Universitari ROMA, 27-28 MAGGIO 2022 Fabrizio Sudiero
XIII Convegno annuale dell’associazione italiana dei professori
Universitari
di diritto commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale”
“Il diritto commerciale, le lezioni della pandemia e la pianificazione del rilancio economico”
ROMA, 27-28 MAGGIO 2022
Xxxxxxxx Xxxxxxx
Pandemia e contratti d’impresa: rimedi transtipici dal diritto commerciale ed un approccio “integrato” con il diritto civile
SOMMARIO: 1. Premessa, note metodologiche e obiettivo del paper. - 2. Contratti di impresa, contratti di durata e “long-term contracts”. – 3. Sopravvenienze e pandemia: i rimedi. Una (sintetica) incursione storico-comparatistica sino ai giorni d’oggi. – 3.1 L’approccio statunitense. - 3.1.1 Sanctity of contract, frustration of purpose e commercial impracticability. - 3.1.2 Relational contracts e incomplete contracts. - 3.1.3 La pandemia e nuove e vecchie teorie statunitensi: impossibility, restitution e prosocial contracts –
3.2. L’approccio tedesco. – 3.3. L’approccio francese. – 4. L’approccio italiano. - 4.1. I rimedi tradizionali relativi alle sopravvenienze. - 4.2. La normativa emergenziale e gli orientamenti giurisprudenziali. –
4.2.1. La norma generale. – 4.2.2. La normativa speciale in sintesi. In particolare: il contratto di locazione … - 4.2.3. (segue) Il d.l. 118/2021 e adeguamento giudiziale del contratto – 5. Alcune proposte de iure condito dal diritto commerciale. – 5.1. Primo contributo del diritto commerciale: la causa concreta dei relational contracts e la tendenza all’economicità di cui all’art. 2082 c.c. – 5.2. Secondo contributo del diritto commerciale: i vantaggi compensativi. – 5.3. Terzo e quarto contributo del diritto commerciale: la preservazione della continuità aziendale e dell’equilibrio economico ed il ruolo dell’art. 1256, comma 2 c.c. – 5.4. Il quinto (indiretto) contributo del diritto commerciale: la prospettiva dell’interesse sociale, della CSR, degli ESG nel contratto. Spunti dal cd. “prosocial contract”. – 5.5 Il sesto contributo del diritto commerciale: un approccio “integrato” per la violazione dell’obbligo di rinegoziare. – 6. Alcune prime conclusioni de iure condito e de iure condendo.
1. Premessa, note metodologiche e obiettivo del paper.
Pare potersi affermare che le misure di contenimento derivanti dalla necessità di fronteggiare la pandemia Covid-19 abbiano inciso su tutte le tipologie di obbligazioni: in maniera diretta sull’adempimento e sull’utilizzabilità delle prestazioni specificamente colpite dalle misure di contenimento stesse (come, ad esempio, nel settore del turismo, dei trasporti, dello sport e della ristorazione 1 ), in maniera indiretta, sulla capacità di adempiere alle altre prestazione e, in particolare, a quelle pecuniarie.
In altre parole, sembra potersi affermare che la pandemia e i connessi provvedimenti normativi abbiano generato anzitutto una vera e propria crisi del contratto che, a sua volta, potrebbe aver aggravato o originato svariate crisi aziendali e di riflesso familiari e individuali.
I provvedimenti di sostengo adottati dal legislatore si caratterizzano quasi tutti per la temporaneità ed eccezionalità, con il fine precipuo, con riferimento a quelli di contenuto più economico, di offrire misure di sostegno volte a tamponare una possibile crisi economica dalle conseguenze catastrofiche.
Tuttavia, poca attenzione pare essere stata dedicata alla disciplina delle sorti dei vincoli contrattuali colpiti dall’emergenza pandemica. Xxxxx, infatti, una norma di carattere generale, peraltro concernente la responsabilità del debitore (comma 6-bis all’art. 3 del d.l. 23 febbraio, n. 6), e specifiche e settoriali discipline2, il tema delle sopravvenienze e dei relativi rimedi manutentivi e estintivi dei contratti è rimasto quello dell’impianto codicistico.
1 Ma in alcuni casi, specie in un primo momento, anche altre attività sono state colpita in ragione del lockdown generalizzato.
2 Come ad esempio, i) l’art. 88 del decreto “Cura Italia”, in tema di contratti di acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi di cultura; ii) l’art. 216, comma 4, del decreto “Rilancio”, in tema di contratti di abbonamento per l’accesso ai servizi offerti da palestre, piscine ed impianti sportivi di ogni tipo; iii) l’art. 28 decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 e l’art. 88-bis del decreto “Cura Italia”, in tema di soggiorno, di pacchetto turistico e di trasporto (terrestre, aereo, ferroviario e marittimo); iv) l’art. 103, comma 2-ter, del decreto “Cura Italia” in tema di «contratti aventi ad oggetto l’esecuzione di lavori edili»; v) l’art. 15 del decreto “Rilancio” sulla tutela per i pendolari di trasporto ferroviario e TPL; vi) l’Ocdpc del 29 febbraio 2020, n. 642, integrata dal d.l. 2 marzo 2020, n. 9, gli artt. 54 e 56 del decreto “Cura Italia” e successive integrazioni in virtù del decreto “Liquidità” e del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 103, in tema di contratti bancari; vii) l’art. 10, comma 5 del Decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 e successive integrazioni del decreto “Liquidità”, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 103 e della legge 30 dicembre 2020 n. 178 (“Legge di Bilancio 2021”) in tema di termini di scadenza e pagamento dei titoli di credito e di protesti, viii) gli artt. 65 del decreto “Cura Italia” e 216, comma 3 del decreto “Rilancio” in tema di locazioni (la prima una norma fiscale, la seconda invece più specificamente dedicata alle locazioni di immobili adibiti a palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di privati) oltre all’art. 103, comma 6 del decreto Cura Italia in tema di sospensione degli sfratti; ix) l’art. 46 del decreto “Cura Italia” in tema di licenziamento dei lavoratori subordinati.
La lacuna pare piuttosto rilevante, posto che, stante il fondamentale ruolo “produttivo” del contratto, qualunque iniziativa, di sostegno o di “tamponamento” economico e/o giuridica 3 , avrebbe ben poca efficacia, nell’ottica, anche europea, di preservare la continuità aziendale, allorché non si individuassero soluzioni adeguate in merito alle sorti dei contratti pendenti e, in particolare, onde contenere i rischi derivanti dallo scioglimento (o da un eccessivo squilibrio) dei contratti per cause imputabili (direttamente o indirettamente, nel senso poc’anzi visto) alla pandemia.
In effetti, la continuità aziendale non pare poter essere garantita da sole misure di sostegno finanziarie allorché la sopravvenienza contrattuale pandemica legittimi sic et simpliciter l’inadempimento, la risoluzione dei contratti d’impresa in essere, specie di lunga durata, o la loro iniquità.
Da ultimo il legislatore con il D.L. 24 agosto 2021, n. 118 (convertito in legge con l. 21 ottobre 2021, n. 147), ha introdotto una disposizione (l’art. 10, comma 2) che consente alle imprese (che possono accedere alla nuova procedura composizione negoziata della crisi) di ottenere – anche in xxx xxxxxxxxxx 0 - la rideterminazione delle condizioni contrattuali (proprio
«come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale») dei contratti ad esecuzione continuata o periodica o ad esecuzione differita (ovvero i più tipici contratti d’impresa) colpiti, nella loro fase esecutiva, dall’emergenza sanitaria («se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2»). Una previsione che se, da un lato, pare correttamente cogliere l’importante nesso tra contratto e continuità aziendale cui si è appena fatto cenno, dall’altro, potrebbe suscitare ulteriori problemi sistematici e di compatibilità con tesi volte a sostenere più generali doveri di rinegoziazione.
3 Come, con riguardo a queste ultime, la moratoria di eventuali azioni esecutive, l’irresponsabilità degli organi sociali, la sospensione di alcune delle regole societarie in tema di riduzione del capitale sociale per perdite o degli obblighi di ricorrere a procedure concorsuali, di incentivazione dei finanziamenti soci; a titolo esemplificativo, salvo quanto si dirà oltre, si vedano in ambito europeo e comparatistico: la raccomandazione del Comitato esecutivo CERIL (Conference of European Restructuring and Insolvency Law) del 20 marzo 2020; l’art. 6 della direttiva dell’UE in tema di Ristrutturazione preventiva ed Insolvenza (2019/1023); l’ordinanza del consiglio federale svizzero del 18 marzo 2020; il Real Decreto-ley 8/2020 del 17 marzo 2020 dell’ordinamento spagnolo; il Gesetz zur Abmilderung der Folgen der COVID-19-Pandemie im Zivil-, Insolvenz- und Strafverfahrensrecht del 27 marzo 2020; nel Regno Unito il Corporate Insolvency and Governance Act del 26 giugno 2020.
4 Anche se il recente progetto di decreto legislativo modificativo del Codice della ciris
d’impresa e dell’insolvenza, approvato in consiglio dei Ministri il 17 marzo 2022 ha
espunto espressamente il potere di intervento del giudice.
Tanto premesso, il presente lavoro intende proporre, attraverso alternativi percorsi argomentativi 5 , frutto anche di riflessioni comparatistiche, una possibile nuova ricostruzione della disciplina della sopravvenienza pandemica sui contratti commerciali e, segnatamente, quelli di impresa6 (intesi, come ricordato da Xxxxxxx Xxxx nei «Princìpi» del diritto commerciale, quelli «conclusi per l’organizzazione o nell’esercizio dell’impresa»7 e, quindi, normalmente, “di durata”).
Le soluzioni ipotizzate si fonderanno, come si avrà modo di vedere, su alcuni principi del diritto commerciale, aventi, a mio sommesso parere, portata transtipica, al fine di individuare un apparato rimediale frutto di un approccio interdisciplinare che definirei “integrato” tra diritto commerciale e diritto civile.
2. Contratti di impresa, contratti di durata e “long-term contracts”.
Come anticipato la dottrina ha elaborato il concetto di contratti di impresa intesi come quelli «conclusi per l’organizzazione o nell’esercizio dell’impresa»8. Essi, dunque, si innestano perfettamente nella categoria dei cc. dd. contratti di durata o, meglio, di lunga durata (nel senso di durata tendente almeno a quella del progetto imprenditoriale cui accedono).
Xxxx, si potrebbe dire che i contratti di impresa rappresentino il modello forse più tipico dei contratti di durata. Ed ecco perché, come spesso accaduto nella storia della dialettica tra diritto commerciale e diritto civile, essi potrebbero essere presi a modello per risolvere problematiche comuni a tutti i contratti di durata.
Ad ogni modo, è noto che lo stesso Giorgio Oppo9 ha individuato, in uno scritto immediatamente successivo all’entrata in vigore del codice civile del ’42, tre distinte figure di rapporti giuridici rilevando la diversa incidenza del fattore tempo10 su ciascuno di essi: i) i contratti ad esecuzione
5 In ambito civilistico la letteratura e già sterminata, tuttavia non molti sono ancora i contributi interdisciplinari che intendono affrontare la materia dal punto di vista sia del diritto civile che del diritto commerciale.
6 Sull’argomento si è espressa anche l’Accademia Nazionale dei Lincei, con il documento intitolato Covid e Xxxxxxxxx. Documento della Commissione Covid-19, pubblicato in data 2 maggio 2020, disponibile su in xxx.xxxxxx.xx, auspicando un intervento del legislatore volto a regolare i contratti d’impresa compressi dalle perdite economiche provocate dal periodo di inattività collegato alla pandemia.
7 Nel Trattato di Diritto Commerciale, diretto da X. XXXXXXXXX, x. X, x. X, 0000, Xxxxxx, 30.
8 X. XXXX, (nt. 7), 30.
9 X. XXXX, I contratti di durata, I, in Riv. dir. comm., 1943, 143 ss., ID., I contratti di durata, II, in Riv. Dir. comm., 1944, 17 ss.
10 Sul fattore tempo v. le interessanti riflessioni di X. XXXXXXXX, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, Milano, 2007; X. XXXXXXX, Diritto e tempo,
differita in cui l’adempimento è rimandato ad un momento successivo alla conclusione del contratto; ii) quelli con adempimento a formazione progressiva in cui l’adempimento inizia a realizzarsi al momento della conclusione del contratto senza perfezionarsi e realizzarsi compiutamente sino a un certo termine; iii) quelli di durata11, per i quali l’adempimento è continuo nel tempo e si protrae per un certo periodo, non si realizza al termine di esso, bensì continuamente o ripetutamente durante il medesimo. In particolare, in tali ultimi contratti, il tempo o, meglio, la durata, sarebbe elemento essenziale di determinazione della prestazione per la sua natura12 rispondendo, essi, ad un interesse durevole dei contraenti.
Tale suddivisione, sebbene sia stata criticata soprattutto rispetto ai contratti di durata 13 , evidenzia un fondamentale minimo comun denominatore fra tutti i contratti di durata e, segnatamente, quelli di impresa, ovvero la realizzazione dell’interesse negoziale nel tempo14.
Infatti non sembra possibile ignorare come in molti dei contratti di impresa (ad esempio, quelli che si stipulano lungo una filiera di produzione e di distribuzione, ma anche quelli più tipicamente necessari all’organizzazione imprenditoriale, come i contratti di locazione ad uso non abitativo) la (inter)dipendenza soggettiva e oggettiva che si crea fra le due parti (di cui almeno una è un’impresa) ed il relativo interesse negoziale trovino realizzazione proprio nel tempo o, meglio, nella sicurezza del rapporto duraturo.
Dovrebbe in questo senso condividersi quella tesi per cui, specie alla luce dei contributi in materia da parte della dottrina giuscommercialista (e, segnatamente, in tema di contratto di mutuo e assicurativo), occorrerebbe rivisitare la categoria dei “contratti di durata” nel senso di uscire dalle logiche del mero rapporto obbligatorio, per orientarsi verso spiegazioni ontologiche del contratto non in termini propriamente sinallagmatiche dell’adempimento durevole, bensì in termini di utilità durevole delle parti derivante da altri vincoli o situazioni giuridiche. In altre parole si finisce così per dare rilevanza causale anziché alla durata dell’adempimento, alla durata del soddisfacimento dell’interesse. 15 . In questo senso, quindi, nell’ambito dei rapporti di durata ci si potrebbe limitare a distinguere: i) i
in Jus, 1998, 635 ss., X. XXXXX XXXXX, Il tempo nel diritto degli affari, in Banca, borsa e tit. cred., 2000, I, 407 ss.,
11 Si prescinde ovviamente in questa sede dalla nozione di contratti di durata di diritto bancario (artt. 118 e 119 TUB) per valutarne una nozione più ampia nel senso sistematico esposto nel testo.
12 G. OSTI, voce Contratto, in Nuovo Dig. It., IV, Torino, 1938, 67.
13 X. XXXXXXXX, Il rapporto di durata, in Riv. dir. civ., 2010, 501
14 X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxxx e mutuo, in Tratt. dir. civ., diretto da XXXXXX e XXXXXXX XXXXXXXXXX, Milano, 1972, 69.
15 X. XXXXXXXX, Il rapporto di durata (nt. 13), 527.
contratti ad efficacia differita; ii) i contratti di durata ovvero i “contratti ad esecuzione continuata o periodica”16.
Ancor più complesso è lo scenario in tema di “contratti di lunga durata”, per tali intendendosi quei contratti che «sono destinati a durare nel tempo, che, di frequente, hanno come finalità pratica la realizzazione di un risultato non altrimenti conseguibile se non attraverso l’allestimento di un’operazione negoziale più o meno complessa. I contratti che fanno parte di questo genere di operazioni economiche presentano un’accentuazione della rilevanza del tempo, nel senso della proiezione del rapporto contrattuale in un certo periodo, calcolato dai contraenti in funzione del presumibile recupero degli investimenti»17. Tali contratti, in altre parole, instaurano tra le parti una vera e propria “relazione contrattuale” destinata a prolungarsi (molto) nel corso del tempo e che trova la sua origine nel noto dilemma imprenditoriale «make or buy» risolto con un approccio «buy» di lunga durata: tutte le imprese devono, infatti, decidere se produrre al proprio interno beni e servizi aggiuntivi (“make”), oppure acquistare i prodotti e i servizi finiti direttamente da terzi esterni all’impresa (“buy”)18.
In questo modo i contratti di lunga durata rappresentano uno strumento giuridico idoneo a rispondere ad una necessaria esigenza economica e imprenditoriale, sicché sono impregnati di aspetti giuscommercialistici e riflettono, in altre parole, un assetto imprenditoriale, una precisa organizzazione aziendale.
Come si vedrà, questo aspetto permea di sé la stessa causa (in concreto) di questi contratti, potendosi sostenere che esso imponga alle parti, alla stregua di una vera e propria obbligazione, una dinamica e costante ricerca dell’economicità del rapporto (o, quantomeno della ragionevole ed originaria alea del contratto), nel senso previsto dall’art. 2082 c.c.
Ciò premesso, prima di ulteriormente argomentare la tesi, pare ora utile un succinto esame dello stato dell’arte riguardo proprio la sorte di questi contratti di fronte al fenomeno delle sopravvenienze e, segnatamente, di quella pandemica.
L’indagine deve necessariamente passare da un’analisi
comparatistica e ciò non solo per la novità e la “globalità” della
16 X. XXXXXXX, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, Milano, 2018, 12-13 e ivi numerosi riferimenti anche alla dottrina giuscommercialistica citata.
17 Così, mutuando dalla dottrina nordamericana, X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, 13.
18 Sul tema la dottrina anche economica è sterminata. V., ad esempio, P. L. JOSKOW, Asset specificity and vertical integration, in X. XXXXXX, The New Palgrave. Dictionary of Economics and the Law, I, London-New York, 1998, 107 ss.; ID., Vertical Integration and Long-Term Contracts: The Case of Coal Burning Electric Generating Plants, in J. L. Econ. & Org., 1985, 33 ss.
sopravvenienza in esame, ma anche perché, alla luce delle tesi qui sostenute, il diritto commerciale, quale possibile settore nel quale trovare soluzioni alla problematica in questione, è notoriamente caratterizzato dalla transnazionalità: più la tesi risulta condivisibile (e senza confini) maggiore sarà la sua probabilità di efficacia e circolazione.
E non è un caso che le sopravvenienze sono, infatti, più efficacemente considerate e disciplinate, nell’ambito delle transazioni commerciali internazionali, sia a livello contrattuale sia di soft law19, come dimostrano anche le pronunce arbitrali.
3. Sopravvenienze e pandemia: i rimedi. Una (sintetica) incursione storico-
comparatistica sino ai giorni d’oggi.
E’ parso, in primo luogo, utile prendere in esame, da un lato, l’ordinamento statunitense, in particolare, per la notorietà delle ricostruzioni dottrinali relative proprio ai contratti di durata, dall’altro, alcuni Paesi di civil law noti per l’autorevolezza dei relativi formanti e, quindi, per la relativa tradizione giuridica nonché in quanto protagonisti di alcune rilevanti riforme organiche del diritto civile (come la Francia - e la Germania).
3.1 L’approccio statunitense
3.1.1 Sanctity of contract, frustration of purpose e commercial impracticability
Partendo dalle ricostruzioni statunitensi in materia, occorre rilevare come, anche con riferimento ad eventi, in un certo senso, almeno (in parte) per drammaticità e rigidità dei provvedimenti adottati accostabili alla pandemia, quali la guerra, il terrorismo e le calamità naturali, non sempre si è ritenuto possibile derogare al noto principio pacta sunt servanda o sanctity of contract, interpretato piuttosto rigidamente dalla giurisprudenza
19 Senza, alcuna pretesa di esaustività, si pensi, ad esempio, ai Principles for the Covid-19 Crisis dell’European Law Institute «where, as a consequence of the Covid-19 crisis and the measures taken during the pandemic, performance has become excessively difficult (hardship principle), including where the cost of performance has risen significantly, States should ensure that, in accordance with the principle of good faith, parties enter into renegotiations even if this has not been provided for in a contract or in existing legislation» (Principle 13.2). In questo senso si vedano inoltre, a titolo esemplificativo, l’art. 6.2.3 (Effects of hardship) degli Unidroit Principles of International Commercial Contracts e l’ art. 6.111 (Changes of Circumstances) dei Principles of European Contract law.
statunitense a partire dal caso emblematico Paradine x. Xxxx del 1647 20 secondo cui il vincolo persisterebbe persino nei casi di impossibilità assoluta, in assenza di diversa previsione contrattuale.
Tradizionalmente sono sei le teorie elaborate da dottrina e giurisprudenza statunitensi per gestire il tema delle sopravvenienze e tentare di scardinare tale rigidità sei-settecentesca: i) la “frustration of purpose” 21; ii) la “commercial impracticability” 22; iii) i “relational contracts; iv) gli “incomplete contracts”; v) l’ “impossibility”; vi) la “restitution”.
E, infatti, se è vero che tale rigidità fu ridimensionata del xxxxx xxx XX secolo grazie all’emersione delle teorie della frustation of purpose e della commercial impractibability, la giurisprudenza maggioritaria ha di rado esonerato il debitore dall’eseguire le proprie obbligazioni assunte in contratto23.
Per quanto qui interessa, la prima teoria dà rilievo, a tali fini, ai casi in cui l’esecuzione della prestazione, anche se possibile, risulti priva di significato (rispetto all’accordo originario), mentre per la seconda (che rappresenta una evoluzione della prima), la liberazione del debitore può conseguire se l’evento sopravvenuto rende la prestazione “impraticabile” ovvero causerebbe un onere economico eccessivo (o irragionevole) per uno dei contraenti. Le teorie in questione rimanevano, quindi, legate alle intenzioni originarie, ad un intento implicito da taluni ritenuto una finzione giuridica24 e, per questo, poco soddisfacente.
20 Paradine x. Xxxx (KB 1647) in 26, 82 Eng. Rep., p. 897.
21 Il principio è stato codificato negli Stati Uniti alla Section 265 Second Restatement of Contracts in tema di “Discharge of supervening frustration”. Ma l’origine si deve ai cc. dd. V. i noti coronation cases, fra cui a titolo esemplificativo si possono menzionare: Xxxxx x. Xxxxx (1903) in L. R. 2 K. B. 740 e Xxxxxxxx x. Xxxxxxx (1904) in L.R. 1 k. B. 493.
22 Il concetto è stato formulato per la prima volta nel caso Mineral Park Land Company v. X.
X. Xxxxxx 000 Xxx. 000 (Xxx. Sup. Ct. 1916). Il principio è stato recepito, nel 1932, alla Section 454 Restatement (First) of Contracts, in cui veniva inclusa nella nozione di impossibilità non solo quella in senso stretto, ma anche la impraticabilità dovuta ad estrema e irragionevole difficoltà, spesa, danno o perdita (cd “extreme hardship”). Successivamente la Section 261 Restatement (Second) of Contracts (1981) e la Section 2-615 Uniform Commercial Code in tema di “Excuse by Failure of Presupposed Condition” hanno ribadito il principio per cui un aumento dei costi ben oltre la normale portata, che crei una difficoltà estrema e irragionevole può determinare la doctrine of impracticability.
23 Si consideri che in alcuni Stati americani non esiste nemmeno una previsione di force majeure, come nel caso dello Stato di New York.
24 A. J. XXXXXX, Practical Reasoning and contracts as promise: Extending contract-based criteria to decide excuse cases, Cambridge Law Journal 1997, 56 (1), 166-167; S. W. XXXXXXX, Application of the Doctrine of Commercial Impracticability: Searching for ‘The Wisdom of Xxxxxxx’, 135 U. of Penn. L. Rev., 1123, 1987, 1127-1128; D.T. OSTAS, F. P. DARR, Understanding Commercial Impracticability: Tempering Efficiency with Community Fairness Norms, 27 Xxxxxxx L. J., 343, 1996, p. 349.
Si dovettero attendere gli ultimi decenni per una maturazione di differenti concetti, idonei a scavalcare il dogma della volontà delle parti, per concentrarsi sulla esecuzione del contratto in sé, quali, principalmente le clausole generali di buona fede (good faith) e ragionevolezza (reasonableness) 25 . Esse, in particolare, furono ritenute lo strumento necessario per far fronte alle esigenze sottese proprio ai contratti di lunga durata.
3.1.2 Relational contracts e incomplete contracts
A tal proposito, va rilevato come la teoria dell’obbligo di rinegoziazione si faccia spesso risalire alle dottrine statunitensi dei cc.dd. “relational contrats” e “incomplete contrascts”.
In base alla teoria dei contratti di lunga durata come “relational contracts” 26, questi sarebbero caratterizzati dalla creazione di una relazione così intensa tra i contraenti, tale per cui ciascuna delle parti (o almeno una delle stesse) organizza la propria sfera «in funzione di quel rapporto con l’altra, che diventa per lei assolutamente condizionante»27.
Xxxxxx, secondo questa teoria, sotto il profilo sociologico, gli individui sarebbero disposti a sacrificare una parte dei propri interessi personali per mantenere i rapporti da cui deriva la loro stessa esistenza, in totale contrapposizione rispetto ad una visione hobbesiana che vede, di contro, gli individui come egoisti che puntano alla massimizzazione delle proprie utilità28 . Sotto, invece, il profilo economico, i relational contracts dimostrerebbero il dato reale per cui normalmente gli individui agiscono nell’ambito di relazioni più ampie e complesse, anche con riferimento agli scambi apparentemente più isolati, con la conseguenza che le singole condotte sarebbero ispirate più a profili di reciprocità e solidarietà che alla massimizzazione personale29.
25 M. W. HESSELINK, La nuova cultura giuridica europea, trad. a cura di Resta, Napoli, 2005, 38.
26 Cfr. M. A. XXXXXXXXX, Why there is no Law of Relational Contracts, in Nw.U.L.Rev., 1999, 805 ss., 812 ss. Si vedano già gli studi di Macneil e di Xxxxxxxx (cfr., ad esempio, I. R. XXXXXXX, The relational theory of contract: selected works of Xxx Xxxxxxx, X. XXXXXXXX (ED.), Xxxxxx, 0000; ID., The New Social Contract: an inquiry into modern contractual relations, New Haven, 1980, ID., Bureaucracy, Liberalism and Community – American Style, in NW. U. L. R., 1985, 900 SS.; X. XXXXXXXX, Non-Contractual Relations in Business: A Preliminary Study, in Am. Soc. Rev., 1963, 55 ss.; ID., Relational contract: what we do and we do not know, in Wis. L. Rev., 1985, 483 ss.
27 X. XXXXX, Il contratto, II ed., Milano, 2011, 968.
28 I. R. MACNEIL, Bureaucracy, Liberalism and Community – American Style, (nt. 26), 934 ss.
29 I. R. MACNEIL, The New Social Contract, (nt. 26), 93 ss.
Ed il contratto di durata, nel senso illustrato, pare rientrare a pieno titolo in tale modello relazionale. Quantomeno astrattamente e in linea con l’ontologia e la genesi (recte, la causa) di tali contratti, le parti, anziché pensare alla massimizzazione della propria utilità immediata (e, quindi, alla logica del mero scambio), dovrebbero collaborare durante l’esecuzione del rapporto per conseguire un risultato comune (con una logica, pertanto, più “associativa”): dalla logica dell’ “advantage-taking” a quella di “sharing and cooperation” 30.
Si è, infatti, affermato che, in questo modo, il contratto, inteso tradizionalmente come “luogo” ideale di composizione di interessi contrapposti, cede il passo alla logica associativa dei rapporti commerciali31. Di conseguenza sarebbe impedita ogni preventiva allocazione del rischio contrattuale in merito alle sopravvenienze, inducendo, pertanto (e
necessariamente), gli stessi contraenti a rinegoziare “ex post” l’accordo32.
Inoltre, sempre secondo la dottrina statunitense, tutti i contratti e, in particolare, quelli di durata avrebbero una natura “necessariamente incompleta”. Secondo la teoria degli “incomplete contracts”33, in altre parole, il contratto non può tenere in considerazione tutte le circostanze che si possono verificare successivamente alla sua conclusione e, soprattutto, dei loro effetti sull’equilibrio contrattuale. E ciò per un evidente deficit (umano) cognitivo che impedisce di allocare preventivamente i rischi connessi all’esecuzione del contratto (c.d. “razionalità limitata dei contraenti”).
Pertanto, se già di per sé tutti i contratti sono (economicamente e giuridicamente) incompleti, quelli di (lunga) durata parrebbero ancor più “incompleti”, poiché i contraenti non sono in grado, a fortiori, di considerare ex ante tutte le possibili circostanze in grado di incidere sull’equilibrio originario di un contratto la cui esecuzione si protrae per molto tempo. Con la conseguenza che, anche in tal caso, le parti non avrebbero altri rimedi che negoziare.
30 X. XXXXXXXX, Relationalism: Legal Theory for a Relational Society, in 50 U. Chi. L. Rev., 1983, 567 ss., X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, (nt. 17), 325, le cui riflessioni sono ben approfondite da X. XXXXXXX, (nt. 16), 43.
31 E. C. XXXXXXXX, L’adattamento dei contratti a lungo termine nell’esperienza giuridica statunitense: aspirazioni teoriche e prassi giurisprudenziale, in Contr. impr., 2006, 488, ma così già X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, (nt. 17), 325.
32 I. R. MACNEIL, The New Social Contract, (nt. 26), 86.
33 La letteratura sul tema è copiosa; valga a titolo esemplificativo la seguente bibliografia:
X. XXXX, X. XXXXX, Incomplete contracts and renegotiation, in Econometrica, 1988, 755 ss.; ID., Foundations of Incomplete Contracts, in R. E. S., 1999, 115 ss.; R. E. XXXXXXX, The Sound of Silence: Default Rules and Contractual Consent, in V. L. Rev., 1992, 821 ss.; X. XXXXXX, Hypothetical Bargains: The Normative Structure of Contract Interpretation, in Mich. L. Rev., 1991, 1815 ss.; T.-X. XXXXX, Incomplete Contracts, Specific Investments and Risk Sharing, in R. E. S., 1991, 1031 ss.; K. J. XXXXXXX, X. X. XXXXXXXX, The efficiency of incomplete contracts: an empirical analysis of air force engine procurement, in Rand Journ. Econ., 1993, 126 ss.
Non stupisce, dunque, che, alla luce delle argomentazioni che precedono, le teorie dei relational contracts 34 e degli incomplete contracts, espressione dei più ampi movimenti giuridici di “law & society” e di “law & economics”, sono spesso state ritenute (dalla dottrina ma con minor successo in giurisprudenza) alla base delle teorie dell’obbligo di rinegoziazione, spesso ritenuto (ma su questo sia consentito sollevare qualche dubbio per la ragioni oltre esposte) come espressione di un più generale dovere, in questi contratti, di solidarietà e buona fede.
Tali teorie hanno talvolta, infatti, consentito al giudice di intervenire nel contratto per integrarlo, attraverso regole di giustizia equitativa, alla stregua delle default rules di fonte legislativa, anche se, negli orientamenti tradizionali, si tendeva comunque a far pur sempre riferimento all’intento originario (cd. “teoria del contratto ipotetico”35).
Questo è accaduto (e si tratta del più tipico esempio citato in materia) nel caso Aluminium Company of America (alcoa) x. Xxxxx Group Inc. in cui il giudice decise di ristabilire l’equilibrio economico fra le prestazioni – gravemente turbato dalla crisi energetica degli anni settanta – per garantire la prosecuzione del rapporto commerciale tra le parti36.
Tale (eccezionale) regola fu poi codificata dalla Section 2-615 UCC, che attribuisce al giudice il potere di adeguare il contratto, quando lo richiedano le circostanze del caso concreto e ragioni di giustizia contrattuale, nel rispetto della «politica generale che ispira lo UCC di adoperare principi equitativi in sostegno degli standards commerciali e della buona fede».
Tuttavia, come anticipato, la teoria dei relational contracts e i connessi doveri solidaristici di cooperazione e buona fede non hanno riscosso troppo successo in giurisprudenza, anche rispetto ad eventi drammatici e
34 Non mancano critiche alle teorie in questione. A tal proposito, quanto alla teoria dei “relational contracts” v., a titolo esemplificativo, X. XXXXX, The Choice of Paradigm for Theory of Contract: Reflections on the Relational Model, in Ox. Journ. Leg. Stud., 2007, 233 ss.). Quanto alla teoria degli “incomplete contracts v. in particolare il c.d. “hold-up problem” (X. XXXXX, Hold up problem, in X. XXXXXX (ed.), The New Palgrave. Dictionary of Economics and the Law, II, London-New York, 1998, 241 ss.; D. A. XXXXXX, X. X. XXXXXX, Contract Modification: An Economic Analysis of the Hold-up Game, in Law & Contemp. Probs., 1989, 9 ss.; P. W. SCHMITZ, The Hold-up Problem and Incomplete Contracts: a Survey of Recent Topics in Contract Theory, in Bull. Econ. Res., 53, 2001, 1 ss.).
35 In base alla quale occorrerebbe fare applicazione della regola che le parti avrebbero scelto, qualora avessero deciso di negoziare esplicitamente sul punto. Sul tema v. R. A. XXXXXX, X. X. XXXXXXXXXX, Impossibility and Related Doctines in Contract Law: An Economic Analysis, 6 J. Legal Stud., 83, 1977, pp. 83-115; Xxxxxx, Economic Analysis of Law, V ed., New York, 1998, 105-120,
36 Aluminium Company of America (Alcoa) x. Xxxxx Group Inc. 499, F. Supp. 53 (W. D. Pa. 1980), trad. italiana in Foro it., 1981, IV, c. 363.
fortemente destabilizzanti – e totalizzanti - (analogamente alla pandemia) come la guerra e, per certi versi, il terrorismo37.
3.1.3 La pandemia e nuove e vecchie teorie statunitensi: impossibility, restitution e prosocial contracts
Si può ora concludere con le ultime teorie non ancora esaminate.
Va, infatti, detto che la pandemia nell’aver riattivato (se non riesumato) teorie e rimedi manutentivi ha anche riacceso l’interesse per alcune più risalenti teorie al fine di svincolare il debitore o contenerne la responsabilità (tentazione, come si vedrà, particolarmente sentita un po’ ovunque, a dispetto della tutela del credito)38.
Ci si riferisce alla dottrina dell’impossibility per cui «[a] thing is impossible in legal contemplation when it is not practicable; and a thing is impracticable when it can only be done at an excessive and unreasonable cost»39, anche se si è soliti valutare con sempre minor rigore il requisito dell’imprevedibilità 40 . Per questa ragione si è ritenuto che anche la pandemia (evento non del tutto imprevedibile secondo questa prospettiva41) potrebbe integrare gli estremi della impossibility. E ciò non
37 Ad esempio, le Corti statunitensi hanno spesso rigettato le richieste di risoluzione di contratti di durata, ritenendo «prevedibile» l’entrata in guerra degli Stati Uniti nell’ultimo conflitto mondiale, nonostante l’attacco del Giappone a Xxxxx Xxxxxxx avesse trovato l’esercito americano totalmente impreparato [E. C. XXXXXXXX, (nt. 31), 493]. Nei Suez cases, la chiusura del canale nel 1956 a causa del conflitto arabo – israeliano fu parimenti ritenuta
«prevedibile» [American Trading & Production Corp. v. Shell International Marine Ltd., 453 F. 2d 939, 942 (2nd Cir. 1972); Transatlantic Financing Corp. v. United States, 363 F. 2d 312, 319 (D. C. 1966) e Xxxxxxx Co. v. Hellenic Lines Ltd. 275 F. 2d 253, 257 (2d Cir. 1960)]. Più recentemente le Corti statunitensi hanno negato le richieste di esonero dalla responsabilità per impracticability o frustration of purpose in casi riguardanti l’appalto di servizi alberghieri, la cui esecuzione si era rivelata particolarmente onerosa a causa del timore di attacchi terroristici che aveva ridotto in maniera rilevante il numero di prenotazioni alberghiere, in seguito alla guerra nel Golfo del 1991 [7200 Scottsdale Road General Partners x. Xxxx Farm Machinery Inc 909 P. 2d 408 (1995)] e agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 [Owbr LLC, d/b/a Outrigger Wailea Resort v. Clear Channel Communications Inc. d/b/a Urban Network
– Sfx Muntimedia Group, Sfx Multimedia Group, LLC, d/b/a Urban Network – Sfx Multimedia
Group et al, 266 F. Supp. 2d 1214 (2003) U.S. Dist].
38 A. A. XXXXXXXX, Contracts and COVID-19, 7 3 Stan. L. Rev. Online 48 (2020), passim.
00 Xxxxxxx Xxxx Xxxx Co. x. Xxxxxx, 156 P. 458, 460 (Cal. 1916). V. Uniform Commercial Code
§ 2-615(a); Restatement (Second) of Contracts § 261.
40 A. A. XXXXXXXX, (nt. 38), passim.
41 V. Y. FAN et al., Pandemic Risk: How Large Are the Expected Losses?, 96, Bull. World Health Org., 129, 129 (Dec. 5, 2018).
solo se l’inadempimento viene causato da misure restrittive42, ma anche in quanto Act of God in sé, per la sua pericolosità 43 . Di conseguenza, si è ritenuto di applicare la connessa teoria della restitution che proibisce ingiustificati arricchimenti a spese di altri e che impone che la parte arricchita «is subject to liability in restitution»44 di quanto ricevuto in anticipo.
Alle visioni tradizionali, se ne sono poi aggiunte alcune innovative (oltre ai costanti e financo ovvi suggerimenti di modellare i contratti con clausole ad hoc 45).
Così, nella dottrina statunitense si è fatta strada una nuova prospettiva rimediale46, in particolare, nel settore dei grandi brand e della moda, onde contrastare la prasi invalsa di alcuni grandi brand di sfruttare la sopravvenienza pandemica per sciogliere i contratti con le imprese manifatturiere, spesso parte contrattuale più debole e situate in zone poco attente agli interessi dei lavoratori e dei diritti umani47.
A tal fine si è suggerita una nuova prospettiva48, denominata dei “prosocial contracts”, volta a dare rilievo agli effetti dei contratti in questione sugli stakeholders che sono “socially connected” al contratto.
Come si vedrà, anche se non è chiaro il piano normativo- sanzionatorio su cui questa prospettiva intenda poggiare onde sostenere rimedi manutentivi dei vincoli contrattuali, essa pare avere un rilievo centrale per possibili “spinte parallele” ed “extra-negoziali” (ad esempio, sul piano reputazionale e della responsabilità degli amministratori), idonee ad incidere sulle stesse scelte dei contraenti negoziali.
Ciò in linea con il nuovo dibattito e approccio neoistituzionalista
dell’interesse sociale (su cui v. oltre).
3.2 L’approccio tedesco
42 Cal. Exec. Order N-33-20 (Mar. 19, 2020), xxxxx://xxxxx.xx/XX0X-XXXX: «all individuals living in the State of California to stay home or at their place of residence».
43 A. A. XXXXXXXX, (nt. 38), passim.
44 Restatement (Third) of Restitution and Unjust Enrichment § 1 (Am. Law Inst. 2011).
45 L’effetto della pandemia su contratti già stipulati e disciplinanti i casi di hardship, force mejeure rappresenta certamente altro spaccato del problema, non oggetto però di queste pagine.
46 Già in passato sostenuta. V., in particolare: X. XXXXXXXXX, Beyond Relational Contracts: Social Capital and Network Governance in Procurement Contracts, Xxxxx-Sandor Working Paper Series in Law and Economics, Xx. 000, 0000.
00 X. X. XXXXX, Xxxxxxxxxx Garment Makers Settle with Sears Over $40 Million in Canceled Orders
(Xxx. 30, 2021), reperibile su: xxx.xxxxxx.xxx.
48 X. XXXXXX, Prosocial Contracts: Making Relational Contracts More Relational, in Law and Contemporary Problems, x. 00, x. 0, 0000, 0 xx.
Xxxxxxxxxxxxxxxx xx Xxxxxxxx le soluzioni alle sopravvenienze contrattuali si snodano attraverso tre istituti: i) l’impossibilità cd. “autentica” della prestazione di cui al § 275 I BGB (“echte Unmöglichkeit”), quale impedimento insormontabile, definitivo (anche se per alcuni anche temporaneo), oggettivo o soggettivo, non applicabile alle obbligazioni pecuniaria e, in ogni caso, idoneo ad escludere soltanto eventuali obblighi risarcitori49; ii) l’impossibilità “pratica” della prestazione di cui al § 275 II BGB (“praktische Unmöglichkeit”), ove la prestazione richiede uno sforzo gravemente sproporzionato rispetto all’interesse del creditore 50 ; iii) l’alterazione del fondamento contrattuale (“Störung der Geschäftsgrundlage”), codificata, oggi, dopo la riforma del 2001, al § 313 BGB. Pertanto il secondo ed il terzo rimedio indicati cercano, in maniera differente tra loro, di fronteggiare il fenomeno dell’onerosità sopravvenuta. Particolarmente rilevante è, ai fini del presente contributo (come si vedrà), il terzo rimedio che si concretizza allorché le circostanze che rappresentano il fondamento del contratto sono mutate successivamente alla conclusione di esso al punto che le parti, se avessero saputo o previsto questi mutamenti, non lo avrebbero stipulato o lo avrebbero stipulato a diverse condizioni. In tal caso è possibile procedere all’adeguamento del medesimo se, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, inclusa la distribuzione pattizia o legale del rischio, non si possa pretendere da una
parte la conservazione del contratto alle medesime condizioni originarie.
La norma consente alla parte svantaggiata di azionare, da subito, la prestazione “adeguata”, anziché prima esigere dall’altra il consenso all’adeguamento e poi l’esecuzione dello stesso 51, nei limiti, tuttavia, della esigibilità: infatti, ai sensi del terzo comma del § 313 BGB, ove l’adeguamento non sia possibile, o non sia esigibile, la parte svantaggiata può sciogliersi dal vincolo contrattuale52.
La giurisprudenza è piuttosto rigorosa e spesso subordina la revisione all’evenienza che il suo mantenimento si riveli assolutamente incompatibile con il diritto e la giustizia anche alla luce degli interessi dei
49 D. LOOSCHELDERS, Schuldrecht. Allgemeiner Teil, 16. Aufl., München, 2018, 165.
50 Mentre è irrilevante, a tali fini, l’”impossibilità economica” (“wirtschaftliche Unmöglichkeit”), che si verifica quando la prestazione diviene più onerosa in conseguenza di un sopravvenuto aumento dei prezzi di mercato.
51 X. XXXXXXX, Corona-Xxxxx e diritto tedesco delle obbligazioni e dei contratti: le sopravvenienze della pandemia tra BGB e legislazione speciale, in Juscivile, 2021, 2, 310, nt. 21 e ivi riff. A D. LOOSCHELDERS, (nt. 49), 284.
52 X. XXXXXXX, (nt. 51), 310, nt. 21.
contraenti e dei vantaggi che, unitamente agli svantaggi, la parte colpita dal cambiamento delle circostanze abbia ricevuto53.
In un certo senso, l’istituto ricorda le teorie statunitensi della impracticability e della frustration of purpose, o, meglio, del cd “criterio del contratto implicito”, basate in particolare sulla volontà originaria del contratto cui ricondurre gli esiti della eventuale rimodulazione di esso. Tuttavia, la teoria della Störung der Geschäftsgrundlage (peraltro sino a metà del millenovecento molto applicata dalla giurisprudenza anche in presenza di meri incrementi di costi), a differenza delle predette teorie statunitensi, trae origine da un’applicazione estensiva del § 242 BGB – che stabilisce il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (Treu und Glauben) – e prevede l’adeguamento giudiziale del contratto (Anpassung) come soluzione principale e la risoluzione come extrema ratio, ovvero allorché non sia possibile mantenere in vita il contratto con l’adeguamento opportuno per ricondurlo ad equità. Di contro, come si è visto, l’unico rimedio previsto dalla disciplina statunitense, in presenza di una causa di impracticability è lo scioglimento del contratto, salvo quelle rare eccezioni, sopra esaminate, previste in giurisprudenza poi codificate della Section 2-615 UCC.
Quanto, invece, alla normativa emergenziale, la legge del 27 marzo 2020 “Gesetz zur Abmilderung der Folgen der COVID-19-Pandemie im Zivil-, Insolvenz- und Strafverfahrensrecht” è intervenuta in numerosi settori onde disciplinare alcuni rapporti e situazioni il cui regolare svolgimento è stato compromesso dalle considerevoli limitazioni introdotte per contenere il numero dei contagi. Con particolare riguardo al diritto contrattuale, l’art. 5 ha inserito all’interno della legge introduttiva al codice civile (“Einführungsgesetz zum Bürgerlichen Gesetzbuche – EGBGB”) l’art. 240, che, inizialmente, era strutturato in quattro paragrafi, cui se ne sono aggiunti successivamente altri tre.
Passando ai punti più di interesse per la presente trattazione, occorre dare rilievo:
- al § 1, relativo a taluni rapporti di durata, sorti da contratti stipulati prima dell’8 marzo 2020, che ha consentito ai consumatori e alle microimprese di non adempiere fino ad un determinato termine alle prestazioni a cui sono tenuti se, a causa di circostanze riconducibili alla
53 X. XXXXXXX, (nt. 51), 310, TH. XXXXXXXXXX, § 313, in Münchener Kommentar zum BGB, 3, 8. Aufl., Xxxxxxx, 0000, Xx. 76 s.; L.K. KUMKAR-X. XXXX, COVID-19 und das Xxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxxxxxxx. Xxx Xxxxxxxxxxxxx xxx § 000 XXX in der Gewerberaummiete bei Umsatzrückgängen und Geschäftsschließungen im Zusammenhang mit der Corona-Xxxxx, in ZIP, 2020, 898.
pandemia Covid-19, esso non possa avvenire senza mettere a rischio, quanto al consumatore, il suo “mantenimento” (o dei familiari che da lui dipendono) o, quanto alle microimprese, le relative basi economiche;
- al § 2 che, riguardo ai contratti di locazione e di affitto relativi a immobili o vani immobiliari, impedisce al locatore di sciogliere il contratto in caso di mancato pagamento dei canoni scaduti in un determinato periodo se tale inadempimento è ascrivibile alla crisi sanitaria;
- al § 7 54 che introduce una presunzione volta ad agevolare l’applicazione del richiamato § 313 BGB da parte del conduttore o dell’affittuario di un fondo per uso non abitativo55. In particolare allorché, nelle locazioni non abitative e negli affitti, gli immobili o i vani locati non sono utilizzabili dall’impresa del conduttore o dell’affittuario o lo sono solo con significative restrizioni, a causa delle misure di contrasto della pandemia, si presume che sia notevolmente mutata una circostanza che in origine costituiva il fondamento del contratto ai sensi del § 313 I BGB.
E si è osservato al proposito come tale norma possa essere evocata per almeno tre ordini di sopravvenienze connesse all’emergenza pandemica56: i) quella della maggiore onerosità derivante dall’aumento dei prezzi provocato dalla pandemia così da alterare il nesso sinallagmatico originario; ii) quella del pericolo per la salute (quale presupposto implicito di ogni contratto, speculare al principio del neminem laedere, per cui la sue esecuzione non dovrebbe mai comportare rischi per l’incolumità delle persone); iii) quella della riduzione o del venir meno dell’interesse del creditore, perché, se lo scopo contrattuale (recte, la causa in concreto) può costituire il fondamento negoziale, allora la pretesa di esecuzione del contratto anche quando non possa raggiungere tale scopo potrebbe contravvenire al principio del divieto di venire contra factum proprium (come nei casi di effetto domino della cancellazione di un evento su tutte le prestazioni necessarie alla sua organizzazione o come l’ipotesi di un contratto di locazione immobiliare per lo svolgimento di una determinata attività che non può essere svolta a causa delle misure di contenimento.
54 Introdotto dall’art. 10 del Gesetz zur weiteren Verkürzung des Restschuldbefreiungsverfahrens und zur Anpassung pandemiebedingter Vorschriften im Gesellschafts-, Genossenschafts-, Vereins– und Stiftungsrecht sowie im Miet– und Patentrecht del 22 dicembre 2020.
55 La prassi aveva registrato spesso il rifiuto del locatore di rinegoziare il canone (BT-Drs 19/25322, 19). Sul tema X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Pandemiefolgen in der Gewerberaummiete: Geschäftsgrundlage, Vermutung, Risikozuweisung und Verfahrensbeschleunigung. Kritische Gedanken aus Anlass eilends verabschiedeter Mietgesetzgebung (Art. 240 § 7 EGBGB; § 44 EGZPO), in NZM, 2021, 5 ss.
56 X. XXXXXXX, (nt. 41), 313-314.
Sul punto ci si è chiesti in dottrina quale disciplina applicare a quelle ipotesi suscettibili di essere disciplinate tanto dal § 313 BGB tanto dalla normativa speciale di cui al § 240 EGBGB: il confine sembra essere stato individuato nel fare applicazione di quest’ultima norma nei casi in cui il debitore, a causa della pandemia, si ritrovi in una situazione di difficoltà finanziaria che non gli consenta di adempiere la prestazione se non mettendo a rischio il suo sostentamento o la continuazione della sua attività economica.
3.3 L’approccio francese
Sino alla recente riforma del diritto contrattuale, la Francia non aveva alcuna disposizione normativa che si occupasse dell’equilibrio contrattuale in caso di sopravvenienze (ad esempio, l’eccessiva onerosità) essendo espressamente disciplinata solo forza maggiore (force majeure) e, quindi, l’impossibilità.
Questa aveva, però, ambiti ristretti di applicazione e anch’essa ha subito alcune rilevanti modifiche con la riforma del 2016 (art. 1218 code civil).
In sostanza, in caso di forza maggiore temporanea, l’obbligazione è sospesa a meno che il ritardo non giustifichi la risoluzione, in caso di forza maggiore definitiva il contratto si risolve e le parti sono liberate dalle loro obbligazioni ai sensi degli artt. 1351 et 1351-1.
Fuori da questi casi anche in Francia, come negli Stati Uniti, il principio pacta sunt servanda era (ed è), salvo particolari eccezioni 57 , particolarmente sentita58.
Solo con la riforma del 2016 è stata introdotta una normativa specifica sul punto e, segnatamente, l’art. 1195 code civil, relativa, appunto, alla cd. “imprévision”. Trattasi di norma suppletiva che, dunque, non trova applicazione in presenza di diverso accordo tra le parti o di norme specifiche e le cui condizioni di applicazione sono l’esistenza di un «un changement de circonstances imprévisible lors de la conclusion du contrat [qui] rend l’exécution excessivement onéreuse pour une partie qui n’avait pas accepté d’en assumer le risque».
57 Cass. com., 3 novembre 1992, n° 90-18.547, Bull. civ. IV, n° 338, RTDCiv., 1993, 124,
58 V., ad esempio, la rigidità di alcune pronunce come, già, Cass. civ., 15 novembre 1933, S., 1934, I,13. Così, più recentemente, ma sul regime previgente anche CA Paris, 9 mai 2019, n° 17/04789, Gaz. Pal., 2019, n°31, 21, CA Paris, pôle 5 - ch. 11, 17 janvier 2020, n° 18/01078;
Di conseguenza, è previsto un obbligo (di mezzi) 59 di rinegoziazione e, in mancanza, la possibilità delle parti di risolvere il contratto o di chiedere al Giudice un adeguamento del medesimo.
Quanto alla legislazione emergenziale, i commentatori francesi hanno a più riprese affermato che il diritto contrattuale è risultato, in sostanza, ignorato60.
Degni di nota sono, soltanto, l’art. 4 dell’ Ordonnance n° 2020-306, 25 mars 2020 61 , che ha sospeso, per un determinato periodo, l’efficacia di clausole “sanzionatorie” degli adempimenti, come le penali e clausole risolutive (art. 4), e l’art. 2 Ord. n° 2020-596, 20 mai 2020, volta ad incentivare il ricorso alla procedura di conciliation delle imprese in crisi di cui all’art. R611 del code de commerce, che consente al debitore di chiedere, a determinate condizioni, al presidente del tribunale, che ha aperto una procedura di conciliazione, di: i) interrompere o vietare qualsiasi azione giudiziaria da parte di quest'ultimo volta alla condanna al pagamento di una somma di denaro o alla risoluzione di un contratto per mancato pagamento di una somma di denaro (art. 2, II, 1°) i) sospendere o vietare qualsiasi procedura esecutiva su mobili o immobili (art. 2, II, 2°), iii) ottenere una dilazione del pagamento delle somme dovute62. Il giudice, quindi, nel solco tracciato dal conciliatore, potrebbe “entrare” nell’autonomia contrattuale e incidere, sostanzialmente (e temporaneamente), sul termine per l’esecuzione dell’obbligazione o, meglio, dell’estinzione di un debito pecuniario.
Dinnanzi a questo apparato rimediale, dottrina e giurisprudenza si sono interrogati sugli strumenti che il debitore potrebbe impiegare per paralizzare le iniziative creditorie.
59 D. XXXXXXXXX, Xxxxxx dérogatoire d'exécution des contrats dans le cadre de la crise sanitaire : exécuter ou ne pas exécuter ?, in xxxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxx-xxxxxxxxxx/00000000-xxxxx-xxxxxx- derogatoire-d-execution-des-contrats-dans-le-cadre-de-la-crise-sanitaire-executer-ou-n.
60 Sul tema, v. X. XXXXXXX, L'incidence de l'épidémie de coronavirus sur les contrats d'affaires : de la force majeure à l'imprévision, D., 2020, 611. Ss., X. XXXXX, De l’urgence à l’imprévu du Covid- 19 : quelle boîte à outils contractuels ?, AJ Contrat, 2020, 164 ss.
61 D. HOUCHIEFF, (nt. 59), passim.
62 Si consideri poi che l’ Ordonnance n°2021-1193 du 15 septembre 2021 ha modificato l’art.
L611-7 del code de commerce.
Utile campo di prova è stato il contenzioso (copiosissimo) in materia di contratti di locazione ad uso non abitativo, privo, ad oggi, di una soluzione univoca63.
Le strade seguite (per, invero, consentire al conduttore di non pagare il canone) sono state, tradizionalmente, tre, ovvero quelle: i) del diritto comune dei contratti (artt. 1104, 1218, 1219 e 1195 civil code), ii) del diritto dei contratti speciali (artt. 1719 e 1722 civil code), iii) dell’applicazione norme eccezionali (Ord. N° 2020-306 e n° 2020-316 del 25 marzo 2020; legge
n° 2020-1379 del 14 novembre 2020 e Decr. 1766 del 30 dicembre 2020) 64.
Quanto al diritto generale dei contratti, si è fatto riferimento, in particolare: i) al dovere di buona fede (bonne foi); ii) alla disciplina delle sopravvenienze tipiche (force majeure e imprevision); iii) all’eccezione di inadempimento (exception d’inexécution); iv) all’art. 1722 del code civil in tema di perdita parziale della cosa xxxxxx [xxxxx (xxxxxxxxx) xx xx xxxxx xxxxx]00, attraverso l’applicazione della già nota interpretazione estensiva del concetto di distruzione/perdita della cosa (in senso non solo fisico ma anche economico 66 ) al caso del divieto di ricevere il pubblico previsto dall’arr. 14 mars 2020.
Come, però, rilevato dai commentatori francesi le prime tre soluzioni risultano poco appaganti e, questo perché: i) la buona fede rischia di essere criterio soggettivo non univoco e peraltro superabile agevolmente con la dimostrazione di aver negoziato, in buona fede, o concesso in buona fede dilazioni 67 ; ii) l’eccezione di inadempimento mal si concilia con l’impossibilità giuridica di consegnare (o, meglio, far godere pacificamente) il bene, vista l’assenza di colpa del locatore68 o la possibilità comunque di
63 Recentemente, il tribunal judiciaire (TJ) de Chartres, con demande n° 21-70.013 del 6 luglio 2021, aveva chiesto sul punto un intervento, tramite la procedura c.d. di saisi d’un tel litige, della Corte di Cassazione. Tuttavia, il 6 ottobre 2021 la Corte di Cassazione pare aver declinato la richiesta perché le parti trovarono un accordo stragiudiziale così impedendo la pronuncia.
64 Occorre rilevare che medio tempore è entrato in vigore un decreto in aiuto proprio dei conduttori: Xxxx. n° 2021-1488 du 16 nov. 2021, JO 17 nov.
65 V., ad esempio, TJ La Rochelle, 23 mars 2021, n° 20/02428, Dalloz actualité, 14 avr. 2021; contra, salvo quanto si dirà oltre, TJ Strasbourg, 19 févr. 2021, n° 20/00552; CA Paris, 18 mars 2021, n° 20/13262, Cour d’appel Lyon, 31 mars 2021, n° 20/05237. Sul tema v. X. XXXXX, Xxxxxx commerciaux et Covid-19: le juridictions du fond affinent la jurisprudence, RLDA, 175, 2021, 50 ss.
66 Cass., 3a civ., 8 mars 2018, n. 17-11.439, Bull. Civ. III, n. 27, Xxxxxx et copr. , comm. 94, obs., X. Xxxxxxxx, Cass., 3a civ., 12 juin 1991, n. 90-12.140, Bull civ., III, n. 169.
67 X. XXXXX, (nt. 65), 52.
68 Sul tema v. TJ Pau, 13 avr. 2021, n° 20/02704, TJ Paris, 25 février 2021, n° 18/02353, Dalloz actualité, 9 mars 2021.
accedere al, ed utilizzare il, bene69; iii) la forza maggiore e, in generale, l’impossibilità sopravvenuta, di contro, non sembra potersi applicare alle obbligazioni pecuniarie70, mentre in generale si dovrebbe procedere ad una verifica in concreto, non potendo applicarsi automaticamente71, tantomeno se a chiederne l’applicazione è il creditore che non ha potuto sfruttare la prestazione72; iv) quanto, invece, alla «imprévision» taluno, ancora prima dell’insorgenza della pandemia, aveva già escluso il rimedio (nuovo) del citato art. 1195 code civil per il suo carattere supplettivo ed il proliferrsi di norme speciali73 (per non parlare comunque delle possibili situazioni di stallo cui la norma sembra portare).
Anche, infine, l’applicazione dell’art. 1722 code civil ha destato qualche perplessità, sebbene risulti la strada più recentemente battuta, posto che la situazione emergenziale non comporta la perdita definitiva della cosa (ancorché parziale) presupposto di applicazione dell’art. 1722 code civil74.
Più adeguato, invero, parrebbe l’art. 1724 code civil in tema di impossibilità temporanea (anche perché omologare la perdita temporanea alla perdita parziale comporterebbe, come correttamente rilevato nella dottrina francese, passare dalla perdita dell’oggetto alla perdita dell’interesse75).
Pertanto, e più recentemente, il predetto quadro normativo e giurisprudenziale, hanno indotto gli interpreti a ricercar in altre norme possibili rimedi e, segnatamente, alle cd. prerogative individuali attribuite dalla riforma del 2016 alle parti, quali il potere di riduzione del prezzo (art. 1223 code civil) 76 e la cd “caducité” del contratto (art. 1186 code civil) che prevede la “decadenza” del contratto allorché venga meno un “elemento essenziale” del medesimo, con la difficoltà di comprendere se in tale ultimo concetto possa rientrarvi (alla stregua di quanto visto in alcuni altri
69 X. X. xxx. Xxxxx, 00 déc. 2020, n. 2020035120.
70 Perché, come è noto, anche in Francia, genus numquam perit (Cass. Com. 16 ; sept. 2014, n° 13-20.306, Rev. Sociétés, 2015, 23.
71 La malattia in sé, invece, è stata ritenuta causa di forza maggiore (Cass. Civ., 3a, 19 sept. 2019, n. 18-18.921, Ajda 2019. 819
72 Cass., 1re civ., 25 nov. 2020, n. 19-21.060.
73 CA Versailles, 12e ch., 12 dec., 2019, n. 18/07183, RTD, civ. 2020, 363.
74 V., ad esempio, in giurisprudenza, CA Versailles, 6 mai 2021, n. RG 19/08848, CA Paris, 8 juin 2021, n. RG 21/01657. Contra, ad esempio, il Tribunale di Parigi (TJ Paris, 21 dec. 2020, n. 20/81657), commentato brevemente in X. XXXXX, (nt. 65), 55.
75 X. Xxxxx, (nt. 65), 55.
76 Sul tema v. D. HOUTCIEFF, Les nouveaux pouvoirs unilatéraux du contractant : l’étendue des
pouvoirs, in RDC, 2018.
ordinamenti) l’interesse delle parti77. Ad ogni modo, si è parimenti fatto ricorso, onde bilanciare eventuali abusi di questi strumenti, alla buona fede, quale, appunto, possibile limite all’esercizio di essi già sperimentato in passato78.
Anche nell’ordinamento francese, quindi, il tema è assai incerto e
aperto.
4. L’approccio italiano
4.1 I rimedi tradizionali relativi alle sopravvenienze
Anche in Italia, il principio pacta sunt servanda è stato con costanza ritenuto dominante.
Ne è un esempio quanto accaduto nel corso del primo conflitto mondiale, ove, solo le esigenze pubblicistiche connesse alla guerra sembrano aver consentito una deroga a tale principio. Ci si riferisce, in particolare, a due provvedimenti normativi (i decreti del 27 maggio 1915, n. 739, e del 20 giugno 1915, n. 890), ispirati all’unica ratio di sostenere, direttamente o indirettamente, lo sforzo bellico dei nostri militari al fronte79, il cui primo, in particolare stabilì, per quanto qui interessa, che l’entrata in guerra dell’Italia potesse rappresentare un caso di forza maggiore (cui la giurisprudenza consentì di far conseguire anche la risoluzione contrattuale) non soltanto quando aveva reso impossibile la prestazione, ma anche quando l'aveva resa eccessivamente onerosa80 per le obbligazioni assunte prima del decreto di mobilitazione.
Non solo. Ma addirittura si giunse a ritenere che il presupposto dovese essere quello della «onerosità rovinosa», tanto da poter determinare il fallimento81.
Ad ogni modo, con riguardo alle sopravvenienze, nell’ordinamento
italiano, come è noto (senza alcuna pretesa di esaustività ma tracciando
77 In passato si è talvolta escluso (Cass. civ. 1, 30 octobre 2008, n° 07-17.646, in RTDCiv., 2009, 111, ma, contra, x. Xxxx. com., 18 mars 2014, n° 12-29.453, in RTDCiv., 2014, p. 884), ma non è detto, come rilevato, che la sopravvenienza pandemica non possa “risuscitare” questa tesi.
78 Cass. com., 10 juillet 2007, n° 06-14.768, XXX, xx. X, 0000, XX, 00000; Cass. com., 7 octobre
2014, n° 13-21.086, Gaz. Pal., 2015, n° 99, 18; Cass. com., 8 novembre 2016, n° 14-29.770, in
RTDCiv., 2017, 133.
79 App. Catania, 23 giugno 1916, in Il diritto commerciale, 1916, II, 1026-1029.
80 Sul tema v. X. XXXXXX, La guerra come causa di forza maggiore, in Riv. dir. civ., 1916, 241 ss.
81 Ad esempio, v., App. Genova 27 gennaio 1916, in Il diritto commerciale, 1916, II, 683-691.
Cass. Roma, 24 ottobre 1916, in Foro italiano, 1917, I, coll. 397-401.
alcuni richiami ai fini del presente contributo), si è soliti distinguere anzitutto tra “variazioni quantitative” (che producono solo un’alterazione del prezzo di mercato della prestazione che, invece, rimane la medesima) da quelle “qualitative” (che, invece, incidono sul contenuto stesso della prestazione82 . Inoltre si è soliti distinguere tra sopravvenienze tipiche e atipiche83. Le prime sono regolate dal codice civile, le seconde, non trovano rimedi specifici. Le prime, in particolare, sono l’impossibilità sopravvenuta
- temporanea, definitiva, parziale e totale (artt. 1218, 1256 e ss. e 1463 ss. c.c.)
– e l’eccessiva onerosità sopravvenuta (artt. 1467 ss. c.c.).
Quanto all’impossibilità, all’originaria visione c.d. “oggettivistica”84, che ne riscontrava l’esistenza solo in presenza di un impedimento naturale, oggettivo e assoluto, non superabile con alcuno sforzo umano, si è contrapposta una più recenti visione c.d. “soggettivistica”85 - che dà rilievo, a tal fine, a eventi non superabili con uno sforzo diligente da parte del debitore – e ricostruzioni intermedie – le quali tentano di attenuare il rigore delle due predette tesi contrapposte, facendo riferimento al concetto di “inesigibilità della condotta”86.
Quanto all’eccessiva onerosità, invece, sebbene sussista un minimo comun denominatore con l’impossibilità (rappresentato dall’esistenza di circostanze sopravvenute) il punto di riferimento è rappresentato, principalmente, dagli «accidenti relativi ai valori economici e alle loro proporzioni» 87 . In altri termini l’eccessiva onerosità sopravvenuta e la
82 Xxx X. XXXXXXXX, Il contratto in generale. La Presupposizione, in Tratt. dir. priv., a cura di X. XXXXXXX, vol. XIII, t. IV, Torino, 2003, 10, nt. 24
83 Distinzione introdotta da X. XXXXX, IN X. XXXXX, X. XX XXXX, Il contratto, 2016, Torino, 1708 SS.
84 Ad esempio, v., per tutti, G. OSTI, Revisione critica della teoria sull’impossibilità della
prestazione, in Riv. dir. civ., 1918, I, 325 ss., 469.
85 Sulla scorta della dottrina tedesca. Sulla teoria v., in particolare, X. XXXXXXXX, Manuale di diritto civile e commerciale, II, VIII ed., Milano, 1950, 235.
86 Così già X. XXXXXXX, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. dir. comm., 1954, I, 281 ss.; ID., La responsabilità contrattuale, in Jus, 1986, 87 ss.; C. M. XXXXXX, L’obbligazione, in Diritto civile, IV, Milano, 1993, 528 ss.; N. DI XXXXXX, Impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore, in Tratt. dir. priv., diretto da X. XXXXXXXX, XX, 0, XX xx., Xxxxxx, 0000, 437 ss. In giurisprudenza, cfr. Cass., SS. UU., 14 gennaio 2015, n. 470, in Giust. Civ. Mass., 2015; Cass., SS. UU., 6 aprile 2017, n. 8896, in Giust. Civ. Mass., 2017. A tal proposito, si è da taluni precisato che l’inesigibilità dovrebbe operare su di un piano differente e non economico laddove l’adempimento della prestazione potrebbe ingenerare pregiudizio a valori diversi di rango costituzionale: v. X. XXXXXXXX, Coronavirus ed esonero da responsabilità per inadempimento di obbligazione ex art. 1218 c.c.: impossibbilità sopravvenuta oppure inesigibilità della prestazione?, in Actualidad juridica Iberoamericana, n. 12 bis, mayo 2020, 354 ss.
87 X. XXXXXXX, Sulla nozione di «eccessiva onerosità», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, 344 ss.,
spec.
relativa disciplina si occupano prevalentemente di contrastare lo squilibrio fra le prestazioni originarie.
Pertanto si è soliti rinvenire il confine tra impossibilità ed eccessiva onerosità «là dove la maggior onerosità è tale da snaturare la prestazione»88.
In questo senso sembra muoversi89 anche l’evoluzione del dibattito90 sulla ratio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta con il progressivo superamento della c.d. “teoria dell’attuabilità” (che avvicinava le due figure di sopravvenienze, considerando l’eccessiva onerosità come un’impossibilità attenuata, o relativa, della prestazione91) in favore della sempre più condivisa “teoria dell’equilibrio” per la quale l’eccessiva onerosità sopravvenuta è maggiormente idonea a proteggere l’originario equilibrio tra le prestazioni dovute92.
In sintesi, questo l’apparato rimediale codicistico delle sopravvenienze cc.dd. “tipiche”: i) l’impossibilità, in generale, esclude la responsabilità del debitore se è a lui non imputabile (art. 1218 c.c.), ma ii) se è temporanea, determina l’esclusione della responsabilità da ritardo (art. 1256, comma 2 c.c.), iii) se è definitiva, comporta l’estinzione dell’obbligazione (art. 1256, comma 1 c.c.) e iv) se è definitiva totale determina lo scioglimento del vincolo negoziale a prestazioni corrispettive (art. 1463 c.c.), iv) mentre se è definitiva parziale consente al debitore di liberarsi con l’esecuzione della parte di prestazione possibile, ma consente all’altra parte di recedere (qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale) oppure di ottenere la riduzione della controprestazione dovuta (ex art. 1464 cod. civ.); v) l’eccessiva onerosità attribuisce il rimedio del recesso alla parte svantaggiata a meno che quella avvantaggiata non proponga la riduzione ad equità del contratto (art. 1467 c.c.).
A tali rimedi si affiancano, oltre a svariate norme sparse nel codice e nelle leggi speciali (come quelle in tema di appalto ex artt. 1664 e 1672 c.c.,
347. Così pare la dottrina maggioritaria, cfr., ex multis, C. M. BIANCA, La responsabilità, in
Diritto civile, V, Milano, II ed., 2012, 414 ss.; X. XXXXX, (nt. 27), 945 ss.
88 X. XXXXXXXXX, Sul significato economico dei criteri di responsabilità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, 531.
89 Così X. XXXXXXX, Sopravvenienze e rimedi al tempo del Covid-19, in juscivile, 2020, 2, 474.
90 Per un quadro di esso v. X. XX XXXXXXX, Le sopravvenienze contrattuali tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004, 17 ss.
91 X. XX XXXXXXX, Eccessiva onerosità della prestazione, diminuita utilità della controprestazione e principio di corrispettività, nella dinamica del contratto, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, III, 687. 92 X. XXXXXXXXXXXX, Contratti in generale, in Tratt. dir. civ., diretto da X. XXXXXX, X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Milano, III ed., 1972, 288; X. XXXX, L’eccessiva onerosità della prestazione, Padova, 1952, 84; X. XXXXXXX, La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, Torino, 1952, 99.
nonché in tema di trasporto, ex artt. 1686 e 1690 c.c. e di mutuo ex art. 1818 c.c.), diverse ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali, impiegate anche per disciplinare i casi di sopravvenienze atipiche.
Anzitutto non può non menzionarsi l’orientamento in tema di cd. “impossibilità sopravvenuta di utilizzazione della prestazione” 93 che dà rilievo alla mancata attuazione del sinallagma e alla mancata realizzazione degli interessi e dello scopo pratico del contratto, seppur a fronte dell’assenza di una reale impossibilità fisica o giuridica della prestazione. Xxxx, questa, che affonda le proprie radici nella nota categoria dottrinale della cd. “causa in concreto”94 e che legittima lo scioglimento del vincolo contrattuale.
In secondo luogo, si è cercato di sostenere, a fianco al rimedio ablativo di cui all’art. 1467 c.c., l’obbligo delle parti di rinegoziare il contratto originario in ottica conservativa o, meglio, manutentiva.
Invero l’opinione tradizionale prevalente riconosceva, quale rimedio generale, nei casi di eccessiva onerosità, solo ed esclusivamente l’applicazione di quello codicistico e sempreché ne ricorressero i presupposti, con la conseguenza che nessun effetto sul vincolo contrattuale si riconosceva, in sostanza, alle cc.dd. “sopravvenienze atipiche”95.
A tale soluzione si perveniva attraverso diversi percorsi argomentativi, taluni utilizzati anche per sostenere rimedi estintivi ulteriori rispetto a quelli codicistici.
Sul punto occorre ricordare, in primis, la presupposizione quale istituto volto a dar rilievo alla circostanza per cui una determinata situazione di fatto, comune ad entrambi i contraenti, il cui verificarsi sia indipendente dalla volontà degli stessi, desumibile dal contesto del negozio, e che le parti hanno tenuto presente, implicitamente, come presupposto del negozio posto in essere, risulti difforme da quella prevista96.
93 A partire, in particolare, da Cass., 24 luglio 2007, n. 16315, in Danno e resp., 2008, 845 ss. 94 Sul tema, recentemente, A.M. XXXXXXXX, Fisiologia e patologia della causa contrattuale. Profili generali e applicazioni specifiche, in AA.VV., L’attualità del pensiero di Xxxxxx Xxxxx a cinquant’anni dalla scomparsa, II, a cura di X. XXXXXXXXXXX e X. XXXXXXX, Napoli, 2018, 681 ss. Più in generale v. X. XXXXXXXXX, La cooperazione all’adempimento e rimedi a tutela del debitore, in Xxxxx. dir. civ. Xxxx-Xxxxxxxx, già diretto da X. XXXXXXX, continuato da X. XXXXXXXXXXX,
X. XXXXX, X. XXXXXX, Xxxxxx, 0000, 612 SS.
95 X. XXXXX, (nt. 27), 944.
96 V., per tutti, X. XXXXX, La presupposizione e l'art. 1467 c. c., in Riv. dir. comm., 1948, Il, 163.
Corre, inoltre, l’obbligo menzionare la teoria della clausola «rebus sic stantibus», sostenuta soprattutto in passato 97 , consistente nella volontà (tacita) delle parti di non dare esecuzione al contratto se non sono rimaste invariate le circostanze esistenti al momento della sua conclusione. Essa è normalmente intesa come condizione implicita in ordine alla permanenza delle circostanze esistenti al momento della stipulazione del contratto.
Infine, intorno agli anni ’90 98 si fece strada anche nel nostro ordinamento una tesi volta a sostenere un più generale obbligo di rinegoziazione99, proprio in relazione ai contratti di durata, oggetto della presente trattazione.
Secondo questa teoria l’obbligo di rinegoziazione per far fronte agli effetti prodotti dalle circostanze sopravvenute sull’assetto degli interessi delineato nel contratto originario deriverebbe, in assenza di pattuizioni e quanto meno per i contratti di durata e, in particolare di lungo termine, direttamente dalla legge e, segnatamente, dalla clausola generale di buona fede e dagli obblighi di cooperazione tra le parti durante l’esecuzione del contratto100. Sul punto è la stessa Cassazione che rileva come la buona fede, fonte autonoma di obbligazioni, si sostanzierebbe in un generale obbligo di solidarietà che imporrebbe a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali quanto dal dovere generale di neminem laedere, trovando tale impegno il solo limite nell’interesse proprio del soggetto (al quale non può essere richiesto un apprezzabile sacrificio a suo carico101).
Tale teoria (in un certo senso seguita, come visto, seppur con diverse sfumature, oltre ai nostri confini) fu, tuttavia, contrastata anche in Italia da chi, mediante un approccio più positivista, osserva l’assenza di un aggancio normativo specifico che contempli un tale obbligo di rinegoziazione e, in ogni caso, che disciplini le conseguenze di una sua violazione102.
97 Per una ricostruzione storica v. G. OSTI, La cosiddetta clausola «rebus sic stantibus» nel suo sviluppo storico, in Riv. dir. civ., 1912, 1 ss.
98 V. però oltre su alcuni primi ed embrionali semi della teoria già ad inizio ‘900.
99 V., in particolare, il lavoro di X. XXXXXXX, (nt. 17), passim.
100 Su tale teoria v., recentemente, ma prima della crisi pandemica, X. XXXXX, X. XX XXXX,
Il contratto, IV ed., Milano, 2016, 1708 ss.
101 Tra molte, x. Xxxx., 0 marzo 2003, n. 3185, in Mass. Giur., 2003.
102 Tra molti, x. X. XXXXXXX, Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 55 ss.; ID., voce Rinegoziazione (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XV Agg., Roma, 2006, 1 ss.; ID., Xxxxxxx e parità di posizioni nei rimedi correttivi degli scambi di mercato, in Riv. dir. civ., I, 2010, I, 41 ss. A favore, invece, a titolo esemplificativo, X. XXXXXXX, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. impr., 2003, 667 ss.
Così, nel solco degli orientamenti contrari ad un generalizzato obbligo di rinegoziazione fondato sulla buona fede, si è cercato di ricostruire un quadro degli apparati rimediali alle sopravvenienze caratterizzato, secondo diversi percorsi argomentativi, da un rimedio generale estintivo per tutti i contratti di durata, fondato sull’art. 1467 c.c., e su un rimedio speciale manutentivo fondato su tutti i contratti di appalto o ad esso assimilabili, fondato sul meccanismo di revisione del prezzo di cui all’art. 1664, comma 1 c.c.103.
Questi rimedi manutentivi parrebbero, in effetti, più adatti ai contratti di impresa e di durata, specie per quanto si diceva, in particolare, sulla rilevanza e l’essenza associativa di essi, quali relational contracts.
Tuttavia, a parte l’ultima via rimediale (che però pare limitarsi a contratti appartenenti al genere di quelli cc. dd. “do ut facias”, che non racchiude tuti i contratti di impresa e di durata), gli altri rimedi manutentivi illustrati sembrano poggiare sul principio di buona fede, principio che evoca giudizi di valore i quali, con riferimento ai rapporti tra imprese, potrebbero non essere promettenti ed efficienti, poiché non appare affatto semplice comprendere su quale parte sia corretto/giusto, sulla base di valori di solidarietà, allocare l’effetto negativo della sopravvenienza, tenuto conto che le imprese potrebbero, come spesso accade, trovarsi in filiere distributive o produttive e, comunque, coinvolgere numerosi stakeholders. Diverrebbe quindi un problema di soccombenza di stakeholders, in fin dei conti la scelta finirebbe per non essere affatto solidale. Mentre, di contro, non è nemmeno detto che un contraente non sia disposto, pur di mantenere in vita un contratto, a sacrificare apprezzabilmente anche se stesso (sul punto si avrà modo di tornare in seguito).
Sicché altri dovrebbero essere i criteri volti a guidare, come si vedrà, la buona fede o l’equità correttiva, rispetto alla solidarietà, specie nei contratti di (lunga durata) e di impresa.
Tuttavia, prima di volgere lo sguardo al presente e al futuro, pare opportuna una breve incursione storica.
4.2 La normativa emergenziale e gli orientamenti giurisprudenziali.
103 M. BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione della sopravvenienza, in Eur. dir. priv., 2003, 480 ss.; X. XXXXXXXXXXX, L’eccessiva onerosità sopravvenuta dell’appalto tra scioglimento del rapporto e revisione del prezzo, in AA.VV., Xxxxxxxx Xxxxxx, II, Singole fattispecie negoziali, a cura di X. XXXXXXXXXXX x X. XXXXXXXX, Xxxxxx, 0000, 851 ss.; X. XXXXXXX, (nt. 16), 210 ss.
Come anticipato in apertura, la disciplina emergenziale italiana, contempla una norma di carattere più generale ed una serie di disposizioni dedicate a specifici contratti, quali, in particolare, quelli di acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi della cultura, quelli di trasporto, di pacchetto turistico e di soggiorno e quelli di locazione ad uso non abitativo.
Numerosi sono, in materia, i contributi dottrinali 104 , mentre la giurisprudenza risulta copiosa, a quanto consta, solo in tema di contratti di locazione.
4.2.1 La norma generale
Quanto alla norma di carattere generale, l’art. 91 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”), convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è spesso ritenuta norma “chiave” per la disciplina generale delle sopravvenienze da Covid-19105. In particolare la disposizione ha inserito, nell’ambito dell’art. 3 (“Misure di contenimento”) del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13 – il seguente comma 6-bis: «Il rispetto delle misure di contenimento di cui [al] presente decreto è sempre valutata[o] ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».
La dottrina ha da subito inquadrato la natura della norma come volta a disciplinare in generale gli «inadempimenti emergenziali, e, cioè, di quegli illeciti contrattuali dovuti non già a dolo o colpa del debitore, ma alla necessità per il debitore di osservare una misura di contenimento che gli impedisce di eseguire la prestazione, dando corso al programma negozialmente concordato»106.
Trattasi di norma che, anzitutto, rimette alla discrezionalità del giudice non tanto se valutare o meno l’incidenza del rispetto delle misure di contenimento (perché questo sembra doveroso), ma certamente il “quanto” valutarle107.
104 V., a titolo esemplificativo, X. XXXXXX XXXXXXXXXX, X. MATERASSI, X. XXXXXXX, I contratti: risvolti applicativi dell’emergenza sanitaria. Contratti nazionali e internazionali, Milano, 2020, passim.
105 V., ad esempio, A. M. XXXXXXXXX, Il «rapporto» obbligatorio al tempo dell’isolamento: una
causa (transitoria) di giustificazione?, in xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 3 aprile 2020, 1 ss., spec. 4 ss.
106 A. M. BENEDETTI, (nt. 105), 5.
107 Sull’elasticità della fattispecie in esame, v. A.A. DOLMETTA, «Rispetto delle misure di
contenimento » della pandemia e disciplina dell’obbligazione, in xxx.xxxxxx.xx, 11 aprile 2020, 8.
In secondo luogo, si dà rilievo, in effetti, a una nuova sopravvenienza poiché la responsabilità viene esclusa se, ancorché possibile, non sia stata effettuata (o sia stata effettuata diversamente da quanto dovuto) per rispettare le misure di contenimento. Il che sembra, obiettivamente introdurre una nuova ipotesi di sopravvenienza (tipica), rispetto a quelle già previste dal nostro ordinamento, poiché non vi è alcun rinvio, nemmeno per relationem, agli istituti della impossibilità o della eccessiva onerosità, come invece aveva fatto, come si è visto, il legislatore nei primi anni del ‘900 rispetto alla guerra. Tuttavia, esso si occupa esclusivamente della responsabilità e non pare, quantomeno direttamente, disciplinare le sorti del contratto. In questo senso, invero, sembra più affiancarsi ad una causa di esonero da responsabilità per non imputazione dell’evento.
In terzo luogo non può che valutarsi il punto di riferimento per l’esonero da responsabilità, ovvero il rispetto delle misure di contenimento, il che sembra, come rilevato in dottrina, escludere, quantomeno testualmente, il rilievo della norma nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie108. A tal proposito si è anche sostenuto che per queste ultime, sul presupposto dell’intramontabile principio genus numquam perit, un rilevante (ed esclusivo) contributo dovrebbe derivare dal diritto commerciale e, segnatamente, da diritto della crisi109.
Venendo al merito della disposizione, senza pretesa di esaustività in questa sede110, si osservi come il richiamo sia all’art. 1218 c.c. che all’art. 1223 c.c. postuli l’esclusione sia dell’inadempimento che del nesso di causa. Il che sembra gettare, in effetti, un ponte all’apparato rimediale sul contratto, specie nel richiamo alla prima norma, poiché il giudice dovrà verificare se il rispetto delle misure di contenimento abbia determinato l’esclusione (totale o parziale, temporanea o definitiva) della responsabilità del debitore. Tanto che la dottrina si è fortemente interrogata sulla possibilità di leggere i rimedi tradizionali (sopra succintamente illustrati) anche alla luce della norma generale in questione 111 . Ricercando, in
108 Sul punto, cfr. A.M. BENEDETTI (nt. 105), 6; X. XXXXX, X. XXXXXX, Contratto e Covid-19. Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica, in Giustizia insieme, reperibile su: xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx; contra, A.A. DOLMETTA, (nt. 107), 9.
109 X. XXXXXXX, Una proposta sui contratti d’impresa al tempo del Coronavirus, in
xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 29 aprile 2020, spec. 5 ss.
110 Sul punto, cfr. X. XXXXXXX, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “Coronavirus”, cit., 1 ss.; ID., Sopravvenienze e rimedi al tempo del “Coronavirus”: interesse individuale e solidarietà, cit.; X. XXXXXXXX, Il rischio contrattuale diventa globale, in IlSole24Ore, 28 aprile 2020, 22.
111 Così è stata ritenuta «norma di carattere generale per la interpretazione delle
conseguenze dell’attuazione delle misure di contenimento del Coronavirus» da Trib.
particolare, nuove (e rinvigorenti) letture del dovere di buona fede onde sostenere obblighi di rinegoziazione112 (ma con le sempiterne perplessità sull’efficacia in sé del rimedio113 e sull’assenza di un aggancio normativo espresso al rimedio e alle conseguenze del relativo inadempimento) oppure applicando, nei casi di impossibilità (normalmente) temporanea derivanti dalla pandemia, gli istituti tradizionali dell’art. 1256 c.c. e dell’art. 1464 c.c.114, con conseguente sospensione nell’esecuzione della prestazione del debitore, cui farebbe da contraltare l’eccezione di inadempimento del creditore di cui all’art. 1460 c.c. (ritenuto, infatti, applicabile, onde evitare squilibri contrattuali, anche nei casi di inadempimento incolpevole115) o, nei casi di impossibilità definitiva sempre ricollegate alla pandemia, gli artt. 1463 e 1464 c.c.
Ad ogni modo paiono condivisibili le perplessità e le preoccupazioni rispetto all’incapacità della norma generale in questione di incidere sugli equilibri negoziali e, in particolare, allorché il rispetto delle misure di contenimento determini l’eccessiva onerosità delle prestazioni o comunque squilibri contrattuali rilevanti (ipotesi frequentissime), specie alla luce del tenore letterale chiaro nel disciplinare, a differenza, ad esempio, delle discipline speciali 116 , il piano della responsabilità più che l’apparato
Napoli, 3 aprile 2020, commentata, succintamente, da X. XXXXXXXX, (nt. 86), 360-361, al fine, in particolare, in quel caso, di consentire una modifica di un piano di ristrutturazione dei debiti prima dell’omologa.
112 O. CLARIZIA, (nt. 86), 356 ss.; A. A. DOLMETTA, (nt. 107), ID., il problema della rinegoziazione (ai tempi del coronavirus), in xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 6, 2020, con riferimento appunto alla cd. “buona fede integrativa”. Così, anche, la Relazione Tematica dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di cassazione n. 56 dell’8 luglio 2020, reperibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx. In giurisprudenza, v., tra molte, specie in tema di contratti di locazione ad uso commerciale, Trib. Lecce, 24 giugno 2021, in Contr., 2022, 51, su un iter avviato da Trib. Roma, 27 agosto 2020, in Xxxx.xx., 2020, 2439 Per una rassegna, anche di decisioni contrastanti, x. XXXXXXXXX, La buona fede integrativa e l’obbligo di rinegoziazione: una rimeditazione al tempo del Covid-19, in xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 12, 2020.
113 X. XXXXXXXX, Coronavirus, legislazione emergenziale e contratto: una fotografia, in
xxxxxxxxxxxxxxx.xxx.
114 Parimenti, ne dà atto, O. CLARIZIA, (nt. 86), 357 ss.
115 A.M. XXXXXXXXX, Le autodifese contrattuali, Artt. 1460-1462, in Il Codice civile. Commentario, fondato da X. XXXXXXXXXXX, diretto da F.D. BUSNELLI, Milano, 2011, 54.
116 Che menzionano norme relative al contratto, quali, l’art. 1463 c.c. [per i contratti di abbonamento per l’accesso ai servizi offerti da palestre, piscine e impianti sportivi (art. 2160, comma 4 d.l. 19 maggio 2020, n. 34), nonché per quelli relativi all’acquisto di biglietti per spettacoli, musei ed altri luoghi della cultura (art. 88 d.l. 17 marzo 2020, n. 18) e per viaggi, soggiorni e pacchetti turistici ( l. 24 aprile 2020, n. 27)], gli artt. 1464, 1467 e 1468 (per i contratti di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati).
rimediale sui vincoli contrattuali. Con l’evidente dubbio di poter utilizzare una norma che, per quanto generale, ha comunque una sua specialità.
4.2.2 La normativa speciale in sintesi. In particolare: il contratto di locazione ad uso non abitativo …
Occorre terminare la panoramica passando succintamente dalla normativa speciale e, in particolare, su quella maggiormente elaborata dal legislatore.
Le soluzioni prescelte dal legislatore si sono spesso rivelate tali da considerare i vari lockdown ipotesi di impossibilità della prestazione, con rimedi spesso sartoriali per ciascun contratto (talvolta anche di difficile compatibilità con il diritto europeo, come è accaduto nei contratti turistici), prevedendo l’alternativa di rimborsi o di proroghe della prestazione o, come nei casi dei contratti di locazione, di un apparato rimediale più complesso117. A tal proposito l’art. 216, comma 3, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 statuisce: «(3). La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, e a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito».
La norma, unitamente agli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali in materia, sembra avere un certo rilievo sistematico anche ai fini del presente contributo. E ciò per due ragioni: la prima è perché si occupa di “tipici” contratti di durata, la seconda è che attiene direttamente ad una parte essenziale dell’attività di impresa.
Alcuni autori118 hanno sostenuto che questa norma, in uno con quella di tipo fiscale che prevede un credito di imposta sui canoni pagati 119 ,
117 Sul tema cfr., tra molti, X. XXXXXXXXX, La gestione del rischio nella locazione commerciale al tempo del Coronavirus, in xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 21 aprile 2020, 0, X. XXXXXXX, Xx locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell’epidemia, in xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 31 marzo 2020, 1 ss.
118 X. XXXXXXX, (nt. 89), 501, juscivile, 2020, 2.
119 Il legislatore ha altresì dettato una norma fiscale, ovvero, l’art. 65 del decreto cd. “Cura Italia” che prevede un credito d’imposta del 60% dell’ammontare del canone di locazione
escluderebbe, a contrario, una sospensione tout court del canone. Ma la tesi non convince del tutto, posto che sarebbe agevole osservare come, di contro, essa troverebbe applicazione solo nei casi in cui il canone risulti dovuto. La pandemia, infatti, potrebbe non escludere l’impossibilità né l’eccessiva onerosità. E non è un caso che la medesima norma richiami proprio questi rimedi generali, affiancando ad essi il rimedio manutentivo.
Ciò che, tuttavia, non si può negare è che la norma ha introdotto un obbligo di rinegoziazione e, indirettamente, di adeguamento giudiziale del contratto con una presunzione relativa, anche se soltanto per alcune tipologie di locazione.
E questo, secondo alcuni, in virtù dell’art. 14 delle preleggi, potrebbe essere un dato insormontabile: essa, infatti, non potrebbe estendersi alle altre locazioni per le quali si sono esplorate variegate soluzioni120.
Anche se, forse, questa tesi potrebbe valere per la sola soluzione specifica (obbligo di rinegoziazione almeno per il 50% del canone), ma non per il criterio sottostante, che, come si vedrà, potrebbe, invece, rappresentare l’esplicitazione di un principio più generale e regolare della causa dei contratti di impresa (quale è anche questo), ovvero l’intima relazione tra costi e ricavi, tra attività e costo aziendale, in altre parole, l’economicità della loro causa.
Ma su questo si avrà modo di tornare oltre.
4.2.3 (segue) Il d.l. 118/2021 e adeguamento giudiziale del contratto
a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa (in alcuni immobili) proprio al fine di
«contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19». Inoltre è stata introdotta anche altra norma fiscale con l’art. 28 decreto 19 maggio 2020, n. 34.
120 Tra queste spicca l’impossibilità temporanea della prestazione del locatore ex art. 1575 c.c., con la conseguenza che l’uso della cosa (evidentemente pregiudicato dalle misure di contenimento) rientrerebbe tra gli elementi che delineano l’obbligazione del locatore [X. Xxxxxxx, (nt. 89), 503, X. XXXXXXXXX, (nt. 117), 4 ss.]. Ad ogni modo, per determinare l’inadempimento (seppur incolpevole del locatore) occorrerà valutare caso per caso se l’immobile sia stato utilizzato o meno e in che misura. Xxxxxx, sembra efficiente il ricorso all’art. 1256 e all’art. 1258 riguardo l’impossibilità temporanea ma anche, a seconda dei casi, di quella parziale, valutando la riduzione del corrispettivo con una interpretazione volta a coordinare tali norme generali con gli artt. 1574 e 1584 c.c. (se del caso, per questa via, estese analogicamente al caso de quo) [X. XXXXXXXXX, (nt. 117), 9]. Per la ricostruzione in termini di eccessiva onerosità v. X. XXXXXXX, (nt. 117), 5 – 6, oppure con l’applicazione dell’art. 1464 c.c. [X. XXXXXXX, (nt. 89), 506]. In un certo senso un’applicazione di tale principio è rinvenibile in Trib. Bologna, ord., 8 marzo 2021, reperibile su xxx.xxxxxxxxxxx.xx. Contra X. XXXXXX XXXXXXXXXX, X. MATERASSI, Rinegoziazione del contratto di locazione commerciale a causa del Covid-19: è applicazione del principio di buona fede, in Contr., 2022, 56.
Sempre esaminando la normativa speciale e, segnatamente, emergenziale, occorre rivolgersi al d.l. 118/2021 che ha introdotto importanti principi in materia contrattuale nell’ambito della crisi di impresa.
In particolare – per quanto rileva ai nostri fini – l’art. 10121 prevede che l’esperto (figura chiave della procedura di composizione negoziata della crisi introdotta con questo decreto) possa invitare le parti a rinegoziare o, meglio, «rideterminare», secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata e periodica ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia SARS-CoV-2. In mancanza di accordo, su domanda dell’imprenditore, il tribunale, acquisito il parere dell’esperto e tenuto conto delle ragioni dell’altro contraente, può rideterminare equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale (ferma restando l’intangibilità dei contratti di lavoro).
Inoltre, ai sensi dell’art. 10, comma 2, il tribunale, accogliendo la do- manda di revisione della disciplina contrattuale, assicura, con ampio margine di discrezionalità (ma nei limiti della preservazione della continuità aziendale), l’equilibrio delle prestazioni anche attraverso un indennizzo a favore dell’altro contraente122.
Va, tuttavia, rilevato che il progetto di decreto legislativo, frutto del lavoro della “Commissione Xxxxx 2” e approvato dal Consiglio dei Ministri, ora all’esame delle Commissioni parlamentari, nell’introdurre la composizione negoziata della crisi nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ha, da un lato, introdotto il concetto di alterazione dell’ equilibrio contrattuale, dall’altro ha previsto espressamente un dovere di collaborazione delle parti per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni, dall’altro ha soppresso espressamente proprio il potere di intervento del giudice in caso di sopravvenienza (art. 22).
121 Per un primo commento della disposizione, v., per tutti, X. XXXXXXXX, Trasferimento d’azienda e rinegoziazione dei contratti, in AA. VV., La crisi d'impresa e le nuove misure di risanamento d.l. 118/2021 conv. in l. 147/2021 Diretto da X. Xxxxxx e S. A. Xxxxxxx. Coordinato da Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, 2022, 180 ss., nonché, più in generale, X. XXXXXXXXX, La «miniriforma» del 2021: rinvio (parziale) del c.c.i.i., composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, 901 ss.; X. XXXXXXX, Il d.l. «Xxxxx» ovvero la lezione (positiva) del covid, in www.dirittodellacrisi, 25 agosto 2021; X. XXXXX, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vente di maestrale soffia sulla riforma, in www.dirittodellacrisi, 1° ottobre 2021;
122 Sul tema, in questi termini, Panzani, Il d.l. «Xxxxx», cit., 32.
5. Alcune proposte de iure condito dal diritto commerciale
Come si è visto, il legislatore italiano ha introdotto, a fianco ad una regola generale, che però sembra attenere più alla responsabilità, specifiche disposizioni relative alla sorte di determinati contratti, regole che si innestano in un quadro variegato di orientamenti volti a disciplinare le sopravvenienze contrattuali.
Un quadro che, tuttavia, pare privo di soluzioni, a mio sommesso parere, del tutto appaganti rispetto ai contratti di impresa e, più in generale, ai contratti di (lunga) durata, specie laddove si intende fondare l’esistenza di un più ampio dovere di collaborazione tra le parti, finalizzato alla loro rinegoziazione, sulla buona fede e la solidarietà. Ciò in quanto mancherebbe, comunque, l’individuazione dei criteri idonei a determinare i contenuti e i confini di tali clausole generali e a orientare le parti nella corretta conduzione delle negoziazioni.
Inoltre, pare potersi sostenere che la medesima buona fede non sia sufficiente a fondare, da sola, le soluzioni al problema, posto che il diritto d’impresa, certamente intriso da clausole generali, tra cui anche la buona fede, si muove attraverso meccanismi che potrebbero, in determinate situazioni, operare attraverso logiche differenti rispetto alla concezione di buona fede tipica del diritto civile. La stessa solidarietà potrebbe essere diversamente concepita e perseguita nelle valutazioni imprenditoriali.
Si pensi, per fare un esempio, ai limitati spazi di applicazione della clausola di buona fede per l’impugnazione delle delibere assembleari nei soli casi di abuso di maggioranza o, ancora, alla stabilizzazione delle delibere invalide in caso di mancata impugnazione ed alla sostituzione, sempre in materia e sempre a discapito delle minoranze (non qualificate), dei rimedi reali con quelli obbligatori. O, ancora, si guardi al legittimo esercizio di un’attività di direzione e coordinamento persino pregiudizievole a condizione che vi siano vantaggi compensativi (artt. 2497 e 2634 c.c.): ad esempio, un’impresa potrebbe essere anche disposta (e le si potrebbe imporre) a sacrificare, in parte e temporaneamente, ma anche in maniera apprezzabile, se stessa alla luce di un risultato complessivo (fondatamente prevedibile) che la ricompensi. Oppure, di contro, si pensi alla tematica della CSR, al neoistituzionalismo e all’attenzione agli ESG, valori magari estranei alle logiche individuali di diritti privato.
Per tali ragioni riterrei opportuno valutare un approccio “integrato” tra le soluzioni sopra illustrate e il diritto commerciale, settore di appartenenza dei contratti in esame.
5.1 Primo contributo del diritto commerciale: la causa concreta dei relational contracts e la tendenza all’economicità di cui all’art. 2082 c.c.
Si potrebbe sostenere che i contratti di impresa di durata nel senso descritto (in quanto species di quelli di lunga durata) appartengano al genere de cc.dd. relational contracts nel senso illustrato dalla dottrina statunitense sopra esaminata.
La causa in concreto di questi contratti sembra, quindi, consistere:
i) nell’esternalizzazione della gestione o, meglio, più in generale, dell’organizzazione di alcune fasi dell’attività d’impresa, di una parte di quell’organizzazione di fattori produttivi ex art. 2082 c.c., ad un soggetto estraneo all’impresa, ma intimamente ad essa connesso; oppure
ii) nella finalizzazione strutturata della produzione e dello scambio di beni e servizi in favore di terzi;
In altre parole la causa concreta di questi contratti è l’esercizio, mediante terzi, di fasi e di elementi costitutivi dell’attività di impresa. E la stessa impresa potrebbe trovarsi, anche nell’ambito della medesima filiera produttiva o distributiva, in entrambe le posizioni (di cliente o di fornitore).
Il problema viene colto dalla già menzionata Relazione Tematica
dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di cassazione
n. 56 dell’8 luglio 2020 la quale evidenzia che proprio «nel contesto dei contratti commerciali, che sono ancillari all’esercizio dell’impresa e ne supportano la continuità, a fronte della sopravvenienza l’obiettivo precipuo del contraente sfavorito non è lo smantellamento del rapporto, ma la sua messa in sicurezza sul crinale di un riequilibrio reciprocamente appagante delle prestazioni. L’emergenza non si tampona demolendo il contratto. Più che la liberazione del debitore-imprenditore dall’obbligazione, cruciali appaiono l’attenuazione o il ridimensionamento del contenuto di questa, ove il suo adempimento sia ostacolato o reso sfibrante dalle misure di contenimento».
Pertanto, sembra possibile sostenere che, poiché questi contratti, connotati dai predetti due principali elementi, sono funzionalizzati ad integrare i presupposti e i requisiti dell’attività di impresa ai sensi dell’art. 2082 c.c., il loro elemento causale determinante, quale fondamento del negozio giuridico in essi incorporato, sia costituito dall’ economicità.
L’economicità – intesa nel senso più tipico e istituzionale per cui l'attività produttiva sia condotta con metodo economico, cioè secondo modalità che consentano quanto meno la copertura dei costi con i ricavi ed
assicurino l'autosufficienza economica123 - dovrebbe, quindi, assurgere, in questi contratti, al rango di elemento causale essenziale124.
In questo senso, come anticipato, pare deporre, in via sistematica anche una norma “emergenziale”, quantomeno per il sottostante principio regolatore della sopravvenienza. Mi riferisco, in particolare, al già menzionato art. 216, comma 3 d.l. 34/2020 (in tema di contratti di locazione ad uso commerciale) che sembra individuare, implicitamente, come criterio per l’adeguamento negoziale, la correlazione tra la (sospensione dell’) attività - dunque (la riduzione de) i ricavi - e l’importo del canone (quindi i costi). E questa correlazione – che è poi l’anima della economicità – non sembra doversi ritenere una caratteristica tipica di soli questi contratti, con la conseguenza che tale criterio (ma non la scelta specifica numerica, questa sì, invece, forse calcolata sulla natura del singolo contratto, quindi speciale) ben parrebbe estensibile ad ogni contratto di impresa di durata. Confermando, quindi, l’economicità o, meglio, la tendenza all’economicità, quale elemento causale di tali contratti.
In questo modo, la nozione di impresa e, quindi, di economicità (nel senso descritto) entra nel sinallagma contrattuale.
Parrebbe, pertanto, sostenibile che l’economicità sia parte integrante
della causa in concreto di questi contratti125.
Dovrebbe, dunque, essere la conservazione di questa sua funzione il punto di riferimento attorno al quale ricostruire la disciplina della sopravvenienza e, di conseguenza, il contratto in questione dovrebbe sempre tendere all’economicità, quale criterio di equilibrio del relativo sinallagma.
123 Così come insegnato dalla manualistica. La stessa giurisprudenza definisce l'economicità come il principio del massimo risultato e del minimo mezzo (Cass. civ., Sez. V, 15/09/2008, n. 23635).
124 Economicità e non fine di lucro e, ciò, perché (ma anche questo tema non può che essere trattato per cenni in questa sede), da un lato, esso dovrebbe essere caratteristica necessaria del solo l’imprenditore collettivo, dall’altro, perché nemmeno quest’ultimo assunto è vero, poiché è ormai noto il cd. “tramonto dello scopo di lucro”, tanto da non essere più considerato, dai più, elemento costitutivo necessario del contratto di società. Il tema resta discusso (v., a titolo esemplificativo, X. XXXXXXX, Il tramonto dello scopo lucrativo, in Riv. dir. civ., 1973, I, 162; X. XXXXXXXXXX, La verifica del “tipo sociale” e una recente vicenda giudiziaria, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 00; X. XXXXX, S.r.l. unipersonale e “tramonto dello scopo lucrativo”, in Giur. comm., 1997, I, 115). Pertanto nell’incertezza e nella ricerca di una soluzione condivisibile a tutti i contratti di impresa, certamente si potrebbe convenire sulla comunanza dell’elemento dell’economicità, dovendosi, al più, aggiungere lo scopo di lucro nei contratti di impresa in cui vi sono parti delle società, sempreché si ritenesse sussistente ancora questo requisito ai sensi dell’art. 2247 c.c.
125 Causa concreta, ritenuta rilevante dalla giurisprudenza, anche in tali contratti (Trib. Bologna, ord., 8 marzo 2021, (nt. 120).
Sicché se è questa la causa dei contratti d’impresa, ben si potrebbe individuare, come presupposto di essi e necessaria connessa obbligazione delle parti, proprio una dinamica e costante ricerca dell’economicità, o, meglio, di ricerca della normale alea del contratto. Un’obbligazione, dunque, autonoma anche indipendente dalla buona fede, che potrebbe essere, al più o richiamata ad adiuvandum o così interpretata.
Pertanto, se in presenza di una sopravvenienza rilevante tale da modificare sensibilmente l’economicità del contratto (e, quindi, esorbitare l’alea normale del contratto così’ come concepita originariamente dalla parti), le parti non si attivano per ripristinare l’economicità o, meglio, per ricondurre il contratto alla sua “normale” (recte, originaria) possibile alea, potrebbe configurarsi un inadempimento contrattuale vero e proprio.
Si tratta di una tesi che, da un lato, con una certa vocazione transnazionale, tipica del diritto commerciale, si pone in linea:
i) sia con le tesi statunitensi in tema di “relational contracts” allorché sottolinea la necessaria dinamicità della causa contrattuale e lo spirito associativo di cui paiono connotati questi contratti,
ii) sia, ove valorizza la situazione originaria (recte, i presupposti) delle parti quale sostrato di riferimento, con le teorie statunitensi del “criterio del contratto implicito”, della “impracticability” e della “frustration of scope”, nonché con l’istituto tedesco della “Störung der Geschäftsgrundlage”(di cui al § 313 BGB), con l’istituto francese della caducité (di cui all’art. 1186 code civil), ma anche, in un certo senso, con le teorie italiane della presupposizione e della clausola «rebus sic stantibus».
Dall’atro lato, si discosta da queste ultime, ma in maniera forse più efficiente, in quanto più oggettivamente pone al centro della valutazione il parametro della economicità, più che della volontà o del generico “interesse” originario.
5.2 Secondo contributo del diritto commerciale: i vantaggi compensativi
Come appena visto, l’obbligo di rinegoziare potrebbe derivare dalla
stessa causa dei contratti di impresa di (lunga) durata.
A supporto di tale tesi, parrebbe possibile addurre un ulteriore argomento sistematico che potrebbe nuovamente rinvenirsi nel diritto commerciale. Mi riferisco, in particolare, alla nota teoria - anch’essa a
vocazione transnazionale (essendo condivisa da tempo anche all’estero126)
– dei vantaggi compensativi, codificata all’art. 2497 c.c. e, con una diversa declinazione, all’art. 2634 c.c., sulla scorta di elaborazioni, dapprima, dottrinali127 e poi anche giurisprudenziali128.
Secondo tale teoria, la compatibilità con l’interesse sociale dell’interesse di gruppo dovrebbe “valutarsi in termini di razionalità e coerenza di una singola scelta, ancorché pregiudizievole per la società che la pone in essere, rispetto ad una politica economica generale di gruppo di medio e lungo termine, da cui ragionevolmente può derivare un vantaggio alla singola società, anche su piani economici differenti, anche in tempi diversi rispetto al momento dell’operazione ed anche secondo un parametro non rigidamente proporzionale, né necessariamente quantitativo”129.
Il percorso argomentativo per la sua applicazione in ambito contrattuale non è agevole, ma non per questo non ipotizzabile.
Come noto, il contratto di società (e il gruppo di società, quantomeno nei rapporti tra holding ed eterodiretta, ben potrebbe essere – ed anzi normalmente è - tale), non è altro che, specie nei rapporti interni tra i soci, un contratto di tipo associativo e i contratti di impresa di (lunga durata), si è visto, sono, se si condividono le tesi illustrate, “relational contracts”, quindi, parimenti appartenenti al genus dei contratti associativi in senso lato. In effetti, proprio sulla scorta degli insegnamenti della dottrina statunitense, la dipendenza e, in taluni casi, l’interdipendenza reciproca nella strutturazione di tutta o parte dell’organizzazione o dell’attività aziendale ne rappresenta, come visto, la vera causa concreta.
Sicché, individuata un’origine comune tra contratto di società e contratti d’impresa, ben si potrebbe cercare di estendere a questi ultimi, secondo un meccanismo già noto di “transtipicità”, alcune norme e principi dei primi130.
Così ragionando, in effetti, ciò che spicca nell’esaminare i rapporti contrattuali d’impresa di durata, specie, nell’ambito delle filiere produttive e distributive, è l’esistenza, sempre, di una parte più forte dell’altra (magari
126 Ad esempio, in Germania, xx xxxxx xxx § 000 XxxX. Xx Xxxxxxx già con Cass. crim., 4 febbraio 1985, in Dalloz-Sirey, 1985, jurispr., 478.
127 X. XXXXXXXXXX, Conflitto di interesse nei gruppi e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, I, 710 ss.; ID., Operazioni intragruppo e vantaggi compensativi: l’evoluzione giurisprudenziale, in Giur. it., 1999, 2318.
128 V., per quella di legittimità, Cass., 11 marzo 1996, n. 2001, in Foro it., 1, 1996, 1222, Cass.,
5 dicembre 1998, n. 12325 e Cass., 21 gennaio 1999, n. 521, in Pluris.
129 X. XXXXXXXXXX, (nt. 127), 710 ss.
130 X. XXXXXXXX, La concessione di vendita, Milano, 1983, 57-58.
non sempre la medesima, a seconda delle situazioni, ma, comunque, ciò che pare innegabile, è che esiste sempre una parte che è in grado, ad un certo punto, di determinare le sorti dell’altra, e, quindi, di poterne determinare anche le scelte imprenditoriali, eterodirigendola nella sostanza).
In tali casi, quindi, ipotizzata la teoria dei vantaggi compensativi come descrittiva di un principio generale, regolare e non eccezionale dei contratti associativi (in fondo, come già detto, i soci sono, nei rapporti interni tra loro, dei contraenti), per cui sarebbe possibile il sacrificio temporaneo di una parte purché, alla luce del risultato complessivo (nel nostro caso contrattuale), gli svantaggi risultino compensati anche su piani diversi e secondo una logica non perfettamente algebrica, si potrebbe tentare di estendere tale teoria ai contratti di impresa e, in particolare, ai rapporti di durata.
In altre parole, in caso di sopravvenienza, la parte che, secondo le circostanze, avrà il potere di determinare la sorte del contratto, onde non incorrere in responsabilità ex art. 1218 c.c. e/o 1175/1337/1375 e/o 2497 c.c., dovrà, dopo aver coinvolto l’altra con spirito collaborativo, ricercare quell’economicità dell’equilibrio contrattuale descritta sopra, laddove possibile, secondo la logica dei vantaggi compensativi; di contro la parte “debole” potrebbe anche essere chiamata ad accettare la decisione a condizione che, qualsiasi sia la scelta perseguita, questa le assicuri un vantaggio compensativo, il quale dovrà essere, quantomeno,
«fondatamente conseguibile» (arg. ex comb. disp. artt. 2497 e 2634 c.c.)131. E ciò pare in linea – con una interessante aderenza comparatistica –
anche con le teorie proprie dei “relational contracts” (tali per cui, da un lato, sotto il profilo sociologico, gli individui sono spesso disposti a sacrificare una parte dei propri interessi personali per mantenere i rapporti da cui deriva la loro stessa esistenza) nonché con le valutazioni spesso effettuate dalla giurisprudenza tedesca a proposito dell’applicazione del § 313 BGB, in particolare, sulla necessità di verificare vantaggi e svantaggi che la parte colpita dal cambiamento delle circostanze abbia ricevuto.
5.3 Terzo e quarto contributo del diritto commerciale: la preservazione della continuità aziendale e dell’equilibrio economico ed il ruolo dell’art. 1256, comma 2 c.c.
131 Con il conseguente necessario interrogativo (oggetto ancora di riflessione ma a cui sembra doversi dare prima facie risposta positiva, stante il tenore letterale dell’art. 2497 c.c., pena il risarcimento dei danni) se sia poi anche necessario che tale vantaggio venga effettivamente conseguito.
Delineato il criterio, saranno ovviamente le parti che, discrezionalmente, potranno decidere se risolvere il contratto o rinegoziarlo e a quali condizioni, nei limiti del medesimo e, naturalmente, anche della buona fede.
Fino a che punto, però, è possibile spingersi con le valutazioni sui possibili vantaggi compensativi?
Sul punto sembra nuovamente necessario rifarsi ad un approccio
“integrato” tra le due branche del diritto in esame.
Anzitutto, come detto, per essere “fondatamente conseguibili” dovrebbe trattarsi di vantaggi compensativi conseguibili in un tempo ragionevole. Inoltre, per essere tali, non potrebbero porsi in contraddizione con l’ordinamento e, quindi, non potrebbero, a mio avviso, compromettere l’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario delle parti tanto da doverle indurre ad agire per ristrutturare la propria posizione debitoria e fare ricorso a rimedi idonei proprio ad ottenere una nuova rinegoziazione degli accordi. Sicché, limitando il discorso alla parte imprenditoriale, non sembra possibile spingersi sino a creare i presupposti perché si attivi l’ “allerta interna” di cui, parlando di norme in vigore 132 , all’art. 15 d.l. 118/2021, cosa che oltre ad essere irragionevole, rappresenterebbe un’evidente venire contra factum proprium del medesimo legislatore.
Di conseguenza, come già sostenuto altrove 133 , ad altri fini, pare essere questo il confine ultimo delle valutazioni e delle scelte sul punto e, quindi, il limite ultimo, oltre il quale, nessun vantaggio compensativo potrebbe ritenersi fondatamente conseguibile.
E ciò pare – nuovamente – in linea anche con l’esperienza comparatistica, in particolare con l’istituto della cd. “impracticabilityi” di diritto statunitense nonché con la cd. impossibilità “pratica” di cui al § 275 II BGB e con il limite della preservazione delle basi economiche aziendali di cui all’art. 240, § 1 EGBGB, poc’anzi esaminati.
Pertanto, nel caso in cui, in conseguenza della sopravvenienza pandemica, sia possibile solo la risoluzione o, comunque, la “sospensione” del contratto ex art. 1256, comma 2 c.c. (poiché la vigenza e l’esecuzione in sé del contratto e, quindi, qualsivoglia risultato della relativa rinegoziazione comporterebbe le predette situazioni di crisi in almeno uno dei contraenti),
132 Non si cita, quindi, l’art. 14 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ed il riferimento ai “fondati indizi della crisi”.
133 Sia concesso rinviare a F. SUDIERO, Il collegio sindacale “di gruppo” e continuità aziendale: tra «fondati indizi della crisi» e vantaggi compensativi «fondatamente prevedibili», in AA. VV., Impresa e rischio. Profili giuridici del risk management, a cura di S.A. XXXXXXX, Torino, 2019, 128 ss.
non rimarrà altro che procedere alla risoluzione o all’applicazione dell’art. 1256, comma 2 c.c. (tenuto conto, in via sistematica, del limite anche dell’art. 2058 c.c. – su cui v. oltre), e ciò anche se la risoluzione o la sospensione stesse potessero comportare, di contro, il rischio di crisi e di insolvenza nell’altra parte. Ciò perché l’ordinamento, nei casi di impossibilità (o, meglio inesigibilità, come visto, secondo l’orientamento più attuale) della prestazione, libera il debitore scaricando le conseguenze negative dell’evento sul creditore.
Nel caso contrario (ove, quindi, sia possibile solo il mantenimento in vita del contratto, poiché in mancanza, una delle parti andrebbe in default), non rimarrà altro che mantenere in vita il contratto, sempreché ciò, però, non determini, in capo all’altra parte, la situazione appena vista ovvero che il mantenimento in vita del contratto, pur rinegoziato, comporti il suo rischio di default. Nel qual caso non potrà esservi altro rimedio che la risoluzione o l’applicazione dell’art. 1256 c.c., in particolare, come si vedrà tenuto conto dell’art. 2058 c.c.
Pertanto, potrebbe affermarsi che le parti di un contratto d’impresa di durata, abbiano, in presenza di una sopravvenienza contrattuale non regolata dal contratto, l’obbligo di rinegoziarlo sulla base (i) della natura (dinamica) della sua causa in concreto, rappresentata dalla necessaria costante ricerca dell’economicità originaria (riportando il contratto nella normale e originaria alea), nonché (ii) della teoria dei vantaggi compensativi, quale principio transtipico, applicabile nei rapporti associativi, idoneo a delineare, unitamente al rispetto della reciproca continuità aziendale, i contorni e i limiti della rinegoziazione.
Questi, invero, paiono principi che, in maniera diretta, potrebbero fondare un obbligo di rinegoziazione (o, quantomeno, di preventiva valutazione del rimedio manutentivo su quello estintivo) anche (forse) a prescindere dalla buona fede contrattuale, invece, comunemente richiamata.
5.4 Il quinto (indiretto) contributo del diritto commerciale: la prospettiva dell’interesse sociale, della CSR, degli ESG nel contratto. Spunti dal cd “prosocial contract”.
Ciò premesso, sembra possibile sostenere che vi siano anche ulteriori principi – di diritto societario – idonei, ma, questa volta, indirettamente, ad indurre i contraenti alla rinegoziazione.
E il terreno parrebbe, in primis, quello delle responsabilità gestorie, in particolare alla luce delle nuove declinazioni della nozione di interesse sociale e dell’impresa134.
Ai fini del presente lavoro, basta un cenno all’evidente punto di contatto che pare emergere tra le più recenti neoistituzionalistiche concezioni di interesse sociale (dalla Corporate Social Responsibility alla cura degli ESG135) e la teoria dei prosocial contracts statunitensi, tali per cui tra i contraenti dovrebbe sorgere un senso di responsabilità verso gli effetti esterni dei contratti su tutti gli stakeholders, tanto che si potrebbe ritenere che l’indifferenza verso l’altro contraente e, quindi, la decisione di non rinegoziare un accordo possa violare, anzitutto, il dovere degli amministratori di perseguire lo stesso interesse sociale se concepito in una versione che tenga conto anche di interessi altri, specie, per esempio, di quelli della medesima filiera (altri contraenti), i lavoratori, i terzi, fino ad arrivare ai diritti umani (si pensi ai casi Bangladesh Garment Makers poc’anzi esaminati)136.
134 Sull’interesse sociale la letteratura è sterminata. Si citano tra, i più risalenti, X. XXXXXXXXX, L’interesse sociale dell’art. 2441 c.c., cit., 1956, 93 ss.; X. XXXXXXX, L’interesse sociale, in Riv. soc., 1958, 725 ss.; X. XXXXXXX, I battelli del Reno, in Xxxxxxx, III, Padova, 1961, 221 ss.;
F. X’XXXXXXXXXX, Il diritto delle società da i “battelli del Reno” alle “navi vichinghe”, in Foro it., 1988, V, c. 48. P.G. XXXXXX, L’interesse sociale, in Riv. dir. comm., 1965, 244. Tra i più recenti si possono menzionare, a mero titolo esemplificativo, P. G. XXXXXX, L’interesse sociale rivisitato (quarant’anni dopo), in Giur. comm., 2000, I, 795 ss., AA.VV., L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders. In ricordo di Xxxx Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 2010, passim; X. XXXXXXXX, La società per azioni, I, Principi e problemi, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. XXXX e X. XXXXXXXX, Milano, 2012; X. XXXXXXX, Quattro variazioni sul tema: “contratto, impresa e società nel pensiero di Xxxxx Xxxxxxxx”, in Giur. comm., 2013, I, 480 ss.; X. XXXXXXXXX, Ancora in tema di contratto, impresa e società. Un commento a Xxxxxxxxx Xxxxxxx, in difesa dell’“istituzionalismo debole”, in Giur. comm., 2014, I, 669 ss.; X. XXXXXXXXXX, Interesse sociale, interesse di gruppo e gestione dell’impresa nei gruppi di società, cit., 171 ss.; ID. L'interesse sociale: una sintesi, in Riv. soc., 2, 2018, 303 ss. X. XXXXXXX, L’organo amministrativo di S.p.A. tra “interessi dei soci” ed “altri interessi”, in Riv. soc., 2018, 20 ss.
135 Non solo peraltro in Italia. Nel libro del 2021 sul «Capitalismo degli stakeholder» di Xxxxx Xxxxxx, si considerano le imprese private come entità non solo in cerca di profitto, ma che agiscono anche a beneficio della “società” (civile) più allargata. In Francia, la loi Pacte ha introdotto all’art. 1833 Code Civil una nuova nozione di società: «Toute société doit avoir un objet licite et être constituée dans l'intérêt commun des associés. La société est gérée dans son intérêt social, en prenant en considération les enjeux sociaux et environnementaux de son activité». In Italia, ad ogni modo, il dibattito è piuttosto acceso sul punto; a titolo esemplificativo, v., tra i più recenti contributi, X. XXXXX, L’impatto dei fattori ESG sull’impresa. Modelli di governance e nuove responsabilità`, Bologna, 2021, G. ALPA, Responsabilità degli amministratori di società e principio di «sostenibilità», in Contr. impr., 2021, 721 ss., X. XXXXXXXX, Divagazioni sulla «responsabilità sociale» d’impresa, in Riv. soc., 2018, 3 ss.).
136 Si consideri, sul punto, che tra gli obiettivi della sostenibilità della Dichiarazione ONU del 2015 (Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, su United Nations – Sustainable Development knowledge platform), compaiono la sconfitta della povertà, della fame la buona salute, la buona salute
In questo senso, paiono, inoltre, rilevanti, ad esempio, quale spinta ad un’attenta gestione della sopravvenienza pandemica in ambito contrattuale rispetto ad interessi “altri”, quanto previsto dalla dir. 2014/95/UE (recepita con d. lgs 254/2016), che impone alle società di grandi dimensioni, qualificate come enti di interesse pubblico rilevanti, di redigere e pubblicare la «dichiarazione di carattere non finanziario», e dalla dir. 2017/828/UE (recepita con il d.lgs. 49/2019) che impone di dare evidenza del collegamento delle politiche di remunerazione di amministratori e management con la «strategia aziendale, gli interessi di lungo termine e con la sostenibilità della società». Tant’è che, sulla scorta dell’attenzione per questi interessi, da un lato, si è iniziato a verificare se e come questi obiettivi possano rientrare nei doveri degli amministratori (come approfondito da Assonime, nel marzo 2021, con un documento a ciò dedicato 137 e come recepito dal Codice di Corporate Governance che ha previsto la cura degli aspetti non finanziari tra i compiti degli amministratori).
Parimenti, infine, non pare irrilevante anche il danno reputazionale conseguente che si arrecherebbe alla società allorchè fosse palesato il rifiuto di rinegoziare contratti in questione nella consapevolezza di causare eventi infausti sui vari stakeholders.
Sul tema, da ultimo occorre segnalare, mea la ricerca è evidentemente aperta, l’importante recentissima proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 che ha lo specifico obiettivo di “promuovere il contributo delle società attive nel mercato unico al rispetto dei diritti umani e dell'ambiente nelle attività che svolgono e nelle catene del valore cui partecipano, individuando, prevenendo e attutendo gli impatti negativi sui diritti umani e gli impatti ambientali negativi che producono e assumendosene la responsabilità, e mettendo in atto adeguati sistemi e misure di governance e gestione a tal fine”.
5.5 Il sesto contributo del diritto commerciale: un approccio “integrato” per la
violazione dell’obbligo di rinegoziare
Occorre, infine, verificare le conseguenze della violazione dell’obbligo di rinegoziare (o della previa valutazione rispetto al rimedio manutentivo).
137 Note e Studi 6/2021 - Doveri degli amministratori e sostenibilità, reperibile su
A tal fine, riterrei (sommessamente) di proporre l’impiego dell’art. 1374 c.c. o dell’art. 2058 c.c., entrambi in combinato disposto con l’art. 2497 e con l’art. 10 d.l. 118/2021138.
Quest’ultima norma, applicabile nei limiti dei suoi presupposti, parrebbe comunque utile perché segna il confine dell’intervento giudiziale (comunque eccezionale) che dovrebbe valere a maggior ragione nei casi in cui non vi siano parti contrattuali ancora in uno stato di crisi o di insolvenza.
In altri termini si potrebbe valutare se la violazione dell’obbligo di rinegoziazione, così come argomentato, possa consentire:
i) un potere autoritativo del giudice di integrare il contratto, in applicazione dei predetti principi, ai sensi dell’art. 1374 c.c., attraverso il canale dell’equità, un’equità che abbia, quale parametro di riferimento, quel bilanciamento poc’anzi rilevato 139 : ricerca dell’equilibrio economico (arg. ex art. 2082 c.c.), valutando la possibile sussistenza di vantaggi compensativi per la parte – immediatamente
– costretta a subire le conseguenze della sopravvenienza (arg. ex art. 2497 c.c.) e, in ogni caso, adottando misure riequilibrartici auspicabilmente temporanee (recte, sino alla permanenza dello stato “eccezionale”) e minime ovvero volte proprio a preservare la continuità aziendale delle parti (arg. anche ex art. 10, d.l. 118/2021); oppure
ii) una condanna, da parte giudice, diretta alla parte che ha rifiutato di rinegoziare, a risarcire in forma specifica l’altra parte ex art. 2058 c.c. e, quindi, ad eseguire il contratto secondo nuovi adeguati termini e seguendo quel medesimo bilanciamento poc’anzi ricordato.
In effetti, quanto all’equità, si è soliti considerarla, non come valore
etico ma come criterio di valutazione dei reciproci interessi, secondo
«l'economia dell'affare» 140 , scegliendo la soluzione cui presumibilmente
138 Anche se, come visto, il recente progetto di legge modificativo del Codice della Crisi sembra aver eliminato il potere (quantomeno espresso) di adeguamento giudiziale del contratto. Il che, invero, a contrario, potrebbe anche essere letto nel senso chiarificatore del suo rimanere un rimedio generale, non limitato, quindi, al settore in questione. In altre parole la previsione, sia che rimanga, sia che venga espunta, potrebbe non essere dirimente ai fini del riconoscimento del potere de quo.
139 Si è visto che il richiamo alla buona fede e correttezza, che pur potrebbe essere fonte di integrazione del contratto ai sensi del medesimo art. 1374 c.c., non convince pienamente nel caso di specie. Pertanto il richiamo all’equità che, come noto, opera su piani qualitativamente quantitativamente diversi e più ristretti della buona fede pare più efficace e obiettivamente più oggettivo X. XXXXXXX, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, 287. Ritiene invece i concetti sovrapponibili C. M. XXXXX, Eterointegrazione del contratto e potere correttivo del giudice, Padova, 2010, 33.
140 Bianca, Diritto civile, III, 2a ed., Milano, 2000, 258.
sarebbero pervenuti due soggetti di media accortezza, nelle medesime circostanze141.
Quanto, invece, al risarcimento in forma specifica, come noto, esso si tende ad ammettere anche nel caso di inadempimento contrattuale (quale potrebbe essere quello di specie in tema di obbligo di rinegoziazione)142. Inoltre, il che si concilia con quanto sopra detto sul limite ultimo alle valutazioni in termini di vantaggi compensativi, tale condanna troverà il limite della “esigibilità”143 e della possibilità effettiva del mantenimento in vigore del contratto, come sembra deporre lo stesso art. 2058 c.c., a sensi del quale, la reintegrazione (ovvero, nel nostro caso, la reintegrazione dell’economicità del contratto nel senso esaminato) può essere disposta se e solo «sia in tutto o in parte possibile, potendo peraltro il giudice, disporre una condanna per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta
«eccessivamente onerosa per il debitore». Ed è noto che l'impossibilità può esser materiale oppure giuridica144.
La soluzione si espone certamente a critiche, anzitutto dogmatiche, poiché, come rilevato in dottrina, ciò significherebbe equiparare l'adempimento coatto ed il risarcimento in natura, i quali però operano su piani differenti: il primo opera sul piano dell'adempimento, in modo tale che il creditore ottiene la medesima prestazione che formava oggetto della obbligazione; il risarcimento in forma specifica invece, elimina le conseguenze di un danno 145 . Tuttavia, il rimedio non pare del tutto peregrino se si considera che l’evento pandemico, unitamente al rifiuto di rinegoziare, potrebbero dar vita ad una situazione (contrattuale) squilibrata che rappresenterebbe, globalmente intesa, una vera e propria menomazione di un (fondamentale) asset aziendale, quale è il contratto in questione. E la reintegrazione in forma specifica, attraverso il riequilibrio contrattuale,
141 Cass., 8 luglio 1983, n. 462, in Mass. Giur., 1983.
142 V., in giurisprudenza, tra le varie, Cass. civ., 15 maggio 2003, n. 7529.
143 Qualsivoglia sia la natura che si intenda attribuire a questa categoria se, cioè, di “impossibilità” nella versione mediana tra quella “oggettiva” e “soggettiva” (v. sopra) o derivante dal contrasto tra il diritto contrattuale e valori costituzionali, in questo caso però dando rilievo all’esistenza non solo e non tanto fisica della persona ma dell’impresa, discostandosi dunque parzialmente da chi ritiene l’inesigibilità solo riguardante valori non patrimoniali (O. CLARIZIA, (nt. 86), 354 ss.: in effetti, non sembra potersi equiparare una posizione di difficoltà economica a quella di rischio di estinzione dell’impresa, questo sì, in un certo senso, avvicinabile ai principi che sorreggono l’inesigibilità: si può costringere un’impresa ad eseguire un contratto che, per circostanze sopravvenute, se eseguito porterebbe all’estinzione della sua attività di impresa portandola al fallimento? Come si è visto, persino nel corso del primo conflitto mondiale, non si negava tutela all’eccessiva onerosità cd. “rovinosa”.
144 P. G. MONATERI, La responsabilità civile, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, 332
145 X. XXXXXXXX, Il danno al patrimonio, Milano, 1996, 635.
potrebbe riportare quel contratto ad essere un vero asset aziendale, quindi, ispirato a criteri di economicità.
Ma, il tutto, sempre nei limiti derivanti dal d.l. 118/2021 (che l’ha previsto proprio nei casi di rischio di crisi e insolvenza, sicché tale limite dovrebbe trovare applicazione, a fortiori, anche nei contesti in bonis), della ricerca di un «equilibrio tra le prestazioni» delle parti e, comunque, «del periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale»146.
La condanna di xxxxxx, potrebbe essere sorretta dall’applicazione dell’art. 614-bis c.p.c. (strumento tipico per garantire l’esecuzione di obbligazioni di fare aventi carattere infungibile).
Ovviamente, sempre sul piano processuale, non pare potersi prescindere (sia per la condanna per equivalente che in forma specifica) dal principio della domanda e dal contributo, in sede giudiziale, di un consulente tecnico d’ufficio che supporti il giudice nella difficile decisione prospettata.
6. Alcune prime conclusioni de iure condito e de iure condendo.
Alla luce di quanto precede e riservato ogni più approfondita riflessione, essendo la ricerca ancora in uno stadio embrionale, sembra possibile tratteggiare qualche profilo ricostruttivo di sintesi rispetto ai possibili rimedi contrattuali per fronteggiare la sopravvenienza pandemica nei contratti d’impresa.
Sembra possibile procedere col seguente percorso logico.
Individuata la tipologia di sopravvenienza, occorrerebbe comprendere se il contratto di impresa di durata trovi una regolazione specifica al suo interno o, in mancanza, nella legge, ricostruendo eventualmente la disciplina nei casi di contratti atipici o con causa mista secondo le note teorie dell’assorbimento o della combinazione.
In mancanza di una disciplina specifica (da individuarsi anche nella normativa emergenziale), occorrerebbe distinguere a seconda della sopravvenienza.
Nel caso in cui si tratti di eccessiva onerosità sopravvenuta 147 , sarebbe necessario verificare se una delle parti contrattuali abbia fatto
146 Limiti, specie l’ultimo, che potrebbero non essere più previsti espressamente in caso di approvazione del menzionato progetto di decreto legislativo modificativo del Codice della crisi e, quindi, anche del d.l. 118/2021. Resterebbe, comunque, a mio avviso, il dato storico- sistematico che il legislatore, laddove ha previsto un potere di adeguamento del giudice, ne ha anche previsto specifici limiti temporali, qualitativi e quantitativi (e, in particolare: un intervento temporaneo e “mite” se non minimo).
147 O di alterazione dell’equilibrio contrattuale come pare emergere, dal già menzionato recentissimo progetto di decreto legislativo modificativo del Codice della crisi di impresa
accesso alla nuova procedura di composizione negoziata della crisi di cui al d.l. 118/2021.
In caso di risposta positiva, si applicherà l’art. 10 del medesimo d.l. – che, salve le modifiche in itinere alla data odierna, allo stato consente, come visto, la rinegoziazione e l’adeguamento giudiziale del contratto se la prestazione (dei contratti, per quanto ci interessa, ad esecuzione continuata o periodica) è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2 - anche se, forse, questo dovrebbe considerarsi un rimedio che si aggiunge agli altri previsti dall’ordinamento e qui illustrati senza sostituirsi ad essi (salvo che per l’eccessiva onerosità sopravvenuta che, in effetti, parrebbe derogata dalla norma in questione).
Pertanto, in caso di risposta negativa al quesito sull’applicazione del
d.l. 118/2021 e, anche in caso di risposta affermativa, ma, come appena detto, fuori dai casi di eccessiva onerosità sopravvenuta, occorrerebbe interrogarsi sugli ulteriori possibili rimedi.
Anzitutto, potrebbe sostenersi un obbligo di valutare (non già, ancora, di rinegoziare) la possibilità di una rinegoziazione in adempimento all’illustrata obbligazione di ricerca dell’economicità del sinallagma del contratto d’impresa, se del caso, sorretto dal dovere di buona fede (ma come si è cercato di dimostrate, quest’ultimo appiglio normativo potrebbe non essere necessario per fondare un tale obbligo).
Se la valutazione sarà nella sostanza inutile poiché ci si trova dinnanzi ad un caso di impossibilità definitiva e totale della prestazione, non potranno sussistere margini per iniziare una rinegoziazione e, quindi, per sostenere un relativo obbligo.
Fuori dai casi però di impossibilità totale e definitiva sembra possibile sostenere una possibilità e, quindi, un obbligo di rinegoziazione sulla base delle medesime argomentazioni che impongono l’obbligo di valutarne la possibilità stessa.
Le parti avrebbero, così, un obbligo di rinegoziazione guidato dal criterio dei vantaggi compensativi con il limite, però, della reciproca continuità aziendale e, quindi, fintantoché la compressione dell’interesse di una parte sia prospetticamente compensabile e, quindi, esigibile, nei termini illustrati. Se ciò non sarà possibile, troveranno applicazione le norme generali regolatrici dell’impossibilità e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, ricorrendone i presupposti.
e dell’insolvenza. Nozione, quest’ultima, che potrebbe aprire nuovissimi ed ulteriori
interrogativi sui quali non ci si può soffermare in questa sede.
In caso di violazione ai predetti doveri, sarà possibile sostenere un potere di intervento (minimo) giudiziale o di adeguamento, ai sensi dell’art. 1374, o, di tipo risarcitorio, dell’art. 2058 c.c. - nei limiti, sempre, della esigibilità della rinegoziazione e della continuità aziendale delle parti148 e facendo riferimento ai medesimi criteri dei vantaggi compensativi e dell’economicità dell’equilibrio contrattuale - se del caso sorretto dall’art. 614-bis c.p.c.
Xxxxxxx, in conclusione, spendere una brevissima riflessione su un ulteriore tema: quello della “sopravvivenza” e “normalizzazione” della “sopravvenienza”. Uno scenario in cui, paradossalmente, è la normalità a poter divenire, se mai tornerà, a sua volta sopravvenienza. Il tema è complesso e di certo non può essere risolto in questa sede, nemmeno per cenni. Solo basti considerare come, allo stato, non pare possibile prescindere da un concreto concetto di “attualità” del contratto, con la conseguenza che è il contesto, il presente che, in effetti, determina la normalità.
Se quanto precede è frutto di alcune riflessioni de jure condito, non sembra peregrino, in conclusione, sviluppare alcune succinte note in chiave de jure condendo, tenuto conto del progetto di revisione del codice civile in discussione149.
Sul punto, parrebbe auspicabile disciplinare attentamente il fenomeno sotto almeno tre diverse prospettive, se del caso distinguendo contratti d’impresa (e di durata) dagli altri contratti.
Anzitutto stabilendo una gerarchia tra i diversi rimedi, riordinando il quadro tra rimedi contrattuali, tipici, emergenziali e generali.
In secondo luogo, prevedendo espressamente (nell’ambito di una disciplina, quindi, generale) un potere di intervento e di adeguamento contrattuale del giudice, stabilendo altresì criteri idonei a vincolarne la discrezionalità. Criteri che potrebbero essere proprio quelli dei vantaggi compensativi, così come elaborati oggi da dottrina e giurisprudenza in
148 O di sostentamento se una di esse è un soggetto non imprenditore.
149 Di cui al d.d.l. n. 1151/2019: L’art. 1, lett. i), delega il Governo a «prevedere il diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali e imprevedibili di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede o, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che sia ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta dalle parti». Sul progetto di modifica del Codice della crisi, salvo quanto già detto, ci si riserva più approfondite riflessioni, considerato che si tratta di testo piuttosto giovane alla data di redazione del presente lavoro.
ambito societario, con il limite della tutela, in ogni caso, della preservazione della continuità aziendale delle parti e della temporaneità e stretta necessità.
Sino ad allora, il percorso argomentativo sopra ipotizzato de iure condito (con ogni ovvia più ampia riserva di approfondimento, stante la novità del tema) potrebbe forse offrire spunti anche al diritto dei contratti in generale onde ricercare soluzioni efficaci ed economicamente efficienti al problema delle sopravvenienze nei contratti di durata.
In fin dei conti, la specialità e la dinamicità del diritto commerciale hanno sempre reso un buon servizio al diritto civile, e proprio oggi questo approccio “integrato” tra discipline sembra quantomai necessario, specie in ambito contrattuale, in considerazione, in particolare, del fatto che, sempre più, «il contratto intangibile [ha] lascia[to] il posto al contratto evolutivo»150.
150 Il pensiero rimodulato nel testo trae origine dalle parole pronunciate da X. XXXXXXXX
già a fine anni ’70 (Le clauses de Hardship, in Dir. Prat. Comm. Int., 1976, 279).