Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili – sentenza 05 giugno 2018, n. 22437
Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili – sentenza 05 giugno 2018, n. 22437
Pres. Mammone. - est. Vincenti.
ASSICURAZIONE CONTRO I DANNI – VALIDITA’ DELLE CLAIMS MADE - CONFERMA DELLA LEGITTIMITA’ DELLE “ON CLAIMS MADE BASIS” NEI CONTRATTI DI ASSICURAZIONE INTER PARTES – SUPERAMENTO DEL GIUDIZIO DI MERITEVOLEZZA EX ART. 1322, SECONDO COMMA, C.C..
<<il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole “ on claims made basis”, che è volto ad indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell’art. 1917 c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia ( esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva ( come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro)>>.
Precedenti conformi
Cass., S.U., 12 maggio 2017, n. 11799; Cass., 19 marzo 2018, n.6716
Precedenti difformi
Cass., S.U., 16 novembre 2017, n. 27199
COMMENTO:
il contratto di assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore, dietro versamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro. Si tratta di un contratto aleatorio a prestazioni corrispettive, perchè le parti, al momento della stipula, non sanno né possono prevedere che il sinistro si verificherà.
Nell’ambito della assicurazione contro i danni rientra anche l’assicurazione della responsabilità civile in cui, ai sensi dell’art. 1917 c.c., l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare ad un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto e con esclusione dei danni derivanti da fatti dolosi.
La particolarità di tale settore consiste nel fatto che i danni si manifestano molto tempo dopo la realizzazione della condotta che li ha cagionati, pertanto, la copertura assicurativa è stata fondata sul c.d. loss occurence o act committed, essendo estesa a tutti i fatti dannosi verificatisi durante la vigenza del contratto, indipendentemente dal momento della denuncia, purchè contenuta entro il termine di prescrizione del diritto al risarcimento. Tuttavia, alla massima copertura disponibile
fanno da contraltare, in tal caso, i premi eccessivamente elevati. Ciò ha portato la prassi ad elaborare il modello di copertura c.d. claims made( letteralmente a richiesta fatta).
Si tratta di una clausola, inserita all’interno del contratto di assicurazione, che limita l’operatività della garanzia a quelle richieste di risarcimento del danno che l’assicurato abbia ricevuto per la prima volta durante la vigenza della polizza assicurativa. Per effetto di tale clausola si assiste ad una definizione convenzionale del “ fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” ex art. 1917 c.c., ritenuto non più quello verificatosi durante la vigenza del contratto di assicurazione, bensì quello denunciato in tale periodo, anche se il comportamento colposo sia antecedente alla data di conclusione del contratto.
Nella prassi commerciale sono contemplate diverse categorie di claims made che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2016 hanno circoscritto in due: le clausole pure che sono destinate a coprire tutte le richieste risarcitorie formulate nei confronti dell’assicurato nel periodo di vigenza della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito e le clausole miste o impure che prevedono l’operatività della copertura assicurativa solo quando sia il fatto illecito sia la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di vigenza del contratto con retrodatazione della garanzia alle condotte poste in essere in epoca anteriore.
Tuttavia, l’ammissibilità di queste clausole, in ordine al profilo della meritevolezza, ha suscitato un acceso dibattito in dottrina e in giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, e, da ultimo, ha determinato un ulteriore intervento di queste con la sentenza in epigrafe.
In breve questi i fatti.
In data 28 giugno 2002, in Treviso, si verificò il distacco e la caduta del braccio di una gru adibita all’edilizia nel cantiere in cui operava la C.E.V. S.p.A., che determinò il crollo dell’adiacente magazzino della Martignone s.n.c., agente della Laboratori Piazza s.r.l. ( già Laboratori piazza di Piazza Xxxxx & C. s.n.c.), le cui merci (custodite nel magazzino della Martignone s.n.c.) furono danneggiate. In seguito alla distruzione delle merci, la Laboratori Piazza s.n.c., poi, s.r.l., nel 2003, convenne in giudizio la C.E.V. S.p.A. e la Martignone s.n.c., affinchè fossero condannate al risarcimento dei danni cagionati.
Le società convenute si costituirono negando la propria responsabilità. La C.E.V. chiamò in causa la società che aveva fabbricato la gru, Potain Sud Europa s.r.l., che successivamente assunse la denominazione di Xxxxxxxxx s.r.l.
Quest’ultima fu convenuta in giudizio anche dalla Laboratori Piazza s.r.l..
La Xxxxxxxxx s.r.l., in seguito alla riunione delle cause, citò in giudizio per la manleva la Ras S.p.A., attualmente Allianz S.p.A., affermando che, essendosi verificato il sinistro nel 2002, per quell’evento era garantita dalla polizza assicurativa avente durata dal 1° gennaio 2001 al 1° gennaio 2003 con una franchigia di euro 4.547,00.
L’Allianz S.p.A. si costituì in giudizio contestando la fondatezza della domanda di garanzia, sostenendo di aver stipulato con la Xxxxxxxxx due diversi contratti di assicurazione della responsabilità civile: l’uno di durata dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2002; l’altro di durata dal 1° gennaio 2003 al 1° gennaio 2004 e che in entrambi i contratti operasse la c.d. “xxxxxxxx claims made”, sicchè l’assicuratore era obbligato all’indennizzo solo per i danni il cui risarcimento fosse stato richiesto all’assicurato durante il periodo di efficacia della polizza. Ne consegue che avendo la Laboratori Piazza s.r.l., terzo danneggiato, avanzato le proprie pretese nei confronti della Xxxxxxxxx solo nel 2003 doveva farsi riferimento alla seconda polizza, la quale prevedeva una franchigia di euro 150.000, importo di molto superiore al risarcimento richiesto e dunque l’assicurato non poteva pretendere alcun indennizzo.
Il Tribunale di Treviso, con la sentenza del febbraio 2007, accolse la domanda proposta dalla Laboratori Piazza s.r.l. nei confronti della C.E.V. S.p.A. e della Xxxxxxxxx s.r.l., che condannò al pagamento a titolo di risarcimento danni della somma di euro 88.031, 69, oltre accessori e accolse la domanda di garanzia della Xxxxxxxxx nei confronti dell’Allianz, dichiarando nulla, ai sensi dell’art. 1341 c.c., la clausola claims made.
Avverso questa decisione proponevano appello, in via principale la Allianz S.p.A. e, in via incidentale, tutte le altre parti, esclusa la Martignone s.n.c.
Con la sentenza del 3 febbraio 2014, la Corte di Appello di Venezia accoglieva soltanto l’impugnazione principale della Allianz S.p.A., respingendo la domanda di garanzia avanzata dalla Xxxxxxxxx.
In particolare, la Corte di Appello di Venezia riteneva che la clausola claims made di tipo puro non rendesse nullo il contratto ai sensi dell’art. 1895 c.c. e, inoltre, non dovesse essere considerata vessatoria, avendo l’effetto non di restringere la responsabilità dell’assicuratore, ma di delimitare l’oggetto del contratto.
Il giudice di Xxxxxxx, dunque, evidenziava che, nonostante il fatto si fosse verificato nel 2002, la richiesta di risarcimento danni era stata avanzata solo nel 2003, anno per il quale la polizza contemplava un importo superiore al danno subito dalla Laboratori Piazza, pertanto, la Allianz non era tenuta a risarcire l’assicurata.
La Xxxxxxxxx s.r.l., al fine di far cassare la sentenza, propose ricorso per Cassazione, adducendo cinque motivi; invece, la Allianz S.p.A. e la C.E.V. S.p.A. resistettero con separati controricorsi, la Laboratori Piazza s.r.l. depositò procura speciale di nomina del difensore e la Martignone s.n.c. di Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx & C. non svolse attività difensive.
Prima di scrutinare i motivi che deducono la nullità della clausola claims made inserita nei contratti di assicurazione stipulati dalla ricorrente, occorre, però, analizzare l’eccezione di giudicato interno, non oggetto di impugnazione, sollevata dalla Allianz S.p.A. in relazione alla validità di questa clausola, avendola il Tribunale ritenuta tale sotto il profilo della liceità, sebbene di natura vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c..
Tale eccezione va disattesa, perché il giudice di primo grado, aderendo all’orientamento della Corte di Cassazione del 2005, ha affermato che la clausola claims made di cui al contratto di assicurazione inter partes, da reputarsi atipico, era valida, e poi, distaccandosi da tale orientamento, la considera vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c., siccome è ritenuta limitativa della responsabilità dell’assicuratore.
La Xxxxxxxxx, nell’appello incidentale, nel contrastare il motivo di appello della Allianz S.p.A. avverso la declaratoria di vessatorietà della predetta clausola, ha argomentato sulla nullità della stessa per contrasto con gli artt. 1895 e 1917 c.c.. Si ravvisa una chiara e specifica contestazione della parte della sentenza di primo grado relativa all’affermazione di validità della clausola claims made, trovando spazio quella combinazione tra parte volitiva e argomentativa diretta alla confutazione delle ragioni addotte dal giudice di primo grado che rende l’impugnazione stessa non solo riconoscibile come tale, ma anche ammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c.
Come anticipato, la Xxxxxxxxx s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione, evidenziando ben cinque motivi di doglianza.
In particolare, con il primo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., in punto di nullità per difetto di meritevolezza della clausola claims made. Il giudice di Xxxxxxx, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto effettuare il giudizio di meritevolezza del contratto, essendo il contratto assicurativo inter partes, contenente la clausola claims made, atipico e quindi affetto da nullità per contrasto con l’art. 1895 c.c..
Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1917,primo comma c.c., sempre in punto di nullità della clausola claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata nonostante tale norma non venga richiamata dall’art. 1932 c.c. tra quelle inderogabili, assumendo in sé siffatta natura, poiché rappresenta la funzione del contratto di assicurazione, ossia il trasferimento del rischio derivante dall’esercizio di un’attività dall’agente all’assicuratore, per cui la sua deroga comporterebbe la nullità del contratto stesso per mancanza di causa e la sua immeritevolezza per contrarietà a norma imperativa.
Con il terzo prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1895 c.c., in punto di nullità della clausola claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata in quanto il contratto di assicurazione inter partes ha assicurato, in concreto, un rischio già verificatosi. Ciò si desume dalla clausola di cui all’art.9 dello stesso contratto, che impone all’assicurato di denunciare il sinistro entro 10 giorni dalla sua verificazione, pertanto, dovendo per sinistro intendersi il fatto dannoso e riferendosi la clausola claims made al risarcimento del danno, consente di coprire un rischio già sorto.
Con il quarto denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 c.c. sulla vessatorietà della clausola claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata in quanto essa non limita l’oggetto del contratto di assicurazione, poiché imponendosi all’assicurato di denunciare il sinistro entro 10 giorni dalla sua verificazione, la responsabilità dell’assicuratore sorge con il fatto dannoso e la stessa viene esclusa collegando la clausola claims made alla denuncia del terzo.
Infine, con il quinto, che investe l’an debeatur, lamenta la violazione degli artt. 117 e 118 del d.lgs. 206/2005, sulla responsabilità del produttore, perché la Xxxxxxxxx non poteva conoscere né prevedere la difettosità del prodotto in relazione al presunto difetto di progettazione.
Nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile, come detto, le clausole claims made innescano problematiche giuridiche, tant’è che i primi due motivi di ricorso hanno indotto la Terza Sezione civile a sollecitare, con ordinanza interlocutoria, un ulteriore intervento delle Sezioni Unite, dopo quello del 2016.
È necessario ricordare che le Sezioni Unite nel 2016 affermarono che tali clausole derogano al modello di assicurazione della responsabilità civile delineato dall’art. 1917, primo comma, c.c., poiché la copertura assicurativa viene ad operare non “in relazione a tutte le condotte generatrici di domande risarcitorie, insorte nell’arco temporale di operatività del contratto , quale che sia il momento in cui la richiesta di danni venga avanzata”(modello c.d. loss occurrence o act committed), bensì in ragione della circostanza che nel periodo di vigenza della polizza intervenga la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato ( il c.d. claim) e che tale richiesta sia inoltrata dall’assicurato al proprio assicuratore. Sulla base di questo modello, le clausole claims made, per mera semplificazione convenzionale, si distinguono in pura e impura o mista. Tuttavia, tale semplificazione non può elidere la complessità del fenomeno, complessità che si apprezza in relazione a previsioni pattizie, che da un lato sono volte a rendere effettiva la copertura assicurativa rispetto a claims intervenute anche in un certo arco temporale successivo alla scadenza del contratto ( c.d. sunset clause o clausola di ultrattività o “postuma”) e dall’altro a consentire all’assicurato, in aggiunta alla richiesta del danneggiato, di comunicare all’assicuratore, ai fini di operatività della polizza, anche le circostanze di fatto conosciute in corso di contratto e dalle quali potrebbe, in futuro, originarsi la richiesta risarcitoria( c.d. deeming clause).
Sono note le ragioni storiche che hanno dato luogo, nell’ambito del mercato assicurativo, a partire da quello anglosassone e, poi, statunitense della prima metà degli anni’80 del secolo scorso, alle clausole claims made, affermatesi come risposta all’aumento dei costi per indennizzo generato dall’espansione, qualitativa e quantitativa, della tutela risarcitoria, in particolar modo nell’area dei
rischi c.d. lungo latenti, ossia dei danni da prodotti difettosi, quelli ambientali e quelli da responsabilità professionale, in particolare, in ambito di responsabilità sanitaria.
Da qui l’esigenza, avvertita dalle imprese di assicurazione, di circoscrivere l’operatività della assicurazione ai soli sinistri “reclamati” durante la vigenza del contratto, così da consentire alla compagnia “di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte ai relativi esborsi”, con evidente ed ulteriore agevolazione nel calcolo del premio assicurativo.
L’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione civile, nell’esaminare i primi due motivi di ricorso, si è interrogata sulla tenuta giuridica del sistema assicurativo “ claims made” dalle quali sono scaturite problematiche giuridiche che il Collegio rimettente ha sintetizzato in due principi. Il primo attiene a non comprendere nell’alveo dei “sinistri “ ( evento avverso, dannoso, e non voluto dall’assicurato) fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c. ovvero, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917, comma primo, c.c.; il secondo concerne la meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., che, afferma la Terza Sezione, è un giudizio che investe non il contratto in sé ma il risultato con esso perseguito e tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia contrario alla coscienza civile, alla economia, al buon costume o all’ordine pubblico, ossia ai principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati.
La chiave interpretativa fornita dal diritto positivo vigente non solo consente una lettura, di per sé concludente del “fenomeno” in esame, ma, al tempo stesso, esalta ulteriori virtualità ermeneutiche già evidenziate dall’impianto codicistico, dalla sentenza a Sezioni Unite del 2016 e dall’ordinanza interlocutoria.
Infatti, non si dubita che nell’assicurazione contro i danni ( art. 1882 c.c.) la garanzia riguardi il danno “ prodotto da un sinistro” e che, quest’ultimo, alla stregua del linguaggio giuridico fatto proprio dal “diritto vivente” è da ravvisarsi nel fatto, materiale e storico ( o come dice l’art. 1917
c.c. “ il fatto accaduto”), idoneo a provocare il danno.
Tuttavia, proprio perché il danno rappresenta l’ubi consistam dell’interesse dell’assicurato a stipulare il contratto, altrimenti nullo in assenza di esso, occorre, dunque, analizzare questo fattore, che integra il rischio assicurabile, la cui incertezza deve rimanere intatta fino al momento di inizio della assicurazione, come incertezza, nel caso di assicurazione della responsabilità civile, sull’impoverimento del patrimonio del danneggiante – assicurato, quale conseguenza del sinistro. Da ciò deriva l’inscindibilità del binomio sinistro/danno, essendo proprio e soltanto l’evento a determinare il danno da cui scatta l’obbligo di indennizzo.
Pertanto, la clausola claims made ( impura) deve essere considerata in termini di delimitazione dell’oggetto del contratto con conseguente esclusione della natura vessatoria della clausola ai sensi dell’art. 1341 c.c., in quanto non limitativa della responsabilità e ciò comporta una deroga convenzionale alla disciplina del modello di assicurazione della responsabilità civile di cui all’art. 1917 c.c., senza che ciò comporti una deviazione strutturale della fattispecie negoziale tale da estraniarla dal tipo, nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro i danni ( art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe.
Emerge, dunque, la circolarità tra impianto codicistico e micro-sistema speciale che esprime una forza ordinante particolarmente efficace, consentendo anche una simbiosi di categorie e rimedi.
La conseguenza di questo esito ermeneutico è quella del superamento di un giudizio improntato alla logica propria della meritevolezza, siccome ancorata al presupposto della atipicità contrattuale(art. 1322, secondo comma) e, quindi frutto di una autonomia privata che, in quel determinato e peculiare esercizio, sebbene abbia già trovato riconoscimento nella realtà socio –
economica, non rinviene ancora il proprio referente nel “ tipo” prefigurato dalla legge, la quale può solo soggiacere ad una verifica di rispondenza ai parametri costituzionali.
Resta, però, vivo e vitale il test su come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, in primis, i “ limiti imposti dalla legge”, che il primo comma dell’art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento dell’assetto di interessi perseguiti dai paciscienti, secondo la causa in concreto del negozio.
È un test che non prescinde dal giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. e che guarda alla complessità dell’ordinamento giuridico da assumersi attraverso lo spettro delle norme costituzionali in sinergia con quelle sovranazionali. In tale contesto, dunque, si rende opportuna un’indagine che non si arresti alla sola conformazione genetica del contratto assicurativo, ma ne investa anche il momento precedente alla sua conclusione e quello relativo all’attuazione del rapporto.
L’analisi dell’assetto sinallagmatico del contratto assicurativo rappresenta uno strumento utile per apprezzare se, effettivamente, ne sia realizzata la funzione pratica, quale assicurazione adeguata allo scopo, laddove l’emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell’operazione economica.
Ciò in quanto la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini della individuazione del tipo e del limite del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l’equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni.
Dunque, non è questione di garantire e sindacare l’equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale, ma occorre indagare, nel rispetto del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale “ on claims made basis” presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacchè nel contratto di assicurazione contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale.
Il regolamento contrattuale dovrà modularsi, nell’assicurazione della responsabilità professionale, in ragione della disciplina legale di base, che esprime un carattere imperativo per essere non solo inderogabile in pejus ma posta a tutela di interessi anche di natura pubblicistica ossia la tutela del terzo danneggiato che disvela il valore sociale dell’assicurazione.
Ne deriva che lo iato tra la prima e la seconda, per aver la stipulazione ignorato e/o violato quanto dalla legge disposto, come esito al quale può approdarsi alla luce, soprattutto, ma non solo, dell’indagine sull’equilibrio sinallagmatico suddetto, comporterà la nullità del contratto ex art. 1418 c.c.
A tanto il giudice potrà porre rimedio, per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto, in forza del secondo comma dell’art. 1419 c.c., così da integrare lo statuto negoziale, non già tramite il modello della c.d. loss occurence di cui all’art. 1917, primo comma c.c., bensì attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l’equilibrio dell’assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa.
Regolamentazione che, per la sua imperatività, viene a somministrare delle “regole di struttura”, siccome orientate a rendere il contratto idoneo allo scopo, tenuto conto delle esigenze dell’assicurato, oltre che delle istanze sociali, con la precisazione che la stessa legge di settore presenta multiformi calibrature, modellando l’assicurazione claims made secondo varianti peculiari ( ad esempio la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare.
Nondimeno, l’obbligo di adeguatezza del contratto assicurativo consente l’osmosi dei rimedi anche nel contesto di rapporti assicurativi sorti prima dell’affermarsi del regime di obbligatorietà dell’assicurazione della responsabilità civile professionale.
Del pari, la giuridica esigenza che il contratto assicurativo sia adeguato allo scopo pratico perseguito dai paciscienti sarà criterio guida nell’interpretazione della stipulazione intercorsa al fine di garantire l’assicurato dalla responsabilità civile anche in settori diversi da quello sanitario o professionale e, in particolare, in quelli che postulano l’esigenza di una copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza.
Per quanto riguarda, poi, la fase dinamica del rapporto assicurativo “ on claims made basis”, si colloca su un piano di assoluta criticità la clausola che attribuisce all’assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi del sinistro compreso nei rischi assicurati, la cui abusività si rivela tale in ragione della frustrazione dell’alea del contratto, che si viene a parametrare sul termine ultimo di durata della copertura assicurativa, rispetto alla quale i premi stessi sono calcolati e corrisposti.
Di qui il vulnus destrutturante la funzionalità del contratto, non emendabile con la liberazione dell’assicurato dal versamento della parte dei premi residui.
Da tale excursus si evince che il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso sono calibrati a denunciare profili di invalidità o inefficacia dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile “ on claims made basis “ di tipo c.d. “puro”, stipulati dalla Xxxxxxxxx s.r.l. con la RAS S.p.A., nell’ottica della atipicità del modello assicurativo.
Tuttavia, il primo ed il terzo motivo intercettano e censurano aspetti di criticità della concreta operazione economica.
In tale prospettiva si prestano ad essere particolarmente valorizzate, nella sostanza, le doglianze dirette a stigmatizzare l’astrattezza del giudizio della corte di Xxxxxxx, operata sul sillogismo che connette la atipicità della clausola claims made “ pura” e la sua validazione ordinamentale, senza scendere nel concreto della peculiare vicenda contrattuale dedotta in giudizio.
All’esito del percorso interpretativo compiuto dal giudice territoriale sul contenuto delle polizze inter partes, nella sentenza impugnata si rende evidente come la definizione generale di sinistro” prodotti” ivi contemplata sia solo riassuntiva del meccanismo operativo della claims made “ pura”, giacchè il sinistro è individuato nel fatto che genera il danno, mentre il claim del danneggiato opera come delimitazione temporale dell’operatività della polizza, in tal modo selezionando anche l’applicazione della relativa franchigia in rapporto ad ogni “ sinistro”.
Inoltre, la Corte territoriale, nell’affermare la sostanziale identificazione tra sinistro e richiesta ha espresso una valutazione di sintesi circa l’equiparazione richiesta/sinistro, in quanto direttamente funzionale al momento di operatività della polizza, la quale definisce l’oggetto dell’assicurazione pur sempre in ragione del danno determinato da un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi assicurati.
La Corte di merito ha esaurito la sua valutazione nella esclusione della natura vessatoria delle clausole claims made, valutazione che è rimasta su un piano astratto, perché la Corte di Appello ha postulato la validità delle polizze nell’ottica della atipicità del contratto e senza farsi carico della concretezza dell’operazione negoziale da correlare funzionalmente all’assetto di interessi che le polizze stesse avrebbero dovuto realizzare.
Infatti, tale prospettiva in iure avrebbe dovuto guidare il giudice di appello nel considerare l’atteggiarsi della vicenda dedotta in giudizio, ossia la scansione diacronica tra verificazione del sinistro e richiesta risarcitoria da apprezzarsi nel precipuo contesto storico- ambientale, la sua incidenza sugli obblighi informativi che essa imponeva, la corrispettività tra premio e rischio
assicurato, che doveva giustificare ragionevolmente la sensibile modificazione dell’importo della franchigia, nel collegamento stretto tra la stipulazione della prima e seconda polizza, tale da non ridondare in fenomeno di abuso del diritto e infine la presenza di clausola di recesso in costanza di rapporto.
In definitiva, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la pronuncia in epigrafe, accolgono i primi quattro motivi e rigettano il quinto perché la Corte di Appello nell’espletare l’attività di indagine ha rispettato il principio secondo cui la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta e non oggettiva, in quanto prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto( la Corte di Appello, infatti, sulla scorta delle risultanze della c.t.u. espletata in corso di giudizio, ha accertato che la caduta del braccio della gru era dipesa dalla “ rottura del porta-ralla”, che “ non era stato progettato in maniera corretta – non essendo stata effettuata una verifica come prescritto dalle norme DIN 15108-, mentre non erano sufficienti a spiegare il motivo del crollo le “lesioni rilevate sul mantello cilindrico del porta – ralla, sicuramente da imputare a fenomeni di fatica del materiale”, così come “non erano dimostrabili sulla base dei dati oggettivi acquisiti” le ipotesi di “uso improprio o accidentalmente scorretto “ della gru).
La sentenza impugnata va cassata in relazione alla fondatezza dei motivi e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Alla luce delle evidenziate coordinate ermeneutiche, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione fissano criteri ermeneutici diversi e ulteriori rispetto a quelli sanciti dalle Sezioni Unite del 2016. Infatti, da una parte viene confermata la legittimità delle clausole “ on claims made basis” quali deroghe al principio generale contemplato dal primo comma dell’art. 1917 c.c., in quanto il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore non incide sulla funzione assicurativa e dall’altra, il contraente assicurato può invocare tutela, in termini di effettività, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati.
Ne consegue, pertanto, che rispetto al singolo contratto di assicurazione non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322, secondo xxxxx, c.c.