PRIMA RELAZIONE SEMESTRALE
COMITATO PER LO STUDIO E LA PROMOZIONE DI ATTIVITA’ FINALIZZATE AL CONTRASTO DEI FENOMENI DI STAMPO MAFIOSO E DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA SUL TERRITORIO MILANESE ANCHE IN FUNZIONE DELLA MANIFESTAZIONE EXPO 2015.
PRIMA RELAZIONE SEMESTRALE
31 LUGLIO 2012
INDICE
-1) INTRODUZIONE 2
-2) LA PRESENZA MAFIOSA SUL TERRITORIO.
INCENDI, INTIMIDAZIONI ED OMICIDI A MILANO E PROVINCIA
DA GENNAIO 2011 A LUGLIO 2012 5
-3) LINEE GUIDA NELLA FASE DI AGGIUDICAZIONE
DEGLI APPALTI EXPO 2015 16
-4) I MODI OPERANDI MAFIOSI.
INDICAZIONI PER UNA STRATEGIA DI CONTROLLO SUI CANTIERI. 38
-5) LE INFILTRAZIONI DELLA CRIMINALITA’ NEGLI ESERCIZI COMMERCIALI, NEL TURISMO E NELLA RISTORAZIONE.
IPOTESI DI CONTRASTO. 72
-6) L’ORTOMERCATO.
CONSIDERAZIONI SUGLI ACCERTAMENTI PROCESSUALI E SUGLI ESITI DEI VARI PROCESSI RELATIVI ALLE INFILTRAZIONI CRIMINALI. 82
-7) L’ANTIMAFIA SOCIALE. NOTE E SUGGERIMENTI 87
-8) PROPOSTE CONCLUSIVE 97
-ALLEGATI 1, 2, 3
1) INTRODUZIONE
Nel mese di novembre del 2011 il Sindaco di Milano ha istituito un Comitato di esperti esterni all’Amministrazione per averne consulenza sui temi legati alla lotta alle infiltrazioni mafiose. Ha fissato a tale Comitato tre obiettivi: a) l’elaborazione di indicazioni utili a impedire alle organizzazioni di stampo mafioso di inserirsi negli appalti pubblici indetti dal Comune o dalle sue partecipate, con particolare riferimento all’Expo del 2015; b) il monitoraggio del fenomeno mafioso in città attraverso lo svolgimento di una funzione di rilevamento e di indagine; c) lo svolgimento di una funzione di promozione della cosiddetta antimafia sociale, considerata risorsa primaria per condurre una lotta efficace contro la presenza e la penetrazione dei clan in città. Ha raccomandato inoltre al Comitato di attenersi a due criteri, ugualmente necessari al suo buon funzionamento: a) la massima riservatezza; b) la massima indipendenza politica. I membri del Comitato si sono impegnati, per quanto nelle loro possibilità, al perseguimento degli obiettivi indicati e hanno condiviso senza riserve i criteri di condotta richiesti. Hanno dunque organizzato il proprio lavoro in modo sistematico a partire dal mese di dicembre, facendo riferimento per le loro esigenze alla struttura del Gabinetto del Sindaco. Hanno cercato di mettere in comune le proprie conoscenze sull’argomento, diverse per taglio disciplinare ed esperienza “sul campo”. Hanno svolto incontri interni di analisi e valutazione di problemi e di loro aspetti specifici, sulla base di materiale giudiziario, amministrativo o giornalistico. Xxxxx incontrato testimoni privilegiati: assessori, una rappresentanza della Commissione antimafia del Consiglio comunale, esponenti della Polizia locale, funzionari comunali, funzionari Aler, consiglieri di zona, esponenti di associazioni e del mondo della ricerca universitaria o del sindacato, esponenti della Sogemi. Hanno tenuto incontri ufficiali a ranghi completi o, quando non possibile diversamente, in delegazione. Hanno compiuto due distinti viaggi nella città di Torino, ospite delle Olimpiadi invernali del 2006. Il primo per incontrare lo staff della Xxxxxxx Xxxxxx 0000 (Xxxxxxx Xxxxxxxx) che ha predisposto all’epoca le procedure di trasparenza finalizzate a contrastare le infiltrazioni mafiose, ricevendone importanti indicazioni sul ruolo cruciale del sistema dei
controlli. Il secondo per incontrare i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia. In entrambi i casi il confronto è stato volto a capire le modalità di infiltrazione delle imprese di ‘ndrangheta in un contesto, come quello torinese, che pure aveva studiato ed esperito differenti misure e accorgimenti per impedirle. I membri del Comitato hanno anche organizzato appuntamenti individuali informali utili a raccogliere nella massima libertà (e completezza) notizie e valutazioni, su cui si sono reciprocamente informati. Xxxxx cioè cercato di mettere a frutto la snellezza della struttura e il loro patrimonio di relazioni personali per dare flessibilità e profondità al proprio lavoro. In un paio di occasioni hanno inviato attraverso il presidente brevi appunti riservati al Sindaco. A proprio ausilio si sono avvalsi del lavoro di segreteria e collegamento della Dottoressa Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, del Gabinetto del Sindaco, e del lavoro di ricerca condotto in qualità di stagista dal Dottor Xxxxxxx Xxxxxx. La presente Relazione costituisce il frutto del lavoro fin qui svolto. Essa si propone come la prima di una serie di relazioni semestrali, che potranno essere integrate da altri rapporti più mirati di cui il Sindaco dovesse avvertire l’urgenza. Non vi compaiono, per esigenze di organicità, diverse notazioni, preoccupazioni e suggestioni accumulate i questi mesi e che senz’altro potranno trovare sbocchi più maturi in prossimi scritti. Per quanto si sia cercato di uniformare il lavoro nello stile, e per quanto i contenuti siano stati condivisi nella loro progressione, vi si colgono con chiarezza i segni delle diversità culturali e biografiche dei membri del Comitato. Si è ritenuto di non sacrificarli, anche per rendere conto del pluralismo dei punti di vista, che rappresenta per la cittadinanza una garanzia di sensibilità e di equilibrio, oltre che una ricchezza dialettica di cui il Comitato ritiene di essersi giovato nello svolgimento della propria attività.
Come si vedrà, la struttura della Relazione privilegia quello che appare essere oggi l’aspetto più urgente della missione del Comitato. Mette cioè al centro la necessità di fronteggiare il rischio che con l’avvicinarsi dell’Expo il fattore tempo produca gli effetti perversi già prodotti altrove in occasioni simili: l’abbassamento delle soglie di legalità, la stigmatizzazione dei controlli come impacci controproducenti, l’arrivo - silenzioso e trionfale insieme- delle imprese di ‘ndrangheta o delle loro alleate.
Perciò la parte più consistente della Relazione è imperniata sui temi dei bandi nell’edilizia pubblica e delle strategie di controllo nei cantieri, a partire dal modus operandi che le imprese di ‘ndrangheta hanno messo in luce nel corso di questi anni. Non mancano però attenzione analitica e proposte concrete sugli altri obiettivi fissati istituzionalmente al Comitato. La parte finale della Relazione indica una batteria di proposte, tutte ritenute importanti e in grado di favorire il successo dei principi di legalità e correttezza amministrativa. Come viene spiegato, si tratta di classi di proposte diverse che hanno come denominatore comune la capacità di contrastare direttamente la penetrazione delle organizzazioni mafiose, ma che al tempo stesso sono portatrici potenziali (sul piano del metodo, sul piano simbolico) di una nuova qualità civile. In alcuni casi si tratta di proposte che possono essere attuate immediatamente e a costo zero. In altri casi esse chiedono, per la loro realizzazione, un impegno “di sistema”, a partire da quelle -ritenute centrali- relative alle prerogative istituzionali del Sindaco.
2) LA PRESENZA MAFIOSA SUL TERRITORIO
INCENDI, INTIMIDAZIONI ED OMICIDI A MILANO E PROVINCIA
gennaio 2011- luglio 2012
E’ opinione diffusa che in una città come Milano le organizzazioni mafiose operino in silenzio, cercando di non dare nell’occhio. Vige il pregiudizio che, avendo esse interesse a operare “in Borsa e nella finanza” e a condurre felicemente le proprie attività di riciclaggio, non abbiano interesse a commettere violenze fisiche. Da cui si deduce, talora con ambiguità di intenti, l’invisibilità della mafia, l’estrema difficoltà di riscontrare la presenza dei suoi modi operativi; l’idea di una presenza “pacifica”, che in genere viene estesa per analogia a tutte le grandi città del nord. Si tratta di un errore grave. Le organizzazioni mafiose possono progettare anche al nord atti di violenza massima o dirompente, compresa l’uccisione di magistrati. Uccisero il procuratore di Torino Xxxxx Xxxxxx già nel 1983. E dieci anni dopo programmarono proprio a Milano, da Xxxxxxxxxx, l’uccisione dell’odierno procuratore aggiunto Xxxxxxx Xxxxxx, per fortuna venendo colpite per tempo da un’ondata di arresti che bloccò il progetto. Nel ventennale della sua morte, l’insegnamento più utile del giudice Xxxxxxxx Xxxxxxx per la città di Milano sta dunque proprio nel monito che egli rivolgeva alle autorità elvetiche per indurle a collaborare: “Prima arrivano i loro soldi, poi arrivano i loro uomini e i loro metodi”. E’ pur vero che su un piano generale la condotta della mafia è stata storicamente volta a tutelare la propria invisibilità, intesa come requisito stesso della sua forza. Ma è altrettanto vero che quando si è trattato di far largo alle sue “ragioni” essa non ha certo rinunciato per principio all’esercizio dell’intimidazione e della violenza, naturalmente sempre sottoponendone l’opportunità a una valutazione (più o meno pertinente) delle condizioni di contesto. Per questo l’hinterland milanese ha registrato anche negli ultimi anni una quantità impressionante di episodi di violenza, soprattutto (ma non solo) legati al controllo dei cantieri. I processi “Cerberus”, “Parco Sud” e “Crimine Infinito”, per citarne alcuni, ne hanno fornito una chiara dimostrazione. A Milano, attualmente, e diversamente dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso, la
violenza si dirige soprattutto verso le “cose”. Ha cioè una intensità contenuta, che si manifesta nei confronti di obiettivi diversi. E che sembra escludere una competizione sistematica interna al mondo criminale. E’ infatti opinione degli investigatori che, specialmente per quel che riguarda il traffico degli stupefacenti, la città, per la straordinaria ampiezza che presenta il suo mercato, offra spazio a tutti i gruppi malavitosi. Tanto che nel panorama criminale si sono potuti inserire agevolmente anche numerosi clan stranieri, fra l’altro in continuo aumento di identità etnica (ultimamente, dopo la crescita dei kosovari, si registra l’arrivo dei montenegrini). Viene pure fatto notare che, nonostante i ricorrenti “impossessamenti” di fette di territorio da parte di questo o quel gruppo mafioso, non si possa parlare di “sovranità territoriale” secondo il modello tipico delle regioni di origine, funzionante invece in alcune aree dell’hinterland. Ogni forma di controllo del territorio ha avuto cioè una durata temporanea, senza riprodursi “per diritto storico” una volta colpita dalle autorità giudiziaria e investigativa. A Milano, insomma, la situazione sarebbe caratterizzata da una certa, non bellicosa, fluidità criminale. Tuttavia, se non vi sono allo stato guerre intestine, si registra comunque una certa inquietante tendenza all’uso di una violenza intimidatrice verso l’esterno delle organizzazioni. Che esprime due livelli di aggressività. Il primo è quello della violenza verso le istituzioni. E’ un fenomeno che non va sottovalutato affatto. L’esempio più clamoroso è quello che ha riguardato l’incendio della struttura sportiva comunale di via Iseo, ad Affori, lo scorso ottobre dopo la revoca della sua gestione a una società sulla quale gravava l’ipotesi di collegamenti con ambienti di natura ‘ndranghetista (la zona viene indicata come sottoposta a un controllo del clan Flachi). L’incendio in quel caso venne appiccato da più punti in pieno pomeriggio. Lo si potrebbe considerare un episodio isolato, a sé stante, se lo scorso aprile qualcosa del genere non fosse accaduto a una importante struttura produttiva del Comune di Desio, letteralmente devastata di notte, utilizzando una elevata professionalità tecnica e producendo, anche lì, danni ingenti. Il fatto è che il cambio di marcia impresso nei confronti delle organizzazioni mafiose in diversi comuni a opera di nuove maggioranze o sulla spinta delle azioni giudiziarie ha
modificato per tali organizzazioni un quadro precedente fatto di indifferenza, tolleranza o addirittura di collusione. Xx è dunque verosimile che possano registrarsi in futuro altri episodi di intimidazione; o che possano replicarsi gli episodi minori di “avvertimento” rivolti a esponenti delle istituzioni decentrate. Un secondo livello di aggressività è quello che si manifesta verso alcune categorie di operatori privati, connesso con lo sviluppo di attività estorsive. Si tratta di un ambito di analisi problematico, poiché le denunce sono rarissime, in qualche periodo si azzerano perfino (gli inquirenti segnalano un notevole distacco tra le possibilità, anche tecniche, di colpire l’usura e quelle di colpire le estorsioni). E’ stato segnalato al Comitato un aumento delle pressioni estorsive in zona 9, che vedrebbe come testimoni allarmati alcuni commercianti di quell’area. In questo contesto si spiegherebbe anche un episodio di incendio. E proprio gli incendi stanno diventando nella realtà cittadina una spia particolare della vivacità degli interessi criminali. Il Comitato ha cercato di censirli, con tutte le difficoltà che nascono dal fatto che una parte consistente di essi non finisce sulla stampa nemmeno nelle notizie di cronaca più minute . La collaborazione con l’Ufficio Statistica e Rapporti di Intervento di Soccorso del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco Milano dovrebbe consentire, a partire dal mese di settembre, di possedere informazioni più sistematiche. E in particolare di venire a conoscenza:
1) di qualsiasi intervento per incendio doloso effettuato in tutta Milano e Provincia,
2) delle caratteristiche dei proprietari delle autovetture andate a fuoco, così da poterne eseguire una catalogazione per professione e attività lavorativa, e potere eventualmente cogliere strategie di intimidazione in atto verso particolari categorie di persone.
Per sottolineare l’importanza che questi atti “minori” rivestono nel metodo mafioso è senz’altro opportuno citare la recente sentenza di primo grado, rito abbreviato, dell’Operazione Infinito, depositata il 1 giugno 2012. Da pagina 113:
“… deve rilevarsi come dalle indagini sia emerso un quadro inquietante, costituito da un imponente numero di eventi intimidatori, tutti caratterizzati dall'omertà delle vittime - che sempre hanno dichiarato di non avere sospetti su nessuno e di non aver mai ricevuto pressioni o minacce di alcun tipo -, dal fatto che ad essere colpite sono state quasi sempre cose e mai persone (salvo che per l'usura), e dalla tendenziale non elevata intensità dell'atto intimidatorio. Per dare solo un'idea, sono emersi più di centotrenta incendi dolosi, per lo più ai danni di strutture imprenditoriali, e oltre settanta episodi intimidatori commessi con armi,munizioni e in alcuni casi esplosivi. Sono tutti episodi - per la loro analitica descrizione si rimanda per evidenti ragioni di economia processuale alle pagine 217 e seguenti dell'istanza del pubblico ministero – che testimoniano anche il pervasivo controllo operato dalle locali e la esteriorizzazione del metodo mafioso, come dimostrano anche le evidenti reticenze in cui le vittime.”
Sentenza rito abbreviato I grado, Operazione Infinito
Ed ancora a pagina 126:
“Alla serie di episodi i cui autori sono stati almeno in parte individuati va aggiunta la impressionante teoria di fatti di incendio chiaramente doloso, esplosione di colpi d'arma da fuoco, lancio di bottiglie molotov e atti simili, commessi nei luoghi ove imperano i diversi locali di 'ndrangheta. Il pubblico ministero ne indica a titolo di esempio, dal 2006 al 2010, almeno un centinaio a danno nella grande maggioranza dei casi di beni di imprese o titolari di imprese commerciali. Le vittime hanno invariabilmente dichiarato di non aver mai subito minacce o richieste di denaro e di non avere idea del motivo degli atti criminali né di chi potesse averli posti in essere. E' evidente su base logica che tali dichiarazioni sono invariabilmente false e reticenti, frutto della paura se non in alcuni casi di omertà. Non è infatti verosimile l'immotivato compimento di reati anche gravi di danno, compiuti con le modalità tipiche del racket delle estorsioni e del controllo mafioso del territorio, senza motivo e senza connessa richiesta di denaro o utilità.”
E’ dunque interessante osservare qui di seguito, pur con i limiti di rappresentatività appena ricordati, la successione di alcuni episodi significativi (tra i quali un omicidio a torto ritenuto “periferico”), recentemente segnalati dalla stampa su Milano e provincia. Il periodo preso in considerazione è quello che va dal gennaio 2011 al luglio di quest’anno. Il lavoro di catalogazione svolto, come detto, è basato sulle sole fonti giornalistiche. La consultazione dei maggiori quotidiani locali online, su
Anno 2011, Milano città
Incendi in danno di locali notturni
Il 2011 é stato caratterizzato dall’elevato numero di incendi dolosi a danno di locali notturni.
Il primo avviene a febbraio in zona 6. Ad essere incendiato è il locale “Fox River” di via Xxxxxxxxxxx:
“Il locale era gestito dalla Xxxx Xxx, una società per la Procura legata al clan Fidanzati, palermitani, Cosa nostra. Le quote societarie sono finite sotto sequestro su mandato del gip Xxxxxxxx X'Xxxxxxxxx. Del rogo di febbraio, che ha distrutto le sette vetrine del locale, si parla nel decreto di sequestro. Chi ha bruciato il Fox River? Non si sa.”
Xxxxxx Xxxxxx, Corriere della sera, 10 ottobre 2011
Il secondo locale ad andare a fuoco è il “Cappados” di viale Monza, zona 2, il 31 luglio:
“Non hanno fatto in tempo a chiuderlo, il Cappados di viale Monza, che poco dopo le 18.30 di ieri un incendio doloso ne ha danneggiato l'ufficio: bruciati un divano e uno scaffale. Lo stop di
90 giorni della discoteca era stato deciso dal questore dopo l'ultima sparatoria (ferito al polpaccio un 22enne albanese con precedenti) alle 4 di mercoledì notte, coperta da omertà:
nessun testimone, sangue lavato sul marciapiede prima dell'arrivo dei Cc. Già ad ottobre scorso il Cappados era stato chiuso, sempre per 90 giorni.”
La Repubblica, 31 luglio 2011
Il terzo locale notturno che subisce un attentato incendiario è lo “Sugar Lounge”, ubicato in zona 9, Quartiere Isola, il 28 settembre. Quest’ultimo compare nell’inchiesta “Redux-Caposaldo” del marzo 2011 nella quale viene incluso tra i beni appartenenti alla famiglia ‘ndranghetista dei Flachi. Il quarto e ultimo locale notturno dato alle fiamme nel corso del 2011 a Milano città è l’ex “Transilvania”, il 2 ottobre in zona 7. Per quest’ultimo non vengono individuati legami espliciti con alcuna organizzazione criminale. La fonte giornalistica “xxxxxxxxxxx.xx”, di natura amatoriale, cita come responsabili alcuni ragazzi adolescenti. Tuttavia il giornalista del “Corriere della sera” Xxxxxx Xxxxxx, inserisce il nome del locale in un articolo intitolato “La mafia all’ombra dei fuochi. Se Milano brucia (in silenzio)”. L’elemento che comunque accomuna le due visioni contrapposte, e tutti gli incendi di locali notturni elencati, è la chiara natura dolosa dell’atto.
Attentato incendiario ed ulteriori danneggiamenti al centro sportivo di Ripamonti, via Iseo, Affori.
Dal 2008 il centro sportivo di via Iseo era stato affidato in gestione dal Comune alla società “Milano Sportiva”. Dopo l’indagine Redux Caposaldo (marzo 2011), che portò alla luce legami tra l’ente gestore ed il clan ‘ndranghetista dei Flachi. la nuova Amministrazione revocò la concessione. Il 9 ottobre 2011 ignoti penetrano nel centro sportivo e danno fuoco alla struttura. Subito, il 13 ottobre, viene organizzato un corteo di protesta dal consiglio di Zona 9, che vede la partecipazione di circa mille persone. Ciononostante le intimidazioni non si fermano e nei primi giorni di novembre ignoti entrano ancora una volta nel centro rubando circa 5000 litri di gasolio con l’ausilio di un camion. Si riporta di seguito un passo di un articolo della giornalista di “Repubblica” Xxxxx Xxxxxxx che, intervistando alcuni residenti in
seguito alla seconda intimidazione, mette in luce l’alone di paura prodottosi nella zona.
«La gestione è provvisoria, si cerca una società affidabile. Il risultato è che la bella piscina rimane ancora poco frequentata: 300 gli iscritti ai corsi e 1.800 ingressi liberi a ottobre. I ragazzini all’uscita da scuola alla Xxx Xxxxxx lo ammettono: «La mamma non vuole più che vada in piscina, ha paura» dice Xxxxxxx. L’incendio dell’8 ottobre ha spaventato tutti: «Un gesto davvero sfrontato nei confronti del quartiere — dice amareggiata Xxxxxxx Xx Xxx — fatto per di più di sabato pomeriggio, quando il parco di villa Litta qui vicino era pieno di gente. Volevano davvero spaventarci».
La Repubblica, 6 novembre 2011
La terza ed ultima intimidazione al centro sportivo di via Iseo si verifica il 29 dicembre. A distanza di alcuni giorni dalla festa per la sua riapertura vengono danneggiati lavandini, tubature, docce, e viene provocata una fuoriuscita d’acqua che allaga il palazzetto.
Ulteriori avvenimenti in città:
- Aggressione a colpi d’arma da fuoco da parte di due uomini con il volto coperto da un casco avvenuta ai danni di un cittadino marocchino in zona 5 il giorno 11 ottobre. Scesi da uno scooter di grossa cilindrata, i due colpiscono l'uomo al volto con il calcio di un fucile e gli sparano tre colpi di pistola, dei quali solo uno lo colpisce a una gamba.
- Incendio doloso di un’edicola in zona 6 avvenuto il 7 febbraio. Il proprietario aveva in precedenza denunciato d’aver ricevuto alcune minacce per non meglio precisati “motivi d’interessi”.
- Incendio del punto SNAI in via Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, zona 9, da parte di quattro uomini non identificati.
Milano provincia
Attentati contro esercizi commerciali della famiglia Passafaro
La famiglia Xxxxxxxxx é composta da quattro fratelli impiegati nella gestione di alcuni bar, panetterie e pasticcerie. Da lungo tempo residenti sul territorio di Binasco, comune situato a sud di Milano, nel corso del 2011 subiscono tre intimidazioni nei confronti di loro esercizi commerciali. La tipologia degli attentati ha visto un crescendo di pericolosità: partendo da semplici incendi fino ad arrivare all’impiego di piccole bombe artigianali. Due nuovi attentati colpiscono le attività commerciali dei Passafaro nel corso del 2012. Il primo avviene in data 21 marzo con una bomba artigianale fatta detonare di fronte alla pasticceria “80 voglia di te” di Trezzano sul Naviglio. Il secondo in data 6 giugno a Binasco, quando l’esplosione di un ordigno artigianale di elevata potenza, sistemato di fronte alla panetteria “Il fiore del pane”, causa, oltre a gravi danni alla struttura commerciale, anche il primo ferito lieve della lunga serie d’intimidazioni subito dalla famiglia.
Anno 2012, Milano città
Incendi in danno di locali notturni
L’unico incendio in danno di un locale notturno in questo periodo é quello del “Lilí la tigresse” in zona 3, avvenuto il 30 aprile. La natura dolosa dell’incendio è stata confermata dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco.
Incendi in danno di mezzi di trasporto
Numerosi incendi hanno coinvolto mezzi di trasporto quali automobili e motociclette. Non in tutti i casi riportati nella tabella è stato possibile accertare la natura dolosa dell’incendio. L’episodio più importante avviene in xxx Xxxx 00, zona 8, dove in data 13 maggio ignoti danno alle fiamme dieci automobili. L’articolo di giornale dal quale è stata tratta la notizia parla apertamente di “vendetta tra pregiudicati” senza fornire ulteriori dettagli in merito.
Incendi in danno di commercianti
Quattro sono stati gli episodi incendiari che hanno colpito attività commerciali:
- Incendio ai danni di un negozio di alimentari.
In data 27 febbraio un incendio danneggia un negozio di generi alimentari in via Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, zona 9. La consultazione dell’archivio dei Vigili del Fuoco ha conferma la dolosità dell’atto.
- Incendio ai danni di un negozio mobile di fiori.
In data 8 maggio si verifica un episodio ai danni di un cittadino del Bangladesh di professione fioraio, al quale viene dato alle fiamme il furgone utilizzato per svolgere l’attività lavorativa.
- Incendio in danno del negozio mobile del xxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx, testimone di giustizia.
La notte tra il 17 e il 18 luglio, in via Celoria a Città Studi, viene incendiato l’autonegozio di panini di Xxxxxx Xxxxx, testimone di giustizia nel processo “Redux Caposaldo”. Xxxxx è stato l’unico, tra tanti suoi colleghi, a confermare la testimonianza contro il clan Flachi per le attività estorsive condotte nei confronti dei venditori di panini e bibite. L’attentato, se letto insieme con l’assassinio (vedi sotto) del testimone Xxxxxxxx Xxxxx a Xxxxxxxxx, e con il clima di terrore segnalato da molte deposizioni processuali, indica con chiarezza la strategia dei clan calabresi: procurarsi l’impunità giudiziaria con una spettacolare pratica di violenza e intimidazione verso i soggetti non obbedienti alla regola dell’omertà. In questo caso la vittima riceve subito la solidarietà pubblica degli studenti della vicina Facoltà di Fisica.
- Incendio ai danni del ristorante Ciardi.
L’ultimo incendio doloso registratosi è quello del ristorante Xxxxxx ubicato in via San Xxxxxxxx, la medesima del famoso “Luini”. Si sottolinea come in questo caso l’incendio sia avvenuto in pieno centro storico, proprio tra il Duomo e il Comune.
Incendi del campo nomadi di via Bonfadini
Durante il mese di aprile due incendi interessano l’area occupata dal campo nomadi in zona 4. Non è possibile stabilire la natura dolosa di nessuno dei due incendi. Ciononostante il poeta ed attivista di nazionalità statunitense Xxxx Xxxxxxxx, già investito dall’ONU di un mandato per la tutela delle minoranze Rom, e che al momento dell’incendio stava dormendo nel campo, denuncia la dolosità del secondo incendio, avvenuto il 15 aprile. Dall’inchiesta dedicata all’argomento dal blog “Milano in movimento” si viene a conoscenza di alcuni progetti di allargamento della tangenziale xxxxxxxx e della rete fognaria, in attesa dello sgombero del terreno occupato dai nomadi per dare inizio ai lavori.
Milano provincia
L’omicidio di Xxxxxxxx Xxxxx
L’unico omicidio chiaramente attribuibile alla criminalità organizzata registratosi a Milano e provincia in questo periodo è appunto quello di Xxxxxxxx Xxxxx, fratello di Xxxxxxxx Xxxxx, collaboratore di giustizia nel processo ai danni del clan Xxxxxx di Cologno Monzese, origine per gli imputati di una severa sentenza d’appello. Xxxxx viene ucciso il 10 maggio in via dei Mille a Vimodrone da due killer giunti su una moto.
In generale, per quel che riguarda le forme di violenza più diffusa, e tenendo conto della assoluta parzialità dei dati riportati, si può già individuare l’esistenza di due categorie “sotto pressione” : la prima è quella delle discoteche, tradizionale oggetto di interesse, e per tanti motivi (dal controllo dei buttafuori allo smercio di stupefacenti), dei clan mafiosi; la seconda è quella degli esercizi commerciali, dai livelli più qualificati a quelli più precari. Vale la pena aggiungere in proposito, e salvo quanto si dirà più avanti nel Capitolo 5, che il settore del commercio registra una presenza più “mista” delle organizzazioni criminali rispetto alle attività edilizie - monopolizzate dalla ‘ndrangheta-, segnalando una significativa presenza della
camorra. E che esso è ambito, oltre che per le opportunità di riciclaggio, anche per le opportunità che consente proprio in termini di controllo del territorio. In tal senso sono state segnalate al Comitato presenze o movimenti sospetti e di una certa intensità nelle zone del Ticinese, di corso Garibaldi, di via Washington e di Bruzzano. Quando queste segnalazioni sono state fornite in modo circostanziato se ne è data informazione all’autorità di polizia per gli opportuni sviluppi investigativi.
3) LINEE GUIDA NELLA FASE DI AGGIUDICAZIONE DEGLI APPALTI EXPO 2015
1. Cenni generali
Va premesso che la P.A., per la realizzazione delle opere programmate, ricorre all’affidamento con la procedura dell’appalto nelle sue due forme principali: procedura di evidenza pubblica o asta e procedura ristretta: c.d. licitazione privata. La procedura dell’evidenza pubblica indica la necessaria fase procedimentale prodromica all’attività negoziale della P.A.. Sono tenuti all’evidenza pubblica, oltre allo Stato ed agli enti pubblici, i concessionari di pubblico servizio e le società risultanti dalla privatizzazione per il carattere pubblico degli interessi tutelati.
L’evidenza pubblica è un procedimento caratterizzato da una sequenza di fasi, volte, da un lato, a garantire la legittima e corretta formazione della volontà contrattuale pubblica e, per altro verso, attraverso la trasparenza delle fasi ( in particolare quella relativa alla scelta del contraente), ad assicurare la concorrenzialità della procedura. La prima delle fasi che caratterizzano la procedura dell’evidenza pubblica è la deliberazione a contrarre nella quale l’Autorità procedente deve evidenziare le ragioni che la inducono a contrattare e l’interesse pubblico che viene perseguito e realizzato con lo strumento negoziale; le altre fasi attengono all’aggiudicazione e conclusione del contratto, all’approvazione del medesimo ed alla sua esecuzione.
Con riferimento alla prima delle fasi indicate, l’Autorità procedente sottopone all’Autorità di controllo uno schema di contratto tipo, che può essere predisposto in accordo con l’altro contraente. Lo schema di contratto tipo deve, peraltro, inserire le clausole dei capitolati generali e speciali relativi al rapporto negoziale concludendo.
I capitolati generali sono atti della P.A. che recano la disciplina generale dei contratti appartenenti ad un determinato tipo. I capitolati speciali, di contro, sono atti che recano la disciplina relativa ad un singolo rapporto contrattuale.
Determinato il contenuto del contratto e conseguita l’autorizzazione a contrarre, la procedura dell’evidenza pubblica prevede particolari modalità di scelta del contraente, teoricamente finalizzate al perseguimento dell’obiettivo della trasparenza. L’individuazione della modalità selettiva è effettuata con il bando che costituisce la lex specialis della procedura ( le più rilevanti forme selettive contemplate dal codice dei contratti pubblici sono le procedure aperte, le procedure ristrette, entrambe utilizzabili in via generale, le procedure negoziate ed il dialogo competitivo). Costituisce una procedura aperta il pubblico incanto (asta pubblica), caratterizzato dalla pubblicazione dell’avviso d’asta, dall’ammissione dei concorrenti all’incanto sulla base della verifica dei presupposti e dei requisiti di legge, dallo svolgimento dell’asta e dall’aggiudicazione (procedura aperta secondo la dizione del codice dei contratti pubblici). Costituisce, invece, una procedura ristretta la licitazione privata che si distingue dal pubblico incanto in quanto la partecipazione non è aperta a tutti ma solo a quei soggetti che siano stati preventivamente invitati ad offrire. Tale procedura, di norma, prevede che, a seguito di un bando, i soggetti interessati inoltrino domanda onde potere essere inclusi nell’elenco delle imprese invitate, allegando vari tipi di informazione attestanti l’aderenza ai requisiti previsti.
Si deve sottolineare e segnalare, a tal fine, che nell’indicare le caratteristiche soggettive per la partecipazione alla gara di appalto non è insolito che le stesse vengano commisurate allo scopo di adattarsi quasi esclusivamente ad uno o solo a taluni soggetti “privilegiati”. Sicché, da parte del Comune da cui dipende l’ufficio che redige il bando, è necessaria la massima sorveglianza per contrastare, al contempo, fenomeni di corruzione e di infiltrazione della criminalità organizzata.
La trattativa o licitazione privata è la tipica procedura negoziata che si svolge attraverso la scelta del contraente da parte dell’amministrazione procedente dopo contatto privato e riservato (procedura negoziata secondo la dizione del codice dei contratti pubblici).
La licitazione privata è una procedura ristretta, nell’ambito della quale, possono presentare offerte solo i prestatori invitati e si articola in due fasi fondamentali: una
prima fase di preselezione dei prestatori, in possesso dei requisiti minimi di partecipazione, da invitare alla successiva fase della procedura concorsuale; una seconda fase di valutazione delle offerte e di aggiudicazione dell’appalto.
L’appalto concorso è una procedura di scelta caratterizzata dal fatto che i ritenuti idonei sono invitati a presentare progetti tecnici di lavori e forniture ed è articolata nelle due fasi della preselezione dei prestatori da invitare e della valutazione dell’offerta maggiormente conveniente. A differenza della licitazione privata, nell’appalto concorso l’amministrazione aggiudicatrice invita i prestatori preselezionati a presentare una proposta avente contenuto non esclusivamente economico ma anche, e soprattutto, progettuale.
Prima criticità
Molto spesso accade che alle imprese aggiudicatarie sia stato fornito in fase di appalto un progetto guida o un progetto preliminare rispetto al quale l’impresa si impegna alla redazione del definitivo e dell’esecutivo. Se questo avviene dopo l’assegnazione, finisce per costituire una inesauribile fonte di richieste di varianti che snaturano totalmente il contenuto economico dell’offerta. Questa procedura, tipicamente italiana, e questo tipo di aggiudicazione, andrebbro attentamente valutate e per quanto possibile evitate. In sostanza, l’amministrazione aggiudicatrice richiede ai prestatori preselezionati di presentare una proposta tecnica, economica e progettuale del servizio oggetto di affidamento:
-rispondente alle caratteristiche ed ai requisiti dalla stessa prestabiliti nel bando di gara; da valutare sulla base di criteri e principi prefissati, concernenti non solo la relativa maggiore o minore convenienza economica , ma anche, e soprattutto, la maggiore o minore validità tecnico-progettuale.
La fase della scelta del contraente si conclude con l’aggiudicazione. Il codice dei contratti pubblici prevede, al riguardo, due sistemi generali di aggiudicazione, quello del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa come pure l’appalto concorso. Alla stregua di quanto precede il documento di cui si tratta è finalizzato a rafforzare le azioni di prevenzione e contrasto delle infiltrazioni
criminali nel settore dei contratti di lavori, servizi e forniture, sia pubblici che privati con riferimento specifico ad Expo 2015 e a favorire la diffusione della cultura della trasparenza e del rispetto delle regole nelle attività economiche. Con la premessa assorbente di metodo che le linee guida da proporre devono essere caratterizzate da : a) semplicità; b) tempi di realizzazione compatibili con le risorse amministrative disponibili o mobilitabili; c) sintonia con il rapporto costi-benefici; d) difficile impugnabilità sul piano giuridico. Al fine di incrementare la cooperazione tra settore privato e pubbliche autorità, si manifesta l’opportunità di un meccanismo informativo che coinvolga le Prefetture – Uffici Territoriali del Governo e le Forze di Polizia, da un lato, e il sistema confindustriale dall’altro. Così come deve essere concretamente favorita la partecipazione a protocolli di intesa tra soggetti pubblici, imprese, associazioni di categoria ed organizzazioni sindacali. Il presente documento, si ripete, persegue il fine di fornire alcune indicazioni operative, deputate a semplificare e chiarire le modalità di attuazione dei principali impegni da parte degli operatori.
Seconda criticità
Oltre a quanto detto in materia di criteri di selezione dei concorrenti e dunque della possibilità di “confezionare” bandi “ad excludendum”, va sottolineato quanto segue.
Tutte le procedure di assegnazione degli appalti prevedono che l’iter approvativo comporti da parte della stazione appaltante – fatta eccezione per le offerte aggiudicate unicamente secondo il criterio del prezzo migliore (xxxxxxx xxxxxxx ecc,)- alcune fasi delegate a speciali commissioni i cui commissari sono di norma funzionari dell’ente appaltante. Poiché la maggior parte dei criteri secondo i quali la commissione approva o sceglie sono di natura squisitamente soggettiva, risulta ovvio che in ultima istanza la scelta dell’appaltatore è affidata a soggetti che possono essere oggetto di pressioni di ogni natura. La composizione di dette commissioni deve perciò essere oggetto di particolare attenzione e, nel caso in cui la loro formazione fosse tassativamente indicata dal Codice degli Appalti, e dunque
non modificabile con semplice indicazione di buone pratiche, o da qualsivoglia legge statale, regionale o regolamento comunale, va ricercata con la massima sollecitudine la possibilità di deroghe da richiedere tra i poteri del Commissario straordinario.
2. Il modello di collaborazione delineato
Il modello di collaborazione proposto, in ossequio a quanto già delineato in taluni protocolli, segnatamente quello varato dalla Commissione per la legalità nazionale, costituita presso il Ministero dell’Interno, prevede un doppio livello di adesione, del tutto spontaneo, da parte del sistema imprenditoriale. Da un lato, l’adesione delle Associazioni territoriali e/o delle Associazioni di categoria di Confindustria , dall’altro, l’adesione da parte delle singole imprese associate. L’adesione delle prime è condizione necessaria, sul piano operativo, affinché le imprese associate possano essere coinvolte nell’attuazione degli obiettivi del documento, assumendosi, tra le altre cose, l’impegno a predisporre un elenco di partner commerciali, preventivamente qualificati dal punto di vista tecnico, finanziario ed etico dalle stesse committenti (cd. vendors’ list). L’adesione al Protocollo, si sottolinea, è espressione di una scelta volontaria, una best practice in termini di trasparenza e legalità da parte delle imprese del sistema confindustriale e non, che consentirà di incrementare i livelli di responsabilità e correttezza di chi fa impresa. Quanto sopra anche in ossequio al decreto legislativo n. 231/2001 per la parte relativa alla prevenzione dei reati di criminalità organizzata.
Con specifico riferimento alla parte pubblica, le Prefetture - UTG sono soggette automaticamente all’applicazione delle regole e degli impegni di cui al documento programmatico, sia nei rapporti con le Associazioni confindustriali di riferimento sul territorio, che in quelli con le imprese richiedenti le informative antimafia prefettizie.
3. L’adesione delle Associazioni territoriali e del sistema Confindustria
3.1 Modalità ed effetti dell’adesione
Le Associazioni che aderiscono al Protocollo di Legalità devono assumere tale decisione con una delibera dell’organo collegiale allargato (es. Giunta) o dell’Assemblea, che sia in grado di impegnare la volontà dell’ente. Tale delibera deve esplicitamente rinviare ai principi e alle regole indicati nel Protocollo e nelle Linee Guida attuative e la sua adozione rende direttamente operativi per le Associazioni gli impegni in essi contenuti. In particolare, in forza dell’adesione, l’Associazione si impegna a:
1. recepire automaticamente nella propria normativa la delibera della Giunta Confederale del 28 gennaio 2010 sulla trasparenza dei comportamenti nelle Associazioni del Mezzogiorno, conformandosi ai relativi obblighi;
2. diffondere la conoscenza del modello di collaborazione in questione presso le imprese associate e promuoverne l’adesione;
3. gestire le informazioni previste dal medesimo nei rapporti con le imprese associate (dichiarazione di adesione, variazioni nei certificati camerali e vendors’ list), ai fini delle successive comunicazioni a Confindustria, nei modi e tempi stabiliti;
4. monitorare il livello di adesione e promuovere il rispetto dei relativi impegni da parte delle imprese aderenti e la collaborazione tra queste ultime e le autorità ispettive e di controllo, anche ai fini dell’eventuale adozione di opportuni provvedimenti (es. sospensione/espulsione per violazioni degli impegni).
3.2 L’ attuazione dell’intesa e i protocolli aggiuntivi
Si auspica, peraltro, che, quanto ad Expo 2015, la stipula dei protocolli d’intesa tra le Prefetture e le Associazioni territoriali di Confindustria veda il coinvolgimento anche dei rappresentanti delle altre parti sociali, allo scopo di estendere la rete a
presidio della legalità e di rafforzarne l’efficacia. Con l’obiettivo primario di assicurare una più efficace applicazione dei principi di legalità al settore delle costruzioni, si segnala che il 19 ottobre 2011 è stato firmato un accordo tra Confindustria e Ance, con l’individuazione di un percorso specifico per le imprese del settore delle costruzioni.
4. L’adesione delle imprese del sistema Confindustria
4.1 Modalità ed effetti dell’adesione
L’adesione al modello di collaborazione è riservata alle imprese anche associate al sistema confindustriale e deve essere formalizzata mediante una delibera dell’organo dotato di poteri di gestione e/o direzione (es. Consiglio di amministrazione). L’impresa aderente, se associata al sistema confindustriale, è tenuta a comunicare la delibera di adesione all’Associazione (territoriale o di categoria) di appartenenza e a consegnare a quest’ultima un apposito modulo compilato, contenente anche l’informativa e l’autorizzazione al trattamento dei propri dati personali, nonché il certificato camerale con dicitura antimafia. Quanto agli effetti, si evidenzia che l’impresa si impegna a rispettare una serie di obblighi di carattere generale, quali:
- comunicare all’Associazione le eventuali variazioni delle informazioni riportate nel proprio certificato camerale, riguardanti i soggetti dotati di poteri di rappresentanza legale, di amministrazione e il direttore tecnico, che dovessero verificarsi successivamente all’adesione .
- denunciare tempestivamente eventuali fenomeni estorsivi nei confronti di propri dipendenti, rappresentanti, familiari dell’imprenditore o altri soggetti legati all’impresa da rapporti professionali;
- non avvalersi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione di forme di intermediazione o di rappresentanza indiretta per l’aggiudicazione di commesse pubbliche.
4.2 Vendors’ list: modalità di predisposizione e contenuto
L’impresa si obbliga a predisporre e mantenere aggiornato un elenco degli operatori economici (cd. vendors’ list), previamente qualificati dal punto di vista tecnico, finanziario ed etico, con i quali si appresta a stipulare un contratto. In sede di prima applicazione, la predisposizione della vendors’ list deve avvenire con riferimento ai contratti conclusi nei sei mesi successivi all’adesione. Alla scadenza di tale periodo, l’impresa aderente è tenuta a comunicare la propria vendors’ list all’Associazione di appartenenza con le informazioni e le modalità indicate più avanti. Le successive comunicazioni semestrali da parte dell’impresa aderente devono riguardare esclusivamente eventuali aggiornamenti della propria vendors’ list e, qualora l’elenco non abbia subito modifiche nell’arco temporale considerato, devono limitarsi alla conferma della precedente trasmissione. Ai fini della qualificazione e dell’iscrizione nella vendors’ list, l’impresa aderente deve impegnare contrattualmente la controparte al rispetto delle seguenti misure:
- consegna della documentazione antimafia richiesta (certificato camerale con dicitura antimafia ovvero copia dell’informativa prefettizia nel caso di contratti sopra soglia o relativi a “servizi e forniture sensibili”) e comunicazione delle eventuali variazioni intervenute;
- consegna di copia del modello DURC per attestare la regolarità contributiva e fiscale. Sul punto, si ricorda che il decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 - cd. Decreto Sviluppo, convertito dalla legge n. 106 del12 luglio 2011, ha introdotto una nuova previsione (art. 4, comma 14-bis), che consente ai soggetti che stipulano contratti di forniture e servizi fino a ventimila euro con la pubblica amministrazione e con le società in house di autocertificare l’assolvimento degli obblighi contributivi, producendo una dichiarazione sostitutiva in luogo del DURC, ai sensi dell'art. 46, co. 1, lett. p), del DPR n. 445/2000. Tale previsione si
ritiene applicabile, ai soli fini del modello in esame, anche ai contratti tra operatori privati, oltre che a quelli pubblici, con la conseguenza che il fornitore di un’impresa aderente potrà consegnare un’autocertificazione sostitutiva del DURC nel caso in cui il contratto sia di importo compreso tra 10.000 euro (i.e. soglia di rilevanza per l’inserimento in vendors’ list) e 20.000 euro;
- osservanza delle vigenti norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
- impegno a consentire la tracciabilità dei flussi finanziari derivanti dall’esecuzione del contratto;
- denuncia di fenomeni estorsivi;
- nei soli appalti pubblici, quando cioè l’impresa aderente al documento opera in qualità di stazione appaltante, acquisizione della preventiva approvazione di quest’ultima prima di stipulare eventuali subappalti e subcontratti ai sensi dell’art. 118, co. 11 del Codice appalti.
L’assunzione di tali impegni da parte del contraente prescinde dal fatto che questi abbia formalmente aderito al modello di collaborazione e dalla sua stessa appartenenza al sistema di Confindustria. A garanzia del rispetto degli adempimenti sopra indicati, l’impresa aderente deve inserire nei contratti apposite clausole risolutive espresse ex art. 1456 c.c. Va inoltre rilevato che la vendors’ list riguarda esclusivamente il cd. ciclo passivo dell’impresa aderente, vale a dire i rapporti economici che questa instaura con imprese che eseguono lavori ovvero forniscono beni e servizi al di sopra di soglie di rilevanza prestabilite. In altri termini, nella vendors’ list non devono essere inseriti i clienti/committenti dell’impresa aderente (cd. ciclo attivo), ma i suoi fornitori effettivi, anche se stranieri. Per quanto riguarda le citate soglie di rilevanza, si precisa che nelle vendors’ list devono essere inseriti gli operatori economici che forniscono all’impresa aderente prestazioni in esecuzione di contratti di importo superiore a 10.000 euro. Di conseguenza, per i contratti il cui importo sia inferiore a questa soglia non è necessario procedere a tutti gli adempimenti richiesti ai fini della selezione qualificata dei partner commerciali.
Con riferimento ai contratti che hanno ad oggetto l’esecuzione di prestazioni continuative o periodiche, si precisa inoltre che non occorre inserire nella vendors’ list i relativi esecutori qualora il contratto preveda un importo non superiore a
50.000 euro. Si precisa, inoltre, che, nel caso di adesione al modello da parte di imprese o gruppi di imprese che svolgono la propria attività su scala nazionale e che hanno sedi o filiali in diverse aree del territorio nazionale, ciascuna sede o filiale può predisporre la propria vendors’ list, comunicandola all’Associazione di riferimento. Per quanto riguarda il contenuto della vendors’ list, essa deve riportare rispetto a ciascuna impresa contraente le seguenti informazioni: ragione/denominazione sociale, partita IVA/Codice fiscale, sede legale, settore di attività, indirizzo e-mail. Tali informazioni sono contenute anche nel certificato camerale con dicitura antimafia di ciascuna impresa contraente. Pertanto, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo da parte dell’impresa aderente al Protocollo, si ritiene sufficiente la trasmissione all’Associazione di appartenenza di un elenco con i nominativi delle proprie controparti commerciali unitamente al loro certificato camerale antimafia (laddove non sia richiesta l’informativa prefettizia).
Criticità
Le disposizioni che indicano un limite di spesa al di sotto del quale alcune norme a tutela della trasparenza non vengono applicate comporta il grave rischio del cosiddetto “frazionamento” delle commesse o degli appalti, sia da parte delle stazioni appaltanti che, qualora concernano anche subappalti o forniture anche di questi ultimi. O si aboliscono queste limitazioni i s’introducono norme stringenti che per esempio non consentano i frazionamenti e soprattutto in caso di frazionamento non consentano che ne beneficino in fasi successive la stessa impresa o ditta o imprese e ditte collegate tra di loro.
4.3 Documentazione antimafia ai fini della formazione delle vendors’ list: modalità e procedure di rilascio
Ai fini della formazione delle proprie vendors’ list, le imprese aderenti sono tenute ad acquisire dalle imprese fornitrici che superano le soglie indicate al paragrafo precedente, i certificati camerali con dicitura antimafia. In luogo del certificato camerale antimafia, per i contratti il cui importo sia pari o superiore alle soglie di valore individuate nelle Linee Guida1 ovvero per quelli riguardanti “forniture e servizi sensibili”2, indipendentemente dal loro valore, l’impresa aderente deve assicurarsi che i contraenti possano esibire un’informativa antimafia negativa (condizione essenziale per la stipula del contratto) e che rinnovino la richiesta di informativa alla scadenza del periodo di validità della stessa (condizione per la prosecuzione del rapporto). L’utilizzo della documentazione antimafia, nell’ambito sia del rapporto tra l’Associazione e l’impresa aderente, che in quello tra quest’ultima e i suoi partner commerciali, deve essere conforme alle disposizioni del
D. Lgs. n. 196/2003 (Codice privacy). Al riguardo, il Codice privacy prevede definizioni e regole di trattamento differenziate a seconda che i dati personali utilizzati abbiano natura “comune”, “sensibile” e/o “giudiziaria”. Di conseguenza, al fine di individuare gli adempimenti da osservare nell’impiego di tale documentazione da parte dei soggetti privati, è essenziale precisare la natura dei dati trattati. Resta, infatti, inteso che per quanto concerne il rilascio delle
1 Ai sensi delle Linee Guida, le informazioni antimafia del Prefetto devono essere richieste per i contratti di importo pari o superiore alle seguenti soglie, al netto dell’imposta sul valore aggiunto:
Contratti pubblici
- 250.000,00 euro per gli appalti di lavori;
- 150.000,00 euro per i subappalti e sub-contratti di lavori;
- 150.000,00 euro per gli appalti di servizi e forniture.
Contratti privati
- 3.000.000,00 Euro per gli appalti di lavori;
- 1.500.000,00 Euro per i subappalti e sub-contratti di lavori;
- 900.000,00 Euro per gli appalti di servizi e forniture;
- 450.000,00 Euro per i subappalti e sub-contratti di servizi e forniture.
2 Costituiscono “forniture e servizi sensibili”, come indicato anche nella Direttiva 23 giugno 2010 del Ministro dell’Interno, le seguenti attività: trasporto di materiale a discarica; trasporto e smaltimento rifiuti; fornitura e/o trasporto terra e materiali inerti; acquisizioni, dirette o indirette, di materiale da cava per inerti e di materiale da cave di prestito per movimento terra; fornitura e/o trasporto di calcestruzzo; fornitura di ferro lavorato; fornitura e/o trasporto di bitume; noli a freddo di macchinari; fornitura con posa in opera e noli a caldo; servizio di autotrasporto; guardianie dei cantieri.
informative antimafia per i contratti pubblici, anche sotto soglia, si applicano le norme vigenti che disciplinano le modalità di richiesta delle informazioni prefettizie da parte della stazione appaltante. Quanto al certificato con dicitura antimafia rilasciato dalle Camere di Commercio, esso consiste in un ordinario certificato di iscrizione nel Registro delle Imprese che attesta l’insussistenza (nella forma del “nulla osta”), a carico dei soggetti titolari di cariche o qualifiche nell’impresa, delle cause ostative di cui all’art. 10, legge n. 575/1965 (recante la disciplina delle misure di prevenzione). Ai sensi del Codice privacy, la notizia riportata in tale “nulla osta” è qualificabile come dato personale comune (art. 4, co. 1, lett. b), non idoneo a rivelare informazioni di natura giudiziaria, e può quindi essere trattata previa informativa e con il consenso espresso dell’interessato.
L’informativa prefettizia, richiesta per le prestazioni sopra soglia e per le “forniture e servizi sensibili”, viene invece rilasciata dal Prefetto a seguito di accertamenti diretti a verificare la sussistenza di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa a carico di soggetti titolari di cariche o qualifiche nell’impresa interessata (DPR n. 252/1998, art. 10). L’informativa antimafia, può pertanto avere contenuto negativo (cd. informativa liberatoria) o positivo (cd. informativa interdittiva).
Il potenziale partner dell’impresa aderente deve esibire - pena l’impossibilità di contrarre con l’impresa aderente - un’informativa liberatoria, vale a dire contenente la mera notizia dell’assenza di provvedimenti che rivelano infiltrazioni mafiose nell’impresa. In termini di disciplina della privacy, il documento contiene quindi un dato personale di natura comune, che l’impresa aderente - e l’Associazione di appartenenza - può trattare previo rispetto degli obblighi di informativa e consenso espresso dell’interessato. Diversamente, nel caso in cui il fornitore sia destinatario di una informativa interdittiva (originaria o sopravvenuta), le informazioni riportate potrebbero avere natura “giudiziaria” (art. 4, co. 1, lett. e) in quanto idonee a rivelare la qualità di indagato o imputato dei soggetti per cui sono state effettuate le verifiche ovvero l’esistenza nei loro confronti di provvedimenti - relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa - iscrivibili nel casellario giudiziale (art. 4, co. 1, lett. e) del Codice privacy che rinvia ai provvedimenti di cui all’art. 3, co. 1, lett. da a) a o)
e da r) a u) del D.P.R. n. 313/2002). Ai sensi del Codice privacy, il trattamento dei dati giudiziari da parte di soggetti pubblici e privati è consentito soltanto se autorizzato da espressa disposizione di legge o provvedimento del Garante, che specifichino le rilevanti finalità di interesse pubblico, le tipologie di dati trattati e di operazioni eseguibili (artt. 21 e 27). Pertanto, in ossequio al dettato del Codice privacy anche in presenza di una informativa interdittiva, la richiesta di informativa deve essere indirizzata alla Prefettura-UTG direttamente dall’impresa interessata - che nell’istanza è tenuta a indicare le informazioni relative al contratto da stipulare (nominativo del contraente che aderisce al modello di collaborazione, oggetto e importo dei lavori, dei servizi o delle forniture affidati). A fronte della richiesta, il Prefetto provvede a rilasciare all’impresa richiedente l’informativa e, successivamente, a comunicare all’impresa aderente al Protocollo l’esito, positivo o negativo, della verifica. Quest’ultima informazione conserva la natura di dato personale “comune”, che può essere trattata previo consenso informato del richiedente, in quanto non è idonea di per sé a rivelare la qualità di indagato o imputato ai sensi degli artt. 60 e 61 del c.p.p., né lo specifico provvedimento iscritto nel casellario giudiziale ex citato art. 3 del DPR n. 313/2002. Tale procedura appare idonea a garantire la massima fluidità nelle comunicazioni e il rispetto della disciplina in tema di protezione dei dati personali, consentendo al sistema promosso dal Protocollo di esplicare concreta efficacia.
La medesima procedura va reiterata alla scadenza del periodo di validità della documentazione antimafia da parte dell’impresa fornitrice. Sempre in tema di documentazione antimafia, si segnala che, in attuazione delle deleghe contenute nella legge 13 agosto 2010, n. 136 (“Piano straordinario contro le mafie”), è stato approvato il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, che rivede e semplifica anche le disposizioni in materia di documentazione antimafia, riducendo, tra l’altro, tale documentazione a due sole categorie (la comunicazione e l’informazione), estendendo ad un anno l’efficacia dell’informazione prefettizia e prevedendo l’istituzione presso il Ministero dell’Interno di una banca dati nazionale unica della
documentazione antimafia. Le novità in materia di documentazione antimafia introdotte dal nuovo Codice antimafia, una volta in vigore alla scadenza del periodo transitorio previsto dall’art. 119 del citato Xxxxxx, renderanno per molti aspetti più chiara e agevole l’attuazione dei relativi adempimenti ad opera delle imprese coinvolte. Infine, si formulano alcune considerazioni in merito all’applicabilità della normativa sulla documentazione antimafia agli operatori economici stranieri. Per quanto riguarda l’informativa antimafia ai soggetti stranieri, la questione è già stata esaminata dal Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere in occasione della redazione delle Linee Guida per i controlli antimafia emanate per la ricostruzione in Abruzzo (Linee Guida Caasgo, pubblicate in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 12 agosto 2010). Il Comitato ha evidenziato la necessità di attivare gli accertamenti antimafia anche nei confronti degli operatori stranieri, comunitari ed extracomunitari, coinvolti nell’esecuzione di appalti di lavori, servizi e forniture, in quanto la vigente normativa individua espressamente le situazioni sintomatiche da cui è possibile desumere i tentativi di infiltrazione mafiosa, consentendo in tal modo di effettuare le verifiche prefettizie anche rispetto a questi soggetti. Al contrario, la vigente normativa non consente di richiedere il certificato camerale con dicitura antimafia ai potenziali partner stranieri. Pertanto, nel caso di contratti con controparte straniera, per i quali é richiesta esclusivamente la produzione del certificato camerale antimafia, tale adempimento non sarà dovuto.
4.4 Rapporti tra vendors’ list e white list prefettizie
L’art. 4, co. 13 del Decreto Sviluppo (D.L. 13 maggio 2011, n. 70), allo scopo di potenziare i controlli antimafia nei subappalti e subcontratti derivanti da appalti pubblici, dispone l’istituzione, presso ogni Prefettura, di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (c.d. white list), ai quali possono rivolgersi gli esecutori di lavori, servizi e forniture pubblici. La norma estende, a livello nazionale, lo strumento delle “white list”, già previsto da norme speciali emanate in occasioni di eventi eccezionali (es. art. 16, co. 5, del D.L.
n. 39/2009, convertito dalla l. n. 77/2009, per la ricostruzione in Abruzzo; art. 3- quinquies del D.L. 135/2009 per la realizzazione delle opere relativi all’Expo 2015). La norma affida poi alle Prefetture il compito di effettuare verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei suddetti rischi e, in caso di esito negativo, di disporre la cancellazione dall’elenco dell’impresa coinvolta. Le modalità per l’istituzione e l’aggiornamento delle white list, nonché per l’attività di verifica periodica, sono demandate ad un successivo D.P.C.M. Una volta reso operativo, tale strumento potrà quindi contribuire a rafforzare il sistema dei controlli antimafia nelle attività economiche, integrando le misure individuate dal Protocollo di Legalità ai fini di una selezione responsabile e qualificata dei partner commerciali e semplificandone i relativi adempimenti, specie con riferimento alla predisposizione delle vendors’ list. Infatti, l’impresa aderente al modello di collaborazione in esame di Legalità che intende stipulare un contratto con un operatore economico già inserito nella white list della Prefettura non sarà tenuta a richiedere a quest’ultimo la produzione della documentazione antimafia necessaria ai fini della conclusione del contratto. L’iscrizione dell’operatore economico nella white list attesta che sono state già effettuate nei suoi confronti le necessarie verifiche antimafia - a prescindere dalla richiesta di una specifica informativa prefettizia – e appare, quindi, idonea ad evitare di ripetere tale richiesta ai fini della predisposizione della propria vendors’ list.
5. Tracciabilità dei flussi finanziari
In tema di tracciabilità dei flussi finanziari, si rammenta che le Linee Guida indicano in 2.000 euro la soglia di valore delle transazioni connesse con l’esecuzione di lavori o con la prestazione di servizi e forniture, oltre la quale è necessario tracciare il relativo pagamento mediante il ricorso a intermediari autorizzati. Tale misura deve essere letta in maniera coordinata con gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari connessi derivanti dall’esecuzione di contratti pubblici disciplinati dal Codice degli appalti (cfr. art. 3, l. n. 136/2010, come modificato dal D.L. 187/2010, convertito con modifiche dalla l. n. 217/2010)., nonché con le nuove norme in materia di
limitazioni all’uso del contante introdotte dal cd. Decreto “Salva Italia” (cfr. art. 12, co. 1, D.L. n. 201/2011, convertito con modifiche dalla l. n. 214/2011). A quest’ultimo riguardo, si segnala che il limite legale all’utilizzo del contante è stato ridotto da 2.500 euro a 1.000 euro (art. 49, co. 1, D. Lgs. n. 231/2007, cd. “decreto antiriciclaggio”), per cui tutti i pagamenti di valore pari o superiore a tale importo, effettuati tra soggetti non abilitati (vale a dire soggetti diversi da banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane SpA) a qualsiasi titolo, devono essere eseguiti con modalità tracciabili. Ne consegue che, fermo il rispetto degli obblighi di legge in relazione ai contratti pubblici, la soglia di 2.000 euro prevista dalle Linee Guida per la tracciabilità dei pagamenti derivanti dai contratti tra soggetti privati deve intendersi sostituita dalla nuova soglia legale di 1.000 euro fissata dalla normativa antiriciclaggio. si precisa che l’impegno a tracciare i pagamenti che superano la soglia di 2.000 euro deve intendersi riferito esclusivamente ai contratti tra soggetti privati, stipulati successivamente alla data di adesione al Protocollo e a condizione che non derivino da un appalto pubblico. Inoltre, con esclusivo riferimento alle ipotesi di contratti stipulati tra soggetti privati, si rileva che, oltre al contratto tra committente privato e appaltatore, i contratti della filiera interessati dalla tracciabilità ai sensi del Protocollo sono soltanto quelli cd. di primo livello, cioè quelli stipulati direttamente dall’appaltatore. In questi casi, pertanto, sul piano operativo, nei rapporti che non derivano da appalti pubblici le parti possono garantire il rispetto dell’impegno della tracciabilità delle transazioni “sopra soglia” utilizzando bonifici bancari e postali, o altri strumenti di pagamento, idonei a tracciare e documentare il relativo flusso finanziario (es. assegni non trasferibili, Xx.Xx., RID, carte di credito), senza tuttavia dover osservare anche le altre modalità - più prescrittive - dettate dalla legge n. 136/2010 per il settore degli appalti pubblici (ad esempio, utilizzo di conti dedicati, indicazione di codici identificativi di gara). fermo restando che per tali contratti non sono richiesti l’utilizzo di conti dedicati, l’indicazione di codici identificativi di gara o il rispetto di altre modalità - più prescrittive - imposte per legge agli appalti pubblici.
Criticità
Il problema della tracciabilità dei pagamenti sembra orientato soprattutto a evitare il cosiddetto “nero” nel commercio al dettaglio, nei rapporti privati e nel modo dell’artigianato. Per quanto riguarda il mondo delle imprese nulla si dice della tracciabilità dei movimenti finanziari intergruppo e simili. La materia è troppo vasta per poterla includere nel nostro ambito di attività.
6. Indicazioni integrative
Al fine di incrementare e rendere sempre più efficace l’azione di contrasto alla criminalità organizzata Il Comitato Antimafia, istituito dal Sindaco di Milano, propone, in via generale, di evitare norme esclusive e di procedere nei bandi secondo architetture a punteggio che escludano pressoché automaticamente determinate categorie di imprese.
Segnatamente quelle:
-di cui non sia accertabile la titolarità in capo ad una o più persone fisiche;
-di cui non risulti attendibile la stessa titolarità per le caratteristiche professionali delle stesse persone;
-che abbiano la propria sede legale nei c.d. “paradisi fiscali”;
-che siano di recente costituzione, salvo che per i consorzi od altre tipologie di soggetti di impresa costituiti recentemente o per l’occasione da imprese di apprezzabile anzianità aziendale;
-che abbiano un numero di dipendenti inferiore a standard definiti in relazione alle caratteristiche generali dell’appalto da acquisire.
Propone, inoltre, che tali criteri valgano obbligatoriamente, sia pure con standard da definire, per le imprese assegnatarie di subappalti.
Commento al documento indicante le deroghe richieste da Lombardia Infrastrutture.
Vanno tutte valutate attentamente perché sub specie di “urgenza” si passa sopra ad alcuni termini previsti per legge quale quello assai rilavante dei giorni a disposizione delle imprese invitate per presentare l’offerta ridotto da 80 a 30 giorni. Se si volesse mantenere questo orientamento è necessario che la stazione appaltante cui compete la redazione del progetto preliminare, che non s’improvvisa certo in qualche giorno, metta a disposizione dei concorrenti il progetto stesso in itinere, compresa la sua descrizione e ogni elemento in corso di elaborazione, in modo tale che le imprese concorrenti possano attrezzarsi da punto di vista tecnico e di analisi di mercato dei fornitori iniziando un pre-studio dell’offerta che affinerà solo nel momento in cui verrà bandita ufficialmente la gara. Questo meccanismo consentirebbe anche di porre fine al malcostume che alcune imprese “amiche” conoscano gli elementi costitutivi dell’appalto prima della pubblicazione dello stesso. Questa informazione in itinere dovrebbe partire almeno 90 giorni prima della presunta indizione della gara.
Avvertenza
Quanto sopra concerne particolarmente le fasi precontrattuali e contrattuali. Il tema dello sviluppo del contratto e delle cautele nella sua conduzione sino agli esiti finali sarà oggetto di altro documento.
7. Considerazioni a margine sui sistemi degli appalti
Esaminando tutta la filiera dell’edilizia, si nota che già i primi anelli, quelli della produzione della normativa urbanistica, sono essenzialmente permeabili alla penetrazione mafiosa a livello politico, nel senso che gli interessi mafiosi puntano a ottenere modifiche di destinazione delle aree nei piani di governo del territorio nella fase della loro formazione come nella fase della loro applicazione con il meccanismo delle varianti. L’infiltrazione, della quale si hanno continue notizie,
riguarda in tal senso la corruzione di consiglieri comunali, assessori e funzionari dirigenti delle pubbliche amministrazioni; ma riguarda ancor prima il sostegno elettorale che viene fornito a personaggi vicini alle cosche o addirittura diretta emanazione delle stesse.
Il contrasto a questo tipo d’infiltrazione è opera difficile, che parte persino dai criteri di eleggibilità dei singoli consiglieri comunali e giunge alle designazioni da parte delle pubbliche amministrazioni di consiglieri di amministrazione in società possedute, partecipate o comunque controllate dalla pubblica amministrazione.
Il Comune di Milano si è dato delle norme per la designazione di questi consiglieri che dovrebbero, se vi è la volontà politica, escludere le infiltrazioni mafiose.
La materia dell’appalto è invece più complessa e richiede un discorso di una certa profondità. L’esame compiuto dal Comitato anche attraverso audizioni di funzionari coinvolti nella gestione degli appalti ha mostrato aspetti interessanti e spesso contradditori. Opinione corrente è che la legislazione vigente sia del tutto insufficiente a garantire “meccanicamente” un argine all’infiltrazione mafiosa proprio in considerazione che questa legislazione non consente “meccanicamente” di contrastare il malaffare “generico”. La nostra cronaca è piena di episodi di corruzione, concussione e altri reati che nulla hanno a che vedere con le infiltrazioni mafiose. Si è proceduto anche a un esame della legislazione vigente soprattutto per gli aspetti che riguardano le procedure di gara e i sistemi di aggiudicazione. Le conclusioni che se ne possono trarre con riguardo all’intero sistema, anche indipendentemente dalle infiltrazioni mafiose, sono in qualche modo sconfortanti. Non c’è sistema di gara che tuteli realmente la pubblica amministrazione e che riesca ad ottenere un giusto equilibrio qualità-prezzo-prestazioni. La polemica sul sistema cosiddetto del massimo ribasso, sistema oggetto di pesanti critiche negli ultimi tempi, non tiene conto che esso non è né meglio né peggio di tutti gli altri. Altri in cui, pure, la fantasia del legislatore sembra essersi sbizzarrita inseguendo architetture legislative mille miglia lontane dalla realtà e dall’interesse della pubblica amministrazione. Il legislatore si dibatte sin dai tempi dell’unità d’Italia nelle maglie di questo problema pensando che le norme possano sostituire l’onestà
e i controlli.
In altra parte del documento ne abbiamo riferito nel dettaglio e, osservando da vicino l’attività della pubblica amministrazione o delle società da essa controllate, il Comitato pensa, con riferimento ai bandi di gara, di poter indicare alcuni degli aspetti più rilevanti di questa complessa realtà.
- incertezza dell’oggetto dell’appalto
Questo è uno dei più gravi difetti del sistema. La pubblica amministrazione non è quasi mai in grado di appaltare opere il cui progetto (inteso come progetto definitivo, descrizione e previsione di spesa) sia completo, realizzabile, giustamente previsto nei suoi tempi di esecuzione, giustamente quantificato e organizzato in modo da ridurre al minimo gli incerti dovuti al sito o a tutte le circostanze che possono influire sull’andamento dei lavori.
- durata dei tempi di approvazione
Troppo spesso dal momento nel quale la pubblica amministrazione decide un’opera e stanzia come d’obbligo i fondi necessari, e dunque lo fa sulla base di un progetto, al momento della realizzazione passa troppo tempo e questo molto spesso induce a modifiche progettuali (indispensabili o volute) che rendono necessarie varianti in corso d’opera con tutto quello che ne consegue.
- assoluta opacità nei meccanismi di appalto sulla nomina, ove necessaria, di commissioni aggiudicatrici
Molte delle fattispecie di sistemi di aggiudicazione prevedono la formazione di commissioni di esperti che vanno a comporre le commissioni di aggiudicazione. La formazione di queste commissioni è uno degli argomenti della massima delicatezza e uno dei punti di fragilità di tutti i sistemi che le prevedono.
- assoluta opacità di tutta la fase successiva all’aggiudicazione dei lavori
Anche questo è un argomento di grande delicatezza. L’esito economico di un appalto ha più a che vedere con quello che succede dopo l’assegnazione di
lavori piuttosto che con quello che precede questa fase. L’approvazione delle varianti, la loro quantificazione, l’ammissione delle “riserve”, la loro quantificazione e gestione, le proroghe dei termini di esecuzione con la richiesta di maggiori oneri, il pagamento sollecito o meno degli stati di avanzamento, la liquidazione finale e il rilascio delle trattenute di garanzia sono tutti argomenti e materia di “contrattazione” e comunque sottratti alla visibilità degli interessati: siano essi i rappresentanti della pubblica amministrazioni o le imprese concorrenti.
- la questione dei controlli e l’efficacia dei protocolli di intesa
Si è molto discusso di protocolli di intesa legati soprattutto a due aspetti dell’attività dei cantieri: l’impiego di mano d’opera irregolare (con annesso il problema della sicurezza sul lavoro) e le infiltrazioni mafiose. L’efficacia di questi protocolli sembra essere modesta e legata soprattutto alla mancanza di norme specifiche che stabiliscano la periodicità dei controlli, le procedure da seguirsi, la quantità e la qualità (rotazione) delle persone destinate a farli. Da non dimenticare che mancano le sanzioni a carico della stazione appaltante quando essa sia direttamente committente.
- la proposta dell’Istituto Itaca
La proposta dell’Istituto Itaca, che accludiamo, sembra per il momento essere l’unica praticabile e perseguibile soprattutto perché istituisce una sorta di organismo terzo con funzioni di controllo permanente. Questo potrebbe ovviare anche a un atteggiamento che abbiamo spesso riscontrato nei funzionari della pubblica amministrazione che tendono a rifiutare qualunque ingerenza nel loro lavoro e qualunque modifica dello stato di fatto e delle procedure.
Note finali
- Come si è visto anche molto recentemente, il tentativo dei "poteri speciali” soprattutto in materia di fissazione di termini brevi è continuo ed ha sollevato
anche le perplessità della CGIL che pure aveva plaudito alla firma dei protocolli.
- È dunque necessario, per non dire indispensabile, che i protocolli di intesa vengano modificati inserendo nell’oggetto dei controlli indistintamente tutti coloro che intervengano nella realizzazione di opere pubbliche anche a livelli semplicemente di fornitori di servizi, materiali, prestazioni di qualunque genere anche ai cosiddetti subappaltatori o fornitori diretti dell’impresa principale e di tutta la catena produttiva.
4) I MODI OPERANDI MAFIOSI.
INDICAZIONI PER UNA STRATEGIA DI CONTROLLO SUI CANTIERI
4.1 Mafia e appalti negli ultimi decenni del novecento
Sin dagli anni Settanta del secolo scorso i metodi concreti ai quali solevano ricorrere le imprese mafiose per acquisire il controllo dei pubblici appalti, attraverso il condizionamento delle aste, sono stati descritti in diverse sentenze emesse dagli uffici giudiziari siciliani, calabresi e campani nei confronti di esponenti di rilievo di cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. Queste sentenze hanno messo in luce come nel meccanismo di accaparramento mafioso degli appalti svolgesse una funzione non irrilevante il ricorso al subappalto, stante l’assenza di una normativa specifica che potesse allora tentare di contrastare le infiltrazioni criminali nel settore.
È stato così accertato, da una delle prime sentenze calabresi in materia,3 che il controllo degli appalti di opere pubbliche in un dato territorio veniva spesso attuato da un sistema costituito da un’impresa mafiosa appaltatrice (spesso priva dei requisiti tecnici e delle attrezzature necessarie) e da più imprese mafiose subappaltatrici, sistema che realizzava una notevole rendita parassitaria, tanto che nei territori controllati da imprese mafiose «gli enti appaltanti di opere pubbliche ne ten[evano] conto quale elemento di aggravio dei costi, per cui i prezzi base delle gare d’appalto ven[ivano...] maggiorati del 15 % circa rispetto alle altre regioni».
Questa stessa sentenza ha altresì formulato le due seguenti massime di esperienza sotto il profilo della valutazione degli indizi attinenti al condizionamento delle aste:
a) il ribasso d’asta fortemente contenuto indica una scarsa partecipazione di concorrenti all’asta o una calcolata non concorrenzialità della loro offerta, entrambe determinate da interventi persuasivi in tal senso di tipo mafioso (forza di intimidazione del vincolo associativo); b) il ribasso d’asta elevato, cui segue però dopo poco tempo la perizia di variante a correzione del ribasso, serve pure ad eliminare la concorrenza scomoda, stante il verificarsi di tale situazione in un
3 Trib. Reggio Calabria, 4 gennaio 1979, Xx Xxxxxxx ed altri, stralci in AA.VV., Mafia e istituzioni, a cura di Magistratura Democratica, Reggio Calabria 1981, pp. 143 ss.
contesto probatorio da cui risulta intimidazione diffusa, assoggettamento e omertà4.
A proposito del controllo mafioso sugli appalti di opere pubbliche in Sicilia, la Commissione parlamentare antimafia della XI legislatura ha affermato, nel 1993, che il controllo degli appalti costituisce «uno dei principali terreni di incontro tra mafia, imprenditori, uomini politici, funzionari amministrativi», con l’obiettivo più immediato di «lucrare tangenti, collocare manodopera nei subappalti, far acquisire le forniture dalle ditte amiche», e con l’obiettivo più generale di «controllare gli aspetti essenziali della vita politica ed economica del territorio».5
Questa relazione ha anche messo in luce talune situazioni pesantemente sospette circa gli appalti del Comune di Palermo (segnatamente in materia di edilizia scolastica), ed ha fornito altresì i risultati dell’indagine svolta da un’apposita sottocommissione, la quale ha accertato che
*…+ in Sicilia esisterebbe un comitato di gestione degli appalti, una sorta di direttivo formato da imprenditori – i più importanti imprenditori siciliani e qualche imprenditore di valenza nazionale – che decidono a priori, al di là di tutte le scelte della pubblica amministrazione, l’aggiudicazione degli appalti alle imprese. Il comitato funzionerebbe solo perché Cosa Nostra garantisce: e questa presenza spiegherebbe il silenzio degli imprenditori in Sicilia sulle corruzioni. La mafia *di regola+ non interviene per decidere chi deve vincere l’appalto *...+. Chiunque vinca, la sua quota di reddito è assicurata. Il comitato non potrebbe svolgere la sua funzione se *...+ non ci fosse la connivenza degli amministratori e dei direttori dei lavori *…+.6
L’esistenza di questo comitato di gestione degli appalti è stata confermata, con dovizia di particolari, nell’ambito delle inchieste giudiziarie denominate appunto
4 Per quanto riguarda il controllo delle gare d’appalto da parte di Cosa Nostra siciliana, sempre con riferimento agli anni Settanta, cfr. X. XXXXXXX, Cose di cosa nostra, Milano 1991, pp. 142 s.: “Quale che sia la sua provenienza, l’impresa che vuole lavorare in Sicilia deve sottostare *…+ al controllo territoriale della mafia. Il condizionamento delle gare di appalto si realizza sia nella fase di aggiudicazione dei lavori [...] sia nella fase di esecuzione delle opere. Chiunque si occupi di lavori pubblici, in Sicilia e nel Mezzogiorno in genere, sa benissimo di dover acquistare il materiale dal tale fornitore e non dal talaltro. Negli anni Settanta, la costruzione effettuata dall’impresa Graci di Catania di una diga sul fiume Olivo, in provincia di Enna, diede il via a una impressionante catena di omicidi. *…Una+ famiglia criminale locale, non appartenente a Cosa Nostra, aveva avuto la pretesa di imporre i propri fornitori là dove la mafia affermava di dovere essere la sola a garantire la ‘protezione’ dell’impresa Graci. Non c’è quindi da stupirsi che le imprese mafiose assumano gradualmente in prima persona il controllo delle gare per gli appalti pubblici”.
5 COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA, XI legislatura, Relazione sui rapporti tra mafia e politica (rel. on. Xxxxxxxx),
approvata il 6 aprile 1993, doc. XXIII n. 2, pubblicata in volume con il titolo Mafia e politica, Roma-Bari 1993, pp. 124-126.
6 Ibidem.
“Mafia e Appalti” condotte negli anni Novanta dagli inquirenti siciliani, le quali hanno condotto alla celebrazione di complessi dibattimenti a carico di esponenti di Cosa Nostra chiamati a rispondere dei delitti di associazione mafiosa, oltre che di illecita concorrenza con violenza e minaccia (art. 513-bis c.p.) e turbata libertà di pubblici incanti (art. 353 c.p.).
Il metodo messo a punto da Cosa Nostra per la spartizione degli appalti, detto metodo “Xxxxx” dal nome del suo ideatore,7 è noto anche come metodo della “rotazione programmata” ovvero del “tavolino” (essendo la spartizione attuata attraverso una sorta di tavolo di trattativa cui partecipavano tutte le imprese coinvolte). Esso è stato precisamente descritto in una delle sentenze emesse dalla Corte di cassazione nel quadro di questa serie di procedimenti:
La vicenda in ordine alla quale il Tribunale era stato chiamato a decidere, concerneva l’attività dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra incentrata sul controllo delle gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche, ed in particolare quella contraddistinta dall’applicazione del c.d. metodo Xxxxx (soggetto separatamente giudicato e condannato per tali fatti in via definitiva), in base al quale il sodalizio, abbandonando la tradizionale percezione parassitaria delle tangenti imposte alle imprese operanti nel settore, sollecitava, talora attraverso solidi legami con pubblici amministratori, la deliberazione ed il finanziamento delle opere da realizzare e pianificava l’assegnazione dei grandi appalti pubblici, predesignando l’impresa che, di volta in volta, avrebbe dovuto aggiudicarsi la relativa gara offrendo un minimo ribasso. Il buon esito delle operazioni condotte secondo tale metodo veniva assicurato, in via normale, attraverso la promozione di una fitta rete di complicità fra gli imprenditori interessati – a carico dei quali era posta la tangente destinata in parte ai politici da ricompensare ed in parte all’organizzazione mafiosa – che consentiva di pilotare l’esito delle gare e favorire una programmata rotazione delle aggiudicazioni; e, nei casi di opposizione o resistenza da parte di taluno, attraverso il ricorso a mezzi di persuasione minacciosi e violenti.8
7 Xxxxxx Xxxxx, noto come “il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra” per la sua grossa esperienza in materia, è un collaboratore di giustizia di rilievo. La sua collaborazione è iniziata nel 1997.
8 Cass., Sez. II, 22 aprile 1999 n. 5649, dep. 6 maggio 1999, Lipari ed altri. Le sentenze di merito palermitane relative al filone “Mafia e Appalti” sono le seguenti: Trib. Palermo, Sez. V, 2 marzo 1994 nei confronti di Xxxxx Xxxxxx + 5; App. Palermo 29 febbraio 1996 (parziale riforma della precedente); Trib. Palermo, Sez. V, 16 luglio 1996 nei confronti di Xxxxx Xxxxxxxxx + 8; App. Palermo 4 giugno 1998 (parziale riforma della precedente).
In sostanza, la rotazione illecita programmata di tutte le aggiudicazioni collegate ai principali appalti pubblici siciliani consentiva a tutte le imprese private coinvolte nel sistema di beneficiare dell’assegnazione di lavori pubblici secondo lo schema concordato, con la conseguenza che le imprese stesse avevano interesse a non alterarne le regole. Si trattava di stabilire, volta per volta, quali imprenditori dovessero astenersi dalla gara prescelta, nonché di decidere quale ribasso dovesse proporre ciascuna delle imprese partecipanti. La rotazione, infatti, si fondava su un accordo tacito secondo cui, a turno, tutte le imprese partecipanti al sistema si impegnavano preventivamente a offrire nel corso della gara il ribasso di importo minore (preventivamente concordato) rendendo così certa l’aggiudicazione dell’appalto pubblico secondo la predeterminazione voluta e pilotata da Cosa Nostra.
Non meno insidioso è stato il sistema di condizionamento degli appalti pubblici adottato dalla camorra, quale è stato rivelato agli inquirenti napoletani nel 1992 da uno dei principali collaboratori di giustizia: Xxxxxxxx Xxxxxxx, capo dell’omonima famiglia. Questo sistema si sarebbe incentrato sul fatto che il politico, che gestiva il finanziamento e l’assegnazione dell’appalto, faceva da mediatore tra la ditta – quasi sempre del settentrione o del centro Italia e di notevolissime dimensioni – e la camorra.
Tale mediazione avviene imponendo all’impresa sia una tangente indirizzata allo stesso politico che si è interessato dell’appalto (o ai suoi rappresentanti diretti) sia mediante l’assegnazione di subappalti a ditte controllate direttamente dalle organizzazioni camorristiche. Neppure le grandi imprese operanti nel settore degli appalti pubblici, e concessionarie delle opere di maggior rilievo, hanno costituito un argine a questo meccanismo di diffusione del controllo della camorra sulle imprese edili; tali imprese, anzi, ricevuta la commissione, entravano quasi sempre in contatto con le imprese accreditate dalla camorra, spesso cedendo loro la realizzazione dell’intera opera oggetto dell’appalto, trasformandosi così da soggetti produttori a semplici mediatori finanziari. Questo meccanismo perverso è stato disvelato all’esito di diverse indagini, tra le quali quella relativa
alla costruzione della terza corsia dell’autostrada Roma-Napoli e quella sugli appalti indetti dal compartimento di Napoli delle Ferrovie dello Stato. 9
4.2 Le norme antimafia degli anni novanta, il “codice dei contratti pubblici” del 2006 e la direttiva “CCASGO” del 2005.
L’acquisita consapevolezza del pesante inquinamento mafioso nel settore dei pubblici appalti ha fatto sì che il legislatore, a partire dagli anni Novanta, intervenisse più volte varando una complessa normativa alla ricerca di misure idonee a contrastare le infiltrazioni criminali nell’economia legale e, segnatamente, nel settore dei lavori pubblici. Si muove in questa direzione anzitutto la Legge 55 del 1990, la quale introduce rilevanti modifiche alla legge antimafia fondamentale (Legge 575 del 1965) modificandone drasticamente l’art. 10 ed introducendovi gli articoli da 10-bis a 10 sexies, i quali segnano l’inizio della tormentata produzione legislativa in materia di comunicazioni e certificazioni antimafia. In particolare, i novellati artt. 10 e 10-quinquies della legge 57510 hanno introdotto «il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera», nei confronti di persone colpite da misure di prevenzione antimafia (art. 10, comma 2) e nei confronti di persone condannate per associazione mafiosa o per un altro tra i delitti elencati nell’art. 51 comma 3-bis c.p.p. (art. 10, ultimo comma); configurando altresì come delitto il comportamento del pubblico ufficiale che consenta alla conclusione di contratti o subcontratti in violazione del predetto divieto (art. 10-quinquies).
Successivamente, il sistema delle verifiche antimafia e delle relative informazioni e certificazioni è stato rielaborato e introdotto con il Decreto legislativo 490 del 1994.11 La relativa normativa verrà infine recepita nel suo complesso dall’art. 247 del D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163, contenente il cosiddetto Codice dei contratti
9 CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, Criminalità organizzata ed economia illegale, Risoluzione del 24 luglio 2002, in
Quaderni Cons. Sup. Mag., Roma 2003, n. 138, pp. 287 s.
10 Oggi sostituiti e rimodulati rispettivamente dagli artt. 67 e 74 del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, contenente il nuovo “Codice Antimafia” (“Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”).
11 Il D.Lvo 490/1994 è stato ulteriormente rimaneggiato dal D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 e successive modifiche.
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.12 Il “Codice dei contratti pubblici” del 2006 – emanato in attuazione delle direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE ed entrato in vigore il 1° luglio 2006 – riorganizza completamente la disciplina relativa alle concessioni, agli appalti e ai servizi pubblici. I requisiti dei partecipanti alle procedure di affidamento sono disciplinati in maniera molto particolareggiata dagli articoli 34-52, ove vengono stabilite, tra l’altro, le modalità con cui vanno dimostrati i requisiti di ordine generale e di idoneità professionale, nonché le capacità economiche e finanziarie e le capacità tecniche. La qualificazione per eseguire lavori pubblici, in particolare, è disciplinata in modo particolareggiato dall’art. 40. Particolarmente rilevante è l’art. 38, relativo ai requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure di affidamento. Vi si elencano tutti i soggetti che «sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, né possono stipulare i relativi contratti». Nelle varie categorie di esclusi sono ricompresi i soggetti:
b) nei cui confronti è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, [ovvero sussiste] una delle cause ostative previste dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575;
*…+;
c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato *…+ per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio *…+.
Peraltro, prima ancora che venisse varato il “Codice dei contratti pubblici” venivano poste le premesse per l’introduzione di alcune norme alquanto innovative, in seguito alla Legge 443 del 2001 (cosiddetta “legge obiettivo”), contenente la delega
12 Tutte le norme in materia di documentazione antimafia saranno altresì inglobate e rimodulate nel Libro II, Capi I, II, III e IV (artt. da 82 a 95) del nuovo “Codice Antimafia” del 2011, norme che peraltro entreranno in vigore solo il 28 settembre 2013 (24 mesi dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 28 settembre 2011).
al Governo in materia di “infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici”, considerati di interesse nazionale e indispensabili per il rilancio delle attività produttive. La legge in argomento sottolinea «l’obbligo di rispettare in ogni caso la legislazione antimafia»,13 e il successivo Decreto Legislativo di attuazione stabilisce di conseguenza che, con un apposito decreto del Ministro dell’interno, vengano
«individuate le procedure per il monitoraggio» delle infrastrutture e degli insediamenti strategici, a scopo di «prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa».14 Il decreto del Ministro dell’interno è intervenuto il 14 marzo 2003 ed ha istituito un nuovo organismo, denominato «Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere», ovvero Ccasgo,15 il quale
«svolge funzioni di impulso e di indirizzo dell’attività *…+ di monitoraggio», è coadiuvato, a livello provinciale, da un sistema di «Gruppi Interforze»16 operanti presso le prefetture, «in collegamento con la Direzione investigativa antimafia», e provvede, tra l’altro, «al supporto dell’attività dei prefetti sul territorio, anche ai fini dell’attivazione dei poteri ispettivi o di accesso ad essi direttamente conferiti dalla normativa vigente, ovvero esercitabili attraverso il Gruppo interforze» volta per volta territorialmente competente. Infine il decreto ministeriale ha previsto che i Gruppi Interforze possano avvalersi «degli esiti degli accessi ispettivi sui cantieri» anche per «la verifica del rispetto della normativa in materia di lavoro, nonché delle misure relative alla sicurezza fisica dei lavoratori». Il legislatore è poi intervenuto, nel 2009 e nel 2010, per disciplinare normativamente i poteri dei prefetti, di accesso e di accertamento nei cantieri, stabilendo quanto segue:
13 L. 443/2001, art. 1, comma 2, lettera h.
14 D.L.vo 20 agosto 2002, n. 190, art. 15, comma 5. Questo comma verrà successivamente recepito dall’art. 180, comma 2, del “Codice dei contratti pubblici” del 2006.
15 Il sito internet del Comitato è xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xxxx/xx/xxxxxxx/xxxxxxxxx/xxxxxx/. L’organismo è costituito presso il Ministero dell’interno. Ne fanno parte quattro membri designati dal Ministero dell’interno, di cui uno proveniente dalla Direzione investigativa antimafia ed uno con funzioni di coordinatore del Comitato, quattro designati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quattro designati dal Ministero dell’economia e delle finanze, di cui uno facente parte della Segreteria del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), due componenti in rappresentanza della Direzione nazionale antimafia e tre in rappresentanza dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (art. 3, comma 1 del Decreto ministeriale).
16 Ogni Gruppo Interforze è coordinato da un funzionario dello stesso Ufficio territoriale ed è composto da un funzionario della Polizia di Stato, da un ufficiale dell’Arma dei carabinieri, da un ufficiale della Guardia di finanza, da un rappresentante del provveditorato alle opere pubbliche, da un rappresentante dell’Ispettorato del lavoro, nonché da un funzionario delle articolazioni periferiche della Direzione investigativa antimafia (art. 5, comma 3 del Decreto ministeriale).
Per l’espletamento delle funzioni volte a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti, il prefetto può disporre accessi ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici, avvalendosi, a tal fine, dei gruppi interforze di cui all’articolo 5, comma 3, del decreto del Ministro dell’interno 14 marzo 2003 *…+.17
Anche il “Codice dei contratti pubblici” del 2006 si riallaccia alle funzioni svolte dal Ccasgo e dai Gruppi Interforze, stabilendo tra l’altro che la stazione appaltante provvede «alla stipulazione di appositi accordi con gli organi competenti in materia di sicurezza nonché di prevenzione e repressione della criminalità» (i cosiddetti “protocolli d’intesa”) ed aggiunge che «i contenuti di tali accordi sono definiti dal Cipe sulla base delle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere».18 Già nel mese di giugno del 2005 il Ccasgo ha licenziato il suo documento base denominato «Direttiva linee guida grandi opere» (d’ora in avanti “Direttiva Ccasgo 2005”), che definisce i criteri generali cui attenersi nella successiva produzione delle linee guida e dei protocolli d’intesa.19 La Direttiva Ccasgo 2005 viene commentata nel sito internet del Comitato con queste parole:
In questo documento sono fornite le indicazioni che, nel settore dei controlli antimafia, hanno rappresentato un primo rilevante elemento di novità. Con la direttiva 2005 si focalizza l’attenzione sul contesto ambientale in cui è previsto che debba essere realizzata l’opera. Questo dato appare importante perché qualifica l’attività dei prefetti e delle Forze di polizia, rappresentate nei Gruppi Interforze delle prefetture *…+. E’ in questa fase che viene a emergere la possibilità di svolgere un ruolo incisivo di salvaguardia del tessuto economico locale, che può essere minacciato da manovre intrusive della criminalità organizzata, interessata a volgere a proprio vantaggio ogni opportunità di guadagno. L’altro elemento di novità regolamentato dalle linee-guida 2005, nel sistema di verifica antimafia delle Grandi Opere, è rappresentato dalla possibilità di eseguire accessi ispettivi presso i cantieri. Sul tema degli accessi e accertamenti nei cantieri è, successivamente, intervenuto il D.P.R. 2 agosto 2010, n. 150. Il prefetto sulla base delle motivate proposte del Gruppo Interforze, dispone
17 Art. 5-bis del D.L.vo 8 agosto 1994, n. 490, introdotto dall’art. 2, comma 2, della L. 94 del 15 luglio 2009. La disposizione è stata sostanzialmente ribadita nell’art. 2 della L. 2 agosto 2010, n. 150, che nel capoverso precisa: «Gli accessi e gli accertamenti di cui al comma 1 sono improntati ai criteri di celerità ed efficacia dell’azione amministrativa».
18 Art. 176, comma 3, lettera e del Codice. L’art. 247, comma 1-bis, dello stesso Xxxxxx tiene poi a sottolineare che, per gli interventi e gli insediamenti strategici, «le misure di monitoraggio per la prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa sono definite dal Cipe [Comitato interministeriale per la programmazione economica] con le stesse modalità e gli stessi effetti previsti dall’articolo 176, comma 3, lettera e)».
19 xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xxxxxx/xxxxx/xxxxxxx/xx/xxxxxx/xxxxx/00/0000_X_X_0000_XXXXXXXXX.xxx.
l’accesso sui cantieri e stabilisce quali seguiti debbano essere dati ai risultati conseguiti in sede di accesso.
Lo strumento ispettivo viene, in particolare, utilizzato nella fase di realizzazione dell’opera, che presenta punti di vulnerabilità mafiosa. 20
A questo proposito, nella Direttiva Ccasgo 2005 si afferma la necessità di dare forma e modalità concrete alle attività di monitoraggio delle grandi opere con riguardo a tre distinte fasi: la fase precedente all’aggiudicazione, la fase della individuazione delle società ed imprese interessate alla realizzazione della grande opera, nonché la fase di realizzazione della stessa. La Direttiva aggiunge che è appunto in quest’ultima fase che si presentano «precisi punti di vulnerabilità», sottolineando inoltre come «una modalità tipica d’ingerenza mafiosa consist*a+ nell’offerta di protezione “a favore” delle imprese, che può estrinsecarsi in pretese estorsive di denaro o di altre utilità, avanzate nei confronti dello stesso imprenditore o del direttore dei lavori».
Infine, riprendendo una circolare ministeriale del novembre 2003, la Direttiva indica ai responsabili dei Gruppi Interforze una «metodologia di lavoro» rivolta alla tutela dei cantieri «da possibili forme di aggressione criminale, facendo leva anche sulle possibilità d’intervento diretto»:
Tale metodologia richiede un forte e deciso impegno dei Gruppi Interforze, i quali dovranno procedere ad una preliminare e completa ricognizione dei lavori che interessano il territorio provinciale di riferimento, al fine di costituire, anche graficamente, una mappa aggiornata dei cantieri che consenta di percepire con immediatezza l’incidenza di eventuali elementi di sospetto meritevoli di approfondimento investigativo.
Le risultanze di tale attività preparatoria, laddove emerga l’esigenza di una mirata attività di approfondimento, andranno rappresentate al Prefetto che potrà autorizzare, cognita causa, l’intervento degli organismi territoriali delle Forze di Polizia.
Sulla base di tale decisione, il Gruppo Interforze provvederà alla messa a punto del dispositivo d’intervento, fissandone tempi e modalità con la massima riservatezza.21
20 xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xxxxxx/xxxxx/xxxxxxx/xx/xxxxxxx/xxxxxxxxx/xxxxxx/xxxxx_xxxxx/xxxxx.xxxx.
21 Direttiva Ccasgo 2005, pp. 37-38.
4.3 Una falla nel sistema l’art. 118, comma 11, del “codice dei contratti pubblici”
Prima di approfondire ulteriormente gli argomenti di cui al paragrafo precedente, con particolare riferimento alle competenze del Ccasgo, alle relative “linee-guida”, ai “protocolli d’intesa” e ai poteri del prefetto (e dei “gruppi interforze” alle sue dipendenze) di accesso ai cantieri, è opportuno soffermarsi su un grave punto di debolezza – nell’ambito della normativa antimafia in vigore – che ha consentito ai gruppi mafiosi di continuare a infiltrarsi nel settore dei grandi appalti anche negli anni Duemila e fino a tutt’oggi. Va premesso che l’art. 118 del “Codice dei contratti pubblici” (già art. 18 della Legge 55 del 1990) fissa nel comma 2 le condizioni a cui sono sottoposti gli affidamenti in subappalto o in cottimo, stabilendo tra l’altro:
a) che al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l’affidatario trasmetta «la certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti», nonché «la dichiarazione del subappaltatore attestante il possesso dei requisiti generali di cui all’articolo 38»; b) che «non sussista, nei confronti dell’affidatario del subappalto o del cottimo, alcuno dei divieti “antimafia” previsti dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni». Nel comma 11 dell’art. 118 si opera poi una distinzione tra i “subappalti” propriamente detti e le altre attività che non costituiscono “subappalto” in senso giuridico. Ebbene, l’insidia si annida proprio nella definizione giuridica del “subappalto”, che viene fornita nello stesso comma 11. Tale definizione consta di una proposizione principale che fissa la “regola”, secondo la quale «è considerato subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo». Ma subito dopo la regola si introduce l’insidiosa eccezione-distinzione: qualsiasi contratto con le caratteristiche testé indicate è considerato “subappalto” soltanto «se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare».
Qui sta la falla, dal momento che l’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici si è svolta, in questo primo segmento del terzo millennio, attraverso intrusioni “fattuali” in ciascuno dei cantieri presi di mira: intrusioni operate volta per volta dai gruppi mafiosi ricorrendo agli strumenti della loro consolidata forza di intimidazione e delle loro consuete manovre corruttive e coinvolgenti, e facendo leva su situazioni di assoggettamento, di condizionamento e di collusione, ma attraverso una forma di “controllo del territorio” che – almeno nelle regioni settentrionali – si presenta totalmente diversa da quella che si era potuta osservare nel secolo precedente nelle aree geografiche di mafia storica: oggi, qui in Lombardia, si è evidenziata una sorta di controllo di segmenti di territorio, corrispondenti a quei segmenti di attività economica e produttiva presi di mira. È esattamente questa la strategia che hanno messo in luce le inchieste e i processi penali in materia di ‘ndrangheta condotti dall’autorità giudiziaria milanese in questi anni 2000: Cerberus, Parco Sud, Infinito, Tenacia, Caposaldo, Valle-Lampada. I gruppi mafiosi hanno potuto determinare una capillare presenza attiva di loro uomini, nei singoli cantieri, i quali svolgono in punto di fatto la loro attività lavorativa – per lo più di movimento terra – coordinati ufficiosamente da qualcuno dei capi del sodalizio mafioso di riferimento. Ma l’attività lavorativa svolta da ciascuno di quegli uomini corrisponde in punto di fatto a quella che – se ufficializzata – formerebbe oggetto proprio di plurimi subcontratti (noli a caldo e forniture con posa in opera) di importo sensibilmente inferiore al limite stabilito dal citato art. 118, comma 11, e con un’incidenza del costo della manodopera ampiamente inferiore al limite (peraltro esorbitante) del 50%, come quello previsto nella stessa norma. Si tratterebbe, cioè, di subcontratti sottratti alle verifiche della normativa antimafia, in quanto non classificabili come “subappalti” in senso giuridico.
È legittimo concludere, pertanto, che il comma 11 dell’art. 118 del “Codice dei contratti pubblici” ha agevolato e agevola attualmente le infiltrazioni mafiose più recenti nei cantieri delle opere pubbliche. Ed è comunque provato che il monopolio mafioso nel settore del movimento terra in Lombardia negli ultimi lustri ha avuto quelle caratteristiche ed è stato favorito da quella norma. Bisogna peraltro
riconoscere che il legislatore, nel redigere il comma 11 dell’art. 118, ha tentato di contrastarne i possibili effetti negativi inserendo nella norma l’ultima proposizione, la quale – se scrupolosamente applicata – potrebbe rendere meno facili le infiltrazioni mafiose:
È fatto obbligo all’affidatario di comunicare alla stazione appaltante, per tutti i sub-contratti stipulati per l’esecuzione dell’appalto, il nome del sub-contraente, l’importo del contratto, l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati.
Peraltro, quest’obbligo, che riguarderebbe tutti i noli a caldo e tutte le forniture con posa in opera, qualunque ne sia l’importo e l’incidenza della manodopera, è stato sino ad oggi regolarmente e inspiegabilmente ignorato.22 Quindi è anzitutto necessario che la stazione appaltante ne richieda la precisa osservanza, prevedendo serie sanzioni per la sua inosservanza. Il che è esattamente ciò che prevede – come si vedrà – il Protocollo d’intesa relativo a Expo 2015, sottoscritto a Milano il 13 febbraio 2012. In ogni caso non va dimenticato che le infiltrazioni mafiose – nelle nuove forme cui si è testé accennato – si svolgono quasi sempre attraverso camuffamenti e mimetizzazioni delle titolarità reali (in virtù di intestazioni artificiose e stratagemmi di vario genere), il che renderebbe spesso meramente apparente, e quindi inefficace e inoffensiva, l’eventuale futura osservanza dell’obbligo di cui sopra.
Nel prossimo paragrafo si esamineranno più approfonditamente – ancorché succintamente – i modi operandi delle infiltrazioni mafiose (di ‘ndrangheta) che sono stati ricostruiti nelle inchieste giudiziarie milanesi dell’ultimo decennio. Nel paragrafo successivo si completerà l’illustrazione del nuovo sistema di misure antimafia delineato nella Direttiva Ccasgo 2005 e fondato sulle linee guida e sui protocolli d’intesa. Dopo di che – sulla base dell’analisi condotta sui più recenti modi operandi di ‘ndrangheta – verranno tratte in un ultimo paragrafo le conclusioni sui possibili e ineludibili ulteriori rimedi, che ruoteranno anzitutto necessariamente
22 Audizione di Xxxx Xxxxxxx, Direttore di ITACA, “Istituto per la trasparenza, l’aggiornamento e la certificazione degli appalti”, Milano 18 giugno 2012.
intorno all’esigenza di prevedere e organizzare accessi e controlli dei “Gruppi interforze” nei cantieri, che siano ben più frequenti e intensi e penetranti, non solo di quanto non si sia fatto sino ad oggi, ma anche di quanto ci si potrebbe aspettare per il futuro sulla base del tenore attuale delle linee guida e dei protocolli d’intesa elaborati negli ultimi quattro anni. Va sottolineato che la normativa in vigore (art. 2
L. 94/ 2009 e art. 2 L. 150/2010) non pone alcun limite alla frequenza degli accessi ai cantieri.
4.4 Le inchieste giudiziarie milanesi degli anni 2000 sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta negli appalti.
I procedimenti di mafia più ricchi di indicazioni sui nuovi modi operandi di infiltrazione nel settore degli appalti – per quanto riguarda l’area geografica di Milano e territori limitrofi – sono stati aperti dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo lombardo a partire dal 2004, ma si ricollegano a una rilevante vicenda giudiziaria più risalente – il cosiddetto procedimento “Nord-Sud” – che aveva preso le mosse nel 1992 dalle corpose dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Xxxxxxx Xxxxxxxx. Xxxxxx aveva ricostruito la storia criminale delle famiglie di ‘ndrangheta che avevano operato massicciamente – specie negli anni Ottanta – nei Comuni di Cesano Boscone, Corsico e Buccinasco, tutti collocati nell’area sud- ovest di Milano e interessati, sin dagli anni Sessanta, da una massiccia immigrazione calabrese sopratutto dalla zona di Platì (RC). Il processo “Nord-Sud” si era concluso con numerose e pesanti condanne (ormai passate in giudicato) che avevano colpito duramente le famiglie mafiose della Locride trasferite al nord (tra le quali, di particolare rilievo criminale, le famiglie Xxxxxxx e Xxxxxxx), famiglie che tra l’altro – già negli anni Ottanta – avevano iniziato a inserirsi, con la violenza e l’intimidazione, nel controllo delle attività di movimento terra e di edilizia in genere.23 A questo precedente si ricollega il primo dei procedimenti penali milanesi che rilevano ai fini della presente relazione: il procedimento “Cerberus”.24 Esso trae origine da una
23 Cfr. Corte d’assise di Milano, Sez. IV, sentenza 11 giugno 1997, Agil Fuat + 132 (“Nord-Sud”), p. 1085.
24 Nel processo “Cerberus” Xxxxxxx Xxxxxxxx è stato giudicato con rito abbreviato ed è stato condannato per associazione mafiosa e per estorsione con sentenza passata in giudicato (Tribunale Milano, Gip, sentenza 27 febbraio 2009,
comunicazione di notizia di reato del luglio 2004 proveniente dal Gico della Guardia di Finanza della Lombardia, nella quale si riferisce dell’esito di nuove attività investigative condotte nella stessa area sud-ovest di Milano.
Dopo un iniziale e comprensibile sbandamento – si legge in una delle sentenze “Cerberus” – gli esponenti più giovani delle stesse famiglie, con particolare riguardo ai Barbaro e ai Papalia, si erano riorganizzati, costituendo nuove società e ditte per l’attività di movimento terra, ma soprattutto ricominciando a imporre la propria presenza con gli stessi metodi. In particolare, il Gico segnalava l’importante presenza di Xxxxxxxx Xxxxxxx detto anche Xxxx l’australiano, già citato nella medesima sentenza “Nord-Sud” come storico appartenente alla ‘ndrangheta ed insignito del cosiddetto ‘fiore’; del di lui figlio Xxxxxxxxx, coniugato con Xxxxxxxx Xxxxxxx, figlia di Xxxxx, condannato all’ergastolo nella sentenza “Nord-Sud” unitamente ai fratelli Xxxxxxxx ed Xxxxxxx; nonché di una serie di ditte riconducibili alle famiglie citate.25
Già la formulazione del capo di imputazione del reato associativo è di per sé illuminante, laddove si contesta agli imputati di avere acquisito il controllo dell’attività di “movimento terra” in quell’ambito territoriale «presentandosi come prosecuzione della consorteria dei Papalia *…+, ricorrendo ad atti di intimidazione rappresentati da danneggiamenti ed incendi sui cantieri, esplosione di colpi di arma da fuoco contro beni di altri imprenditori, incendi di vetture in uso a concorrenti o a pubblici amministratori, minacce a mano armata, imposizione di un “sovrapprezzo” nei lavori di scavo da destinare ai sopramenzionati Xxxxxxx ed alle loro famiglie».
Ma ancora più significative sono le modalità specifiche di intrusione “fattuale” nelle attività di cantiere, sempre indicate nel capo d’imputazione, dove si precisa che gli imputati
…imponevano agli operatori economici la loro “necessaria presenza” negli interventi immobiliari, ai pubblici amministratori del comune di Buccinasco la liquidazione di somme di denaro per lavori mai autorizzati, così procurandosi un ingiusto profitto, rappresentato dal
confermata dalla Corte d’appello con sentenza 8 febbraio 2010; Corte di cassazione, sentenza 11 gennaio 2011, parziale annullamento con rinvio; nuova sentenza della Corte d’appello del 7 giugno 2011, che conferma ulteriormente la sentenza del Gip; Corte di cassazione, sentenza 23 marzo 2012, rigetto del ricorso e passaggio in giudicato). Nel giudizio ordinario sono stati condannati in primo e secondo grado, per associazione mafiosa ed altri reati, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxx (Tribunale di Milano, Sez. VII, sentenza 11 giugno 2010; Corte d’appello, Sez. IV, sentenza 20 maggio 2011), ma la Corte di cassazione, con sentenza del 24 aprile 2012, ha annullato la sentenza di secondo grado con rinvio ad altra sezione della stessa Corte d’appello per nuovo giudizio.
25 Tribunale di Milano, Gip, sentenza 27 febbraio 2009, Xxxxxxx Xxxxxxxx, p. 20. Questa sentenza è l’unica che – relativamente al caso “Cerberus” – è già passata in giudicato (cfr. nota precedente).
poter operare in regime di monopolio, stabilendo i prezzi di mercato nella zona di riferimento, smaltendo altresì i rifiuti tossici derivanti dalla demolizione di edifici in discariche abusive, ovvero su aree pubbliche, che poi loro stessi chiedevano di bonificare; ciascuno con il ruolo di seguito specificato:
Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in qualità di promotore e organizzatore dell’associazione *…+, intrattenendo i rapporti con gli imprenditori, ai quali si presentava come “il genero di Xxxxxxx Xxxxx”, imponendo il prezzo a metro cubo degli sbancamenti, stabilendo a propria discrezione chi dovesse lavorare sui cantieri, beneficiando altresì delle commesse di lavoro quale amministratore di fatto della Edil Company s.r.l., di cui era formalmente titolare la moglie Xxxxxxx Xxxxxxxx; Xxxxxxx Xxxxxxxx,26 Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx00 con il ruolo di compartecipi, sia partecipando alle attività di intimidazione, sia beneficiando delle commesse di lavoro attraverso le *rispettive+ ditte e società *…+;28 Luraghi Maurizio29, titolare della Lavori Stradali s.r.l., interponendosi quale imprenditore di “facciata” nell’aggiudicazione delle commesse, che venivano poi subappaltate formalmente o in via di fatto alle ditte e società sopra meglio specificate, liquidando in contanti gran parte delle spettanze dei sodali, giustificando contabilmente le uscite attraverso l’annotazione di fatture emesse da soggetti di comodo.
Fatti accertati in Buccinasco e comuni limitrofi dal 2004 al luglio 2006.
Come si vede, nel capo di imputazione si parla di commesse «subappaltate formalmente o in via di fatto», ma si tratta di una sorta di eufemismo, perché andando a leggere le motivazioni delle sentenze si può constatare che – anche se l’eufemismo viene qua e là ribadito – di commesse subappaltate “formalmente” alle ditte degli imputati non vi è traccia: i lavori venivano acquisiti in via di fatto, frazionati in via di fatto e affidati in via di fatto a una pluralità di soggetti (“padroncini”) individuati e prescelti di prepotenza e ad arbitrio di Xxxxxxx Xxxxxxxxx. Non a caso l’estensore della prima sentenza definitiva riguardante il caso “Cerberus” ha tenuto a precisare che scopo della sua motivazione è stato
«principalmente quello di dimostrare come l’apparente legalità delle società, delle ditte degli imputati e delle loro attività sia in realtà lo schermo tipico attraverso il
26 Xxxxxxx Xxxxxxxx, classe 1937, patriarca della famiglia Xxxxxxx, detto Xxxx x’Xxxxxxxxxxx, padre di Xxxxxxxxx e Xxxxxxx.
27 Xxxxxxx Xxxxxxxx è figlio di Xxxxxxx Xxxxxxx, uno dei tre fratelli capostipiti della famiglia Xxxxxxx (Xxxxxxx, Xxxxxxxx e Xxxxx).
28 Xx.Xxx. s.a.s. di Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxxx, in liquidazione dal 6.12.2005 e sostituita dalla
F.M.R. Scavi e Costruzioni, ditta individuale Xxxxxxx Xxxxxxx, L.M.T. s.a.s. di Xxxxxxx Xxxxxxxx.
29 La moglie di Xxxxxxx Xxxxxxxx, originariamente incriminata in concorso con il marito, è stata assolta.
quale soprattutto le nuove forme di associazione mafiosa si nascondono, mantenendo in realtà inalterati i metodi di intimidazione e di controllo illegale delle attività economiche».30
Nel “loro” territorio – si legge ancora nella sentenza – cioè Buccinasco e dintorni, dove sono più sicuri, dove la loro influenza è più forte e la memoria dei precedenti storici delle famiglie è più viva, è chiara a tutti una cosa molto semplice: il movimento terra è dei Barbaro. Direttamente o indirettamente, con appalti o subappalti, di fatto o di diritto, ma è sempre loro. E lo scopo è altrettanto manifesto: attraverso il loro lavoro, sui cantieri entrano tutti gli operai o i “padroncini” calabresi, o meglio platioti, della zona. In tal modo, la famiglia consegue un duplice obiettivo: aumentare i propri profitti, senza sostenere la fatica della concorrenza, e porsi come punto di riferimento e quindi di potere per tutta la numerosa realtà artigiana ed operaia di origine calabrese immigrata in zona. Inoltre, nella propria area di influenza la famiglia Xxxxxxx può anche permettersi di imporre sovrapprezzi, grazie anche alla complicità succube di alcuni ed attiva di altri.31
Particolarmente interessanti sono le dichiarazioni rese da alcuni testimoni qualificati, che vengono riportate nella sentenza. L.F., architetto e capo dell’ufficio tecnico del comune di Buccinasco, ha riferito che «anche quando il subappalto viene dato formalmente a ditte del luogo, i lavori di fatto sono eseguiti da questi padroncini calabresi. Posso citare ad esempio il più grosso cantiere aperto in Buccinasco in via Xxxxx Xxxxx, nel quale i lavori sono formalmente appaltati ad un imprenditore della zona di Rho (Luraghi n.d.r.): di fatto, nonostante tutte le rassicurazioni dei committenti, i lavori di movimento terra sono stati eseguiti dai calabresi». Lo stesso teste L.F. ha anche riferito che, sempre a Xxxxxxxxxx, i lavori per una barriera antirumore in via Salieri, che erano stati assegnati alla ditta Guerra di Nerviano, erano stati in realtà gestiti da Xxxxxxxxx Xxxxxxx: «So che poi di fatto i lavori sono stati eseguiti dalla ditta di Xxxxxxxxx, anche se noi, formalmente, abbiamo liquidato il compenso a Guerra».32 Questa circostanza è stata confermata anche dagli agenti della Polizia Locale di Buccinasco A.M., S.S. e S.R., i quali, nelle rispettive sommarie informazioni, hanno confermato di avere accertato, attraverso i
30 Tribunale di Milano, Gip, sentenza 27 febbraio 2009, Xxxxxxx Xxxxxxxx, p. 6.
31 Ivi, p. 36.
32 Ivi, p. 37.
loro sopralluoghi, «la presenza dei Barbaro e di persone e mezzi a loro riconducibili sui cantieri della barriera antirumore in via Salieri, di cui gestivano di fatto il subappalto».33 La teste M.U., dipendente dell’impresa di Xxxxxxxx Xxxxxxx, ha reso una deposizione che mostra chiaramente quanto nei cantieri di quell’impresa regnasse un vero e proprio caos determinato, governabile e governato solo da parte del capomafia Xxxxxxxxx Xxxxxxx: «quando avevamo una commessa che prevedeva del movimento terra chiamavamo Xxxxxxx Xxxxxxxxx o, meglio, lui già sapeva che noi avevamo il lavoro. *…+ A volte succedeva che i camion mandati sui cantieri erano in eccedenza rispetto alle reali necessità; in quel caso comunque tutti i padroncini presenti in cantiere mandavano la fattura ed i buoni viaggio e noi pagavamo. Era in pratica Xxxxxxxxx che decideva chi degli altri padroncini calabresi dovesse lavorare».34 Ed è il caso di sottolineare che questo “caos” mafioso è un caos che non conosce sosta, né di giorno né di notte. È ancora il teste L.F., capo dell’ufficio tecnico di Xxxxxxxxxx, che parla:
[A proposito del cantiere per l’area destinata al Parco Spina Verde], uno dei problemi che si presentavano all’amministrazione comunale insediata nell’anno 2002 era che in orario notturno venivano scaricati grossi quantitativi di terra nelle aree pubbliche comunali. È appena il caso di ricordare che il controllo monopolistico del movimento terra in Buccinasco è da tutti attribuito alle famiglie Xxxxxxx-Xxxxxxx e alla realtà calabrese che si riferisce a loro.
*…+ In un fine settimana vennero scaricati almeno 200 camion di terra. Nonostante il via vai di camion, nessun cittadino di Buccinasco segnalò lo scarico abusivo *…+. L’area *Spina Verde+ era interessata da un progetto approvato dalla precedente amministrazione e l’appalto era stato assegnato alla ditta Green System srl. Il mattino successivo allo scarico abusivo il titolare di detta azienda, S.B., mi chiamò in cantiere, mi mostrò la situazione e mi disse che lui aveva dato incarico a Xxxxxxx Xxxxxxxxx di portare un piccolo quantitativo di terra che doveva servire per realizzare delle montagnette, mentre in effetti questi aveva riempito l’intera area.35
33 Ivi, p. 42.
34 Ibidem.
35 Ivi, p. 43.
Da una costola del procedimento “Cerberus” nasce una seconda indagine che porta a un nuovo procedimento penale, denominato “Parco Sud”.36 I modi operandi sono pressoché identici a quelli del caso precedente. L’imprenditore settentrionale “di facciata” è in questo caso il milanese Xxxxxx Xxxxxxxxx, accusato di concorso nell’associazione mafiosa (capo A), ma al tempo stesso parte lesa del delitto di illecita concorrenza con minaccia o violenza (art. 513-bis c.p., capo B) contestato ai fratelli Xxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxx,
perché, in concorso tra loro, quali amministratori di fatto rispettivamente della F.M.R. Scavi
s.r.l. e della Edil Company s.r.l. , *…+ prospettavano a Xxxxxx Xxxxxxxxx, rappresentante della Kreiamo s.p.a. (società che *…+ aveva in essere una iniziativa immobiliare in Via Vespucci di Cesano Boscone) che, qualora l’appalto per la realizzazione dell’immobile – o, quantomeno i lavori di scavo e movimento terra – non fossero stati assegnati alle imprese di famiglia, si sarebbero potuti presentare “problemi” in cantiere, con ciò intendendo implicitamente fare riferimento a possibili atti di danneggiamento delle strutture e dei mezzi ivi presenti *…]. In Cesano Boscone nei mesi di maggio e giugno 2008.
D’altro canto, l’accusa rivolta a Xxxxxx Xxxxxxxxx di essere partecipe nell’associazione mafiosa era dovuta al fatto che (come si legge nel capo A dell’imputazione) egli si era prestato ad occultare la partecipazione (pari al 50%) di Xxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxx nell’Immobiliare Buccinasco s.r.l. (controllata dalla sua Kreiamo s.p.a.), aveva corrisposto loro delle somme in xxxx ed aveva fornito lavoro alle loro imprese sia direttamente che attraverso una terza persona, tale Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, non ricollegabile alla famiglia mafiosa. Dalla motivazione della sentenza “Parco Sud” di primo grado si apprende poi che attorno alle due società di cui Xxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxx erano amministratori di fatto (F.M.R. Scavi s.r.l. ed Edil Company s.r.l.) «ruotavano una serie di imprese facenti capo a singoli padroncini calabresi che erano coinvolte all’occorrenza nei cantieri di maggiori dimensioni»; e
36 Il giudizio abbreviato del processo “Parco Sud” si è concluso con la sentenza del Gip del Tribunale di Milano emessa il 28 ottobre 2010 nei confronti di Xxxxxxx Xxxxxxxx + 14, la quale ha dichiarato la responsabilità penale – per associazione mafiosa e altri reati – di Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx (gli stessi del processo “Cerberus”), Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx (figlio di Xxxxxxx), Xxxxxxxxx Xxxxxx e Xxxxx Xxxxxxx. La Corte d’appello, con sentenza 10 gennaio 2012, ha confermato le condanne, sia pure rimodulando le pene. Si tratta di condanne non definitive. Pendono ricorsi per cassazione.
che i prezzi erano convenienti «perché le imprese calabresi spesso e volentieri operano smaltimenti abusivi di materiali tossici, non sostenendo così i costi di conferimento del materiale in cava».37 Anche in questo caso si registra lo stesso caos strumentale di cui si è detto relativamente al caso precedente: «nei cantieri occupati dai padroncini calabresi vige l’anarchia e solo l’intervento di un autorevole esponente della “famiglia” può riportare l’ordine. In caso contrario il committente è alla mercé dei singoli padroncini che organizzano il lavoro sulla base delle loro esigenze, diventando sostanzialmente ingestibili». La sentenza riporta l’esempio di alcuni “padroncini” calabresi che avevano preteso di caricare con il proprio camion della terra senza alcuna preliminare autorizzazione, minacciando il geometra di cantiere.38 Particolarmente interessante è il meccanismo di interposizione di un’impresa-schermo (facente capo a un personaggio terzo, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, non riconducibile alle famiglie Barbaro-Papalia), onde mantenere occulto il collegamento tra le attività di movimento terra che si svolgono nel cantiere di via Vespucci e il gruppo mafioso che ne detiene il controllo monopolistico. Sul punto è significativa l’intercettazione ambientale di una conversazione tra Xxxxxxxxx Xxxxxx e il suo socio Xxxxxxx Xxxxx (giudicato separatamente), che nella sentenza viene così commentata:
Nella circostanza, fortissima era la preoccupazione manifestata da Xxxxx circa le possibili ripercussioni legate alla continuazione dei rapporti economici con detti ambienti malavitosi
*…+. Xxxxxxxxx Xxxxxx mediava assumendo l’onere di continuare detti “legami”, sottolineando che *…+ la strategia più proficua sarebbe stata quella di avere la mano “morbida” con tali ambienti, privilegiando “la concessione dei piccoli appalti” *…+.
Xxxxxx *…+ riteneva che i lavori eseguiti da Andronaco *…+ sarebbero stati di difficile riconducibilità diretta al gruppo Barbaro/Papalia perché, a suo dire, le persone della ditta di Andronaco non erano ufficialmente ricollegabili a tale consorteria – “Non sono legati loro ufficialmente” –. Nel corso di tale intercettazione, fu evidente che Madaffari, ben attento a rispettare gli “equilibri” con i malavitosi, aveva più cognizione di Xxxxx dell’esistenza di un costume cui era consigliabile attenersi *…+. Xxxxx *…+ dal principio si mostrò assolutamente contrario *…+, ma poi, nel prosieguo, fece delle concessioni al socio Madaffari, che si disse
37 Gip Milano, 28 ottobre 2010, Barbaro + 14, cit., p. 6.
38 Ivi, p. 8. E’ probabilmente in considerazione di episodi di questo genere che la sentenza giunge a parlare di un “sistema di appalti coattivi” (Ivi, p. 254).
certo di riuscire a gestire la vicenda progettando di assegnare a queste realtà criminali soltanto i “piccoli appalti”.39
E’ evidente che la singolare espressione “piccoli appalti” allude proprio a quella sorta di subcontratti in via puramente di fatto distribuiti tra numerosi “padroncini” nell’ambito del controllo mafioso delle attività di movimento terra, destinati a sfuggire a qualsiasi verifica antimafia preventiva.
Il procedimento penale “Infinito”, noto anche con la denominazione “Crimine” viene condotto congiuntamente dalle Procure distrettuali di Milano e di Reggio Calabria. Un ulteriore procedimento, denominato “Tenacia”, nasce pressoché contemporaneamente a Milano e viene ben presto unito al precedente. I due procedimenti entrano nel vivo nel maggio 2010 con una maxi-richiesta di custodia cautelare in carcere contro 160 persone.
Nel dicembre 2010, a seguito di emissione del decreto di giudizio immediato relativo a un unico procedimento unificato, 119 fra gli imputati chiedono che si proceda nei loro confronti con il rito abbreviato. Il relativo processo inizia nel giugno 2011 e si conclude con la sentenza di primo grado nel novembre successivo.40
Ciò che interessa maggiormente di questo maxi-processo, ai fini della presente relazione, è il filone “Tenacia”, con riferimento particolare alle posizioni di tre imputati (Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxxx) ai quali il reato di partecipazione ad associazione mafiosa (capo 1) è contestato nei termini seguenti:
*P+er aver fatto parte *…+ dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, operante da anni sul territorio di Milano e province limitrofe, *… c+on il ruolo di seguito specificato: Xxxxxxxx Xxxxxxxxx in qualità di capo e organizzatore, perché acquisiva per conto della ‘ndrangheta, in particolare delle ‘ndrine di Platì e Natile di Careri, la gestione e comunque il controllo delle attività economiche della Perego Strade s.r.l., poi divenuta Perego General Contractor, una delle maggiori società operanti in Lombardia nel settore del movimento terra,
39 Ivi, pp. 150-54.
40 Tribunale di Milano, Gip, 19 novembre 2011, motivazione depositata il 1° giugno 2012, Albanese + 118. Il giudizio ordinario di primo grado nei confronti degli altri imputati è tuttora pendente.
garantendo con la propria presenza la equa spartizione dei lavori tra le ‘ndrine calabresi e le corrispondenti “locali” della Lombardia *…+
Xxxxxx Xxxxx in qualità di partecipe, quale amministratore delle società del Gruppo Perego, acconsentiva e favoriva l’ingresso in società di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx; richiedeva l’intervento di quest’ultimo per indurre imprenditori concorrenti a ritirare le offerte; intratteneva rapporti privilegiati sia con esponenti politici che con pubblici dipendenti, al fine di ottenere, anche a mezzo di regalie ed elargizioni di somme di denaro, l’aggiudicazione di commesse pubbliche, affinché la Perego fosse favorita nei rapporti con la pubblica amministrazione; dava direttive ai dipendenti ed organizzava lo smaltimento illecito di rifiuti, anche tossici, derivanti da bonifiche e demolizioni di edifici in discariche abusive;
Xxxxxx Xxxxxx in qualità di partecipe, favoriva l’ingresso in Perego General Contractor di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx; inoltre, quale suo diretto riferente, ne diveniva amministratore di fatto, occupandosi direttamente della gestione delle operazioni finanziarie, poi non andate a buon fine, della acquisizione di partecipazioni societarie in altre importanti aziende nel settore delle opere pubbliche *…+.
Pur tenendo conto che Xxxxxxxx è stato raggiunto solo da sentenza di condanna in primo grado, e che per Xxxxxx e Xxxxxx il giudizio ordinario di primo grado non si è ancora concluso, dalla sentenza del Gip del 19 novembre 2011 si possono trarre alcuni spunti circa il modus operandi seguito nella vicenda “Tenacia” per l’infiltrazione mafiosa nel settore degli appalti. Si apprende così che, sulla base di un’informativa del Ros del 31 ottobre 2009, si è potuto dimostrare che Xxxxx Xxxxxx deteneva il 51% del capitale della società Perego Strade, ma che Xxxxxxxx e il suo referente Pavone ne controllavano (attraverso la società fiduciaria Carini) il 39% delle quote. Vale a dire – commenta il Gip – che «la più importante società del gruppo Perego, leader nel campo dell’edilizia in Lombardia, era una società nella quale la mafia partecipava direttamente al capitale sociale con una minoranza qualificata, peraltro suscettibile di espansione», dato che il residuo 10% faceva capo
– tramite un prestanome – a un altro ‘ndranghetista di rilievo, Xxxxxxxxx Xxxxx, assassinato nel marzo 2008.41 Si afferma poi, nella sentenza, che il controllo della Perego Strade da parte di Xxxxxxxx si presentava come «fondamentale per controllare il movimento terra, tradizionale terreno d’interventi della ‘ndrangheta in
41 Gip Milano, 19 novembre 2011, Albanese + 118, cit., p. 790.
Lombardia, anche dirottando subappalti a società direttamente controllate dall’organizzazione criminosa ed all’uopo costituite, e così gestire in prima persona una rilevante sigla imprenditoriale per partecipare agli appalti pubblici senza destare sospetti».42 Il Gip non manca poi di sottolineare – sulla base delle conversazioni intercettate – che Xxxxxxxx «affermava essere il Gruppo Perego deputato a mantenere ben centocinquanta famiglie calabresi, anche attraverso l’aggiudicazione di appalti Expo». Xx aggiunge che la rilevanza assunta da Xxxxxxxx nel Gruppo Perego era dovuta proprio al fatto che egli era «il veicolo prescelto dalla ‘ndrangheta per perseguire gli obiettivi di cui si è detto (gestire il movimento terra, ottenere la aggiudicazione di appalti utilizzando una impresa al disopra di ogni sospetto, ed attribuire i subappalti ad imprese collegate o compiacenti)».43 A questo punto la sentenza – dopo aver precisato che Xxxxxxxx, con il suo «fidato factotum» Pavone, ha fatto il suo ingresso nel Gruppo nella seconda metà del 2008 – si sofferma sull’incarico “di facciata” da lui assunto all’interno della Società: addetto alla sicurezza dei cantieri:
*L+’incarico si presentava già come altamente significativo. Se ne rendeva perfettamente conto una delle dipendenti anziane del Gruppo, A. G.: «lo non so dire con esattezza quale fosse il compito di Xxxxxxxx *…+. Quello che posso dire con certezza, per averlo vissuto lavorando in azienda, è che spesso Xxxxxxxx veniva utilizzato per dirimere delle liti o discussioni che si verificavano nei vari cantieri *…+. Mi è capitato di sentire delle telefonate tra Xxxxxx Xxxxx e interlocutori *…+ che non erano d’accordo sulla quantificazione dello stato di avanzamento lavori e Xxxxxx, urlando, diceva “Ora mando Xxxxxxxx! *…+”. Specifico altresì che di tanto in tanto sui cantieri venivano utilizzati escavatori di cui non capivo la provenienza e che poi scoprivo essere stati portati direttamente da Xxxxxxxx. *…+ *P+arlando con le altre dipendenti della Perego, che redigevano i rapportini relativi ai mezzi presenti sui cantieri, [venivo a sapere che] di tanto in tanto venivano indicate targhe che apparivano strane in quanto non inserite nell’ambito del parco mezzi della Perego. *…I+ dati per redigere i rapportini erano forniti direttamente da Xxxxxxxx, che era il fornitore del singolo mezzo».
*…+ Quanto ai rapporti con tutti gli altri, dipendenti, autotrasportatori, e camionisti che gravitavano intorno all’azienda, soccorrono le lucidissime affermazioni di A.L.P.:
«l’atteggiamento che ho notato e che mi ha subito colpito è stato quello che Xxxxxxxx si
42 Ivi, p. 792.
poneva nei confronti dell’azienda, pur non avendolo mai visto prima, come se fosse il titolare
*…+».
Identiche osservazioni formulava C.P. *…+: «ricordo in particolare che per Xxxxxxxx ho effettuato attività di contabilizzazione per lavori effettuati presso cantieri della Perego *…+ gestiti direttamente tramite ditte, aziende o società facenti capo a Xxxxxxxx. *…+ Ricordo in particolare *…+ che il giro delle fatture portate da Xxxxxxxx era notevole. *…+ Dal fatto che i singoli autotrasportatori non hanno mai avanzato lamentele per il pagamento dei viaggi effettuati deduco che quei viaggi per quegli importi sono stati effettivamente pagati. Specifico che i mezzi tramite i quali venivano effettuati questi trasporti non erano della Perego. Specifico altresì che per quanto riguarda i dipendenti erano sicuramente esterni alla Perego in quanto conosco tutti i dipendenti della Perego, compresi tutti gli autisti, e posso dire, anche in relazione ai mezzi usati, che non si trattava di dipendenti della Perego».44
Anche nella vicenda “Tenacia”, quindi, si assiste ad una situazione del tutto analoga a quella che si è presentata nelle vicende “Cerberus” e “Parco Sud”: una frantumazione dell’attività di movimento terra, distribuita tra una moltitudine di “padroncini”, attraverso una moltitudine di subcontratti non ufficializzati e gestiti in via di fatto (i «piccoli appalti» del linguaggio suggestivo di Madaffari).
Il tutto nel quadro di un caos prodotto strumentalmente, destinato a essere ricondotto a un “ordine” squisitamente mafioso, e tale da sfuggire a qualsiasi verifica antimafia che non si accompagni a un massiccio e quotidiano ricorso ai controlli diurni e notturni sui cantieri.
4.5 Il nuovo sistema di controlli antimafia basato sulle linee guida del “CCASGO” e sui protocolli d’intesa.
Nel corso del 2009, il quadro delle competenze del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere (Ccasgo) viene ampliato a seguito dell’entrata in vigore delle tre legislazioni d’urgenza per il terremoto d’Abruzzo, per il piano Carceri e per Milano Expo 2015, le quali hanno comportato l’elaborazione da parte del Ccasgo di altrettante direttive di “linee guida” ad hoc. Le linee guida per l’Expo 2015 sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2011, ma esse si
ricollegano a un testo che è bene esaminare preliminarmente, in quanto costituisce un aggiornamento-completamento della già menzionata “Direttiva Ccasgo 2005”, con particolare riguardo al contenuto dei cosiddetti “protocolli d’intesa”. Si tratta delle linee guida predisposte dal Ccasgo nei primi mesi del 2011 «per definire i contenuti degli accordi che il soggetto aggiudicatore di una infrastruttura strategica deve stipulare con gli organi competenti in materia di sicurezza nonché di prevenzione e repressione della criminalità». Queste linee guida (d’ora in avanti “Linee-guida Accordi”) sono state trasmesse al Cipe in data 23 giugno 2011 dal Ccasgo e sono state approvate dal Cipe con una delibera del 3 agosto 2011. 45
In particolare ci si soffermerà sui punti delle “Linee-guida Accordi” che riguardano la fase di cantierizzazione e realizzazione dell’opera, fase nella quale già la Direttiva Ccasgo 2005 aveva ravvisato pesanti aspetti di «vulnerabilità mafiosa», come del resto confermano gli esiti delle inchieste giudiziarie milanesi considerate nel paragrafo precedente. E non a caso già la Direttiva Ccasgo 2005 aveva prestato una speciale attenzione agli accessi e controlli sui cantieri demandati ai Prefetti e ai relativi “Gruppi Interforze”, ma in un contesto nel quale i “protocolli d’intesa” vengono ad assumere un ruolo molto rilevante anche sotto il profilo della forte responsabilizzazione dei «soggetti esecutori»: il contraente generale, le imprese affidatarie dirette e indirette e la stessa stazione appaltante. Tra l’altro, già nel 2005, la Direttiva Xxxxxx aveva affermato la necessità di rendere finalmente operativo «l’obbligo dell’appaltatore di comunicare alla stazione appaltante, per tutti i subcontratti stipulati per l’esecuzione dell’appalto, il nome del subcontraente, l’importo del contratto, l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati». Si tratta di quell’obbligo, lungamente disatteso, di cui si è parlato in uno dei capitoli precedenti, che all’epoca della Direttiva Ccasgo 2005 era previsto dall’art. 18, comma 12, della Legge 55/1990, e che oggi è ribadito dall’art. 118, comma 11, del
45 xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxx-x-xxxxx-xxxxxxxxx-xxxxxxxxx-xxxxx-xxxxxxxxxxxxxx- strategiche-e-linee-guida-g-u-n-3-del-04-gennaio-2012-8032.html («Approvazione linee guida per la stipula di accordi in materia di sicurezza e lotta antimafia ex art. 176, comma 3, lett. e), del d.lgs. n. 163/2006», pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2012).
Codice dei contratti pubblici del 2006. Si riportano qui di seguito i brani più significativi della Direttiva: 46
*L+e maggiori insidie d’infiltrazione criminale si annidano nella fase “a valle” e, in particolare, nell’affidamento dei lavori a mezzo degli strumenti del cottimo e del sub-appalto *…+. [V]engono parimenti considerate esposte a pericoli d’infiltrazione anche particolari forniture e prestazioni di servizi non inquadrabili nella figura del sub-appalto, e tuttavia piuttosto appetite dalla criminalità organizzata *…+.
Si tratta di settori (cave, produzione di conglomerati cementizi e bituminosi, trasporti e movimento terra, ecc.) verso i quali le organizzazioni criminali hanno manifestato consistenti interessi. Le imprese che vi operano talora sono risultate “organiche” alle consorterie mafiose, non soltanto sottoposte al loro controllo.
Tali fattispecie, non riconducibili alla figura del subappalto, risultano escluse dalla disciplina dell’art. 18 della L. 55/1990 *oggi art. 118 del “Codice dei contratti pubblici”+, in mancanza dei requisiti ivi indicati, e ad esse non è, pertanto, riferibile la previsione [di cui al comma 2, n. 4, del citato art. 118+ secondo la quale l’autorizzazione all’affidamento è condizionata, tra l’altro, all’insussistenza dei divieti previsti dall’art.10 della legge antimafia 31 maggio 1965, n. 575
*…+.
È a tale constatazione che si rifà la linea, adottata dal Ccasgo *…+, secondo la quale le informazioni del Prefetto vengono estese in via pattizia ai sub-contratti, indipendentemente dal raggiungimento della “soglia” di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. 252/1998,47 nonché alle prestazioni di servizi e forniture considerate esposte al pericolo d’infiltrazione criminale, altrimenti non riconducibili al sistema delle verifiche antimafia.
Anche a tale obiettivo sono rivolti i Protocolli d’intesa a struttura trilaterale, vale a dire stipulati tra soggetto aggiudicatore, contraente generale e Prefettura *…+.
*…+
I rischi più evidenti collegati a tale fase [la fase attinente alla realizzazione dell’opera+ sono in parte riconducibili all’assenza di verifiche antimafia per una serie di prestazioni che, in quanto sottratte alla disciplina dell’art. 18 della L. 55/1990 *oggi art. 118 del Codice dei contratti pubblici], possono essere utilizzate per aggirare i vincoli della disciplina in materia di subappalto e veicolare interessi riconducibili alla criminalità organizzata.
46 Direttiva Ccasgo 2005, pp. 20-23 e 35-37.
47 L’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. 252/1998 (che a partire dal 28 settembre 2013 sarà sostituito dall’art. 91, comma 1, lett. c), del nuovo Codice Antimafia del 2011) stabilisce che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati devono acquisire l’informazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare contratti o subcontratti «il cui valore sia: *…+ c) superiore a 300 milioni di lire» (150.000 euro secondo il futuro art. 91 del Codice Antimafia). Non è chiaro come si armonizzi la “soglia” fissata da questa norma con le diverse “soglie” fissate dal già citato art. 118, comma 11, del Codice dei contratti pubblici del 2006 (corrispondente al vecchio art. 18, comma 12, della L. 55/1990).
Questo specifico aspetto è stato oggetto di disamina nei precedenti paragrafi, evidenziando come, negli accordi protocollari, lo strumento di contrasto sia stato individuato nell’assoggettamento di tali prestazioni alle informazioni del Prefetto *…+.
Le linee elaborate dal Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere sono incardinate sul principio di responsabilizzare adeguatamente i soggetti esecutori, tenuto conto dell’importanza fondamentale, anche nell’orientare le attivita investigative, della tempestività delle segnalazioni circa la sussistenza di eventuali tentativi di estorsione.
Nei Protocolli d’intesa patrocinati dal Comitato sono state inserite apposite clausole che, fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, impegnano il contraente generale e i suoi affidatari, diretti e indiretti, ad informare senza ritardo la Prefettura competente dell’esistenza di minacce, atti intimidatori ed altre forme di pressione cui potrebbero essere esposte le imprese interessate all’esecuzione dei lavori.
Inoltre, è oggetto di particolare sottolineatura l’impegno da parte dell’impresa affidataria di predisporre autonome misure di vigilanza sui cantieri volte a rendere possibile l’immediata identificazione dei soggetti di cui sia autorizzata la presenza nelle aree interessate ai lavori, correlando l’inadempienza ad un sistema articolato di sanzioni che prevede, per i casi più gravi, anche la revoca dell’affidamento.
Tornando ora alle “Linee-guida Accordi”, è facile osservare che esse costituiscono il naturale ulteriore sviluppo dei principi affermati nella Direttiva Ccasgo 2005, nella prospettiva dichiarata di una effettiva responsabilizzazione dei «soggetti esecutori». A tale proposito, il punto 4 del testo in esame fissa le basi del cosiddetto “Piano coordinato di controllo del cantiere o del sub-cantiere” nei termini seguenti:
- l’appaltatore (ovvero l’impresa subappaltatrice che opera nell’area di cantiere) individua un Referente di cantiere che trasmette con cadenza settimanale *…+ l’elenco delle attività previste nella settimana successiva (cosiddetto Settimanale di cantiere) alla Prefettura, alle Forze di polizia, alla direzione dei lavori;
- tale Settimanale, redatto dall’appaltatore o da impresa da questi delegata, *…+ contiene ogni utile indicazione con riferimento:
- alla ditta che esegue i lavori (lo stesso appaltatore, ovvero il subappaltatore, gli affidatari e sub-affidatari *…+);
- ai mezzi delle suddette imprese o di eventuali altri subcontraenti che eseguono forniture *…+.
- ai nominativi dei dipendenti e delle persone che accedono al cantiere per ogni altro motivo *…+.
Sulla tracciabilità dei mezzi di trasporto, il testo delle Linee-guida Accordi rimanda all’art. 4 della legge 136/2010, secondo il quale, «al fine di rendere facilmente individuabile la proprietà degli automezzi adibiti al trasporto dei materiali per l’attività dei cantieri, la bolla di consegna del materiale indica il numero di targa e il nominativo del proprietario degli automezzi medesimi». Ne consegue che il Settimanale dovrà contenere anche tali indicazioni. Analogamente, ai fini dell’identificazione degli addetti ai cantieri, e comunque delle persone che vi accedono, il testo delle linee guida rimanda all’art. 5 della legge 136/2010, il quale disciplina rigorosamente la materia delle tessere di riconoscimento obbligatorie nell’ambito dello svolgimento di ogni attività in regime di appalto e subappalto. Il datore di lavoro deve munire di tessera i lavoratori subordinati, mentre i lavoratori autonomi devono provvedere essi stessi a munirsene. Il rimando delle Linee-guida Accordi all’art. 5 citato comporta evidentemente che il Settimanale debba contenere l’indicazione dei nominativi e anche degli estremi delle relative tessere di riconoscimento. 48 Le linee guida in argomento, inoltre, stabiliscono che il Referente di cantiere comunichi ogni variazione intervenuta relativamente ai dati inviati e che l’Appaltatore, tramite il Referente di cantiere, verifichi che i lavori siano eseguiti utilizzando esclusivamente i mezzi ed il personale segnalati nel Settimanale.
Il Settimanale è messo a disposizione del Gruppo interforze ai fini degli eventuali accessi ai cantieri, e la Prefettura, attraverso le Forze di polizia, provvede alle opportune verifiche. Le stesse Linee-guida Accordi, infine, richiamano espressamente le indicazioni contenute nelle linee-guida dettate dal Ccasgo per lo svolgimento di EXPO Milano 2015, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2011.49 Esse, peraltro, si limitano a recepire il contenuto della Direttiva Ccasgo 2005 e delle Linee-guida Accordi, sviluppandole in termini che non appaiono
48 La tessera di riconoscimento deve essere corredata di fotografia e contenere le generalità della persona. Quella del lavoratore subordinato deve contenere anche l’indicazione del datore di lavoro, della data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione. Nel caso di lavoratori autonomi la tessera di riconoscimento deve contenere, oltre alle generalità e alla fotografia, anche l’indicazione del committente. L’art. 5 della legge 136/2010 richiama a sua volta la normativa sulle tessere di riconoscimento dei lavoratori contenuta nel D.L.vo 9 aprile 2008, n. 81, «in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro» (art. 18, comma 1, lettera u, e art. 21, comma 1, lettera c).
49 Le Linee guida per Milano Expo 2015 sono reperibili nel già citato sito internet del Ccasgo, sezione “Linee guida”.
particolarmente rilevanti in questa sede. È invece interessante il “Protocollo di Legalità tra Prefettura-U.T.G. di Milano e Expo 2015 S.p.A.”, sottoscritto a Milano il 13 febbraio 2012.50 In esso, tra l’altro – all’art. 1, comma 3 –, la stazione appaltante si impegna a garantire l’osservanza dell’obbligo derivante dall’art. 118, comma 11, del Codice dei contratti pubblici:
Expo si impegna ad inserire nei contratti stipulati o da stipulare con gli appaltatori apposita clausola con la quale l’appaltatore assume l’obbligo di fornire ad Expo stessa i dati relativi alle società e alle imprese subcontraenti e terze subcontraenti interessate, a qualunque titolo, all’esecuzione delle Opere.
Nella stessa clausola si stabilisce che le imprese di cui sopra accettano esplicitamente quanto convenuto con il presente Protocollo, ivi compresa la possibilità di applicazione di sanzione pecuniaria, nonché di revoca degli affidamenti o di risoluzione del contratto o subcontratto nei casi di mancata o incompleta comunicazione dei dati *…+.
Inoltre, nello stesso articolo 1 (comma 4) il Protocollo stabilisce che l’obbligo di conferimento dei dati sussiste relativamente a tutti i contratti ed i subcontratti di qualsiasi tipo, conclusi dall’appaltatore, dai subcontraenti e dai terzi subcontraenti ed autorizzati da Expo, «per qualunque importo». Va infine segnalata una disposizione specifica per particolari tipologie di subcontratti particolarmente congeniali alle logiche di mafia – contenuta nell’art. 5 del Protocollo – che rende obbligatoria la richiesta di informazioni al Prefetto «anche per i contratti ed i subcontratti, indipendentemente dal loro importo, aventi ad oggetto le tipologie di prestazioni di seguito elencate»: segue l’elenco di undici tipologie di prestazioni, tra cui il trasporto di materiale a discarica, lo smaltimento rifiuti, il movimento terra, i noli a freddo e a caldo di macchinari ed altre.
4.6 Valutazioni finali e rimedi prospettabili per ostacolare le infiltrazioni mafiose negli appalti relativi a expo 2015.
50 Reperibile al sito internet del Comune di Milano digitando in Google la denominazione completa.
Il nuovo sistema antimafia introdotto a partire dal 2003, che prende forma con l’istituzione del “Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere” e giunge a maturazione proprio con il “Protocollo di legalità tra Prefettura di Milano e Expo 2015”, è certamente un sistema molto avanzato, ma presenta dei punti di debolezza che emergono in tutta la loro evidenza quando li si osservi alla luce del modus operandi collaudato e perfezionato dalla ‘ndrangheta nell’ultimo decennio sui cantieri di Milano e dintorni. In estrema sintesi, le caratteristiche di questo modus operandi sono le seguenti:
- Intrusione nel cantiere da parte del gruppo mafioso, operata in via di fatto in virtù della forza di intimidazione del vincolo associativo, qua e là alimentata – all’occorrenza – da episodi di minaccia e violenza a persone e cose;
- Presenza capillare in cantiere degli uomini di mafia, che svolgono per lo più in punto di fatto la loro attività, coordinati ufficiosamente da da uno dei capi-cosca;
- Esercizio di un’autorità di fatto sul cantiere da parte del capo-cosca, che stabilisce a sua discrezione chi debba lavorare in quel cantiere;
- Affidamento formale di un lavoro a una ditta pulita, cui formalmente viene liquidato il compenso, salvo far sì che i lavori siano eseguiti dagli uomini di mafia e che il compenso arrivi poi a loro;
- Scelta sistematica delle ore notturne per le operazioni maggiormente rischiose, quali gli scarichi di grossi quantitativi di terra inquinata nelle aree pubbliche comunali;
- Utilizzo di sistemi di camuffamento e mimetizzazione delle titolarità reali (in virtù di intestazioni artificiose e stratagemmi di vario genere), in modo da rendere innocua l’eventuale informazione che arrivasse alle autorità;
- Utilizzazione di “scudi”, per proteggere e rendere occulte le attività mafiose sul cantiere, costituiti da personaggi e/o imprese-schermo assolutamente non ricollegabili alla famiglia mafiosa;
- Creazione di una situazione di “caos strumentale” nella gestione del cantiere, in modo tale che la situazione sia governabile e venga governata solo dal capo-cosca e diventi invece pressoché inestricabile da parte dei titolari formali del cantiere.
A ben vedere quest’ultima caratteristica – quella del “caos strumentale” – è in realtà la risultante complessiva di tutte le caratteristiche sopra elencate, il cui collante è costituito dalla miscela perversa tra la “forza di intimidazione del vincolo associativo” (con le sue derivazioni in termini di assoggettamento e di omertà) e le sistematiche spinte collusive sapientemente gestite dal gruppo mafioso. E non è casuale che, in tutt’e tre le vicende giudiziarie descritte nel paragrafo 4 (Cerberus, Parco Sud e Infinito-Tenacia), figurino altrettanti “imprenditori collusi”, indotti a una collusione più o meno vantaggiosa da entrambi gli ingredienti della miscela: il bastone e la carota. Non sembra superfluo richiamare e rammentare, a questo punto dell’esposizione, tre esempi particolarmente significativi di quello che abbiamo definito “caos strumentale mafioso”, tratti dai tre casi giudiziari esaminati nella presente relazione.
Il primo è in un passaggio della deposizione della teste M.U., dipendente dell’impresa Luraghi (caso Xxxxxxxx), la quale racconta, fra l’altro, che «a volte succedeva che i camion mandati sui cantieri erano in eccedenza rispetto alle reali necessità; in quel caso comunque tutti i padroncini presenti in cantiere mandavano la fattura ed i buoni viaggio e noi pagavamo»;51
Il secondo è tratto dalla sentenza base del caso Parco Sud, laddove si rileva che «nei cantieri occupati dai padroncini calabresi vige l’anarchia e solo l’intervento di un autorevole esponente della “famiglia” può riportare l’ordine. In caso contrario il committente è alla mercé dei singoli padroncini che organizzano il lavoro sulla base delle loro esigenze, diventando sostanzialmente ingestibili» (e la sentenza riporta l’esempio di alcuni “padroncini” che avevano preteso, e ottenuto con la minaccia, di caricare con il proprio camion della terra senza alcuna autorizzazione).52
Il terzo esempio sta in un passaggio della deposizione della teste A.G., dipendente anziana del Gruppo Perego e addetta ai contratti (caso Xxxxxxx), la quale racconta, fra l’altro, che a volte venivano utilizzati sui cantieri «escavatori di cui non capivo la provenienza e che poi scoprivo essere stati portati direttamente da Xxxxxxxx. *…+ Parlando con le altre dipendenti della Perego, che redigevano i rapportini relativi ai
51 Tribunale di Milano, Gip, sentenza (passata in giudicato) del 27 febbraio 2009, cit., p. 42.
52 Tribunale di Milano, Gip, sentenza del 28 ottobre 2010, cit., p. 8.
mezzi presenti sui cantieri, di tanto in tanto venivano indicate targhe che apparivano strane in quanto non inserite nell’ambito del parco mezzi della Perego
*…+. I dati per redigere i rapportini erano forniti direttamente da Xxxxxxxx, che era il fornitore del singolo mezzo». Riferisce inoltre la teste, per quanto riguarda il ruolo di Xxxxxxxx nei cantieri Perego: «Io non so dire con esattezza quale fosse il compito di Xxxxxxxx *…+. Quello che posso dire con certezza, per averlo vissuto lavorando in azienda, è che spesso Xxxxxxxx veniva utilizzato per dirimere delle liti o discussioni che si verificavano nei vari cantieri».53
Sull’altro versante abbiamo il nuovo sistema antimafia, che poggia su due pilastri: da un lato la forte responsabilizzazione dei “soggetti esecutori” (il contraente generale, le imprese affidatarie dirette e indirette e la stessa stazione appaltante), con comminazione di sanzioni più o meno gravi in caso di inosservanza degli obblighi assunti; dall’altro il potere di accesso e controllo sui cantieri demandato al Prefetto e ai Gruppi Interforze. Per quanto riguarda il primo pilastro non c’è ovviamente nulla da obiettare: la forte responsabilizzazione di tutti i soggetti impegnati nella filiera dei lavori pubblici non può che essere accolta con soddisfazione. Il secondo pilastro, invece, così come attualmente modulato nelle linee guida del Ccasgo, rischia di rivelarsi inadeguato alle nuove esigenze di ordine pubblico e di efficienza complessiva del sistema, che saranno inevitabilmente determinate dall’impatto tra le regole rigorose e sin qui mai sperimentate, che vengono imposte ai “soggetti esecutori”, e i modi operandi di ‘ndrangheta, collaudati, insidiosi e obiettivamente favoriti non solo dalla forza di intimidazione, ma anche dal singolare “usbergo” costituito da quel “caos strumentale” di cui si è detto.
Che la ‘ndrangheta abbia tutte le intenzioni di infiltrarsi nei cantieri di Expo 2015 è ampiamente dimostrato dalle più recenti vicende giudiziarie milanesi.54 Se riuscisse a farlo (e purtroppo nulla induce a ritenere che rinunzi o non ci riesca), e se i “soggetti esecutori” dovessero creare problemi alle “famiglie” attenendosi
53 Tribunale di Milano, Gip, sentenza del 19 novembre 2011, cit., pp. 799-800.
54 Ivi, p. 798: «Xxxxxxxx affermava essere il Gruppo Perego deputato a mantenere ben centocinquanta famiglie calabresi, anche attraverso l’aggiudicazione di appalti Expo».
scrupolosamente agli impegni presi con il Protocollo d’intesa 13 febbraio 2012, sarebbero del tutto prevedibili le reazioni violente, e anche sanguinose, dei gruppi mafiosi interessati. Ed ecco allora che il secondo pilastro di cui sopra (il potere di accesso e controllo sui cantieri dei Prefetti e dei Gruppi Interforze) dovrebbe essere predisposto per tempo in modo tale da essere in grado di prevenire e impedire a monte tali reazioni violente: intervenendo massicciamente a fianco dei “soggetti esecutori” che sono chiamati ad ottemperare ai loro obblighi, ma che hanno la legittima aspettativa di non essere lasciati soli a subire le rappresaglie criminali. Sta di fatto, però, che l’attuale meccanismo d’intervento basato sui Gruppi Interforze, per poter operare in tal modo, necessita di una sostanziosa rimodulazione (peraltro coerente con la normativa in vigore) che crei un collegamento snello e funzionale con gli organismi territoriali delle forze di polizia.
Va infatti rammentato, a scanso di equivoci, che ciascuno dei Gruppi Interforze voluti dal decreto del Ministro dell’interno 14 marzo 2003 è un organismo composto solo da sette tra funzionari e alti ufficiali.55 Ebbene, come si è già detto, questi Gruppi Interforze, secondo la Direttiva Ccasgo 2005, devono semplicemente procedere ad una ricognizione dei lavori che interessano il loro territorio per
«costruire una mappa dei cantieri» che consenta di percepire «eventuali elementi di sospetto meritevoli di approfondimento». Se essi percepiscono elementi di sospetto, devono allora riferire al Prefetto, «che potrà autorizzare, cognita causa, l’intervento degli organismi territoriali delle Forze di Polizia». E dopo la decisione prefettizia essi devono provvedere «alla messa a punto del dispositivo d’intervento, fissandone tempi e modalità».56 Si tratta evidentemente di un intervento eccessivamente burocratico, che non può certamente rassicurare e tutelare adeguatamente i “soggetti esecutori”, i quali sono chiamati da subito ad ottemperare ai loro obblighi. Tanto più che tale ottemperanza agli obblighi può essere resa obiettivamente molto difficile dall’elemento “caos strumentale” che
55 Un funzionario della Prefettura, uno della Polizia di Stato, un ufficiale dei carabinieri, uno della Guardia di finanza, un rappresentante del Provveditorato alle opere pubbliche, uno dell’Ispettorato del lavoro, un funzionario della Direzione investigativa antimafia.
56 Direttiva Ccasgo 2005, pp. 37-38.
contraddistingue il modus operandi mafioso: non sarà certamente agevole, per il Referente di cantiere, ottemperare scrupolosamente all’obbligo di trasmettere con cadenza settimanale alla Prefettura e alle Forze di polizia il Settimanale di cantiere con l’elenco delle attività previste nella settimana successiva (come richiede il punto 4 delle “Linee-guida Accordi”), se il giorno dopo aver trasmesso l’elenco gli si presenta uno stuolo di “padroncini” che (come è accaduto nella vicenda Parco sud) pretendono con la minaccia di caricare con il proprio camion della terra senza alcuna autorizzazione.
Anche nel meccanismo “Referente di cantiere – Settimanale di cantiere”, pertanto, si annida il rischio di una sterilizzazione burocratica del sistema, a meno che non si realizzi per davvero un supporto massiccio ed efficiente in termini di frequenza di accessi – giorno e notte – sui cantieri. Il rischio è quello che, altrimenti, gli invii settimanali si riducano a mere parvenze cartolari, che non corrispondono alla realtà. Ed è un rischio di cui erano ben consapevoli i redattori della Direttiva Ccasgo 2005, che hanno tenuto ad affermare, nel loro testo, l’esigenza di «svincolare il più possibile le verifiche antimafia dalla mera cartolarità degli adempimenti burocratici».57
In conclusione del presente capitolo, si ritiene quanto segue:
a) sarebbe opportuno un concerto tra le autorità di riferimento competenti per l’evento Expo 2015 (Prefetto, Questore, Sindaco di Milano e Sindaci degli altri
Comuni interessati) al fine di rafforzare in via di fatto il sistema di intervento basato sui poteri di accesso ai cantieri del Prefetto di Milano e del relativo Gruppo Interforze.
b) in particolare servirebbe un meccanismo, anche transitorio (dal 1°agosto 2012 al 1° agosto 2015), che preveda un contingente di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria selezionati,58 che possa affiancare quotidianamente il Gruppo Interforze della
57 Direttiva Ccasgo 2005, p. 43.
58 Selezionati anche sotto il profilo dell’affidabilità e della fedeltà alle istituzioni: nei procedimenti penali che si sono presi in esame sono frequentissimi gli episodi di corruzione e vi è notizia di diversi casi in cui il gruppo mafioso è stato
Prefettura ed effettuare accessi e controlli nei cantieri, sia diurni che notturni, che siano molto frequenti.
c) negli accessi sui cantieri, agli uomini delle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Locale) sarebbe opportuno affiancare un Ispettore del Lavoro, un Ispettore ARPA e un Ispettore ASL.
preavvertito di un accesso sul cantiere, da parte delle forze di polizia, previsto per il giorno dopo. Cfr. Tribunale di Milano, Gip, sentenza del 28 ottobre 2010, cit., pp. 6-7.
5) LE INFILTRAZIONI DELLA CRIMINALITA’ NEGLI ESERCIZI COMMERCIALI, NEL TURISMO E NELLA
RISTORAZIONE.
IPOTESI DI CONTRASTO.
Recenti analisi del fenomeno delle infiltrazioni mafiose nella c.d. economia legale evidenziano come i settori del commercio e del turismo-ristorazione siano divenuti ambiti di interesse crescente per la criminalità organizzata. Il XIII rapporto di “SOS Impresa”, presentato a gennaio, evidenzia come le due voci aggregate rappresentino oggi sul piano nazionale quasi il 28% degli “investimenti” del crimine organizzato. Nel Nord del Paese, e in modo particolare in Lombardia, il fenomeno assume dimensioni ancor più significative. Il Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxx, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Presidente di “Transcrime”, ha illustrato anche a questo Comitato, nel corso della riunione del 14 febbraio, un’analisi del fenomeno delle infiltrazioni della criminalità organizzata nei diversi settori economici, realizzata attraverso la verifica delle caratteristiche delle aziende confiscate, divise secondo categoria economica. Il lavoro realizzato analizza anche la specifica realtà lombarda. Il risultato, non ancora definitivo, evidenzia che nella nostra Regione circa il 25% delle confische è rappresentato da imprese e immobili propri del settore del turismo e della ristorazione (voce Alberghi e Ristoranti); pari incidenza è riconosciuta alla voce Commercio ingrosso-dettaglia: più del 50% delle aziende confiscate in Lombardia afferisce a questi due settori. Come si può notare dalla tabella che segue, la media nazionale di investimento del crimine organizzato nel settore Turismo–Ristorazione è di parecchio inferiore rispetto a quella lombarda, mentre ciò non si può dire per la voce “Commercio”.
Lo studio di Transcrime evidenzia, quindi, la peculiarità del fenomeno nella nostra Regione: ben più che nel “tradizionale” settore delle costrizioni, il crimine organizzato preferisce investire in commercio, turismo-ristorazione.
Va detto, tuttavia, che tale dato risente necessariamente di un deficit di aggiornamento determinato dalla tempistica necessaria per definire il procedimento di confisca. Tuttavia non vi sono elementi per immaginare un’intervenuta inversione di tendenza, anzi (e lo si osserva nella piena consapevolezza dell’irrilevanza dell’affermazione) anche i più recenti fatti della cronaca cittadina sembrano ribadire i dati suesposti. Solo nei primi dieci giorni di luglio, infatti, sono stati sequestrati e affidati a custodia giudiziale due locali (il Gran Xxxxx Xxxxxx in Corso di Porta Romana e il Samarani Café in Piazza Xxxx) riconducibili in ipotesi d’accusa il primo al capo di un clan camorristico, il secondo alla famiglia mafiosa D’Agosta di Ragusa.
Quello dei beni confiscati è solo uno degli indici che consentono di comprendere la dimensione e le caratteristiche del fenomeno delle infiltrazioni e, da solo, ha
significatività relativa. Certo il dato che emerge dallo studio di Transcrime impone di prestare attenzione ai settori evidenziati come preferiti dalla criminalità organizzata; è opportuno, pertanto, valutare quali presidi l’Amministrazione comunale possa porre in essere al fine di contrastare con efficacia il fenomeno. La normativa di riferimento per l’avvio, la modifica, il trasferimento e la cessazione di un’attività commerciale è la L. 241/1990 che ha semplificato il sistema previgente in tema di autorizzazioni con la previsione della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) realizzata mediante la modulistica unificata predisposta dalla Regione Lombardia (D.D.G. n. 2481 del 18 marzo 2011 pubblicato sul B.u.r.l. n. 12 del 22 marzo 2011).
Il fulcro della procedura è costituito -oltre che da adempimenti di carattere documentale- da alcune dichiarazioni dell’imprenditore che sostituiscono l’insieme di domande, autorizzazioni, licenze e iscrizioni non sottoposte a valutazioni discrezionali o al rispetto di norme di programmazione/pianificazione, o a vincoli culturali, ambientali, paesistici, ecc… Per avviare la propria attività all’imprenditore è sufficiente presentare il modello SCIA, ciò che avviene ex D.P.R. n. 160 del 07 settembre 2010 solo per via telematica certificata (circostanza che –in termini teorici- consente una rapida elaborazione dei dati in essa contenuti) con inoltro allo Sportello Unico Attività Produttive del Comune. La Scheda 2 della S.C.I.A. è un modulo di autocertificazione volto alla raccolta delle informazioni concernenti requisiti morali e professionali; esso deve essere compilato e sottoscritto per ogni attività dai seguenti soggetti:
- titolare dell’attività,
- legale rappresentante,
- socio e membro dell’organo di amministrazione (per le società ai sensi dell’art. 2 DPR 252/1998, “Validità e ambiti soggettivi della documentazione antimafia”).
Con il modulo deve essere trasmesso anche il documento d’identità del firmatario. Due dichiarazioni del soggetto compilante riguardano il possesso dei requisiti morali previsti dall’art. 71 del D.Lgs. 59/201059 e l’assenza di “cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575” (cd Legge Antimafia; l’art. 116, comma 2, del D.Lgs. n. 159/2011 ha disposto che i richiami alle disposizioni contenute nella legge si intendano riferiti alle corrispondenti disposizioni nel medesimo D.Lgs. n. 159/2011. In particolare, le disposizioni contenute nel presente articolo sono confluite negli artt. 67, commi 1, lettere da a) a g), da 2 a 7 e 8, e 76, comma 8, dello stesso D.Lgs. n. 159/2011: si tratta di limitazioni all’esercizio di determinate attività per coloro che siano sottoposti a misure di prevenzione, nonché dei loro conviventi).
Ai sensi di legge, l’Amministrazione Pubblica destinataria della SCIA deve accertare, entro 60 giorni dal ricevimento, il possesso e la veridicità dei requisiti dichiarati, adottando, in caso negativo, i dovuti provvedimenti per vietare la prosecuzione dell'attività e sanzionare, se necessario, l’imprenditore che si fosse reso
59 Ai fini che qui interessano: Art. 71 Requisiti di accesso e di esercizio delle attività commerciali
1. Non possono esercitare l'attività commerciale di vendita e di somministrazione:
a) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione;
b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;
c) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna a pena detentiva per uno dei delitti di cui al libro II, Titolo VIII, capo II del codice penale, ovvero per ricettazione, riciclaggio, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, xxxxxx, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione;
d) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro l'igiene e la sanità pubblica, compresi i delitti di cui al libro II, Titolo VI, capo II del codice penale;
e) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, due o più condanne, nel quinquennio precedente all'inizio dell'esercizio dell'attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio degli alimenti previsti da leggi speciali;
f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero a misure di sicurezza non detentive;
2. Non possono esercitare l'attività di somministrazione di alimenti e bevande coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1, o hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell'alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d'azzardo, le scommesse clandestine, per infrazioni alle norme sui giochi.
3. Il divieto di esercizio dell'attività, ai sensi del comma 1, lettere b), c), d), e) e f) permane per la durata di cinque anni a decorrere dal giorno in cui la pena è stata scontata. Qualora la pena si sia estinta in altro modo, il termine di cinque anni decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza, salvo riabilitazione.
4. Il divieto di esercizio dell'attività non si applica qualora, con sentenza passata in giudicato sia stata concessa la sospensione condizionale della pena sempre che non intervengano circostanze idonee a incidere sulla revoca della sospensione.
responsabile delle dichiarazioni mendaci. Nel caso di dichiarazioni mendaci o di uso di atti falsi il sottoscrittore incorre nelle sanzioni previste dagli art. 7560 e 7661 del DPR 445/2000 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa). L’art. 5, comma 2 della L. di Regione Lombardia
n. 1 del 2007, rafforza la previsione dell’art. 75 testé indicato, stabilendo che nel caso in cui le dichiarazioni sostitutive abbiano contenuto mendace, ovvero siano accompagnate da false attestazioni, ovvero abbiano esecuzione difforme da quanto dichiarato o attestato, fermo restando quanto previsto dagli artt. 75 e 76 del DPR 28.12.2000 n. 445, gli effetti autorizzativi delle dichiarazioni rese vengono meno ed alle attività o interventi realizzati si applicano le disposizioni e sanzioni previste dalle norme di riferimento per i casi di assenza di autorizzazione.
a) L’impianto normativo in sintesi appena illustrato, affida il contenimento del rischio infiltrazione della criminalità organizzata alla possibilità del Comune di rilevare dichiarazioni mendaci con conseguente inibizione dell’attività, nonché all’effetto deterrente delle sanzioni.
L’efficacia della procedura, agli effetti del contenimento del rischio, è quindi affidata all’effettività dei controlli, alla denuncia alla Procura della Repubblica delle dichiarazioni mendaci riscontrate, alla sospensione del titolo autorizzativo.
Al riguardo è evidente l’esigenza che l’inibizione all’attività conseguente alle comunicazioni mendaci sia disposta senza attendere l’esito del procedimento penale in ordine alla contestazione di falso.
Il Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx -Direttore del Settore Commercio, SUAP e Attività Produttive del Comune di Milano- riferisce che da alcuni mesi è in corso il trasferimento dei dati, forniti al Comune tramite le SCIA, su di una nuova
60 Art. 75. Decadenza dai benefìci.1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefìci eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera.
61 Art. 76. Norme penali.1. Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia. 2. L'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso. 3. Le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell'articolo 4, comma 2, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale.
piattaforma informatica (denominata “Ermes”) di più adeguata capacità e idonea a consentire interrogazioni diverse. Il trasferimento è già completo per (ai fini che qui interessano) i settori commerciali di vendita al dettaglio e somministrazione. A breve anche i dati del settore ricezione confluiranno sul medesimo software.
L’efficienza del sistema di elaborazione dei dati non è rilevante solo in ragione della verifica della correttezza delle informazioni fornite dai dichiaranti in funzione delle conseguenti interdizioni dell’attività, in uno con la denuncia alla Procura della Repubblica, ma anche e soprattutto perché solo la possibilità di incrociare i dati soggettivi può permettere al Comune di andare oltre l’analisi delle informazioni relative alla singola attività e realizzare un ulteriore livello di approfondimento.
Dal riscontro del fatto che un soggetto coinvolto in un’attività avente elementi di patologia (ad esempio in quanto -informazione interna- risultate mendaci alcune delle dichiarazioni contenute in una SCIA, o –informazione esterna- perché destinataria di un provvedimento di sequestro) è presente a vario titolo62 in altra attività insistente nel Comune e sottoposta alla regolamentazione del medesimo settore, può con maggiore precisione indirizzarsi l’Amministrazione verso ulteriore o rinnovata attività di controllo.
In questa prospettiva, dunque, è necessario che gli uffici comunali: a) realizzino interrogazioni alla banca dati del Settore Commercio, SUAP e Attività Produttive del Comune in ordine ad ogni soggetto/attività che risulti coinvolto in attività caratterizzate da anomalie (dichiarazioni mendaci, documentazione falsa), b) raccolgano le informazioni relative alle attività sottoposte a confisca e a sequestro preventivo per reati di criminalità organizzata e conseguentemente realizzino un’analisi storica dei soggetti che vi hanno operato e ne verifichino l’eventuale attuale permanenza in altre attività.
E’ opportuno che il Servizio elabori relazioni periodiche che riportino:
- il numero di analisi effettuate in ordine alla verifica dei requisiti morali,
- il numero di denunce presentate all’Autorità Giudiziaria,
- lo stato/l’esito del procedimento conseguente,
62 titolare dell’attività, legale rappresentante, socio e membro dell’organo di amministrazione
- la conferma dell’applicazione della previsione della L.R. 1 del 2007 (revoca dell’autorizzazione).
b) L’impianto normativo che regola l’apertura delle nuove attività nei settori che qui interessano ha, nella prospettiva oggetto di analisi in questo capitolo, l’astratta possibilità di impedire che soggetti già noti come affini al crimine organizzato divengano titolari di attività commerciali.
I requisiti morali richiesti, infatti, escludono coloro che i) sono stati condannati, per un serie di specifici reati, con sentenza passata in giudicato, ii) sono sottoposti a misure di prevenzione o convivano con tali soggetti.
Ciò significa che la normativa consente di escludere dalla possibilità di svolgere un’attività commerciale solo coloro che già sono stati oggetto di un vaglio (certamente accelerato nel caso di misure di prevenzione) da parte degli organi giudiziari. I limiti di tempestività nell’azione di prevenzione e contrasto derivanti da tale circostanza sono evidenti. A ciò si aggiunga che l’esperienza dimostrata in diversi procedimenti penali per reati di criminalità organizzata evidenzia l’uso pressoché costante di titolari fittizi: persone formalmente dotate dei requisiti morali richiesti dalla procedura, ma utilizzate solo come schermo per fatti di infiltrazione.
Ciò significa che l’Amministrazione comunale non può affidarsi esclusivamente alla procedura SCIA per cercare di respingere le infiltrazioni della criminalità organizzata in settori -come detto in esordio- particolarmente esposti a questo rischio.
Ai sensi dell’Art. 18 del D.L. 78 del 201063 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.), il Comune ha la possibilità
63 Art. 18: 1. I Comuni partecipano all'attività di accertamento fiscale e contributivo secondo le disposizioni del presente articolo, in revisione del disposto dell'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell'articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.
…
di incrociare i dati contenuti nelle banche dati in suo possesso con quelli di dell’Agenzia delle Entrate e di altre amministrazioni ed enti pubblici.
Ai sensi della medesima norma, nel richiamo all’art. 44 del DPR 600 del 1973, per come modificato, “Il comune di domicilio fiscale del contribuente segnala all'Agenzia delle entrate qualsiasi integrazione degli elementi contenuti nelle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche ai sensi dell'art. 2, indicando dati, fatti ed elementi rilevanti e fornendo ogni idonea documentazione atta a comprovarla. Dati, fatti ed elementi rilevanti, provati da idonea documentazione, possono essere segnalati dal comune anche nel caso di omissione della dichiarazione”. Le banche dati comunali alle quali è possibile accedere per verificare le informazioni nella disposizione dell’Agenzia delle entrate sono molteplici: quelle del settore Edilizia, dell’Anagrafe, ISEE, degli appalti, della SCIA, ecc…
La norma è rivolta all’accertamento dell’imposta sui redditi, ma l’opportunità della collaborazione informativa tra diverse Amministrazioni ed enti offre occasione di contrasto alle infiltrazioni mafiose.
Ciò è stato colto con nitore dall’ANCI e dalla “Scuola per le buone pratiche – Amministrazioni locali per la sostenibilità” che hanno iniziato ad elaborare una procedura rivolta alla individuazione, mediante l’incrocio dei dati contenuti nelle diverse banche dati, di anomalie meritevoli di ulteriore approfondimento.
Il progetto, guidato dal Comune di Corsico ed al quale il Comune di Milano partecipa, è incentrato su di una procedura di analisi dei dati con approccio basato sul rischio che si realizzi un evento di infiltrazione mafiosa.
L’idea è quella di verificare le correlazioni tra i dati in possesso delle Amministrazione: quelli di carattere soggettivo (quali, ad esempio, l’età, la residenza, la professione) e quelli di carattere oggettivo (reddito, proprietà immobiliari, licenze, Isee). Mediante tecniche di scoring (le medesime che vengono utilizzate -ad esempio- nelle aziende di credito per classificare gli impieghi in categorie di rischio o per prevedere eventi di default), il sistema informatico assegna automaticamente un punteggio a determinate correlazioni, classificando il
rischio in ordine a ciascun soggetto. Si tratta di un’operazione progressiva, di talché ad un insieme di correlazioni significative viene attribuito un punteggio di particolare rilievo. All’assegnazione di un indice di rischio elevato, il progetto fa seguire una verifica rafforzata che deve essere eseguita non più dal sistema informatico, ma da un operatore dell’Amministrazione comunale il quale, contestualizzando i dati e svolgendo ulteriori accertamenti, è in grado di confermare o meno l’anomalia dell’insieme di correlazioni.
Per fare un esempio:
(dati soggettivi)
- cittadino di età inferiore ai 30 anni,
- non residente nel Comune,
- ma in zona rischiosa per alto tasso criminale o per regime fiscale,
(elementi oggettivi)
- dichiara un reddito contenuto,
- risulta intestatario di più immobili,
- da lui acquistati senza ricorrere a mutui,
- in relazione ai quali ha presentato permesso a costruire con cambio di volumetrie oneroso,
- partecipa ad un’attività commerciale caratterizzata da alto turn-over,
- in un settore particolarmente a rischio infiltrazione (compro oro, centri massaggi, locali notturni, ecc…).
Questo insieme di correlazioni porta all’attribuzione di un punteggio elevato al quale consegue una verifica rafforzata, realizzata da un operatore (il cui lavoro sarà conservato per eventuali valutazioni anche relative alla ragionevolezza del tempo impiegato). A seconda dell’esito della verifica rafforzata, l’Amministrazione deciderà se inviare una segnalazione all’Agenzia delle entrate e/o alla procura della Repubblica. Come accennato il Comune di Milano partecipa al progetto appena illustrato, il quale è ad uno stato di avanzamento tale per cui il Comune di Corsico
(capofila del lavoro) intende avviare la sperimentazione dopo l’estate. Si tratta di un progetto certamente innovativo, oneroso nella sua realizzazione (anche solo in riferimento al personale chiamato a svolgere l’attività di verifica rafforzata), ma legato ad una normativa finalizzata proprio a consentire alle Amministrazioni locali di beneficiare di una percentuale rilevante dei valori che l’Agenzia delle entrate dovesse conseguire a seguito della segnalazione. Una parte dell’attività necessaria per impostare nella maniera più efficiente l’analisi delle correlazioni coincide con quella già indicata nelle pagine precedenti: monitorare e analizzare le confische (e i sequestri) di aziende per comprendere quali siano stati i meccanismi che hanno permesso l’infiltrazione, quali le sue caratteristiche e quelle dei soggetti che vi hanno preso parte. La comprensione puntuale dell’accaduto si pone, infatti, come primo presidio per l’attività di prevenzione alla quale il Comune è primo interessato.
6) L’ORTOMERCATO
CONSIDERAZIONI SUGLI ACCERTAMENTI PROCESSUALI E SUGLI ESITI DEI VARI PROCESSI RELATIVI ALLE INFILTRAZIONI CRIMINALI
Negli ultimi trent’anni, a diverse riprese e in relazione a fatti criminali non legati fra loro, numerose indagini e relativi processi si sono tenuti a danno di soggetti che gravitavano -con i loro traffici criminali- intorno all’Ortomercato. Le contestazioni sono più o meno sempre le stesse: associazione per delinquere, traffico internazionale di sostanze stupefacenti, corruzione. I cognomi dei protagonisti, talvolta, ricorrono in uno scambio generazionale. L’ultimo processo celebrato è l’esito di una complessa indagine condotta dalla DDA della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, rgnr. 18023/06, scaturita da un’opera di prevenzione del traffico di droga realizzata con la collaborazione di organi di polizia di diversi paesi (ruolo significativo è ricoperto dalla -non casuale- perquisizione di un camper sbarcato nel porto di Castellòn, Spagna, proveniente da Buens Aires via Dakar; nascosti in un doppiofondo sono stati rinvenuti oltre 200 kg di cocaina). Nel maggio del 2007 vengono realizzate 81 perquisizioni (di cui 11 in sedi di società) ed eseguiti venti arresti. A capo dell’organizzazione vi era Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, classe 1969, pluripregiudicato per reati analoghi a quelli in contestazione, frequentatore dell’Ortomercato ove aveva accesso come facchino della SCAI Scarl, afferente ad un consorzio ivi autorizzato ad operare. Altro soggetto di spicco del sodalizio è il suo “prestanome”: Xxxxxxx Xxxxx, amministratore del consorzio Xx.Xx.Xx. con sede nel palazzo della Sogemi Spa. Ed è proprio in un palazzo di Sogemi SPA che altra società del Xxxxx Xxxxxxx, la SPAM Srl, in forza di un contratto di affitto con Sogemi Spa stipulato in data 01.09.05, aveva aperto il locale notturno For a King inaugurato il
19.04.07. I numerosi imputati hanno optato per diversi riti processuali, sicché dall’indagine sono scaturiti diversi processi. Quello conseguente a richiesta di rito abbreviato si concludeva in data 01.08.08 con Sentenza che veniva sostanzialmente confermata in sede di appello in data 17.07.09 (sezione 2), Il processo celebrato con rito ordinario si concludeva con Sentenza n. 5096/10 del 04.05.2010 (sezione 6), confermata in Appello (sezione seconda) la scorsa primavera. Il primo dei due
xxxxxxxx ha anche già passato il vaglio della Corte di cassazione. Si tratta del più recente procedimento definito in relazione a fatti di criminalità organizzata consumatisi intorno all’Ortomercato. La pluralità di pronunce di merito sui medesimi fatti offre un quadro di particolare attendibilità e rilievo. Tre gli elementi sui quali la vicenda processuale impone una riflessione:
a) in entrambi i tronconi SOGEMI SPA è stata riconosciuta come soggetto giuridico direttamente danneggiato dai reati per i quali sono stati condannati gli imputati e, in forza della sua costituzione quale parte civile, si è vista riconoscere il diritto al risarcimento dei danni;
b) Xxxxx Xxxxxxx, operatore nel settore delle cooperative di facchinaggio, operava presso l’Ortomercato mettendo a disposizione dell’associazione non solo gli ambienti e le strutture, ma anche le sue società, nonché persone (tendenzialmente lavoratori stranieri) disposte ad assumere ruoli formali in altre società utilizzate per un grande sistema di evasione fiscale e di apparente annullamento degli utili del consorzio guidato dal Xxxxx Xxxxxxx;
c) Xxxxx Xxxxxxx è stato condannato, ma –come da richiesta della Pubblica Accusa- gli sono state riconosciute le attenuanti generiche.
Circa il punto a), in sintesi, soprattutto nel corso del dibattimento relativo al processo “ordinario” contro Xxxxx Xxxxxxx, si è analizzata la circostanza che lo stesso era - tra le altre cose - amministratore unico della SPAM srl, società titolare del contratto di affitto con Sogemi spa stipulato in data 01.09.05 per il locale “For a King” inaugurato il 19.04.07. Nel processo è stato ricostruito nel dettaglio tutto l’iter che ha condotto al rilascio a SPAM di tale spazio. Nel corso del dibattimento, infatti, sono stati escussi quali testimoni tutti i dirigenti SOGEMI che ebbero ad occuparsi dei rapporti con la SPAM e con Xxxxx Xxxxxxx, ivi compreso l’allora legale rappresentante Lombardi che ebbe a sottoscrivere il contratto. Nelle motivazioni della condanna si illustra la circostanza che viene proprio rimproverato a Xxxxx
Xxxxxxx di essersi fraudolentemente prestato a subentrare al precedente quotista di maggioranza della Spam, Veneruso, al preciso ed occulto fine di evitare la altrimenti inevitabile decadenza del contratto di affitto in precedenza stipulato con Sogemi Spa. L’esito dell’accertamento giudiziale non solo ha escluso qualsiasi addebito a chi ebbe a sottoscrivere per conto di Sogemi quel contratto di affitto con la Spam, ma ne ha addirittura accertato il subito inganno da parte di Xxxxx Xxxxxxx con conseguente diritto al risarcimento dei danni. Di fatto Sogemi SpA ha correttamente adoperato norme e procedure, ma è stata ingannata. Ciò significa che norme e procedure non sono adeguate a prevenire il rischio che soggetti autori di reati di particolare gravità utilizzino le strutture dell’Ortomercato o utilizzino esso come base dei propri traffici, come schermo della propria reale attività. Va detto che, nonostante i numerosi campanelli d’allarme che la storia “criminale” dell’Ortomercato ha fatto risuonare (basti ricordare le indagini del 1994 con la scoperta di numerose armi e bombe a mano, o il rinvenimento di 2 quintali di eroina nel 2002, o l’allarme dell’anno successivo lanciato dall’allora Procuratore Xxxxxxx X’Xxxxxxxx), la percezione della gravità della situazione non era stata ancora colta dai vertici della Sogemi Spa: rispondendo alle domande di un giornalista in occasione dei venti arresti del maggio 2007, l’allora presidente della società aveva detto di ignorare la presenza di infiltrazioni della ‘ndrangheta all’Ortomercato e aveva commentato il bliz delle forze dell’ordine come “un po’ di cinema …elicotteri, decine di poliziotti, cani antidroga. Forse si è esagerato”. Ugualmente significativo è che, a dispetto degli allarmi, sia potuto permanere accanto al muro di cinta un grande posteggio abusivo gestito (così è stato autorevolmente riferito al Comitato) da un personaggio mafioso al confino, dimorante in una casupola abusiva da lui stesso realizzata. Norme e procedure non sono dunque le sole responsabili di un sistema preventivo inefficace. La vicenda della struttura presenta anzi, sotto questo profilo aspetti quasi surreali, dal momento che, come è stato accertato, parallelamente alle notizie sulle infiltrazioni delle organizzazioni mafiose, sono stati via via eliminati i controlli o le forme di deterrenza più incisive: prima i controlli casuali sui camion, previsti (e non per caso)
al momento della progettazione della struttura; poi il posto interno della Polizia di Stato; quindi la presenza sistematica della Polizia locale; infine la principale funzione di quest’ultima, con la asserita impossibilità normativa di effettuare controlli all’interno di camion o Tir (oggi rientrata grazie ai nuovi vertici aziendali). Senza contare la più volte dichiarata “mancanza di uomini” da parte dei corpi competenti a realizzare i controlli su uno dei luoghi strutturalmente e storicamente più a rischio della città.
Il Comitato ritiene necessario che all’interno dell’Ortomercato vengano realizzati controlli da parte delle forze dell’ordine con un sistema casuale. E che, a fianco di operatori di pubblica sicurezza “stanziali” (cioè in grado di conservare la memoria di persone fisiche e giuridiche, nonché di episodi) sia messo in funzione un sistema di verifiche e accertamenti affidato di volta in volta a soggetti nuovi. Ciò perché uno dei denominatori comuni dei processi celebrati in relazione a fatti di criminalità organizzata presso l’Ortomercato è la accertata capacità degli imputati di intrattenere con gli addetti ai controlli, o con soggetti in grado di influire sugli stessi, rapporti tali da vanificarne l’efficacia. Il Comandante della polizia Municipale ha illustrato al Comitato la difficoltà contrattuale di operare un turnover di agenti presso il distacco in Ortomercato a causa dell’orario di servizio (l’attività dell’Ortomercato inizia nel corso della notte) verso il quale sono disponibili pochissimi agenti.
Il Comitato sottolinea dunque sia l’importanza di controlli affidati ad agenti (anche interforze) di volta in volta diversi sia l’importanza di valutare e ricercare ogni strumento possibile nella gestione del personale della Polizia Locale che aiuti a superare l’ostacolo contrattuale lamentato.
Circa il punto b), Xxxxx Xxxxxxx non era operatore “in odor di criminalità organizzata”; ogni controllo formale sulla sua persona non ne avrebbe rappresentato la dimensione criminale. Non a caso è stato scelto da un pluripregiudicato come schermo per i propri traffici. Ciò ribadisce l’esigenza di affidarsi non solo alle norme e alle procedure, ma di incrementare il sistema di controlli: anche sulle persone fisiche che accedono all’Ortomercato in quanto
operatori di società o consorzi autorizzati ad operarvi. Il problema è particolarmente significativo con l’infiltrazione (che l’indagine ha confermato) della criminalità organizzata nelle cooperative attive nella logistica. L’identificazione puntuale (e non solo formale a posteriori) degli addetti è necessaria per una prevenzione efficace di una pluralità di illeciti (non ultimi quelli di carattere contributivo, spesso sintomo di criticità ben maggiori). Ogni strumento, anche di carattere elettronico, rivolto ad evitare che accedano soggetti diversi da quelli in ordine ai quali l’identità è stata accertata in occasione dell’autorizzazione all’ingresso deve essere adoperato.
Circa il punto c), Il Tribunale di Milano, pur condannando Xxxxx Xxxxxxx per gravi reati associativi, ha riconosciuto allo stesso le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza in considerazione, si legge: “dello stato di oggettiva difficoltà economica in cui come imprenditore si è venuto a trovare prima dell’intervento di Xxxxxxxx e Veneruso nelle sue società, difficoltà economica che deve ritenersi lo ha condotto ad affidarsi a Xxxxxxxx e al suo gruppo per risolvere la gravosa contingenza” (pag. 284 Sentenza Tribunale). La grave situazione di crisi economica che il Paese sta vivendo impone di cogliere nel pensiero con il quale il Tribunale ha motivato la propria decisione un forte allarme. In questo momento la liquidità della quale dispone la criminalità organizzata ha una forza superiore rispetto ad altri periodi: di fatto -con il restringimento della capacità di erogazione di credito da parte del sistema bancario- oggi la criminalità organizzata si pone come interlocutore privilegiato di coloro che hanno bisogno di finanziamenti. Il processo a carico di Xxxxxxxxx Xxxxxxxx ed altri ribadisce l’epilogo ovvio di crediti concessi da esponenti criminali a società estranee al sodalizio. Il rischio di infiltrazioni nel periodo a venire è quindi particolarmente alto, il che deve tradursi in un’ attenzione crescente verso i fenomeni di contatto o contiguità tra economia legale e gruppi mafiosi.
7) L’ANTIMAFIA SOCIALE.
NOTE E SUGGERIMENTI
Lo sviluppo di una forte antimafia sociale e culturale è condizione essenziale per non ridurre la lotta contro la criminalità organizzata a un confronto tra gli apparati investigativi e giudiziari dello Stato e le organizzazioni mafiose. Queste ultime d’altronde ottengono importanti successi proprio per non essere solo apparati militari, e per la rete di consensi, complicità e compiacenze culturali su cui possono da sempre contare. La delibera istitutiva del Comitato ha non per nulla inserito tra i suoi compiti quello di contribuire a favorire la crescita in città di una antimafia sociale che sappia essere lievito e stimolo per le istituzioni e per l’opinione pubblica, attore consapevole di un conflitto civile da cui è bene che i cittadini non si sentano esclusi. E’ anche rispondendo a questo mandato che si propongono qui di seguito alcune valutazioni sui fenomeni che più attengono al tema indicato.
0.Xx cambiamento in corso.
E’ giusto rilevare come nella storia milanese i movimenti e una sensibilità civile antimafia non siano affatto assenti. A Milano, anzi, è nato a fine 1982 il primo “Coordinamento degli insegnanti e dei presidi contro la mafia” d’Italia, che ha svolto per lunghi anni una fondamentale funzione di sensibilizzazione e di formazione nelle scuole, anche in provincia, diventando e restando per anni un punto di riferimento nazionale. A Milano, all’inizio del 1983, il teatro Pierlombardo ha ospitato, su iniziativa di Franco Parenti, una importante “sei giorni” a orario continuato di film, dibattiti, interventi teatrali e testimonianze, sperimentando un modello partecipativo che ha avuto poche repliche nella storia successiva nel paese. Da allora la città è stata, anche se con intensità variabile, tra le più vive su un tema che vedeva invece notoriamente tiepide le istituzioni locali. Oggi però si sta verificando un fenomeno qualitativamente nuovo. Il movimento, cioè, non è più solo di solidarietà con le regioni o le città del sud maggiormente colpite. Ma ha progressivamente assunto una precisa caratteristica: quella di
schierarsi contro la mafia “sotto casa”, insediata cioè a Milano e nel suo hinterland o, più in generale, nella Lombardia. Non movimento di solidarietà, dunque; ma movimento direttamente antagonistico rispetto a modelli e pratiche di natura mafiosa dei quali viene colta la presenza nel proprio tessuto sociale. E questo in contrasto con una lunga storia negazionista che è stata alla guida della città per più di un ventennio. E’ stato forse possibile cogliere fisicamente la forza e l’estensione di questo movimento il giorno 20 di marzo del 2010 quando la manifestazione nazionale dell’associazione Libera, pur tenuta in una città a insediamento non tradizionale e senza l’appoggio unanime delle istituzioni, vide in piazza Duomo, secondo le stime della Questura, la presenza di 150mila persone.
A questo mutamento di identità è anche corrisposto l’ingresso nel movimento di nuovi protagonisti, a partire dall’università, sia nella componente studentesca, sia nella componente docente, con una fioritura di attività formative e di ricerca che investe ormai numerosi campi disciplinari, dall’economia alla storia, dalla sociologia al diritto, dalle scienze dell’informazione a quelle della comunicazione, e che segnala oggi il mondo accademico milanese tra i più vivaci in Italia. Lo affiancano nuovi luoghi di ricerca e riflessione, come il Centro Studi Xxxxxxx Xxxxxxxxx, alcune case editrici e quei veri e propri luoghi di aggiornamento e confronto che sempre più stanno diventando diverse librerie cittadine. Negli ultimi anni si sono anche moltiplicate le associazioni che in città svolgono continuativamente, sia pure con intensità variabili, funzioni di informazione, di denuncia, di sensibilizzazione, al punto che ogni loro elenco rischia di essere incompleto. Si segnalano comunque, oltre a Libera, che è organizzazione nazionale di ormai lunga presenza, il “Coordinamento delle scuole milanesi per la legalità e la cittadinanza attiva”, “Qui…Milano Libera”, “Farerete” , “SAO- Xxxxxxx Xxxxxxxxx Omicron”, “Le girandole”, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, “E adesso ammazzateci tutti”, “Scuola di formazione politica Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx”, “Agende rosse”. E’ possibile anche cogliere un rapporto tra questa diffusione di iniziative e una certa maggiore sensibilità che si esprime sul tema nell’opinione pubblica milanese. Se il mondo giovanile è senz’altro quello più coinvolto dal nuovo clima, bisogna osservare come
di esso si possano però trovare tracce importanti anche in diversi ambiti del mondo adulto, dalla cooperazione tra l’ordine degli ingegneri e Xxxxxx alla nascita del citato Centro studi dedicato a Xxxxxxx Xxxxxxxxx, all’Osservatorio della Camera del Lavoro, alla maggiore attenzione riservata al tema dai mezzi di informazione, specialmente dalla stampa quotidiana (pur con discontinuità) e da quella radiofonica. La stessa già citata manifestazione svoltasi nel mese di ottobre ad Affori per iniziativa della presidenza del Consiglio di zona 9, per reagire all’attentato incendiario contro la struttura sportiva di proprietà comunale di via Iseo, ha espresso la capacità della “cittadinanza attiva” di comprendere il senso della sfida criminale, la sua volontà di non piegarsi all’intimidazione e la disponibilità a partecipare a forme di risposta organizzata. Si è trattato di una manifestazione importante, che ha forse avuto al nord un solo precedente nella manifestazione promossa da Libera a Sanremo nell’estate del 2010 dopo una lunga sequenza di attentati realizzati nel Ponente ligure e gravemente sottovalutati dalle autorità di polizia. Nella stessa direzione va il movimento di solidarietà subito formatosi alla Facoltà di Fisica a metà luglio verso Xxxxxx Xxxxx, il proprietario del furgone di panini incendiato per rappresaglia, e di cui si è parlato nel Capitolo 2. Va detto che a spingere verso livelli di partecipazione e di impegno più alti sembrano concorrere soprattutto tre fattori: a) un’onda lunga di consapevolezza, formatasi nonostante e perfino in reazione ai molti filoni negazionisti tuttora presenti in città; b) l’impatto, anche culturale, dell’azione condotta con sistematicità dalla magistratura e dalle forze dell’ordine; c) il nuovo clima istituzionale e amministrativo.
0.Xx ruolo dell’Amministrazione.
Non è compito di questo Comitato proporre giudizi generali sull’operato dell’Amministrazione. Ma nel campo specifico di consulenza e di intervento delegato che è stato definito dal Sindaco, può essere utile rimarcare la funzione positiva di alcune scelte e di alcuni percorsi avviati. Non è infatti necessario, per la crescita di un’antimafia sociale, che le istituzioni amministrative e politiche
dichiarino di volersi impegnare contro la criminalità organizzata e perseguano i propri obiettivi con coerenza. Nella storia italiana, e nella stessa Lombardia, quella crescita è infatti spesso avvenuta per opposizione. Ossia in risposta a timidezze, indifferenze o complicità delle istituzioni. Un Comune che non neghi più l’evidenza ma anzi decida di giocare il suo peso nella lotta alla mafia crea però senz’altro una consapevolezza maggiore di quella esistente. Ma soprattutto promuove, insieme, fiducia nelle istituzioni, capitale preziosissimo nella lotta contro le organizzazioni mafiose, e autentica infrastruttura immateriale necessaria per lo sviluppo civile. Non solo. Se il Comune si mostra in sintonia di valori e di intendimenti con un movimento già esteso e dotato di una certa consapevolezza, ne scaturirà l’effetto virtuoso per eccellenza: quello di generare un livello progettuale più elevato in campo amministrativo, sociale e culturale. La sola possibilità di fare, creare e sperimentare susciterà cioè progetti e idee, a loro volta in grado di dare alla cultura della legalità o dell’antimafia sociale forza materiale ed “esemplare”. In grado di farsi realtà avanzata di governo. La prova si sta avendo nel campo delle proposte per un’ amministrazione trasparente che percorrono il mondo giovanile e della cittadinanza attiva. Ma anche nella produzione di eventi culturali che con spese minime modificano il quadro della cultura cittadina. Si pensi alla rassegna cinematografica sulla mafia promossa con diverse associazioni dal Consiglio di zona
1. Oppure alla creazione di laboratori e mostre da parte degli studenti di Scienze Politiche e della Nuova Accademia di Belle Arti e all’incentivo venuto, nell’occasione, dall’interessamento dell’Assessorato alla Cultura. O agli stessi progetti teatrali e cinematografici che assumono come interlocutore l’Amministrazione. Mentre la prova “a contrario” si trova nella ormai cronica sofferenza dei progetti di formazione alla legalità quando questi siano affidati a enti che rifuggono da un proprio coinvolgimento diretto nella lotta alla mafia. Semmai si ritiene in questa sede di segnalare preventivamente un rischio sempre implicito nelle fasi di armonia di intenti tra amministrazioni e movimenti antimafia: quello di dar vita a forme striscianti di collateralismo “retribuito”, di alimentare cioè esperienze associative dipendenti quasi del tutto dalle risorse comunali e che alla
fine diventino parte del “gioco” politico perdendo la propria energia rinnovatrice e la propria autonomia critica e di motivazioni. In tal senso si suggerisce all’Amministrazione di dar vita a un incontro con tutte le diverse realtà interessate (anche non specialisticamente) al tema per censirne aspirazioni e bisogni operativi.
0.Xx caso Xxxxxxxx.
In questo contesto si colloca un caso quasi esemplare per spiegare il ruolo che il Comune può svolgere nel promuovere l’antimafia sociale: il processo Xxx Xxxxxxxx. Il caso ha raggiunto ormai una certa notorietà. Xxx Xxxxxxxx, come è noto al Sindaco, era una giovane xxxxx xxxxxxxxx che venne sequestrata, uccisa e sciolta nell’acido per punirla di avere voluto rompere con la sua famiglia, residente a Milano e organica alla ‘ndrangheta, e di avere compiuto questa scelta insieme con la giovanissima figlia Xxxxxx. Per di più decidendo di diventare testimone di giustizia. Il processo, iniziato nell’estate del 2011, si è concluso recentemente in primo grado con la condanna all’ergastolo di tutti gli imputati, tra cui spicca per ruolo il marito della vittima. Il processo ha visto la scelta significativa del Comune di costituirsi parte civile sia per sottolineare lo sfregio di principi civili sofferto dalla città per un delitto tanto barbaro, sia per dichiarare la propria solidarietà alla figlia che aveva deciso di testimoniare contro il padre e perciò costretta a vivere in clandestinità. In tal caso la scelta del Comune è stata sicuramente innovativa. E ha incoraggiato, anche se non determinato, la partecipazione al processo di insegnanti e studenti e soprattutto studentesse, a sostegno della giovane Xxxxxx. Una partecipazione stabile che per le studentesse ha voluto rappresentare un atto di solidarietà concreta verso una coetanea altrimenti sola; ma che ha trasformato il processo da vicenda anonima, all’inizio trascurata o seguita molto marginalmente dagli organi di informazione, in vicenda pubblica. Tanto che le stesse ragazze, protagoniste di un insolito modello di mobilitazione, sono diventate “notizia” di interesse per più trasmissioni televisive. Se la forza della mafia sta nella solitudine delle sue vittime, si è così dimostrato come la sinergia tra società civile e istituzioni possa rovesciare rapporti di forza immaginati come immodificabili. Il Comune
d’altronde ha ottenuto un successo giuridico rilevante vedendo riconoscere le sue ragioni anche se la sentenza non ha applicato ai condannati l’articolo 416 bis.
Ma c’è una seconda parte di questo “caso” che vale qui la pena ricordare. E richiama l’amarezza che la sentenza aveva lasciato nei giovani che si erano dati il turno al Palazzo di Giustizia, da loro più volte espressa in incontri pubblici. Aleggiava infatti un interrogativo: come è possibile che il clan dei Cosco, a cui appartengono tutti i condannati per omicidio, continui a vivere anche dopo la sentenza nelle case di pubblica proprietà che esso da anni occupa abusivamente in via Montello 6? Non era ritenuta sufficiente la spiegazione che si trattasse di case non del Comune ma del Policlinico. Sicché l’operazione di sgombro portata a termine dall’Assessorato alla Casa nello scorso giugno, e che si è fatta contemporaneamente carico di trovare sistemazione alle famiglie indigenti, è stata considerata come un atto di giustizia dovuto e atteso, con un importante ritorno di fiducia verso le istituzioni nel mondo della scuola. Questo Comitato, lungi dal ritenere che la lotta alla mafia sia priva di complessità e difficoltà sistemiche, intende però osservare come il tessuto della legalità e la sottrazione di spazi a gruppi violenti e prepotenti si alimenti anche, come in questo caso, di scelte chiare e simboliche nonché dell’ esercizio nella forma più semplice e diretta del principio di legalità.
4.I beni confiscati.
Tra i fattori che hanno maggiormente promosso l’antimafia sociale negli ultimi anni vi è sicuramente la cessione dei beni confiscati alla mafia ad associazioni e cooperative che ne facciano un uso sociale. Tale possibilità, aperta da una legge di iniziativa popolare promossa da Libera e approvata nel 1996, ha generato segmenti di una nuova economia grazie alle attività di produzione e trasformazione agricola avviate sui terreni confiscati nelle regioni del sud (e ora non solo del sud). Queste attività produttive, spesso ostacolate e intimidite dai gruppi mafiosi, hanno generato correnti di simpatia e solidarietà che portano ogni estate nelle cooperative del sud migliaia di giovani (anche milanesi) a offrire lavoro gratuito e a volere conoscere situazioni, storie e protagonisti locali dell’antimafia. In Lombardia i
comuni in cui esistono beni confiscati sono più di centoottanta. All’inizio dei lavori del Comitato, a Milano si registravano 94 aziende e 188 beni immobili confiscati. Di questi ultimi il Comune di Milano ne ha avuti in carico novantotto. Se ne offrono in allegato due mappe fornite dall’Assessorato al Welfare (Politiche sociali e Cultura della salute): la prima relativa alla destinazione d’uso, la seconda alle caratteristiche tipologiche dell’immobile. Non si tratta in genere di beni di particolari potenzialità. Si tratta spesso, anche se non solo, di appartamenti e box, impiegabili per soddisfare esigenze minori (famiglie da sistemare, sedi di associazioni). Le due eccezioni più importanti e significative sono quella di via Jenner e quella di via Momigliano, che vedono i beni confiscati usati rispettivamente come “residence per adulti in difficoltà” e per promuovere creatività e socialità giovanile. L’assessorato alle Politiche sociali sta sviluppando una strategia di valorizzazione di questi luoghi simbolici come generatori di una nuova consapevolezza antimafiosa. Lo scorso 5 novembre è stata organizzata dall’associazione Libera una giornata di visita a 15 beni confiscati di Milano e Provincia intitolata “apri il tuo bene”, rivolta alle scuole e alla cittadinanza. Un modo per prendere coscienza del valore civile di quegli immobili, di cui gli stessi beneficiari ignoravano spesso l’origine. Il successivo 25 novembre il Comune ha firmato con la medesima associazione un importante protocollo triennale di collaborazione relativo alla gestione dei beni, oltre che alla promozione di attività di ricerca e formazione. Nel prossimo novembre, nei giorni compresi tra il 9 e l’11, si terrà il festival dei beni confiscati, molti dei quali saranno aperti al pubblico con spettacoli, dibattiti, eventi culturali. Un’iniziativa simile, anche se con alcune differenze, si è svolta recentemente a Casal di Principe. E’ indubbia la funzione positiva che questa strategia complessiva può giocare. Essa segnala infatti un nuovo e più dinamico ruolo del Comune che già oggi induce altri soggetti istituzionali, tra cui la stessa amministrazione della Giustizia, a caldeggiarne una più pronunciata responsabilizzazione in questo campo (per esempio ricevendo in assegnazione i beni anche nella fase del sequestro). In tal senso si suggerisce l’opportunità di avviare specifici accordi con le autorità statali competenti per ottenere nuovi beni di pregio da dedicare a importanti progetti civili e culturali
preventivamente definiti. Per segnare visibilmente attraverso la loro funzione (come per la Casa del Jazz a Roma) lo scarto tra i modelli culturali della mafia e quelli di chi la combatte. E contemporaneamente si suggerisce di privilegiare tendenzialmente i progetti capaci di generare nuove opportunità di lavoro, anche su unità di dimensioni minori rispetto ai terreni e agli immobili confiscati nelle regioni del sud. Ciò che davvero delegittima la mafia, infatti, in particolare in un momento come questo, è la sconfessione del postulato secondo cui essa darebbe lavoro. Dimostrare la capacità di usare i suoi beni per costruire nuovo lavoro acquista dunque una funzione competitiva fondamentale. Tanto più se si considera che sono proprio i beni convertiti in aziende no-profit a suscitare i network partecipativi ed emotivi civili più forti. Non c’è bisogno di grandi estensioni. L’esperienza del distretto della legalità a Genova nella zona degradata della Maddalena indica come anche un solo negozio possa svolgere un ruolo di “moltiplicatore”.
0.Xx mafia sociale.
Lo sviluppo di un’antimafia sociale diventa tanto più necessario sul piano strategico quanto più le organizzazioni mafiose riescono a contare su una serie di alleanze e appoggi e contiguità (professionali, imprenditoriali, intellettuali, politiche, sociali, istituzionali) che consentono loro di esercitare una forza d’urto che va molto al di là dei loro apparati organizzativi. La storia milanese è purtroppo segnata da una quantità e qualità stupefacenti di queste relazioni, spesso operanti con il viatico di chi non coglie la qualità del pericolo mafioso o tutto rimuove per pigrizia mentale. Non è qui il caso di ripercorrere una vastissima galleria di ambiguità. Xxxxxxx da sole le confessioni di Xxxxxxx Xxxxxxxx, boss non affiliato di Xxxxxxxxxx, o la nota vicenda dell’Autoparco di via Xxxxxxxx, per comprendere come gli alleati dei clan possano facilmente trovarsi, per ragioni di compaesanità, di amicizia o più spesso di convenienza, in tutti i luoghi decisivi: la magistratura, la polizia, l’Arma dei carabinieri, la politica, le professioni. Perfino tra i collaboratori aziendali o familiari. Xxxxxxxxx nei loro mondi, questi alleati sono spesso decisivi e comunque sono sempre raggiungibili con estrema facilità. Nei processi milanesi il ricorso alla figura
del concorso esterno in associazione mafiosa è molto raro. E tuttavia gli atti giudiziari illuminano frequentemente, magari riconducendoli ad altre specifiche fattispecie di reato, comportamenti organici agli interessi mafiosi. Si può pensare ai fatti che hanno coinvolto alcuni esponenti della Polizia locale per i loro (per ora supposti) rapporti di connivenza con rinomati locali di corso Como o alcuni esponenti della Guardia di finanza per i loro (per ora supposti) rapporti di complicità con i gestori delle slot machine o delle sale giochi. O al coinvolgimento di esponenti dell’Arma nell’inchiesta Crimine-Infinito sulla città di Rho, comunque gravitante sull’area interessata dall’Expo. O al fatto che nello scorso consiglio comunale di Milano fossero ben otto i consiglieri coinvolti, anche se non indagati, nelle inchieste sulla ‘ndrangheta e sui suoi affari milanesi. O ai ripetuti segnali di vulnerabilità del sistema sanitario lombardo alle pressioni e presenze ‘ndranghetiste. O ancora alla gravità dell’espressione “capitale sociale della ‘ndrangheta” usata dai magistrati riferendosi ora a un membro dell’Ufficio di presidenza della Regione Lombardia ora a un responsabile di tesoreria regionale di un importante partito politico.
In proposito il Comitato ritiene doveroso sottolineare che anch’esso è venuto direttamente a conoscenza di episodi sconcertanti circa la facilità con cui personaggi con problemi di legalità, e anzi atteggiati a sfidare la legalità, ricevono prontamente aiuti e raccomandazioni. Nella vicenda dell’Ortomercato, alla quale per il suo rilievo istituzionale è stato dedicato a parte il Capitolo precedente, risultano essere intervenuti in difesa di operatori fuorilegge il direttore di un telegiornale nazionale, un importante esponente politico e un consigliere comunale. Così come è risultato che le ispezioni della Polizia locale fossero, almeno presso alcuni locali notturni, preannunciate da elementi del personale dipendente, anche al di fuori delle più note zone della movida. E’ anche in considerazione di questi elementi di fatto che il Comitato considera oltremodo utile procedere a una attività di selezione e ulteriore formazione del personale comunale maggiormente dedicato ai compiti di controllo, nella convinzione, maturata anche attraverso il suo lavoro, che l’amministrazione
possa contare già ora su un cospicuo numero di dipendenti adeguatamente preparati e motivati.
8) PROPOSTE CONCLUSIVE
Ferme restando le indicazioni già prospettate in dettaglio nei capitoli precedenti, possiamo ora delineare alcune proposte conclusive di valenza generale o che riguardano specifiche questioni più urgenti affrontate nel corso della presente Relazione.
Vi è però una proposta generalissima, che metodologicamente il Comitato ritiene assolutamente prioritaria, e che è necessario diventi la vera bussola dell’azione amministrativa. Ed è quella di privilegiare, tendenzialmente, la qualità e l’efficacia del sistema dei controlli rispetto alla proliferazione di norme e regolamenti. Il Comitato si è formato unanimemente questa convinzione in un’attenta attività di confronto con le carte processuali, con i dati di esperienza riportati da testimoni di vario ordine, oltre che con il materiale informativo raccolto in diverse sedi associative e istituzionali. Si tratta di rovesciare una prospettiva volta ad anteporre la regola formale alla verifica dei fatti, per sua natura più impopolare e conflittuale. Xx è in questa cornice che vengono avanzate dunque le seguenti proposte.
1.Sviluppare un concerto più stretto tra le autorità di riferimento competenti per l’evento Expo 2015 (Prefetto, Questore, Sindaco di Milano e Sindaci degli altri Comuni interessati) al fine di rafforzare in via di fatto il sistema di intervento basato sui poteri di accesso ai cantieri del Prefetto di Milano e del relativo Gruppo Interforze. Mirare cioè alla massima valorizzazione degli spazi di intervento offerti dalle leggi esistenti, proponendo un ruolo più attivo dell’Amministrazione, che d’altronde è la principale destinataria delle domande dei cittadini in tema di tutela della qualità delle relazioni civili ed economiche.
0.Xx particolare adottare un meccanismo, anche transitorio (dal 1°agosto 2012 al 1° agosto 2015), che preveda un contingente di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria selezionati con criteri di affidabilità e competenza, che possa affiancare quotidianamente il Gruppo Interforze della Prefettura ed effettuare accessi e controlli nei cantieri, sia diurni che notturni, con apprezzabile frequenza. Negli accessi sui cantieri, come già detto nel Cap. 4, agli uomini delle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Locale) sarebbe opportuno affiancare un Ispettore del Lavoro, un Ispettore ARPA e un Ispettore ASL.
3.Per quel che riguarda le competenze comunali, avviare un processo di selezione e formazione di contingenti scelti per qualità morali e professionali con cui garantire l’esercizio dei controlli di Polizia Locale, evitando che si possa accedere a questa funzione cruciale anche per effetto (come il Comitato ha appreso) di raccomandazioni politiche o sindacali, in almeno un caso dimostratesi il cavallo di Troia degli interessi ‘ndranghetisti.
4.Ridurre in ogni campo le distanze tra gli obiettivi (buoni) fissati da regole e strutture e i mezzi effettivamente disponibili. Ogni distanza sensibile provoca infatti, alla fine, solo uno spreco di risorse più utilmente impiegabili in altre forme.
5.Introdurre nell’Ortomercato controlli sul posto anche di notte, ponendo pubblicamente (e in tutta la sua gravità) il problema della indisponibilità di personale di controllo adeguato in una struttura storicamente piegata agli interessi dei clan. Porre anche in tutta la sua gravità il problema della sicurezza fisica di chi, rappresentando la Sogemi e dunque la città, intenda garantire in uno spazio comunale il rispetto delle leggi. Introdurre forme di controllo casuale dei mezzi in ingresso e in uscita.
6.Sviluppare in ogni caso la pratica del controllo interforze, da intendersi come garanzia di completezza degli strumenti operativi e come antidoto a comportamenti