COLLEGIO DI MILANO
COLLEGIO DI MILANO
composto dai signori:
(MI) GAMBARO Presidente
(MI) SANTONI Membro designato dalla Banca d'Italia (CO) LUCCHINI GUASTALLA Membro designato dalla Banca d'Italia
(MI) XXXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(MI) D'ANGELO Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore LUCCHINI XXXXXXXXX XXXXXXXX
Nella seduta del 17/06/2014 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La ricorrente lamenta l’inadempimento del fornitore e per l’effetto chiede all’intermediario finanziatore la restituzione delle rate versate, oltre a spese e interessi legali.
Più precisamente, la ricorrente, assistita da un legale, ha rappresentato i seguenti fatti.
In data 18.12.12, la ricorrente commissionava a una ditta terza la fornitura e l’istallazione di una piscina; chiedeva a tal fine un finanziamento alla società resistente per l’importo di
€ 16.940,00, sottoscrivendo il relativo contratto presso il fornitore. Il contratto veniva sottoscritto anche dal marito in qualità di coobbligato.
Approssimandosi il periodo estivo senza aver avuto alcuna notizia dalla società fornitrice circa i tempi della consegna ed avendo tutto approntato per ricevere la prestazione (consistente nello scavo della piscina), la ricorrente tentava infruttuosamente di contattare i responsabili della società fornitrice. In seguito, veniva fissata la consegna per il giorno 8.07.2013 alle ore 6.00, ma a quella data non si presentava alcun incaricato della società. A seguito di un incontro con il responsabile della società fornitrice venivano in quella sede convenute e riportate nel testo contrattuale le precise date di consegna e di installazione della piscina, con il primo termine per la consegna in data 18.07.2013.
In data 09.07.2013, la ricorrente contattava l’intermediario resistente al fine di discutere “la questione relativa ai disagi in quel momento subiti a causa dei ritardi nella consegna del bene e della sospensione dei pagamenti”. Non avendo ricevuto risposta, seguiva una nuova mail, anch’essa non riscontrata.
In data 18.07.2013, la ricorrente non riceveva il materiale atteso e conseguentemente non veniva effettuato alcun montaggio della piscina.
Il giorno 19.07.2013, la ricorrente inviava alla società fornitrice un atto di messa in mora con contestuale diffida ad adempiere entro e non oltre il 2.08.2013. In data 23.07.2013 la ricorrente informava di tale fatto anche la banca resistente.
Non seguiva nessun riscontro alla predetta missiva da parte della banca, così come nessun riscontro o effetto sortivano sia la diffida ad adempiere che il sollecito inviato alla società fornitrice dalla difesa della ricorrente.
Il contratto con il fornitore doveva, quindi, considerarsi risolto.
Con raccomandata del 5.08.2013, ricevuta dalla resistente in data 19.08.2013, la ricorrente riportava il fatto che la società fornitrice non aveva adempiuto alle proprie obbligazioni entro il 02.08.2013 e, conseguentemente, ai sensi dell’art. 10 del contratto, il contratto era da considerarsi risolto.
In data 12.09.2013, la ricorrente riceveva dalla resistente una missiva semplice, datata 5.08.2013, nella quale veniva riscontrata la comunicazione del 23.07.2013 e veniva richiesto l’invio di copia della messa in mora al fine di sottoporla al fornitore, “sollecitandolo ad intervenire”. Nella medesima data seguiva un’ulteriore missiva semplice, datata 13.08.2013, nella quale, senza riferimento alcuno a comunicazioni dalla ricorrente, l’intermediario dichiarava di non poter procedere alla valutazione di merito dell’inadempimento della società fornitrice, non essendo stata riscontrata da parte della società terza la richiesta di informazioni inviata alla società di credito
Non essendovi alcuna possibilità di verificare l’effettiva data di invio delle missive predette, non essendovi timbro postale sulle buste, la ricorrente le riscontrava con raccomandata in data 17.09.2013, ricevuta dalla resistente in data 23.09.2013. In tale missiva si ripercorrevano le fasi della vicenda, si allegava nuovamente la messa in mora e la diffida ad adempiere e si contestava, peraltro, il fatto che venisse negata la gravità dell’inadempimento sulla scorta dalla mancata risposta della ditta fornitrice. Veniva, infine, chiesta la rivalutazione dell’accertamento della risoluzione del contratto.
Secondo la ricorrente, ricorrono nel caso di specie i requisiti previsti dall’art.125-quinquies,
t.u.b affinché il contratto di credito venga dichiarato risolto. I contratti di credito e quello di fornitura risultano collegati in quanto nel contratto con la società resistente v’è un riferimento al bene da acquistarsi. La ricorrente ha provveduto alla messa in mora del fornitore con contestuale diffida ad adempiere e sussistono ictu oculi i requisiti della gravità dell’inadempimento. Infine, la prova dell’inadempimento, per giurisprudenza pacifica, non è onere della ricorrente creditrice, ma grava piuttosto sul debitore inadempiente. Nel caso di specie, stante il collegamento negoziale, la prova liberatoria dovrebbe essere fornita dalla banca resistente. A nulla giova, quindi, quanto assunto dalla Banca resistente in ordine al mancato riscontro della società fornitrice alla richiesta di informazioni posto che tale comportamento non può essere opposto alla ricorrente.
Con ricorso protocollato il 20.10.2013 la ricorrente ha chiesto che il Collegio ABF:
- accerti e dichiari la risoluzione del contratto di credito al consumo stipulato con l’intermediario resistente e per l’effetto condanni la società resistente alla restituzione delle rate versate, oltre spese sostenute, oltre interessi legali dalla ricezione della missiva di risoluzione al saldo.
- ordini alla società resistente la cancellazione dei dati relativi alla ricorrente (e al coobbligato nel finanziamento) dai sistemi di informazione creditizia.
Nelle proprie controdeduzioni, protocollate in data 6.12.2013, l’intermediario ha affermato che:
- in data 9.1.2013, la ricorrente, volendo acquistare una piscina del costo complessivo di € 16.940,00 da una società terza fornitrice, domandava alla
resistente l’erogazione di un finanziamento per l’intero importo;
- la società resistente erogava l’anticipazione di € 16.940,00 alla società terza e la ricorrente avrebbe dovuto rimborsare la medesima somma mediante versamento di n. 18 rate da € 941,12;
- il contratto non menzionava la circostanza per la quale la ricorrente avrebbe corrisposto 10.000,00 € a titolo di anticipo prezzo direttamente a mani della società fornitrice, indicando, invece, che la somma erogata serviva a pagare l’intero costo della piscina;
- nel luglio del 2013 la ricorrente comunicava per la prima volta alla società resistente il ritardo che la società fornitrice avrebbe maturato nell’istallazione della piscina.
Nell’agosto del 2013 la ricorrente comunicava l’intervenuta risoluzione del contratto con il fornitore e di quello, collegato, con la società resistente;
- la società resistente rispondeva con le missive del 5.08.2013, 13.08.2013 e 30.09.2013, evidenziando che, allo stato, non sussistevano le condizioni per
considerare risolto il contratto di finanziamento. Ciò nonostante, con la comunicazione del 30.09.2013 la società resistente comunicava alla ricorrente di aver interrotto a tempo indeterminato le azioni di recupero nei suoi confronti e di aver provveduto ad aggiornare le segnalazioni nei SIC;
- la domanda avversaria si fonda sul dedotto inadempimento di un soggetto, la società fornitrice, che non è parte del presente procedimento: non si vede, dunque,
come possa essere dichiarata la risoluzione del contratto di finanziamento in ragione di vizi che riguardano un contratto stipulato dalla cliente con una parte terza;
- inoltre, la società resistente contesta la sussistenza dei presupposti per risolvere il contratto di finanziamento, dal momento che non è provato l’inadempimento della
società terza e comunque che tale inadempimento sia di gravità tale da comportare la risoluzione del contratto di acquisto ex art. 1455, c.c.;
- l’unico soggetto che, allo stato, sta patendo un danno è la società resistente, che vede il finanziamento sottoscritto dalla cliente interrotto per un inadempimento del
fornitore, peraltro non provato, sebbene abbia adempiuto alle obbligazioni assunte;
- la società resistente conserva, dunque, il proprio diritto di credito sino al momento in cui, in contradditorio anche con la società terza, la ricorrente non avrà ottenuto pronuncia risolutiva del contratto di fornitura e di quello di finanziamento.
La convenuta ha chiesto al Collegio ABF:
1) in xxx xxxxxxxxxxx, xx xxxxxxxxxx l’inammissibilità del ricorso della ricorrente;
2) nel merito, di rigettare il ricorso perché infondato in fatto e in diritto.
DIRITTO
La questione che questo Collegio deve affrontare per la soluzione del caso in esame riguarda gli effetti dell’inadempimento dell’obbligo di consegna del bene/esecuzione del servizio da parte del fornitore, quando sia stato contestualmente stipulato un contratto di finanziamento tra l’intermediario resistente e il ricorrente, in qualità di consumatore, finalizzato all’acquisto del bene o del servizio medesimo.
In merito alla vicenda all’origine della presente vertenza, pare utile, ai fini della decisione, rammentare i seguenti aspetti.
Con riferimento all’eccezione preliminare in rito sollevata dall’intermediario (inammissibilità del ricorso in quanto fondato sull’affermato inadempimento di un soggetto che non possiede la qualifica di intermediario) si richiama, in senso contrario a quanto prospettato da parte resistente, l’opinione unanime dei Collegi dell’ABF. Il ricorso ha, infatti, per oggetto un rapporto contrattuale che il ricorrente vanta con l’intermediario resistente sicché, secondo l’insegnamento dei Collegi dell’ABF, l’eventuale adempimento del soggetto fornitore determinerebbe l’infondatezza della domanda e non già la sua inammissibilità.
Ciò chiarito in xxx xxxxxxxxxxx, xxxxx ricordare che la ricorrente ha stipulato con la società terza un contratto di fornitura per l’installazione di una piscina in data 18.12.2012.
In data 10.01.2013, la ricorrente concludeva con l’intermediario resistente un contratto di credito al consumo collegato al contratto di fornitura stipulato con la società terza.
Sono agli atti condizioni generali del finanziamento sulle quali figura il timbro apposto sul contratto stesso dalla società fornitrice convenzionata. La ricorrente si è impegnata a versare il totale da rimborsare in rate mensili 941,12 € (+ 1,30 € spese incasso) con decorrenza della prima rata il 15.02.2013.
Occorre rilevare che la caparra di € 10.000,00 consegnata brevi manu dalla ricorrente alla società fornitrice non è menzionata nel contratto di finanziamento dedotto in atti.
Tuttavia, nella mail (inviata tramite posta certificata) del 8.07.2013 spedita dalla ricorrente alla società fornitrice figura la seguente espressione “termini di consegna oltre i quali si intende il contratto nullo con la restituzione di tutti i soldi (10.000,00 € + 16.940,00)” seguita dall’indicazione del 18.07.2013 per il montaggio della struttura, del 22.07.2013 per il montaggio dell’impianto e del 30.07.2013 per il riempimento della piscina e per l’attivazione di tutto l’impianto.
Dal momento che alla date ut supra concordate non seguiva l’offerta della prestazione da parte della società fornitrice, la ricorrente provvedeva alla messa in mora con contestuale diffida ad adempiere entro e non oltre il 15 giorni dal ricevimento della comunicazione (data finale 2.08.2013).
La ricorrente fonda quindi la propria domanda di restituzione delle rate corrisposte ponendo a titolo della propria pretesa l’art. 125-quinquies, t.u.b. La disposizione in esame, oltre a richiedere la messa in mora del fornitore, rinvia all’art. 1455 c.c. al fine di definire i caratteri dell’inadempimento necessari per domandare la risolzione del contratto di credito al consumo.
Dall’analisi dei documenti in atti, effettuata al fine di valutare la gravità dell’inadempimento della società fornitrice, emerge anche la sostanziale irreperibilità della medesima, come peraltro confermato dalla stessa società resistente che, nella lettera inviata alla ricorrente del 13.08.2013, afferma che “(…) la nostra richiesta di informazioni rivolta alla predetta società [la società fornitrice] non è stata riscontrata”. Inoltre, la ricorrente ha prodotto agli atti una foto della condizione dei luoghi che documenta che, alla data del 18.10.2013, i lavori non erano ancora stati eseguiti.
Con riferimento alla quantificazione della somma oggetto di eventuale restituzione la difesa della ricorrente rinvia ad un allegato che contiene la lista dei movimenti riferibili alle rate corrisposte. La somma precisa non risulta, tuttavia, quantificata in modo espresso nella domanda.
L’intermediario resistente non sembra tuttavia contestare questa ricostruzione, eccependo solo “di aver interrotto a tempo indeterminato” le azioni di recupero. L’espressione pare ambigua, potendola forse intendere come mera dilazione del termine di adempimento.
La ricorrente domanda anche “le spese”, ma non risultano puntualmente né allegate né provate tali ulteriori voci di costo.
Infine, occorre segnalare che nel ricorso la ricorrente ha spiegato altresì una domanda ordinatoria finalizzata ad ottenere la cancellazione dai SIC. Sul punto l’intermediario ha affermato di aver provveduto in tal senso (ma non sono dedotte in atti evidenze documentali), così come, peraltro, le segnalazioni indicate non risultano in altro modo documentate in atti.
Venendo ora all’esame del merito della controversia, giova anzitutto rilevare che la questione delle segnalazioni dei nominativi della ricorrente e del coniuge nelle centrali rischi private sembra aver trovato una definizione tra le parti; ad ogni modo, questo Collegio non avrebbe potuto comunque formare sul punto alcun convincimento, essendo il profilo appena illustrato assolutamente privo di qualsiasi riscontro probatorio.
Per quanto attiene, invece, la questione centrale che questo Collegio è chiamato ad esaminare, pare utile ricordare, com’è noto, che in ipotesi quale quella appena descritta, ci si trova in presenza di un di un mutuo di scopo, e cioè di un mutuo concesso esclusivamente per la finalità dedotta in contratto, ovvero l’ acquisto di un determinato bene che viene fornito dal venditore convenzionato con il finanziatore.
L’operazione negoziale trilaterale prevede che l’ammontare del finanziamento sia versato direttamente al fornitore, che si impegna a consegnare il bene o il servizio oggetto della fornitura, mentre il mutuatario-acquirente si obbliga alla restituzione rateale della somma oggetto del finanziamento.
E’ dato ormai pacifico, sia in dottrina sia in giurisprudenza, che sussista un collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e il contratto di vendita del bene al mutuatario, con la conseguenza che i due distinti contratti (mutuo e compravendita), pur mantenendo la loro autonomia causale, appaiono tra loro coordinati al fine di realizzare un risultato economico unitario.
Ora, nel caso di specie, non può dubitarsi che ricorra il collegamento negoziale tra il contratto di fornitura di beni o servizi ed il contratto di finanziamento, essendo pacifico che il secondo è stato proposto dal fornitore di beni o servizi ed accettato dal ricorrente in occasione della stipulazione del contratto di fornitura.
Né può avere particolare rilievo che – come sostenuto dal ricorrente e, peraltro, non contestato dall’intermediario resistente – il rapporto tra il fornitore e il finanziatore fosse o meno “esclusivo”, in quanto, come già si è avuto modo di rilevare in altre occasioni, partendo dalla considerazione che la direttiva 102/87/CE e la conseguente normativa interna di attuazione hanno un intento volutamente protettivo nei confronti del consumatore, deve concludersi che “il rapporto di esclusiva” tra fornitore e consumatore non può essere considerato un presupposto la cui mancanza determinerebbe una modifica in peius della posizione del consumatore, come la Sentenza della Corte di giustizia CE n. 509 del 2009 ha già chiaramente sancito.
Ciò chiarito, deve ora essere richiamata la normativa applicabile ratione temporis al caso all’origine della presente vertenza, ovvero l’art. 125-quinquies (Inadempimento del fornitore) del TUB, introdotto dal Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 141 - Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, pubblicato sulla G.U. n. 207 del 4.9.2010 ed in vigore dal 19.9.2010. Secondo quanto dispone il menzionato art. 125-quinquies del TUB, infatti, “Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di
beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile. La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso […]”.
Premesso che, nel caso di specie, l’inadempimento del fornitore può sicuramente dirsi conclamato e irreversibile, deve in questa sede unicamente valutarsi se tale inadempimento rivesta o meno gli estremi della “non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse” della parte non inadempiente cui fa espresso riferimento l’art. 1455 cod. civ. E’ noto che l’orientamento prevalente della giurisprudenza insegna che tale valutazione debba essere operata applicando contestualmente sia un parametro soggettivo sia un parametro oggettivo; infatti, come ancora piuttosto recentemente è stato sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, “in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, lo scioglimento dell’accordo contrattuale, quando non opera di diritto, consegue ad una pronuncia costitutiva che presuppone da parte del giudicante la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte; tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio: in primo luogo, il giudice, applicando un parametro oggettivo, deve verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da creare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; nell’applicare il criterio soggettivo, invece, il giudicante deve considerare il comportamento di entrambe le parti (un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra) che può, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata” (così, testualmente, Xxxx., 18-02-2008, n. 3954).
Ebbene, nel caso di specie non può revocarsi in dubbio che l’inadempimento – essendo assoluto – non rivesta affatto quella “scarsa importanza” idonea ad impedire la realizzazione dell’effetto risolutorio.
Ciò comporta che l’inadempimento del fornitore, integrando gli estremi della non scarsa importanza contemplati dall’art. 1455 cod. civ., determina in capo al ricorrente il diritto alla risoluzione del contratto di credito ed il conseguente obbligo del finanziatore alla restituzione delle rate già pagate, nonché di ogni altro onere eventualmente applicato, così come sancisce la normativa in materia.
In linea con il proprio consolidato orientamento, questo Collegio riconosce gli interessi legali sulle somme oggetto di restituzione dal reclamo al saldo; non può, invece, prendere in considerazione la richiesta relativa al rimborso delle ulteriori “spese sostenute” in quanto queste non sono né sommariamente descritte né è in alcun modo provato che siano state effettivamente sostenute.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio accoglie il ricorso e accerta che la ricorrente non deve versare all’intermediario le somme di cui al finanziamento stipulato inter partes e dispone che vengano restituite le relative rate già versate alla resistente, oltre a interessi dal reclamo al saldo.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00, quale contributo alle spese della procedura, e alla ricorrente la somma di € 20,00, quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1