Abbreviazioni e sigle
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Abbreviazioni
art. : articolo artt. : articoli
c.c. : codice civile cit. : citato
co. : company col. : colonna
d.lgs. : decreto legislativo
l. : legge ltd. : limited
Minn. : Minnesota
n. : numero nat. : national no. : number
plc. : public limited company
r.d. : regio decreto rly. : railway
s. : seguente
s.r.l. : società a responsabilità limitata ss. : seguenti
S. T. : Settlement Trusts
v. : versus vol. : volume
Sigle
ABI : Associazione Bancaria Italiana AG : Attorney General
BGB : Bürgerliches Gesetzbuch
IRC : Inland Revenue Commissioners LBC : London Borough Council
TUB : Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia
TUF : Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria
Introduzione
La seguente indagine si propone di ricostruire gli aspetti salienti del negozio fiduciario e del trust, al fine di evidenziarne, in una prospettiva comparatistica, le analogie, nonché le differenze.
È subito evidente che i due suddetti istituti sono affini, nella misura in cui costituiscono entrambi manifestazione del fenomeno fiduciario; è altrettanto evidente che gli stessi presentano caratteristiche differenti, a causa della loro diversa origine: precisamente, mentre il negozio fiduciario è il portato della tradizione giuridica romano- germanica o di civil law, il trust costituisce il prodotto della tradizione giuridica anglosassone o di common law. Infatti, è proprio la profonda differenza riscontrabile tra queste due tradizioni a dar ragione delle differenze ravvisabili tra negozio fiduciario e trust; per tale ragione sarà necessario, ai fini del buon esito della seguente indagine, ripercorrere l’origine e l’evoluzione storica dei due suddetti istituti, avendo particolare riguardo alle esperienze giuridiche di rispettiva provenienza.
In particolare, il metodo d’indagine adottato consterà di due momenti, distinti e consequenziali: dapprima avrà luogo l’analisi, separatamente e isolatamente condotta, riguardante ciascuno dei due istituti, analisi che, come sopra detto, comprenderà anche un’indagine storica; successivamente, poste in tal modo le premesse per una comparazione tra negozio fiduciario e trust, si tenterà di enucleare le differenze, nonché le analogie, ravvisabili tra i due suddetti istituti.
Per primo sarà preso in considerazione il negozio fiduciario. Coerentemente al metodo d’indagine sopra esposto, sarà ripercorsa l’evoluzione storica dell’istituto, e quindi le molteplici configurazioni che esso ha assunto nel corso della storia, con particolare riferimento all’universo giuridico romano e agli ordinamenti giuridici dei popoli germanici. Tale indagine storica costituisce evidentemente un passaggio logico fondamentale: essa permetterà infatti di ricostruire la struttura del negozio fiduciario e, in tal modo, di risolvere la questione relativa all’ammissibilità del negozio fiduciario nel nostro ordinamento.
Poste tali premesse, sarà possibile esaminare le classificazioni dottrinali di cui il negozio fiduciario è stato oggetto, sia sotto il profilo strutturale che sotto il profilo funzionale. Tale esame, condotto in senso critico, sarà teso a dimostrare che non esiste un solo modello di negozio fiduciario, bensì una pluralità di modelli, e che il negozio fiduciario, pur retto da un’unitaria e autonoma causa fiduciae, può concretamente
assolvere un’amplissima gamma di funzioni, anche nel campo della famiglia e delle successioni.
Ricostruiti i tratti tipici e caratteristici del negozio fiduciario, sarà assunto ad oggetto di indagine il trust anglosassone, manifestazione del fenomeno fiduciario tipica degli ordinamenti dei Paesi appartenenti all’area di common law. Anche per il trust, coerentemente al metodo d’indagine adottato in tale sede, sarà necessaria un’esauriente ricerca storica relativa alle sue origini: tale indagine è indispensabile all’esatta comprensione della sua struttura, che, anche nella regolamentazione attuale, non può adeguatamente spiegarsi ove si prescinda dalle peculiarità proprie dell’esperienza giuridica anglosassone, e in particolare dal dualismo, tipico della predetta esperienza, tra le fonti normative della common law e dell’equity, entrambe di creazione giurisprudenziale. Per tale ragione, in via preliminare all’esame dell’attuale disciplina dell’istituto, occorrerà dar ragione del summenzionato dualismo e del ruolo originariamente svolto, entro l’ordinamento anglosassone, dalla giurisdizione della Court of Chancery, al cui operato sono strettamente legate le origini del trust.
Poste tali premesse, sarà possibile descrivere la struttura che il trust assume nell’attuale ordinamento anglosassone, nonché i vari tipi di trust noti allo stesso ordinamento. Inoltre, per meglio comprendere la natura e l’essenza dell’istituto, quest’ultimo verrà comparato con altre figure giuridiche, sempre appartenenti all’ordinamento anglosassone.
A tal punto, avendo esaurientemente analizzato sia il trust che il negozio fiduciario, sarà possibile comparare i due istituti, avendo particolare riguardo alla posizione dei soggetti coinvolti nel rapporto. In particolare, la comparazione avrà ad oggetto, in primo luogo, la tutela accordata all’affidante, cioè al beneficiario del trust e al fiduciante del negozio fiduciario e, in secondo luogo, la situazione giuridica di cui è titolare l’affidatario, cioè il trustee del trust e il fiduciario del negozio fiduciario.
Qualificata come “proprietà fiduciaria” la situazione giuridica spettante al trustee, si indagherà se e in quali ipotesi la predetta situazione possa configurarsi anche all’interno dell’ordinamento italiano.
Si porranno in tal modo le premesse per una riflessione conclusiva idonea a rendere ragione, oltre che degli aspetti salienti e dei tratti tipici del negozio fiduciario e del trust, anche delle differenze e delle affinità riscontrabili tra i due suddetti istituti
CAPITOLO 1: L’EVOLUZIONE DEL NEGOZIO FIDUCIARIO
1. 1. La fiducia nel diritto romano
La fiducia, quale fenomeno giuridicamente rilevante, investiva molteplici aspetti della vita sociale romana: assolveva dunque ad un’ampia gamma di funzioni, ciascuna avente una propria individualità economica. Tale variegato fenomeno aveva quale struttura essenziale il trasferimento della proprietà di una cosa, il quale a sua volta generava in capo all’acquirente un obbligo di restituzione della cosa medesima.
Proprio tale struttura, in quanto duttile ed unitaria, poteva facilmente essere adattata a diversi scopi: ciò spiega la larga diffusione della fiducia in un ordinamento giuridico, quale quello romano, informato dal rigoroso principio della tipicità contrattuale, secondo cui assumono valore giuridico esclusivamente le operazioni negoziali rientranti in uno dei tipi tassativamente previsti dall’ordinamento.
Il diritto romano differisce così dagli attuali ordinamenti giuridici della famiglia romano-germanica nel senso che esso non conosce il contratto in generale, ma solo singoli contratti1. In altre parole le parti, nell’esercizio dell’autonomia privata, potevano scegliere soltanto tra i tipi negoziali posti a loro disposizione dall’ordinamento, non sussistendo una possibilità analoga a quella prevista dall’art. 1322 dell’attuale codice civile italiano2.
Entro un simile contesto giuridico i cives, per far fronte alle sempre nuove esigenze scaturenti dall’evoluzione della realtà socio-economica, solevano perseguire attraverso la consolidata e rigida struttura dei negozi tipici nuove finalità, adattando così tali negozi a funzioni diverse da quelle alle quali erano preordinati3.
Un autorevole corrente dottrinale4 individua nell’ambito del fenomeno simulatorio la genesi dei negozi fiduciari: infatti, prima che il negozio fiduciario fosse riconosciuto dall’ordinamento romano, la limitazione inter partes dei poteri connessi alla proprietà fiduciariamente trasferita era frutto di simulazione e rappresentava una mera aspirazione delle parti, la realizzazione della quale poteva contare soltanto sulla loro fides. Con il riconoscimento giuridico e quindi con la previsione di un’actio
1 XXXXXXXX Xxxxxxx, Istituzioni di diritto privato romano, Edizioni Ricerche, Roma, 1961, 454.
2 XXXXXXXXX Xxxxx, Conventio e stipulatio in Le teorie contrattualistiche romane nella storiografia contemporanea a cura di Xxxxxx Xxxxxxxx, Jovene, Napoli, 1991, 163.
3 DIURNI Xxxxxxxx, Xxxxxxx e negozio fiduciario(storia) in Digesto delle discipline privatistiche sezione civile, UTET, Torino, 1992, 289.
4 XXXXX Xxxxxx, Istituzioni di diritto romano, vol. I, CEDAM, Padova, 1947, 134 ss.
fiduciae a tutela del rapporto fiduciario, venne assicurato l’effetto vincolante del negozio fiduciario. Attraverso la fiducia i privati perseguivano così nuove finalità rispetto alle quali i tipi negoziali legalmente riconosciuti si erano rivelati inadeguati: ogniqualvolta queste fossero state lecite, il diritto romano accordava tutela alla causa fiduciaria del negozio5.
Per via della frammentarietà e della scarsezza delle fonti di cognizione in materia di fiducia6, in dottrina sono controversi i caratteri che tale figura assumeva in diritto romano: un ampio dibattito investe proprio la struttura del negozio fiduciario.
Secondo un primo orientamento7, si tratterebbe di una fattispecie complessa, che si compone di un negozio a effetti reali, il quale attribuisce al fiduciario la piena titolarità della cosa, e di un negozio a effetti obbligatori, il c.d. pactum fiduciae, che pone a carico del fiduciario l’obbligo di restituire la cosa.
Secondo una differente ed opposta ricostruzione8, il negozio fiduciario sarebbe una figura unitaria, la quale “si realizza in unico contesto”9 per mezzo della mancipatio
o in iure cessio fidi fiduciae causa, di per sé sufficiente a generare, oltre l’effetto reale, anche l’obbligazione restitutoria.
Intimamente connessa a tale questione è quella riguardante il fondamento dell’obbligo restitutorio e il ruolo svolto dal pactum fiduciae nell’ambito del negozio fiduciario. Se infatti aderissimo alla prima tesi dovremmo infatti concludere che l’obbligazione fiduciaria nasce dal pactum fiduciae, essenziale al concretarsi del negozio fiduciario; mentre la seconda teoria ha per corollario che il pactum fiduciae è meramente accessorio al negozio traslativo e diretto semplicemente a specificare l’obbligazione restitutoria.
Possiamo sciogliere tale “nodo gordiano” sceverando quanto appartiene propriamente al diritto romano storico da quanto la dottrina ha successivamente costruito su di esso.
5 XXXXXXXXX Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx fiduciario,fiducia,disposizioni transmorte in Diritto privato, studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxx, vol. II, UTET, Torino, 2009, 888.
6 XXXXXX Xxxxxxxx, Xxxxxxx(diritto romano) in Enciclopedia del diritto, vol. XVII, Xxxxxxx, Milano, 1968, 385.
7 XXXXX Xxxxx, Corso di diritto romano. La fiducia, Xxxxxxx, Milano, 1933, 42 ss.; XXXXXXXXX Xxxxx, Istituzioni di diritto romano, Xxxxxxx, Milano, 1990, 552; XXXXXXX Xxxxxxx, Diritto privato romano, Jovene, Napoli, 1997, 883.
8 XXXXXX Xxxxxxxx, Xxxxxxx(diritto romano), cit., 387; XXXXXXX Xxxxxxx, Xxxxxxx (diritto romano) in Novissimo Digesto Italiano diretto da Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxx Xxxx, UTET, Torino, 1957, 295; XXXXXXXX Xxxxxxx, Appunti sulle garanzie reali in diritto romano, Cisalpino-Goliardica, Milano, 1976, 43.
9 DIURNI Xxxxxxxx, Xxxxxxx e negozio fiduciario(storia), cit., 291.
È anzitutto significativo che nelle fonti romane non compaia il sintagma pactum fiduciae: nessuna di esse attesta l’esistenza di un pactum fiduciae nella fiducia cum amico, mentre, relativamente alla fiducia cum creditore, disponiamo di due fonti, ovverosia la Formula Baetica e le Tavole Xxxxxxxxx, ove si parla non di pactum fiduciae, bensì di pactum conventum10.
Proprio le due fonti predette ci offrono un altro dato linguistico rilevante ai fini della nostra ricostruzione: in esse ricorre il sintagma fidi fiduciae causa, ove fidi è un arcaismo per fidei. Tali due termini, fides e fiducia, non sono semplicemente giustapposti a formare un’endiadi, bensì rivestono significati differenti: fiducia esprime ciò che l’alienante-fiduciante pone nelle mani dell’acquirente-fiduciario e di cui quest’ultimo dispone, mentre fides indica il credito, la buona fama, la stima di cui il fiduciario gode presso il fiduciante11. Dato e considerato l’ordine nel quale le due parole si seguono, tra fides e fiducia sussisterebbe una stretta correlazione: l’alienante dà la fiducia in quanto può contare sulla fides dell’accipiente12.
Un’attendibile dottrina13 sostiene, a completamento della nostra ricostruzione, che il termine fides esprima l’impegno del fiduciario e quindi, in ultima analisi, sia il fondamento dell’obbligazione restitutoria gravante su costui. Né vale obiettare che Xxxx adoperi nelle sue Istituzioni la semplificata clausola fiduciae causa: egli scrive nel II sec. d.C., quando s’era ormai consolidata la tutela giudiziaria costituita dall’actio fiduciae e quindi non s’avvertiva più la necessità di porre fidi di fronte a fiducia. La Formula Baetica e le Tavole Xxxxxxxxx risalgono invece al I sec. d.C. e provengono da territori lontani da Roma,dove è più probabile che si conservasse memoria degli usi del passato14.
Premesse tali opportune considerazioni, è possibile descrivere la struttura che il negozio fiduciario assume nel diritto romano: esso “consiste nella trasmissione della piena titolarità di una cosa ad un soggetto, il quale si obbliga contestualmente a ritrasmetterla”15. La sostanza del negozio fiduciario, cioè la trasmissione della proprietà di una cosa in vista della successiva restituzione della medesima, è espressa con
10 XXXXX Xxx, La vastità del fenomeno fiduciario nel diritto romano:una prima riflessione in Le situazioni affidanti, a cura di Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2006, 21.
11 XXXXX Xxxxxxx, Xxxxx formula del negozio fiduciario in Il linguaggio dei giuristi romani. Atti del convegno internazionale di studi, Lecce 5-6 dicembre 1994, 2000, 185 ss.
12 XXXXX Xxx, La vastità del fenomeno fiduciario nel diritto romano, cit., 42.
13 XXXXXX Xxxx-Xxxxxxxx, Le transfert fiduciaire, Xxxxxxx & Xxxxxxxxxxx, Basilea, 2000, 116.
14 XXXXX Xxx, La vastità del fenomeno fiduciario nel diritto romano, cit., 42 s.
15 DIURNI Xxxxxxxx, Xxxxxxx e negozio fiduciario(storia), cit., 291.
chiarezza da Xxxxxx, nel commento ai Topica di Xxxxxxxx:“Fiduciam accipit cuicumque res aliqua mancipatur,ut eam mancipanti remancipet”.
Mezzo inderogabile per porre in essere tale regolamento d’interessi è l’atto solenne e formale della mancipatio o dell’in iure cessio. L’obbligo di restituzione, con la conseguente responsabilità fiduciaria, nasce dallo stesso atto solenne di alienazione, in quanto compiuto fidi fiduciae causa. Esso è correlato all’affidamento risposto dal fiduciante nel fiduciario e si configura come obbligo di comportarsi bene, come usa fra persone per bene, e senza frode, secondo un criterio normativo di onestà e correttezza contenuto nella formula dell’actio fiduciae: “ut inter bonos bene agere oportet et sine fraudatione”16.
Si noti bene che la causa fiduciae non vale ad incidere sulla posizione del fiduciante nei rapporti erga omnes: la proprietà che egli si vede attribuita è piena e illimitata; pertanto l’atto con il quale il fiduciante alieni la cosa a terzi resta fermo, pur se sanzionabile con l’actio fiduciae.
Dalle nostre argomentazioni segue che sia l’effetto reale, sia l’effetto obbligatorio scaturiscono dalla mancipatio (o in iure cessio) fidi fiduciae causa, di per sé sufficiente a realizzare la funzione fiduciaria.
Entro tale cornice il ruolo del pactum conventum, impropriamente rinominato dai romanisti pactum fiduciae, diviene secondario: esso non è essenziale al negozio fiduciario, bensì semplicemente accessorio. Precisamente il pactum conventum ha la funzione di regolare più specificamente l’obbligo di restituzione, al fine di adattarlo allo scopo pratico avuto di mira dalle parti. Esso può, ad esempio, subordinare l’obbligo di restituzione al verificarsi di certe circostanze ovvero in certe ipotesi escludere completamente tale obbligo ovvero limitare la responsabilità del fiduciario.
Il pactum fiduciae in ultima analisi non incide sulla sostanza del negozio fiduciario, ma ne specifica gli effetti. Inoltre ogni comportamento in contrasto con la destinazione della cosa convenuta nel pactum fiduciae è illecito e pertanto sanzionabile in virtù dell’actio fiduciae.
Da tale ricostruzione possiamo dedurre che la fiducia cum amico abbia rappresentato storicamente la prima forma di fiducia, in quanto la sua struttura corrisponde perfettamente al nucleo essenziale del negozio fiduciario: alienazione (fidi) fiduciae causa generante un obbligo restitutorio; altre forme di fiducia, quali la fiducia
16 XXXXXX Xxxxxxxx, Fiducia(diritto romano), cit., 387.
manumissionis causa e la fiducia cum creditore, ne rappresenterebbero un adattamento, in quanto all’alienazione fiduciaria si sarebbe aggiunto un pactum fiduciae diretto a limitare o a escludere la responsabilità del fiduciario17.
Come detto sopra, la fiducia si lega agli atti formali e solenni di trasferimento della proprietà quiritaria: la mancipatio, valevole per le sole res mancipi, e l’in iure cessio, efficace anche in ordine alle res nec mancipi. Di qui la configurazione della fiducia quale negozio iuris civilis, accessibile ai soli cittadini romani, e la possibilità di applicare il negozio fiduciario indistintamente per le res mancipi e per le res nec mancipi.
Ciò nonostante molti autori ritengono che la fiducia potesse riguardare esclusivamente le res mancipi, sulla base del fatto che le fonti pervenuteci non recano alcun esempio di fiducia di res nec mancipi. Una tale conclusione ci pare però affrettata, in quanto il materiale di cognizione a nostra disposizione è piuttosto frammentario. Inoltre un caso di fiducia di res nec mancipi sarebbe attestato da un frammento del Digesto ascrivibile a Papiniano: seppure il testo nella redazione giustinianea si riferisca al pegno è verosimile che il pegno sia stato interpolato al posto della xxxxxxx00, secondo un modus operandi proprio dei compilatori giustinianei.
Il legame della fiducia con la mancipatio e l’in iure cessio non è casuale, ma necessitato da ragioni giuridiche. Tali due atti formali e solenni, essendo astratti, realizzano lo spostamento della ricchezza a prescindere dall’esistenza di una causa giustificativa. In quanto capaci di operare come modo generale di trasferimento della proprietà, possono essere adattati ad una funzione fiduciaria, la quale implica che il trasferimento della proprietà sia tendenzialmente temporaneo o transitorio per destinazione.
Si noti bene che la causa fiduciae non è capace di creare una proprietà temporanea, la quale si risolva con il raggiungimento dello scopo: tale figura giuridica è estranea al diritto romano, il quale non tollera un trasferimento di proprietà con termine finale o soggetto a condizione risolutiva. Mancipatio e in iure cessio producono pur sempre, per necessità giuridica, l’effetto loro proprio, cioè una traslazione della proprietà definitiva ed irreversibile, ma, in quanto astratti, ben possono connettersi con la causa fiduciae o intesa fiduciaria, palesata dal sintagma fidi fiduciae causa, la quale
17 XXXXXX Xxxxxxxx, Fiducia(diritto romano), cit., 387; XXXXXXX Xxxxxxx, Xxxxxxx (diritto romano), cit., 295.
18 XXXXX Xxxxx, Corso di diritto romano. La fiducia, cit., 57 s.
rivela come l’intenzione delle parti escluda il conferimento di una proprietà permanente19.
La traditio al contrario non avrebbe consentito, per la sua intrinseca struttura, di realizzare una funzione fiduciaria; essa era infatti un negozio traslativo causale, necessariamente sorretto da una delle quattro iustae causae abili al trasferimento del dominio: permuta, vendita, donazione o solutio. Tali iustae causae, poiché postulavano una traslazione definitiva ed irreversibile, erano incompatibili con una funzione fiduciaria.
Il legame alla mancipatio e all’in iure cessio è prova della risalenza della fiducia all’età arcaica. Proprio tale legame creerà un parallelo tra le sorti della fiducia e quelle di mancipatio e in iure cessio: al declino di tali atti formali e solenni di alienazione seguirà quello della fiducia, secondo un processo che inizia in epoca postclassica e si conclude in età giustinianea.
Nell’età classica invece la fiducia raggiunge il suo massimo fulgore: dalla sua struttura essenziale, alquanto versatile, si sviluppano molteplici utilizzazioni, che investono ambiti anche piuttosto eterogenei del diritto civile20.
La fiducia è fenomeno di applicazione tanto vasta e larga che vari autori tendono a semplificarne la portata.
È pertanto incompleta la ricostruzione di coloro i quali hanno sic et simpliciter sussunto le concrete finalità economico-giuridiche perseguite tramite la fiducia nella bipartizione fiducia cum amico-fiducia cum creditore attestata nelle Istituzioni di Xxxx: in tal modo non si terrebbe conto delle rilevanti applicazioni dell’istituto nella sfera del diritto di famiglia e successorio.
È evidente che la testimonianza di Xxxx non possa assurgere ad esauriente esplicitazione del fenomeno fiduciario; egli infatti parla dell’istituto incidentalmente, senza trarre, contrariamente a quanto sostiene qualche autore21, “occasione per un’impostazione sistematica”.
Oggetto specifico della trattazione di Xxxx è infatti l’usureceptio, tipologia particolare di usucapione riservata al fiduciante, la quale consente di acquistare mediante possesso prolungato per un anno la proprietà di un bene, pur essendo sciens
19 XXXXXX Xxxxx, Le garanzie delle obbligazioni. Corso di diritto romano, II Le garanzie reali, CEDAM, Padova, 1963, 10.
20 XXXXX Xxx, La vastità del fenomeno fiduciario nel diritto romano, cit., 24.
21 XXXXXX Xxxxxxxx, Fiducia(diritto romano), cit., 385.
rem alienam esse. In tale contesto egli presenta la fiducia come il negozio che si può contrarre con il creditore o con l’amico: “Fiducia contrahitur aut cum creditore pignoris iure aut cum amico, quo tutius nostrae res apud eum sint”.
La fiducia cum creditore (pignoris iure) rappresentava una forma di garanzia reale, assolvendo così lo scopo di garantire un debito. In tale ipotesi al negozio fiduciario accedeva un pactum conventum, il quale subordinava l’obbligo restitutorio all’effettivo pagamento del debito: qualora il debitore-fiduciante soddisfacesse il creditore-fiduciario, quest’ultimo era tenuto a ritrasferire la proprietà del bene al primo.
Poiché presupposto della fiducia cum creditore è un credito che il fiduciario vanta verso il fiduciante, essa ha carattere accessorio: pertanto nel caso in cui l’obbligazione garantita si fosse rivelata insussistente o invalida, il fiduciante avrebbe potuto pretendere l’immediata restituzione della cosa, usufruendo, in caso di resistenza da parte del fiduciario, dell’actio fiduciae bonae fidei22.
È dato riscontrare forme di garanzia analoghe alla fiducia cum creditore anche nei diritti primitivi, dove si riscontra un contegno duro e sospettoso da parte dei creditori verso i debitori. A Roma la genesi e la diffusione di tale forma di garanzia possono spiegarsi anche considerando che il diritto romano arcaico non conosceva altri diritti reali all’infuori della proprietà e delle servitù23.
Prima del riconoscimento del pegno e dell’ipoteca, la fiducia cum creditore è tipico esempio di come il negozio fiduciario fosse utilizzato per soddisfare esigenze sociali non riconducibili agli schemi tipici legislativamente prefissati e, nello specifico, per sopperire alle carenze di un sistema di garanzie reali poco soddisfacente. Dopo il riconoscimento delle forme più miti e moderne di garanzia reale costituite da pegno ed ipoteca, si continuò comunque per tutta l’età classica a far ricorso alla fiducia cum creditore in quanto più vantaggiosa per il creditore, il quale diviene addirittura proprietario della cosa concessa in garanzia, non avendo così a temere né il concorso di altri creditori sulla cosa medesima, né che il debitore vanificasse la sua garanzia mediante alienazioni fraudolente.
In una prima fase il pactum fiduciae escludeva l’obbligo di restituzione della cosa fiduciata in caso di mancato pagamento del debito, integrando così una vera e propria lex commissoria: il fiduciario tratteneva la cosa avuta a fiducia a titolo di
22 XXXXX Xxxxx, Corso di diritto romano. La fiducia, cit., 68 s.
23 XXXXX Xxxxx, Corso di diritto romano. La fiducia, cit., 69 s.
soddisfacimento del credito. Ben presto nella prassi alla lex commissoria si affiancò il pactum vendendi, che nella tarda età classica divenne il regime normale: il creditore non soddisfatto poteva vendere e soddisfarsi sul solo ammontare del credito, dovendo restituire il superfluo.
Quale prova di tale mutamento possiamo addurre le Tavole Xxxxxxxxx, documenti della prassi relativi alla fiducia cum creditore e risalenti al I sec. d.C.: in essi manca qualsiasi riferimento alla lex commissoria. Quest’ultima era comunque praticabile dai privati, finché non fu vietata da Xxxxxxxxxx; se poi il fiduciario non riusciva a vendere la cosa poteva, mediante l’impetratio possessionis, chiedere ed ottenere dall’imperatore di trattenerla a titolo di soddisfacimento del credito.
Per quanto riguarda la fiducia cum amico, si tratta, secondo il Diurni, di una fiducia pura o altruistica, in contrapposizione alla fiducia cum creditore, impura o egoistica. Essa è infatti stipulata al fine precipuo di tutelare gli interessi patrimoniali del fiduciante e comporta a carico del fiduciario oneri superiori rispetto ai vantaggi, essendo gli “eventuali benefici, scaturenti dall’utilizzazione della cosa, marginali rispetto allo scopo principale delle parti”24.
Vari autori hanno visto nella fiducia cum amico un precedente e parallelo del deposito, in quanto utilizzata per mettere al sicuro e salvaguardare al meglio le proprie cose affidandole a terzi, ma in realtà la fiducia cum amico non può essere sic et simpliciter accostata al deposito, in quanto in essa si realizza il passaggio di proprietà della cosa25: ciò consentirebbe la difesa giuridica della proprietà, che lo stesso sintagma tutius esse reca in sé implicita, oltrepassando così lo scopo di mera custodia materiale proprio del deposito. Xxxxxx, nel commento ai Topica di Xxxxxxxx, allude alla fiducia cum amico quando parla di colui il quale “tempus dubium timens amico potentiori fundum mancipet ut ei, cum tempus quod suspectum erit praeterierit, reddat”, così evidenziando come essa potesse essere volta a scopi fiduciari diversi dal deposito, magari per mettere in salvo i propri beni da confische, da persecuzioni o dal pericolo di guerre civili.
Come la fiducia cum creditore realizza una garanzia più ampia del pegno e dell’ipoteca, così la fiducia cum amico realizza un fine più ampio del deposito.
Per quanto riguarda il comodato, la cui causa consiste nell’utilizzazione della cosa altrui a proprio vantaggio da parte del comodatario, si discute se la fiducia permettesse di attuare lo scopo economico di tale negozio: secondo alcuni autori26 non v’erano ostacoli a che il fiduciante consentisse al fiduciario di usare della cosa a proprio vantaggio.
Nondimeno dobbiamo ritenere che nella pratica fossero piuttosto rari, se non inesistenti, i casi di fiducia cum amico a scopo di comodato, dei quali non v’è traccia nelle fonti: in tal senso è significativo che Xxxx, trattando dell’usureceptio, abbia taciuto della fiducia a scopo di comodato, poiché in relazione a quest’ultima tale istituto avrebbe certamente potuto operare27. È inoltre evidente come allo scopo di concedere l’uso gratuito di una cosa sia di per sé sufficiente il contratto di comodato: un trasferimento di proprietà non avrebbe ragion d’essere, risultando antieconomico e gravido di rischi.
Xxxxxxx detto come il fenomeno fiduciario non si esaurisca nelle due manifestazioni della fiducia cum amico e della fiducia cum creditore, sottolineando il ruolo da esso ricoperto nell’ambito dei rapporti familiari e in quello delle successioni.
Quanto al primo, ricordiamo la coemptio fiduciaria, che la donna compieva testamenti faciendi gratia o allo scopo di cambiare tutore, e la tutela fiduciaria28, spettante a colui il quale, in veste di fiduciario, manometteva un individuo libero a lui mancipato, al fine di far conseguire a costui la condizione di persona alieni iuris.
Relativamente al diritto successorio, in un frammento del Digesto in materia di fedecommesso troviamo l’attributo fiduciarius riferito sia all’heres sia all’hereditas: l’erede fiduciario è un mero intermediario, il quale non potrà trattenere definitivamente la proprietà. Tale testimonianza, essendo isolata, non vale a dimostrare che il fedecommesso fosse riguardato dai Romani come un istituto fiduciario, ma è sufficiente a provare che esso fosse comunque un fenomeno fiduciario, in quanto animato dalla stretta rispondenza tra fides e fiducia29.
La fiducia rivestiva un ruolo importante anche ai fini della manomissione degli schiavi. Si parla a tal proposito di fiducia manumissionis causa, la quale consisteva in un’imaginaria emptio, cioè in un acquisto immaginario: il servo si faceva comprare da
26 XXXXXX Xxxxxxxx, Fiducia(diritto romano), cit., 386.
27 XXXXX Xxxxx, Corso di diritto romano. La fiducia, cit., 151 s.
un uomo libero, cui forniva il denaro necessario, per essere poi da lui manomesso. Un rescritto di Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxx dichiarò efficace tale accordo fiduciario intercorso tra schiavo e libero30.
È ragionevole che Xxxx non ricordi tali ulteriori manifestazioni del fenomeno fiduciario, in quanto in esse l’usureceptio non aveva ragione o possibilità di intervenire. Ciò è evidente. La fiducia, quando è utilizzata nell’ambito dei rapporti familiari o per manomettere uno schiavo, non riguarda le res, bensì le persone, cosicché viene a mancare l’oggetto stesso dell’usureceptio; mentre nel fedecommesso l’erede fiduciario diviene titolare dell’asse ereditario solo alla morte del testatore fiduciante: manca pertanto il soggetto attivo dell’usureceptio. Se comunque per esigenze sistematiche volessimo classificare tali applicazioni della fiducia alla luce della distinzione gaiana, dovremmo sussumerle nella categoria cum amico.
A conferma della vastità del fenomeno fiduciario possiamo addurre un altro argomento: nonostante il negozio fiduciario, qualora utilizzato nell’ambito dei rapporti patrimoniali, costituisca un contratto reale, Gaio, nella sistematica contrattuale delle Istituzioni, non inserisce la fiducia tra i contratti reali. Tale omissione, a nostro avviso, non può essere casuale: costituisce piuttosto chiaro indizio del fatto che lo stesso autore romano era consapevole della vastità del fenomeno fiduciario, il quale travalicava l’ambito dei rapporti patrimoniali e non poteva quindi esaurirsi nella bipartizione fiducia cum amico-fiducia cum creditore.
Ai fini della completezza della nostra indagine, dobbiamo infine ricordare che la fiducia poteva anche essere utilizzata per realizzare una donatio mortis causa, cioè una donazione destinata a risolversi in caso di premorienza del donatario al donante, ovvero una donazione attraverso interposta persona: in tale ultima ipotesi l’obbligazione assunta dal fiduciario non consisteva nella retrocessione della cosa, ma piuttosto nello spogliarsi di essa in favore di un terzo indicato dal fiduciante31. Anche tali applicazioni della fiducia, se volessimo classificarle alla luce della distinzione gaiana, dovrebbero essere considerate quali manifestazioni della fiducia cum amico.
La fiducia riceve per tutta l’età classica del diritto romano larga applicazione, tanto da essere regolata nell’editto pretorio e trattata nelle opere dei giureconsulti classici. In epoca postclassica, come detto sopra, la fiducia entra pian piano in
desuetudine: dagli inizi del V secolo in poi viene praticata nel solo Impero d’Occidente, non rilevandosi traccia di un suo utilizzo nell’Impero d’Oriente. Pertanto nella compilazione giustinianea, la quale si pone tra i suoi fini la certezza, completezza ed organicità del diritto, l’istituto della fiducia scompare.
Eppure è vero anche il contrario, cioè che nella compilazione giustinianea la fiducia ebbe una sua parte. Infatti la commissione giustinianea, servendosi delle opere dei giureconsulti classici per la redazione del Digesto, si avvalse anche di testi riguardanti la fiducia, sostituendo però a tale parola il sintagma depositum vel commodatum o il termine pignus.
Tale interpolazione rispondeva a ragioni di pratica legislativa: i frammenti attinenti alla fiducia ben potevano essere utilizzati quale regolamento dei contratti di deposito, comodato e pegno, in quanto sia la prima, qualora utilizzata nell’ambito dei rapporti patrimoniali, che i secondi erano contratti reali32. Tale modus operandi dei compilatori giustinianei non assume quindi rilievo ai fini di ricostruire la storia e l’evoluzione del diritto romano e non vale tra l’altro a dimostrare che la fiducia fosse realmente utilizzata a scopo di comodato33, pur se è innegabile che essa ha storicamente preceduto i contratti di pegno, deposito e comodato, perseguendo, perlomeno relativamente ai primi due e con tutti i limiti visti sopra, le finalità pratiche in vista delle quali questi furono poi creati34.
32 XXXXX Xxxxx, Corso di diritto romano. La fiducia, cit., 152 s.
1. 2. La fiducia nel diritto germanico
Al fine di completare sotto il profilo storico la nostra indagine, passiamo ora ad esaminare le manifestazioni del fenomeno fiduciario tipiche del diritto germanico, ovverosia degli ordinamenti giuridici, tra loro molto simili sebbene distinti, propri di quei popoli che si stabilirono in Europa dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente.
Solitamente si afferma la continuità del diritto di tali popoli con il diritto romano-giustinianeo, alla luce del fatto che nelle fonti normative e negoziali rinvenute in Europa e risalenti all’epoca intermedia si riscontrano termini e formule provenienti dal diritto romano-giustinianeo o comunque ad esso riferibili. Tale continuità riguarderebbe anche il fenomeno fiduciario, ricorrendo infatti frequentemente nelle fonti medioevali il termine fiducia35.
Ma la tesi della persistenza nel mondo germanico della fiducia romana, precipitosamente dedotta dal summenzionato dato letterale e priva di qualsiasi fondamento storico, deve essere rigettata36. In senso più ampio si deve escludere qualsiasi rapporto di filiazione tra fiducia romana e fiducia germanica: a conferma di quest’ultimo assunto, alcuni autori37 hanno evidenziato che l’assenza nella compilazione giustinianea di una disciplina dedicata all’istituto della fiducia costituirebbe una condizione ostativa alla rielaborazione dello stesso istituto ad opera dei giuristi medioevali.
Pertanto, seppur le carte medioevali e le leggi dei diversi ordinamenti germanici utilizzino frequentemente la terminologia romana, in realtà quest’ultima non si riferisce necessariamente ad istituti riconducibili alla tradizione giuridica romana, bensì sottintende quasi sempre istituti appartenenti ad una diversa tradizione giuridica38.
Ciò comunque non toglie che nell’universo giuridico germanico sia dato riscontrare, come emergerà dall’esame delle fonti medioevali, istituti fiduciari i quali presentano similitudini più o meno marcate con la fiducia romana. Tale somiglianza non è dovuta però ad una presunta circolazione dei modelli, ma deve spiegarsi considerando
35 DIURNI Xxxxxxxx, voce Fiducia e negozio fiduciario (storia) in Digesto delle discipline privatistiche sezione civile, UTET, Torino, 1992, 292.
36 XXXXXXX Xxxxxxxx, I negozi fiduciari. Introduzione e parte generale, Città di Castello, 1910, 181.
37 XXXXXXXX Xxxxx, Lineamenti storico-dogmatici della fiducia cum creditore in La garanzia nella prospettiva storico-comparatistica a cura di Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2003, 260.
che il fenomeno fiduciario, sebbene si configuri variamente a seconda della tradizione e dei principi fondamentali dell’ordinamento che lo recepisce, conserva pur sempre caratteri universali e quindi immodificabili.
Riteniamo dunque, non diversamente da quanto rilevato con riguardo al diritto romano, che la fiducia si atteggi negli ordinamenti germanici quale fenomeno autonomo e indipendente, non derivato o recepito da altri ordinamenti, prodotto spontaneamente dai privati al fine di ovviare alle lacune dell’ordinamento giuridico, cioè di soddisfare nuove esigenze rispetto alle quali gli schemi negoziali tipici si sono rivelati inadeguati, o al fine di aggirare le rigide forme previste per il compimento di un determinato negozio.
Assumendo a principio della nostra analisi le fonti del diritto longobardo, nel capitolo 174 dell’editto di Rotari la fiducia, esplicitamente menzionata, viene richiamata in relazione ad un’obbligazione da eseguire o da ricevere, mentre il capitolo 58 di Xxxxxxxxxx fa riferimento ad una non meglio definita infiduciatio. Esiste dunque nel diritto longobardo un istituto noto con il nome di infiduciatio, avente funzione fiduciaria, diffuso nella prassi e regolato dalla consuetudine: indi per cui la legge scritta si limitava a richiamarlo in via incidentale39.
Tale istituto costituisce una forma particolare di pegno, in quanto realizza, a fini di garanzia, la trasmissione in favore del creditore del possesso di un bene immobile appartenente al debitore. Pertanto l’infiduciatio, sebbene consista in un atto dispositivo di un bene, non coincide con la vendita.
Eppure larga parte della dottrina40 ha riscontrato una certa analogia tra la romana fiducia cum creditore xxxxxxxx iure, che si traduce in una vendita con patto di retrovendita, e la longobarda infiduciatio, riguardata come una vendita sottoposta alla condizione risolutiva del soddisfacimento del credito. In aderenza a tale ultima definizione, si dovrebbe ritenere che il debitore sia titolare di una mera aspettativa al riacquisto del bene, suscettibile di essere frustrata ogniqualvolta il creditore, pieno proprietario, dispone del bene in favore di terzi.
L’indebito accostamento tra i due istituti trae forse origine dalla circostanza che per la redazione delle chartae infiduciationis erano utilizzati formulari di area romana41.
39 DIURNI Xxxxxxxx, voce Fiducia e negozio fiduciario (storia), cit., 292.
40 SCHULTZE, Die langobardische Treuhand und ihre Umbildung zur Testamentsvollstreckung, Breslau, 1895, 104.
41 XXXXXX, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 293.
Dal canto nostro possiamo far notare come l’infiduciatio non importi mai una traslazione della proprietà, ma realizzi al più un pegno commissorio ogniqualvolta venga stabilito che il bene passi in proprietà del creditore in caso di mancato pagamento del debito. In tale prospettiva il creditore, in quanto mero possessore, non ha alcun potere di disposizione sui beni affiduciati e quindi qualunque suo atto dispositivo sarà privo di efficacia, ben diversamente da quanto avviene nella romana fiducia cum creditore42.
Pertanto nella fattispecie longobarda il termine fiducia assolve un ruolo meramente formale, a fronte di una disciplina sostanziale concretamente riferibile al pegno43; in altre parole44, l’uso dell’antico termine fiducia per indicare il pegno è solamente un residuo formale. Del resto le stesse chartae infiduciationis possono confermare la nostra tesi, in quanto non offrono alcun elemento per ritenere che all’infiduciatio corrispondano i contenuti della fiducia romana: esse infatti si riferiscono di norma alla disciplina longobarda del pegno e svolgono la funzione precipua di certificare gli obblighi di garanzia contratti dal debitore a salvaguardia delle ragioni patrimoniali del creditore45.
In definitiva l’infiduciatio longobarda è ben più vicina al pegno di quanto lo sia alla fiducia cum creditore46.
Quanto agli altri caratteri specifici dell’infiduciatio, ricordiamo il requisito della forma scritta ad substantiam e la possibilità per il creditore di percepire i frutti del bene di cui ha conseguito la materiale disponibilità.
Sempre nell’ordinamento longobardo è dato rinvenire un istituto che, seppur non coincidente con la romana fiducia cum creditore, può più verosimilmente dell’infiduciatio essere accostato ad essa. Tale istituto, corrispondente ad una vendita con scopo di garanzia, è attestato dalla formula 9 del Cartularium longobardo, la quale riproduce un modello di carta intitolata traditio promissionis pro debito47.
Lo schema negoziale in essa documentato trova il suo perno nel meccanismo, ignoto al diritto romano, della traditio chartae, in virtù del quale il debitore,
00 XXXXXXX Xxxxx, Xx negozio fiduciario, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2002, 24.
43 XXXXXX, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 292.
00 XXXXXX Xxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx del diritto italiano. Il diritto privato, II. Diritti reali e di successione, Xxxxxxx, Milano, 1960, 177 ss.
45 DIURNI Xxxxxxxx, Fiducia. Tecniche e principi negoziali nell’Alto Medioevo, Giappichelli, Torino, 1992, 127 ss.
46 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 180 s.
47 DIURNI, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 293.
consegnando al creditore la charta venditionis, gli conferisce per ciò stesso la piena proprietà della cosa. Così, in corrispondenza all’adempimento dell’obbligazione, la charta venditionis viene capsata et taliata, cioè distrutta, e conseguentemente la proprietà del creditore cessa di esistere.
Comunque non possiamo qualificare tale operazione quale vendita con patto di riscatto, bensì solo come vendita con patto di retrovendita48, in quanto la restituzione e conseguente distruzione della charta venditionis non è effetto automatico dell’adempimento, bensì oggetto di una promessa xxxxxxx00 e dunque di un rapporto obbligatorio. Nell’ambito di tale istituto viene pertanto a realizzarsi, in analogia alla romana fiducia cum creditore, una vendita perfetta, esente dalla condizione sospensiva caratterizzante il pegno commissorio, tanto che viene predisposta in favore del debitore la tutela risarcitoria avverso il creditore, il quale, una volta soddisfatto, non gli ritrasferisca il bene50.
Lo stesso meccanismo della traditio chartae regola un altro istituto fiduciario, molto diffuso tra il IX e l’XI secolo, tanto da essere attestato dalle formule 10 e 11 del Cartolario Longobardo.
In tale fattispecie un soggetto trasferiva, per mezzo di una charta venditionis, la proprietà dei suoi beni ad un intermediario, al quale contestualmente indicava, in un’apposita charta ordinationis, le operazioni da compiere in ordine a quei beni e i soggetti ai quali ritrasferirli. Alla charta venditionis non era apposta condizione alcuna e quindi essa era idonea a trasmettere all’intermediario la piena proprietà della cosa; però, immediatamente dopo l’acquisto, l’intermediario ritrasferiva la cosa in favore dei soggetti indicati, spesso costituendo in favore del donante un usufrutto su di essa51.
Tale istituto consentiva di effettuare, allo scopo di aggirare i limiti di disposizione stabiliti a favore degli eredi legittimi dal diritto successorio longobardo, donazioni sotto forma di vendita52.
L’esecuzione della volontà del disponente era rimessa esclusivamente alla fides del compratore, pieno proprietario, essendo assente qualsivoglia tutela legale. Tale istituto può dunque essere qualificato come fiduciario nel senso più autentico del
48 DIURNI, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 293.
49 XXXXX Xxxxxxx, voce Fiducia e fiduciario in Enciclopedia Forense, Casa Editrice Dr. Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Milano, 1958, 754.
50 DIURNI, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 293.
51 XXXXXXX Xxxxxxxx, I negozi fiduciari, cit., 187; XXXXXXX, Il negozio fiduciario, cit., 25.
52 XXXXXXX Xxxxxxxx, I negozi fiduciari, cit., 187-188.
termine, in quanto si fonda esclusivamente sull’affidamento riposto nella fides, cioè nella fedeltà e nell’onestà, dell’intermediario.
Proprio l’assenza di una qualsivoglia tutela legale induceva il disponente a scegliere l’intermediario tra persone che maggiormente ispiravano fiducia, quali i chierici. Il carattere meramente fiduciario della disposizione e la qualifica ecclesiastica dell’acquirente-intermediario davano poi adeguata ragione della destinazione dei beni a scopi pii e caritatevoli53.
Occorre comunque tener conto della divergente opinione di un autorevole autore54, il quale, facendo leva sulla circostanza che la donazione al destinatario definitivo era eseguita nello stesso giorno in cui il fiduciario acquistava la proprietà dei beni, ha ricondotto tale istituto, negandogli natura fiduciaria, nell’alveo della simulazione relativa, per cui si avrebbe come simulata una vendita, alla quale si accompagna un’interposizione anch’essa apparente, e come dissimulata una donazione.
Dobbiamo ora considerare il manufidelis, figura tipica del diritto longobardo e nota anche con i termini erogator, dispensator o distributor, la quale rappresenta l’antecedente storico dell’esecutore testamentario55.
A tale figura le fonti del diritto longobardo si riferiscono con la locuzione in manum ponere o per manum tradere56: al manusfidelis viene infatti trasmessa la piena proprietà dei beni, seppur con l’intesa fiduciaria di utilizzarli per uno scopo ben determinato.
Così il manusfidelis può essere pienamente equiparato al fiduciario romano. Più specificamente la figura del manusfidelis presenta caratteri analoghi all’heres fiduciarius del fedecommesso romano, tanto che nelle fonti medioevali ricorre il termine fideicommissarius per indicare l’esecutore testamentario e il termine fideicommissum per indicare il titolo in virtù del quale l’esecutore testamentario agisce57.
Su tale base terminologica, secondo un criterio deduttivo dapprima criticato, parte della dottrina ha indebitamente sostenuto l’esistenza di un legame di derivazione del manusfidelis longobardo dal fideicommissarius romano.
53 XXXXXXX, Il negozio fiduciario, cit., 25.
54 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 189.
55 XXXXXXX, Il negozio fiduciario, cit., 26.
56 DIURNI, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 295.
57 XXXXXXX, Il negozio fiduciario, cit., 26, nota 15.
Al manusfidelis si ricorreva precipuamente nelle vicende mortis causa: costui infatti interveniva dopo la morte del dominus al fine di adempiere una serie di obblighi. Il manusfidelis appare intorno all’VIII secolo, quale figura di diritto consuetudinario avente la funzione quasi esclusiva di eseguire donationes pro anima, cioè atti dispositivi di carattere gratuito a scopo caritatevole; solo verso il XII secolo, parallelamente alla rinascita del testamento in senso romano, quale atto unilaterale e revocabile, il manusfidelis verrà deputato anche all’esecuzione di atti aventi carattere lato sensu profano e, in virtù della sua crescente rilevanza sociale, sarà disciplinato legislativamente al fine di apprestare adeguati mezzi di tutela delle ragioni dei beneficiari58.
A conferma della nostra ricostruzione, possiamo rilevare che, a fronte di un gran numero di documenti comprovanti che l’esecuzione delle disposizioni testamentarie fosse rimessa alla bona voluntas del manusfidelis, disponiamo di pochissimi documenti attestanti che costui fosse giudizialmente costretto ad adempiere59.
La figura del manusfidelis non è però esclusiva del diritto longobardo, in quanto è dato rinvenirla, sebbene sotto una diversa nomenclatura, negli altri ordinamenti germanici, ove infatti si parla di Xxxxxxx o Treuhander e, corrispondentemente, dell’istituto della Treuhand.
Il Salmann, sebbene sia un istituto germanico, viene recepito anche dalle popolazioni barbariche stanziate nelle regioni settentrionali d’ Italia: qui troverà però un’applicazione limitata nel tempo, in quanto sarà soppiantato dalla più agile figura del fedecommissario60.
Peculiarità del Treuhander è il suo ampio ambito applicativo, involgente anche le vicende inter vivos, probabilmente giustificato dalla mancanza nel diritto germanico, per un lungo periodo di tempo, dell’istituto della rappresentanza61. Così la dottrina ha qualificato il Treuhander come figura generale di intermediario nella trasmissione di un diritto dal dante causa all’avente causa. Come il manusfidelis, anche il Treuhander riceve dal fiduciante la piena disponibilità giuridica e materiale della cosa, assumendo contestualmente l’obbligo di realizzare la volontà di costui.
58 XXXXXXX, Il negozio fiduciario, cit., 26.
59 XXXXXXXXX Xxxxxxx, Disposizioni di ultima volontà fiduciarie nel diritto germanico, canonico e comune, Athenaeum, Roma, 1917, 163 s.
60 XXXXXX Xxxxx, L’influsso del diritto romano-giustinianeo nelle formule e nella prassi in Italia, Milano, Xxxxxxx, 1974, 75.
00 XXXXXX Xxxx Xxxxxxxx, Xx diritto privato preirneriano, Zanichelli, Bologna, 1933, 311 ss.
Nel corso del tempo si affiancherà a tale modello paradigmatico un’altra figura di Xxxxxxxxxx, il quale, pur essendo investito nel suo ruolo dal fiduciante, riceve i poteri di disposizione sul bene dal soggetto che ne è titolare62: in altre parole il fiduciante incarica il fiduciario di diventare titolare di un certo bene al fine di ritrasferirglielo.
Quanto alle concrete finalità perseguite attraverso il Salmann o Treuhander, ad esso si ricorreva per beneficiare enti religiosi, per conservare e gestire il patrimonio del disponente qualora questi si fosse assentato per lunghi periodi, per tutelare quei soggetti ai quali era per legge precluso l’acquisto di beni immobili63, per compiere un atto di liberalità, altrimenti impossibile, a favore di un terzo soggetto non appartenente alla cerchia familiare64.
Alla luce dell’esame di tutte queste consimili figure di intermediari-proprietari fiduciari, quali il Xxxxxxx, il Treuhander e il manusfidelis, possiamo concludere che, pur essendo insussistente qualsiasi nesso di derivazione o filiazione, i popoli germanici praticavano anche la fiducia romana, nella misura in cui il disponente attribuiva al fiduciario non la mera legittimazione a disporre, bensì la piena disponibilità giuridica e di fatto dei beni da ritrasferire ai beneficiari. Quale avallo della nostra conclusione, le carte notarili italiane dei secoli IX-XI definiscono gli atti di trasmissione dai fiduciari ai beneficiari come donationes65.
È invece attributivo della sola legittimazione a disporre l’istituto della commendatio, in virtù del quale il disponente affida la propria eredità ad un fiduciario, detto dispensator, il quale provvederà, con atti solo formalmente autonomi, alla distribuzione del patrimonio tra i beneficiari. Nella commendatio, praticata nelle regioni dell’Italia settentrionale, confluiscono aspetti del romano fedecommesso e della germanica Treuhand, come attestato dalla ricorrenza nelle fonti del termine fideicommissarius o fidecommissarius per indicare l’erede fiduciario e della locuzione in manum committere, nella quale la germanica manus sostituisce la romanistica fides, per richiamare più generalmente tale istituto.
Peculiarità della commendatio risiede nel fatto che i dispensatores sono esenti dalla responsabilità per le garanzie normalmente connesse con gli atti di alienazione compiuti in esecuzione della volontà del disponente: ciò si desume dalla circostanza che
62 XXXXXX, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 295.
63 XXXXXXX, Il negozio fiduciario, cit., 28.
64 DIURNI, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 295.
65 XXXXXXXXX Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx fiduciario,fiducia,disposizioni transmorte, cit., 893.
gli atti provenienti dai fiduciari recano la clausola “sine defensione et absque restauratione”66.
Comunque, in tale sede e ai fini dei nostri studi, interessa rilevare come la commendatio sia inidonea a costituire un diritto di garanzia o di godimento sul bene, ma valga semplicemente a conferire al fiduciario la legittimazione a disporre dei beni, subordinata al rispetto delle disposizioni fiduciarie impartite. Si può parlare di un diritto del fiduciario su cosa altrui solo ove il profilo strutturale della proprietà formale venga messo in secondo piano rispetto al profilo funzionale per cui la realizzazione dell’interesse del disponente è vincolata all’autonomia negoziale del fiduciario67.
Dobbiamo ora considerare l’affatomia, istituto di diritto franco regolato dalla Lex Salica, in virtù del quale chi non aveva figli o eredi legittimi poteva sceglierne uno per adozione. In pratica il de cuius trasferiva l’intero suo patrimonio ad un Salmann, con l’intesa fiduciaria che costui lo avrebbe ritrasferito a un determinato destinatario. Possiamo dunque notare come tale istituto sia in larga parte coincidente con l’adoptio in hereditatem del diritto romano.
L’affatomia si articolava in tre fasi, tutte caratterizzate da forme rigide e solenni. Dapprima il disponente, avvalendosi di una festuca, trasferiva la proprietà dei suoi beni al Salmann, contestualmente indicandogli il destinatario ultimo in favore del quale ritrasferirli. In secondo luogo il Xxxxxxx si insediava nell’abitazione del disponente, al fine di manifestare ai terzi la volontà di acquistare la Gewere68 sui beni trasferitigli da costui. Infine il Xxxxxxx ritrasferiva tali beni al beneficiario, sempre per mezzo della festuca69.
Dobbiamo infine considerare la fides facta, istituto fiduciario regolato anch’esso, come l’affatomia, dalla Lex Salica. La fides facta assolve a fini di garanzia e si
66 XXXXXX Xxxxx, L’influsso del diritto romano giustinianeo, cit., 73-74.
67 XXXXXX, L’influsso del diritto romano giustinianeo, cit., 97-98, il quale testimonia come la commendatio fosse praticata anche in ambito ecclesiastico: il pellegrino in partenza affidava ad una chiesa, come garanzia della somma di danaro ricevuta per il pellegrinaggio, dei beni, verosimilmente di valore superiore al valore della somma mutuatagli. I beni sarebbero tornati al pellegrino in caso di ritorno e di restituzione del mutuo, altrimenti la chiesa li avrebbe lucrati a titolo di donatio pro remedio animae. 68 Per Gewere si intende il rapporto esteriore e materiale con la cosa, riconosciuto dall’ordinamento giuridico come manifestazione di un diritto di signoria sulla stessa (v. XXXXXX Xxxxx, Gli acquisti a non domino, Xxxxxxx, Milano, 2009, 79).
69 AMBROSINI, Disposizioni di ultima volontà fiduciarie nel diritto germanico, canonico e comune, cit., 122 ss.
perfeziona mediante forme solenni e precisamente con l’utilizzo della festuca e con la pronuncia di battute predeterminate, quali “fidei tuae erit? – fidei meae erit”70.
Alla luce di tale analisi sistematica, possiamo concludere che il fenomeno fiduciario nel mondo germanico medioevale si articola lungo due direttrici fondamentali, cioè la garanzia e la solidarietà71, in sostanza corrispondenti rispettivamente alla fiducia cum creditore e alla fiducia cum amico del mondo romano, e che non è dato riscontrare nel diritto germanico un negozio fiduciario generalmente inteso, ma soltanto istituti fiduciari tipici72.
70 DIURNI, Xxxxxxx e negozio fiduciario (storia), cit., 293.
71 DIURNI, Fiducia e negozio fiduciario (storia), cit., 293; XXXXXXXX Xxxxxxxx, Leggendo un libro sulle fiducie in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, vol. I, 1995, 691.
72 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 178, nota 1.
1. 3. La fiducia secondo la dottrina moderna
Alla luce delle considerazioni precedentemente svolte, possiamo ricostruire la fiducia romanistica quale negozio unitario, per via del ruolo secondario svolto dall’accessorio pactum fiduciae, propriamente detto pactum conventum. Eppure tale impostazione, aderente alla realtà negoziale dell’antica Roma, fu inficiata, verso la fine del XIX secolo, dalle ricostruzioni degli esponenti della Pandettistica tedesca, che progressivamente ripensarono, in termini diversi, l’unitarietà del negozio fiduciario.
Per primo Bocking73sostenne che l’obbligo della remancipazione scaturisce non dal negozio ad effetti reali, bensì dal patto fiduciario, aprendo così il varco ad una concezione dualistica del negozio fiduciario. Xxxxxxxx00 sviluppò infatti tale tesi, concependo esplicitamente la fiducia quale negozio duplice, costituito da due momenti entrambi essenziali alla realizzazione dell’assetto di interessi voluto dalle parti: l’atto di alienazione e il patto fiduciario.
Tale concezione dualistica propiziò la teorizzazione del Regelsberger, il quale, partendo dal raffronto tra tali due momenti essenziali, elaborò una definizione onnicomprensiva dei negozi fiduciari (fiduziarische Geschaefte), ravvisandone la caratteristica fondamentale nel “Missverhaeltnis zwischen Zweck und Mittel”, cioè nella sproporzione o inomogeneità del mezzo giuridico impiegato rispetto allo scopo pratico perseguito dalle parti. Xxxxxxxxxxxx00 sostiene che nel caso del negozio fiduciario le parti si servono di un mezzo giuridico che offre di più di quello che è necessario per il raggiungimento dello scopo pratico avuto di mira: in sostanza nella fiducia viene prescelta per il conseguimento di un certo risultato (Erfolg) una forma giuridica (Rechtsform) che assicura più di quanto occorre per il conseguimento di quel risultato. Egli configura quindi tale sproporzione in termini quantitativi, quale eccedenza.
Si distacca da tale impostazione, che ben presto diviene dominante, Xxxxxxx xxx Xxxxxxx00, massimo rappresentante della giurisprudenza degli interessi, corrente contrapposta alla Pandettistica: egli ammette che la mancipatio, l’in iure cessio e anche
73 XXXXXXX, Institutionen des romischen Civilrechts, Bonn, 1862, 112 s.
74 XXXXXXXX, Das Pfandrecht nach den Grundsatzen des heutigen romischen Rechts, I, Leipzig, 1860, 24 s.
75 REGELSBERGER, Zwei Beitrage zur Lehre von der Cession in Archiv fur die civilistiche Praxis, 1880, 173.
76 XXXXXXX, Xxxxx des romischen Rechts auf den verschiedenen Stufen seiner Entwicklung, II, Leipzig, 1906, 530.
la coemptio possano essere effettuate fiduciae causa, presupponendo così l’unitarietà del negozio fiduciario. Ma la sua è una voce isolata.
È chiaro come le tesi del Xxxxxxx e del Dernburg siano prodromiche alla teorizzazione del Regelsberger: scindere il negozio fiduciario in due momenti, l’uno ad effetti reali e l’altro ad effetti obbligatori, implica, per necessità di coerenza e di completezza dogmatica, un’indagine approfondita sul nesso intercorrente tra tali due momenti, dalla quale Regelsberger ha ricavato il concetto generale di eccedenza del mezzo giuridico impiegato, cioè generalmente dell’atto di alienazione, sullo scopo avuto di mira dalle parti, espresso nel negozio obbligatorio.
La civilistica italiana seguirà lo stesso percorso logico, ma all’inverso: partendo dal concetto di inomogeneità del mezzo rispetto allo scopo enucleerà la distinzione tra lato reale e lato obbligatorio del negozio fiduciario.
Fanno da eco a Regelsberger il Crome77 e il Kohler78. Il primo fa notare come nel negozio fiduciario sia conferita fin da principio all’accipiente una posizione che travalica l’intenzione del fiduciante. Il secondo traduce l’inomogeneità tra mezzo e scopo di Regelsberger in incongruenza tra lato giuridico e lato economico del negozio: le parti vogliono realizzare per mezzo del negozio fiduciario scopi economici incongrui con le conseguenze del negozio stesso.
A completamento della tesi del Regelsberger, von Xxxx00 pose le basi di quella che sarà la seconda caratteristica comunemente attribuita ai negozi fiduciari: ovverosia la potestà di abuso, dipendente o comunque strettamente connessa all’eccedenza del mezzo sullo scopo. Egli sostiene che la posizione del fiduciario oltrepassa lo scopo economico del negozio, in quanto il potere giuridico trasmessogli è più ampio del dovere giuridico impostogli. Corollario di tale assunto è che il fiduciario è in grado di abusare della sua posizione, utilizzandola per perseguire finalità diverse da quelle concordate con il fiduciante.
I civilisti italiani recepirono, talvolta acriticamente, talaltra variamente reinterpretandolo, il concetto di sproporzione del mezzo sullo scopo.
77 CROME, System des deutschen burgerlichen Rechts, vol. I, 1900, 76.
78 XXXXXX, Studien uber Mentalreservation und Simulation, in Jherings Jahrbucher fur die Dogmatik des burgerlichen Rechts, vol. XVI, 1878, 141.
79 VON XXXX, Der allgemeine Theil des deutschen burgerlichen Rechts, II, Leipzig, 1910, 185 ss.
Per primo Ferrara80 si occupò del negozio fiduciario, concependolo come fattispecie complessa, risultante dalla combinazione di due negozi i quali si pongono in reciproca antitesi alla stessa stregua di due cariche opposte, l’una positiva e l’altra negativa. Il suddetto autore designa infatti come positivo il contratto ad effetti reali, consistente nel trasferimento perfetto ed irrevocabile della titolarità di un diritto, e negativo il contratto obbligatorio, autonoma fonte dell’obbligazione fiduciaria di fare un determinato uso del diritto acquistato per poi restituirlo al fiduciante o trasferirlo a terzi. La sola connessione tra di essi sarebbe data dalla circostanza che il negozio obbligatorio esercita una costrizione a non abusare dell’efficacia reale dell’atto di alienazione. Infatti in forza del primo il fiduciante si garantisce un’influenza sul diritto trasmesso, vincolando l’accipiente-fiduciario ad usarne solo allo scopo ristretto voluto
dalle parti.
Però tale vincolo non è capace di intaccare l’efficacia reale del trasferimento e quindi di indebolire la posizione del fiduciario, il quale risulta legittimo proprietario del bene fiduciato sia dinanzi a terzi che di fronte al fiduciante stesso, in virtù dell’atto di alienazione di per sé sempre produttivo di effetti erga omnes. Pertanto il negozio obbligatorio, essendo al contrario produttivo di effetti relativi, vincolanti esclusivamente le parti, è capace di esercitare un’influenza solo indiretta sulla traslazione della proprietà, cercando di porvi rimedio mediante l’obbligo personale gravante sul fiduciario; in altre parole l’efficacia obbligatoria che scaturisce dal patto fiduciario esercita un “condizionamento riduttivo”81sull’efficacia reale del negozio traslativo.
In ultima analisi lo scopo per cui il negozio fiduciario si compie non limita giuridicamente la traslazione, in quanto esso si esprime soltanto nel rapporto obbligatorio. Ne deriva che l’accipiente-fiduciario, titolare del diritto erga omnes, può farne l’uso che crede e che quando lo scopo economico avuto di mira dalle parti è adempiuto la proprietà o il credito non ritorna automaticamente, ipso iure, al fiduciante, il quale può solo costringere il fiduciario alla retrocessione, eventualmente agendo in giudizio.
Se l’accipiente-fiduciario utilizza la cosa o ne dispone in contrasto con lo scopo economico avuto di mira dalle parti abusa certamente della posizione di fiduciario,
80 XXXXXXX Xxxxxxxxx, I negozi fiduciari in Studi in onore di X. Xxxxxxxx, xxx. XX, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 746 s., 750, 754 ss.
81 XXXXXXXXX Xxxxxxxx, Fiducia e fiducie nel diritto privato in Rivista di diritto commerciale, vol. I, 1983, 139.
violando quindi il pactum fiduciae, ma esercita comunque legittimamente il diritto. Resta pertanto ferma l’alienazione della cosa che il fiduciario effettua a terzi, anche se costoro sappiano della sua qualità; in tal caso egli sarà responsabile di risarcimento: questa è l’unica difesa del fiduciante, che non dispone di rimedi reali per il caso in cui il fiduciario tradisca la sua aspettativa.
Coerentemente a tale ricostruzione, l’essenza del negozio fiduciario consisterebbe nella “contraddizione”82 o sproporzione tra mezzo e scopo: il negozio fiduciario “va oltre lo scopo delle parti, supera l’intento pratico”83, in tal modo prestando conseguenze giuridiche pletoriche rispetto a quelle necessarie per raggiungere quel determinato risultato, determinando un effetto giuridico più ampio per conseguire uno scopo economico più ristretto; sono tipici esempi la vendita a scopo di garanzia e la cessione di credito a scopo di esazione.
Le parti, al fine di raggiungere il loro intento, si affidano ad un mezzo giuridico pericoloso e gravido di rischi, consistenti nella possibilità che il fiduciario abusi della sua posizione, volgendola a proprio profitto o comunque contro l’interesse del fiduciante: in tale prospettiva gioca un ruolo centrale la fiducia riposta dal fiduciante nell’onorabilità e nell’impegno del fiduciario.
Poiché nel negozio fiduciario il trasferimento della proprietà è legato ad un determinato impiego che deve farsi dei beni trasmessi, il fiduciario, pur avendo veste giuridica di pieno titolare del diritto, deve fungere, secondo l’intento economico delle parti, da mandatario o da organo di trasmissione dei beni ricevuti, in ultima analisi da mero esecutore. Tale discrasia, riguardante il ruolo del fiduciario, è chiaro indice dell’incongruenza tra natura giuridica e funzione economica del negozio.
Il concetto di sproporzione tra mezzo e scopo verrà poi consacrato quale tratto peculiare del negozio fiduciario dalla dottrina successiva, secondo la quale soltanto l’affidamento risposto dall’alienante-fiduciante nell’accipiente-fiduciario vale a correggere tale disomogeneità84.
Tale orientamento interpretativo ha dunque configurato la sproporzione tra mezzo e scopo come eccedenza: tra tali due termini si ravvisa una differenza quantitativa in termini di estensione.
82 FERRARA, I negozi fiduciari, cit., 747.
83 FERRARA, I negozi fiduciari, cit., 747.
84 XXXXXXX Xxxxxxxx, Negozi fiduciari. Introduzione e parte prima, 1910, 1.
Vari autori hanno nondimeno profilato tale sproporzione in termini di differenza, seppur sempre quantitativa, di intensità, anziché di estensione. Xxxxxxx sostengono infatti che nel negozio fiduciario viene attribuita all’accipiente-fiduciario una posizione giuridica più forte per raggiungere uno scopo più debole85, in quanto le parti si avvalgono di una forma giuridica più forte di quella che avrebbero potuto scegliere per il conseguimento di quello scopo.
Altri autori86, nel ricostruire il negozio fiduciario, hanno frammisto alla sproporzione quantitativa la disomogeneità qualitativa, descrivendo il lato reale del negozio come produttivo di effetti non solo “esuberanti”, ma anche “diversi”. In tale prospettiva il patto fiduciario non esercita una mera influenza elidente ed indiretta, ma svolge una più ampia funzione equilibratrice rispetto al lato reale del negozio, riguardato come troppo esteso, secondo un criterio quantitativo, e troppo generico, secondo un criterio qualitativo.
Infine secondo un’altra impostazione87 tale sproporzione si configurerebbe, relativamente all’ambito della fiducia cum amico, in termini qualitativi, rimanendo invece fermo il criterio della sproporzione quantitativa esclusivamente per i casi di fiducia cum creditore. La fiducia cum amico sarebbe caratterizzata soltanto da una disomogeneità qualitativa, nel senso che le parti vogliono uno scopo diverso da quelli che sono i fini del negozio di cui si servono.
È però evidente che nel negozio fiduciario le parti perseguono un intento pratico diverso da quello tipico contenuto nel negozio traslativo adottato: se non vi fosse alcuna differenza tra quegli intenti, il negozio sarebbe tipico e non fiduciario. Non vediamo perciò come tale caratteristica possa assurgere a segno distintivo del negozio fiduciario, essendo essa comune anche alla categoria dei negozi indiretti. Ci pare inoltre arbitrario tradurre l’indubbia diversità degli intenti, pratico e tipico, nella disomogeneità qualitativa tra mezzo e scopo, e inoltre, anche se deponessimo per la veridicità di una tale induzione, dovremmo, in virtù della proprietà transitiva, estendere tale carattere anche ai negozi indiretti, così perdendo nuovamente di vista lo specifico dei negozi fiduciari.
85 XXXXXXX Xxxxxxxxx xx., La girata della cambiale, SEFI, Roma, 1935, 509.
86 XXXXXXXXXXXXX Xxxx, Il “trust” nel diritto anglosassone, CEDAM, Padova, 1935, 16, 18.
87 XXXXXXXXXX Xxxxxxxx, Appunti sulla natura giuridica del negozio fiduciario e sugli elementi che lo differenziano dalla simulazione, in Giurisprudenza completa della Corte Cassazione - Sez. civili, vol. I, 1946, 187.
Quanto alle altre ricostruzioni dottrinali sopra esposte, possiamo innanzitutto rilevare come il concetto di sproporzione o disomogeneità formulato da Regelsberger sia ambiguo, e così pure il termine eccedenza, atto ad esprimere l’idea di un rapporto quantitativo intercorrente tra il mezzo e lo scopo, o meglio, data l’eterogeneità dei termini, tra il mezzo adoperato e quello che di norma si sarebbe dovuto adoperare per il conseguimento dello scopo prefisso, pone altre difficoltà: come misurare l’estensione dei vari mezzi giuridici e in che modo operare un raffronto tra di essi sotto tale profilo? Quindi anche il concetto dell’eccedenza, il di più del mezzo rispetto al fine rimane oscuro.
È possibile svolgere analoga considerazione relativamente alla tesi di coloro che hanno qualificato la differenza quantitativa tra mezzo e scopo in termini di intensità, anziché di estensione: non è chiaro in base a quale criterio si possa determinare il grado di forza di una posizione giuridica88.
Prima di passare ad esporre più completamente le nostre obiezioni al criterio della sproporzione, dobbiamo tener conto di un’impostazione alternativa89, dalla quale possiamo trarre importanti spunti per le nostre considerazioni critiche. Essa rovescia i termini dell’eccedenza del mezzo sullo scopo, sostenendo che l’atto traslativo, considerato in relazione allo scopo perseguito dalle parti, non produce un plus di effetti, bensì un minus, in quanto realizza esclusivamente la traslazione del diritto e non lo scopo ulteriore per il conseguimento del quale il trasferimento è stato effettuato.
Considerando poi l’atto traslativo in relazione agli effetti che di norma produce, cioè l’acquisto pieno e definitivo del diritto, esso sembrerebbe, secondo tale ricostruzione, produrre un minus di effetti, in quanto l’acquisto del diritto, di per sé irrevocabile e a tempo indeterminato, diviene transitorio e la pienezza della titolarità è limitata dalle condizioni imposte dalle parti all’esercizio del diritto. Ciò perché l’acquisto della titolarità non è fine a se stesso, ma ha una destinazione ulteriore: entro lo schema della fiducia è degradato da momento finale e definitivo, quale è di norma, a momento strumentale e transitorio. In questo senso si può parlare di un’efficacia ridotta del mezzo prescelto rispetto a quella di cui sarebbe normalmente capace.
Da parte nostra dobbiamo obiettare che il patto fiduciario non può impedire all’atto traslativo di esplicare i suoi effetti in tutta la loro pienezza e pertanto non può
88 XXXXXXXXX Xxxxxxxxx, Fiducia e rappresentanza indiretta in Diritto civile. Xxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1951, 250 ss.
89 PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, cit., 253 s.
menomare la posizione giuridica del fiduciario, il quale non potrà dirsi né proprietario ad tempus né meno proprietario di fronte al fiduciante di quanto lo sia al cospetto di terzi.
Tale impostazione può invece essere accolta nella misura in cui sostiene che il negozio traslativo non riesce a produrre tutti gli effetti sufficienti al raggiungimento dello scopo. Da ciò possiamo dedurre che, per raggiungere lo scopo perseguito, è necessario che gli effetti reali si combinino e si integrino reciprocamente con gli effetti obbligatori.
Pertanto il lato reale e il lato obbligatorio del negozio fiduciario non possono essere concepiti come paralleli o antagonisti, in quanto, al contrario, essi sono teleologicamente collegati in vista del raggiungimento dello scopo avuto di mira dalle parti. Ne segue che il mezzo non consiste del solo negozio traslativo, ma anche del contratto obbligatorio, essendo sia l’uno che l’altro essenziali ed indispensabili per il conseguimento del detto scopo. È possibile così tenere ferma l’unitarietà del negozio fiduciario, se non sotto il profilo strutturale, quantomeno dal punto vista funzionale.
A tal punto, escluso che la sproporzione tra mezzo e scopo costituisca il logico risultato del confronto tra lato reale e lato obbligatorio del negozio, dobbiamo servirci, al fine di convalidare o meno il criterio della sproporzione, di un differente metodo di indagine: verificare se il negozio concretamente posto in essere sia il solo mezzo possibile per raggiungere lo scopo che le parti hanno di mira oppure se l’ordinamento preveda già un mezzo idoneo al raggiungimento di quello scopo.
Qualora riuscissimo a dimostrare che le parti non potrebbero raggiungere il loro intento se non mediante il negozio fiduciario concretamente posto in essere, infirmeremmo completamente il criterio della sproporzione. Si può infatti parlare di sproporzione tra mezzo impiegato e scopo perseguito quando l’ordinamento abbia appositamente predisposto, per quello stesso scopo, un mezzo idoneo; se però l’ordinamento non abbia provveduto in tal senso e quindi il fine sia atipico, il negozio fiduciario concretamente posto in essere dalle parti si deve ritenere proporzionato, essendo l’unico possibile per raggiungere quel fine90.
Si prendano in considerazione le seguenti ipotesi91.
90 BOLOGNA Italo, Considerazioni sui negozi fiduciari in Rivista di diritto civile, 1955, 265 s.
91 XXXXXXXXX Xxxxxx, Xxx negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, vol. I, 1936, 349 s.; XXXXXXX Xxxxxxxxx, Trattato di diritto civile, vol. II, XXXXX, Padova, 2010, 469; XXXXXXXXX
Il “cittadino italiano di razza ebraica”, a cui l’art.10 del r.d.l. 17 novembre 1938 vietava di essere proprietario di aziende, terreni e fabbricati urbani, trasferiva i suoi immobili all’amico “cittadino italiano di razza ariana”, capace di esserne titolare, con l’intesa fiduciaria di riaverli quando il divieto fosse venuto meno.
Xxxxx, a causa della sua prodigalità, ha il patrimonio oberato di debiti, eppure sufficiente, se saggiamente amministrato, a soddisfare i creditori. Allora trasferisce il proprio patrimonio immobiliare a Caio, con l’intesa che quest’ultimo, dopo aver assestato la situazione patrimoniale, gli restituirà l’eccedenza attiva.
Xxxxx, azionista di una s.p.a., non intende, per ragioni di convenienza sociale, dare personalmente voto di sfiducia agli amministratori. Pertanto incarica di ciò Xxxx al quale cede le proprie azioni, con l’intesa che questi le restituirà dopo la votazione.
Consideriamo poi l’eredità fiduciaria, applicazione della fiducia ricorrente nell’età comune del diritto europeo: il genitore, per mantenere intatta la eredità, destinata ai propri discendenti temporaneamente incapaci o per diverse ragioni inaffidabili, trasferisce il suo patrimonio ad un soggetto capace di amministrarlo medio tempore, con l’intesa che costui lo trasferirà ai propri discendenti quando verranno meno le ragioni dell’impedimento.
Poniamo ora attenzione all’intestazione fiduciaria dei beni, istituto molto frequente attualmente: Xxxxx, proprietario di determinati valori mobiliari, vuole non solo affidarli in amministrazione a terzi, ma anche occultare la titolarità degli stessi. Pertanto trasferisce la proprietà di tali valori ad una società fiduciaria, la quale ne risulta formalmente titolare.
Infine consideriamo l’ipotesi in cui Xxxxx incarica il proprio fattorino di incassare un assegno e, invece di girare per procura, gira in pieno o addirittura in bianco.
Nella prima ipotesi al “cittadino italiano di razza ebraica” non basterebbe un contratto di deposito, in forza del quale rimarrebbe titolare dei suoi beni e per ciò stesso costantemente esposto al rischio di confisca. Pertanto egli non ha altro mezzo a disposizione per evitare la confisca che quello di privarsi spontaneamente dei suoi beni92; in definitiva la cessione spontanea dei beni, sebbene produca effetti equivalenti alla confisca, è compiuta con la speranza di metterli al sicuro e riottenerli in futuro93.
Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte in Diritto privato, studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxx, vol. II, UTET, Torino, 2009, 886.
92 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 352.
93 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 886.
La sproporzione in tale ipotesi potrebbe ricorrere nel senso che si produce un passaggio di proprietà definitivo, mentre sarebbe più congruo all’intento economico perseguito dalle parti che, cessato il pericolo, il bene ritorni automaticamente, ipso iure, in proprietà del fiduciante. Ma la dottrina tradizionale parla di eccedenza del mezzo sullo scopo nel senso che il trasferimento della proprietà che si realizza nel negozio fiduciario non sarebbe richiesto dagli intenti pratici, suscettibili di trovare soddisfazione anche per mezzo di un mandato, riducendo in tal modo al criterio della eccedenza anche la costruzione c.d. germanistica della fiducia elaborata da Xxxxxxx, nella quale il diritto del fiduciario è condizionato risolutivamente, così da adeguarsi perfettamente allo scopo94.
Nel secondo esempio un mandato sarebbe insufficiente allo scopo, in quanto se Xxxxx conservasse la titolarità dei beni potrebbe ancora trovar credito e contrarre altri disastrosi impegni95.
Allo stesso modo nella terza ipotesi un mandato si rivelerebbe insufficiente allo scopo, in quanto Xxxx, per poter partecipare all’assemblea, deve risultare titolare di un certo numero di azioni96.
Così nell’età del diritto comune il padre di famiglia che avesse voluto preservare l’eredità per i propri discendenti temporaneamente incapaci non aveva altra strada se non ricorrere ad una successione indiretta97.
Nell’ipotesi dell’intestazione fiduciaria dei beni, è ben chiaro che un mandato ad amministrare produrrebbe un minus di effetti rispetto allo scopo delle parti, che non può realizzarsi se non investendo il fiduciario della formale proprietà del bene98.
È quindi evidente come in tutte e cinque tali ipotesi non sarebbe stato possibile raggiungere il risultato voluto dalle parti se non tramite il negozio fiduciario concretamente posto in essere.
Riguardo all’ultimo degli esempi sopra riportati si potrebbe tuttavia obiettare che l’eccedenza del mezzo sullo scopo sussista, in quanto a Xxxxx, per il conseguimento dello scopo avuto di mira, sarebbe bastato ricorrere a un mandato per incasso, girando l’assegno per procura; viceversa, girando l’assegno in pieno, ha attribuito al fiduciario un potere giuridico più ampio di quello necessario.
94 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 352. 95 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 349 s. 96 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 350.
97 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 886.
98 XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 469.
Ma, a ben vedere, la divergenza che qui si riscontra non può essere assunta a segno distintivo del negozio fiduciario: infatti, come può darsi che Xxxxx, fidando nell’onestà e lealtà di Xxxx, abbia girato a lui in pieno per ragioni di riguardo alla sua personalità, ponendo perciò in essere un negozio fiduciario, così è altrettanto possibile che Xxxxx abbia girato in pieno a Caio per incuria, in quanto non ha pensato, nel momento in cui firmava, all’utilità di aggiungere la clausola “per procura”. In quest’ultima ipotesi il negozio non ha titolo alla qualifica di fiduciario, in quanto manca quella ragione giustificatrice rappresentata dall’affidamento in un leale comportamento del fiduciario, affinché questi non abusi della posizione giuridica conferitagli99.
Inoltre, sulla base di una più attenta analisi, potremmo escludere la sproporzione tra mezzo e scopo anche in tale fattispecie di negozio fiduciario: se Xxxxx ha girato in pieno affinché a Caio non potessero essere opposte le eccezioni personali opponibili al girante, la sola sproporzione che è possibile rilevare è quella tra il mezzo giuridico impiegato e lo scopo economico tipico, in tal caso quello del mandato per incasso, più vicino allo scopo economico perseguito dalle parti100.
L’area della fiducia cum amico, alla quale è possibile ricondurre gli esempi sopra riportati, si mostra pertanto irriducibile al criterio dell’eccedenza del mezzo sullo scopo, il quale è il derivato di una valutazione incompleta del fenomeno fiduciario, ristretta alla sola fiducia cum creditore.
Quanto a quest’ultima, sembrerebbe senz’altro riconducibile al criterio dell’eccedenza del mezzo sullo scopo, in quanto la traslazione del diritto reale che in essa si realizza assolve lo scopo di garanzia, già perseguibile efficacemente attraverso il pegno e l’ipoteca.
Eppure alcuni autori101 sostengono che anche per tale ambito della fiducia sarebbe da escludere la sproporzione tra mezzo e scopo, in quanto la vendita a scopo di garanzia, sebbene chiaramente sproporzionata alla garanzia ipotecaria o pignoratizia, non è diretta a perseguire tale scopo tipico. Tale vendita risponderebbe infatti all’intento delle parti di costituire un rapporto di garanzia più ampio e stringente e comunque diverso dall’ipoteca o dal pegno, intento rispetto al quale essa risulta perfettamente proporzionata, proprio perché si tratta un intento atipico, in relazione al quale l’ordinamento non ha predisposto alcun mezzo apposito. Alla luce di ciò la sola
99 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 350 s.
100 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 351 s.
101 BOLOGNA, Considerazioni sui negozi fiduciari, cit., 626.
sproporzione ravvisabile nella fiducia cum creditore è quella tra il negozio adottato e l’intento tipico più vicino all’intento fiduciario, omologa quindi alla sproporzione rilevata con riguardo alla girata in pieno dell’assegno fiduciae causa.
Altra caratteristica comunemente attribuita ai negozi fiduciari è la “potestà di abuso”, riguardata dalla dottrina tradizionale come corollario del criterio generale della sproporzione tra mezzo e scopo, del quale costituirebbe la traduzione in termini soggettivi102.
La formula “potestà d’abuso” ben esprime l’alea, il pericolo, il rischio insito in ogni negozio fiduciario e connesso al comportamento del fiduciario, dal quale il fiduciante spera la realizzazione delle sue aspettative. La “potestà di abuso”, intesa come possibilità per il fiduciario di fare un uso del potere giuridico trasmessogli contrastante con le finalità economiche per le quali tale trasmissione ha avuto luogo103, si concretizza in virtù della cesura tra i poteri e i doveri del fiduciario, in base alla quale i primi sono più ampi dei secondi.
È evidente come i caratteri tradizionalmente attribuiti ai negozi fiduciari siano frutto della concezione binaria degli stessi. La sproporzione tra mezzo e scopo rappresenta infatti il risultato del confronto tra due negozi: l’attribuzione patrimoniale, opponibile erga omnes, ed il patto tra fiduciante e fiduciario, valido solo inter partes e volto a limitare la portata del primo negozio. Da tale primo carattere consegue la “potestà d’abuso”, la quale altro non sarebbe che la stessa sproporzione prospettata dall’angolo visuale del fiduciario104.
Tra l’altro la dottrina tradizionale, mediante il carattere dell’eccedenza, intesa come “anomalia”, e dell’abuso, inteso come “patologia”, ha veicolato un’immagine pregiudizialmente negativa del negozio fiduciario, come se fosse incompatibile con l’ordinario svolgimento dei traffici giuridici105.
Volendo enunciare una formula onnicomprensiva che tenga conto di entrambi tali caratteri e sia rispondente alla visione della dottrina tradizionale, possiamo definire fiduciario il negozio nel quale un soggetto, il fiduciante, per conseguire un dato scopo, investe un altro soggetto, il fiduciario, di una posizione giuridica più ampia di quella che sarebbe sufficiente al raggiungimento di quel dato scopo, essendo disposto ad
102 XXXX Xxxxxxx, Contratti parasociali, Casa Editrice Dottor Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Milano, 1942, 65.
103 XXXXXXXXX Xxxxxxxx Xxxxxxx, Negozio fiduciario in Enciclopedia del diritto, vol. XXVIII, Xxxxxxx, Milano, 1978, 37.
104 BOLOGNA, Considerazioni sui negozi fiduciari, cit., 620.
105 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 887.
accettare l’ineluttabile rischio che il fiduciario converta quella posizione a proprio vantaggio, poiché fa fede sull’onorabilità e sull’impegno di costui.
Dal canto nostro possiamo, senza necessità di rievocare il criterio della sproporzione, convalidare la caratteristica della “potestà d’abuso”, considerandola come coessenziale a ogni trasferimento di ricchezza connesso ad una funzione fiduciaria.
Infatti porre le proprie sostanze in mano di qualcuno con la speranza che questi ce le retroceda o le trasferisca a terzi significa inevitabilmente esporsi al rischio che costui possa disporre del diritto oltre l’accordo. L’attribuzione patrimoniale piena ed irrevocabile che si realizza in ogni negozio fiduciario implica che l’accipiente ha la possibilità di servirsi nel proprio interesse e nell’ampiezza del proprio diritto dell’utilità economica di quest’ultimo, possibilità sopra definita come “potestà d’abuso”, cioè potestà di volgere all’interesse proprio una titolarità di diritto concessa nell’interesse altrui106.
La “potestà d’abuso” è tra l’altro strettamente correlata alla fiducia riposta dall’alienante nell’accipiente che questi non farà un uso del potere giuridico trasmessogli contrastante con le finalità per le quali tale trasmissione è avvenuta. Del resto che senso avrebbe parlare di fiducia se l’atteggiamento del fiduciante non fosse quello di affidarsi al corretto agire del fiduciario, nonostante costui possa disporre del diritto trasmessogli anche oltre e contro l’accordo107? Fidarsi equivale quindi ad attribuire al fiduciario un potere sul fiduciante, perciò, quando il potere del fiduciante e la soggezione del fiduciario manchino, il fenomeno fiduciario deve escludersi108.
È doveroso tenere conto di un’altra impostazione109 che asserisce l’inconsistenza del concetto di “potestà di abuso”, in quanto essa si identificherebbe, a ben vedere, con l’inadempimento proprio di tutti i negozi giuridici. Si sostiene infatti che è impossibile concepire l’abuso quale abuso dei poteri del fiduciario, perché questi corrispondono ai poteri del proprietario e quindi ricomprendono l’uso della cosa. Ponendo invece l’abuso in relazione con il patto fiduciario, è evidente che esso viene in essere in quanto si realizza un’inadempienza al patto stesso: pertanto secondo tale ricostruzione l’abuso consisterebbe in un mero inadempimento del patto fiduciario. Affermazione in sé e per
106 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 354 s.
107 DIURNI Xxxxxxxx, Fiducia. Tecniche e principi negoziali nell’Alto Medioevo, Giappichelli, Torino, 1992, 24.
108 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 000 x.
xx xxx xxxxxxxx, xx troppo semplicistica e riduttiva della complessità del fenomeno fiduciario.
Proprio perché nel negozio fiduciario gioca un ruolo fondamentale l’affidamento riposto dal fiduciante nell’accipiente, un negozio ha titolo alla qualifica di “fiduciario” quando l’ordinamento giuridico non tuteli erga omnes la posizione del fiduciante, ma dal leale comportamento del fiduciario, e non dai rigorosi mezzi di coazione legale, si attenda la perfetta realizzazione dello scopo perseguito dalle parti: quindi la fiducia legale, cioè tutelata in modo assoluto dalla legge e pertanto preclusiva della potestà di abuso, non è più fiducia in senso tecnico110. Ciò non significa però che la fiducia, per rimanere tale, debba essere refrattaria a qualsivoglia disciplina giuridica, altrimenti essa verrebbe confinata nel metagiuridico: basti pensare al diritto romano e al diritto comune europeo dell’età medievale e moderna, che hanno offerto alla fiducia congrua tutela111.
Quanto al negozio fiduciario complessivamente considerato, esso sarebbe contrassegnato dalla connessione funzionale tra la tipicità del mezzo giuridico e l’atipicità del fine empirico112.
Si potrebbe obiettare che tale definizione sia, sebbene precisa, poco specifica, in quanto comporta il venir meno di ogni linea distintiva tra negozi fiduciari e negozi indiretti: infatti in entrambe le ipotesi le parti, per raggiungere un certo scopo pratico, si servono di un negozio preordinato dalla legge al perseguimento di scopi diversi. È però possibile, senza togliere validità al criterio della connessione funzionale, distinguere ulteriormente tra negozi indiretti e negozi fiduciari.
Infatti nei primi il raggiungimento dello scopo pratico è conseguenza diretta dello stesso effetto tipico del negozio, senza la necessità di un patto che adegui tale effetto all’intento delle parti.
Si ponga mente al caso di un mandato irrevocabile all’incasso senza obbligo di rendiconto, il quale assolva lo scopo di una cessione di credito. In tal caso gli effetti scaturenti dal mandato sono sufficienti a realizzare l’assetto di interessi voluto dalle parti, non essendo bisognosi di essere compensati o integrati per mezzo degli effetti scaturenti da un altro negozio: al mandatario è infatti attribuita una posizione giuridica da sola sufficiente al raggiungimento dello scopo avuto di mira dalle parti.
110 GRASSETTI, Trust anglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario in Rivista di diritto commerciale, vol. I, 1936, 552.
111 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 887.
112 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 888.
Al contrario nel negozio fiduciario lo scopo avuto di mira dalle parti è realizzabile solo in forza di separato patto che volga alla funzione voluta dalle parti gli effetti tipici del negozio prescelto113.
Volendo infine riassumere il negozio fiduciario in una formula onnicomprensiva alla luce delle considerazioni critiche sopra svolte, possiamo definire fiduciario quel negozio in cui un soggetto, detto fiduciante, pur di raggiungere un determinato risultato, è disposto a spogliarsi di una posizione giuridica attiva e a trasmetterla ad un altro soggetto, detto fiduciario, dal quale auspica la realizzazione di quel determinato risultato e sul quale fa quindi affidamento, nonostante la possibilità che questi converta il diritto in suo favore.
113 DI XXXXX Xxxxxxx, Xxxxxxx indiretto in Digesto delle discipline privatistiche sez. civ., UTET, Torino, 1995, 125 s.; XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 470.
1. 4. Il dibattito sull’ammissibilità del negozio fiduciario in Italia nella prima metà del XX secolo
Questione ampiamente dibattuta dalla dottrina italiana già nella prima metà del ventesimo secolo è quella relativa al fondamento causale del negozio fiduciario, la quale si pone come pregiudiziale al dibattito sull’ammissibilità di tale istituto nel nostro ordinamento giuridico.
La dottrina più risalente114, escludendo l’idoneità della causa fiduciae ad operare la traslazione dei diritti reali, indica nel negozio astratto il solo mezzo atto a realizzare il trasferimento fiduciario. Di qui l’inammissibilità del negozio fiduciario nell’ordinamento giuridico italiano, che non riconosce l’esistenza dei negozi astratti.
Analizzando più attentamente tale ricostruzione dottrinale, in base ad essa sarebbe incompatibile con il nostro ordinamento una causa fiduciae quale causa atta al passaggio della proprietà, in quanto le cause ad effetti reali costituiscono un numerus clausus e di conseguenza i soli contratti capaci di produrre effetti reali sono quelli a tal fine appositamente creati dalla legge. Il principio del numerus clausus dei negozi ad effetti reali viene precipitosamente dedotto dal principio del numerus clausus dei diritti reali, sulla base dell’asserita esigenza di disciplinare uniformemente la fonte, cioè il negozio, e l’effetto, cioè il diritto115.
Il Cariota Ferrara, principale esponente di tale corrente dottrinale, scrive avendo quale punto di riferimento il codice civile italiano del 1865 e ritiene di poter rinvenire proprio in quest’ultimo argomenti decisivi a favore della sua tesi. Egli rileva in primo luogo che il legislatore ha trasformato determinati contratti, come ad esempio la vendita, da reali in obbligatori e in secondo luogo che non è stata predisposta una disciplina generale appositamente dedicata ai contratti ad effetti reali.
Tali due dati costituirebbero indizi univoci ed evidenti dell’esistenza di una riserva di legge in materia di negozi ad effetti reali, in virtù della quale la creazione di nuovi negozi ad effetti reali è prerogativa del legislatore. Indi per cui i soli negozi ad
114 CARIOTA XXXXXXX Xxxxx, I negozi fiduciari, CEDAM, Padova, 1933, 103 ss.; id., Xxxxxx sociali e negozio fiduciario in Giurisprudenza italiana, I, 1937, col. 657 ss.; XXXXX Xxxx, Sul trasferimento di proprietà di merci a scopo di garanzia e sui suoi effetti nel caso di fallimento, in relazione alla riserva di dominio in Annuario di Diritto Comparato e di Studi Legislativi, vol. II-III, 1929, 834 ss.; XXXXXXX Xxxxxx, Assicurazione e sostituzione processuale volontaria in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, I, 1935, 426.
115 CARIOTA XXXXXXX Xxxxx, I negozi fiduciari, cit., 124 ss.; id., Xxxxxx sociali e negozio fiduciario, cit., col. 663, 665.
effetti reali ammessi sono quelli riconosciuti dalla legge e all’autonomia privata non è concesso di crearne altri116.
Eppure l’articolo 1103 del codice civile italiano del 1865, foriero della disposizione di cui al 2° comma dell’articolo 1322 dell’attuale codice civile, recita:“ I contratti, abbiano o non abbiano una particolare denominazione propria, sono sottoposti a regole generali le quali formano l’oggetto di questo titolo”, aprendo così un varco per la costituzione, ad opera dell’autonomia privata, di contratti atipici o innominati. Ma il Cariota Ferrara oppone che la portata di tale disposizione può essere riferita esclusivamente ai contratti obbligatori, esulando quindi dal suo spazio applicativo i contratti ad effetti reali, che sarebbero soltanto quelli ammessi dalla legge117.
Da tali considerazioni deriva l’inammissibilità nel nostro ordinamento di un trasferimento di proprietà effettuato causa fiduciae, cioè in base ad una causa diversa da quelle tipiche legislativamente previste, e quindi di un negozio fiduciario causale. Di qui la necessità, al fine di porre in essere un regolamento d’interessi fiduciario, di avvalersi di un negozio traslativo astratto118.
Ma su questo punto tale orientamento dottrinale si divide: mentre per il Segrè lo scopo fiduciario non può giustificare mai la traslazione della proprietà, nemmeno nei negozi astratti, il Cariota Ferrara ritiene invece che, con riguardo a tale particolare categoria di negozi, la causa fiduciae possa dirsi idonea al trasferimento del dominio.
Per tale primo autore il trasferimento di proprietà si realizza esclusivamente in virtù dell’astrattezza del negozio traslativo, la quale rende irrilevante lo scopo fiduciario. Però, se riteniamo la causa fiduciae assolutamente inidonea a giustificare il trasferimento del dominio, dobbiamo poi concludere che i negozi fiduciari possano essere, appena stipulati, immediatamente invalidati.
Il Cariota Ferrara fa infatti notare come nei negozi astratti la causa non venga meno, bensì semplicemente assuma una configurazione più ampia ed elastica rispetto a quella assunta con riferimento ai negozi causali: essa si generalizza, fino a coincidere con qualunque scopo economico lecito e perseguibile. In altre parole la causa viene, nei negozi astratti, declassata da elemento determinante del negozio a ragione giustificatrice del permanere degli effetti dallo stesso liberamente prodotti.
116 CARIOTA XXXXXXX Xxxxx, Xxxxxx sociali e negozio fiduciario, cit., col.665.
117 CARIOTA XXXXXXX Xxxxx, Xxxxxx sociali e negozio fiduciario, cit., col.665.
118 CARIOTA FERRARA, Xxxxxx sociali e negozio fiduciario, cit., col. 663; id., I negozi fiduciari, cit.,
127 s.; XXXXXXX, Assicurazione e sostituzione processuale volontaria, cit., 426; XXXXX, Sul trasferimento di proprietà di merci a scopo di garanzia, cit., 834.
Pertanto i negozi astratti possono dirsi tali solo relativamente, in quanto in essi la causa mantiene un certo rilievo: come la sua esistenza conferisce stabilità agli effetti prodotti dal negozio, così la sua mancanza rende caducabile ab initio l’assetto di interessi realizzato dal negozio attraverso l’azione di ingiustificato arricchimento. In ultima analisi la causa nel negozio astratto, ponendosi quale ragione giustificatrice del permanere degli effetti da esso liberamente prodotti, svolge sostanzialmente una funzione negativa, preclusiva dell’esperibilità di un’azione di ingiustificato arricchimento.
E in tale prospettiva la causa fiduciae ben vale ad escludere un ingiustificato arricchimento: essa consiste infatti, come vedremo meglio di seguito, nella costituzione di un diritto di credito alla restituzione ovvero all’ulteriore trasmissione del bene trasferito, in modo tale che l’accipiente non possa tenere definitivamente presso di sé i beni e non possa perciò conseguire alcun arricchimento, altrimenti ingiustificato119.
Quanto ai caratteri propri della causa del negozio fiduciario astratto, il Cariota Ferrara120 fa anzitutto notare che essa risiede nel contratto obbligatorio. Configurando il contratto traslativo astratto quale contratto di prestazione, egli osserva che ogni prestazione postula, al fine di poter conseguire effetti stabili e definitivi, una causa, conformemente al disposto di cui all’articolo 812 del codice civile del 1865, il quale recita: “Se alcuno ha conseguito per la prestazione di un altro alcunché senza causa è obbligato alla restituzione”. E sarebbe proprio il negozio obbligatorio, con il quale le parti determinano lo scopo avuto di mira, a contenere la causa della prestazione patrimoniale, ovverosia del passaggio della proprietà.
Il suddetto autore121 ricomprende poi la causa fiduciae nella più ampia categoria della causa acquirendi, la quale ricorre ogniqualvolta il trasferente debba acquisire, a fronte del suo sacrificio patrimoniale, un diritto o comunque un altro vantaggio a titolo di equivalente e pertanto comprende tutti quei negozi giuridici in cui correlativamente a una prestazione si produce l’acquisto di un vantaggio.
Tale ampia categoria è nettamente contrapposta alle altre due cause nelle quali non spetta alcun vantaggio a chi presta, in quanto la prestazione è animata esclusivamente da liberalità, ossia dalla volontà di arricchire la controparte (causa
119 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 114; id., Xxxxxx sociali e negozio fiduciario, cit., col. 665.
120 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 108 s.
121 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 116 s.
donandi), oppure perché essa è satisfattiva di un’obbligazione preesistente (causa solvendi).
La causa acquirendi, ai fini della nostra indagine, può essere suddivisa in tre distinte zone: in primo luogo abbiamo i negozi le cui parti realizzano uno scambio di prestazione e controprestazione, quali la vendita; in secondo luogo troviamo quei negozi che comportano per entrambe le parti la permuta di diritti o di altri valori, quali la permuta; infine abbiamo quei negozi in cui il trasferente acquista un diritto di credito alla restituzione di quanto trasferito, quali il mutuo e il negozio fiduciario.
Si registra una differenza di rilievo tra i negozi rientranti nella prima e nella seconda zona da un lato e i negozi appartenenti alla terza dall’altro, poiché in tali ultimi negozi non si registra alcun sacrificio a carico del patrimonio dell’accipiente, il quale infatti non è tenuto a eseguire una controprestazione o a permutare un valore, ma solo a retrocedere quanto ricevuto dal patrimonio del dans. In virtù dell’obbligo restitutorio, tali negozi sembrerebbero prima facie capaci di giustificare esclusivamente un acquisto provvisorio122.
Eppure nel mutuo la causa credendi si mostra idonea a produrre il trasferimento della proprietà, per una serie di ragioni giuridiche concordanti. Avendo ad oggetto il mutuo cose fungibili, insuscettibili di individuazione e determinabili solo in base al genus di appartenenza, è giocoforza che esse si confondano nel patrimonio di chi le riceve, il quale ne diviene quindi proprietario. Inoltre, configurandosi il mutuo come un prestito di consumo, è necessario che in esso si realizzi il passaggio della proprietà, affinché il mutuatario, quale proprietario, possa liberamente disporre delle cose mutuate.
Al contrario la causa fiduciae sarebbe inidonea a produrre il passaggio della proprietà e capace soltanto di giustificare un acquisto interinale, in quanto oggetto del negozio fiduciario è una cosa certa e determinata, che deve essere restituita in individuo123.
Possiamo quindi rilevare come già la dottrina più risalente aveva evidenziato una certa analogia fra la causa fiduciae e la causa credendi124: entrambe consistono infatti nella costituzione in capo al trasferente di un diritto di credito alla restituzione di quanto trasferito. Esse differiscono però sotto il profilo dell’oggetto della restituzione: nel caso
122 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 113 s. 123 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 118 s. 124 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 112.
del negozio fiduciario si tratta dello stesso bene trasferito, nel caso del mutuo del tantundem eiusdem generis. E tale differenza, prima facie non essenziale, rivelerebbe invece una profonda diversità di natura tra questi rapporti125, in virtù della quale, come sopra detto, solo il mutuo è idoneo a trasferire la proprietà.
La dottrina più risalente, pur negando alla causa fiduciae idoneità a produrre a effetti reali, sulla base del dogma del numerus clausus dei negozi ad effetti reali, ha però svolto una minuziosa indagine diretta a ricostruirne la concreta configurazione.
Gli esiti di tale indagine saranno in gran parte fatti propri, ma con opposte conclusioni, da xxxxxx000 i quali ritengono realizzabile, entro l’ordinamento giuridico italiano, un negozio traslativo retto da un’autonoma causa fiduciae. Per costoro la causa fiduciae sarebbe dunque idonea a giustificare il trasferimento del dominio e, più in generale, sarebbero ammissibili negozi ad effetti reali atipici, in quanto sarebbe arbitrario derivare il numerus clausus dei negozi ad effetti reali dal principio del numerus clausus dei diritti reali127.
Si obbietta innanzitutto che in tal modo si confonderebbe la fonte, cioè il negozio, con l’effetto, cioè il diritto. In secondo luogo, a voler deporre per la tipicità dei negozi ad effetti reali, si dovrebbe coerentemente estendere tale conclusione ai negozi ad effetti obbligatori, in quanto è estranea al nostro diritto civile una distinzione tra i contratti quoad effectum128; anzi i contratti ad effetti obbligatori e ad effetti reali costituirebbero due categorie intercomunicanti in quanto accomunate dalla realizzazione di un’“attribuzione patrimoniale”129, concetto che alcuni autori130 hanno bollato come incerto.
Tale dottrina non revoca però in dubbio la tipicità dei diritti reali, sulla quale si fonda la costruzione fiduciaria romanistica; se infatti si ammettesse che la causa fiduciae sia costitutiva non di una titolarità piena, bensì di una titolarità limitata sia nel tempo che nei poteri spettanti all’accipiente, verrebbe a mancare la potestà d’abuso, da noi in precedenza indicata come la sola vera caratteristica del negozio fiduciario. Dalla asserita tipicità dei diritti reali, prevista in ragione della loro rilevanza sociale, può
125 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 118.
126 XXXXXXXXX Xxxxxx, Del negozio fiduciario e della su ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico
in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, I, 1936, 345 ss.
127 XXXXXXXXX Xxxxxx, Del negozio fiduciario, cit., 367. 128 XXXXXXXXX Xxxxxx, Del negozio fiduciario, cit., 370. 129 XXXXXXXXX Xxxxxx, Del negozio fiduciario, cit., 369.
130 CARIOTA FERRARA, Xxxxxx sociali e negozio fiduciario, cit., col. 665.
soltanto dedursi la necessità di osservare determinate forme di pubblicità, imposte dal legislatore a salvaguardia dei terzi131.
Tale dottrina, formatasi anch’essa sotto la vigenza del codice civile del 1865, ritiene che l’efficacia dell’articolo 1103 non sia circoscritta ai soli contratti ad effetti obbligatori e che, se pure si riuscisse a dimostrare il contrario, sarebbe possibile dare a tale disposizione un’interpretazione estensiva, come tale lecita in ambito civile132. Pertanto, assegnando all’articolo 1103 la sua esatta portata, dobbiamo riconoscere ai privati la più ampia libertà di costituire rapporti contrattuali fondati su cause atipiche, purché diretti a realizzare intenti economico-sociali rispondenti ad interessi degni di tutela133.
Tale scuola di pensiero, analogamente alla divergente impostazione dottrinale dapprima esaminata, pone nel rapporto obbligatorio la causa dell’attribuzione patrimoniale, ma non perché tale rapporto, sancendo un obbligo restitutorio, vale ad escludere un ingiustificato arricchimento, bensì in quanto l’attribuzione patrimoniale si pone come mezzo indispensabile “per realizzare l’intento pratico che attraverso il rapporto obbligatorio stesso le parti mirano a conseguire”134.
Poiché l’effetto obbligatorio giustifica l’effetto reale, possiamo deporre, conformemente a quanto affermato nel precedente paragrafo, per l’unitarietà, quanto meno sotto il profilo funzionale, del negozio fiduciario e configurare quindi un’unitaria ed autonoma causa fiduciae. Infatti nel negozio fiduciario l’effetto reale e l’effetto obbligatorio, nonostante scaturiscano da contratti distinti, si trovano in quel rapporto di reciproca interdipendenza che è caratteristica propria di ogni negozio unitario e che non deve necessariamente tradursi in un rapporto di controprestazione135.
Il principio simul stabunt simul cadent, valevole per tutti i negozi unitari, trova applicazione anche con riguardo ai negozi fiduciari: pertanto, se viene meno l’effetto reale viene meno anche l’effetto obbligatorio, e viceversa; infatti, senza l’effetto obbligatorio quello reale rimane privo di causa, mentre senza l’effetto reale quello
131 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 366 ss.
132 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 370.
133 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 367.
134 XXXXXXXXX, Del negozio fiduciario, cit., 367 s.; in tal senso anche Xxxx., 30 agosto 1947, n.1554, in Giur. compl. cass. civ., XXVI, 1947, 409, secondo cui il negozio obbligatorio conterrebbe la vera causa del negozio traslativo, con la conseguenza che l’eventualità nullità del primo si propagherebbe al trasferimento della proprietà, il quale rimarrebbe privo di causa.
135 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 368.
obbligatorio non ha più alcun interesse per le parti, in quanto, seppur espressivo dello scopo, non ha alcuna attitudine satisfattiva in relazione allo stesso.
Come in ogni altro negozio caratterizzato dalla causa acquirendi, anche nel negozio fiduciario il sacrificio patrimoniale del trasferente trova un corrispettivo nell’assunzione di un obbligo da parte dell’accipiente: però in tale fattispecie l’effetto reale costituisce non il corrispettivo in senso economico dell’effetto obbligatorio, bensì il mezzo per rendere possibile all’accipiente l’esecuzione dell’obbligo assunto136; sulla base di tale peculiarità è stata coniata, per i negozi fiduciari, l’espressione “corrispettività funzionale”137, in contrapposizione alla corrispettività genetica propria di tutti gli altri negozi caratterizzati dalla causa acquirendi.
Quanto alla configurazione propria della causa fiduciae, l’orientamento dottrinale da noi condiviso specifica il concetto enucleato dal Cariota Ferrara secondo cui essa consisterebbe nel costituire un diritto di credito alla restituzione di quanto trasferito. Tale ultima definizione è infatti precisa, ma incompleta, poiché non coglie l’essenza della causa fiduciae, la quale, a nostro parere, consiste effettivamente“nel dare per aver da riavere o per far avere ad altri”138, in quanto in certe situazioni della vita concreta è più vantaggioso aver da avere, cioè essere titolari di un diritto di credito, piuttosto che avere.
Tale descrizione della causa fiduciae è perfettamente calzante per la fiducia cum amico, detta anche altruistica o pura, dove il trasferimento risponde prevalentemente all’interesse del dante causa, mentre si rivela incongrua rispetto alla fiducia cum creditore, detta anche impura o egoistica, da noi però riguardata quale forma anomala della fiducia; per quest’ultima possiamo pertanto tener ferma la definizione secondo la quale la causa fiduciae consiste nella costituzione di un diritto di credito alla restituzione dello stesso bene trasferito139, diritto la cui esigibilità è subordinata al verificarsi di determinate circostanze, coincidenti con l’esaurimento dello scopo di garanzia.
Configurata in tali termini la causa fiduciae, essa sarà, quale autonoma causa atipica ad effetti reali, idonea a fungere da causa dell’attribuzione patrimoniale ogniqualvolta il rapporto obbligatorio, che con detta causa coincide, esprima un intento
136 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 369.
137 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 369, nota 5.
138 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 378.
139 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 114.
pratico “sussumibile nel concetto di privata autonomia” e perciò rispondente a un interesse meritevole di xxxxxx000. In base a tale scuola di pensiero, che noi abbracciamo, vi sarebbe dunque spazio per la configurabilità, nell’ordinamento giuridico italiano, di un negozio fiduciario causale, retto da un’autonoma ed atipica causa fiduciae capace di produrre effetti reali.
La tesi da noi sostenuta verrà accolta anche da altri successivi autori141, a parere dei quali è necessario, per poter ammettere nel nostro ordinamento il negozio fiduciario, addivenire alla configurazione di un’autonoma causa fiduciae, in quanto la causa, essendo anima ed elemento determinante del negozio, si pone quale criterio di identificazione dello stesso. Tali autori rinvengono adeguato suffragio alla nostra tesi nell’attuale codice civile, che riconosce ai privati la facoltà di costituire contratti diversi da quelli legislativamente contemplati e quindi fondati su una causa atipica. Infatti il 2° comma dell’art.1322 dell’attuale codice civile, con ampia formulazione, dispone che “le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela”, senza stabilire eccezione alcuna per i contratti ad effetti reali, indi per cui non si rinviene alcun motivo di limitare la portata di tale norma ai soli contratti ad effetti obbligatori.
Per avallare ulteriormente la nostra tesi, possiamo addurre un altro argomento di diritto positivo: nell’articolo 1376 del codice civile, che si occupa specificamente dei contratti ad effetti reali, si parla genericamente di “contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà”, espressione ampia, che non può essere limitata ai soli contratti tipizzati ex lege e sottintende quindi la configurabilità di negozi causali atipici ad effetti reali142.
Riteniamo però di non poter condividere tale dottrina nel momento in cui asserisce che la causa fiduciae consiste “nella funzione di utilizzazione della titolarità di un diritto reale ad un fine più ristretto di ciò che la titolarità medesima comporterebbe, e quindi nel circoscrivere con effetti obbligatori un’attribuzione effettuata senza limiti sul piano reale con la conseguente possibilità di abusi”143. Tale definizione infatti, piuttosto che individuare la causa fiduciae, cioè la funzione socio-economica assolta dal negozio
140 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 369.
141 DE XXXXXXX Xxxxxx, Il concetto di negozio fiduciario e la vendita a scopo di garanzia in
Giurisprudenza italiana, I, 1946, col. 321 ss.
000 XX XXXXXXX Xxxxxx, Xx concetto di negozio fiduciario, cit., col. 326
143 DE XXXXXXX Xxxxxx, Il concetto di negozio fiduciario, cit., col. 326
fiduciario, vale semplicemente a dar conto del carattere unitario della funzione fiduciaria, conseguito grazie alla combinazione dell’effetto obbligatorio e dell’effetto reale.
Quella risalente scuola di pensiero che rigetta l’ammissibilità di un negozio traslativo fondato sulla causa fiduciae revoca in dubbio da sé stessa le fondamenta della propria tesi nel momento in cui, identificando la causa fiduciae con lo scopo di garanzia o di mandato, reputa possibile perseguire tali finalità indirettamente, servendosi di negozi traslativi causali tipici; e in tal senso parla di negozi traslativi causali adattati a scopi minori e diversi dei loro scopi tipici, i quali rappresenterebbero una fattispecie negoziale complessa, risultante dal collegamento tra un contratto tipico ad effetti reali e un contratto obbligatorio avente ad oggetto la conclusione dello stesso contratto ad effetti reali. Tale collegamento consentirebbe di realizzare una funzione ulteriore, che si sovrappone a quella tipica del contratto traslativo144.
Tale ricostruzione è avallata da coloro145 i quali ritengono che la causa propria di ogni negozio abbia per l’ordinamento giuridico una rilevanza soltanto formale e pertanto possa dirsi sussistente anche quando essa rivesta un’importanza economica minima nell’intento delle parti, in realtà dominato dal perseguimento di uno scopo ulteriore, il quale rimane però giuridicamente confinato nella sfera dei motivi psicologici delle parti.
Secondo tale ricostruzione i negozi traslativi causali adattati ad altri scopi differiscono profondamente dai negozi fiduciari ed esulano quindi dall’ambito della fiducia vera e propria, in quanto si fondano sulla causa propria del negozio traslativo di cui xxxxxxxx e non sulla causa fiduciae146, ma in verità sembra il contrario.
Precisamente sembra che tale ricostruzione permetta ai negozi fiduciari, scacciati dalla porta principale, di rientrare da quella secondaria, in quanto, se si riconosce la possibilità di adattare determinati negozi causali a scopi diversi e minori dei loro scopi tipici, la causa fiduciae, pur formalmente disconosciuta, funge lo stesso, almeno in senso materiale, quale fondamento del negozio traslativo. In altre parole, sebbene venga negata alla causa fiduciae idoneità a giustificare l’attribuzione patrimoniale, l’intento socio-economico ad essa corrispondente, e quindi la stessa causa
144 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 131, 137
145 XXXXXXXXX Xxxxxx, Il negozio indiretto in Saggi giuridici, Xxxxxxx, Milano, 1949, 165 s.
146 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 137 s.
fiduciae in senso materiale, varrebbe comunque, purché dissimulata sotto uno schema causale tipico, ad operare il trasferimento della proprietà147.
La teoria dei negozi traslativi causali adattati a scopi diversi avvicina il fenomeno fiduciario in parte alla simulazione relativa, in parte al negozio indiretto.
La somiglianza con il fenomeno simulatorio, e più precisamente della simulazione relativa, sarebbe rappresentata dalla circostanza che si richiede, quale condizione di operatività della causa fiduciae, che detta causa sia dissimulata sotto uno schema causale tipico. Possiamo evidenziare come talvolta la giurisprudenza, prendendo spunto da tale teoria, abbia ricondotto il fenomeno fiduciario nell’alveo della simulazione relativa, configurando un negozio causale tipico simulato e un negozio fiduciario dissimulato148.
Quanto al negozio indiretto, è evidente che, costruendo il negozio fiduciario come negozio dotato di una causa oggettiva tipica, alla quale si sovrappone, nei motivi psicologici delle parti, uno scopo ulteriore, si riconduce implicitamente il fenomeno fiduciario nell’alveo del negozio indiretto. E in precedenza abbiamo già fatto notare come tale immedesimazione sia fallace, in quanto nel fenomeno fiduciario lo scopo avuto di mira dalle parti viene espresso dal contratto obbligatorio e non può quindi essere riguardato come un motivo, a differenza di quanto avviene nel negozio indiretto, ove lo scopo non è espresso da alcuna clausola o patto aggiunto.
In ultimo luogo possono registrarsi dissensi alla teoria dei negozi traslativi causali adattati ad altri scopi anche nell’ambito della stessa corrente dottrinale che nega l’ammissibilità di un negozio fiduciario causale.
Alcuni esponenti di tale corrente149 hanno infatti avanzato seri dubbi sulla possibilità di adattare un negozio causale tipico a uno scopo fiduciario, rilevando che la causa di questo, cioè la funzione alla quale esso adempie, è incompatibile con la funzione fiduciaria: in altre parole un negozio non può essere retto allo stesso momento da due distinte cause, quali quella sua tipica, ad esempio vendita o donazione, e quella
147 XXXXXXXXX, Del negozio fiduciario, cit., 374.
148 In tal senso Cass. 21 giugno 1946, n.732 in Giurisprudenza italiana 1947, vol. I, col. 32 ss., che parla di vendita simulata allo scopo di costituire una garanzia reale. È però singolare l’incertezza della motivazione, nella quale la Corte, pur ritenendo che il contratto faccia riferimento solo fittiziamente alla vendita di immobili e qualificandolo quindi come apparentemente traslativo, addiviene alla conclusione che non si possa dichiarare l’inesistenza del trasferimento di proprietà e coerentemente riconosce il diritto contrattuale per il debitore alienante di ottenere la retrocessione formale del bene dal creditore garantito, una volata esaurito lo scopo della garanzia.
149 XXXXXXX Xxxxx, Il mandato ad alienare, CEDAM, Padova, 1947, 79.
corrispondente allo scopo fiduciario, ad esempio mandato. In tale prospettiva è stato affermato che lo scopo fiduciario realizzerebbe “un’arbitraria e non consentita astrazione parziale della causa”150 del negozio tipico utilizzato.
Dobbiamo infine tenere conto di un’altra dottrina151, la quale, con argomentazioni non manifestamente infondate, revoca in dubbio la configurabilità nel nostro ordinamento di un negozio traslativo fondato su un’autonoma causa fiduciae, adducendo a sostegno della propria obiezione non il principio del numerus clausus delle cause ad effetti reali, bensì l’inidoneità della causa fiduciae a giustificare un effetto tanto ampio quanto il trasferimento della proprietà. Detta causa potrebbe infatti, per sua natura, produrre esclusivamente un trasferimento limitato sia nel tempo che nei poteri spettanti all’accipiente e quindi non sarebbe idonea alla traslazione di un diritto perpetuo ed illimitato quale la proprietà.
Tale ricostruzione si fonda sull’asserito principio della necessaria congruenza tra la causa e gli effetti del negozio, in virtù del quale una causa, a realizzare la quale sono sufficienti effetti limitati, non può giustificare effetti più ampi. In tale prospettiva è stato affermato che una causa vale a giustificare un determinato effetto giuridico in quanto essa non possa realizzarsi altrimenti che verificandosi quell’effetto152. Pertanto, a voler ammettere un trasferimento fondato sulla causa fiduciae, si dovrebbe conseguentemente riconoscere la costituzione di un diritto limitato dalla funzione fiduciaria e comunque difforme dalla proprietà o da altro diritto reale di godimento legislativamente previsto, urtando così contro il pacifico principio del numerus clausus dei diritti reali.
Dal canto nostro possiamo obiettare che il principio della necessaria congruenza tra la causa e gli effetti del negozio, in base al quale una determinata causa non può giustificare effetti più ampi di quelli che sarebbero sufficienti a realizzarla, sebbene risponda a criteri logici e razionali, non trovi nel nostro ordinamento alcuna base normativa e sia pertanto opinabile.
Tale dottrina revoca poi in dubbio lo stesso concetto di causa fiduciae153, constatando che alla pluralità delle funzioni concretamente assolte dal negozio
150 XXXXXXX XXXXXXXXXX Xxxxxxxxx, Istituzioni di diritto civile: dottrine generali, Jovene, Napoli, 1946, 123.
151 XXXXXXX, Il mandato ad alienare, cit., 83 s. e nota 37.
152 XXXXXXXX Xxxxxxxx, La simulazione nei negozi giuridici (studio di diritto romano), CEDAM, Padova, 1938, 36, nota 2.
153 XXXXXXX, Il mandato ad alienare, cit., 84 s.
fiduciario, ovverosia lo scopo di garanzia nella fiducia cum creditore e lo scopo di mandato nella fiducia cum amico, non può corrispondere un’unitaria causa fiduciae.
Infatti, poiché la causa va riferita al negozio nel suo complesso e quindi identificata nella funzione socio-economica che il medesimo, complessivamente inteso, è diretto a realizzare, la causa fiduciae dovrebbe risolversi nella funzione cui, a seconda delle ipotesi, adempie il negozio fiduciario: causa di garanzia nella fiducia cum creditore, causa di mandato nella fiducia cum amico. Né si potrebbe deporre per l’unitarietà del negozio fiduciario argomentando dalla circostanza che le due fattispecie fiduciarie hanno una comune struttura, consistente nel trasferimento di un diritto a scopo limitato, poiché in tal modo si pretenderebbe di comprendere e spiegare il negozio fiduciario sulla base di un solo elemento della sua fattispecie, prescindendo dalla funzione concretamente perseguita.
Dal canto nostro possiamo replicare che ridurre il fenomeno fiduciario all’insanabile dicotomia tra fiducia cum amico e fiducia cum creditore non vale a rendere adeguata ragione della complessità e vastità del fenomeno stesso, al quale i privati ricorrono per fini che non si esauriscono ma anzi oltrepassano quelli di garanzia e di mandato. D’altronde, che il fenomeno fiduciario sia concretamente piegato ad un’ampia gamma di funzioni costituisce un dato storico, oltre che giuridico, incontrovertibile, dal quale però non riteniamo possibile desumere la mancanza di unitarietà del negozio fiduciario e quindi l’insussistenza di un’autonoma causa fiduciae. Pertanto, come per il diritto romano, ad onta delle molteplici utilizzazioni del negozio fiduciario, abbiamo potuto far salvo il carattere unitario di tale negozio, ravvisandone l’essenza nella trasmissione della proprietà di una cosa in vista della successiva restituzione della medesima, così per il nostro diritto, nonostante le molteplici finalità assolte dal negozio fiduciario, riteniamo di poter deporre per l’unitarietà di tale negozio, in quanto fondato su un’autonoma causa fiduciae consistente “nel dare per aver da riavere o per far avere ad altri”154, e ciò malgrado tale formula appaia incongrua rispetto alla fiducia cum creditore, da noi però considerata
come manifestazione anomala del fenomeno fiduciario.
154 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 378.
1. 5. Il dibattito sull’ammissibilità del negozio fiduciario in Italia nella seconda metà del XX secolo
Il dibattito sulla configurabilità di un’autonoma causa fiduciae e sulla conseguente ammissibilità di un negozio fiduciario causale si perpetua vivo per tutta la seconda metà del XX secolo fino ai giorni nostri.
È però idea ormai condivisa da larga parte della dottrina155 che la disposizione di cui al comma 2° dell’art.1322 del codice civile, sancendo il principio dell’autonomia e della libertà negoziale, riconosca ai privati ampia facoltà di costituire rapporti contrattuali, con effetti sia obbligatori che reali, diversi da quelli tipizzati dalla legge e quindi, per tale via, che possano stipularsi negozi fiduciari, cioè contraddistinti da un’atipica causa fiduciae, dotati di efficacia reale156. Tali negozi devono reputarsi giuridicamente ammissibili tutte le volte in cui siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela; un’indagine in tal senso andrà condotta caso per caso avendo riguardo al rapporto obbligatorio, il quale si pone come causa dell’attribuzione patrimoniale, a sua volta mezzo indispensabile per permettere alle parti di raggiungere l’intento pratico espresso nello stesso contratto obbligatorio.
Eppure a fianco di tale impostazione si pone la ricostruzione di coloro157 i quali, pur non negando l’ammissibilità del negozio fiduciario, configurano il negozio fiduciario quale fattispecie complessa, risultante dal collegamento funzionale di due negozi, dei quali uno ha carattere esterno, cioè rilevanza erga omnes, ed effetti reali, mentre l’altro ha carattere interno, cioè rilevanza esclusivamente inter partes, ed effetti obbligatori158. Nonostante tali due negozi siano connessi da “un’unica finalità economica”159, essi devono essere considerati come distinti e separati, di guisa che ne
155 XXXXXXXXX Xxxxxxxx Xxxxxxx, voce Negozio fiduciario in Enciclopedia del diritto, vol. XXVIII, Xxxxxxx, Milano, 1978, 41; XXXXXXXX Xxxxxxxxx, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, Xxxxxxx, Milano, 1952, 561; XXXXXXXXX Xxx, voce Negozio giuridico. III)Negozio fiduciario in Enciclopedia Giuridica Treccani, XX, Roma, 1990, 4.
156 In tal senso Cass., 19 maggio 1960, n.1261, in Giustizia civile, I, 1960, 2131-2135, che definisce il negozio fiduciario quale negozio causale, unico ed inscindibile, diretto verso un determinato scopo unitario. Conformemente a quanto sostenuto nel precedente paragrafo, la Corte non nega che tale negozio sia composto da due lati, ma rileva come questi si integrino vicendevolmente in una fattispecie unitaria permeata dalla causa fiduciae e quindi concorrano a costituire un negozio unico.
157 XXXXXX Xxxxxx, Il negozio fiduciario, Xxxxxxx, Milano, 1964, 304 s.; XXXXX Xxxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, UTET, Torino, 1960, 324 ss.
158 In tal senso Trib. Milano, 18 aprile 1974, in Giurisprudenza Commerciale, 1975, II, 694, secondo cui nel negozio fiduciario sono configurabili due negozi strumentalmente collegati , uno con effetti reali e l’altro con effetti obbligatori.
159 XXXXXX Xxxxxx, Il negozio fiduciario, cit., 304.
segue la qualificazione del fenomeno fiduciario in termini di combinazione di negozi160; si avrebbe più precisamente l’“interferenza”161di un negozio traslativo astratto e di un negozio obbligatorio causale, atto e diretto a giustificare il primo.
In definitiva tale impostazione identifica la causa fiduciae nel nesso teleologico intercorrente tra contratto ad effetti reali e contratto obbligatorio, così svilendone la figura e la portata162.
Si deve però ritenere che, se si afferma la sussistenza di un’unica finalità o funzione economica, non si possa poi ignorare che il collegamento tra i due negozi, anziché risolversi sic et simpliciter nell’incidenza effettuale dell’uno sull’altro, si realizza più ampiamente sul terreno causale163. In altre parole dall’unica finalità o funzione economica discende, quale conseguenza necessaria, l’unitarietà della causa, proprio perché tali due concetti si identificano, consistendo la causa nella funzione socio-economica assolta dal negozio.
A scapito di tale ricostruzione dualistica, dobbiamo considerare che essa incorre nel rischio di condurre all’inammissibilità del negozio fiduciario nel nostro ordinamento, poiché, configurando il negozio traslativo quale negozio astratto, incappa nelle difficoltà relative alla configurabilità di quel negozio nel nostro ordinamento.
Si deve però tener conto di un consolidato orientamento giurisprudenziale, il quale, pur ravvisando nel negozio fiduciario il collegamento funzionale di due negozi, ne riconosce l’ammissibilità nel nostro ordinamento, assicurandogli conseguentemente adeguata tutela164. Non dobbiamo comunque tralasciare che tale corrente giurisprudenziale ha talvolta ridotto il ruolo del negozio obbligatorio a quello di negozio
160 XXXXXX Xxxxxx, Il negozio fiduciario, cit., 304.
161 XXXXX Xxxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 324.
162 DIURNI Xxxxxxxx, Fiducia. Tecniche e principi negoziali nell’Alto Medioevo, Giappichelli, Torino, 1992, 21.
163 XXXXXXXXX Xxxxxxxx Xxxxxxx, Negozio fiduciario, cit., 40, nota 84.
164 In tal senso Cass., 24 gennaio 1967, n.215, in Giurisprudenza italiana, 1967, I, 1258 e Cass., 7 agosto 1982, n.4438, in Massimario del foro italiano, 1982, 926, che ravvisano nel negozio fiduciario il collegamento di due negozi, l’uno di carattere esterno, avente piena efficacia di fronte ai terzi e l’altro avente carattere interno e natura obbligatoria, diretto a modificare il risultato finale del negozio esterno; Cass., 2 settembre 1953, n.2931, in Giurisprudenza italiana, 1954, I, 751, secondo cui il risultato di natura reale, e quindi la traslazione della proprietà, opera in collegamento con intese di natura obbligatoria; Cass., 18 aprile 1957, n.1331, in Giustizia civile: massimario annotato della Cassazione, 1957, 524 s., secondo cui nel rapporto fiduciario concorrono due negozi, l’uno dispositivo e l’altro obbligatorio, i quali, sebbene collegati, non sono fusi unitariamente, ma distinti; cfr. nello stesso senso Cass., 11 agosto 1952, n.2646, in Giur. compl. Cass. civ., 1952, III, 529; Cass., 19 febbraio 1971, n.435, in Massimario del foro italiano, 1971, 137; Cass., 23 luglio 1962, n.2035, in Massimario del foro italiano, 1962, 609; Cass., 27 febbraio 1962, n.378, in Massimario del foro italiano, 1962, 110.
accessorio e complementare, con funzione limitativa degli effetti del negozio traslativo, aderendo così a un’impostazione dottrinale da noi precedentemente criticata165.
Tra coloro che aderiscono alla tradizionale ricostruzione dualistica, non possiamo non menzionare chi166, al fine di invalidare qualsiasi condizione ostativa al riconoscimento nel nostro ordinamento del negozio fiduciario, reputa che il negozio traslativo non sia astratto e per ciò stesso inammissibile, bensì mantenga la causa tipica che gli è propria, di per sé capace di trasferire una proprietà piena.
Nell’ambito della complessa fattispecie fiduciaria tale proprietà, contestualmente al suo trasferimento, verrà gravata di oneri in virtù del contratto obbligatorio, rilevante esclusivamente inter partes. Indi per cui tra le parti opererà in concreto la causa del mandato e solo in astratto la causa della vendita: tra l’altro ciò spiegherebbe perché non possa essere preteso il prezzo della cosa. La causa della vendita opererà invece anche in concreto verso terzi, cosicché il fiduciario sarà, a tutti gli effetti, proprietario, con la conseguenza che nulla potrà impedire ai suoi creditori di soddisfarsi sul bene fiduciato.
Dal canto nostro possiamo anzitutto rilevare come tale impostazione contraddica il comune insegnamento, precedentemente accolto, in base al quale il fiduciario non è meno proprietario di fronte al fiduciante di quanto lo sia dinanzi a terzi. Se infatti si sostiene che nei rapporti tra fiduciario e fiduciante operi la causa del mandato e invece nei rapporti tra fiduciario e terzi operi la causa della vendita, si deve conseguentemente ritenere che la situazione reale di cui è investito il fiduciario si atteggi diversamente a seconda che sia posta in relazione ai terzi o al fiduciante: più precisamente al cospetto di terzi la proprietà del fiduciario rimarrebbe piena e perpetua, mentre al cospetto del fiduciante essa diverrebbe limitata ed interinale. Riteniamo pertanto di non poter accogliere tale ricostruzione.
In ultimo luogo riteniamo che la ricostruzione dualistica del fenomeno fiduciario, ovverosia in termini di fattispecie complessa o di combinazione di negozi, esuli dall’ambito della fiducia in senso proprio, in quanto il negozio fiduciario, per potersi veramente dire tale, postula una fattispecie semplice, animata da un’unitaria causa fiduciae167. Quest’ultima è, a nostro parere, meritevole di tutela e in quanto tale
165 In tal senso Cass., 3 aprile 1980, n.2159, in Massimario del foro italiano, 1980, 426; App. Napoli, 5 ottobre 1972, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1972, II, 862, secondo cui il negozio base, produttivo dell’effetto di natura reale, viene dalle parti corretto con una clausola di natura obbligatoria, l’adempimento della quale è affidato alla fiducia in chi si è reso titolare del diritto.
166 XXXXXXX Xxxxxxxxx, Trattato di diritto civile, vol. II, CEDAM, Padova, 2010, 472.
167 XXXXXXXXX Xxxxxxxx Xxxxxxx, Negozio fiduciario, cit., 43.
sufficiente a giustificare l’effetto traslativo, considerando che per il prodursi di tale effetto l’ordinamento pone due semplici condizioni: in primo luogo che nel negozio traslativo sia indicato l’assetto di interessi che il negozio stesso è diretto a realizzare e in secondo luogo che tali interessi siano meritevoli di tutela168.
Alla nostra posizione si contrappone quella di autorevole dottrina169 la quale, conformemente alla più risalente dottrina confutata nel paragrafo precedente, nega l’ammissibilità di un’atipica causa fiduciae con efficacia reale, in ossequio al dogma del numerus clausus delle cause ad effetti reali. In tal modo il principio della libertà contrattuale, sebbene ampiamente riconosciuto dall’articolo 1322, comma 2°, verrebbe circoscritto all’ambito dei negozi obbligatori. L’autonomia privata sarebbe infatti soggetta ai limiti posti dall’articolo 31 delle preleggi, cioè derivanti dall’ordine pubblico e dal buon costume, fra cui figura il numerus clausus dei diritti reali, al quale corrisponde necessariamente il numerus clausus dei negozi ad effetti reali. Ma tali argomentazioni sono state già smentite in precedenza.
Comunque, sempre secondo tale dottrina, un’atipica causa fiduciae sarebbe inammissibile nel nostro ordinamento in considerazione del risultato che essa produce, consistente in un diritto reale nuovo, diverso da quelli legislativamente contemplati, e perciò inammissibile alla luce del principio del numerus clausus dei diritti reali.
Infatti la causa fiduciae imporrebbe al destinatario della situazione reale una serie di norme comportamentali, quali l’obbligo di utilizzare la cosa trasferita in vista di uno scopo ben determinato e di ritrasferirla una volta esaurito quello scopo, non riconducibili allo schema della proprietà, in tal modo creando una proprietà limitata, in quanto sprovvista della facoltà di disposizione, e temporanea, in quanto priva di perpetuità. In altre parole alla causa fiduciae corrisponderebbe necessariamente, quale effetto, la costituzione di una proprietà fiduciaria, ovverosia di una proprietà formale, estranea al nostro ordinamento, il quale consentirebbe di apporre dei limiti al diritto di proprietà soltanto in funzione dell’interesse pubblico e non in ragione di un vantaggio privato170.
168 XXXXXXXX Xxxxxxx, Il problema dell’interposizione di persona, Xxxxxxx, Milano, 1962, 134.
169 XXXXXXXXX Xxxxxxxxx, Fiducia e rappresentanza indiretta in Diritto civile. Xxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1951, 269 ss.
170 XXXXXXXXX Xxxxxxxxx, La proprietà nel nuovo diritto, Xxxxxxx, Milano, 1964, 16 ss.
In senso contrario s’è replicato171 che il nostro ordinamento non è allergico a fattispecie di proprietà formale o comunque limitata, in quanto, in nome del principio generale della libertà contrattuale, i privati possono graduare in base ai propri interessi le situazioni reali che rappresentano il prodotto dell’autonomia negoziale, incidendo sulla distribuzione degli obblighi e delle facoltà inerenti a tali situazioni, come è dimostrato dalle alienazioni sub modo di un determinato utilizzo del bene o dai divieti negoziali di alienazione. In definitiva sarebbe possibile porre dei limiti alla proprietà non solo in ragione dell’utilità pubblica o collettiva, ma anche in nome dell’interesse individuale.
Si ponga mente, quale chiaro esempio di proprietà formale, alla titolarità del mandatario senza rappresentanza172 che abbia acquistato beni immobili in nome proprio ma per conto del mandante: tali beni sono sottratti, purché siano osservate le forme di pubblicità stabilite dall’articolo 1707 del codice civile, all’azione esecutiva dei creditori del mandatario, in quanto il diritto di quest’ultimo mira a soddisfare un interesse del mandante, in capo al quale saranno infatti riversati gli effetti dell’intera operazione economica. L’articolo 1707 del codice civile dimostrerebbe come la rilevanza della proprietà formale non sia limitata inter partes, bensì si esplichi erga omnes, purché siano osservate le regole sulla pubblicità, poste a salvaguardia dei terzi.
Anche la vendita con patto di riscatto o alienazione dei beni in garanzia, in sostanza coincidente con la fiducia cum creditore, darebbe luogo a una “proprietà vincolata all’interesse del venditore”173, in quanto il debitore-fiduciante può riottenere il bene alienato. Occorre inoltre considerare che spesso nella prassi tale vendita si configura come trasferimento della titolarità senza possesso, al fine di soddisfare ad un tempo sia l’esigenza di garanzia del credito propria dell’acquirente-creditore che l’esigenza di continuare ad utilizzare il bene alienato propria del debitore-alienante.
Ricorrerebbe poi una proprietà provvisoria ogniqualvolta il proprietario di un certo bene abbia stipulato un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto lo stesso. Egli ha infatti l’obbligo, alla data convenuta nel contratto preliminare, di vendere il bene al promissario acquirente, che, in caso di inadempimento, può ottenere una
171 XXXXXXXXX Xxx, voce Negozio giuridico. III)Negozio fiduciario in Enciclopedia Giuridica Treccani, XX, Roma, 1990, 4; XXXXXXXX Xxxxx, Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxxxx, vol. I, Xxxxxxx, Milano, 1980, 433 ss.
172 COSTANZA, Numerus clausus dei diritti reali, cit., 435, 437; CARNEVALI, Negozio giuridico. III)Negozio fiduciario, cit., 4.
173 COSTANZA, Numerus clausus dei diritti reali, cit., 435.
sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso e gli attribuisca dunque la titolarità del bene. Anche tale fattispecie di proprietà formale non ha una rilevanza confinata ai rapporti inter partes, ma è opponibile nei confronti dei terzi, alla sola condizione che siano osservate determinate forme di pubblicità e cioè, in concreto, che sia trascritto il contratto preliminare avente ad oggetto diritti reali immobiliari.
Da tali considerazioni segue che la privata autonomia può variamente configurare i diritti reali, al fine di adattarne la fisionomia alle proprie esigenze e ai propri interessi, purché meritevoli di tutela174. Tale opinione è suffragata da chi175 ritiene che, anche a voler deporre per la tassatività dei diritti reali, non è dimostrabile che tali diritti siano dotati di una struttura assolutamente rigida e pertanto immodificabile da parte dei privati. In altre parole, se anche fosse esclusa la configurabilità di diritti reali nuovi, sarebbe comunque fatta salva la possibilità di modificare la struttura, i contenuti e quindi la disciplina dei diritti reali oggetto dell’attività negoziale.
In tale prospettiva, tale corrente dottrinale accredita presso il nostro ordinamento un’atipica causa fiduciae, ravvisandone la peculiarità nella produzione di una proprietà fiduciaria, cioè di una proprietà formale come tale ammissibile nel nostro ordinamento, vincolata nell’interesse di un soggetto privato e rilevante verso terzi nei limiti in cui è opponibile a costoro il titolo di acquisto.
Dal canto nostro, pur aderendo in linea di principio a tale corrente dottrinale, in quanto riconosciamo l’ammissibilità nel nostro ordinamento di ipotesi di proprietà formale, riteniamo di non poter estendere le conclusioni cui essa perviene alla causa fiduciae, sulla base delle seguenti considerazioni. Se infatti configurassimo la causa fiduciae come produttiva di una proprietà fiduciaria, cioè limitata nel tempo e nei poteri spettanti all’accipiente, verremmo a perdere di vista la potestà d’abuso, da noi riguardata come la sola vera caratteristica del negozio fiduciario, in quanto, come fatto notare da un autorevole autore176, l’abuso si può configurare solo in relazione a situazioni giuridiche soggettive che non nascono già limitate.
Pertanto, al fine di confutare la tesi che nega l’ammissibilità della causa fiduciae in quanto produttiva di una proprietà formale estranea al nostro ordinamento, non ci viene in aiuto dimostrare che tale tipologia di proprietà non sia ignota al nostro
174 COSTANZA, Numerus clausus dei diritti reali, cit., 436.
175 XXXXXXX Xxxxx, Utilità e interesse nelle servitù prediali, Xxxxxxx, Milano, 1974, 38 s.
176 XXXXXX Xxxxxx, Il negozio fiduciario, Xxxxxxx, Milano, 155.
ordinamento, ma possiamo utilmente ribadire quanto affermato nel paragrafo precedente, e cioè che tale tesi trae la propria ragion d’essere da un principio il quale, sebbene non illogico ictu oculi, è sprovvisto di base normativa nel nostro ordinamento. Questo è il principio della necessaria congruenza tra la causa e gli effetti del negozio, in base al quale una causa non può giustificare effetti più ampi di quelli che sarebbero sufficienti a realizzarla e pertanto, più specificamente, la causa fiduciae non può giustificare la traslazione di una proprietà piena, ma solo di una proprietà limitata. In definitiva che la causa fiduciae debba necessariamente produrre una proprietà formale è supposizione della dottrina e non regola precettiva ricavabile dall’ordinamento.
Dobbiamo adesso esaminare l’opinione di chi177, pur ponendo quale premessa dei suoi ragionamenti la costruzione binaria, ritiene che l’intento fiduciario, cioè in sostanza la causa fiduciae, non risieda nel rapporto obbligatorio, ma sia il risultato della costruzione binaria stessa e pertanto consista formalmente in una “pluralità di intenti tra loro collegati” e sostanzialmente in un fine che non si esaurisce nella causa tipica del negozio traslativo.
Tale opinione fraintende evidentemente l’insegnamento, precedentemente accolto, secondo cui è il patto obbligatorio a esprimere lo scopo avuto di mira dalle parti e a contenere quindi la causa fiduciae, interpretandolo indebitamente nel senso che il negozio obbligatorio è “tale da realizzare effettivamente l’intento fiduciario”. Alla luce di tale distorta interpretazione, essa obietta che l’intento fiduciario deve invece essere riferito alla costruzione binaria nel suo complesso, che altrimenti non avrebbe ragion d’essere.
Dal canto nostro riteniamo sia opportuno tener ferma la causa fiduciae nel negozio obbligatorio, poiché quest’ultimo soltanto è espressivo dello scopo avuto di mira dalle parti e quindi della causa in senso materiale. Quanto all’attribuzione patrimoniale, essa rimane comunque necessaria in quanto mezzo indispensabile per realizzare l’intento perseguito, in relazione al quale possiede quell’attitudine satisfattiva che non riscontriamo nel negozio obbligatorio.
Alla luce delle nostre considerazioni, è quindi evidente come il lato reale, provvisto di attitudine satisfattiva in relazione allo scopo avuto di mira, e il lato obbligatorio, espressivo dello scopo avuto di mira, si integrino reciprocamente nel negozio fiduciario, essendo l’uno manchevole del proprium dell’altro e viceversa, e
177 BOLOGNA Italo, Considerazioni sui negozi fiduciari in Rivista di diritto civile, 1955, I, 631 s.
concorrano quindi a costituire un’unità funzionale, la quale consente di configurare un’autonoma causa fiduciae.
Quanto alle posizioni più recenti, alcuni xxxxxx000 hanno ravvisato nel negozio fiduciario la combinazione di più cause tipiche, precisamente di vendita e di mandato, riconducendolo così tra i contratti collegati. Infatti il negozio traslativo e quello obbligatorio non sono semplicemente giustapposti, bensì, sebbene sussumibili entro distinti schemi causali, sono funzionalmente collegati al fine di realizzare un fine pratico unitario. Il collegamento funzionale spiega d’altronde la ragione per cui il fiduciario non deve pagare il prezzo, senza essere per ciò stesso considerato inadempiente.
Il negozio fiduciario costituirebbe invece un contratto con causa mista, e più in particolare vendita mista a mandato, qualora la regolamentazione dell’intero rapporto sia dettata da un solo contratto. Si adduce quale esempio di tale ultima fattispecie l’intestazione di titoli azionari alla società fiduciaria, finalizzata alla gestione degli stessi.
Tale impostazione, che si prefigge di negare la configurabilità di un’autonoma causa fiduciae, è in realtà atta esclusivamente a dissimularla. Anche in tal caso, come già in relazione alla teoria dei negozi traslativi causali tipici adattati ad altri scopi, possiamo obiettare che il negozio fiduciario, scacciato dalla porta, rientra dalla finestra.
Infatti, con riguardo all’identificazione del negozio fiduciario con i contratti collegati, è facile rilevare come il fine pratico unitario perseguito attraverso l’insieme dei contratti coincida con la causa fiduciae, rediviva perlomeno dal punto di vista materiale.
Quanto al contratto con causa mista, è noto che in tale particolare categoria negoziale, ferma restando l’unitarietà del contratto, può realizzarsi la fusione o la concorrenza delle cause, a seconda che queste siano rispettivamente compatibili o incompatibili tra loro. Nella prima ipotesi le cause si compenetrano vicendevolmente concorrendo a “realizzare un interesse unitario sul piano pratico-economico”179, mentre nella seconda ipotesi, che si concreta ad esempio nella vendita mista a donazione, il contratto si giustifica in parte in una causa e in parte nell’altra.
178 XXXXXXXX Xxxxxxx, Fiducia, simulazione, contratto indiretto in Diritto civile diretto da Xxxxxx Xxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx, vol. III, Xxxxxxx, Milano, 2009, 837 s.
179 XXXXXX Xxxxxx Xxxxxxx, Diritto civile, vol. III Il contratto, Xxxxxxx, Milano, 2000, 479.
Pertanto, se si arrivasse ad affermare che nel negozio fiduciario si realizza semplicemente una concorrenza di cause, si dovrebbe coerentemente negare la configurabilità di un’unitaria causa fiduciae. Riteniamo però di poter deporre nel senso della compatibilità tra la causa di mandato e la causa di vendita e quindi per la loro fusione, trovando avallo a tale conclusione anche in giurisprudenza180. È poi evidente, a nostro parere, che la fusione di tali due cause sortirà quale effetto naturale la creazione della causa fiduciae.
Sempre di recente, ma da un differente angolo visuale, è stato sferrato un altro attacco avverso la causa fiduciae, asserendo181 che essa costituisce semplicemente il motivo del trasferimento fiduciario, il quale verrebbe a realizzarsi in virtù della causa propria del negozio traslativo tipico utilizzato. Il contratto obbligatorio, ridotto al ruolo di “clausola fiduciaria”, avrebbe esclusivamente la funzione di correggere gli effetti del negozio traslativo, piegandolo ad un fine ulteriore, e così esprimerebbe nient’altro che il motivo per il quale il trasferimento viene effettuato.
Tale impostazione revoca in dubbio il comune insegnamento, da noi accolto, secondo cui la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale è rappresentata dall’effetto obbligatorio. Essa ricalca sostanzialmente quella dottrina che ammetteva la possibilità di adattare i negozi traslativi causali a scopi diversi e minori dei loro scopi tipici, cosicché possiamo valerci dello stesso ordine di obiezioni precedentemente sollevate, in base alle quali la causa fiduciae, sebbene formalmente relegata nell’ambito dei motivi, vale materialmente a giustificare la traslazione della proprietà, operata in virtù dell’intento socio-economico a detta causa corrispondente.
Tale tesi rivela inoltre un’intima contraddittorietà nel momento in cui afferma che il motivo fiduciario, contenuto nel patto obbligatorio, fa del trasferimento un mezzo per raggiungere un fine ulteriore, espresso anch’esso nella clausola obbligatoria. È infatti evidente che, se si riduce il trasferimento a mero mezzo per perseguire un fine ulteriore, non si può poi sostenere che esso sia animato dalla causa tipica del negozio traslativo utilizzato; al contrario il trasferimento dovrà ritenersi giustificato da quel fine
180 In tal senso Cass., 26 settembre 1979, n.4961, in Giurisprudenza italiana, 1980, I, 1545, che qualifica l’accordo col quale una società si obbliga a svolgere un’attività promozionale per la diffusione di un prodotto ottenendo l’esclusiva della vendita del prodotto stesso quale contratto sinallagmatico misto ove si realizza la commistione di vendita e mandato, seppur con prevalenza della prima.
181 XXXXXXX Xxxxxxx, XXXXXXX Xxxxxxxx, XXXXXXXX Xxxxxxx, Il sistema del diritto privato, UTET, Torino, 2001, 259 s.
ulteriore alla cui realizzazione è necessario: fine ulteriore riposto nel patto obbligatorio e coincidente con la causa fiduciae.
Dobbiamo in ultimo luogo esaminare l’impostazione alternativa182 secondo cui la causa fiduciae è inidonea ad esprimere la concreta ragione giustificativa del trasferimento fiduciario e vale piuttosto a descrivere quel combinarsi di effetti reali e obbligatori tipico del contratto fiduciario, la causa del quale dovrebbe rinvenirsi fuori del meccanismo fiduciario. Sostenere infatti che il contratto fiduciario sia fondato sulla causa fiduciae è “tautologico e autoreferenziale” quanto sostenere che la causa della procura consista nel conferire poteri rappresentativi.
Più specificamente ricorrerebbe una causa di scambio nell’ipotesi di intestazione di titoli azionari a una società fiduciaria: scambio tra il servizio reso da tale società e il corrispettivo con cui l’azionista-fiduciante lo remunera. Sussisterebbe poi una causa di garanzia in caso di fiducia cum creditore. In ultimo luogo si avrebbe una causa di scambio in senso concreto ogniqualvolta l’attivazione del meccanismo fiduciario non risponda all’esclusivo interesse del fiduciante, ma si fondi anche su qualche percepibile vantaggio o utilità del fiduciario. Viceversa il negozio fiduciario sarebbe nullo per mancanza di causa ove l’impegno venga assunto da un fiduciario completamente disinteressato, il quale non tragga alcun vantaggio dall’operazione economica.
È evidente come l’adesione a tale impostazione conduca a conseguenze inaccettabili, quali la nullità, per mancanza di causa, di tutte le esplicazioni della fiducia cum amico, anche detta fiducia pura o altruistica, dai noi riguardata come forma originaria di fiducia.
Dal canto nostro possiamo replicare che la causa fiduciae non costituisce una formula vuota e generica, ma è capace di dar conto dell’assetto di interessi realizzato dalle parti.
Quanto alla fiducia cum amico, abbiamo rilevato in precedenza che la causa fiduciae consiste nel dare per aver da riavere: tale formula ben rende l’idea dell’assetto di interessi realizzato dalle parti, rispondente all’esclusiva o prevalente utilità del fiduciante, il quale si trova in una situazione per cui gli è più vantaggioso vantare un credito alla restituzione di un determinato bene che mantenere la proprietà di quel bene.
Quanto alla fiducia cum creditore, abbiamo in precedenza rilevato come la
causa fiduciae consista nella costituzione di un diritto di credito alla restituzione dello
182 XXXXX Xxxxxxxx, Il contratto, Xxxxxxx, Milano, 2001, 683 s.
stesso bene trasferito, diritto la cui esigibilità è subordinata all’esaurimento dello scopo di garanzia: formula ben idonea ad esprimere l’assetto di interessi realizzato dalle parti, corrispondente all’esigenza di garantire il credito dell’acquirente e quindi alla funzione di garanzia.
CAPITOLO 2: STRUTTURA DEL NEGOZIO FIDUCIARIO E CLASSIFICAZIONI
2. 1. Fiducia di tipo romanistico e fiducia di tipo germanico: critica
La dottrina, animata da intenti chiarificatori e mossa da fini didattici, è stata spesso incline a fornire spiegazioni univoche e immediate del fenomeno fiduciario, ad onta della sua singolare complessità e a scapito della fedeltà all’evoluzione storica di tale istituto e dell’aderenza ai dati normativi e negoziali.
Come s’è tentato di esaurire nella bipartizione fiducia cum amico - fiducia cum creditore il caleidoscopio di finalità concretamente perseguite dai privati attraverso il fenomeno fiduciario, così, a fronte dei diversi modelli di negozio fiduciario riscontrabili nel corso della storia in differenti tradizioni giuridiche, tali modelli sono stati ipostatizzati nella schematizzazione dualistica fiducia di tipo germanico - fiducia di tipo romanistico, concepita dalla Pandettistica tedesca nella seconda metà del diciannovesimo secolo.
All’interno di questa grande scuola di pensiero possiamo infatti riscontrare due correnti ad un tempo opposte e complementari. La prima, più antica, ha elaborato, traendola dal diritto romano, la costruzione romanistica della fiducia, connotata dall’attribuzione di un diritto incondizionato, mentre la seconda ha ideato, desumendola dal diritto germanico, la costruzione germanistica della fiducia, contraddistinta al contrario dall’attribuzione di un diritto risolutivamente condizionato. L’antitesi tra tali due costruzioni costituirebbe così una dicotomia onnicomprensiva dei possibili modelli di negozio fiduciario.
La distinzione tra la fiducia romanistica, caratterizzata da un’attribuzione piena e illimitata, circoscritta solo inter partes con effetti obbligatori, e la fiducia germanistica, che riserva al fiduciante un’incidenza di carattere reale sul diritto trasmesso, il quale risulta così perfettamente commisurato allo scopo perseguito, fu ideata per primo da Xxxxxx Xxxxxxxx0, il quale la dedusse da una fondamentale differenza che aveva riscontrato tra la romana mancipatio fidi fiduciae causa e la germanica Treuhand. Precisamente nella prima la pienezza della proprietà acquistata dal fiduciario sul bene
1 XXXXXXXX Xxxxxx, Die langobardische Treuhand und ihre Umbildung zur Testamentsvollstreckung, cit., 95 ss.; Id., Treuhaender im geltenden buergerlichen Recht in Jherings Jahrbuecher fuer die Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxxxx Xxxxxx, 0000, 0 xx.
xxxxxxxxx x xx xxxxxx soltanto obbligatoria dell’intesa fiduciaria precludeva al fiduciante di recuperare il bene che il fiduciario avesse illegittimamente alienato ad un terzo, mentre nella seconda, poiché la situazione giuridica reale del fiduciario era correlata a una condizione risolutiva, il fiduciante conservava il diritto di rivendicare dal terzo il bene che il fiduciario gli avesse illegittimamente alienato. L’apposizione della condizione risolutiva limita, secondo Schultze, il potere del fiduciario, il quale non sarebbe più proprietario, ma semplice titolare di un diritto reale su cosa altrui2.
In tale prospettiva dualistica la fiducia di tipo romanistico deriverebbe della romana mancipatio fidi fiduciae causa e sarebbe quindi tipica degli ordinamenti romanistici e in senso più ampio della tradizione giudica romana, mentre dalla germanica Treuhand discenderebbe la fiducia di tipo germanico, modello fiduciario proprio degli ordinamenti germanici e in senso più ampio della tradizione giuridica germanica. Pertanto il fenomeno fiduciario, pur svolgendo la medesima funzione e rispondendo alla medesima ratio in tali due distinte tradizioni giuridiche, assume nell’una e nell’altra struttura e configurazione differenti, di guisa che dovrebbero configurarsi due modelli paradigmatici di fiducia, i quali, sebbene appartengano allo stesso ceppo e siano quindi sussumibili entro un unico schema concettuale, devono tenersi distinti.
Precisamente la linea distintiva tra la fiducia romanistica e la fiducia germanistica sarebbe rappresentata, in base alla ricostruzione di Xxxxxxxx0 e secondo la formulazione di un autorevole autore italiano, “dall’essenza e dai limiti del potere giuridico conferito al fiduciario”4.
Nella fiducia romana al fiduciario viene attribuita una situazione giuridica reale piena e incondizionata, non limitata né gravata dallo scopo dell’attribuzione, il quale opera “solo indirettamente per la via del rapporto obbligatorio”5 tra fiduciante e fiduciario. Al carattere obbligatorio del rapporto tra fiduciante e fiduciario corrisponde coerentemente il carattere obbligatorio della tutela accordata al fiduciante: la violazione di tale rapporto, coincidente con l’utilizzo arbitrario o la disposizione illegittima del bene fiduciato da parte del fiduciario, dà luogo esclusivamente alla tutela risarcitoria.
2 XXXXXXXX, Treuhaender im geltenden buergerlichen Recht, cit., 12. 3 XXXXXXXX, Treuhaender im geltenden buergerlichen Recht, cit., 6 ss. 4 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 10.
5 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 10.
Secondo la formulazione di un autorevole autore, “la determinazione dello scopo non opera realmente, né contro il fiduciario, né contro i terzi”6, cioè il rapporto obbligatorio, espressivo dello scopo, non è in alcun modo idoneo a rimuovere con effetto reale l’abuso del fiduciario7. Se quindi il fiduciario aliena il diritto ad un terzo contro l’intesa col fiduciante, quest’ultimo perde irrimediabilmente il diritto. Nella fiducia romanistica è caratteristica della posizione del fiduciario, in quanto investito pienamente del diritto di fronte a terzi, compreso lo stesso fiduciante, la potestà d’abuso8.
Al contrario nella fiducia germanica i limiti apposti alla proprietà in vista della sua destinazione a un determinato scopo non ricadono nel lato interno del negozio, cioè nel rapporto obbligatorio tra fiduciante e fiduciario, ma ne interessano il lato esterno, incidendo con efficacia reale sul diritto del fiduciario9.
Nel diritto germanico la determinazione dello scopo assume dunque un ruolo più consistente: non si limita ad esercitare un’ influenza indiretta, per il tramite del rapporto obbligatorio, ma influisce direttamente, in virtù dell’apposizione di una condizione risolutiva al trasferimento della proprietà, sulla sfera del potere giuridico attribuito al fiduciario. Poiché il fiduciario acquista un diritto di proprietà limitato da una condizione risolutiva, la quale è dotata di efficacia reale, qualunque uso di tale diritto contrario allo scopo convenuto dalle parti è sanzionato dalla condizione risolutiva con la perdita del diritto stesso. Si rende in tal modo “realmente inefficace ogni uso contrario allo scopo, il quale provoca un ritorno del bene al fiduciante o agli eredi, anche a danno del terzo acquirente”10.
Non può dunque dirsi che sia caratteristica della fiducia germanica la potestà d’abuso: nel momento in cui l’abuso stesse per compiersi, verrebbe meno per ciò stesso il potere conferito al fiduciario e quindi l’atto di abuso non riuscirebbe a ledere le aspettative e ad intaccare i diritti del fiduciante11.
Quanto alla condizione risolutiva, essa può assumere fisionomia diversa a seconda dello scopo concretamente perseguito. Si deve però ritenere che alcune
6 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 10.
7 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 24.
8 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 25.
9 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 25 s.
10 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 10.
11 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 26.
condizioni ricorrano inderogabilmente12: la morte o il fallimento del fiduciario; l’atto abusivo del fiduciario, che si concreta ogniqualvolta il fiduciario, contravvenendo ai suoi obblighi, utilizza o dispone del diritto a proprio vantaggio e comunque per scopi difformi dallo scopo stabilito; l’esaurimento la sopravvenuta impossibilità dello scopo13. In definitiva sarebbe differenza fondamentale tra la fiducia germanistica e la fiducia romanistica che nella prima il potere è correlato alla condizione risolutiva, mentre nella seconda il potere è senza controllo, non essendo stabilito alcun limite in
ordine alla disponibilità della cosa14.
Come ha rilevato un autorevole autore italiano15, la differenza tra fiducia romana e fiducia germanica non è limitata al solo profilo strutturale, ma involge più ampiamente l’indole e la natura di questi due modelli. Infatti nella fiducia germanica lo scopo espresso nel rapporto obbligatorio, riverberandosi sulla situazione giuridica reale, la condiziona risolutivamente e così rende impossibile un abuso della stessa, la quale, per tal motivo, non può essere considerata autenticamente fiduciaria.
Dal canto nostro, riteniamo di dover concordare con tale autore, sulla base del comune insegnamento, da noi precedentemente accolto, secondo cui la vera caratteristica del negozio fiduciario è la potestà d’abuso. Quest’ultima non si riscontra nella fiducia germanica, poiché, in tale modello, secondo un principio asserito da alcuni autori16, il diritto trasferito in capo al fiduciario è perfettamente proporzionato allo scopo avuto di mira dalle parti. Riteniamo di poter condividere tale principio in quanto, individuando il proprium del modello germanico nella proporzione tra diritto e scopo, non vale a negare il comune insegnamento secondo il quale ogni negozio fiduciario, anche di stampo romanistico quindi, risulta caratterizzato dalla congruenza tra il mezzo e lo scopo avuto di mira dalle parti.
La bipartizione fiducia germanica - fiducia romanistica è destinata a sollevare una gran questione relativamente all’individuazione della costruzione fiduciaria cui ricorrere in linea di massima. In altre parole da tale dicotomia discende inevitabilmente
12 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 11 s.
13 XXXXXXXXX Xxx, Negozio giuridico. III)Negozio fiduciario in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. XX, 1990, 1 s.
14 DIURNI, Fiducia. Tecniche e principi negoziali nell’Alto Medioevo, cit., 26.
15 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 12, nota 3.
16 XXXXXXX, Il negozio fiduciario, cit., 199; XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 891.
l’interrogativo circa quale configurazione debbano assumere, nella normalità dei casi, i negozi fiduciari.
Schultze, con riguardo al diritto tedesco, scioglie tale nodo in favore della costruzione germanistica. Egli fonda la sua soluzione sulla tradizione storico-giuridica e precisamente sulla continuità della fiducia dell’attuale diritto tedesco con la fiducia propria del diritto germanico.
Secondo Schultze, la differente configurazione assunta dal fenomeno fiduciario nell’ordinamento romano e in quello germanico può spiegarsi considerando la differente attuazione che il principio di pubblicità delle situazioni giuridiche reali ebbe in questi due ordinamenti.
Infatti nel diritto romano, caratterizzato dalla mancanza di un sistema di pubblicità, tutti i diritti reali erano intrinsecamente opponibili erga omnes, a prescindere dalla loro riconoscibilità. Indi per cui, al fine di preservare la sicurezza del traffico giuridico, si escluse la possibilità di limitare con efficacia reale le situazioni giuridiche reali e di conseguenza la configurabilità di un negozio traslativo condizionato risolutivamente, proprio in quanto limitato con efficacia reale.
Invece nel diritto germanico, poiché vigeva il principio per cui i terzi non potevano essere lesi dalle limitazioni non rese pubbliche, sebbene aventi efficacia reale inter partes, non v’era alcun ostacolo ad ammettere con riguardo a qualsivoglia negozio traslativo, ivi compreso quello fiduciario, una limitazione di carattere reale, quale la condizione risolutiva17. Poiché nell’ambito della tradizione giuridica germanica i principi circa la pubblicità sono rimasti immutati, secondo Schultze deve tenersi ferma per tale tradizione, e di conseguenza per l’attuale diritto tedesco, la costruzione fiduciaria corrispondente.
La costruzione germanistica, assurta così a schema fiduciario di riferimento per la tradizione giuridica germanica, trova però un grave ostacolo proprio nell’ordinamento tedesco e precisamente nel paragrafo 925 del BGB, che vieta l’apposizione di qualunque condizione al trasferimento della proprietà dei fondi.
Secondo Xxxxxxxx00 tale ostacolo può superarsi per mezzo dell’istituto della prenotazione (Vormerkung) di cui al paragrafo 883 del BGB, in base al quale chiunque sia titolare di un diritto di credito, avente ad oggetto il trasferimento o la costituzione di
17 XXXXXXXX, Treuhaender im geltenden buergerlichen Recht, cit., 15 ss.
18 XXXXXXXX, Treuhaender im geltenden buergerlichen Recht, cit., 19 ss.
un diritto reale immobiliare, può, iscrivendo una prenotazione relativa all’immobile in questione, tutelare in via reale il proprio credito19. Quindi il fiduciante può, iscrivendo la prenotazione nei registri immobiliari, assicurare alla propria pretesa giuridica, di natura obbligatoria, ma relativa al ritrasferimento del bene e quindi a una modificazione giuridica di carattere reale, una tutela di carattere reale, così limitando immediatamente la proprietà del fiduciario sul fondo. Il fiduciante, in base ai paragrafi 883-888 del BGB, prevarrà su tutti i terzi, anche in buona fede, che acquistino diritti sul fondo mediante un atto dispositivo del fiduciario successivo all’iscrizione della prenotazione e in contrasto con lo scopo convenuto dalle parti.
Schultze infine sostiene apoditticamente l’esistenza di una presunzione a favore della fiducia germanica, la quale deve guidare l’interprete nel ricostruire la volontà delle parti20.
Si può opporre allo Schultze un’obiezione decisiva, fondata sulle seguenti osservazioni21.
Innanzitutto la fiducia di tipo germanico ricorre solo quando è dimostrato che le parti hanno voluto apporre al trasferimento fiduciario una condizione risolutiva. Poiché le condizioni possono essere apposte anche tacitamente, è possibile, qualora ne ricorrano gli estremi, dimostrare che i contraenti un determinato negozio hanno voluto apporvi una condizione, sebbene non l’abbiano esplicitata. Ma non è lecito, dal momento che l’apposizione della condizione postula una conforme volontà delle parti in tal senso, stabilire a priori che un’intera categoria di negozi giuridici sia intrinsecamente sottoposta a condizione.
Infine non si può avallare, quale criterio interpretativo della volontà negoziale, la presunzione a favore della fiducia germanica, in quanto sprovvista di qualsivoglia base normativa nell’ordinamento tedesco così come nel nostro. Tale presunzione non può ammettersi nemmeno nei casi dubbi, in quanto non si può, al fine di sciogliere un nodo interpretativo, limitare in maniera tanto rilevante la volontà delle parti22. Occorre inoltre rilevare che la presunzione a favore della fiducia germanica, in quanto fondata soprattutto sulla tradizione storico-giuridica, a maggior ragione non potrebbe valere
19 XXXXXXXX Xxxxxx, voce Pubblicità immobiliare in Digesto delle Discipline Privatistiche Sezione Civile, vol. XVI, 1997, 129.
20 SCHULTZE, Treuhaender im geltenden buergerlichen Recht, cit., 103.
21 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 15.
22 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 16.
negli ordinamenti giuridici latini, in cui, a voler ammettere una presunzione basata sui precedenti storico-giuridici, si dovrebbe sostenere la presunzione contraria23.
Lo Schoeny24 aderisce alla tesi dello Schultze adducendo quale argomento la norma interpretativa in virtù della quale i contratti devono essere interpretati secondo buona fede (paragrafo 157 BGB, articolo 1366 codice civile italiano).
Si può replicare allo Xxxxxxx che la buona fede, intesa quale linea-guida interpretativa, non può importare che una determinata categoria di negozi giuridici debba ritenersi in linea di principio sottoposta a condizione; la nostra obiezione vale a maggior ragione per i negozi fiduciari, ove l’elemento fiduciario, cioè l’affidamento riposto da una parte nella fides dell’altra, mal sopporta la previsione di strumenti di tutela dell’una avverso l’altra, quali l’apposizione della condizione risolutiva25.
Come sopra detto, la fiducia di tipo germanico trova un serio ostacolo alla sua ammissibilità proprio nell’ordinamento tedesco, in virtù di quella norma precitata che vieta l’apposizione di qualunque condizione al trasferimento di fondi. A nulla vale l’obiezione dello Schultze, che individua un rimedio nell’istituto della prenotazione, in primo luogo perché il ricorso a tale istituto richiede una diligenza al di sopra della media e deve quindi ritenersi insolito per le parti e soprattutto perché la prenotazione non farebbe salva la costruzione germanistica della fiducia, la quale postula una condizione risolutiva.
La prenotazione non può infatti essere equiparata ad una condizione risolutiva, dalla quale differisce profondamente, in primo luogo dal punto di vista ontologico, in quanto la prenotazione è uno strumento di pubblicità dichiarativa, mentre la condizione è un elemento accidentale del contratto, e in secondo luogo dal punto di vista effettuale, poiché la prenotazione, pur garantendo, anche di fronte a terzi, il fiduciante da atti dispositivi infedeli, non determina ipso iure il ritorno dei beni al fiduciante al pari dell’avverarsi di una condizione risolutiva26. Infatti il fiduciante tutelato dalla prenotazione, a fronte di un atto dispositivo lesivo del suo diritto di credito, può soltanto ingiungere al fiduciario inadempiente di compiere nei suoi confronti l’Auflassung, dichiarazione di natura astratta idonea, purché iscritta nei registri immobiliari, alla
23 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 17.
24 XXXXXXX, Treuhandgeschaefte in Archiv fuer Buergerliches Recht, XXXV, 1910, 306.
25 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 15 s.
26 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 16.
traslazione del diritto reale immobiliare. Se il fiduciario non ottempera, la dichiarazione può essere sostituita da una sentenza di esecuzione forzata27.
La prenotazione quindi non determina, al contrario della condizione risolutiva, alcun meccanismo automatico di restituzione del bene.
Quanto alla validità della schematizzazione sopra esaminata, riteniamo anzitutto che la sigla “di tipo romanistico” o “di tipo germanico” sia fuorviante, in quanto questi due modelli fiduciari rappresentano non tanto il portato di due differenti tradizioni giuridiche quanto il risultato di un’elaborazione dottrinale che, sebbene non aprioristica, costringe entro rigide gabbie concettuali un’esperienza negoziale e normativa poliedrica e millenaria. Pertanto sembra più opportuno parlare di una costruzione fiduciaria romanistica e di una costruzione fiduciaria germanica.
In secondo luogo è stata revocata in dubbio la riconducibilità della fiducia romanistica e della fiducia germanica alla tradizione giuridica cui rispettivamente si richiamano, ravvisandosi in tali due modelli il risultato di una tipizzazione dottrinale astratta da qualsivoglia evoluzione storica28. Essi sarebbero quindi degli schemi negoziali derivati da istituti antichi, dei quali però non riproducono la fisionomia29. Tali conclusioni, seppur eccessive, possono essere in larga parte accolte.
È legittimo infatti ritenere che l’antitesi fiducia romana - fiducia germanica sia troppo semplicistica e immediata per poter rappresentare fedelmente ed esaurientemente un’esperienza giuridica complessa e articolata quale quella fiduciaria30. Tali due modelli fiduciari, in quanto costituiscono categorie statiche, non possono rendere ragione del percorso dinamico tracciato durante i secoli dalla fiducia nello spazio giuridico europeo e quindi non possono rappresentare l’esatto risultato di una ricostruzione storica fedele e veridica. Questa semplificazione manichea del fenomeno fiduciario, sebbene abbia una qualche efficacia descrittiva, non può essere assolutizzata, in quanto evocativa di una netta contrapposizione tra due visioni della fiducia, ciascuna propria di una distinta tradizione giuridica, che non si riscontra né nella storia, né nel presente31.
Si può infatti facilmente rilevare come ciascuno di questi modelli non sia esclusivo della tradizione giuridica alla quale la sigla “di tipo germanico” o “di tipo
27 XXXXXXXX Xxxxxx, voce Pubblicità immobiliare, cit., 129.
28 LIPARI, Il negozio fiduciario, cit., 78.
29 PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, cit., 243.
30 DIURNI, Fiducia. Tecniche e principi negoziali nell’Alto Medioevo, cit., 28.
31 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 892.
romanistico” vorrebbe riferirlo, ma sia o sia stato praticato anche in aree giuridiche differenti.
Nel diritto germanico, come si è precedentemente osservato, erano praticati anche trasferimenti fiduciari incondizionati e quindi forme di fiducia riconducibili al modello romanistico.
Con riguardo all’ordinamento romano, sebbene sia vero che la fiducia di tipo germanico non fosse e non potesse essere praticata, in quanto era estranea a tale ordinamento la condizione risolutiva, spesso la dottrina trascura che è prodotto di matrice romana il mandato, modello paradigmatico della legittimazione a compiere atti in nome altrui, il quale rappresenta il precursore di tutti quei negozi fiduciari, indebitamente ignorati dalla bipartizione in tale sede esaminata, ove si realizza la scissione tra la proprietà formale spettante al fiduciario e la proprietà sostanziale che rimane in capo al fiduciante, quali l’italica commendatio e l’attuale Ermaechtigungstreuhand. Quest’ultima, la quale consiste nella legittimazione ad esercitare in nome proprio un diritto la cui titolarità rimane in capo al fiduciante, è configurabile non solo nel diritto tedesco in virtù del paragrafo 185 del BGB, ma anche nel diritto italiano in relazione all’intestazione fiduciaria di titoli azionari: siamo evidentemente di fronte ad un fenomeno di circolazione dei modelli.
Quale controprova, l’attuale ordinamento tedesco conosce e disciplina, accanto all’Ermaechtigungstreuhand, la fiduziarische Treuhand, la quale si pone come perfettamente corrispondente al modello fiduciario romanistico, in quanto importa il trasferimento al fiduciario di tutte le facoltà inerenti al diritto di proprietà sul bene fiduciato, con il solo limite del patto obbligatorio32.
Quanto alla questione relativa all’ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico di una fattispecie fiduciaria corrispondente alla fiducia germanistica, riteniamo, nonostante la contraria opinione di un autorevole autore33, di poter deporre per la soluzione positiva, sulla base delle seguenti considerazioni.
In primo luogo ci sembra decisivo che il nostro ordinamento contempli la condizione risolutiva e non ne vieti l’apposizione con riguardo ai negozi ad effetti reali. Riteniamo inoltre che la contemporanea presenza nel nostro ordinamento di entrambe le costruzioni fiduciarie non ingenererebbe confusioni, in quanto l’adozione dell’una o
32 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 892.
33 PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, cit., 249.
dell’altra dipende dall’apposizione o meno dell’elemento accidentale della condizione e quindi dalla volontà delle parti.
A coloro i quali obiettano che l’adozione del modello fiduciario germanico importerebbe la creazione di una proprietà temporanea e risolubile, in quanto tale inammissibile nel nostro ordinamento, possiamo efficacemente replicare che, come rilevato in precedenza, non sono estranee al nostro diritto fattispecie di proprietà limitata.
A fronte di tale caleidoscopica realtà, l’antitesi fiducia di tipo romanistico – fiducia di tipo germanico vale soltanto a descrivere due possibili modelli di negozio fiduciario, ciascuno dei quali costituisce il portato di una differente tradizione giuridica; è vero infatti che la fiducia romana equivale a piena e illimitata titolarità del diritto trasmesso al fiduciario, così come è vero che il diritto germanico, pur avendo recepito il modello fiduciario romano, ha concepito un proprio modello fiduciario, caratterizzato dall’apposizione di una condizione risolutiva, per mezzo della quale il fiduciante si riserva un’incidenza di carattere reale sul diritto trasferito al fiduciario34.
Non possiamo però ritenere, come tale bipartizione ci induce a credere, che ciascuno di questi due modelli sia esclusivo della tradizione giuridica alla quale si riferisce, perché questa conclusione presupporrebbe, per la sua validità, che la tradizione giuridica romana e la tradizione giuridica germanica siano rigidamente separate. È invece noto che queste due tradizioni giuridiche sono in realtà intercomunicanti e pertanto interessate da un fenomeno di circolazione dei modelli, involgente anche la fiducia, tanto che recentemente gli studiosi di diritto comparato le hanno ricomprese entrambe nella famiglia giuridica romano-germanica.
Quanto alla distanza tra fiducia romanistica e fiducia germanistica, è stato rilevato come essa, vigente l’attuale codice civile, si sia ridotta sotto il profilo della tutela del fiduciante.
Infatti, sotto la vigenza del codice civile del 1865, il fiduciante, il quale avesse adoperato il modello romanistico, non avrebbe potuto usufruire, in caso di abuso da parte del fiduciario, di alcun mezzo di tutela reale, al fine di riottenere il bene fiduciato, ma sarebbe potuto ricorrere esclusivamente alla tutela risarcitoria. Al contrario sotto la vigenza dell’attuale codice civile, predisposto dall’art. 2932 il rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, il fiduciante può ottenere una
34 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 894.
sentenza costitutiva dell’effetto reale, il quale dovrebbe di xxxxx scaturire dal contratto traslativo del bene fiduciato che il fiduciario è obbligato a concludere in favore del fiduciante o del terzo da questi indicato.
Quindi la differenza tra i due modelli fiduciari si sarebbe ridotta alla circostanza che, in caso di abuso, nella fiducia germanistica il bene torna automaticamente in proprietà del fiduciario, mentre nella fiducia romanistica il ritorno del bene può ottenersi azionando il meccanismo processuale35.
Dobbiamo però rilevare come lo strumento di tutela delle ragioni del fiduciante offerto dall’articolo 2932 c.c. non valga per tutte le ipotesi di abuso e precisamente per tutte le volte in cui il fiduciario abbia alienato a terzi il bene fiduciato, in quanto, essendo il fiduciario pieno titolare del bene, l’atto di alienazione che egli compie in relazione allo stesso resta valido ed efficace; in tali ultime ipotesi il fiduciante non può chiedere altro se non il risarcimento dei danni ex articolo 1218 del codice civile. Se invece il fiduciario viola l’intesa fiduciaria senza per ciò stesso compiere atti dispositivi sul bene fiduciato, magari perché semplicemente si rifiuta di ritrasferirlo al fiduciario o di trasferirlo al terzo da costui indicato, il fiduciante può agire in giudizio ex articolo 2932 c.c. ed ottenere una sentenza costitutiva che esegua in forma specifica l’obbligazione del fiduciario36, ovverosia l’obbligazione di ritrasferire al fiduciante o di trasferire al terzo da questi indicato, per mezzo di apposito contratto traslativo, il bene fiduciato.
La possibilità di riottenere il bene in determinate ipotesi di abuso, riconosciuta al fiduciante dall’art. 2932 c.c., determina una lieve attenuazione, nel modello fiduciario romanistico, dell’elemento fiduciario che si ravvisava nelle concrete configurazioni assunte dalla fiducia nel mondo romano37.
Secondo un autorevole autore, l’elemento fiduciario può dirsi ben presente ogniqualvolta, in caso di violazione dell’obbligo da parte del fiduciario, il fiduciante non disponga di rimedi giuridici tali da ripristinare in forma specifica la sua preesistente posizione giuridica e da ricondurre dentro i precisi limiti del suo intento gli effetti dell’investitura del fiduciario38. Occorre notare come tale formulazione sia
35 PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, cit., 246.
36 XXXXX Xxxxxxxxxx, voce Negozio fiduciario in Novissimo Digesto Italiano diretto da Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxx Xxxx, UTET, Torino, 1957, 204.
37 PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, cit., 246.
38 PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, cit., 246 s.
complementare al comune insegnamento39, precedentemente accolto, secondo il quale può parlarsi di fiducia in senso tecnico ogniqualvolta il fiduciante attenda la realizzazione dello scopo perseguito non dai rigorosi mezzi di coazione legale, ma dal comportamento onesto e leale del fiduciario.
Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, possiamo concludere che l’elemento fiduciario risulta nella fiducia romanistica più marcato di quanto lo sia nella fiducia germanica, in quanto nella prima, se l’intesa fiduciaria viene violata, mancano in linea di principio rimedi giuridici tali da ripristinare in forma specifica la precedente posizione del fiduciante e da “ricondurre dentro i precisi limiti dell’intento voluto dalle parti gli effetti dell’investitura del fiduciario”40. In altre parole nella fiducia romanistica il fiduciante auspica dal comportamento di buona fede del fiduciario e da esso soltanto il retto uso del potere giuridico conferitogli41 e, per tale via, il raggiungimento dello scopo avuto di mira. Pertanto può dirsi caratteristica del modello fiduciario romanistico la tutela debole o obbligatoria del fiduciante.
Fiducia e tutela sono due termini inversamente proporzionali, tali che la presenza dell’uno, se non esclude, quanto meno riduce considerevolmente la presenza dell’altro, e viceversa. Soltanto laddove ricorra la tutela obbligatoria o debole del fiduciante potrà parlarsi di fiducia in senso tecnico. Xxxxxxx si realizzi invece la tutela reale o assoluta del fiduciante non potrà parlarsi di fiducia in senso tecnico, ma solo di fiducia debole o affievolita.
A tali considerazioni segue inevitabilmente un interrogativo stringente: è giustificato parlare di fiducia in senso tecnico per la costruzione germanica? Pare opportuno propendere per la soluzione negativa, in quanto, se un negozio ha veramente titolo alla qualifica di fiduciario solo quando il fiduciante sia sprovvisto di tutela erga omnes e attenda quindi la realizzazione dello scopo avuto di mira non dai rigorosi mezzi di coazione legale ma solo dal leale comportamento del fiduciario, ne deriva che la costruzione germanica, per la quale l’ordinamento appresta una tutela reale o assoluta, preclusiva della potestà d’abuso, non costituisce una fiducia in senso tecnico42.
39 XXXXXXXXX, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità, cit., 353; Id., Trust anglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario, cit., 552.
40 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 24 s.
41 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 25 s.
42 GRASSETTI, Trust anglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario, cit., 552; Id., Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, cit., 353.
Relativamente a tale modello fiduciario possiamo parlare soltanto di fiducia debole o affievolita.
2. 2. Il modello della legittimazione fiduciaria
Xxxxxxx accennato nel precedente paragrafo ad una categoria, o meglio ad un terzo modello, di negozi fiduciari, indebitamente ignorati dalla schematizzazione tra fiducia di tipo romanistico e fiducia di tipo germanico e contraddistinti dalla scissione tra la proprietà formale, spettante al fiduciario, e la proprietà sostanziale, che rimane in capo al fiduciante. Dobbiamo ora renderne conto più ampiamente.
Anche tale modello fiduciario, che chiameremo della legittimazione fiduciaria, è stato concepito, al pari degli altri due, dalla Pandettistica tedesca ed in particolare dal Dernburg. Secondo l’insegnamento di tale autore43, il fiduciario esternamente, cioè nei rapporti con i terzi, risulta pieno proprietario del bene fiduciato, ma internamente, cioè nel rapporto con il fiduciante, deve essere considerato un semplice mandatario. Per puntualizzare tale teoria, si ricorra ad esempio. Se Xxxxx cede un credito a Xxxx con l’intesa fiduciaria che costui lo riscuota e gliene consegni l’importo, Xxxx assumerà la veste giuridica di creditore davanti al debitore ceduto, ma nei confronti di Xxxxx non sarà più di un semplice mandatario, obbligato a consegnargli quanto avrà ricavato dall’esazione del credito.
Un autorevole autore italiano44 ha acutamente osservato che entro tale schema negoziale il fiduciario può essere paragonato ad un sorta di “erma bifronte”, coesistendo nella sua figura la posizione giuridica del proprietario e il ruolo del mandatario.
Dal canto nostro, possiamo osservare a luce meridiana come la teoria del Dernburg contraddica il comune insegnamento, da noi precedentemente accolto, secondo cui il fiduciario non è meno proprietario di fronte al fiduciante di quanto lo sia dinanzi a terzi. Infatti il modello ideato dal Dernburg presuppone che il fiduciante, pieno proprietario al cospetto di terzi, non sia tale nei confronti del fiduciante e venga pertanto investito di una mera proprietà formale, funzionale all’interesse perseguito dal fiduciante; di qui la problematica relativa alla configurabilità di una proprietà formale nel diritto moderno.
I seguaci di Dernburg adducono, quale argomento a sostegno della soluzione positiva, il graduale affievolimento del carattere dell’indivisibilità dei poteri contenuti nella proprietà: se infatti nel tardo diritto romano si ammise, in virtù del riconoscimento dell’usufrutto, un diritto di proprietà senza facoltà di godimento e nel diritto moderno si
00 XXXXXXXX, Xxxxxxxxx, I, Berlin, 1900, 231 ss.
44 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 27.
concepì un uguale diritto senza potere di disposizione, sarebbe possibile cumulare tali aspetti e per tale via ammettere una proprietà priva sia del potere di disposizione che della facoltà di godimento, quindi una proprietà formale.
Quanto alla correlativa proprietà sostanziale riservata al fiduciante, i fautori della teoria del Dernburg, pur riconoscendo che il trasferimento fiduciario sia pienamente efficace e quindi attribuisca al fiduciario la piena proprietà del bene fiduciato, negano che tale bene, dall’angolo visuale del fiduciante, possa dirsi appartenente al patrimonio del fiduciario, in quanto l’appartenenza, propriamente intesa, postula l’inerenza non solo giuridica, ma anche economica, di un determinato bene a un dato patrimonio. A tale stregua, considerando la vicenda fiduciaria dall’angolo visuale del fiduciante, non si può sostenere che il bene fiduciato sia economicamente inerente al patrimonio del fiduciario, in quanto nella generalità dei casi gli viene trasmesso per soddisfare in via esclusiva o quantomeno prevalente un interesse del fiduciante.
Da ciò seguirebbe non solo che il fiduciario è titolare esclusivamente della proprietà formale dei beni, ma anche che il vincolo che lega costui al fiduciario non è semplicemente di natura obbligatoria; poiché il bene fiduciato può dirsi pertinente, sotto il profilo economico, al patrimonio del fiduciante, costui può vantare su tale bene, in caso di abuso da parte del fiduciario, una pretesa di carattere assoluto e reale.
È stato correttamente rilevato da un autorevole autore45 che tale costruzione non è avallata dai suoi sostenitori con alcun richiamo storico, ma ciò non significa che nel corso della millenaria esperienza giuridica europea non possano riscontrarsi concrete fattispecie fiduciarie ad essa corrispondenti, quali per esempio l’italica commendatio, attributiva della sola legittimazione a disporre dell’altrui patrimonio.
Abbiamo denominato tale modello legittimazione fiduciaria, in quanto, come acutamente osservato46, esso trova il suo perno nell’istituto della legittimazione. Infatti la proprietà formale che il fiduciante trasferisce al fiduciario consiste sostanzialmente nella legittimazione a disporre dei beni fiduciati in conformità allo scopo convenuto dalle parti. Il fiduciario potrà disporre dei beni solo nei limiti in cui risulti legittimato dal fiduciante, il quale ne conserverà la proprietà sostanziale. Pertanto il rapporto inter partes è ben paragonabile ad un mandato e conseguentemente il fiduciario riveste un ruolo assai vicino a quello del mandatario.
In definitiva il quid novi di tale costruzione fiduciaria si ravvisa nella sostituzione dell’effetto traslativo della proprietà, comune sia al modello germanico che a quello romanistico, con l’attribuzione della legittimazione ad agire in nome proprio sul patrimonio altrui.
Secondo alcuni autori47, l’accoglimento di tale modello nel nostro ordinamento dipenderebbe dal giudizio in merito all’ammissibilità della scissione tra proprietà formale e proprietà sostanziale.
Dal canto nostro, conformemente al comune insegnamento secondo cui non sono ignote al nostro diritto fattispecie di proprietà formale, riteniamo di dover sciogliere tale nodo in senso positivo e di poter concludere nel senso che la costituzione di una proprietà formale non costituisce ostacolo all’ammissibilità nel nostro diritto del modello della legittimazione fiduciaria. Con ciò non riteniamo però di poter deporre senza indugi per l’accoglimento di tale modello, in quanto, sulla base di una più attenta considerazione dei suoi effetti, riteniamo che altri ostacoli si frappongano alla sua configurabilità nel nostro diritto.
Si deve anzitutto osservare che la vera caratteristica di tale schema fiduciario non risiede nella scissione tra proprietà formale e proprietà sostanziale e quindi nella creazione di una proprietà formale o comunque limitata: abbiamo infatti riscontrato una proprietà di tal genere anche nel modello fiduciario germanico, ove la condizione risolutiva, sebbene non sia tale da rendere formale la proprietà trasferita, la limita considerevolmente. Il tratto distintivo di tale costruzione fiduciaria deve rinvenirsi, al contrario, nella costituzione in capo al fiduciante del potere giuridico di disporre o della legittimazione ad agire, in nome proprio ma nell’interesse del fiduciante, sul patrimonio di costui.
Tale costruzione fiduciaria verrebbe così a costituire al contempo una figura di autorizzazione costitutiva, proprio in quanto fonte di una legittimazione ad agire sul patrimonio altrui. Di conseguenza l’accoglimento nel nostro diritto del modello della legittimazione fiduciaria viene a dipendere dalla questione relativa ai limiti entro cui è ammissibile la figura dell’autorizzazione costitutiva.
Prima di esaminare da vicino l’atteggiamento assunto dal nostro ordinamento con riguardo all’autorizzazione costitutiva, riteniamo opportuno, ai fini della
completezza della nostra indagine e delle nostre argomentazioni, esaminare in quali termini la medesima questione si pone nell’ordinamento tedesco.
In tale ordinamento la figura dell’autorizzazione costitutiva è riconosciuta in termini generali dal paragrafo 185 del BGB, il quale prevede che l’atto dispositivo di un determinato bene posto in essere dal non legittimato è efficace se compiuto con il consenso dell’avente diritto48. È infatti evidente che tale norma, dato e considerato il tenore della sua formulazione, non si limita a descrivere o a disciplinare una particolare figura di negozio autorizzativo, ma riconosce il principio avente portata generale secondo cui l’avente diritto può legittimare un terzo a disporre del proprio patrimonio.
Facendo leva su tale disposizione, la dottrina tedesca è riuscita a legittimare nel proprio ordinamento la figura dell’Ermaechtigungstreuhand, la quale rappresenta la concretizzazione dell’astratto modello della legittimazione fiduciaria, ricomprendendo in sé l’elemento della legittimazione (Ermaechtigung) e della fiducia (Treuhand), e consiste nella legittimazione ad esercitare in nome proprio un diritto la cui xxxxxxxxxx rimane in capo al fiduciante. L’Ermaechtigungstreuhand determina in altre parole lo sdoppiamento della proprietà tra il fiduciario, cui viene trasferita la proprietà formale, o meglio la legittimazione, e il fiduciante, il quale mantiene la proprietà sostanziale, o meglio la titolarità, del bene.
Tornando all’ordinamento italiano, è stato correttamente rilevato come qui non esista una norma analoga al paragrafo 185 del BGB49. Nel diritto italiano è dato al contrario riscontrare specifiche figure negoziali, quali il mandato e il contratto estimatorio, il cui effetto consiste nell’attribuzione della legittimazione a disporre del patrimonio altrui.
Secondo un autorevole autore50, da tale constatazione non si può però dedurre un principio generale come quello di cui al paragrafo 185 del BGB, ma al contrario si deve ricavare che i negozi autorizzativi sono soltanto quelli previsti dalla legge e quindi costituiscono un numerus clausus. Non sarebbero quindi ammessi negozi autorizzativi al di fuori di un’espressa previsione legislativa, salvo dimostrare che, alla stregua dei principi generali del nostro ordinamento, un atto di autonomia privata possa attribuire a
48 Codice civile tedesco, traduzione e presentazione a cura di Xxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx, Milano, 2005, 91.
49 AURICCHIO, voce Autorizzazione (Dir. priv.) in Enciclopedia del diritto, vol. IV, Xxxxxxx, Milano, 1959, cit., 506.
un certo soggetto il potere giuridico di disporre o la legittimazione ad agire sul patrimonio altrui.
Quindi, come la configurabilità della fiducia romanistica nel nostro ordinamento dipende dall’ammissibilità di un negozio ad effetti reali atipico, così la configurabilità nel nostro diritto del modello della legittimazione fiduciaria dipende dall’ammissibilità di un negozio autorizzativo atipico. Eppure in tale circostanza, in senso contrario all’orientamento concessivo assunto con riguardo ai negozi ad effetti reali atipici, riteniamo di dover risolvere la questione pregiudiziale in senso restrittivo e dunque negativo. Molteplici ostacoli si frappongono infatti al riconoscimento di un negozio atipico diretto a costituire in capo a una persona diversa dal titolare del diritto il potere di disporne.
Alcuni autori51 hanno rilevato come sia impossibile considerare il potere di disposizione quale situazione giuridica autonoma, in quanto tale suscettibile di poter essere attribuita negozialmente ad un altro soggetto. In secondo luogo l’attribuzione della legittimazione ad agire sul patrimonio altrui comporterebbe un’alterazione del naturale collegamento posto dalla legge tra il potere di agire e la titolarità del diritto: un risultato del genere non potrebbe essere raggiunto attraverso un atto che non è stato appositamente predisposto dalla legge a tal fine52. Infatti l’ampio riconoscimento contenuto nell’articolo 1322 c.c. non varrebbe a conferire al negozio autorizzativo atipico quella rilevanza erga omnes che gli può essere conferita solo dal legislatore, mediante una specifica disciplina regolatrice che, in quanto tale, lo tipizzerebbe.
Questo non significa che il negozio autorizzativo atipico concluso dalle parti sia nullo, in quanto i privati, purché non violino norme imperative, sono liberi di regolare nel modo più ampio i rapporti interni, ma semplicemente che quello stesso negozio sarà irrilevante verso tutti i soggetti diversi dai contraenti.
In definitiva, in mancanza di una norma analoga al paragrafo 185 del BGB, non si può avallare il riconoscimento nel nostro ordinamento di un negozio autorizzativo atipico o, più precisamente, di un negozio autorizzativo atipico dotato di rilevanza esterna, cioè opponibile anche verso i soggetti diversi dai contraenti.
Da tali considerazioni segue che il modello della legittimazione fiduciaria può essere accolto nel nostro ordinamento solo in virtù di un’espressa disposizione
51 CARRARO, Contributo alla teoria della autorizzazione in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1947, 302 ss.
52 AURICCHIO, voce Autorizzazione (Dir. priv.), cit., 506 s.
legislativa e non per la via del principio della autonomia e libertà negoziale di cui all’articolo 1322 c. c..
La recezione legislativa di tale modello s’è verificata nel settore dei titoli azionari, in quanto per i titoli di credito, fra i quali sono unanimemente ricompresi i titoli azionari, è tradizionalmente ammessa la distinzione tra la titolarità del diritto incorporato nel documento e la legittimazione ad esercitare il diritto stesso53 e quindi, in senso più ampio, la distinzione tra proprietà formale e proprietà sostanziale. Infatti, mentre la titolarità del diritto incorporato nel documento spetta al proprietario del documento stesso, la legittimazione ad esercitare il diritto contenuto nel documento deriva da determinati presupposti, che variano in ragione del tipo di titolo di credito preso in considerazione e che per i titoli azionari, in quanto titoli nominativi, consistono nella girata seguita dall’iscrizione nel registro dell’emittente unitamente al possesso. È quindi giuridicamente possibile che il fiduciante trasferisca al fiduciario la mera legittimazione ad esercitare i diritti incorporati nel titolo azionario, quindi inerenti alla qualità di socio, e trattenga per sé la proprietà delle azioni, conservando in tal modo la qualità di socio54.
Prima di esaminare la normativa italiana relativa alla legittimazione fiduciaria, dobbiamo premettere, per fini di chiarezza espositiva, che qualunque attribuzione di titoli azionari causa fiduciae prende il nome, a prescindere dal tipo di modello fiduciario concretamente adottato dalle parti, di intestazione fiduciaria, in quanto la titolarità delle azioni risulta da un’intestazione in determinati registri55.
Il modello della legittimazione fiduciaria viene assunto dalla legge, e precisamente dall’art.1, ultimo comma, X.X. 00 marzo 1942, n.239, a schema negoziale paradigmatico dell’intestazione fiduciaria effettuata in favore di società fiduciarie, cioè di quelle società che, “comunque denominate, si propongono sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione di beni per conto di terzi” (art.1, legge 23 novembre 1939, n.1966). Tale norma dispone che “le società fiduciarie che abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi titolari dei titoli stessi”. La stessa formula ricorre nell’art.9, legge 29 dicembre 1962, n.1745. Da tale norma deduciamo che il fiduciante rimane “effettivo titolare” e
53 XXXXXXXXX, Negozio giuridico. III)Negozio fiduciario, cit., 2; XXXXXXX Xxxxxxx, Xxxxxx di credito, XXXXX, Padova, 1966, 42, 58, 65.
54 XXXXXXXXX, Negozio giuridico. III)Negozio fiduciario, cit., 2; id., voce Intestazione fiduciaria in
Dizionari del diritto privato a cura di Xxxxxxxx Xxxx, vol. I, Milano, Xxxxxxx, 1980, 459.
55 XXXXXXXXX, voce Intestazione fiduciaria, cit., 455.
quindi proprietario dei titoli azionari, mentre la società fiduciaria, la quale li amministra, ne diventa meramente “intestataria al proprio nome”, cioè riceve esclusivamente la legittimazione ad esercitare i diritti incorporati nei titoli stessi56.
L’intestazione causa fiduciae di titoli azionari a società fiduciarie viene così a configurarsi quale contratto autorizzativo tipico, come tale disciplinato espressamente dalla legge e per ciò stesso ammissibile nel nostro ordinamento.
In virtù della disciplina legislativa che le regola, le società fiduciarie non sono proprietarie, nemmeno nei confronti dei terzi, dei titoli azionari loro affidati in gestione; dal momento che i titoli azionari non entrano a far parte del patrimonio della società fiduciaria, tanto da non essere aggredibili da parte dei creditori della medesima, la loro proprietà non può che appartenere esclusivamente al fiduciante. Così alla società fiduciaria spetta soltanto la legittimazione ad esercitare i diritti connessi alla partecipazione societaria57.
Si consideri inoltre che il fiduciante può rivendicare i propri titoli azionari presso i terzi aventi causa dalla società fiduciaria, salvo che questa abbia ricevuto mandato ad alienarli58: egli gode dunque di una tutela assoluta o reale, per cui il modello della legittimazione fiduciaria può essere qualificato come una forma di fiducia affievolita, alla stregua del parametro, precedentemente elaborato, secondo cui fiducia e tutela sono due termini inversamente proporzionali.
Dalla normativa relativa alle società fiduciarie sopra esaminata non sembra possibile dedurre che la legittimazione fiduciaria sia l’unico schema negoziale ammissibile al fine di realizzare un’intestazione fiduciaria59; il fiduciante è quindi libero di ricorrere al modello fiduciario romanistico, attribuendo alla società fiduciaria la piena titolarità del diritto cartolare.
Comunque si deve ritenere che le parti abbiano voluto concretamente adottare il modello della legittimazione fiduciaria ogniqualvolta il contratto di amministrazione fiduciaria contenga una clausola del seguente tenore: “i suddetti titoli, sebbene intestati a nome di Xxxxx, sono di piena ed esclusiva proprietà del fiduciante” oppure “i titoli di mia proprietà, in amministrazione fiduciaria presso di voi…”60. Qualora non sia dato
56 XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 466.
57 In tal senso Cass., 23 settembre 1997, n. 9355 in Giustizia civile, Massimario, 1997, 1756.
58 XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 467.
59 XXXXXXXXX, Intestazione fiduciaria, cit., 462.
riscontrare una clausola del genere, sarà molto arduo ricostruire la volontà delle parti, per cui si dovrà ricorrere ad un criterio presuntivo.
Precisamente nelle intestazioni fiduciarie cum creditore, a fini di garanzia, deve presumersi l’adozione della costruzione fiduciaria romanistica, in quanto la funzione di garanzia è attuata in modo più sicuro ed efficace e quindi più vantaggioso per il creditore se il bene fiduciato esce dal patrimonio del debitore-fiduciante, poiché in tal modo è sottratto alle pretese degli altri creditori e ad atti dispositivi del fiduciante stesso capaci di frustrare le ragioni creditorie del fiduciario.
Al contrario nell’intestazione fiduciaria cum amico, a scopo di gestione e amministrazione, deve presumersi adottato, nel dubbio, il modello della legittimazione fiduciaria, in quanto qui è sufficiente al fiduciante, per raggiungere il suo scopo, attribuire al fiduciario la legittimazione ad esercitare in nome proprio i diritti sociali61; con un’eccezione però: se il fiduciario s’è impegnato a restituire al fiduciante non gli stessi titoli ricevuti in amministrazione, ma il tantundem eiusdem generis, cioè un’uguale quantità di titoli della stessa specie, il primo diviene pieno proprietario dei titoli stessi e per ciò stesso si configura il modello fiduciario romanistico62.
Una concessiva corrente dottrinale63 ha sostenuto la possibilità giuridica di ricorrere al modello della legittimazione fiduciaria per attribuire causa fiduciae qualsiasi tipologia di titolo di credito, e quindi anche titoli all’ordine o al portatore. In entrambe tali ipotesi non potrà parlarsi in senso proprio di intestazione fiduciaria, in quanto non si realizza alcuna iscrizione in un determinato registro. Infatti, agli effetti di attribuire la legittimazione all’esercizio del diritto, con riguardo ai titoli all’ordine sarà sufficiente la consegna del documento unita alla girata e per i titoli al portatore basterà addirittura la sola consegna del documento.
La medesima corrente dottrinale64 solleva invece forti dubbi sull’utilizzabilità del modello della legittimazione fiduciaria con riferimento alle quote di società a responsabilità limitata, in quanto, dal momento che esse non risultano incorporate in un titolo di credito, non si ravvisano i presupposti per operare una scissione tra la titolarità del diritto e la legittimazione all’esercizio dello stesso. Indi per cui chi diventa
61 XXXXXXXXX, Intestazione fiduciaria, cit., 465-466; XXXXXXXXX, Negozio giuridico. III)Negozio fiduciario, cit., 2.
62 XXXXXXXXX, Intestazione fiduciaria, cit., 466.
63 XXXXXXXXX, Intestazione fiduciaria, cit., 459, 460 s.
64 XXXXXXXXX, Intestazione fiduciaria, cit., 461.
intestatario in via fiduciaria di una quota di s.r.l. diventa per ciò stesso titolare della partecipazione sociale.
Eppure altri autori65 giungono ad opposta conclusione, facendo leva sull’art. 2479 c.c., il quale prevede la formalità l’iscrizione nel libro soci ai fini dell’opponibilità alla società del trasferimento della quota. Sarebbe pertanto possibile, iscrivendo nel libro soci le generalità dell’intestatario, attribuire a quest’ultimo la sola legittimazione all’esercizio dei diritti sociali.
Si deve però negare che la privata autonomia, in mancanza di un’espressa disciplina legislativa, goda di una tale facoltà, sia in relazione ai titoli all’ordine o al portatore, che in relazione alle quote di s.r.l., in quanto, come sopra detto, il modello della legittimazione fiduciaria integra un negozio autorizzativo, di norma incapace di spiegare effetti verso terzi, salvo che sia regolamentato e quindi tipizzato dalla legge.
Larga parte della dottrina e della giurisprudenza italiana66, muovendo dalla premessa che tutte le concrete costruzioni fiduciarie possano essere ricondotte alla bipartizione tra fiducia di tipo germanico e fiducia di tipo romanistico, ha confuso la fiducia germanistica con il modello della legittimazione fiduciaria, assimilando la prima al secondo. Così è stata impropriamente qualificata come fiducia germanistica l’intestazione fiduciaria, attributiva della sola legittimazione all’esercizio del diritto cartolare, ed è stata fraintesa la costruzione germanistica di Schultze, ritenendola fonte della scissione tra legittimazione e proprietà sostanziale.
Dal canto nostro riteniamo, conformemente all’opinione di altri autori67, che il modello della legittimazione fiduciaria debba essere riguardato come una terza ed autonoma costruzione fiduciaria, in quanto contrassegnato da un proprium, ovverosia l’attribuzione della legittimazione a disporre in nome proprio del patrimonio altrui, che non si ravvisa negli altri modelli fiduciari. Il suddetto modello può comunque essere accostato al modello fiduciario germanico, nella misura in cui entrambi accordano al fiduciante una tutela reale. Per tale ragione, il modello della legittimazione rappresenta, parimenti alla fiducia germanica, una forma di fiducia debole o affievolita.
65 XXXXXX Xxxx Xxxxxx, Xxxx’intestazione fiduciaria di quote di società a responsabilità limitata in
Giurisprudenza commerciale, vol. I, 1979, 181 ss.
66 XXXXXXXX Xxxxx, Lineamenti storico-dogmatici della fiducia cum creditore, cit., 261; XXXXXXXX Xxxxxxx, Intestazione fiduciaria di titoli azionari, interposizione reale e mandato ad amministrare (nota a commento di Cass., 14 ottobre 1995, n.10768) in Corriere giuridico, 1996, 670; Cass., 23 settembre 1997, n. 9355 in Giustizia civile, Massimario, 1997, 1756.
67 MESSINA, I negozi fiduciari, cit., 27; XXXXXXX, Il negozio fiduciario, cit., 199 s.
Da tali considerazioni segue che la bipartizione tra fiducia di tipo romanistico e fiducia di tipo germanico sia non soltanto, come rilevato in precedenza, statica e troppo semplicistica, ma anche parziale e incompleta, poiché tralascia indebitamente un autonomo schema fiduciario, e pertanto non possa rendere esaurientemente ragione delle concrete configurazioni assunte dal fenomeno fiduciario.
2. 3. Fiducia cum amico e fiducia cum creditore: critica
Confutata la schematizzazione dualistica fiducia di tipo romanistico e fiducia di tipo germanico, dobbiamo ora occuparci di un’altra bipartizione, impropriamente desunta dalle fonti classiche, la quale ha la pretesa di rendere esaurientemente ragione delle finalità concretamente perseguite dai privati attraverso il fenomeno fiduciario. Tale è la dicotomia fiducia cum amico e fiducia cum creditore, in virtù della quale nella prima il trasferimento della proprietà del bene fiduciato è funzionale alla custodia e/o alla amministrazione del bene stesso, mentre nella seconda il trasferimento della proprietà del bene fiduciato risponde all’esigenza di garantire le ragioni patrimoniali del creditore-fiduciario.
La dottrina tradizionale, e precisamente la Pandettistica, ha assunto quale base fondante tale bipartizione il passo 2,60 delle Istituzioni di Gaio68, ravvisandovi un elenco esauriente e completo delle fattispecie fiduciarie praticate nel mondo giuridico romano69. In effetti il ritrovamento delle Istituzioni gaiane, risalente al 1816, influì in maniera rilevante sulla nozione di fiducia sviluppata dalla dottrina ottocentesca, la quale concepì il fenomeno fiduciario nelle sole forme della fiducia cum amico e della fiducia cum creditore, ben diversamente dalla letteratura giuridica settecentesca, la quale aveva accolto una nozione di fiducia assai ampia, ricomprendente anche il settore delle successioni e della famiglia70.
Dal canto nostro riteniamo che la bipartizione fiducia cum amico e fiducia cum creditore sia stata arbitrariamente estrapolata dal summenzionato passo gaiano, che in realtà si riferisce al fenomeno fiduciario in via meramente incidentale, senza la pretesa di enumerare esaurientemente le varie fattispecie in cui esso possa manifestarsi: è in tal senso decisivo che Xxxx faccia cenno della fiducia cum amico e della fiducia cum creditore nel contesto descrittivo dell’usureceptio, forma di usucapione spettante a chi ha effettuato un’alienazione fiduciaria.
Invero la complessa esperienza giuridica romana, e lo stesso dicasi per il diritto comune europeo, conosceva ben più di due fattispecie fiduciarie: lo conferma lo stesso
68 Gai. 2,60: Sed fiducia contrahitur aut cum creditore pignoris iure, aut cum amico, quo tutius nostrae res apud eum sint.
69 XXXXXXXX Xxxxxxxx, Alcune osservazioni sulla fiducia nella letteratura romanistica in Le situazioni affidanti a cura di X. Xxxxx, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2006, 103 s.
70 XXXXXXXX Xxxxxxxx, Alcune osservazioni sulla fiducia nella letteratura romanistica, cit., 101.
Xxxx, laddove, sempre all’interno delle sue Istituzioni, tratta degli impieghi dello schema fiduciario nel campo della famiglia e delle successioni71.
Xxxxxx fu il primo ad adottare, nelle sue Istituzioni72, la casistica gaiana, circoscrivendo così il fenomeno fiduciario alla fiducia cum amico e alla fiducia cum creditore, ma non senza contraddizioni: egli infatti, in altri luoghi della medesima opera, trattò della coemptio fiduciae causa73 e impiegò il termine fiduciarius74 per indicare l’onerato del fedecommesso. La sua impostazione fu comunque recepita unanimemente da tutta la letteratura Pandettistica successiva.
Dal canto nostro riteniamo di dover condividere l’orientamento di una corrente dottrinale alternativa, la quale, sebbene formatasi dopo la scoperta delle Istituzioni di Xxxx, continuò a proporre una nozione di fiducia assai ampia, slegata dalla rigida bipartizione cum amico e cum creditore75. Difatti a parer nostro il fenomeno fiduciario si manifesta in un’ampia gamma di situazioni76, insuscettibili di essere esaurite sic et simpliciter nella bipartizione fiducia cum amico e fiducia cum creditore. È innegabile che il fenomeno fiduciario abbia assolto nel corso della storia e assolva tutt’oggi finalità di custodia e/o amministrazione o di garanzia, ma, sulla base di una più attenta analisi delle sue concrete configurazioni, è dato riscontrare anche altre esigenze ad esso sottostanti.
A titolo esemplificativo, il fenomeno fiduciario si manifesta nella cessione del credito a scopo di riscossione77: Xxxxx, titolare di un credito nei confronti di Xxxx, è trattenuto dall’esigerlo per ragioni personali. Egli cede allora il credito a Xxxxxxxxx, con l’intesa che costui lo esiga e gli versi la somma riscossa.
È negozio autenticamente fiduciario anche la cessione di azione sociale a scopo di voto78: Xxxxx, azionista di una società per azioni, non intende, per ragioni di convenienza sociale, votare personalmente la sfiducia agli amministratori. Allora
71 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 895.
00 XXXXXX, Xxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxx, XX, Xxxxxxx, 0000, 698.
00 XXXXXX, Xxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxx, XXX, Xxxxxxx, 0000, 158.
74 PUTCHA, Cursus der Institutionen, III, cit., 300.
75 CUQ, Xxxxxx des Istitutions juridiques des Romains, Paris, 1917, 442; XXXXXXXX, Der Kauf nach gemeinem Recht, I, Erlangen, 1876, 284 s.; BASSEWITZ, De Romanorum fiducia eiusque vestigiis in libris iuris civilis addita Germanorum iuris pignoraticii adumbratione, Halle, 1858, 18 ss.; ZACHARIAE, Commentatio de fiducia, Gotha, 1830, 11 ss.
76 XXXXXXXX Xxxxxxxx, Alcune osservazioni sulla fiducia nella letteratura romanistica, cit., 116.
77 XXXXX, voce Negozio fiduciario, cit., 204 s.; XXXXXXXXX, voce Negozio fiduciario, cit., 38.
78 XXXXX, voce Negozio fiduciario, cit., 205.
incarica di ciò Xxxx, esperto avvocato, al quale cede la proprietà delle sue azioni, con l’intesa che costui gliele restituirà dopo la votazione79.
Si pensi ancora a tutte quelle ipotesi in cui il fenomeno fiduciario realizza un’interposizione reale: qui il fiduciante ha interesse a che il trasferimento di un suo diritto non abbia luogo direttamente in favore del destinatario, ma si realizzi indirettamente attraverso l’interposizione del fiduciario, il quale, divenuto provvisoriamente titolare del diritto, è incaricato di ritrasferirlo successivamente al vero ed unico acquirente80. Tralasciamo in tale sede le rilevanti applicazioni della fiducia nel diritto di famiglia e delle successioni, di cui diremo meglio in seguito.
Alla luce dei numerosissimi scopi cui la fiducia può in concreto servire, riteniamo che la bipartizione fiducia cum amico - fiducia cum creditore sia inidonea a rendere compiutamente ed esaurientemente ragione delle funzioni concretamente assolte dal fenomeno fiduciario.
Riteniamo però di poterci servire di essa ad altri fini, e precisamente allo scopo di distinguere i negozi fiduciari “in base alla direzione dell’interesse”81, cioè a seconda che siano stipulati nell’interesse del fiduciante o del fiduciario. Infatti i negozi fiduciari cum amico sono conclusi precipuamente per servire un interesse proprio del fiduciante, mentre i negozi fiduciari cum creditore sono conclusi in vista del soddisfacimento di un interesse proprio del fiduciario e precisamente al fine di garantire un suo credito82.
Nei primi il potere giuridico conferito al fiduciario è interamente dedicato ad un interesse altrui83: in altre parole in essi si realizza l’attribuzione di una “titolarità nell’interesse altrui”84; indi per cui i negozi fiduciari cum amico possono dirsi anche altruistici o puri.
Al contrario i negozi fiduciari cum creditore sono stipulati al fine di garantire le ragioni patrimoniali del creditore-fiduciario e pertanto rispondono all’interesse proprio di costui: per via di tale caratteristica possono chiamarsi anche egoistici o impuri.
A ben vedere la contrapposizione fiducia cum amico e fiducia cum creditore non si limita a riflettere la destinazione delle utilità derivanti dal negozio fiduciario, ma inerisce più profondamente all’anima e all’essenza del negozio stesso. Infatti nei negozi
79 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 350. 80 TRIMARCHI, voce Negozio fiduciario, cit., 38. 81 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 8.
82 XXXXX, Il contratto, cit., 681; XXXXXXXX, Fiducia, simulazione, contratto indiretto, cit., 835 s.
83 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 8.
84 XXXXXXXXX, Xxxxxxx fiduciario, fiducia, disposizioni transmorte, cit., 887.
fiduciari cum creditore non si riscontra, contrariamente ai negozi fiduciari cum amico, quella “caratteristica situazione psichica che determina uno dei soggetti ad affidare all’altro un proprio interesse economico-giuridico perché ne abbia cura”85, situazione la quale si traduce nell’affidamento del trasferente all’accipiente86.
Da tale premessa segue che la fiducia cum amico rappresenta la forma caratteristica e più schietta di fiducia87, mentre la fiducia cum creditore rappresenta, come avevamo anticipato, una forma fiduciaria anomala88, in quanto è animata non tanto dalla fiducia ex parte debitoris quanto dalla sfiducia che il creditore nutre nei riguardi del debitore e che induce il primo a non accontentarsi di una garanzia più blanda89.
Si deve comunque ritenere che la fiducia cum creditore, sebbene anomala, costituisca una fattispecie fiduciaria autentica, in quanto caratterizzata dalla fiducia in senso tecnico. Anche qui si realizza l’attribuzione di una titolarità piena e illimitata sul piano reale e si configura per ciò stesso il pericolo che il fiduciario disponga, con piena validità ed efficacia, del bene fiduciato in senso contrario allo scopo.
Proprio il pericolo di una disposizione contraria allo scopo, precedentemente qualificato come potestà d’abuso, rappresenta un termine strettamente correlato alla fiducia in senso tecnico, di guisa che, in base a una massima valevole per il fenomeno fiduciario generalmente inteso, possiamo dire che laddove c’è potestà d’abuso, c’è anche fiducia in senso tecnico, e viceversa. Da tali considerazioni segue inequivocabilmente che la fiducia cum creditore costituisce una fattispecie fiduciaria autentica, seppur anomala.
Fatta salva l’appartenenza della fiducia cum creditore al genus della fiducia, si frappongono seri ostacoli all’accoglimento di tale schema fiduciario nel nostro ordinamento e in ogni altro ordinamento il quale preveda strumenti di garanzia reale più miti, quali il pegno e l’ipoteca.
85 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 2.
86 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 364.
87 XXXXXXXXX Xxxxxxxxx, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1950, 340.
88 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 364.
Alcuni autori hanno autorevolmente sostenuto che il negozio fiduciario cum creditore sia inammissibile nel nostro ordinamento, in quanto contrastante con il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c. e quindi fondato su una causa illecita90.
Tuttavia la questione relativa all’ammissibilità della fiducia cum creditore è particolarmente complessa e non può essere risolta in senso negativo con tanta immediatezza e senza sforzo interpretativo alcuno.
Il “nodo gordiano” sarebbe dato proprio dall’art. 2744 c.c., il quale, riguardato nella sua formulazione letterale, sanziona il patto commissorio non in quanto autonomamente e singolarmente considerato, ma in quanto accessorio alla costituzione di un pegno o di un’ipoteca. L’art. 2744 c.c. stabilisce infatti che “è nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore”. Dal tenore letterale della norma deriva che il negozio fiduciario cum creditore è nullo solo se avente per oggetto un bene già gravato da pegno o ipoteca; di conseguenza lo stesso negozio sarebbe pienamente valido se relativo ad un bene non vincolato da garanzia reale tipica.
È dato riscontrare analoga tecnica legislativa nell’art. 1963 c.c., il quale sanziona il patto commissorio annesso ad un contratto di anticresi, stabilendo la nullità di qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto di anticresi, con cui si conviene che la proprietà dell’immobile passi al creditore nel caso di mancato pagamento del debito.
Dunque nulla quaestio sull’inammissibilità nel nostro diritto della fiducia cum creditore accessoria, mentre, con riguardo al negozio fiduciario cum creditore autonomo, a rigore si dovrebbe concludere per la sua validità, non ravvisandosi alcun esplicito divieto legislativo al riguardo.
Occorre dunque dimostrare, al fine di negare alla fiducia cum creditore qualsiasi validità nel nostro ordinamento, che la norma di cui all’art. 2744 c.c. sia suscettibile di interpretazione estensiva e precisamente che la sua portata applicativa ricomprenda anche i patti commissori autonomi, cioè aventi ad oggetto un bene non vincolato da garanzia reale tipica. In altre parole, qualora si riuscisse a dimostrare, come ci si propone in questa sede, che il legislatore non si sia limitato a colpire le pattuizioni commissorie accessorie alle garanzie reali tipiche, ma abbia inteso, per mezzo dell’art. 2744 c.c., sancire in linea generale l’illiceità della causa commissoria, qualsiasi negozio,
come per l’appunto la fiducia cum creditore, il quale faccia dipendere il trasferimento della proprietà di un bene del debitore dal mancato pagamento del debito, sarebbe nullo per violazione del divieto del patto commissorio.
L’iter per addivenire a tale dimostrazione è impervio e trova un grave ostacolo nella formulazione letterale della norma summenzionata, che si riferisce inequivocabilmente al solo patto commissorio accessorio, cioè relativo ad un bene già gravato da pegno o ipoteca.
Dal canto nostro riteniamo però che tale ostacolo non sia assoluto, in quanto l’ambito di operatività del divieto del patto commissorio non può desumersi sic et simpliciter dalla littera legis, ma deve essere ricostruito alla luce della ratio legis, cui è strettamente connesso91. Pertanto, solo individuando la ratio normativa sottesa all’art. 2744 c.c. è possibile ricostruire con esattezza la portata applicativa del divieto del patto commissorio e conseguentemente accertare se essa ricomprende o meno il patto commissorio, e dunque il negozio fiduciario cum creditore, autonomo, cioè avente ad oggetto un bene non vincolato da pegno o ipoteca.
A nostro parere92, l’art. 2744 c.c. risponde all’esigenza di tutelare il debitore e precisamente allo scopo di sottrarre lo stesso all’eccessiva coazione del creditore, la quale verrebbe a configurarsi ogniqualvolta le parti riconnettano al mancato adempimento del debito il trasferimento della proprietà di un bene appartenente al debitore. In tale prospettiva l’art. 2744 c.c. ha riguardo al patto commissorio sotto il profilo finalistico o causale e pertanto è diretto a colpire il fenomeno commissorio nel suo risultato piuttosto che nelle sue forme.
In definitiva la stessa causa commissoria è sempre illecita e pertanto l’ambito applicativo del divieto di cui all’art. 2744 c.c. ricomprende il patto commissorio generalmente inteso, a prescindere dal suo carattere autonomo o accessorio: indi per cui il negozio fiduciario cum creditore, anche se autonomo, è inammissibile nel nostro ordinamento.
91 XXXXXXX Xxxx Xxxxxx, sub art. 2744 in Commentario al codice civile a cura di Xxxxx Xxxxxx, vol. XXXIX, Xxxxxxx, Milano, 2009, 109.
Dobbiamo però tener conto di una divergente corrente dottrinale93 la quale, muovendo da un’interpretazione restrittiva del divieto del patto commissorio, reputa ammissibili i negozi fiduciari cum creditore autonomi, cioè slegati da garanzie tipiche.
Secondo tale impostazione, la ratio dell’art. 2744 c.c. non può essere individuata nell’esigenza di tutelare il debitore dall’eccessiva coazione del creditore, in quanto tale presunta ratio richiederebbe una formulazione della norma più ampia e quindi non tollererebbe che il divieto della pattuizione commissoria sia riferito unicamente alle garanzie tipiche. La ratio dell’art. 2744 c.c. dovrebbe al contrario essere individuata in esigenze di carattere pratico e precisamente nell’opportunità di evitare che su uno stesso bene il patto commissorio si cumuli al pegno o all’xxxxxxx00.
Il patto commissorio sarebbe infatti inconciliabile con la garanzia reale tipica, per ragioni da individuarsi nella diversità degli effetti derivanti dall’uno e dall’altra: mentre il diritto di garanzia ipotecaria o pignoratizia si limita ad attribuire al creditore il diritto di soddisfarsi, attraverso l’esecuzione forzata, sul ricavato della vendita del bene pignorato o ipotecato, il patto commissorio produce automaticamente, sin dal momento dell’inadempimento, il trasferimento della proprietà del bene del debitore.
Pertanto il patto commissorio, ricollegando all’inadempimento l’immediata produzione dell’effetto reale del trasferimento del bene, sarebbe tale da escludere in radice il funzionamento della garanzia reale tipica, la quale, rilevando solo in sede esecutiva, verrebbe ad operare in un momento necessariamente successivo all’inadempimento, quando s’è già verificato il passaggio della proprietà del bene, e si rivelerebbe quindi inutile. È infatti evidente che, se il bene pignorato o ipotecato passa in proprietà del creditore, per effetto del patto commissorio, già al momento dell’inadempimento, la garanzia ipotecaria o pignoratizia, la quale dispiega la sua efficacia solo a seguito dell’inadempimento, rimane priva d’oggetto e perciò perde la propria ragion d’essere.
In definitiva, poiché la ratio del divieto del patto commissorio risiederebbe nell’esigenza di assicurare la sopravvivenza e salvaguardare l’operatività delle garanzie reali tipiche, tale divieto dovrebbe riguardare esclusivamente il patto commissorio tipico, cioè relativo al bene oggetto di pegno o ipoteca.
93 XXXXXXXXX Xxxxxx, Patto commissorio autonomo e libertà dei contraenti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1997, 111.
94 XXXXXXXXX Xxxxxx, Il divieto del patto commissorio, Xxxxxxx, Milano, 1999, 134 ss.
Tale corrente dottrinale soggiunge poi che la ratio sottesa all’art. 2744 c.c. non può essere individuata, come sostenuto in questa sede, nella tutela del debitore dall’eccessiva coazione del creditore, in quanto tale esigenza è solitamente soddisfatta attraverso la predisposizione di sanzioni quali l’annullabilità o la rescindibilità, più miti e comunque diverse dalla nullità di cui alla norma summenzionata. Una sanzione tanto grave quale la nullità dovrebbe spiegarsi considerando la necessità di salvaguardare le garanzie tipiche, posto che il patto commissorio è tale, se annesso ad alcuna di esse, da travolgerne la ragion d’essere.
Pertanto, secondo tale ricostruzione, il legislatore ha voluto evitare semplicemente il cumulo delle due figure95. La garanzia reale tipica da un lato e il patto commissorio o negozio fiduciario cum creditore dall’altro costituirebbero due forme di garanzia distinte e necessariamente alternative, essendo così rimessa la concreta adozione dell’una o dell’altra alla libera scelta del creditore, che dovrà ponderare gli specifici rischi e vantaggi connessi a ciascuna delle due.
Non è affatto vero, secondo tale impostazione, che il creditore che s’è garantito con un patto commissorio autonomo goda di una posizione migliore rispetto al creditore pignoratizio o ipotecario: sarebbe anzi vero il contrario.
Infatti il primo sopporta maggiori rischi, compreso il perimento del bene, a differenza del creditore pignoratizio o ipotecario che, per tale eventualità, può chiedere ai sensi dell’art. 2743 c.c. che gli sia ricostituita la garanzia su altri beni e, in mancanza, l’immediato pagamento del debito. Anche in sede di esecuzione forzata il creditore privilegiato, cioè assistito da pegno o ipoteca, sarebbe avvantaggiato rispetto al creditore tutelato con un patto commissorio autonomo, in quanto il primo, sebbene vincolato ad agire in via prioritaria sui beni oggetto di garanzia, potrà, se il suo credito risulta insoddisfatto, assoggettare ad esecuzione anche altri beni del debitore, mentre il secondo potrà far valere le sue ragioni patrimoniali solo sul bene oggetto del patto96.
Dal canto nostro riteniamo comunque di dover tenere ferma la tesi dell’applicabilità del divieto del patto commissorio alla fiducia cum creditore autonoma, rinvenendo nella sistematica del codice civile un argomento decisivo ad essa favorevole. Tale è la collocazione dell’art. 2744 c.c., il quale è sito non nello specifico capo relativo al singolo istituto del pegno o dell’ipoteca, ma nel capo relativo alle
95 XXXXXXXXX Xxxxxx, Il divieto del patto commissorio, cit., 141
96 XXXXXXXXX Xxxxxx, Il divieto del patto commissorio, cit., 142 ss.
disposizioni generali in materia di responsabilità patrimoniale, a sancire un principio generale valevole per l’intero settore. La collocazione dell’art. 2744 c.c. nell’alveo delle disposizioni generali in materia di responsabilità patrimoniale vale quindi ad eliminare ogni dubbio sulla liceità dell’interpretazione estensiva della norma sancita nell’articolo summenzionato e conseguentemente sull’applicabilità del divieto del patto commissorio alla fiducia cum creditore autonoma.
In senso favorevole alla tesi sostenuta in questa sede, la giurisprudenza più recente è solita dichiarare la nullità del patto commissorio indipendentemente dal suo carattere accessorio o autonomo ed esclusivamente in considerazione della sua funzione pratica: è pertanto nulla qualsivoglia convenzione tesa a costituire una garanzia la quale riconnetta all’inadempimento del debitore il trasferimento della proprietà di un bene appartenente a quest’ultimo. In tale prospettiva l’indagine relativa al fine concretamente perseguito dalle parti diventa determinante per accertare la sussistenza di un patto commissorio: qualsiasi negozio, anche se astrattamente lecito, è nullo per frode alla legge quando le parti hanno voluto con esso perseguire finalità analoghe a quelle proprie del patto commissorio97.
La giurisprudenza ha pertanto escluso il carattere eccezionale del divieto di cui all’art. 2744 c.c., estendendolo così a qualsiasi negozio venga concretamente impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento, di riconnettere alla mancata estinzione di un debito il trasferimento della proprietà di un bene appartenente al debitore, esercitando in tal modo un’illecita coercizione su costui98.
Altri autori99, pur riconoscendo che la norma di cui all’art. 2744 c.c. sanzioni il fenomeno del patto commissorio nel suo risultato piuttosto che nelle sue forme, negano che il divieto derivante dalla norma summenzionata operi con riguardo al negozio fiduciario cum creditore, in quanto quest’ultimo non può essere assimilato al patto commissorio. Infatti nel patto commissorio il passaggio della proprietà del bene si verifica solo nel momento dell’inadempimento, mentre nel negozio fiduciario cum creditore il bene passa in proprietà del creditore subito, fin dal momento della stipulazione del negozio stesso, per il principio del consenso traslativo.
97 In tal senso Cass., 4 marzo 1996, n.1657 in Giurisprudenza commerciale, 1997, II, 656.
98 In tal senso Cass., 2 febbraio 2006, n.2285 in Repertorio del Foro italiano, 2006, 1758.
99 XXXXXXXX Xxxxxxxx, Nullità del patto commissorio e vendita con patto di riscatto in Giurisprudenza completa della Corte Cassazione - Sez. civili, I, 1945, 157.
Da tale differenza strutturale deriverebbe l’impossibilità di estendere alla fiducia cum creditore il divieto riguardante il patto commissorio.
Dal canto nostro dobbiamo riconoscere che tra il negozio fiduciario cum creditore e il patto commissorio intercorre tale linea distintiva, ma si tratta di una linea distintiva davvero molto sottile: nel primo la proprietà si trasferisce senz’altro al compratore, mentre nel secondo le parti hanno concordano che il compratore-creditore diverrà proprietario del bene solo nel caso in cui il debitore risulterà inadempiente alla scadenza del termine convenuto100.
In altre parole nel patto commissorio il trasferimento della proprietà è differito ed eventuale, essendo sottoposto alla condizione sospensiva del mancato adempimento del debito nel termine stabilito, mentre nella fiducia cum creditore si realizza un trasferimento immediato della proprietà, il quale, se è stato adottato il modello germanistico e quindi lo schema negoziale della vendita con patto di riscatto, è sottoposto a condizione risolutiva potestativa, in virtù della quale il venditore può riottenere ipso iure il bene semplicemente mediante l’adempimento del debito; viceversa, laddove sia stato adoperato il modello romanistico e quindi lo schema negoziale della vendita con patto di retrovendita, l’immediato trasferimento della proprietà è accompagnato da un patto di retrovendita, fonte di effetti obbligatori nel caso in cui il debito sia tempestivamente adempiuto.
Non sembra però che tale sottile differenza sia decisiva al fine di sottrarre al divieto del patto commissorio la fiducia cum creditore, in quanto il passaggio immediato della proprietà che in quest’ultima si realizza non vale ad escludere l’indebita coazione all’adempimento esercitata sul creditore. Pertanto, poiché la ratio del divieto del patto commissorio risiede proprio nell’esigenza di evitare tale indebita coazione, riteniamo che tale divieto possa legittimamente estendersi al negozio fiduciario cum creditore.
In senso favorevole alla tesi sostenuta in questa sede, di recente numerose decisioni giurisprudenziali hanno ritenuto di poter legittimamente estendere l’applicazione della norma di cui all’art.2744 c.c. a fattispecie di vendita con patto di retrovendita o con patto di riscatto, inquadrabili nello schema negoziale della fiducia
100 CAPO Xxxxx, sub art. 1963 in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina diretta da Xxxxxx Xxxxxxx, IV, Xxxxxxx, Milano, 2012, 183.
cum creditore, allorquando esse dissimulino un patto commissorio o, in senso più ampio, siano volte a perseguire uno scopo di garanzia101.
Invero la giurisprudenza di legittimità meno recente, muovendo dal presupposto che il divieto di cui all’art. 2744 c.c. non assumesse carattere generale, escludeva che la vendita con patto di retrovendita o con patto di riscatto, pur quando avesse assolto uno scopo di garanzia, potesse essere ricondotta entro l’alveo della norma summenzionata102.
La Suprema Corte affermava che il divieto di cui all’art. 2744 c.c. fosse esclusivamente riferito all’ipotesi in cui le parti miravano a costituire una situazione giuridica sospensivamente condizionata al mancato adempimento tempestivo del debito e che pertanto il negozio fiduciario cum creditore fosse pienamente valido, in quanto importava un trasferimento della proprietà immediato ed effettivo103.
La giurisprudenza aveva così individuato nel momento traslativo il discrimine tra la vendita a scopo di garanzia lecita e quella illecita: un trasferimento attuale ed effettivo, quale si realizza nella fiducia cum creditore, sarebbe lecito, in quanto non esercita sul debitore alcuna coazione all’adempimento. Al contrario, qualora il trasferimento sia eventuale e differito, in quanto subordinato all’inadempimento del debitore, come nell’ipotesi di vendita sospensivamente condizionata, il negozio è nullo, poiché esercita sul debitore quell’indebita coazione all’adempimento derivante dal pericolo di perdere il bene dato in garanzia104.
La Suprema Corte mutò tale orientamento con una decisione innovativa105 secondo la quale anche la vendita con patto di riscatto o con patto di retrovendita incorre nella sanzione di nullità di cui all’art. 2744 c.c., ove risulti l’intento precipuo delle parti di costituire con il bene una garanzia, tale per cui il trasferimento diverrà irrevocabile solo al momento dell’inadempimento del venditore-debitore. In tale fattispecie negoziale a nulla rileva l’immediatezza ed effettività del trasferimento della proprietà, in quanto si ravvisa un’illecita causa commissoria, nettamente divergente
101 XXXXXX Xxxxxxxx, sub art. 2744 in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina
diretta da Xxxxxx Xxxxxxx, VI, Xxxxxxx, Milano, 2012, 37.
102 In tal senso Cass., 26 giugno 1946, n.740 in Foro italiano, 1947, I, 607.
103 In tal senso Cass., 29 ottobre 1963, n. 2880 in Giustizia civile, 1963, 1356.
104 XXXXXX Xxxxxxxx, sub art. 2744, cit., 39 s.
105 Cass., 3 giugno 1983, n. 3800 in Massimario del foro italiano, 1983, 794.
dalla causa tipica della vendita, consistente in una funzione di scambio a parità di condizioni106.
Non appena tale ricostruzione innovativa cominciò a consolidarsi107, si scontrò con altre pronunce108 le quali si conformavano all’orientamento tradizionale, precisando che la vendita con patto di riscatto o con patto di retrovendita stipulata per motivi di garanzia costituisce una posizione giuridica non solo formalmente, ma anche sostanzialmente differente da quella determinata dal patto commissorio, il quale, in danno del debitore, fa dipendere l’effetto traslativo dal mancato adempimento.
Tale contrasto intestino alla Suprema Corte fu risolto dalle Sezioni unite in senso conforme all’orientamento innovativo. Le Sezioni unite109 stabilirono infatti che la vendita con patto di riscatto o con patto di retrovendita, stipulata tra il creditore ed il debitore allo scopo di garanzia e precisamente allo scopo di far dipendere l’irrevocabile attribuzione del bene al creditore dall’inadempimento del debitore, è nulla, atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio previsto e vietato dall’art.2744 c.c., costituisce un mezzo per eludere l’applicazione di tale norma imperativa e pertanto esprime una causa illecita, sanzionabile ex art.1344 c.c. Effettivamente la fiducia cum creditore coincide perfettamente con il patto commissorio, se non dal punto di vista strutturale quantomeno sotto il profilo finalistico.
In particolare è stata sancita la nullità della vendita con patto di riscatto o con patto di retrovendita ogniqualvolta il versamento del denaro costituisca non pagamento del prezzo bensì esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene sia strumentale alla costituzione in favore del mutuante di una posizione di garanzia provvisoria, destinata a venir meno con effetti diversi a seconda che il debitore adempia o meno l’obbligo di restituire la somma mutuata. Sebbene siffatta vendita non integri direttamente un patto commissorio, costituisce un mezzo per eludere l’applicazione della norma imperativa di
106 In tal senso Cass., 16 aprile 1987, n. 3784 in Massimario del foro italiano, 1987, 642.
107 In tal senso anche Xxxx., 11 gennaio 1988, n.46 in Giustizia civile, 1988, I, 1767, secondo cui il divieto del patto commissorio opera ogniqualvolta la compravendita e il mutuo siano stati posti in rapporto di reciproca interdipendenza, tale da rendere manifesto l’intento delle parti di costituire attraverso la vendita una garanzia reale per il mutuante nel senso che la mancata restituzione entro un certo termine della somma mutuata determini il trapasso definitivo ed irrevocabile del bene al creditore.
108 Cass., 12 dicembre 1986, n. 7385 in Foro italiano, 1987, I, c. 799.
109 Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1611 in Giurisprudenza italiana, 1990, I, 104.
cui all’art. 2744 ed esprime pertanto una causa illecita, che ne determina la nullità ai sensi dell’art. 1344 c.c.110.
In definitiva la giurisprudenza adopera un criterio funzionale: qualora un contratto di compravendita venga concluso allo scopo di costituire una garanzia, esso è nullo in quanto stipulato in frode alla legge e precisamente all’art. 2744 c.c. Pertanto la vendita con patto di riscatto o con patto di retrovendita, la quale è stipulata a soli fini di garanzia e precisamente allo scopo di attribuire il bene al creditore in caso di inadempimento del debitore, è, ai sensi dell’art. 1344 c.c., affetta da nullità per causa illecita, in quanto elude il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c.111.
In conclusione il negozio fiduciario cum creditore, sia accessorio alla costituzione di una garanzia reale tipica che autonomo, è totalmente inammissibile nel nostro ordinamento.
Tali limiti di validità non si riscontrano invece con riguardo ai negozi fiduciari riconducibili alla categoria cum amico, i quali, in linea di principio, devono ritenersi sempre leciti, purché non siano diretti ad eludere l’applicazione di una norma imperativa, incorrendo così nella sanzione della nullità per frode alla legge.
È stato più volte dichiarato nullo dalla giurisprudenza il contratto fiduciario attraverso il quale l’unico socio della società di capitali trasferisce fiduciariamente una frazione minima del capitale sociale ad un compiacente intestatario, al fine di eludere l’applicazione di quella normativa che, ricorrendo determinate condizioni, lo assoggetta, in quanto unico socio della società di capitali, alla responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali112. In tali casi la prova della frode alla legge può essere data anche per presunzioni, come nell’ipotesi in cui il secondo socio fiduciario sia intestatario di una percentuale irrisoria del capitale sociale113. Dichiarata la nullità del contratto ai sensi dell’art.1344 e cioè in quanto in frode alla legge, il fiduciante si trova ad essere unico socio e quindi, ricorrendo determinate condizioni, illimitatamente responsabile delle obbligazioni sociali.
110 In tal senso Cass., 4 marzo 1996, n. 1657 in Notariato, 1996, n. 409, con nota di X. Xxxxxx Xxxxxxx; Cass., 20 luglio 2001, n. 9900 in Massimario della Giurisprudenza italiana, 2001; Cass., 8 febbraio 2007,
n. 2725 in Massimario della Giurisprudenza Civile, 2007.
111 In tal senso Cass., 11 giugno 2007, n.13621 in Giustizia civile, 2007, I, 2716.
112 XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 473; XXXXXXXX Xxxxx, La vulnerabile persona giuridica in
Contratto e impresa, 1985, 695 ss.
113 In tal senso Cass., 29 novembre 1983, n.7152 in Giurisprudenza commerciale, 1984, II, 694; Cass., 9
dicembre 1982, n.6712, in Giurisprudenza commerciale, 1983, II, 683.
A parte questa ed altre marginali ipotesi, come quella in cui si vogliano far pervenire i beni fiduciati ad una persona incapace di riceverli, non si frappongono altri ostacoli al recepimento nel nostro ordinamento dei negozi fiduciari cum amico, anche detti puri o altruistici, in quanto in essi il potere giuridico conferito al fiduciario è completamente diretto a realizzare un interesse proprio del fiduciante.
In conclusione, non si deve ritenere, come qualche autore114 ha sostenuto, che alle molteplici funzioni concretamente assolte attraverso la fiducia corrispondano altrettante e distinte cause del fenomeno fiduciario. Infatti è comunque possibile tenere ferma l’unitarietà della causa fiduciae, la quale consiste, con riguardo alle ipotesi di fiducia cum amico, nel dare per aver da riavere115 e, con riguardo alle fattispecie fiduciarie cum creditore, nella costituzione di un diritto di credito alla restituzione dello stesso bene trasferito, diritto la cui esigibilità è subordinata all’esaurimento dello scopo di garanzia116.
114 MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, cit., 559.
115 GRASSETTI, Del negozio fiduciario, cit., 378.
116 XXXXXXX XXXXXXX, I negozi fiduciari, cit., 113 s.
2. 4. La fiducia del testatore e dei nubenti
Avevamo fatto cenno, nel paragrafo precedente, delle rilevanti applicazioni della fiducia nel campo delle successioni e della famiglia. In tale sede ne daremo conto più ampiamente.
Nel settore delle successioni la fiducia assume la forma concreta della disposizione fiduciaria testamentaria, la quale, disciplinata all’art. 627 c.c., consiste nell’affidare i beni rientranti nell’asse ereditario alla persona dichiarata nel testamento, con l’intesa fiduciaria che xxxxxx, erede o legatario che sia, li ritrasferisca ad altra persona indicatale in segreto dal testatore117. In altre parole attraverso la disposizione fiduciaria il testatore attribuisce l’asse ereditario, in tutto o in parte, ad un determinato soggetto, essendosi previamente e segretamente accordato con costui che i beni stessi dovranno essere consegnati ad una terza persona.
Così la disposizione fiduciaria favorisce solo apparentemente la persona indicata nel testamento, in quanto il testatore ha in realtà inteso disporre a favore di un’altra persona e a tal fine s’è accordato con la prima affinché questa porti a compimento il suo programma118. Ne deriva che colui che è stato nominato erede o legatario è tale solo formalmente, poiché in sostanza assume il ruolo di fiduciario, essendo tenuto, in virtù dell’accordo con il testatore e secondo la di lui volontà, a consegnare i beni al vero erede o legatario119.
La pratica delle disposizioni fiduciarie testamentarie, sorta nel mondo romano e proseguita entro l’universo giuridico medioevale, raggiunse il suo apice ai tempi del diritto comune, ma cominciò gradatamente a declinare con il progressivo affermarsi, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, del principio della forma scritta della volontà testamentaria120.
Tale principio importava l’inefficacia di qualunque manifestazione di volontà non risultante dalla scheda testamentaria e conseguentemente anche della segreta intesa fiduciaria intercorsa tra il testatore e l’erede o legatario apparente. Ne derivava che il fiduciario potesse legittimamente rifiutarsi di eseguire la volontà manifestatagli dal
117 XXXXXXXX Xxxxxxxxx Xxxxxxx, XXXXXXXX Xxxxxxxx, XXXXXXXX Xxxxxxxx, Successioni per causa di morte e donazioni, XXXXX, Padova, 1979, 443.
118 DI XXXXXX Xxxxx, sub art. 627 in Commentario al codice civile a cura di Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 2009, 1187.
119 XXXXXXXX Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Successioni per causa di morte e donazioni, cit., 443.
120 XXXXXXXX Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Successioni per causa di morte e donazioni, cit., 444.
testatore. La posizione dell’erede o legatario apparente era dunque caratterizzata dalla più ampia potestà d’abuso, in quanto costui aveva facoltà di rifiutarsi di ritrasferire i beni o di ritrasferirli a persona diversa da quella voluta dal testatore, senza per ciò stesso incorrere in sanzioni.
Poiché nessuna tutela giuridica era predisposta per assicurare che l’erede o il legatario apparente assolvesse effettivamente l’incarico conferitogli, la realizzazione del risultato avuto di mira dal testatore era rimesso in toto alla fides, cioè all’onestà e alla fedeltà, di costui121.
Tali caratteristiche contrassegnano tutt’oggi la disposizione fiduciaria testamentaria e valgono ad iscriverla nell’alveo della fiducia in senso tecnico, poiché, secondo una massima precedentemente accolta, soltanto laddove viene in essere la potestà d’abuso si configura la fiducia in senso tecnico122.
La disposizione fiduciaria testamentaria, rimettendo in via esclusiva all’arbitrio dell’erede o legatario fiduciario l’esecuzione della reale volontà del testatore, viene a configurarsi quale extrema ratio, alla quale si ricorre quasi sempre per perseguire finalità non consentite dalla legge, come ad esempio123 favorire un incapace, celare un motivo illecito della disposizione o far realizzare un risparmio di tassa di successione124. Non ricorre una disposizione fiduciaria testamentaria qualora il testatore abbia incaricato l’erede di provvedere a soddisfare i legati, indicati in una lettera inserita nella stessa busta in cui era stato posto il testamento, poiché in tale ipotesi le due disposizioni devono intendersi collegate e quindi l’incarico all’erede non ha natura di disposizione
fiduciaria125.
D’altro canto è stato ritenuto valido come legato fiduciario e non nullo quale mandato post mortem o lascito a persona incerto l’incarico attribuito dal testatore all’esecutore testamentario di incassare il reddito dei beni ereditari, con facoltà di
121 XXXXXXXXX Xxxxxxxx, sub articolo 627 in Commentario teorico-pratico al codice civile diretto da Xxxxxxxx de Xxxxxxx, Edizioni PEM, Novara, 1973, 225.
122 A conferma di tale ricostruzione, la giurisprudenza ha affermato che attraverso la disposizione fiduciaria il testatore fa affidamento, in via di puro obbligo di coscienza, sull’erede istituito, affinché costui trasmetta a terzi i beni ereditari (in tal senso x. Xxxx., 00 marzo 1943, n.606 in Repertorio del Foro italiano, 1943-45, Successione, n. 28).
123 XXXXXXXX Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Successioni per causa di morte e donazioni, cit., 444.
124 È stata esclusa la ricorrenza di una disposizione fiduciaria nell’ipotesi in cui il testatore, pur avendo indicato espressamente ed inequivocabilmente il beneficiario del patrimonio ereditario, abbia conferito ad altra persona un incarico fiduciario volto non ad una diversa destinazione di quello stesso patrimonio, bensì a favorire maggiormente la persona indicata quale erede, per mezzo dell’esclusione dell’imposta di successione (in tal senso x. Xxxx., 00 marzo 1980, n.1672 in Giurisprudenza italiana, 1981, I, 1336).
125 In tal senso App. Firenze, 22 settembre 1965, in Foro padano, 1966, I, c. 1045 ss.