme trattate nel presente Atto del governo n. 158, riteniamo che il lavoro accessorio potrebbe essere inteso come sostitutivo del lavoro para-subordinato dei Xx.Xx.Xxx. in via di eliminazione. Premesso che se ciò fosse vero, ed il numero in crescita dei voucher venduti lo lascerebbe presupporre (nel commercio si passa dai 7.900.000 del 2013 ai 12.100.000 del 2014), i lavoratori interessati anziché maggiori tutele ne avrebbero ancora meno che con gli attuali Xx.Xx.Xxx., ma poiché nel lavoro domestico non è presente il fenomeno dei Xx.Xx.Xxx., almeno da questo punto di vista sembreremmo esentati dal pensare male.
Ci siamo chiesti allora perché il Governo persevera nella liberalizzazione dello strumento voucher nel settore domestico senza tenere in debito conto i rischi connessi. La risposta molto venale parrebbe data dal fatto che l’incasso è immediato e in crescita, parliamo di 400 milioni di euro per il 2013 e di poco meno di 600 milioni per il 2014. Di questi importi è noto che il 25% rimane in parte allo Stato (INPS ed INAIL 20%) ed il resto al concessionario.
Ma se anche fosse, rimane il problema del contenzioso. È chiaro che qualche problema di diritto esiste: il lavoro occasionale di tipo accessorio, nel nostro ordinamento non è un terzo genere di lavoro, o si parla di lavoro subordinato di tipo accessorio o si parla di lavoro autonomo di tipo accessorio. Va da sé che in ambito domestico oltre il 90% dei rapporti di lavoro di tipo accessorio sarebbero del genere subordinato. Ne consegue ciò che già sta succedendo: senza un limite temporale contenuto (tre mesi, quattro mesi) o un limite quantitativo contenuto (2.000 euro), allo stato, non si può pensare di esentare il lavoro di tipo accessorio dagli obblighi della normativa vigente (per il lavoro subordinato: contratto di lavoro, istituti contrattuali, istituti assistenziali e previdenziali, comunicazioni obbligatori, ecc.; per il lavoro autonomo: IVA, scritture contabili, dichiarazioni, ecc.).
In estrema sintesi, sapendo che almeno per le famiglie la semplificazione ha un valore, chiediamo al Parlamento di ripensare il lavoro accessorio, invitando il Governo ad agire di conseguenza: o si stabilisce chiaramente quali sono gli adempimenti necessari per regolarizzare il lavoro accessorio, sia occasionale che non occasionale, sia subordinato che autonomo, ovvero si riformula la norma dichiarando apertamente che nei limiti indicati siamo in presenza di un terzo genere di lavoro che con il semplice pagamento tramite voucher esaurisce la sua effettività, senza obblighi ulteriori per il datore di lavoro e senza diritti ulteriori per il lavoratore.
Se ciò non sarà possibile, in subordine, riteniamo che il limite dei 2.000 euro per committente debba essere inserito anche per il lavoro domestico ed in generale per ogni altro tipo di lavoro accessorio come già previsto per imprese e liberi professionisti o, in alternativa, il limite temporale di 2 o 3 mesi in assoluto, per committente e per lavoratore. I voucher rimarranno pur sempre un mezzo di pagamento che non sostituisce gli adempimenti, ma i danni, in caso di contenzioso se azionato, rimarranno minimi. Non è la soluzione che auspichiamo ma occorre anche essere concreti.
Concordiamo, infine, con la variazione della definizione dell’anno di riferimento per la percezione del compenso di lavoro accessorio: il passaggio da anno solare ad anno civile faciliterà, almeno questo sì, la definizione esatta delle competenze ad un riferimento temporale altrettanto esatto.