CARMINE PUNZI
XXXXXXX XXXXX
DISEGNO SISTEMATICO DELL’
ARBITRATO
Seconda edizione
VOLUME III
INDICE SOMMARIO VOLUME III
PARTE QUINTA APPROFONDIMENTI
Sezione Prima
L’arbitrato amministrato
Capitolo Primo
ARBITRATO AMMINISTRATO
E ISTITUZIONI ARBITRALI PERMANENTI
Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxx Xxxxx
1.1. Introduzione: arbitrato ad hoc e arbitrato amministrato . . 5
1.2. Arbitrato ad hoc e rinvio a «regolamenti precostituiti» . . 7
1.3. Arbitrato amministrato: caratteristiche . . . . . . . . . . . . 9
1.3.1. Istituzioni arbitrali permanenti, generiche e settoriali . . . 12
1.3.2. Il ruolo dell’istituzione arbitrale permanente . . . . . . . . 17
1.3.3. Le clausole modello dell’istituzione arbitrale permanente . 22
1.4. I pro e contra dell’arbitrato amministrato rispetto all’arbi-
trato ad hoc . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.4.1. Il rinvio a un corpus (certo) di norme precostituite . . . . . 25
1.4.2. La presenza di un’istituzione stabile a garanzia del proce- dimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
1.4.3. I costi del procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
1.4.4. I tempi del procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
1.4.5. Il controllo formale sull’operato del tribunale arbitrale . . 33
1.5. L’arbitrato amministrato con sede in Italia . . . . . . . . . . 34
1.6. Lo svolgimento del procedimento arbitrale amministrato . 38
1.6.1. L’avvio del procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
1.6.2. In particolare: la costituzione del tribunale arbitrale . . . . 41
1.6.3. La trattazione e istruzione della causa . . . . . . . . . . . . . 43
1.6.4. La conclusione del procedimento e la pronuncia del lodo . 48
VI INDICE SOMMARIO
Capitolo Secondo
RUOLO E TUTELA DELLA VOLONTÀ DELLE PARTI NELL’ARBITRATO AMMINISTRATO
Xxxxxxx Xxxx
2.1. Rilievi introduttivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
2.2. La relatio ai «regolamenti precostituiti» da parte della convenzione arbitrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
2.3. La prevalenza delle determinazioni delle parti sul regola-
mento in caso di disposizioni contrastanti . . . . . . . . . . 59
2.4. Il ruolo dell’istituzione che amministra l’arbitrato . . . . . 61
2.5. La natura dell’attività svolta dall’istituzione . . . . . . . . . 64
2.6. La successione nel tempo dei regolamenti arbitrali . . . . . 75
2.7. Il rifiuto dell’istituzione di amministrare l’arbitrato e la perdurante efficacia della convenzione arbitrale . . . . . . 78
2.8. Osservazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
Sezione Seconda
I modelli speciali di arbitrato
Capitolo Primo
L’ARBITRATO IN MATERIA DI LAVORO (PARADOSSI E PROBLEMI IRRISOLTI)
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
1.1. Il paradosso dell’arbitrato in materia di lavoro . . . . . . . 87
1.2. L’emersione della forma irrituale . . . . . . . . . . . . . . . . 92
1.3. La progressiva stratificazione delle fonti e la disciplina di alcuni nodi critici alla luce della l. 11 agosto 1973, n. 533 (monopolio sindacale, volontà compromissoria indivi-
duale, impugnazioni) 101
1.4. La duplice riforma del 1998 (d.lgs. 30 marzo 1998, n. 80 e
d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387) 115
1.5. Le principali linee guida della riforma di cui alla l. 4 novem- bre 2010, n. 183. In particolare: la compromettibilità delle
controversie di lavoro e le convenzioni di arbitrato 124
1.6. La pluralità di modelli procedimentali risultanti dalla
novella del 2010. Spiragli per il giudizio secondo equità . 137
1.7. Il (non risolto dilemma del) trattamento processuale dei
lodi in materia di lavoro 143
Capitolo Secondo
L’ARBITRATO COMMERCIALE
Xxxxxx Xxxxxxx
2.1. L’arbitrato commerciale. Rapporti con l’arbitrato di
diritto comune. Arbitrato irrituale 153
2.2. Le controversie arbitrabili 159
2.2.1. Ambito oggettivo 159
2.2.2. Ambito soggettivo 163
2.3. La nomina degli arbitri 165
2.4. Il procedimento 167
Capitolo Terzo
L’ARBITRATO NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
3.1. La convenzione di arbitrato 177
3.1.1. La volontarietà dell’arbitrato ed il problema dell’«effetti- va» volontarietà. La «ricusazione» della clausola compro-
missoria 177
3.1.2. Potere di ricusare la «clausola compromissoria» e conven-
zione d’arbitrato 178
3.2. Arbitrato di diritto comune ed arbitrato speciale 180
3.2.1. Il rapporto tra la disciplina di cui agli artt. 241 e ss. c.c.p.
e quella di cui agli artt. 806 e ss. c.p.c. 180
3.2.2. La legittimità costituzionale della disciplina speciale del- l’arbitrato 182
3.3. Arbitrato amministrato ed arbitrato libero 183
3.3.1. L’arbitrato amministrato previsto dall’art. 243 c.c.p. 183
3.3.2. L’arbitrato libero previsto dall’art. 241 c.c.p. 188
3.3.3. Il rapporto tra le parti e la Camera arbitrale. Il contratto
di amministrazione di arbitrato 192
3.3.4. Il rapporto tra le parti e gli arbitri. Il contratto di arbitrato . 197
3.3.5. Il rapporto tra la Camera arbitrale e gli arbitri 200
3.3.6. Legittimità costituzionale della diversità di disciplina di svolgimento del giudizio arbitrale fondata sulle differenti modalità di nomina del terzo arbitro 201
3.4. Il procedimento 203
3.4.1. Composizione del collegio e modalità di nomina degli
arbitri 203
3.4.2. La legittimità costituzionale dell’attribuzione alla Camera arbitrale del potere di nominare il terzo arbitro 205
3.4.3. La nomina degli arbitri di parte e la fase introduttiva del procedimento 209
3.4.4. La nomina del terzo arbitro da parte della Camera arbi-
trale: la valutazione di amministrabilità dell’arbitrato . . . 211
3.4.5. Il provvedimento della Camera arbitrale di accoglimento
o di rigetto della richiesta di nomina del terzo arbitro . . . 213
3.4.6. Gli arbitri 217
3.4.7. La sede dell’arbitrato 226
3.4.8. L’istruzione probatoria 229
3.4.9. Il segretario del collegio arbitrale nell’arbitrato ammini-
strato 231
3.4.10. Il segretario del collegio arbitrale nell’arbitrato libero . . . 234
3.5. Il lodo arbitrale e le impugnazioni 235
3.5.1. Gli effetti del lodo arbitrale 235
3.5.2. Il deposito del lodo arbitrale presso la Camera arbitrale . 241
3.5.3. La comunicazione del lodo arbitrale 246
3.5.4. L’impugnazione per nullità del lodo arbitrale: i termini e
la sospensione dell’efficacia del lodo 248
3.5.5. Segue: il rito abbreviato 251
3.6. I costi 257
3.6.1. Premessa 257
3.6.2. I costi del giudizio arbitrale di diritto comune 257
3.6.3. I costi del giudizio arbitrale negli arbitrati amministrati . . 263
3.6.4. I costi del giudizio arbitrale libero 266
3.6.5. I costi del giudizio arbitrale amministrato 273
3.6.6. L’anticipazione degli onorari e delle spese 277
3.6.7. La somma da corrispondere entro quindici giorni dalla pronuncia del lodo 282
Capitolo Quarto
L’ARBITRATO BANCARIO FINANZIARIO
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
4.1. L’ABF nel sistema degli strumenti di risoluzione delle controversie nel settore bancario e finanziario 287
4.2. L’ABF come strumento sui generis rispetto al pur vasto panorama delle ADR 293
4.3. Funzione e ratio normativa dell’ABF 299
4.4. Caratteri peculiari del procedimento 302
4.5. L’efficacia della decisione dell’ABF 304
4.6. Rimedi avverso la decisione ABF 311
Capitolo Quinto
L’ARBITRATO SPORTIVO
Xxxxxxxx Xxxxxxx
5.1. L’arbitrato sportivo in Italia 313
5.1.1. Introduzione 313
5.1.2. Giustizia sportiva e giurisdizione statale 315
5.1.2.1. Le materie riservate all’ordinamento sportivo e la rile- vanza per l’ordinamento statale delle situazioni giuridiche
soggettive connesse con l’ordinamento sportivo 316
5.1.2.2. Il riparto della giurisdizione statale sulle controversie
sportive 326
5.1.3. Arbitrato sportivo, giurisdizione statale e Costituzione . . 328
5.1.4. Giustizia sportiva e arbitrato sportivo 330
5.1.4.1. Il vincolo di giustizia sportiva 331
5.1.4.2. Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo: generalità 334
5.1.5. L’arbitrato nello statuto del CONI: il Tribunale Nazio-
nale di Arbitrato per lo Sport (TNAS) 336
5.1.5.1. Le caratteristiche principali del TNAS 337
5.1.5.2. I presupposti dell’arbitrato presso il TNAS 338
5.1.5.3. I soggetti dell’arbitrato presso il TNAS 340
5.1.5.3.1. Le parti 340
5.1.5.3.2. Gli arbitri: nomina, ricusazione e sostituzione 342
5.1.5.4. L’oggetto dell’arbitrato presso il TNAS 347
5.1.5.5. Le norme applicabili nell’arbitrato presso il TNAS 351
5.1.5.6. Il procedimento presso il TNAS 352
5.1.5.6.1. La fase introduttiva 352
5.1.5.6.2. La fase di trattazione/istruzione 355
5.1.5.6.3. Le misure cautelari 357
5.1.5.6.4. La fase decisoria: il lodo e l’impugnazione 358
5.1.6. L’arbitrato negli statuti e nei regolamenti delle Federa- zioni sportive nazionali e delle Discipline sportive asso-
ciate 366
5.1.6.1. L’arbitrato nella Federazione Italiana Giuoco Calcio
(FIGC) 366
5.1.6.2. L’arbitrato nella Federazione Italiana Pallacanestro (FIP) . 369
5.1.6.3. L’arbitrato nella Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV) . 372
5.1.6.4. L’arbitrato negli altri statuti e regolamenti federali 373
5.1.6.5. Sintesi delle caratteristiche dell’arbitrato negli statuti e nei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate 373
5.1.7. Considerazioni conclusive 376
5.2. L’arbitrato sportivo internazionale: cenni 380
5.2.1. Premessa 380
5.2.2. Il Tribunal Arbitral du Sport/Court of Arbitration for Sport (TAS/CAS) di Losanna 382
5.2.3. Lo speciale arbitrato per i Giochi Olimpici 388
Capitolo Sesto
L’ARBITRATO PER LE CONTROVERSIE DI LAVORO SPORTIVO
Xxx Xxxxxxxxxx
6.1. L’elaborato ventaglio di fonti ed il problema dei limiti di ammissibilità dell’arbitrato per le controversie di lavoro sportivo 391
6.1.1. Introduzione 391
6.1.2. L’arbitrato previsto ex lege per le controversie di lavoro sportivo 396
6.1.3. L’arbitrato per le controversie di lavoro sportivo autoriz-
zato da accordi collettivi 402
6.2. L’arbitrato di lavoro sportivo ai sensi dell’art. 4 l. 23
marzo 1981, n. 91 403
6.2.1. L’ambito di applicazione 404
6.2.2. La devoluzione delle controversie ad arbitri e le regole del procedimento 408
Capitolo Settimo
LA GIUSTIZIA DEI PRIVATI
NEL SISTEMA DELL’AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA
Xxxxxxx Xxxxx
7.1. Introduzione 415
7.2. L’autodisciplina pubblicitaria nella crisi del legicentrismo
e dello statalismo 416
7.3. L’autodisciplina pubblicitaria come ordinamento giuri-
dico 418
7.4. Soggetti e oggetto del sistema 424
7.5. La risoluzione delle controversie: il procedimento ordina-
rio e i poteri del Giurì 429
7.6. Il procedimento monitorio e i poteri del Comitato di con-
trollo 437
7.7. Il procedimento autodisciplinare è un arbitrato? 440
7.8. Il controllo dell’autorità giudiziaria sulle pronunce del
Giurì 450
7.9. Giurì di autodisciplina pubblicitaria e Autorità garante
della Concorrenza e del Mercato 455
7.10. Il Cross Border Complaints System e il futuro dell’autodi-
sciplina pubblicitaria 463
Sezione Terza
Arbitrato e procedure concorsuali
Capitolo Unico
RAPPORTI TRA ARBITRATO E PROCEDURE CONCORSUALI
Xxxxxx Xxxxxx
1. Premessa 469
2. Limiti derivanti dall’oggetto del giudizio arbitrale o del
patto compromissorio. 473
3. Il patto compromissorio come contratto: sua opponibilità
alla procedura 481
4. Opponibilità ratione temporis 483
5. Poteri del curatore sul patto compromissorio già con-
cluso. In particolare: il compromesso 484
6. Segue: la clausola compromissoria 485
7. Segue: la convenzione di arbitrato in materia non contrat-
tuale 487
8. Subentro del curatore nel patto compromissorio e nomina
degli arbitri 488
9. Effetti dello scioglimento del patto compromissorio sui
giudizi arbitrali in corso 489
10. Conseguenze dello scioglimento del contratto sui crediti derivanti dal patto compromissorio 492
11. Procedure concorsuali e lodo ancora impugnabile 494
12. Compromettibilità delle controversie derivanti dal falli-
mento 497
Sezione Quarta
Arbitrato e pubblica amministrazione
Capitolo Unico
L’ARBITRATO NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Xxxxxx Xxxxxxxx
1. Ambito dell’indagine 503
2. La compromettibilità delle controversie su diritti sogget- tivi rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo 508
3. L’art. 6, comma 2o, l. n. 205/2000, oggi confluito nell’art.
12 del codice del processo amministrativo 520
4. L’effettivo ambito della compromettibilità alla luce del codice del processo amministrativo, in particolare il pro-
blema della pregiudiziale amministrativa 528
5. La compromettibilità delle situazioni giuridiche soggettive
di diritto pubblico 531
6. La disponibilità del potere amministrativo e suoi limiti . . 531
7. La disponibilità dell’interesse legittimo 538
8. Arbitrabilità delle situazioni giuridiche soggettive di
diritto pubblico 543
9. Ricostruzione sistematica dell’ammissibilità dell’arbitrato sulle situazioni giuridiche di diritto pubblico e della pote- stà degli arbitri di annullamento dei provvedimenti ammi-
nistrativi 560
Sezione Quinta
L’arbitrato estero
Capitolo Primo
LA PROCEDURA ITALIANA PER IL RICONOSCIMENTO E L’ESECUZIONE DEI LODI STRANIERI
Xxxxxxxx Xxxxxxx
1.1. La Convenzione di New York del 1958 per il riconosci- mento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere:
osservazioni preliminari 573
1.2. Il sistema italiano per il riconoscimento e l’esecuzione dei
lodi esteri 577
1.3. Segue: le ragioni della scelta e le possibili alternative 583
1.4. Interesse ad agire e oggetto della domanda di riconosci-
mento 586
1.5. Il procedimento di cui agli artt. 839 e 840 c.p.c. 588
1.6. Osservazioni conclusive de iure condito e prospettive de
iure condendo 591
Capitolo Secondo
IL RICONOSCIMENTO E L’ESECUZIONE DEI LODI ARBITRALI STRANIERI
Xxxxx Xxxxxxx
2.1. Premessa: il «riconoscimento» e l’«esecuzione» del lodo estero e la sfera di operatività del procedimento discipli-
nato dagli artt. 839 e 840 c.p.c. 599
2.2. La fase unilaterale disciplinata dall’art. 839 c.p.c. 603
2.2.1. Considerazioni introduttive 603
2.2.2. L’instaurazione del procedimento 606
2.2.3. Gli adempimenti imposti al ricorrente 613
2.2.4. L’oggetto del procedimento 624
2.3. Il decreto conclusivo della fase unilaterale 630
2.3.1. Il contenuto del decreto presidenziale 630
2.3.2. L’efficacia del decreto 633
2.3.3. La conoscibilità del decreto in funzione del giudizio di opposizione e la sorte del decreto non opposto 639
2.4. La fase di opposizione prevista dall’art. 840 c.p.c. 646
2.4.1. L’instaurazione e l’oggetto del giudizio 646
2.4.2. La disciplina processuale 650
2.4.3. La conclusione del giudizio di opposizione 654
2.4.4. Le singole circostanze ostative al riconoscimento 658
2.4.4.1. L’incapacità delle parti e l’invalidità della convenzione arbitrale 658
2.4.4.2. La violazione del diritto di difesa 662
2.4.4.3. Il vizio di extra o ultra petizione del lodo 665
2.4.4.4. Il vizio nella costituzione del collegio arbitrale o nel pro- cedimento 668
2.4.4.5. L’assenza di vincolatività del lodo ed il suo annullamento
o sospensione nel paese di origine 671
2.4.4.5.1. La sospensione del giudizio di opposizione 676
2.4.4.6. Il riesame delle circostanze ostative rilevabili d’ufficio e la
clausola di salvezza delle convenzioni internazionali 679
Sezione Sesta
Profili storici dell’arbitrato
CAPITOLO UNICO L’ARBITRATO LIBERO
NELLA STAGIONE DEI CODICI OTTOCENTESCHI. UN EMBLEMA DELLA NATURA NEGOZIALE DELL’ISTITUTO ARBITRALE?
Xxxxxxxx Xxxxx
1. Alcuni cenni sugli approdi della dottrina giuridica odierna . 685
1.1. La dicotomia tra arbitro rituale e arbitro irrituale nella cul-
tura giuridica del Novecento: i termini della questione . . 689
2. I confini dell’istituto arbitrale nell’Ancien Régime: le figure dell’arbiter iuris e dell’arbitrator al tramonto del-
l’ordo iudiciarius medievale 703
2.1. L’arbiter iuris communis, l’arbiter ex necessitate statuti e gli arbitri compromissarij nei pratici del Seicento: una
distinctio non concorde 716
3. Il panorama d’Oltralpe del XVI-XVII secolo ed il pen- siero giuridico francese: l’Ordonnance de Moulins, il Code Xxxxxxx e l’impronta «giurisdizionalizzatrice» del Code
Xxxx 720
3.1. Il fenomeno arbitrale nella dottrina giuridica francese del Sei-Settecento: tentativi di sintesi tra la «vecchia» e la
«nuova» disciplina 724
3.2. L’arbitrage nella Francia rivoluzionaria: il contributo di Xxxxxxxxx e la testimonianza di Xxxxxxxxxxx 728
4. La disciplina dell’arbitrage nel Code de procédure civile del
1806: un’inversione di tendenza? 733
4.1. L’interpretazione della dottrina e della giurisprudenza . . 738
5. L’arbitro nei codici di rito degli Stati italiani successori: un’eccezione all’influenza d’Oltralpe 744
6. Il Codice di procedura civile del 1865 e la nuova disci-
plina del compromesso: il ragionamento di Xxxxxxxxx 747
7. Conclusioni 750
Sezione Settima
Profili di diritto comparato
Capitolo Primo
NATURA ED EFFETTI DEL LODO ARBITRALE IN FRANCIA, BELGIO, SPAGNA E BRASILE
Xxxxxxxx Xxxxxx
1.1. Introduzione 755
1.2. L’arbitrato in generale nel diritto francese 764
1.3. La sentenza arbitrale nel diritto francese: regime generale . 768
1.4. La natura dell’arbitrato e della relativa sentenza nel diritto francese 777
1.5. Le specificità della sentenza arbitrale rispetto al regime
del jugement statale nel diritto francese 789
1.6. I limiti oggettivi della sentenza arbitrale e la sua opposabi-
lité nel diritto francese 793
1.7. Gli altri effetti della sentenza arbitrale nel diritto francese . 800
1.8. La sentenza arbitrale nel diritto belga: regime generale . . 804
1.9. La natura e gli effetti della sentenza arbitrale nel diritto
belga 807
1.10. Il lodo nel diritto spagnolo: regime generale 813
1.11. La natura e gli effetti del lodo nel diritto spagnolo 819
1.12. Il lodo nel diritto brasiliano: regime ed effetti 827
1.13. La dottrina brasiliana favorevole ad una identità di effetti
tra lodo e sentenza statale 832
1.14. Segue: le prospettive diverse sulla natura e sull’efficacia
del lodo 836
1.15. Conclusioni 841
Capitolo Secondo
NATURA ED EFFETTI DEL LODO ARBITRALE IN GERMANIA E AUSTRIA
Xxxxx Xxxxx
2.1. La querelle dottrinale sull’«efficacia di sentenza» del lodo,
non sopita dall’introduzione dell’art. 824 bis c.p.c. 845
2.2. Le ragioni del dibattito italiano e gli aspetti controversi . . 848
2.3. La disciplina dell’arbitrato in Germania e in Austria: pro-
fili generali 862
2.4. Gli effetti del lodo arbitrale nella legislazione tedesca ed austriaca, secondo la quale «der Schiedsspruch hat unter den Parteien die Wirkungen eines rechtskräftigen gerichtli-
xxxx Xxxxxxx» 870
2.5. Le opinioni della dottrina tedesca ed austriaca in ordine al parallelo fra lodo arbitrale e sentenza statale 873
2.6. Il lodo reso su materia non compromettibile e il lodo con-
trario all’ordine pubblico 875
2.7. La natura e il regime di rilevabilità dell’eccezione di pre-
cedente lodo non più impugnabile 884
2.8. La questione dei limiti oggettivi del lodo arbitrale 885
2.9. Il problema degli effetti del lodo arbitrale nei confronti
dei terzi 887
2.10. Osservazioni conclusive 891
Indice analitico dell’opera (a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx) 893
Capitolo Unico
L’ARBITRATO LIBERO
NELLA STAGIONE DEI CODICI OTTOCENTESCHI. UN EMBLEMA DELLA NATURA NEGOZIALE DELL’ISTITUTO ARBITRALE?
Xxxxxxxx Xxxxx
Ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche
1. – Alcuni cenni sugli approdi della dottrina giuridica odierna. – L’isti- tuto dell’arbitrato ha determinato, fin dalla prima metà del Nove- cento, un profondo solco nella cultura giuridica che si è imbattuta nello studio della natura e degli effetti di questa peculiare forma di risoluzione delle controversie.
Una divisione netta della dottrina (1) che da un lato, focalizzata sulla efficacia di sentenza del lodo arbitrale, finisce per trasformare un atto di autonomia privata in un atto «giurisdizionalizzato» (2), e dal-
(1 ) Cfr. Xxxxxxx, voce Arbitrato irrituale, in Nuovo dig. it., I, 2, Torino, 1957, p. 846 ss.; Carnacini, voce Arbitrato rituale, in Noviss. dig. it., I, 2, Torino, 1957, p. 875 ss.; Faz- zalari, voce Arbitrato (Teoria gen. e dir. proc. civ.), in Dig., disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, p. 389 ss.; Id., voce Processo arbitrale, in ffnc. dir., XXXVI, Milano, 1987, p. 298 ss.; Id., voce Arbitrato, in ffnc. dir., Aggiornamento, II, Milano, 1998, p. 71 ss.
(2 ) Xxxxx E.F., Sull’efficacia del lodo arbitrale rituale dopo la legge 9 febb. 1983 n. 28, in Riv. dir. proc., 1983, p. 635 ss.; Id., La «natura» dell’arbitrato rituale e del rela- tivo lodo: parlano le Sezioni Unite, in Riv. dir. proc., 2001, p. 259 ss; Id., La Cassazione insiste sulla natura «negoziale» del lodo arbitrale. Nuovi spunti critici, in Riv. dir. proc., 2002, p. 1238 ss.; Id., La never ending story della natura negoziale del lodo: ora la Cas- sazione risponde alle critiche, in Riv. dir. proc., 2003, p. 557 ss.; Xxxxxxx, Sul «campo» dissodato della compromettibilità in arbitri, in Riv. arb., 2003, p. 241 ss.; Consolo- Xxxxxxxxx, La Cassazione e il «duplice volto» dell’arbitrato in Italia, in Corr. giur., 2003, p. 678 ss.; Xxxxxxx, Spiegazioni di diritto processuale civile5, II, Padova, 2006,
p. 139 ss.
l’altro, ferma sul presupposto contrattuale del compromesso e della clausola compromissoria, vuole distinguere e preservare l’afferma- zione della volontà negoziale delle parti dai successivi ed indipendenti accadimenti amministrativi e processuali pendenti sul lodo (3).
Affermazioni contrapposte e stratificatesi nel tempo che hanno tal- volta anticipato, talvolta seguito, per la mai irrilevante e silenziosa fun- zione interpretativa dei giuristi operanti nella disciplina processualee di diritto sostanziale, le complesse ed incoerenti iniziative legislative in materia di arbitrato.
Ne danno esempio, da ultimo e per un profilo di sintesi, le argo- mentazioni delle più illustri scuole di pensiero di processualisti che caratterizzano il panorama della cultura giuridica odierna e che, cia- scuna a suo modo, hanno dato una lettura critica della riforma del Titolo VIII («Dell’arbitrato») del Libro IV del c.p.c. per una «raziona- lizzazione» della disciplina dell’arbitrato (4) prevista dalla legge delega
n. 80/2005 e attuata con il d.lgs. n. 40/2006.
Le riflessioni messe a punto dai due orientamenti di pensiero, per la vivacità del ragionamento giuridico addotto a sostegno degli assunti inerenti alla natura stessa dell’istituto, suonano entrambe come «voci di cori diretti da due grandi maestri del processo civile» (5): l’uno, sostenitore della necessità di preservare la consolidata simmetria tra l’arbitrato, considerato nella forma sia rituale che irrituale, e l’autono-
(3 ) Xxxxx, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, 1931, passim; Id., Com- mentario al codice di procedura civile, IV, 2, Milano 1971, p. 162 ss.; Xxxxx, L’arbi- trato nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 1973, I, p. 327 ss.; Id., voce Arbitrato. I) Arbitrato rituale e arbitrato irrituale, in ffnc. giur., Xxxx, 0000, II, pp. 1 ss.; Id., L’effi- cacia del lodo arbitrale, in Riv. dir. proc., 1995, p. 10 ss.; Id., Relazioni fra l’arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di soluzione delle liti, in Riv. arb., 2003, p. 385 ss.; Satta-Punzi, Diritto processuale civile13, Padova, 2000, p. 876 ss.; Xxxxx-Xxxxx, Diritto processuale civile. Appendice di aggiornamento della tredicesima edizione, Padova 2007, p. 145 ss.; v. anche la prima edizione di quest’opera: Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, I e II, Padova, 2000, passim; nonché supra, parte I, cap. III, nonché parte III, sez. I, n. 7.4.5.
(4 ) Lo stesso legislatore stabilisce che necessita «riformare in senso razionalizza- tore la disciplina dell’arbitrato»: cfr. l’art. 1, comma 3o, lett. b), l. n. 80/2005.
(5 ) L’espressione riprende una felice metafora usata da Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxx il 16 maggio 2008, in occasione della presentazione degli Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxx (nell’Aula I della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma
«La Sapienza») descrivendo l’attività accademica e scientifica dell’onorato Maestro.
mia negoziale quanto a fondamento, svolgimento ed effetti, rileva un intervento sistematico e non meramente innovativo del legislatore lad- dove questi, in forza dell’art. 000 xxx x.x.x., xxxxxxx xx modo tranchant il problema dell’efficacia del lodo equiparandolo alla sentenza del giu- dice, pur con evidenti segni di incoerenza riscontrabili nel mancato riconoscimento agli arbitri della qualifica di pubblici ufficiali e nella piena e diretta responsabilità professionale degli stessi senza interme- diazione dello Stato (6); l’altro, pur consapevole della natura negoziale dell’arbitrato, interpreta le parole del legislatore come volte a tutelare un principio di libertà che prescinde dall’autonomia privata e si con- solida nella possibilità di ottenere la soluzione di una controversia senza la partecipazione di un giudice togato, xxxxx restando gli effetti di una decisione giudiziaria (7).
Sulla base di questa contrapposizione di fondo poggiano le pre- messe di un diverso inquadramento del fenomeno dell’arbitrato: da un lato, si promuove l’idea di una concezione unitaria dell’istituto in quanto il lodo sia rituale che irrituale, per effetto naturale, produce efficacia vincolante tra le parti indipendentemente dal procedimento per la dichiarazione di esecutività e, dunque, a prescindere dall’inter- vento dell’autorità giudiziaria (8); dall’altro lato, in forza del principio della «giurisdizionalità», si promuove l’idea di una distinzione tra le due forme di risoluzione delle controversie in ragione del fatto che con l’arbitrato rituale si giunge ad una pronuncia giudiziaria, mentre con l’arbitrato irrituale le parti possono addivenire soltanto ad una
(6 ) Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche2, III, Torino, 2010, p. 241 ss. Il primo studio dell’Autore sull’arbitrato come fenomeno negoziale è apparso nel vol. I della Rivista di diritto commerciale del 1973 con il citato articolo dal titolo L’arbi- trato nel diritto italiano.
(7 ) Xxxxx E.F., Profili liberali della nuova disciplina dell’arbitrato, in Aa.Vv., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxx, II, Torino, 2008, p. 61 ss. Il primo studio dell’Autore sul- l’arbitrato risale al 1974 con una monografia dal titolo La prova nell’arbitrato rituale.
(8 ) Xxxxx, Xxxx e ombre nella riforma dell’arbitrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 395 ss.; Id., Il processo civile2, III, cit., p. 278 ss.; Xxxxxxx, Art. 819 ter c.p.c., in Nuove leggi civ. comm., 2007, p. 1326 ss.; Xxxxxxxx, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2006, p. 253 ss.; Xxxxxxxx, in Aa.Vv., Com- mentario breve al diritto dell’arbitrato, a cura di Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxx e Radicati di Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, sub art. 808 ter, p. 58 ss.
composizione contrattuale della situazione controversa (9).
Di particolare interesse appaiono le critiche che l’orientamento proteso verso la natura negoziale dell’arbitrato muove all’art. 808 ter
c.p.c. (introdotto proprio con d.lgs. n. 40/2006), dal quale, in prima lettura, sembra si trovi riconosciuta sul piano del diritto positivo quella tradizionale contrapposizione fra il regime del lodo rituale e quello ricollegabile alla soluzione della controversia mediante «deter- minazione contrattuale».
Il punto nodale delle argomentazioni investe le ragioni dell’incoe- renza del legislatore laddove questi, a fronte dell’art. 1, comma 3o, lett. b) della legge delega n. 80/2005, che attribuiva al Governo il potere di dettare una disciplina unitaria per l’istituto arbitrale, indi- pendentemente dalla qualificazione del patto compromissorio come rituale o irrituale, in via d’attuazione stabilisce che le parti, qualora optino per la «determinazione contrattuale» della controversia, si tro- vino dinnanzi ad un modello negoziale di arbitrato (irrituale) che sfo- cia in un «lodo contrattuale», mentre qualora non prevedano espres- samente tale opzione, si trovino dinnanzi ad un modello processuale di arbitrato (rituale) che sfocia in un lodo avente effetti di sentenza pronunciata dalla autorità giudiziaria (10).
Ma l’incoerenza dell’attuale legislatore spinge lo storico del diritto a misurare il fenomeno arbitrale con quel sistema di principi che sono maturati e sono emersi dalla tradizione giuridica dell’istituto. Ed è nella piena consapevolezza di questo criterio metodologico che è opportuno cimentarsi nella individuazione dei caratteri dell’arbitro sia nel momento di avvio del processo di codificazione ottocentesco, sia nelle elaborazioni successive al modello napoleonico, senza peraltro trascurare, sotto un profilo più generale e preliminare, le ragioni della trasformazione dell’istituto nel passaggio dal sistema del diritto comune di Antico Regime alla stagione dei codici (11).
(9 ) Xxxxxxx, Spiegazioni di diritto processuale civile7, II, Padova, 2010, p. 159 ss.; Xxxxxxxx, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, in Aa.Vv., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxx, II, cit., p. 313 ss.
(10 ) V. in proposito Punzi, Il processo civile2, III, cit., p. 185 ss.
(11 ) Si tratta chiaramente di una scelta limitata nel tempo, ma che offre uno sce- nario privilegiato sulla natura dei poteri degli arbitri. Sarebbe interessante, ad esem-
1.1. – La dicotomia tra arbitro rituale e arbitro irrituale nella cultura giuridica del Novecento: i termini della questione. – Ora, prima di inca- nalare la ricerca nelle testimonianze provenienti dalle fonti del beau vieux temps, occorre svolgere una riflessione sugli snodi problematici della distinctio tra le due forme di arbitrato che hanno animato il dibattito dottrinale del XX secolo e continuano ad animare quello del primo decennio del XXI secolo.
A gettare il sasso nello stagno impaludato del legislatore che, non considerando la posizione della dottrina e della giurisprudenza (12), riconosceva solo una forma di arbitrato, quello tipizzato dal codice di rito civile del 1865, è la Corte di Cassazione di Torino con una pro- nuncia del 27 dicembre 1904. Un primo elemento, poi divenuto punto centrale della riflessione giuridica e cartina di tornasole, se non addi- rittura ragione, delle idee contrapposte degli studiosi moderni e poi contemporanei, possiamo coglierlo, infatti, dalla problematica distin- zione operata dalla giurisprudenza tra le funzioni dei probiviri eserci- tate nella cornice dell’arbitrato disciplinato dal legislatore e quelle esercitate nell’ambito di un altro istituto giuridico che, sviluppatosi nella prassi di rapporti negoziali, avverte decisi caratteri di somi- glianza e spinge l’osservatore ad approfondire quelli eventualmente discriminanti.
Tale pronuncia, dunque, con un taglio del tutto innovativo intro- duce una diversa forma o modello di composizione della controversia ossia quello della «composizione contrattuale» che non dà luogo ad un giudizio, come nell’arbitrato secondo il codice di rito, ma ad una risoluzione della lite «per effetto della concorde volontà delle parti, indipendentemente da ogni forma procedurale» (13).
La fattispecie concreta aveva ad oggetto non solo la validità e l’effi- cacia del patto stipulato tra due importanti aziende lombarde operanti nel settore tessile che avevano concordato di devolvere la risoluzione
xxx, anche al fine di approfondire la posizione dei giuristi italiani della prima metà del XX secolo, soffermarsi su tutto quel filone di pensiero della Scuola storica e della Pandettistica tedesca che in parte della dottrina italiana, tra la fine dell’Ottocento e soprattutto i primi decenni del Novecento, ha avuto una significativa influenza.
(12 ) V. infra, in questa parte V, sez. VI, n. 6.
(13 ) Cfr. Cass. Torino, 27 dicembre 1904, in Xxxx xx., 0000, x. 000 xx.
xx xxxxxxxxxxxx eventualmente sorte tra loro alla decisione di probiviri facenti capo ad un’associazione di categoria milanese, ma anche la natura e gli effetti di tale decisione.
Il Tribunale di Milano, a cui furono prospettate in prima istanza ed indirettamente tali quesiti, a fronte della richiesta di accertamento della responsabilità civile derivante dalla violazione dell’accordo della parte vocata in ius, si pronunciò in modo lapidario, negando qualsiasi efficacia all’accordo intervenuto tra le parti ed alla decisione dei pro- biviri in quanto posta in essere in violazione delle norme regolatrici del compromesso previste dall’allora vigente codice di rito civile.
La Corte d’appello di Milano e la Corte di cassazione di Torino, con un ragionamento del tutto simile, approfondirono le questioni considerando la pattuizione intercorsa tra le due aziende tessili non già sul piano del compromesso arbitrale, quanto piuttosto sul piano di un «componimento contrattuale» che produce tutti gli effetti propri del negozio giuridico ivi compresa la responsabilità per inadempi- mento: «Si comprende che allorquando le parti scelgono la via giudi- ziale, sia pure quella del procedimento arbitramentale, che appartiene all’ordine dei giudizi non meno che quella del procedimento dinanzi ai magistrati, debbano sottostare alle forme ed alle norme stabilite dalla legge di procedura, e che il responso degli arbitri, che è una vera e propria sentenza, debba andar soggetto ai mezzi d’impugnativa, in rapporto ai quali la legge non ammette una preventiva rinunzia. Ma quando le parti scelgono la via del componimento amichevole, ancor- ché per mezzo di terze persone di comune fiducia, le norme di proce- dura non sono più applicabili, perché non si fa luogo ad un vero e proprio giudizio contenzioso, e il responso dei probiviri non è una sentenza e non può avere altro valore che quello di una risoluzione contrattuale, contro cui sarebbe sempre proponibile dinanzi all’auto- xxxx giudiziaria, come contro ogni altra specie di convenzione, tutte le eccezioni che possano sorgere dalla mancanza dei requisiti necessari alla validità di un contratto, non mai eccezioni derivanti dalla man- canza delle formalità procedurali» (14).
Si tratta di un ragionamento giuridico complesso e significativo in
(14 ) Cfr. in Foro it., 1905, c. 366 ss., in nota.
quanto denota non solo una prima riflessione su una possibile alterna- tiva risoluzione delle controversie che si realizza, benché lontana dalle disposizioni normative in materia di giudizio arbitrale, sul medesimo oggetto e funzione del negozio giuridico compromissorio, ma anche la necessità di riconoscere l’esistenza di un tertium genus che esula dalle previsioni del codice di rito e manifesta caratteri sicuramente diversi rispetto al consolidato accordo transattivo. Un ragionamento il quale presuppone che l’arbitrato previsto e disciplinato nel codice di rito sia assimilabile, nel suo svolgimento e nel suo epilogo, al processo dinanzi ai giudici togati e che per ammettere l’esistenza di una ulteriore forma di compromesso, estranea alle disposizioni codicistiche, si deve fare di questa un aliud, una figura altra, ma dagli incerti tratti e confini. È in questo senso che la Cassazione torinese, per salvaguardare l’autono- mia delle parti, delinea i termini di una contrapposizione e, in buona sostanza, determina una frattura nell’esperienza e nel fenomeno arbi- trale, in virtù della quale una delle forme, quella rituale, si allontana, nella sua ricostruzione, dal fondamento negoziale.
La sentenza torinese fu annotata da Xxxxxx Xxxxxxxx l’anno succes- sivo alla sua emanazione nella neonata Rivista di diritto commerciale industriale e marittimo, fondata da Xxxxxx Xxxxxxx ed Xxxxxx Xxxxxx nel 1903. Il romanista, ben consapevole della definitiva affermazione del monopolio normativo e giurisdizionale dello Stato (15), pose alla base del commento della pronuncia della Corte di cassazione una rigorosa digressione sulla distinzione tra «funzione giurisdizionale» di natura statuale e «funzione logica del giudizio»: categorie concettuali divergenti e compenetranti allo stesso tempo. La funzione giurisdizio- nale è quella propria delle forme di evidenza pubblica del processo e del momento esecutivo della decisione giudiziaria, mentre la funzione logica del giudizio riguarda più da vicino la costruzione del dictum del giudice e dunque il ragionamento che questi opera nel risolvere la controversia, nel ripristinare la pace tra le parti, i criteri che informano le sue risposte alle loro domande. Ed è proprio sulla base di questa distinzione che Xxxxxxxx, con una lettura un po’ forzata della pronun-
(15 ) In tal senso si rimanda a Grossi, Assolutismo giuridico e diritto privato, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, Firenze, 1998, p. 200 ss.
cia torinese, tende a sovrapporre l’istituto dell’arbitrato regolamentato dal legislatore, secondo uno schema pseudo-processuale, al componi- mento contrattuale della lite, espressione solo e diretta della volontà negoziale. Il componimento contrattuale che non aspira agli effetti giurisdizionali del codice di rito civile non solo sopravvive al sistema legislativo statale, ma si manifesta come modello alternativo alle forme rituali di risoluzione delle controversie in quanto si propone, attra- verso una valutazione degli interessi contrapposti affidata a terzi che rimanda a criteri di logica adoperati dallo stesso giudice dello Stato, di ristabilire l’equilibrio tra le parti e di perseguire il fine ultimo della giustizia.
Inoltre, l’Autore non ritiene che il silenzio del codice di procedura civile possa giustificare l’eventuale violazione del principio di autono- mia privata, chiaramente sancito nel codice civile unitario, che con- sente alle parti di regolare autonomamente i propri interessi facendo fronte alle nuove esigenze sociali inderogabili con strumenti giuridici più duttili rispetto all’arbitrato tipizzato e ormai fortemente proces- sualizzato: «Noi possiamo con animo tranquillo cedere alle nuove ten- denze. Sgombrare le aule della giustizia, affidare le ragioni industriali, in cui cresce ogni giorno il tecnicismo, al giudizio di esperti, vincolan- dosi le parti a rispettarlo, eliminare le lentezze ed il dispendio del pro- cedimento giudiziario, sono vantaggi cui non giova rinunciare proprio ai nostri giorni, facendo un salto indietro dal classico diritto di Roma» (16).
Due anni dopo, per tutta risposta, forte della esigenza di rivendi- care il ruolo dello Stato legislatore e fautore della giustizia, Xxxxxx Xxxxxx riprende la soluzione offerta da Xxxxxxxx secondo cui la forza vincolante del lodo derivante da compromesso extra codicem si fonde- rebbe sulla volontà degli arbitri in quanto rappresentanti delle parti e, dunque, manifestazione del principio dell’autonomia privata. Le argo- mentazioni usate dal cofondatore della Rivista di diritto commerciale industriale e marittimo, a difesa della appartenenza esclusiva al giudice dello stato della funzione di decidere e giudicare, non appaiono tanto
(16 ) Xxxxxxxx, Dei compromessi e lodi stabiliti fra industriali come vincolativi dei loro rapporti ma non esecuti nel senso e nelle forme dei giudizi, in Riv. dir. comm., 1905, II, p. 51.
una ragionata critica alla costruzione bonfantiana quanto piuttosto un’incisiva arringa a difesa del monopolio statuale della giurisdizione:
«Lo Stato ha ammesso che si possa evitare di ricorrere all’autorità giu- diziaria ordinaria nel caso del compromesso, ordinando per questo gravi e speciali condizioni e stabilendo che la funzione del giudicato del giudice, di aprire la via all’esecuzione, spetti anche al giudicato dell’arbitro. Ma al di fuori di questo caso, il dirimere le controversie è riservato alla Stato; dirimere le controversie vuol dire giudicare; non dichiarare esecutivo un giudizio privato; dirimere le controversie vuol dire esaminarle e poi deciderle, non pronunciare una sentenza che non abbia altro scopo ed altro effetto che dar valore di sentenza ad un giu- dicato privato che sentenza non era» (17).
In questa prospettiva di contrapposizioni, certo è che il ragiona- mento dei giudici torinesi ha lasciato alla cultura giuridica del Nove- cento l’opportunità di teorizzare al di là dell’arbitrato regolato dal codice di procedura civile del 1865 (e poi del 1940) una nuova o diversa tipologia di risoluzione delle controversie, l’arbitrato libero o irrituale.
Ed è sulla costruzione teorica di questa forma di arbitrato e sulle diverse funzioni riconosciute agli arbitri operanti nei due modelli che si è acceso il dibattito: lo studio derivato dalla prassi negoziale dell’ar- bitrato libero ha fatto emergere interrogativi in merito alle stesse ori- gini dell’istituto arbitrale e, a fronte del silenzio del legislatore (libera- le prima e poi fascista), ha portato a configurare separatamente i poteri dell’arbitro rituale da quelli dell’arbitro libero, creando, peral- tro, dubbi o incertezze sulla possibilità per quest’ultimo di pronun- ciarsi secondo diritto e non solo esclusivamente secondo equità, come amichevole compositore.
Nella prima metà del secolo un solo contributo monografico affrontò il tema. Nel 1931, infatti, il giovanissimo Xxxxxxxxx Xxxxx, con una monografia destinata per quasi mezzo secolo all’oblio, come del
(17 ) Sraffa, Compromessi e lodi stabiliti fra industriali senza la forma dei giudizi, in Riv. dir. comm., 1907, I, p. 427 ss. V. anche Proto Pisani, Materiali per uno studio dei contributi processualcivilistici della «Rivista di diritto commerciale» (1903-1923), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 16, Milano, 1987, p. 380 ss.
resto le sue vedute notoriamente divergenti rispetto a quelle degli altri studiosi e che forse gli costarono l’esclusione dai lavori preparatori al codice di procedura del 1940 (18), mentre il suo impegno volse ai lavori per il codice di commercio e per la legge fallimentare, argo- mentò la delicata questione della configurazione dei poteri dell’arbitro libero nel quadro di una originale e serrata critica all’asserito fonda- mento processualistico dell’istituto. Si tratta di una ricostruzione del fenomeno arbitrale profonda e antidogmatica, volta ad evidenziare i principia che muovono l’intera disciplina e che si saldano nella nega- zione del rapporto processuale dell’arbitrato, del contratto proces- suale nel compromesso, della sentenza nel lodo. Il punto centrale del lavoro è volto ad escludere la costruzione dell’arbitrato e del compro- messo sul fondamento giurisdizionale della lite: mentre il giudice dello Stato, nella valutazione della fattispecie concreta, opera in forte ade- sione con il tessuto normativo messo a punto dal legislatore, l’arbitro, sia rituale che libero, ha la facoltà di valutare gli interessi delle parti attraverso il suo «libero apprezzamento» in contrasto con «l’arbitrio sempre vincolato del giudice». Dunque l’arbitro, potendo comporre la controversia senza necessariamente ricorrere alla legge, si trova nella possibilità di escludere la norma giuridica e questo, stando a Xxxxx, implicherebbe l’ulteriore e conseguenziale esclusione della pretesa alla tutela che è fondamento della lite: «Le parti che compromettono vogliono cioè escludere ogni pretesa a tutela giuridica, e quindi all’ac- certamento di essa, non vogliono litigare. Vogliono cioè trattare la controversia giuridica come una controversia economica, e risolvere questa così come qualunque altra controversia, con la costituzione di un (nuovo) contratto» (19).
A tale radicale posizione rimasero indifferenti più che contrarie le costruzioni teoriche del tempo, mosse da un più comune spirito dog- matico e volte a rispondere a criteri di astrattismo processuale.
In merito alla pronuncia torinese, le più importanti riviste giuridi- che della prima metà del secolo fecero da palcoscenico all’articolarsi
(18 ) Cfr. Atti della Commissione delle Assemblee legislative chiamata a dare il pro- prio parere sul progetto del Codice di procedura civile: art. 2 della Legge 30 dicembre 1923, n. 2814 e 3 della Legge 24 dicembre 1925, n. 22ł0, Roma 1940, passim.
(19 ) Xxxxx, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., p. 180.
del pensiero di processualisti, civilisti e teorici generali del diritto: dopo l’impulso dato da Xxxxxxxx nella Rivista di diritto commerciale industriale e marittimo e che avrà una eco critica nel 1922 con la posi- zione di Xxxxxxx Xxxxxxxx, si colloca in prima battuta la Rivista di diritto processuale civile, fondata da Xxxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx nel 1924 (20), con un contributo sul primo numero proprio del giurista udinese – autore di lì a breve delle Lezioni di diritto proces- suale civile e con queste artefice della sistemazione scientifica del diritto processuale civile – su Arbitri e arbitratori e, nel 1929, con un altro contributo, dallo stesso titolo, di Xxxxxx Xxxxxxxxx; in seconda bat- tuta la Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, fondata da Anto- nio Cicu ed Xxxxxx Xxxxxxx nel 1946, con un saggio di Xxxxxxxxx Xxx- toro Xxxxxxxxxx del 1956 dal titolo emblematico Negozio e giudizio.
Xxxxxxx Xxxxxxxx volge il proprio sguardo dalla soluzione di Bon- fante su una categoria unitaria o tendente all’unitario delle varie forme del giudizio privato ma, a differenza di Xxxxxx, entra nel merito della questione dei rapporti tra le parti e l’arbitro chiamato a decidere, qua- lificandone, con tutta evidenza e senza le turbolenze di quell’approc- cio metafisico che rimprovera ai colleghi, i relativi poteri. Tale rap- porto soggiacerebbe: esclusivamente alla disciplina privatistica del mandato qualora sorgesse nell’ambito dell’arbitrato libero ove le parti avessero espresso l’intenzione di considerare come «convenuto quanto gli arbitri riterranno di stabilire attraverso la conclusione o il comple- tamento di un vincolo contrattuale», in quanto essi si trovano a dover
«riempire un maggiore o minore spazio bianco del contratto diretta- mente formato dalle parti»; alla legge qualora sorgese nell’ambito del- l’arbitrato formale ove essa stessa «subentra ad investire il giudice del potere giurisdizionale, o quanto meno a dare efficacia giurisdizionale alla sua decisione» (21).
L’interesse al ragionamento si manifesta ancor più quando Xxxxxxxx alle argomentazioni sulla differente struttura del rapporto tra le parti e l’arbitro e sulla diversa natura della soluzione giuridica offerta (con- trattuale l’una, giudiziaria l’altra) riconosce agli arbitri liberi il potere
(20 ) V. in proposito Xxxxx, Riviste giuridiche italiane (18ł5-1945), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 16, Milano, 1987, p. 631 ss.
(21 ) Scialoja A., Gli arbitrati liberi, in Riv. dir. comm., 1922, I, p. 496 ss.
di decidere quasi esclusivamente in via d’equità come «amichevoli compositori», a causa della «impossibilità giuridica di affidare libera- mente, senza garanzie di forme, senza riconoscimento di legge, ad un giudice privato la risoluzione di controversie secondo le regole del diritto» (22). Dunque, non un riconoscimento o estensione dei poteri propri dell’arbitro rituale all’arbitro libero, ma una differente qualifi- cazione dei poteri di un soggetto chiamato, in forza di un mandato, a dare seguito e completamento, con un giudizio di equità, alla volontà espressa dalle parti.
Lo stesso Xxxxxxxxxx, che aveva sostenuto qualche anno prima, insieme a Xxxxxxxxx (23), la natura complessa del lodo arbitrale come prodotto dell’autonomia privata reso esecutivo solo attraverso l’im- pronta giurisdizionale che proviene dal legislatore, prende le distanze dalla esegesi del fenomeno fornita da Xxxxxxxx, preoccupato per le spinte verso un «neocontrattualismo processuale». Ma questa presa di distanza avviene sulla base di una riflessione autonoma, che sposta il baricentro del problema finora esclusivamente imperniato sulla distin- ctio tra le vesti contrattuali dell’arbitrato libero e quelle processuali dell’arbitrato rituale. Egli, smentendo che il connotato precipuo della sentenza e del lodo omologato fosse l’idoneità a costituire titolo esecu- tivo e affermando, invece, che il carattere più significativo consistesse nella imperatività, cioè nell’idoneità della pronuncia giurisdizionale a costituire lex specialis del caso concreto, asserisce che le forme rituali erano imposte dal legislatore proprio in vista della obbligatorietà ed imperatività del lodo. Escludeva, così, che potesse considerarsi valido un lodo pronunciato senza il rispetto delle norme procedurali e la cui imperatività fosse il prodotto non dell’exequatur pretorile, ma della autonomia negoziale dei privati (24). Pertanto, fermo restando che entrambi i mezzi fossero deputati alla soluzione di controversie, la linea di separazione doveva essere interna alla natura della controver-
(22 ) Scialoja A., Gli arbitrati liberi, cit., p. 521.
(23 ) Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx e arbitratori, in Riv. dir. proc. civ., 1924, p. 121 ss.
(24 ) Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx e arbitratori, cit., p. 122: «non si può prescindere dalle forme quando anche le parti si contentino di un lodo non esecutivo, perché le forme sono prescritte non per dare al lodo forza esecutiva, ma prima di tutto forza imperati- va».
sia: xxxxxxxxx, quella risolta dagli arbitri propri; economica, quella risolta dagli arbitri liberi o arbitratori, intendendosi con la prima quel conflitto che può essere definito anche contro la volontà dell’avversa- rio e, con la seconda quel contrasto di interessi «la cui risoluzione il diritto rimette esclusivamente all’accordo delle parti». Proprio rispetto a tale ultima ipotesi opererebbe l’arbitratore, che dalla volontà delle parti deriva sia i suoi poteri sia la materia stessa del suo giudizio, laddove, invece, l’arbitro rituale, chiamato, a differenza del primo, a dirimere una controversia giuridica, sarebbe sostitutivo del giudice ordinario e quindi munito di iurisdictio (25). Xxxxxxxxxx procedeva all’inquadramento teorico dell’arbitrato irrituale entro la figura dell’ar- bitraggio e sottolineava che la «differentia specifica» dall’arbitrato rituale consistesse in ciò, che nell’uno, le parti, con il contratto o la clausola di arbitraggio, pongono in essere una tutela giuridica altrimenti inesisten- te (26), mentre nell’altro, attraverso il compromesso o la clausola compro- missoria, esse si accordano semplicemente per sostituire o modificare l’or- gano o il modo di una tutela giuridica già esistente (27).
Un ulteriore spostamento dell’asse del problema lo si ha con Fran- xxxxx Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx quando, dinnanzi al perdurare della lacuna normativa data dal silenzio anche del codice di rito civile del 1940, affianca l’istituto dell’arbitrato libero alla transazione e alla concilia- zione per riscontrate analogie di struttura.
Infatti, alla distinzione bonfantiana tra «funzione giurisdizionale»
(25 ) Xxxxxxxxxx, Arbitri e arbitratori, cit., p. 126, indica come elemento caratte- ristico della giurisdizione, la decisione di una controversia giuridica, cioè di una lite e precisa che lite si ha quando «non dipende dal placito delle parti la possibilità della sua decisione», come è, ad esempio, nella ipotesi di costituzione ope iudicis di una ser- vitù coattiva.
(26 ) Xxxxxxxxxx, Arbitri e arbitratori, cit., p. 126. In questo senso l’A. afferma che mentre l’arbitratore fa ciò che nessun giudice potrebbe fare, l’arbitro rituale «fa ciò che, se non ci fosse lui, sarebbe fatto dalla autorità Giudiziaria ordinaria».
(27 ) Secondo Xxxxxxxxx, L’arbitrato, Torino, 1991, p. 49, questa prima elabora- zione dell’Autore risponde al primo stadio della dinamica storica dell’arbitrato, quella dell’arbitramento del conflitto di interessi in materie come il commercio o il lavoro, non assistite da riferimenti di diritto positivo. Non a caso, a quaranta anni di distanza, Xxxxxxxxxx tornò sul tema, prospettando una diversa veduta e superando la sua origi- naria convinzione della impossibilità di un arbitrato improprio su controversie giuri- diche.
di natura statuale e «funzione logica del giudizio», su cui il romanista aveva imperniato la costruzione di una categoria unitaria di giudice privato, il civilista contrappone la distinzione tra la funzione del giu- dice che accerta la situazione giuridica controversa e la funzione del- l’arbitro libero che, dovendo comporre la lite sorta tra le parti in forza e su di un piano negoziale, non svolge un’attività di accerta- mento, ma dispone della situazione giuridica soggettiva contesa, ana- logamente a quanto avviene tra privati nel momento transattivo o conciliativo. Dunque, nell’arbitrato libero i poteri del soggetto a cui è devoluta la funzione di dirimere la controversia sarebbero da ascri- vere nell’alveo dei poteri spettanti agli stessi contendenti privati cui l’ordinamento riconosce la facoltà di disporre in ordine ai propri inte- ressi (28).
Ma, volendo fare un passo indietro per completezza espositiva, l’idea di assimilare l’arbitrato nelle sue forme irrituali alla transazione aveva suscitato, qualche anno prima, molte perplessità in Xxxxxx Xxxx- relli che, attento osservatore del dialogo scientifico iniziato nel lontano 1905 nella Rivista di diritto commerciale industriale e marittimo, costruiva l’istituto dell’arbitrato libero come negozio di accertamento e rivendicava l’autonomia di questa figura da quella transattiva: se la transazione si caratterizza per la estinzione della lite e per il suo con- cretarsi nell’aliquid datum aliquid retentum, il negozio di accertamento è «valido indipendentemente dal riconoscimento legislativo della tran- sazione, per il generale principio della libertà dei contraenti». L’una e l’altro divergono anche per presupposti: la prima richiede la esistenza di una lite almeno potenziale o comunque di una res controversa, il secondo
«una qualunque incertezza, anche il semplice intento di evitare la lite» e non necessariamente la presenza di una litigiosità del diritto (29). Per
(28 ) Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx F., Xxxxxxx e giudizio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, p. 1158 ss.
(29 ) Xxxxxxxxx, Arbitri e arbitratori, in Id., Studi in tema di contratti, Milano, 1952, p. 224. Sulla distinzione tra incertezza correlata al negozio di accertamento e lite necessaria ai fini della transazione, cfr. anche Xxxxxxxxxx, Il negozio di accertamento, Milano, 1939, p. 8 ss., il quale, pur ravvisando la esistenza di nessi fra l’una e l’altra figura, precisa che la incertezza sia «un particolare stato in cui versa il rapporto giuri- dico», mentre la lite sia «essa stessa una situazione giuridica», caratterizzata dalla pre- tesa di uno dei contendenti e dalla resistenza dell’altro.
Xxxxxxxxx, il negozio di accertamento avrebbe efficacia costitutiva (30), venendo ad incidere sulla realtà, ma con la precipua funzione di accer- tare una situazione controversa o, almeno, incerta. Le parti, inoltre, anziché procedere esse stesse all’accertamento negoziale, possono affi- dare tale compito e tali poteri a terzi-arbitratori, i quali compirebbero
«quanto le parti potrebbero compiere direttamente» (31) e il cui ope- rato consisterebbe nel completamento del suddetto negozio: in ciò si concreterebbe l’arbitrato irrituale. Quest’ultimo veniva costruito, così, ancora come arbitraggio, sia pure correlato ad un negozio di accerta- mento: il fatto che detta figura non fosse legislativamente prevista, essendo state codificate altre ipotesi di arbitraggio di negozi giuridici, poteva essere superato dalla osservazione che i terzi arbitratori o arbi- tri irrituali compiono, anche in tale caso, esattamente ciò che potreb- bero compiere le parti: come queste hanno la facoltà di effettuare in via negoziale un accertamento, così analogo potere può essere agevol- mente riconosciuto agli arbitri (32). Il dictum degli arbitri irrituali con- siste in una pronuncia dotata di efficacia contrattuale e suscettibile di essere impugnata alla stregua di un contratto. Ma detta pronuncia, per quanto afferente alla funzione di accertamento, non veniva dall’Au- tore intesa in senso proprio come dichiarativa del diritto e come espressiva dello ius dicere, dal momento che all’attività degli arbitri in quanto arbitratori venivano conferiti sia carattere costitutivo- modificativo, sia il preciso significato della determinazione negoziale,
(30 ) Xxxxxxxxx, Arbitri e arbitratori, cit., p. 224: «Il negozio di accertamento per- mette di utilizzare lo strumento costitutivo del negozio giuridico per una funzione tipicamente dichiarativa».
(31 ) Xxxxxxxxx, Arbitri e arbitratori, cit., p. 227. L’autore ha anche modo di pre- cisare come i terzi non esercitino i loro poteri sulla base di un rapporto di rappresen- tanza conferitogli contrattualmente dalle parti: gli arbitratori non sono dei rappresen- tanti in senso tecnico, dacché sarebbe anche possibile superare quei pericoli paventati ripetutamente da altra dottrina, tra cui Xxxxxx, secondo cui l’illegittimità dell’operato degli arbitri liberi risiederebbe nell’illegittimità di terzi in conflitto di interessi a causa della contestuale rappresentanza di parti diverse.
(32 ) L’obiezione secondo cui non si possa vedere nell’arbirtraggio un canone generale sulla base della constatazione che la legge consenta solo eccezionalmente alle parti di determinare l’oggetto del contratto per relationem alla volontà e alla determi- nazione di un terzo è stata ripresa, in tempi recenti, da Xxxxxxxxx, L’arbitrato, cit., p. 55.
attraverso dichiarazioni di volontà, di un elemento di fatto rilevan- te (33).
Il punto cruciale della teoria riguarda soprattutto la conclusione quanto meno ambigua sul punto spinoso dei rapporti fra questa figura e l’esercizio giurisdizionale della risoluzione delle liti. L’Autore non sembra sgombrare completamente il campo dalla tentazione di soste- nere o ammettere il monopolio statale della risoluzione delle contro- versie, ma si limita, semplicemente, ad osservare che la controversia giuridica, per il fatto di essere stata deferita ad arbitri liberi, venga decisa come controversia economica, potendo «pertanto essere risolta a mezzo del contratto, anziché a mezzo della sentenza» (34). Secondo tale ricostruzione, gli arbitratori prescinderebbero dalla soluzione della controversia «secondo diritto» e, piuttosto, integrerebbero un negozio giuridico (35).
Da queste parole trapela indubbiamente il pregiudizio secondo cui non vi possa essere pacificazione schiettamente privata di una contro- versia giuridica in relazione alla quale, dunque, sul piano della autono- mia riconosciuta alle parti, si addivenga ad una composizione giusta secondo diritto e al concretamento dell’ordinamento giuridico con uno ius dicere alternativo, ma dotato di efficacia imperativa, rispetto a quello garantito dalle forme di tutela giurisdizionale statale dei diritti. In questa prima formulazione, l’arbitrato irrituale come arbitraggio di un negozio di accertamento risente degli schemi che specularmente si
(33 ) Xxxxxxxxx, Xxxxxxx e arbitratori, cit., p. 211, ove afferma che l’operato degli arbitri impropri consista in una attività costitutiva di risoluzione di controversie eco- nomiche: «essi emettono delle dichiarazioni di volontà, che integreranno un negozio giuridico già sussistente, ne porranno uno nuovo, determineranno negozialmente un elemento di fatto rilevante».
(34 ) Xxxxxxxxx, Arbitri e arbitratori, cit., p. 230. Nella parola «pertanto» sembra potersi ravvisare un vero e proprio significato causale: in tanto la controversia può essere composta in via negoziale in quanto essa venga decisa come controversia eco- nomica, nel senso che rispetto ad essa gli arbitratori non forniscono una soluzione secundum ius della controversia, ma integrano una fattispecie negoziale predisposta in bianco dalle parti, al fine di eliminare una situazione incerta.
(35 ) Xxxxxxxxx, Xxxxxxx e arbitratori, cit., p. 230: «Gli arbitri decidono bensì una controversia giuridica, ma la decidono prescindendo dalla soluzione di diritto o di equità, approntata dall’ordinamento giuridico; la decidono dunque come controversia economica. Essi non dichiarano già quale sia la soluzione approntata, sia pure indiret- tamente, dal diritto per quella controversia».
andavano forgiando per le concezioni transattive, primo fra tutti, il poco convincente indebolimento della controversia da giuridica in economica e l’esclusione di uno ius dicere svolgentesi sul piano nego- ziale (36).
La tesi di Xxxxxxxxx venne ripresa e riformulata dal civilista catanese Xxxxxxx Xxxxxxxxxx che, nella sua seconda monografia (37) faceva rife- rimento ad una funzione dichiarativa e non dispositivo-costitutiva del negozio di accertamento. Quest’ultimo veniva collocato nell’ambito delle forme esclusivamente private di eliminazione della incertezza (38) e, precisamente, fra le forme di auto-composizione, diversamente dal- l’arbitrato irrituale, costituente mezzo di etero-composizione, giacché, rispetto a quest’ultimo, «la eliminazione della incertezza non viene direttamente affrontata dalle parti, ma devoluta ad un terzo estraneo al rapporto incerto». L’Autore riconosceva la profonda diversità cor- rente tra la natura e la funzione dispositiva della transazione e la fun- zione dichiarativa del negozio di accertamento, consistente nella «fis- sazione» della situazione giuridica preesistente (39) nel senso voluto dalle parti. Il chiarimento della situazione incerta avviene, secondo questa teoria, non attraverso la modificazione o la sostituzione di una situazione giuridica certa ad una incerta, ma appunto con la «fissazio- ne» o determinazione del contenuto della situazione precedente, in
(36 ) Peraltro, rispetto alle teorie sull’arbitrato irrituale come arbitraggio della transazione, questa di Ascarelli presenta, in modo ancora più problematico, la conta- minazione di elementi e di influenze diverse: da un lato, vede nell’arbitraggio del negozio di accertamento un mezzo di risoluzione di controversie giuridiche e, a pro- posito del dictum degli arbitri irrituali, parla di «decisione»; dall’altro, recuperando il guscio della tradizionale e ormai tralaticia distinzione carneluttiana tra controversie giuridiche e controversie economiche, sostiene poi che le prime vengano dagli arbitri decise come controversie economiche attraverso una attività costitutiva, ravvisando in questo meccanismo il fondamento giuridico e la legittimità dell’arbitrato irrituale.
(37 ) Cfr. Xxxxxxxxxx, Il negozio di accertamento, cit., passim.
(38 ) Tra le forme di accertamento che si svolgono in concorso con i pubblici poteri, c’è, secondo l’Autore, l’arbitrato rituale, il quale – a rigore – non potrebbe essere considerato mezzo di composizione privata di una lite, richiedendo ai fini della sua efficacia l’omologazione giudiziale.
(39 ) Per l’incidenza su una situazione giuridica preesistente, Xxxxxxxxxx, Il nego- zio di accertamento, cit., p. 36, definisce il negozio di accertamento come negozio giu- ridico di secondo grado.
modo da troncare ogni controversia ed accertare la situazione stes- sa (40).
Anche questa dottrina può destare perplessità relativamente alla figura dell’arbitrato irrituale, la cui funzione veniva dall’Autore deli- neata, a quanto sembrerebbe, in contrapposizione con quella del negozio di accertamento, senza far emergere, tuttavia, le ragioni e i termini di tale distinzione: se la funzione del negozio di accertamento è quella di accertare la precedente situazione incerta o controversa, l’arbitrato irrituale sarebbe, invece, teso ad eliminare l’incertezza attraverso la risoluzione della controversia. Ma non pare esatta l’anti- nomia tra l’attività di giudizio e di decisione di una lite ad opera di arbitri cui è stata deferita la risoluzione della controversia – attività di ius dicere in cui consiste l’arbitrato (rituale ed irrituale) – e la figura dell’accertamento negoziale.
Sul piano della struttura, inoltre, secondo la ricostruzione di Xxxx- xxxxxx, mentre il negozio di accertamento sarebbe posto sempre diret- tamente dalle parti, l’arbitrato irrituale comporta la devoluzione ad un terzo della risoluzione della controversia. Ma da questa diversità strut- turale non possono desumersi significativi ostacoli alla funzione lato sensu di accertamento per l’istituto arbitrale. Interessanti, invece, sul piano degli effetti del negozio di accertamento, le considerazioni con- cernenti la diversità profonda tra essi e l’efficacia della sentenza (41): se è vero, come comunemente si osserva, che il negozio di accertamento
«produce la messa fuori contestazione della situazione» incerta, è pur vero che trattasi di rilevazioni meramente descrittive e che da esse non possono derivarsi assimilazioni con l’efficacia del comando contenuto nella sentenza. Tali considerazioni sono assai significative con riferi- mento sia alla attività di accertamento e decisione svolta tanto dagli arbitri irrituali quanto da quelli rituali, sia alla valenza e all’efficacia di detta attività, appartenente al piano negoziale e non equiparabile a quella espressa dalla sentenza del giudice.
(40 ) Xxxxxxxxxx, Il negozio di accertamento, cit., p. 40.
(41 ) Xxxxxxxxxx, Il negozio di accertamento, cit., p. 85, respinge le opinioni for- mulate in ambiente tedesco secondo cui il negozio di accertamento sarebbe suscetti- bile di produrre i medesimi effetti di una sentenza e, principalmente, sarebbe suscetti- bile di passaggio in giudicato.
A voler tirare le fila del discorso, senza addentrarsi nelle elabora- zioni successive di tali costruzioni, più vicine ad ipostatizzazioni di precedenti assunti che a nuove formulazioni teoriche, nella prima metà del Novecento, come tra la guerra e il Duemila, quella parte della dottrina giuridica che, pur con molte ombre e qualche timida esitazione, porta a completamento il processo di polarizzazione fra le due species di arbitrato, determina non solo una scomposizione del- l’istituto che ne esce, peraltro, sfigurato nella sua omogenea natura di atto privato, ma anche dei relativi «attori», arbitro rituale e arbitro libero. Questi ultimi sono rappresentati come figure distinte: l’una asseritamente più vicina al giudice togato, e per questo facente capo alla disciplina processuale del codice di rito civile corredata dalle modifiche legislative; l’altra identificabile in un soggetto che opera in ottemperanza ad un rapporto puramente negoziale con le parti, sotto l’egida esclusiva e preclusiva del principio dell’autonomia privata di consolidata tradizione.
2. – I confini dell’istituto arbitrale nell’Ancien Régime: le figure dell’ar- biter iuris e dell’arbitrator al tramonto dell’ordo iudiciarius medievale.
– Al fine di meglio comprendere le ragioni del fenomeno arbitrale nella stagione della codificazione moderna occorre indirizzare lo sguardo ai caratteri e ai confini dell’istituto nell’epoca precedente all’impulso legislativo napoleonico che, seppur lontano dal voler costringere il diritto al solo contenuto dei codici (42), certo è che è divenuto terreno fertile per una prospettiva fortemente giurisdizionali- sta propria di quegli studiosi che hanno ravvisato nelle stabilizzazioni normative ottocentesche l’impronta univoca del c.d. statual- legalismo (43). Una prospettiva, quest’ultima, che ha avuto indubbia- mente un peso nella distinzione dottrinale tra arbitrato rituale e arbi- trato libero e che ha portato quantomeno ad una visione monocroma- tica della diversa qualificazione dei poteri e addirittura dei caratteri delle due rispettive figure di arbitro.
Nel tratteggiare le sorti dell’istituto arbitrale nell’Ancien Régime,
(42 ) Cfr. Xxxxxxxx, La lotta per la codificazione, Torino, 2002, p. 107 ss.
(43 ) Cfr. Grossi, Assolutismo giuridico e diritto privato, cit., p. 474.
anche al fine di comprendere il punto di partenza di tali approdi di pensiero, non possono non essere presi in considerazione i risultati messi in luce dall’unico significativo e corposo contributo scientifico offerto alla storiografia giuridica contemporanea da Xxxxxxx Xxxxxxx che, seppur in un’ottica ben lontana dal configurare dogmaticamente una categoria unitaria di arbitrato nel Medioevo (44), ha illustrato il permanere dei caratteri privatistici di derivazione romanistica dell’isti- tuto nei generi letterari medievali, dall’età dei glossatori a quella dei commentatori, e nelle fonti statutarie.
Penso, a titolo esemplificativo che certo non rende merito alla ricca analisi posta in essere nel suindicato contributo monografico, all’attenzione penetrante dello storico del diritto napoletano (45) verso la Summa Codicis di Piacentino, discepolo dei primi glossatori bolo- gnesi e fondatore della scuola di diritto di Montpellier (46), in una pagina critica a quanto ebbe a sostenere lo storico del diritto xxxxxxxx Xxxx Xxxxxxxx secondo cui «le droit médiéval, malgré les efforts de rai- sonnement des romanistes et des canonistes, n’attribue pas une nature contractuelle ou jurisdictionelle à l’arbitrage» (47): Xxxxxxxxxx infatti, a mo’ di pietra miliare, affermò che l’esercizio dell’arbiter nel dirimere una controversia aveva come unica legittimazione non già un conferi- mento di potere preesistente alle parti ed alla lite come nel caso del giudizio, bensì la voluntas dei compromittenti e nel receptum dello stesso arbitro (48).
(44 ) Tale consapevolezza sul pensiero dell’Autore emerge da una bellissima cita- zione di Xxxxxx Xxxxxxx: «si stenta a riconoscere nel diritto medievale quella compat- tezza ed uniformità di propositi e di azioni, di accenti e di tendenze, che ne avrebbero fatto un blocco, un blocco da rifiutare e da rinnegare alle soglie dell’età moderna» (cfr. Xxxxxxx, I giuristi, la giustizia e il sistema del diritto comune, in Legge, Giudici, Giuristi. Atti del Convegno tenuto a Cagliari, 18-21 maggio, Milano, 1982, p. 15.
(45 ) Xxxxxxx, Arbiter-Arbitrator. Forme di giustizia privata nell’età del diritto comune, Napoli, 1984, p. 35 s.
(46 ) Cfr. Xxxxxxx, Prefazione, in Placentini summa codicis: Accessit proemium quod in Moguntina editione desiderabatur, Moguntiae, 1536 (rist. anast., Torino, 1962), p. 11 s.
(47 ) Jeanclos, L’arbitrage en Bourgogne et en Champagne du XII au XV siècle. fftude de l’influence du droit savant, de la coutume et de la pratique, Dijon, 1977, p. 314 s.
(48 ) Piacentino, Summa Codicis, II, tit. LV, de receptis arbitriis, Mongutiae, 1536 (rist. anast., Torino, 1962), p. 91 s.
Penso, inoltre, all’attenta lettura del Tractatus de arbitris del bre- xxxxxx Xxxxxxxxx xx Xxxxxx (49), laddove questi affermò sì il carattere di giudizio che venne assumendo la pronuncia dell’arbitro nell’età dei commentatori e, dunque, il sorgere di una figura diversa da quella del- l’arbiter ex compromisso propria dell’età dei glossatori, e che avrebbe costituito nel Seicento le basi per la teorizzazione dell’arbitrato neces- sario come officium iudicis (50), ma anche al permanere di quei carat- xxxx che facevano dell’arbitrato uno strumento di autotutela, libero nelle forme e schiettamente privatistico nella sostanza (51): il puntuale richiamo al passo ed al ragionamento in esso contenuto in cui Xxxxxxx introduce per la prima volta nel pensiero giuridico del tempo una tipologia di arbitrato in cui le parti volevano non già il perfeziona- mento del contratto, appunto devoluto all’arbiter secondo il pacifico schema dell’arbitrato ex compromissum (52), ma la risoluzione dell’in- tera controversia non tenendo conto però degli schemi processuali
(49 ) Sulla vita e le opere del giurista quattrocentesco, x. Xxxxxxx, voce Lan- franco da Xxxxxx (di Oriano; Xxxxxx; Lanfrancus de Xxxxxxx), in Dizionario biografico degli Italiani, LXIII, Roma 2004, p. 572 s.
(50 ) Cfr. Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx, Tractatus de arbitris et compromisis, lib. I, cap. II, § Arbitri nomen in statutis qual iter assumendum, n. 2, in Tractatus Illustrium in utraque tam pontificii, tam caesarei iuris facultate iurisconsultorum, Venetiis, 1584, t. III, pars I, fol. 225v: «Hinc admonemur, qual iter nomen arbitri assumendum sit in sta- tutis, cum stricte intelligantur, a iure communi interpretationem recipiant, ut dictum est, procul dubio praedicto modo stricto et in iure usitato assumetur, nisi mens statuti ex aliis verbis collecta, vel consuetudo loquendi aliud inducerent, ut ex praedictis apparet»; Sigi- smondo Scaccia, De iudiciis causarum, civilium et criminalium et hereticalium, lib. II, cap. I, § Arbitris tribuitur iurisdictio, n. 5, Venetiis, 1663, p. 44 s.: «fft quod nullus dubitet, hos arbitros statutarios esse iudices et habere iurisdictionem».
(51 ) Xxxxxxxxx xx Xxxxxx, Tractatus de arbitris, in Tractatus Illustrium in utraque tam pontificii, tam caesarei iuris facultate iurisconsultorum, Venetiis, 1584, pars I, § Arbitrator in causa propria quis esse potest, n. 8, fol. 207r.
(52 ) Cfr. Xxxxxxx xx Xxxxxxxxxxxx, Tractatus de arbitris, in Tractatus Illu- strium, cit., § Arbiter dicitur, n. 2, fol. 146r: «arbitrator est qui consilio suo tanquam fide, et bono motu, nulla iuris solemnitate servata et absque iudiciorum strepitu litem decidit»; Id., Tractatus de arbitris, cit., § Arbiter ab arbitratore in quibus differat, n. 18, fol. 146v: «arbiter tenetur conoscere secundum formam iuris civilis, arbitrator vero ex equitate»; Id., Tractatus de arbitris, cit., § Clausola apposita in compromisso, n. 19, fol. 146v: «Vel secundum Iac. But. [Xxxxxx Butrigario] potuit sustineri communis modus, quia arbiter potest assumi super lite, quia super lite potest transigi, intelligunt, ut de hoc in concordia non sunt, super tali transactione in contractu tamquam arbitrator assumi- tur, et sic diversis respectibus sit arbiter et arbitrator».
propri del iudicium, fa dedurre all’interprete la piena consapevolezza nella scienza giuridica medievale dell’arbitrato come negotium sia esso destinato a completare quanto deliberatamente concordato nel com- promissum, sia esso destinato a risolvere l’eventuale conflitto sorgente tra le parti negoziali.
Di particolare rilievo appaiono anche le riflessioni sull’arbitrato ex necessitate statuti di Xxxxxxx, il quale analizzando diversi statuti sia corporativi che cittadini, sebbene registri un significativo cambia- mento rispetto alla pregressa tradizione medievale che non contem- plava la figura dell’arbitrato obbligatorio o necessario, in una lettura critica del contributo del processualista modenese Xxxxxxxx Xxxxxx di pronunciata affermazione giurisdizionalista (53), sostiene che negli sta- tuta «essendo gli arbitri designati dalle parti e non dalla legge, il loro obbligo a risolvere la controversia rimaneva di natura contrattuale anche se si manifestava nell’ambito di un’articolazione pubblicistica». Tale articolazione trovava spiegazione non già nella consapevolezza di una presunta natura giurisdizionale della decisione arbitrale quanto piuttosto in ragione della tutela del patrimonio delle comunità economico-familiari entro cui era sorta la necessità di ricorrere a que- sto alternativo modello di risoluzione della controversia. Inoltre, ad avviso di Xxxxxxx, questo modello si era diffuso secondo schemi rituali precostituiti che non potevano essere assimilati a quelli immo- dificabili e istituzionalizzati del giudizio ordinario (54).
La profonda analisi (55) svolta dall’Autore nell’esperienza medie-
(53 ) Cfr. Xxxxxx, Aspetti negoziali e aspetti processuali dell’arbitrato. Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Torino, 1966, p. 28: «l’arbitrato necessario s’inquadra nel- l’amministrazione della giustizia nel diretto interesse della civitas, come un vero giudi- zio sostitutivo di quello ordinario».
(54 ) Xxxxxxx, Arbiter-arbitrator, cit., p. 144 ss.
(55 ) La posizione di Xxxxxxx è stata seguita nel recente contributo monografico, ricco di spunti e considerazioni storico-giuridiche, della civilista Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx che, commentando una quaestio (q. IV, de quibus causis possit, aut debeat compromitti,
§ Quaestio iuris, an sit compromittenda, n. 1, fol. 90r) contenuta nel Tractatus de com- promissis faciendis inter coniunctos. fft de exceptionibus impedientibus litis ingressum di Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx, trattatista della prima metà del Cinquecento, ha sostenuto:
«Con l’arbitrato ex necessitate statuti, strumento autonomo rispetto all’ordinamento giurisdizionale “ufficiale” (il quale, del resto, non garantiva di certo la massima effi- cienza), i liberi Comuni cercavano di mantenere condizioni di certezza giuridica all’in-
vale del fenomeno arbitrale e la relativa interpretazione della regola- mentazione statutaria spinge, a mio avviso, a mettere in luce la posi- zione della scienza giuridica che ha preceduto la crisi del sistema di diritto comune e, dunque, la fine dell’Antico Regime, ponendo atten- zione alle prime distinzioni dottrinali tra l’arbitro che agisce sulla base delle sole regole processuali e l’arbitro che opera in esclusiva aderenza al negotium secondo i canoni tradizionali tracciati dai glossatori e dai commentatori sulla base della interpretatio delle fonti romane.
Si potrebbe partire poggiando lo sguardo sul pensiero di Xxxxxx Xxxxxxxx espresso nel suo celebre trattato De arbitrariis iudicum quaestionibus et causis (56) – stampato a Venezia nel 1569 e che, per l’interesse sull’attualità del tema, ebbe numerose successive edizioni, come del resto i suoi Consiliorum sive responsorum editi nel 1572 – o nella De praesumptionibus, coniecturis, signis et indiciis del 1575, che ebbe molte ristampe fino alla metà del Settecento, e sul pensiero di Xxxxxx Xxxxxxxx autore dei Controversiarum iuris libri di cui si con- tano almeno ventotto edizioni dal 1595 al 1820 (57). Una scelta forse restrittiva e limitata, ma che ben rende conto della definizione dell’isti- tuto arbitrale e degli aspetti più notevoli della sua disciplina giuridica, sia civile che canonica, secondo una tipologia di opera pratica e divul- gativa che non pregiudica, sotto un profilo sostanziale, l’evolversi del pensiero giuridico medievale puntualmente richiamato, e, sotto un profilo formale, la metodologia consolidata fin dal XIV-XV secolo, ad esempio di Xxxxxxxxx Xxxxxxx. Una scelta, peraltro, ponderata dal
terno delle comunità familiari che ne costituivano il più importante substrato. Il nuovo potere signorile che si stava diffondendo nella società rinascimentale, d’altra parte, formalizzando in una dimensione pubblicistica quello che era, e da molto tempo era stato, un particolare interesse privato tipico delle famiglie aristocratiche, salvaguardava questa condizione di privilegio per favorire i forti clan famigliari esclusi dal potere e per ciò stesso fattori di instabilità» (cfr. Tenella Sillani, L’arbitrato di equità. Modelli, regole, prassi, Milano, 2006, p. 105 s.).
(56 ) Sull’importanza della diffusione di tali commentari, x. Xxxxxxxxx, voce Gia- como (Xxxxxx) Xxxxxxxx, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIII, Roma, 2009,
p. 521 ss.
(57 ) Cfr. Xxxxxxx, voce Fachieni (Xxxxxxxxx) Xxxxxx, in Dizionario biografico degli Italiani, ILIV, Roma, 1994, p. 94 s. Sulla collocazione del pensiero giuridico di Xxxxxxxx si rimanda anche a Xxxxxxxx, Causa e categoria generale del contratto, Torino, 1997, p. 32 ss.
fatto che entrambi i giuristi, pur avvertendo nella prassi la distinzione tra arbiter iuris e arbiter compromissarius o arbitrator, cui era giunto con la nitidezza propria di una definizione il giurista francese suindi- cato (58), animano i caratteri dei due attori non già con il fine di ren- dere soluzioni univoche alla pratica forense, ma di analizzare ed argo- mentare i dubbi più ricorrenti sul punto nel foro: è forse un esempio calzante dell’importanza della interpretatio delle fonti giustinianee nel- l’età di mezzo, quando, fino allo sfiorire del Settecento, nella pluralità delle fonti del diritto, nella tensione generata dalla molteplicità delle giurisdizioni, dall’insufficienza legislativa, ben poco era prevedibile sul piano giuridico (59).
Un esempio calzante che ci permette di comprendere come nel XVI secolo, in forza della posizione assunta da taluni autorevoli giuri- sti, la figura del iudex non venga sovrapposta a quella dell’arbiter che mantiene ancora caratteri e poteri confusi con quelli dell’arbitrator, anche se si era già sviluppata la consapevolezza della natura pubblici- stica della iurisdictio, costruita sulla base del principio romanistico iudicare munus publicum est, ben presente in Menochio e cui venne data sicura eco da Xxxxxxx (60), uno dei padri del Code Napoléon.
(58 ) Cfr. Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Speculum iuris, Venetiis, 1566, lib. I, part. I, Arbiter quid sit, et eius sententiae quomodo stesur, § Assumitur quis arbitrator in re propria, non autem arbiter, n. 7, p. 155: «Item arbitrator quis in re propria assumitur non arbiter»; Ibidem, § Arbitrator amicabilis compositor electus ut pacificet, non ut conosca, n. 3, p. 154: «nam arbiter est, quem partes eligunt ad cognoscendum de que- stione, vel lite: et sic sumitur super re litigiosa et incerta, u tea cognoscatur: et debet iuris ordinem servare. fft sit semper cum poenae stipulazione. Non cogendum et statur eius sententia, aequa sit, sive iniqua. Nec a beo appellatur. Nec ad arbitrium viri reducitur secundum quosdam. Arbitrator vero est amicabilis compositor. Nec sumitur super re liti- giosa, vel ut cognoscat: sed ut pacificet, et quod certum est dividat: ut in societate contin- git. fft hoc non dicitur arbitrium. Nec tenetur iuris ordinem observare; nec statur eius sententiae, si sit iniqua: sed reducitur ad arbitrium boni viri». La citazione è stata peral- tro riportata da Xxxxxxx nella descrizione della dicotomia tra lite e contratto (cfr. Xxxxxxx, Arbiter-arbitrator, cit., p. 93 s.).
(59 ) Sulla funzione dell’interpretatio come strumento di costruzione del sistema giuridico medievale si rimanda, per semplificazione, ai seguenti autorevoli contributi: Cortese, La norma giuridica. Spunti teorici nel diritto comune classico, I, Milano, 1962, p. 305 ss.; Caprioli, Interpretazione nel diritto medievale e moderno, in Dig., disc. priv., sez. civ., X, Torino, 1993, p. 1 ss.; Xxxxxx, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, 2000, p. 13 ss.
(60 ) Cfr. Le Pandette di Xxxxxxxxxxx disposte in nuovo ordine da R.J. Xxxxxxx con le
Proprio Xxxxxx Xxxxxxxx – il quale nella Quaestio vigesimase- cunda «De instantiae observatione in causis arbitrariis, tam super con- tractibus quam ultimis dispositionibus, non inelegante disseritur», in quella vigesimatertia «ffxplicatur quando sapientis consilium in arbitriis iudicis necessarium sit, et quando in illitterato iudice, et de statutis illud consilium requirentibus» ed in quella vigesimaquarta «Declaratum, quas probationes iudex arbitrarius spernere possit» del trattato De arbi- trariis iudicum quaestionibus et causis sembra interrogare i «doctores nostri» sugli aspetti tecnici più propriamente processuali «in causis arbitrariis», quali la definizione dei termini di presentazione delle istanze arbitrali (61), la facoltà dell’arbitro di ricorrere al «sapientis
leggi del Codice e le Novelle che confermano, spiegano od abrogano le disposizioni delle Pandette, trad. it. di Bazzarini, Venezia, 1833, I, p. 482.
(61 ) Xxxxxxx Xxxxxxxxx, De arbitrariis iudicum quaestionibus et causis, Venezia, 1569, Quaestio vigesimasecunda, f. 18b: «Quaero vigesimo secundo, posteaquam dixi- mus iudicem nostrum certis casibus observare debere praefixam a iure communi instan- tiam, ab re nunc non exjstimo, quaerere, an in casibus his iudicum arbitrio finiendis, sit aliqua a iure praefixa instantia? Doctores nostri in l. Si quis arbitratu, de verborum obli- gationibus (D.45.1.43) dum disputant, intra quod tempus arbitrator suum proferre debeat arbitrium, aliqua, quae ad rem conferunt, scribere videntur. ffgo, in controver- siam hanc finiam regulam constituo, nullam esse his casibus a iure praefixam instantiam, quare perpetua haec erit iudicandi potestas. Nam ea perpetua praesumitur, quae etsi tem- poralia sint, non tamen habent tempus a iure praefixum; ut probat l. Sufficit, de condic- tione indebita (D.12.6.56) et l. Iurisperitos ff. de excusatione tutorum (D.27.1.11), quod multis comprovabat Felinus et Xxxxxx in cap. ffx litteris, de condictione indebita, num. 8, iste columna ultima et alios congessit Tiraquellus (Tiraqueau), Tractatu de retractu conventione, § 2, glo. 1, num 39 et hac ratione usus fuit xxxxx Xxxxxx in dicta lege Si quis arbitratu, num. 20, de verborum obbligatione (D.45.1.43), quo loci Socinus, num. 33, versiculo Si autem assumuntur, scribit in iudicialibus vere nullam hoc casu praefixam esse instantiam; sic et in causis summarie tractandis, non dari formalem instantiam Pur- puratus in l. Admonendi, num 58, de iure iurando (D.12.2.31). Nec huic conclusioni adversantur, quae in contrariam sententiam movit Xxxxxx, qui eius opinionis fuit, instan- tiam esse triennalem post litem contestatam, ut in arbitrio, ex lege Sed qui compromis- sum, ff. de arbitris (D.8.4.8). Lite non contestata perpetuam esse, ex auth. Si tamen C. de tempore appellationis (C.7.62.4) nam haec iura, ut recte scribit Socinus cum de arbi- tro loquantur, male ad casum nostrum adaptari possunt: cum iudex hic noster arbitratori potius quam abitro aequiparetur, et regulam nostram sic probarunt Xxxxxxxxx Xxxxx [Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx] et alii nonnulli, quos est secutus Socinus dicta leg Si quis arbi- tratu, n.33 (D.45.1.43), et ibi Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, nu. 77 in fine et xxxxxxx Xxxxxxx q. 283, num. 8, Xxxxxxxxx cons.100, num. 14. ffxtenditur haec regula, ut procedat, etiam quando assumitur hic iudex (qui arbitratoris nomen obtinere potest) in actibus extraiudi- cialibus, ut puta in contractibus, tunc is perpetuo potest inter partes, qui eum elegerunt,
consilium» e il valore a cui esso poteva assurgere ai fini della valuta- zione delle ragioni delle parti (62), nonché i criteri di valutazione delle prove sottoposte a giudizio arbitrale (63) – nella sua opera De prae-
controversiam xxxxxxxxx et in ea arbitrari; ita crebius nostri affirmant, ur testatur Xxxxx [Giason del Xxxxx], dicta lege Si quis arbitratu 24 versiculo Tertium principale, de ver- borum obligatione (D.45.1.43) qui infinitos prope huius sententiae retulit et eo loci idem docuerunt Socinus nu. 34, et Xxxxxx nu. 35 utuntur ratione iam relata ex dicta lege Sufficit, de condictione indebita (D.12.6.56).
Nec huic sententiae adversantur, quae considerata fuerunt a Xxxxxxx, qui, ut praeci- tato loco scribit Xxxxx, contrariam opinionem tuetur, hanc potestatem scilicet arbitrandi triennio finiri. Nam textus l. ultima § sed et si quis C. communia de legatis (C.6.43.3.1) qui a Bartolo perpenditur, solum in ultimis dispositionibus procedere potest; nec aliqua ratione, ad contractus sese adaptare potest, cum in contractibus ab arbitratoris persona non recedatur dicta lege Si quis arbitratu (D.45.1.43) et tamen in casu dicti § et si quis (C.6.43.3.1) eo electo non arbitrante facultas legatario defertur. Accedit illa ratio, quia, si in contractibus intelligeretur is textus § sed et si quis (C.6.43.3.1) sequeretur, illam arbitrandi facultatem conferri in personam alterius contrahentium, contra legem Quod saepe,§ 1, ff. de contrhaentibus emptionem (D.18.1.35.1) et legem In vendentis C. eodem titulo (C.4.38.13), cum in casu dicti § sed et si quis, (C.6.43.3.1) eo electo non arbitrante arbitrandi facultas alteri partium, hoc est legatario defertur. Non quoque diffi- cultatem facit lex Filii mater, §1, ff., ad Senatus Consultum Xxxxxxxxxxxx, (D.38.17.6) quoniam, ut recte consideravit Xxxxx in dicta lege Si quis arbitratu, num. 24, in fine (D.45.1.43) ibi filius propter duo dicitur perfecte nolle. Primo, quoniam iam declaravit nolle adire deinde, si lapsus sit annus, intra quem potest illam suam repudationem revo- care, ex lege ultima § similique modo, C, de iure deliberan. (C.6.30.20.1), annus ergo iste non est prope datus ad demonstrdum filium repudiasse, cum iam repudiaverit, sed ad voluntatem revocandum, sicque ad poenitendum; at in casu isto unum tantum consi- deratus, temporis scilicet lapsus. Declaratur primo non procedere, quando iudex iste assumeretur ad diffiniendam extraiudicialem controversiam ab ultima voluntate penden- tem, tunc anno finitur arbitrandi tempus., dicta lege ultima § sed et si quis, C., commu- nia de legatis (C.6.43.3.1), quam declarationem probant omnes. Declatur secundo, non procedere, quando alter contrhaentium assumeretur arbitrandum extraiudicialiter super contractu, inter eos celebratos. Nam tunc arbitrandi haec potestas finitur cum primum is arbitrari potuit, et arbitratus non est. (...). Si ergo nullum extitit impedimentum quo minus arbitrari posset, arbitrandi facultas extinta est. Xxxxx adhuc non explicat Xxxxxxx quando is dicatur potuisse arbitrari, et arbitratus non est. ffgo intelligo relinqui iudicis arbitrio, qui rei et facti qualitatem, ac etiam tempore perpensis cognoscet, quid in causa fuerit quominus arbitrari potuerit. Nam, cum hoc ex facto contingat a iure certo diffiniri minime potuit. (...). Declaratur tertio regulam hanc nostram non procedere quando clare et expresse datum esset arbitrandi iudicandique tempus (...). Declaratur quarto non pro- cedere arbitrium proferendum esset de re tempore peritura, vel ex dilatione immodica magnum detrimentum allatura. Nam, tunc inesse dicitur tanti temporis instantia arbitrio boni viri, qua posset sine damno controversia finiri, xxx Xxxxxxx dicta quaestione 283, nu. 9, ex lege Item si minus § ultimo ff. de arbitris (D.4.8) post Xxxxxxx xx Xxxxxxx [Gio- vanni d’Anagni], cons. 19, columna 1, versiculo Circa secundum».
sumptionibus, coniecturis, signis et indiciis evidenzia chiaramente l’ori- gine negoziale tanto dell’arbiter quanto dell’arbitrator, destinati entrambi a conoscere e giudicare «de causa compromissa» attraverso
(62 ) Xxxxxxx Xxxxxxxxx, De arbitrariis iudicum, cit., Quaestio vigesimatertia, f. 18b: «Quaero vigesimotertio, an hic iudex, qui suo arbitrio procedere potest, teneatur iurisperiti consilium sumere? fft teneri sensit glossa, et ibi expressius Butrius [Xxxxxxx xx Xxxxxx], et Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, in cap. Ut debitus, in verbo ex rationabili causa, de appellationibus (X.2.28.59), quae sane glossa posteaquam dixit rationabilem causam deferendi appellationi, esse iudicis arbitrio; subiicit, hunc iudicem habere debere sapien- tis consilium, si dubitet. Idem censuit Butrius [Xxxxxxx xx Xxxxxx], in c.1 col. de consti- tutionibus (X.1.2.1), quem secutus est Xxxxxxxxx, consilium 15, nu. 17, consilium 20, nu. 55 et consilium ł3 in fine libri 1, adducuntur argumento l. Qualem ff. de arbitris (D.4.8.19) et ex ratione capituli Ne innitaris, de constititutionibus (X.2.5). Verum aliter sentiunt Abbas ... Speculator et Vincen. [Xxxxxxxx di Xxxxxxxx] (...) Baldo cons. 170 (...) Angelus cons. 288. sed nunc late Scala Patavinus lib. 1 De consilio sapientis, cap. 20. Nam (inquiunt isti) iure cautum non reperitur, iudicem teneri haberi alterius consi- lium, cum possit interpretari legem quo ad causam per eum decidendam, ex lege unica C. de professoribus qui in urbe Constantinopolitana Lib. 12. (C.12.15.1) et tradit Innocen- tius [Xxxxxxxxx XX – Xxxxxxxxx de’ Fieschi] in c. Cum speciali, de appellationibus (X.2.28.61). Nec enim (ut Scala dicto consilio 20 scribit) in forma iurisiurandi quod a iudice praestatur, constitutum est, consilium hoc sapientis assumendum esse. Immo hanc opinionem probat dicta lex Qualem, de arbitris (D.4.8.19), qua probatur, arbitrium non Praetoris, sed propriam voluntatem sequi debere: alioqui suum non esset, sed alterius arbitrium, ut nostro hoc casu. Accedit quia (ut dicebat Xxxxxx) si causa esset commissa sapientis consilio, a iudice revocari posset, etiam invitis et reluctantibus partibus, ex doctrina Baldi in l. ffx illo C., de appellationibus (C.7.62.13) et confert dicta l. Ad Prin- cipem ff. de appellationibus (D.49.1.22). Immo scribit Xxxxxxx in dicta lege Ad Princi- pem (D.49.1.22) iudicem iudicare posse non expectato sapientis consilio, idem Xxxxxxx
in l.1, de relationibus (D. 5.13.1).
Sequitur ergo non teneri ab initio committere causam consilio sapientis. Xxxxxxx et illud, iudicem non teneri sequi sapientis consilium iam habitum, ut sensit Bartolus in l. Si convenerit, de re iudicata (D.42.1.26), et late hanc tuetur Scala, dicto libro 3 De consi- lio sapientis c. 25, non excusari, si malum consilium imperiti secutus sit; ut affirmarunt Butrius ... Bartolus .... Angelus ... Xxxxxx, Castrensis [Xxxxx xx Xxxxxx] Salic. [Bartolo- meo da Saliceto] et alii (...). Quod sane consilium excusaret, quando iudex iste cogera- tur illud habere, quae sane rationes, si concludunt ex iuris communis dispositione iudi- cem non teneri sumere iurisperiti consilium, quanto fortius non tenetur noster hic iudex, qui non ex aliena voluntate et arbitrio, sed ex suo iudicasse habet. Quod perpulchre con- firmatur ex doctrina Speculatoris [Xxxxxxxxx Xxxxxxx] in titulo De arbitris, § sequitur, versiculo Sed quid dicatur. Dum scriptum reliquit, clausulam in compromisso positam, pronuntietetur secundum consilium talis, nihil operari, quoniam arctaret arbitrium pro- nuntiare secundum illlum consilium, cum tamen liberam habet potestatem arbitrari aeque vel inique. (...) Scala dicto consilio 25 probat esse assumendum eo casu consilium hoc, attamen uno ore concludunt, non est sequendum necessario (...). In casu nostro dicendum est, cum omnis potestas sit penes iudicem hunc nostrum. Accedit illa ratio,
gli strumenti propri dell’aequitas, che, fermo restando la sua perma- nenza nell’operare dei giudici dell’Ordo iudiciarius medievale con tutta la polivalenza del significato che gli viene attribuito (64), ha sem- pre contraddistinto nella prassi la valutazione, tanto dell’arbitro neces- sario quanto dell’arbitro libero, degli interessi contrapposti tra le parti in causis arbitrariis (65).
hunc iudicem in causam hanc sibi arbitrariam tractare debere, ut omnis processus, si fieri potest amoveatur, quare in causis sic summarie tractandis, sapientis consilium non exigi- tur, uti egregie declarat Scala dicto libro 3, De consilio sapientis, cap. 9. ffxtenditur pro- cedere, etiam si iudex iste literarum imperitus esset, ut sunt Villarum Praetores. Nam nec isti consilium sapientis habere coguntur a iure communi, ut scribit Scala Patavinus, dito libro I, cap. 20, in fine De consilio sapientis (...). Declaratur non procedere, quando lege municipali generaliter constitum fuisset, iudicem in omnibus causis, sapientis consi- lium, sumere debere. Hoc casu concederem esse ab hoc iudice nostro assumendum (...). Nam, et si arbiter non teneatur (ut iam diximus) assumere consilium sapientis, attamen tunc assumet consuetudine regionis ita suadente, hoc tamen consilium necessario hinc iudex sequi non tenetur, sed utile tantum erit secundum Scalam, ut cautius agat, et con- troversiam finiat. Quae enim utilis consilii sunt probari, non autem sequi necessario debemus».
(63 ) Xxxxxxx Xxxxxxxxx, De arbitrariis iudicum, cit., Quaestio vigesimaquarta, f. 18b: «Quaero vigesimoquarto, an hic iudex possit omittere probationes? fft non posse, docuit Xxxxxx in l. 1 in fine ff. de evictione (D.21.2.1) (...). Xxxx est concludens ratio, quia per probationes, negotii veritas panditur, sine cuius cognitione nullam omnino ferri potest vel debet sententia. fft ideo is Amodeus [Xxxxxx de’ Castellis], qui supr num. 145 Tractatus syndicatus, in fine affirmavit (...) hunc iudicem non posse iudicare secun- dum propriam conscientiam, sed ex actis debere constare (...). Sed dicendum est in dubio non esse ei tributum liberum arbitrium, sed ut vir bonus debet arbitrari. Vir autem bonus iuxta legis dispositionem iudicat, et lex vult ex probationibus esse iudicandum. Declatur primo quo ad probationes leviores, et quae ita exactae non sunt, ut caeteris iudiciis, cum sola facti veritate inspecta agatur, (...) Xxxxxxxx (...) affirmat arbitratores posse credere levibus probationibus, cum sola veritate inspecta pronunciare habeant (...). Declaratur secundo, ut solemnitatibus omissis possit probationes recipere. (...) Immo fatetur Cravetta post multos, iudicem hunc, qui sola veritate inspecta iudicat, possit cre- dere gestis exta acta».
(64 ) Penso, sul punto, alle illuminanti pagine di Calasso, Il diritto comune come fatto spirituale, ora in Id., Introduzione al diritto comune, Milano, 1951, p. 161 ss.; v. anche Cortese, Lex, aequitas, utrumque ius nella prima civilistica, in Aa.Vv., Xxx et iustitia nell’utrumque ius. Atti del VII Colloquio internazionale romanistico-canonistico (12-14 maggio 1988), a cura di Xxxxx e Diurni, Città del Vaticano, 1989, p. 95 s.; Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., p. 174 ss.; Cortese, Le grandi linee della storia giuridica medievale, Xxxx, 0000, p. 270 ss.
(65 ) Xxxxxxx Xxxxxxxxx, De praesumptionibus, coniecturis, signis et indiciis, t. I, Praesumpt. LXXVII, Genova, 1724, p. 252: «Posteaquam dicere coepimus de praesump- tionibus quae versantur circa arbitrorum, et arbitratorum lauda, libet hic appingere hanc
Ancor più significativa sembra la posizione assunta da Xxxxxxxx, che pone apparentemente fuori tempo – apparentemente fuori tempo, in quanto se già lo stesso Xxxxxxx aveva chiarito che «sententiae arbi-
disputationem. Dubitari equidem solet, utrum tanquam arbiter vel tanquam arbitrator de causa compromissa cognoverit, laudumque tulerit, in quem fuit compromissum; ut si compromissum sit in aliquem tanquam in arbitrum, et arbitratorem; et is pronuciaverit in heac verba: Nos arbiter, et arbitrator: an pronunciaverit tanquam arbiter, vel tanquam arbitrator; hac in re sunt opiniones; una fuit eorum, qui scripserunt praesumi cognovisse, et judicasse tanquam arbitratorem. Ita Xxxxxx in l. Servus plurium, § ultimus de legatis (D.30.1.50.3) et in l. Codicillum, C. De testamentis (C.6.23.14), Angelus [degli Ubal- di], in sua disputatione Duo ad invicem, in fine secunda conclusione; qui dixit ita in foro servari; Xxxxxxxx [Xxxxxxxxx Xxxxxxx], in lege Nemo potest, n.12, in fine, de legatis (D.30.1.55), Xxxxxxxxx [Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx], in consilio 00, x. x, xxx. I, et comunem esse opinionem asseruit Felinus [Sandeo], in c. Cum ex officij, n.12, in fine et n. 52 de praescriptionibus (X.2.26.16). ffandem probarunt Ruinus [Xxxxx Xxxxx], Galliaul., in lege Centurio, n. 13ł, ff. De vulgo et pupillari substitutione (D.28.6.15), et ij quidem solida ratione moti sunt, quod hoc aequius est, ut peti posse reductio ad arbitrium boni viri; id quod favorabile est, ut evellatur omnis iniquitas. Xxxxxx fuit opinio, quod tan- quam arbiter pronunciaverit. Ita sibi parum constantes Xxxxxx in lege 3. ff. De testa- mento militis (D.29.1.3), Xxxxxxxxx in lege Si servus plurium, § ultimus, de legatis (D.30.1.50.3). Hac ratione usi sunt, quod sententia arbitri est potentior. fft rursus arbitri sententia citius sortitur effectum, l. Cum antea, C., de receptis. (C.2.55.5); ergo pro ea praesumi debet. Verum facile responderi potest secundum Felinum, in dicto c. Cum ex officii, n. 32 (X.2.26.16) dum declarat dictam legem ff. De testamento militis (D.29.1.3). Tertia fuit opinio Abbatis [Xxxxxxx xxx Xxxxxxxx, il Panormitano], in c. Nisi essent, de praebendis (X.3.5.21), praesumi cognovisse, et judicasse tanquam arbitrum, et tanquam arbitratorem, ex quo utriusque personam sustinere potuit. Non est vera haec opinio, quia potest quidem sustinere utramque personam ab initio, sed debet eligere ex qua procedere velit. Quarta fuit opinio Alciati, in Tractatu De praesumptionibus, reg. 33, praesump. 35, n. 10; ita distinguentis: aut pars quae reclamat, asserit se esse laesam, et gravatam: et tunc si conceditur (ita credo dicere voluisse Alciatus) reductio ad arbitrium boni viri, dicendum est illum judicasse tanquam arbitratorem, ex quo arbiter tenetur procedere de iure: arbitrator vero potest auferre aliquid de iure alterius, l. Si de meis, ff, de arbitris (D.4.8.) sed permissa est reductio ad arbitrium boni viri. Hoc in casu (ait Alciatus) pro- cedit prima opinio, quae probatur secundum eum, in c. Nisi essent, de praebendis (X.3.5.21). aut apparebit (subiungit Xxxxxxxx) non fuisse gravatum, et tunc censebitur judicasse ut arbitrum. Hoc casu (ait Alciatus) procedit secunda opinio. Atque ita ex post facto cognoscetur, qua potestate usus ille fuit. Haec conciliatio est valde dubia. Nam sup- ponamus, quod statim laudo isto, unus compromittentium dicat se laesum, et petat reductionem ad viri boni arbitrium: Alter vero contendat locum non fore huic reduc- tioni, ob id, quod ab arbitrio, non autem ab arbitratore fuit de causa cognitum et judica- tum. Hoc certe in dubio ex post facto cognosci non potest, quo modo cognoverit, et xxxx- caverit. Retinenda itaque est prima opinio magis recepta. Quae quidem maxime procedit, quando colligitur ex qualitate personae, in quam sit compromissum illum electum fuisse tanquam arbitratorem, ut est in casu, de quo scripsit Xxxxxx in c.1, § inter pares, de lege
tratoris, et amicabilis compositor, si sit iniqua, non est standum, immo potest peti reductio ad arbitrum boni viri, et in hoc differunt arbiter et arbitrator» (66), Xxxxx xx Xxxxxx, allievo di Xxxx xx Xxxxxxx, aveva poi ammesso un’ipotesi restrittiva di reductio del lodo derivante da arbi- trato ex necessitate statuti qualora fosse «iniquum, et enormen lesione continens» (67) – l’interrogativo sull’applicabilità dell’istituto della reductio ad arbitrium boni viri sia per la decisione presa dall’arbitrator ex compromissum che dall’arbiter operante secondo i poteri e le fun- zioni attribuitegli dall’Ordo iudiciarius, ossia sulla possibilità per la parte soccombente di adire il giudice per asserita iniquità della pro- nuncia arbitrale, vuoi di natura compromissoria (per la quale era tra- dizionalmente pacifica l’applicazione della reductio, data anche l’inap-
Xxxxxxx, quem secutus est Xxxxxxxx, in dicta praesumptione 35, in fine. Dixit Xxxxxx quod si quis compromisit in adversarium suum, censetur compromisisse in eum tanquam arbitratorem: cum non praesumatur velle litigare, dum se ponit in manibus adversarii. Nam videtur eum elegisse tanquam amicum, non autem tanquam litis disceptatorem, arg. l. Creditor, § penultimo ff. Mandati (D.17.1.60.4). ffst etiam usus alia ratione Bal- dus de qua mox dicam. Declaratur haec ratio, ut locum non habeat, quando laudum sustinere ac valere non posset tanquam latum ab arbitratore. Nam tunc praesumitur illum cognovisse, et judicasse tanquam arbitrum. Ita econtra, quando non valeret tan- quam latum ab arbitro, sumetur interpretatio quod is cognoverit, et judicasse, tanquam arbitrator. Ita Xxxxxx, in l. 3 ff. De testamento militis (D.29.1.3) Xxxxxxx, in c. Cum ordi- nem, n. 12, de rescriptis (X.1.3.6), in c. praesentata, n. 0.xx testibus (X.2.20.50) et in c. Cum officii, n. 32. de prescriptionibus (X.2.26.16), Xxxxxxxx in dicta praesumptione 35,
n. 2.Qui subjungit, quod licet arbiter non potest ferre sententiam condemnatoriam, non expressa quantitate, ad quem condemnavit, nec possit ex post facto emendare senten- tiam, l. quid tamen, § Pomponius, ff. De arbitrar (D.4.8.21.3) et in specie respondit Butrigarius [Xxxxxx Xxxxxxxxxx], in consilio 50. Attamen si talis arbiter hodie condemna- tur in ea quantitate, quam deinde subsequenti die declarasset, valeret laudum; et is cen- seretur pronunciasse tanquam arbitrator, ex quo arbitramenta ferri possunt sub condi- tione resolutiva, vel suspensiva, vel alio modo, sicuti et contractus celebrari solent, et possunt, ut tradunt Acharanus [Xxxxxx x’Xxxxxxxx], in cons. 208, Card. in consilio 31; Xxxxxxx senior, [Xxxxxx Xxxxxxx], in cons. 124, n. 3, lib. I et Dec. [Xxxxxxx Xxxxx], in c. Praeterea, 2 col. penultima, de appellitionibus (X. 2.28.22)».
(66 ) Xxxxxxx xx Xxxxxxxxxxxx, Quaestionis Xxxxxxx in materia arbitrorum, in Tractatus Illustrium, cit., n. 7, § Sententia an sit lata ab arbitro vel arbitratore, fol. 295r. L’ipotesi era peraltro già chiarificata da Xxxxxxxx Xxxxxxx, Speculum iuris, cit., lib. I, part. I, Notabilia et dubia quaedam de arbitris et arbitratoribus, § Anno lapso a tem- pore, quo coepi agere ut arbitrium reduceretur bono viro, n. 5, p. 154: «Haec non potest dici appellatio sed potius attestatio».
(67 ) Xxxxxx Castrensis, Consiliorum sive responsorum, I, Venetiis, 1580, cons. CCCCLXIIII, § Si oriatur dubium de lesione, n. 5, fol. 237r.
pellabilità del lodo), vuoi di natura giudiziaria (per la quale, invece, si palesavano alcune perplessità derivanti soprattutto dal ristretto mar- gine entro cui l’arbiter iuris potesse definire la controversia in via equi- tativa e per la quale, non a caso, era consentito l’appello) (68).
(68 ) Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Controversiarum juris libri tredecim, lib. VII, Coloniae Agrippinae, 1678, cap. 94, p. 710a: «Arbitrorum multa sunt genera. Unum huiusmodi ut sive aequum sit, sive iniquum, parere debeamus, quod observatur cum ex compro- misso ad arbitrium itum sit. Alterum huiusmodi, ut ad boni viri arbitrium redigi debeat, arbitratorem Doctores appellant, lege Societatem, vers. Arbitrorum, ff. pro socio (D.17.2.4). Xxxx et alii quos Xxxxxxxxxxx e re nata litigatoribus constituunt, a quibus appellare licet, sicut a iudicibus, l. Arbitrio ff. qui satisdare. cogantur (D.2.8.9). Ab arbi- tris autem ex appellare non licet, l. l. C., de arbitris (C.2.55.1). Si tamen sordes vel evi- dens gratia eorum, qui arbitrati sunt, intercessit, adversus agentem ex stipulatu ad poe- nam exceptio doli mali competit, lege 3. C. eodem titulo (C.2.55.3), (per hanc autem exceptionem quadam appellandi species est, cum licet retractare de sentententia arbitri), inquit Xxxxxx, in c. Non distinguemus § Cum quidem, ff. de receptis arbitris (D.4.8.32.14). Atque hic nostri communiter distinguerunt arbitrium ab arbitatore; a sen- tentia arbitri negarunt, peti posse reductionem ad arbitrium boni viri, quia ei standum sit, sive aequa, sive iniqua sit l. Diem proferre, § Stari, ff, de rec. arbitris (D.4.8.27.2).A sententia vero arbitratoris peti reductionem docuerunt ex l. Xxxxxxxxxx, vers. arbitrorm cum l. seq. ff. pro socio (D.17.2.4) ut testatur Xxxxxxx Xxxxxxxxx in cap. Quintavallis, num. 47 de iureiurando (X.2.24.23). Sed apud quem iudicem petenda sit reductio ad arbitrium boni viri, diligenter inquerendum est a sententia arbitratoris. Variae enim sunt Doctorum sententiae. Una, petendam esse apud iudicem superiorem ipsius arbitri, Xxxxxxx in l. Si suspecta, § ultimo ff. de inofficioso testamento (D.5.2.29.4), Xxxxxxx consilium 2ł5, Xxxxxxx Xxxxxxxx, in cap. Statutum § de recriptis in Sexto (V.1.3.11), Afflictus, decisione 51, Xxxxxxx in cap.1, columna 5, de praescriptionibus (X.2.26.1), Xxxxxxxx, consilio 45, n.11, lib. 1. Fundamentum est quia reductio ad arbitrium boni viri similis est appellationi, l. Non distinguemus § Cum quidam, ff. de receptis arbitris (D.4.8.32.14). Appellatio autem ad superiorem pronunciantis sententiam deferenda est,
l. Praecipimus, C., de appellationibus (C.7.62.32). Non est satis firmum, primo quia reductio ad arbitrium boni viri, non est per omnia similis appellationi, sed in eo dumta- xat, quod sententia arbitri retractatur ut dicto § Cum quidam (D.4.8.32.14), in aliis mul- tis esse dissimilis dicebat Federicus Senensis consilio 285, num. Secundo. Deinde, quia appellatio devolvit quidem causam ad superiorem iudicis qui pronunciavit, sed ille idem superior est iudex etiam litigatorum. Haec autem sententia requirit tantum, ut iudex reductionis sit superior arbitri. Idem dicunt isti, si compromittatur in clericum et laicum, et ab eorum sententia petatur reductio ad arbitrium boni viri, adeundum esse ffpisco- pum, tanquam superiorem clerici et consequenter ratio dumtaxat habetur, ut iudex reductionis sit superior arbitri non litigatorum, quod est absurdum. Secunda est senten- tia, iudicem competentem causae reductionis ad arbitrium boni viri esse qui ordinarius iudex est illius, adversus quem reductio ad arbitrium boni viri postulatur. Ita respondit Federicus Senensis in consilio 285, quem refert et sequitur Xxxxxxx Xxxxxxxxx in c. Quin- tavallis. n. 54 de iureiurando (X.2.24.23), Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx, lib. 2, Variarum resolu-
2.1. – L’arbiter iuris communis, l’arbiter ex necessitate statuti e gli arbitri compromissarij nei pratici del Seicento: una distinctio non con- corde. – La non ben delineata distinzione tra le due figure di arbitri e dei rispettivi poteri, che riflette il pensiero giuridico medievale, acuen- dosi nella dottrina del Cinquecento e poi del Seicento è altrettanto presente nella coeva esperienza notarile (69), come messo in luce da Xxxxxxx anche grazie alla riproduzione, in appendice alla sua mono- grafia, delle formule usate dai notai dal XII al XVIII secolo (70) e finanche della formula proposta, nella seconda metà del Settecento,
tionum, cap. 12, n. 2 (...). Xxxxxx est sententia, petendam esse reductionem apud ordina- rium iudicem rei apud quem alias actio fuisset instituta, et hunc esse iudicem competen- tem, xxx Xxxxxxxx, in dicta l. Societatem, vers. Arbitrorum, num. 18, ff. pro socio (D.17.2.4) et multi alii quos refert et sequitur Xxxxxxxx a Valle [Xxxxxxx xxxxx Xxxxx], in consilio 24, lib. 4 (...). Itaque ab hac sententia, quasi iam consuetudine approbata, propter Camerae Imperialis approbata, et aliorum insignium Tribunalium, non puto recedemum esse».
(69 ) Sulla rilevanza della funzione notarile nel periodo in esame, x. Xxxxxxx, Xxx- xxxx e prassi di notai preirneriani. Alle origini del Rinascimento giuridico, Milano, 1991, passim.
(70 ) Xxxxxxx, Arbiter-Arbitrator, cit., p. 225 ss. L’A. evidenzia come esse espri- mano ed a volte anticipino le diverse tendenze dottrinali: non contemplando la pre- senza dell’arbitrator (De compromisso litis, in Formularium Florentinum artis notariae (1220-1242), a cura di Xxxx, Milano, 1943, p. 31 s.; Instrumentum compromissi, in Salatiele, Ars notariae, a cura di Xxxxxxxxx, II, seconda stesura dei Codici della Biblioteca Nazionale di Parigi, Lat. 4593 e Lat. 00000, Xxxxxx, 1961, p. 306; Instru- mentum laudi, in Salatiele, Ars notariae, a cura di Xxxxxxxxx, II, cit., p. 206; Arbitra- lis forma, in Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxx, ed. a cura di Xxxxxxxx, in Quellen zur Geschichte des römisch-kanonischen Processes im Mittelalter, II, 2, Inn- sbruck, 1913, CLVIII, p. 189 s.; Forma laudi, in Grazia da Arezzo, Summa de iudi- ciario ordine, in Pillius-Tancredus-Gratia, Libri de iudiciorum ordine, Göttingen, 1842, III, tit. 2, De arbitris, n. 5, p. 383; Xxxxxx, in Xxxxxxx xx Xxxxxxx, Ars Nota- ria, ed. a cura di Xxxxxxxx, in Biblioteca Iuridica Medii Aevi. Scripta Anecdota Glossa- torum, II, Bononiae 1892, I, Rub. CXVIII, p. 54), indicando entrambe le figure e pro- ponendone la scelta a chi ne avrebbe fatto uso (Carta compromissi, in Summa Notariae Belluni composita, ed. a cura di Xxxxxxxx, in Biblioteca Iuridica Medii Aevi. Scripta Ane- cdota Glossatorum, III, Bononiae, 1901, rub. XXXVII, p. 364; Instrumentum Compro- missi, in Grazia da Arezzo, Summa de iudiciario ordine, in Pillius-Tancredus- Gratia, Libri de iudiciorum ordine, III, tit. 2, cit., De arbitris, n. 2, p. 381 s.; Carta Compromissi, in Xxxxxxxxxx, Ars Notariae, ed. a cura di Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, p. 64 s.; Carta laudi sive arbitrii, in Xxxxxxxxxx, Ars Notariae, ed. a cura di Xxxxxxxx, xxx., x. 00 s.; Instrumentum Compromissi, in Rolandino Passeggeri, Summa Artis Notariae, Xxxxxxx, 1537, pars I, cap. VI, de compromissis, fol. XLIXv; De forma com- promissi, in Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Speculum Iuris, cit., lib. I, part. I, p. 170 s.; Pac-
da Xxxxxxxx Xxxx, che ricalca quella pronunciata più di un secolo prima da Xxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxxxx (71). Tale confusione non viene risolta neanche da coloro che avevano cercato di far fronte, per usare una felice metafora di Xxxxxxx Xxxxxxx, al fenomeno di «polverizza- zione del diritto» (72), o per impiegare l’espressione di recente ripresa da Xxx Xxxxxxxx (73), al fenomeno del particolarismo giuridico di Antico Regime con la raccolta della giurisprudenza dei grandi tribu- nali europei, quale strumento di razionalizzazione ed omogeneizza- zione del patrimonio giuridico esistente, nonché fattore essenziale nella mediazione e nella scelta tra le varie disposizioni normative del diritto comune, di quello statutario e di quello sovrano.
Ne è di esempio l’opera di diritto processuale di Sigismondi Scac- cia, che già nel suo Tractatus de iudiciis causarum, civilium et crimina- lium et hereticalium del 1618 – individuando «tres species arbitrorum seu arbitratorum» sulla base di un criterio distintivo, che trova fonda- mento nella fonte della electio, ossia della scelta dell’arbitro, per cui avevano giurisdizione, venendone quasi assorbiti, gli arbitri iuris com- munis, che sono scelti «ex dispositione iuris communis», e gli arbitri ex necessitate statuti, che sono scelti «ex dispositione alicuius statuti man- dantis causam compromitti», mentre l’arbiter compromissarius, che «est electus ex mera voluntate partium», aveva solo forza contrattuale (74) – lascia significativi dubbi su come potesse l’interprete considerare di natura pubblicistico-giurisdizionale o privatistico-contrattuale un
tum pretii per arbitros declarandi, in Formularium senese serenissimo Cosmo tertio, Senis, 1686, p. 13 s.).
(71 ) Cfr. Xxxxxxx, Arbiter-Arbitrator, cit., p. 247. L’A. riporta la formola del laudo presa da Xxxxxxxx Xxxx (in Pratica civile, IV, Napoli, 1770, p. 270 ss.) sulla base di quella usata da Xxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxxxx (in Formularium instrumentorum, Venetiis, 1590, pp. 56v, 7r).
(72 ) Xxxxxxx, Storia del diritto moderno in ffuropa. Le fonti e il pensiero giuri- dico, Milano, 1982, I, p. 206 ss.
(73 ) Xxxxxxxx, La lotta per la codificazione, cit., p. 145 ss. Sulla descrizione di tale fenomeno, v. anche Xxxxxxx, Storia della cultura giuridica moderna, Bologna, 1976, p. 28 ss.; Astuti, Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, Napoli, 1984, p. 583 ss.
(74 ) Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, De iudiciis causarum, civilium et criminalium et here- ticalium, Venetiis, 1663, lib. II, cap. 9, Arbiter seu arbitrator electi ex forma iuris com- munis, n. 743, p. 425.
modo alternativo al ricorso all’ordinamento giudiziario per la risolu- zione di una controversia, sulla base non più semplicemente delle regole procedurali e dei criteri di giudizio messi a punto dalla tradi- zione consolidata dell’età di mezzo salvaguardando, seppur confusa- mente, la genesi negoziale dell’istituto, vuoi necessario, dunque obbli- gatorio, vuoi libero, ma sull’investitura del soggetto o dei soggetti chiamati a decidere. Il ragionamento seguito dal pratico secentesco sembra palesare non solo il completamento di un processo involuto di snaturamento dell’arbitrato come atto di natura privata, il che potrebbe lasciare spazio ad una riflessione critica quantomeno volta a comprendere le ragioni di rottura con la costruzione, seppur disomo- genea, della scienza giuridica medievale, ma anche una prospettiva nuova di considerazione del fenomeno che vede contrapporsi all’auto- nomia negoziale una forma, ricorrendo ad una espressione moderna, di «giurisdizione speciale». Non a caso Scaccia nel suo Tractatus de sententia et de re judicata del 1628, ad esempio, riconosce solo agli arbitri iuris communi e ex necessitate statuti il potere di conoscere e decidere sulla domanda riconvenzionale proposta da una delle parti, in quanto dotati di iurisdictio (75), mentre, in una quaestio successiva, estende agli arbitri compromissarij la facoltà di conoscere l’eccezione di compensazione allorquando essa fosse oggetto del compromes- so (76) e, dunque, non comportante l’esercizio della giurisdizione.
(75 ) Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Tractatus de sententia et re judicata, lib. III, De iudi- cis, Colonia, 1737, glossa VII, quaestio III, limitatio I, n. 4, p. 121b: «Infero ex hac subampliatione, quod arbiter, seu arbitrator voluntarius non potest cognoscere de causa reconventionis, quia non habet jurisdictionem, quae posset prorogari (...)».
(76 ) Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Tractatus de sententia et re judicata, cit., glossa VII, quaestio IV, n. 40, p. 213b: «Nona differentia, quia arbiter, seu arbitrator voluntarius, electus a partibus sive necessitate statuti, potest cognoscere super compensatione, loquendo de compensatione propria, quae est illa, quae fit de quantitate ad quantitatem, ideo fit ipso iure, prout explicant Xxxxx in l. Aquiliana, num. 9, ff. de transactionibus (D.2.15.4) e Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx. Tractatu de compromisso, q. 4, princ. n. 24, versi- culo causa cmpensationis, Tomo 3, parte I, fol. 1ł8, dicens quod arbiter, vel arbitrator, in quem est factum compromissum, potest cognoscere de compensatione, quae fit ipso iure a lege, ut si hinc inde petatur quantitas, quia de quantitate ad quantitatm bene fit compensatio ipso jure (...). Duo tamen, vel tres sunt casus in quibus arbiter potest cogno- scere de causa reconventionis. Primus est quando est arbiter iuris ... prout est is, qui eli- gitur inter consanguineos ex dispositione statutorum: hic enim potest cognoscere causam reconventionis ... et ratio est, quia arbiter isto casu habet jurisdictionem ... et eam habet
Molto più cauto nelle definizioni e molto più incline alla tradizione giuridica consolidata sembra essere Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxx, la cui produzione scientifica si estende a tutto il Seicento ed è forse ancor più legata al momento pratico del diritto rispetto a quella di Scaccia, in quanto egli stesso scrive che «le leggi si mangiano e s’inghiottiscono nelle scuole, ma poi si digeriscono ne’ tribunali» (77).
Al genere delle raccolte di consilia sembra appartenere il Theatrum veritatis et iustitiae, i cui primi cinque volumi comparvero nel 1669 presso gli eredi Corbelletti di Roma cui altri dieci seguirono, presso lo stesso editore, sino al 1673. Si tratta di una raccolta di allegazioni e decisioni soprattutto della Rota romana che vengono denominate discursus e che vengono ordinate secondo l’oggetto concreto dei rap- porti, come ad esempio il regime degli ecclesiastici, la conduzione dei processi o la gestione dei patrimoni, dando vita così ad un impianto sistematico di giurisprudenza (78).
E in quest’opera di impianto sistematico Xx Xxxx rimane fedele alla distinctio tra arbiter e arbitrator, considerando il primo una deriva- zione giurisprudenziale, elaborata anche dalla dottrina medievale, della figura e dei poteri dell’arbitro, considerato nelle fonti romane glossate e commentate dalla letteratura del rinascimento giuridico, che continua a rappresentare la natura negoziale del fenomeno arbitrale, pur trovandosi costretto nelle regole processuali dell’ordinamento giu- diziario: gli aspetti «rituali» del processo arbitrale riguardano la rego- lamentazione e lo svolgimento dell’iter della causa, ma non assorbono per questo le ragioni contrattuali a fondamento della risoluzione o
stricte sumptam ... unde cessat obstaculum, quod obstat in arbitro, electo sine necessitate statuti, quem dicunt non posse cognoscere causa reconventionis, quia non habet jurisdic- tionem, quae possit prorogari ... Restringe tamen hunc casum, ut non procedat in arbi- trio juris, electo ad unum articulum: puta, ad cognoscendam suspicionem judicis, quia is licet sit arbiter juris, tamen non potest cognoscere extra illum articulum (...)».
(77 ) Xxxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxx, Il dottor volgare ovvero il compendio di tutta la legge civile, canonica, feudale e municipale nelle cose più ricevute in pratica, Proemio, Firenze, 1859, p. 3. L’opera apparve a Roma nel 1673 e si presenta come un compen- dio di tutta la legge civile, canonica, feudale e municipale raccolta secondo un criterio dettato dalle esigenze della pratica forense e sulla base di una concezione concreta e realistica dell’ordinamento giuridico.
(78 ) Sulla vita e sulla produzione scientifica di Xx Xxxx, x. Xxxxxxxxx, voce
G.B. Xx Xxxx, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXVII, Roma, 1990, p. 340 ss.
composizione della lite. L’arbiter è colui che «tenetur juris formam ac ordinem judiciarium servare» (79), mentre gli arbitratores sono coloro che «in voluntariis compromissis pro frequentiori usu deputari solent» (80).
3. – Il panorama d’Oltralpe del XVI-XVII secolo ed il pensiero giuridico francese: l’Ordonnance de Moulins, il Code Xxxxxxx e l’impronta
«giurisdizionalizzatrice» del Code Xxxx. – Parallelamente al confuso filone dei giuristi pratici della penisola italica che, con significative sto- nature, delineavano il fenomeno arbitrale o nella sua originaria con- formazione unitaria, volta tutt’al più ad ammettere un criterio di rego- lamentazione processuale, o nella sua divisa ma non bifronte natura di istituto pubblicistico, in quanto riconducibile ad un particolare eserci- zio della iurisdictio, e di istituto privatistico in quanto espressione della voluntas negoziale delle parti, il pensiero giuridico d’Oltralpe rispondeva fecondo all’impegno legislativo francese che fin dal Cin- quecento aveva cercato di arginare la tradizione consuetudinaria (81) che ammetteva l’arbitrage come potere dei privati, e dunque come espressione dell’autonomia negoziale, di risolvere le controversie
(79 ) Xxxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxx, Theatrum Veritatis et Xxxxxxxx, lib. XV, Xx Xxxx- cii et de praxi Curae romanae cum Relatione eiusdem Curae forensis, eiusque Tribuna- lium, Romae, 1673, disc. XI, n. 20, p. 64: «ffademque facultates, vel clausulae hodie se communi stylo adijci solitae, dirimunt quaestiones, quae antiquiori tempore disputari solebant, circa necessitatem citationis, tam in substantia, quam in solemnitate; Ae etiam circa iudicij telam, seu ordinem, necnon circa facultatem deputandi tertium in casu discordiae, an de ista in actis constare debeat, sive an valeat eadem facultas de persona incerta, cum similibus; Quoniam huiusmodi quaestiones cadunt in puris arbitris, non autem in Arbitratoribus, et Amicalibus compositoribus, qui in voluntariis compromissis pro frequentiori usu deputari solent, quibus datur facultas procedendi de iure, et de facto, nullo quocumque tempore iuris ordine servato».
(80 ) Xxxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxx, Theatrum Veritatis et Xxxxxxxx, lib. XV, cit., disc. XI, n. 30, p. 66: «Ubi Arbitri, et Arbitatoris potestas data sit, in eius electione est, quam personam gerere velit, sed si primam eligat, tenetur iuris formam, ac ordinem iudi- ciarum servare; Quando autem uno, vel altero modo in dubio procedere voluisse dicen- dum sit, certam non habet regulam, sed a facti qualitate, et circumstantijs, vel argumen- tis pendet».
(81 ) Cfr. Jeanclos, La pratique de l’arbitrage du XII au XV siècle. ffléments d’analyse, in Rev. arb., 1999, p. 470 ss. Un accenno lo si ha anche in Marani, Favore e disfavore per l’arbitrato nella storia giuridica italiana e francese, in Rass. arb., 1964, p. 763 ss.
senza la necessaria «intermediazione» del potere pubblico (82).
Al fine di comprendere la posizione lungimirante della dottrina sei-settecentesca occorre preliminarmente analizzare, o quantomeno ripercorrere nei tratti essenziali inerenti alla disciplina dell’arbitrato, il panorama legislativo francese del XVI e XVII secolo che ebbe note- voli influenze nella codificazione napoleonica di diritto processuale civile (83), proprio perché avviò quel fenomeno irreversibile di irrigidi- mento processuale e di giurisdizionalizzazione dell’istituto tale da comportare, nelle pur espresse previsioni normative a tutela dell’arbi- trato volontario, il «tramonto legislativo» della figura dell’arbitro libero.
Una prima pietra fu posta dall’editto di Xxxxxxxxx XX emanato a Fontainebleau nel 1560 che, per opera del cancelliere e già vissuto uomo politico Xxxxxx de l’Hospital (84), impose l’arbitrato, sia per le liti tra commercianti, sia per quelle inerenti al diritto di famiglia, nel- l’ambito di regole e schemi processuali che non possono non rivelarne il tentativo estremo di attrazione entro la sfera del potere pubblico e del controllo giurisdizionale: «fft ce qui sera fait par eux aura force de chose jugée et sera mis à exécution par les juges des lieux nonobstant opposition ou appellation quelconques et sans préjudice d’icelles. (...) fft ne sera reçu l’appel que préalablement lesdits partages ne soient entière- ment exécutés, le quel appel ressortira immédiatement à la cour de Par- lement où les parties sont demeurantes» (85). Tale posizione venne ancor più rinforzata nell’ambito delle ordonnances royales ovvero di quelle composizioni di leggi suddivise per settori al fine di riorganiz- zare sistematicamente le fonti legislative ancora fondate sul diritto comune: ne è da esempio l’Ordonnance de Moulins del 1566 sulla
(82 ) Sul punto sono illuminanti le pagine di Xxxxxxx, L’arbitrage dans la période moderne (XVI-XVIII siècle), in Rev. arb., 2000, p. 192 ss.
(83 ) V. infra, in questa parte V, sez. VI, n. 4.
(84 ) Xxxxxx de l’Hospital era già stato consigliere al Parlamento di Parigi e amba- sciatore al Concilio di Trento quando alla fine della sua carriera – sarebbe morto di lì a poco – pose mano all’Editto sull’arbitrato (1560) e all’editto sulla transazione (1561).
(85 ) Cfr. Traité de la réformation de la justice cinquième partie, in Oeuvres inédites de Xxxxxx X’Hospital, Chancelier de France, ornérs de portraits et de vues dessinés et gravés par X. Xxxxxxx, Suivies d’un Tableau de la législation française au seizéme siècle, et accompagnées de notes historiques, par X.X.X. Xxxxx, xxxxxx, XX, Xxxxx, 0000, p. 321.
riforma della giustizia che riprende alla lettera quanto scritto nel- l’editto di Fontainebleau (86).
La sintesi legislativa di questa tendenza si avverte nel Seicento francese quando si assiste a veri e propri tentativi organici di raccolta di ordonnances.
Nel 1629 l’ordonnance di Xxxxx XXXX, nota come Code Xxxxxxx, dopo aver ripreso l’editto del 1560 stabilisce che: «conformément à icelle les exécutions des sentences arbitrales renvoyées aux juges ordi- naires et les appellations desdites sentences arbitrales aux jugesprési- diaux pour ce est de leur pouvoir et pour ce qui excèdera aux cours de parlement, si ce n’est que par le compromis les parties se soient soumi- ses pour l’appel à nos parlements. fft ne pourront lesdites appelations être reçues que le jugement arbitral ne soit entièrement exécuté et la peine payée si elle stipulée, à peine de nullité des arrêt donnés au con- traire de la disposition présente» (87 ). Nel 1673 l’importante Ordon- xxxxx sur le commerce di Xxxxx XXX, detta Code Marchand, sotto il Titolo IV «Des sociétés» all’art. 9 impone che:«Toute le Société con- tiendra la clause de se soumettre aux Arbitres, pour les contestations qui surviendront entre les Associés: et encore que la clause fut omise, un des Associés en pourra nommer, ce que les autres seront tenus de faire; sinon en sera nommé par le Jugé pour ceux qui en feront refus» (88). L’Ordonnance de la marine del 1681, la cui realizzazione si deve a Xxxx-Xxxxxxxx Xxxxxxx, sotto il Livre Troisieme «Des Contrats Marittimes», Titolo VI «De Assûrances», all’art. 3 contemplante l’ipo-
(86 ) Cfr. Recueil général des anciennes lois françaises, depuis l’an 420 jusqu’à la Révolution de 1789, par MM. Isambert, Avocat aux Conseils du Roi et à la Cour de cas- sation; Decrusy, Avocat à la Cour royale de Paris; Taillandier, Avocat aux Conseils du Roi et à la Cour de cassation, XIV, 1, Jullet 1599-Mai 1571, p. 189 s.
(87 ) Il testo citato è ripreso da Traité de l’arbitrage en matière civile et commer- ciale, par X. Xxxxxxxx ancien avocat aux conseils du Roi et a la Cour de Cassation. ffdi- tion augmentée en Belgique, Bruxelles, 1837, p. 85. V. anche Dictionnaire historique des Institutions moeurs et coutumes de la France par A. Xxxxxxx, XX, Xxxxx, 0000, p. 89 ss.
(88 ) Cfr. Ordonnance de Xxxxx XXX sur le commerce, enrichie d’annotations et de Décisions importantes, par Monsieur Xxxxxxxx Xxxxxxx, Lieutenant particulier en la Séné- chausseé de Montpellier. Nouvelle édition. Augmenteé des fídits, Déclarations et Ordon- nances, donnés par Xxxxx XX, en interprétation de celles de Xxxxx XXX; et d’un trés- grand nombre de Notes, Paris, 1757, p. 70.
tesi di contestazione di «sentence arbitraile» avente ad oggetto il valore della polizza di assicurazione, fissa rigidi criteri processuali di formulazione dell’appello (89).
Ma l’evidenza del confluire dell’arbitrage nell’assetto giurisdizio- nale dell’ordinamento raggiunge vette più alte con il Code Xxxxx del 1667 che, ispirato a statuire, esplicitamente e per la prima volta in un testo legislativo, il principio «de l’obéissance que doit le Magistrat aux lois», finiva per ridurre il rito civile nella legislazione processuale e questa nella volontà del sovrano, come messo chiaramente in luce da Xxxxxx Xxxxxxx (90) nel ricco contributo introduttivo alla ristampa del- l’Ordonnance civile touchant la reformation de la justice. Del resto, la tassativa regolamentazione tanto della «forme de procéder par-devant les juges» (91), quanto alla «forme de procéder aux jugemens, et des pro- nunciations» (92), pur in mancanza di qualsivoglia riferimento norma- tivo all’arbitrato che così parrebbe rimasto indenne all’intervento legi- slativo, fanno presumere una posizione del legislatore francese che intendesse sempre più costringere la figura dell’arbitro entro i confini dell’esercizio di una giurisdizione regolamentata e scandita dalla legge: si potrebbe addirittura asserire che in tale ipotesi fosse venuta meno la consapevolezza dell’esistenza della pur residuale figura dell’arbitrator, irreversibilmente legato al compromissum, attore della tradizione con- suetudinaria e del diritto comune.
Ma tale consapevolezza, già ben radicata nella cultura giuridica francese del Cinquecento – come si può desumere, ma solo per un approdo consolidato, dalla «lettura» di un passo dei Commentarii de
(89 ) Cfr. Ordonnance de la Marine Du mois d’Aust 1ł81. Commentée et Conferée sur les anciennes Ordonnances, le Droit Xxxxxx, et les nouveaux Règlements, Paris, 1714, p. 250 s.
(90 ) Xxxxxxx, Code Xxxxx, I, Ordonnance Civile (1łł7), in Testi e documenti per la storia del processo, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxxx, Milano, 1996, p. XVI ss.
(91 ) Cfr. Titre XXXV («De requétes civiles») dell’ordonnance civile touchant la reformation de la justice, in Xxxxxxx, Code Xxxxx, I, cit., p. 59 ss. V. anche Procez ver- bal des Conférences tenus par ordre du Roi, entre Messieurs les Commissaires du Con- seil et Messieurs les Députés du Parlement de Paris, pur l’examen des Articles de l’Or- donnance Civile, du mois d’Xxxxx, 0xx0, in Id., Code Xxxxx, I, cit., p. 60 ss.
(92 ) Cfr. Titre XXVI dell’ordonnance civile touchant la reformation de la justice, in
Xxxxxxx, Code Xxxxx, I, cit., p. 43 ss.
Iure civili di Xxxx Xxxxxxxx (93) e di un passo di Xxxxxx Xxxxxxx (94), entrambi esponenti della Scuola culta, seppur con un taglio scientifico diverso (95) – non sfiorì nella dottrina francese del Seicento e del Set- tecento.
3.1. – Il fenomeno arbitrale nella dottrina giuridica francese del Sei- Settecento: tentativi di sintesi tra la «vecchia» e la «nuova» disciplina. – Quando Xxxx Xxxxx pubblicò le Lois civiles dans leur ordre naturel, le ordonnances finalizzate alla riforma della giustizia, erano vigenti e, sotto un profilo legislativo, avevano configurato un istituto arbitrale nuovo o quantomeno slegato dal modello tradizionale.
Ma il giurista francese, così attento alla coerenza del sistema giuri- dico e altresì convinto dei limiti del legislatore, giacché questi non poteva esercitare la sua autorità laddove il diritto naturale non lo con- sentisse in quanto esistevano delle loix immuables (96), non si limita ad illustrare la disciplina del fenomeno arbitrale secondo la disciplina legislativa in materia. Egli impronta la propria analisi nella consapevo- lezza di trovarsi dinnanzi ad un istituto saldamente legato alla tradi- zione previgente, una tradizione divisa tra il droit coutumier e il diritto romano elaborato dai giuristi medievali (97).
Un taglio originale, quello dato da Domat, che gli ha consentito di mettere a nudo la naturale conformazione negoziale dell’istituto, pur rispettando l’impronta pubblicistica impressagli dal legislatore.
Infatti, il giurista francese se, proprio in forza della nuova disci-
(93 ) Cfr. Xxxxxxx Xxxxxxx Iureconsulti Commentarium de Iure Civili, lib. XVII, Francofurti, 1595, p. 200.
(94 ) Cfr. Xxxxxx Cujacii X.X. in librum primum Xxxxx ad ffdictum Commentarii seu recitationes solemnes, Anno 1584, in Xxxxxx Cujacii Xx. Tolosatis Opera Ad parisiensem fabrotianam editionem diligentissime exacta in tomos XIII. Distribuita arictoria atque amendatoria, V, Prati, 1838, c. 291.
(95 ) Cfr. Mattone, Manuale giuridico e insegnamento del diritto nelle università italiane del XVI secolo, in Diritto e storia. Rivista internazionale di scienze giuridiche e tradizione romana, n. 6, 2007.
(96 ) Cfr. Pourquay on a fait un Traité de Loix, in Preface, in Le loix civiles dans leur ordre naturel par X. Xxxxx, Paris, 1777, I, p. 5 ss.
(97 ) Sul punto si rinvia al significativo contributo monografico di Caravale, Alle origini del diritto europeo: ius commune, droit commun, common law nella dottrina giu- ridica della prima età moderna, Bologna, 2005, passim.
plina normativa, tende a disegnare una figura unitaria di arbitro che svolge le medesime funzioni attribuite dall’ordinamento al giudice, in quanto «comme les arbitres sont choisis pour accomoder autant que pour juger les affaires qu’on met en leurs mains, et que par cette raion ils sont comme des médiateurs, à qui les ordonnances donnent les noms d’arbitres, arbitrateurs et amiables compositeurs, leurs fonctions ne sont par bornées à la même séverité, ni à la même exactitude que celles des juges» (98), non può contestualmente negare la diversa natura dei due poteri, l’uno prettamente giudiziario e dunque volto a definire in punto di diritto ed entro rigidi criteri processuali la controversia, l’al- tro inscindibilmente legato alla voluntas delle parti in conflitto di inte- ressi: «cette disposition des personnes, qui, au lieu des juges ordinaires, prennent des arbitres, donne pouvoir à ceux qu’ils choisissent, de préfér les considération du bien de la paix à l’exactitude de la justice, qui pour- roint laisser des occasions de division. Ainsi on voit quelquefois que dans des questions douteuses, que les juges sont obligés de décider en faveur de l’une ou de l’autre des parties sans aucun milieu, les arbitres prennent des tempéramens et des moyens tels que les parties les pren- droient elles-mêmes, si au lieu d’un jugement elles prenoient la voie d’une transaction» (99). Una volonté de negociabilité, perché questo richiede la transaction, che si riflette inevitabilmente nei criteri e nei parametri di giudizio degli arbitri in quanto chiamati a sanare la ten- sione tra le parti attraverso un equilibrato temperamento degli inte- ressi contrapposti, temperamento che lascia presumere non già neces- sariamente la ferma applicazione della norma giuridica, quanto piutto- sto un accomodamento, forse anche in via equitativa, delle posizioni assunte dalle parti: di particolare rilievo, a mio avviso, risulta essere tanto la valutazione adottata (100), quanto il legame, che Domat evi-
(98 ) Xxx. Xx xxxx xxxxxxx xxxx xxxx xxxxx naturel par X. Xxxxx, II, cit., sect. I, De fun- ctions des arbitres, et de leur pouvoir, p. 186.
(99 ) Xxx. Xx xxxx xxxxxxx xxxx xxxx xxxxx naturel par X. Xxxxx, II, cit., sect. I, De fun- ctions des arbitres, et de leur pouvoir, p. 187.
(100 ) I criteri di valutazione adottati dal giudice come interprete del diritto nella Francia di fine Seicento escludevano, nella rigidità dell’ordinamento giudiziario, il ricorso all’equità. I poteri del giudice erano fortemente limitati basti pensare che nel ventennio tra il 1653 ed il 1673 vi furono numerosi provvedimenti del re a riguardo: cfr. Xxxxxx-Xxxxxx, Histoire du droit français des origines à la Révolution, Paris,
xxxxxx, tra la predisposizione delle parti a transigere e il diverso atteg- giamento che, proprio per questo rapporto, verrebbe ad assumere l’arbitro rispetto al giudice.
Il pensiero di Xxxxx ebbe certamente eco nella dottrina del Sette- cento anche se non trovò alcun riscontro nella grande opera del giuri- sta d’Orléans Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxx, che, tra il 1748 ed il 1752, diede alle stampe le Pandectae Xxxxxxxxxxx in novum ordinem digestae, gene- ralizzando e collocando secondo un nuovo ordine le fonti del diritto romano raccolte da Xxxxxxxxxxx (101): quest’ultimo, infatti, sulla scia delle ordonnances si allontanò dalla concezione negoziale che i romani avevano dell’arbitrato (102) e sovrappose la figura dell’arbitro a quella del giudice (103).
Un primo timido riferimento a Domat forse lo si coglie, nella prima metà del secolo, nel pensiero del giurista xxxxxxxx Xxxxxx- Xxxxxx De Ferrière che se nel suo Dictionnaire de droit et de pratique dopo una definizione generica di arbitrage intesa come «une espéce de Jurisdiction que les Avocats ou autres Particuliers exercent en vertu du pouvoir qui leur est donné par les Parties de décider leurs contesta- tions», distingue l’«arbitrateur ou amiable compositeur», che «est celui qui est elu par les parties pour terminer leur differendo à l’amiable, selon l’équité, sans être tenu de garder exactement les formalités de Justice, à la rigueur du Droit», dall’«arbitre», che, sebbene «est appellé Arbitre de droit, parce qu’il doit suivre le Droit à la rigueur» e dunque
1948, (rist. anast. del Centre National de la Recherche scientifique, Paris, 1988), n. 405,
p. 547 ss. Sull’argomento si rimanda ad un recentissimo e originale contributo mono- grafico di Alvazzi del Frate, Giustizia e garanzie giurisdizionali. Appunti di storia degli ordinamenti giudiziari, Torino, 2011, p. 5 ss.
(101 ) Cfr. Xxxxxxxx, Alla ricerca dell’ordine. Fonti e cultura giuridica nell’età moderna, Torino, 2002, p. 143 ss. Per la descrizione dell’opera si rinvia anche a Schi- pani, Premessa, in Iustiniani Augusti Digesta seu Pandectae. Testo e traduzione, I, Milano, 2005, p. XXII.
(102 ) Cfr. Talamanca, Ricerche in tema di compromissum, Milano, 1958, passim.
(103 ) Cfr. Pandectes de Xxxxxxxxx, mises dans un nouvel ordre, avec les lois du code et les novelles qui confirment, expliquent ou abrogent le droit des pandectes. Par R. J. Xxxxxxx traduites Par M. de Bréard-Neuville; Revues et corrigés, pour le Texte et la Tra- duction, par X. Xxxxxx xx Xxxxxxxx, Avocat. Tome Troisième, Contenant les livres III et IV, qui terminent la première partie du Digeste, et le livre V, qui commence la seconde partie, Paris, 1819, p. 429: «Le compromis a beaucoup d’affinité avec les juge- mens, et son objet comme celui des jugemens, est de terminer les procès».
tenuto a seguire le regole dell’ordinamento giudiziario, «provienne uniquement du consentement que les Parties ont donné de s’en tenir à la décision» (104).
La consapevolezza della comune natura negoziale dei poteri delle due figure di arbitro, l’una libera dal rito processuale e con la facoltà di definire la controversia anche in via d’equità, l’altra legata ai criteri fissati dall’ordinamento giudiziario e tenuta a pronunciarsi applicando la legge, emerge chiaramente anche dalla rilevanza che il De Ferrière attribuisce al compromissum non solo per quanto concerne l’operare degli amiables compositeurs, ma anche per quanto attiene l’operare dell’arbitro di diritto in quanto «le compromis doit fixer le tems dans l’espace duquel les Arbitres rendent leur Sentence» (105).
La funzione del compromissum come elemento di comunione tra le due figure di arbitro è messa in luce anche nel Traité de l’administra- tion de la justice di Jousse che, più condizionato dalla posizione di Domat, ripercorrendone il ragionamento, arriva a dichiarare che «a partir du compromis qui les avait nommés les arbitres pouvaient aussi
(104 ) Cfr. Dictionnaire de droit et de pratique, contenant l’explication des termes de Droit, d’Ordonnances, de Cotume et de Pratique. Avec les jurisdictions de France. Par
X. Xxxxxx-Xxxxxx xx Xxxxxxxx, Doyen des Docteurs-Regens de la Faculté de Droit de Paris, et ancient Avocat en Parlement. Troisiéme fídition. Revue, corrigée et augmentée, par X. Xxxxxx-Xxxxxx xx Xxxxxxxx, X, Xxxxx, 0000, p. 113.
(105 ) Cfr. Dictionnaire de droit et de pratique, contenant l’explication des termes de Droit, d’Ordonnances, de Cotume et de Pratique. Avec les juridictions de France. Par X. Xxxxxx-Xxxxxx xx Xxxxxxxx, I, cit., p. 334. Si riporta, per completezza espositiva, anche la definizione di compromesso contenuta nella stessa pagina: «est un acte écrit, signé des Parties, par le quel elles convinnent d’une ou de plusieurs personnes pour décider leur différend, et promettent réciproquement de se tenir à leur décision, sous quelque peine pécuniaire contre le contrevenant, la quelle doit être spécifiée dans l’acte». Tale definizione era stata adoperata già da Xxxxx nei primi del Settecento anche se questi assume una posizione assai diversa da de Ferrière in quanto non tarda a tratteggiare i poteri dell’arbitro come poteri del giudice ossia come poteri conferiti dalla giurisdizione: «Si, il y en a qui sont nommez par les Juges ordinaires, et donnez aux Parties pour juger leurs differendo (...) Les Arbitres, à proprement parler, sont ceux qui sont tenus dans leur instruction et jugement, xx xxxxxx xxx xxxxxxxx xx xx Xxxxxxx, xx x’xxxxx du Droit» (cfr. La nouvelle pratique civile, criminelle, et beneficiale ou le nouveau praticien Xxxxxxxx, Reformé suivant les nouvelles Ordonnances. Par X. Xxxxx, Ancien Avocat au Parlement. Avec un Traité du Droit d’Indult, et un Traité de la Jurisdiction fícclesiastique, trouvez dans les Manuscrits de l’Auter, Douzieme ffdi- tion, I, Paris, 1719, p. 124).
bien proposer formellement aux parties de clore l’affaire par une transac- tion dont ils établissaient les éléments» (106).
3.2. – L’arbitrage nella Francia rivoluzionaria: il contributo di Xxxxxx- cet e la testimonianza di Xxxxxxxxxxx. – Con il Décret sur l’organisation judiciaire del 16-24 agosto 1790, l’Assemblea Costituente della Francia rivoluzionaria, nei primi articoli del suddetto testo di legge, dispose il ricorso all’arbitrato necessario per le controversie tra congiunti, isti- tuendo e regolando un apposito tribunale arbitrale chiamato «Tribu- naux de famille», che ben presto divenne anche competente per le cause di divorzio e per le cause di successione (107).
Si trattò di un vero e proprio snaturamento dello strumento arbi- trale, che veniva imposto alla volontà delle parti, peraltro in una mate- ria estranea all’autonomia negoziale; la soluzione equitativa veniva chiaramente esclusa dalla necessaria applicazione della normativa vigente e, dunque, dalla soggezione alle règles impératives del neonato organo giusdicente.
Tale snaturamento è ancor più riscontrabile nella legge del 10 giu- gno 1793, votata dalla Convenzione nazionale, in quanto deferiva ad arbitri pubblici, eletti annualmente dal popolo, la cognizione delle controversie fra Comuni e privati relative ai beni comunali e patrimo- niali: si tratta di un ampliamento dell’istituto dell’arbitrato obbligato- rio definito, non a caso, «arbitrage forcé» (108).
(106 ) Cfr. Traité des arbitrages et compromis, in Traité de l’administration de la justice, ou l’on esamine tout ce qui regarde la Jurisdiction en général; la Compétence, les Fonctions, Devoirs, Rangs, Séances et Prérogatives des Officiers de Judicature, et princi- palement des Présidiaux, Bailliages, Sénéchaussées, Prévôtés, et autres Justices ordinai- res, tant royales que subalterns; ainsi que ce qui concerne les Greffiers, Notaires, Avo- cats, Procureurs, Huissiers, et autres Personnes employées pour l’exercice de la Justice. Par X. Xxxxxx, Conseiller au Présidial d’Xxxxxxx, XX, Xxxxx, 0000, p. 683. Per quanto concerne gli effetti del compromis, v. la descrizione offerta dall’A. nelle p. 688 s.
(107 ) Per la competenza in merito alle cause di divorzio si fa riferimento alla legge del 20 settembre 1792, mentre per quella in merito alle cause successorie si fa riferi- mento alla legge del 6-10 gennaio 1794: cfr. Xxxxxxxxx, Arbitrage forcé et justice d’fítat pendant la Révolution française d’après l’exemple de Montpellier, in Annales historique de la Révolution française, octobre-décembre 2007, p. 65 ss.
(108 ) Cfr. Xxxxxxxxx, Arbitrage forcé et justice d’fítat pendant la Révolution
française d’après l’exemple de Montpellier, cit., p. 69. L’A. mette in evidenza come in realtà l’istituto dell’arbitrage forcé fosse derivato non già dalla volontà di sottrarre ai
Ad ogni modo le costruzioni dottrinali sei-settecentesche, tese a sintetizzare o forse meglio a sposare la tradizione con l’impegno legi- slativo verso una composizione architettonica della giurisdizione, assunsero rilievo proprio nella riflessione sul «processo di radicalizza- zione della rivoluzione» (109), nelle argomentazioni sulle prime costitu- zioni.
Una testimonianza in tal senso viene dal filosofo Xxxxx Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxx xx Xxxxxxx, marchese di Condorcet che, grazie al suo forte impegno politico nell’età rivoluzionaria, ebbe anche modo di occuparsi delle riforme della giustizia (110).
privati la scelta di un modello alternativo di risoluzione della controversia a quello tipizzato dal legislatore, quanto piuttosto dalla poca fiducia che si aveva verso i giudici ordinari: il retaggio della magistratura di antico regime, corrotta ed inneficiente, aveva spinto il legislatore a creare un «tribunale nuovo», parallelo alla giurisdizione statuale, che rispondesse a criteri di efficienza ed onestà.
(109 ) Sul punto, x. Xxxxxxxx, Il futuro ha un cuore antico. Considerazioni sul codice di procedura civile del 180ł, in I codici napoleonici, I, Codice di procedura civile (180ł), Testi e documenti per la storia del processo, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxxx, Milano, 2000, p. IX s.
(110 ) In tal senso, x. Xxxxx, Histoire de la justice en France de la monarchie abso- lue à la République, Paris, 1995, p. 330 ss. Per l’impegno politico di Condorcet, v. il volume, facente parte della Collection de documents relatifs a l’histoire de Paris pen- dant la Révolution Française. Publiée sous le patronage du Conseil municipal, La Société des Jacobins. Recueil de documents pour l’histoire du club des jacobins de Paris par X.-X. Xxxxxx, VI, mars a novembre 1794, Xxxxx, 0000, passim. Xxxxxxxxx ebbe un ruolo molto rilevante agli inizi della nel 1789; sperava in una ricostruzione della società e sostenne diverse istanze di ispirazione liberale. Nel 1791 fu eletto come rappresen- tante all’Assemblea nazionale, di cui fu in seguito nominato segretario. Egli propose una bozza di costituzione monarchica per la nuova Francia. Si espresse a favore del diritto di voto alle donne per le nuove elezioni, scrivendo un articolo per il Journal de la Société de 1789 e pubblicando De l’admission des femmes au droit de cité nel 1790. Dopo il 1792 le due principali fazioni politiche erano i Girondini, divenuto ormai il gruppo più moderato, e i Montagnardi, fautori di una liquidazione rapida della monarchia come l’ultimo residuo dell’Ancien Régime. Benché Xxxxxxxxx non facesse parte integrante di alcun gruppo, è considerato un Girondino, gruppo in cui aveva diversi amici. Fu presidente dell’Assemblea quando i Girondini ne avevano la maggio- ranza, fino a quando nel 1792 fu sostituita dalla Convenzione Nazionale, eletta per scrivere una nuova costituzione (Costituzione francese del 1793) che abolì la monar- chia in favore della Repubblica, dopo la fuga del re Xxxxx XXX a Varennes. Quando Xxxxx XXX fu processato, i Girondini avevano già perso la maggioranza alla Conven- zione. Xxxxxxxxx, che si opponeva alla pena di morte, ma appoggiava il processo, si espresse contro l’esecuzione del re durante il voto nominale alla Convenzione. Questo episodio lo fece considerare un Girondino a tutti gli effetti. I Montagnardi stavano
Sulla base e sulla spinta del suo saggio, scritto poco prima della morte avvenuta nel 1794 (111), è possibile ricostruire come abbia clas- sificato i poteri dell’arbitro e quale natura abbia inteso attribuir- gli (112). L’art. 5 della Costituzione del 3 settembre 1791 – che riprende solo in parte quanto disposto dall’art. 1 del suindicato Décret sur l’organisation judiciaire del 16-24 agosto 1790, che vedeva nell’ar- bitrage «le moyen le plus raisonnable de terminer les contestations entre les citoyens» e che riteneva inammissibile qualsivoglia regolamenta- zione processuale dell’istituto in quanto nessuna normativa avrebbe potuto «tendraient à diminuer la faveur ou l’efficacité des compromis»– statuiva che «le droit des citoyens de terminer définitivement leurs con- testations par la voie de l’arbitrage ne peut recevoir aucune atteinte par les actes du pouvoir législatif». Dunque, il compromesso rendeva ancora omaggio all’arbitrato considerato dal legislatore costituzionale come istituto unitario, privo di differenze o deviazioni interne dalla originaria natura negoziale e che poteva essere qualificato tranquilla- mente come un semplice e naturale «recours à l’équité, à la sagesse des hommes impartiaux» (113).
acquisendo sempre più influenza alla Convenzione, visto che il tradimento del re stava confermando le loro tesi. Un montagnardo, Xxxxx-Xxxx Xxxxxxx de Seychelles, come Condorcet membro della Commissione per la Costituzione, rielaborò pesantemente la bozza di Condorcet e presentò quella che fu chiamata la Costituzione Montagnarda. Condorcet criticò questa rielaborazione e, di conseguenza, fu accusato di tradimento. Il 3 ottobre 1793 fu emesso un mandato di cattura nei suoi confronti.
(111 ) Il mandato d’arresto costrinse Xxxxxxxxx a nascondersi. Restò per diversi mesi nella casa di Xxxxxx Xxxxxx, a Parigi, ove scrisse L’ffsquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain, che fu pubblicato postumo nel 1795. Il Condorcet, convinto di non essere più al sicuro, lasciò il suo nascondiglio e cercò di lasciare Parigi. Due giorni dopo fu arrestato a Clamart e imprigionato a Xxxxx-la-Reine (o, come veniva chiamata la cittadina durante la Rivoluzione, Xxxxx-l’Égalité). Quarantotto ore dopo fu ritrovato morto nella sua cella. La teoria prevalentemente accettata è che un suo amico gli avesse fornito del veleno e che Xxxxxxxxx l’usò per suicidarsi (cfr. Collection de documents relatifs a l’hi- stoire de Paris pendant la Révolution Française, cit.).
(112 ) Cfr. de Condorcet, ffssai sur la constitution et les fonctions des Assemblées Provinciales, I, Paris, 1788, passim; Id., ffxposé des principles et des motifs du plan de Constitution, Paris, 1793, in Oeuvres de Condorcet publiées par X. Xxxxxxxxx O’Xxx- xxx, XXX, Xxxxx, 0000.
(113 ) de Xxxxxxxxx, ffxposé des principles et des motifs du plan de Constitution, Paris, 1793, in Oeuvres de Condorcet publiées par X. Xxxxxxxxx X’Xxxxxx, XII, cit., p. 379 ss.
Sullo stesso ragionamento poggia la tesi del deputato Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx (114), i cui occhi videro – all’indomani della costituziona- lizzazione del principio per cui ciascun cittadino, in virtù dell’autono- mia privata che gli era riconosciuta per forza di natura, poteva diri- mere una controversia senza passare per la via della giurisdizione – la promulgazione di leggi volte a rendere obbligatorio, e per ciò stesso contrario alla sua natura, l’istituto dell’arbitrato. Lo sguardo dell’«av- vocato del popolo» (115) si pose critico su quello che è stato un vero e proprio giro di boa del legislatore francese che, ad esempio, ha devo- luto ad arbitri, attraverso i suindicati provvedimenti legislativi del 1790 e del 1793, le controversie famigliari al Tribunaux de famille e le controversie fra Comuni e privati relative a beni comunali e patrimo- niali ad arbitri istituzionalizzati, senza facoltà di scegliere per le parti, e spingendosi addirittura, nei relativi testi normativi, a distinguere gli arbitri privati dagli arbitri pubblici dotati di iurisdictio.
A voler interpretare il pensiero di Xxxxxxxxxxx espresso nel suo Discours sur l’institution de l’arbitrage in seno all’assemblea, possiamo ritenere che si è trattato di un vero e proprio tradimento dell’esprit de loi constitutionelle e di una rottura con quella tradizione che, nutrita del diritto naturale, aveva configurato i poteri dell’arbitro come inve- stiti esclusivamente dalla volontà dei cittadini (116).
(114 ) Sull’impegno politico di Xxxxxxxxxxx, v. Vie secrette, politique et curieuse de
M.J. Xxxxxxxxxxx, Deputé à l’Assemblée constituante en 1789, et à la convention natio- nale jusqu’au, Thermidor l’an denxième de la Rèpublique, par I. Xxxxxxxx, Paris, 1794, passim.
(115 ) In tal senso x. Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx x xxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 9 ss.; v. inoltre, ad esempio, Id., Romanité ressuscitée et Constitution de 1793, in L’An I et l’apprentissage de la démocratie. Actes du Colloque organiséà Saint-Xxxx les 21, 22, 23, 24 juin 1993, a cura di Xxxxxxxxx, Xxxxx-Xxxxx, 0000. La lettura del pensiero di Xxxx- xxxxxxx è stata particolarmente sentita nella prima produzione scientifica dell’A., come dimostrano poche righe recentemente apparse in Consortium omnis vitae. Lettere per Xxxxxxx. In memoria di Xxxx Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, Napoli, 2009, p. 4:
«Abitammo prima a Torino, all’inizio della collina, in una mansarda di via Xxxx; qui terminai il mio lavoro su Tribunato e resistenza, piangendo la morte di Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx».
(116 ) Cfr. Ire intervention: Sur l’institution de l’arbitrage, Séance du 17 juin 1793, Discussion de la Constitution (suite), in Gazette nationale ou le Moniteur universel, n. 171, p. 736, Journal universel, t. XXVII, n. 1306, p. 5027, in Oeuvres de Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, IX, Discours (4a Partie) Septembre 1792-27 Juillet 1793. ffdition prepare
Xxxxxx Xxxxxxxxxxx non ebbe modo di conoscerne gli effetti, dato che fu ghigliottinato il 28 luglio del 1794, il Conseil des Cinq-Cents, assemblea legislativa introdotta solo nel 1795 con la nuova Costitu- zione voluta dalla borghesia moderata, ben presto dichiarò l’arbitrage forcé contrario al testo costituzionale e, dunque, ne decise l’abolizione con il conseguente annullamento di tutti i provvedimenti in materia già emessi dai Tribunali, come testimonia il Répertoire Général «Jour- nal du Palais» nella ricostruzione della storia dell’arbitrato attraverso la giurisprudenza francese a partire dal 1791 (117).
sous la direction de Xxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxx Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx (avec le concours du Centre National de la Recherche scientifique, Publication de la VI Section de l’ffcole des Hautes fftudes Sciences économiques et socials et de la Société des fftudes Robespierristes), Paris, 1958, p. 574 s.: «Citoyens, l’institution de l’arbitrage est sublime, sans doute, mais elle est faite pour un people dont les moeurs et les institutions sont simples. Nous faisons, au contraire, des lois pour un people don’t les moeurs sont loin de cette simplicité qui rapproche l’homme de la nature, son code-civil ne peut être que très-compliqué; par consequent l’institution de l’arbitrage force ne peut lui convener. Xxxxxxxxx, au reste, que tous ses avantages sont réservés aux citoyens qui voudront s’y soumettre. Mais il faut que l’exercice en soit libre, autrement, il tournerait au profit du riche contre le pauvre. ffn effet, le citoyen peu fortuné aura besoin de chosir, pour un arbitre, un homme désintéressé, qui veuille bien s’occuper de son affaire; il sera donc d’abord obligé de demander la justice comme l’aumône, et ces hommes bienfaisants seront encore trop rares; car la plupart des hommes accoutumés à vendre leur tems, refu- seront sans doute de le donner gratuitement; et s’ils le font, l’homme riche emploiera son or, nonseulement à payer son arbitre, mais encore à corrompte celui du pauvre. Qu’on ne me dise pas que les mêmes inconvéniens se trouvent dans l’ordre acque; car maintenant le pauvre obtient justice sans payer son juge. La Nation lui en a nommé; et s’il craint ses prevarications, n’a-t-il pas contre lui la publicitédes jugemens? On peut, dit-on, entourer l’arbitre de l’oeil public. L’arbitrage est, par sa nature, un ouvrage de cabinet; et quand vous forceriez les arbitres à prononcer publiquement, qui se rendrait à de pareilles séances? Je demande que l’on corrige les abus qui se trouvent dans l’ordre judiciaire actuel; mais qu’on ne décrète point l’arbitrage forcé. Personne n’a discuté le veritable point de la question; il ne s’agit pas de savoir quells seront les tribunaux, mais quelle sera l’espèce de juges. Nous demandons qu’ils soient nommés par le peuple, et c’est ce qu’on appelle juges; d’autres veulent qu’ils soient choisis par les parties, et c’est ce qu’on appelle arbitres; il ne s’agit donc pas de discuter les avantages ou les inconvé- niens de chaque genre de choix. Je conclus, attendu l’importance de la discussion, que vous chargiez le Comité de salut public de murir ces idées, et de vous en presente demain le résultat».
(117 ) Cfr. Journal du Palais. Répertoire Général contenat la jurisprudence de 1791 a 1857, l’histoire du droit, la législation et la doctrine des auteurs par une société de juri- sconsultes et de magistrats. fídition complétée jusqu’en 1857 par un Supplément, I, Paris, 1858, p. 411 ss.
4. – Xx xxxxxxxxxx xxxx’xxxxxxxxx xxx Xxxx xx xxxxxxxxx xxxxxx xxx 000x: un’inversione di tendenza? – Al ragionamento ponderato di Condor- cet, alla capacità presaga di Xxxxxxxxxxx e alla ferma decisione del Conseil des Cinq-Cents non si può dire che seguì un testo normativo limpido, coerente e permeato dall’esperienza costituzionale pregressa, come ci si sarebbe aspettati da una prima lettura della disciplina del- l’arbitrato contenuta nel code de procédure civile del 1806. Infatti, seb- bene il legislatore francese avesse riassunto tutte le disposizioni nor- mative sul fenomeno arbitrale nell’ultimo libro del codice sotto il titolo unico «Des Arbitrages», poi sintomaticamente tradotto nella versione ufficiale italiana con l’espressione «Dei Compromessi» (118), e avesse previsto addirittura, nella norma d’apertura (art. 1013), che «toutes personnes peuvent compromettre sur les droits dont elles ont la libre disposition» (119), con l’art. 1019 finisce per imporre all’ar- bitro di decidere secondo le regole di diritto «à moins que le compro- mis ne leur donne pouvoir de pronuncer comme amiables composi- teurs» (120 ). Una norma quest’ultima che pone e pose all’interprete interrogativi di merito e di coerenza non solo in ragione dell’obbligo di decidere in via rituale secondo le règles du droit e solo in via ecce- zionale secondo poteri, non meglio specificati, attribuibili all’amiables compositeurs, ma anche e soprattutto in virtù del fatto preliminare di aver introdotto per la prima volta in un testo di legge, seppur velata- mente, la contrapposizione tra arbitro di diritto e amichevole compo- sitore.
Un nouveau cadre législatif – quello sull’arbitrato – forse da inse- rirsi nei tempi e nelle ragioni della più ampia cornice della legislazione francese successiva alla elaborazione e promulgazione del code Napoléon del 1804, sulla base di quanto hanno messo in evidenza, rife- rendosi in generale alla formazione del Code de procédure civile, il con-
(118 ) Cfr. Codice di procedura civile pel Regno d’Italia, Firenze, 1808, p. 224.
(119 ) Cfr. Code de procédure civile. ffdition de imprimerie ordinaire du Corps légi- slatif, Paris, 1806, p. 188.
(120 ) Cfr. Code de procédure civile, cit., p. 190
tributo scientifico di Xxxxxxx Xxxxxxxx (121) e quello ancor più recente di Xxx Xxxxxxxx (122).
Ed è forse nel tentativo di sintesi e di fusione tra le nuove esigenze del processo civile e quanto era già stato affermato nelle ordonnances del XVI e XVII secolo, che a loro volta cercarono di riordinare, tal- volta con un tratto assolutistico di troppo, quanto emergesse dalle molteplici incontrollabili coutumes e dalla multiforme prassi giurispru- denziale, che vanno ricercate le motivazioni di questa peculiare formu- lazione dell’art. 1019.
Guardando i lavori preparatori al Libro III del codice di rito civile, promulgato il 9 maggio 1806 dopo un intenso anno di attivi- tà (123), proprio sul Titre Unique «Des Arbitrages» viene alla luce un
(121 ) Xxx. Xxxxxxxx, Xxxx xxxxxxx xxx xxxx xx xxxxxxxxx xxxxxx xxx 000x: il progetto Pigeau, in Studi di storia del diritto, II, Milano, 1999, p. 729 ss. L’A. mette in evidenza come, a differenza di quanto accadde per la preparazione del codice civile del 1804, la formazione del codice di rito fu molto più rapida tanto che si arrivò quasi a ripro- durre il testo dell’ordonnance del 1667.
(122 ) Cfr. Xxxxxxxx, Il futuro ha un cuore antico. Considerazioni sul codice di pro- cedura civile del 180ł, cit., p. XXXV. L’A., con uno sguardo attento ai lavori prepara- tori, ha potuto constatare come il legislatore francese non avesse voluto solo realizzare una semplificazione del sistema giuridico ma avesse voluto contemperare la necessità della snellezza del sistema processuale con quella complessità della materia derivante dalla tradizione giuridica previgente, proprio in virtù della consapevolezza che non si poteva pensare di dar vita ad un codice che non tenesse in considerazione il materiale giuridico affastellatosi precedentemente. Per non citare altri contributi dell’A. posso ricordare il 23o Course della International School of Ius Commune tenutosi ad Erice nell’ottobre del 2003, a cui lo stesso Xxxxxxxx, che ne diresse i lavori, pensando di par- lare della codificazione napoleonica, diede il sintomatico titolo «New Rules through Old (Un diritto nuovo con materiali antichi)».
(123 ) Cfr. Sixième loi, composée du livre III de la seconde partie du code de procédure civile, Notice historique, in Législation civile, commerciale et criminelle ou commentaire et complément des Codes Français, Tirés, Savoir: Le Commentaire, des Procès-verbaux du Conseil d’fítat, des ffxposés de motifs, Discussions, Rapports et Discours faite ou prononcés, tant dans l’Assemblée du Tribunat, que devant le Corps Législatif; Le Complément, des Lois antérieures auxquelles les Codes se réfèrent, et des Lois postérieures belges et françaises qui les étendent, les interprètent ou les modifient; Précédé de Prolégomènes, où l’on expose le mode de porter la loi qui était en usage lors de la confection des Codes, et où l’on trace l’Histoire générale de chaque Code. Par. M. le baron Xxxxx, Ancien Secrétaire Général du Conseil d’fítat, Avocat a la Cour Royale de Paris, Officier de l’Ordre Royal de la Légion d’Honneur, X, Bruxelles 1838, p. 439: «Le Livre III, qui forme cette sixième loi, a été présenté au Conseil d’fítat le 25 priarial an XIII (14 juin 1805) par X. Xxxxxx, discuté dans la même séance et dans celle du 29
significativo intervento preliminare di Xxxxxxxx, membro del corpo legislativo, durante la sessione del Conseil d’fítat del 14 giugno 1805. Egli chiese, forse provocatoriamente, la soppressione dell’intero titolo in quanto «la loi ne devroit pas s’occuper des compromis», dato che «les citoyens ne sont obligés de se soumettre qu’aux juges qu’elle leur donne, pourquoi les forceroit – on de deférer à ceux qu’ils se choisissent eux- mêmes, et ne laisseroit – elle pas à chacun le droit de leur retirer sa con- fiance? Avec cette coaction, on ne peut compromettre sans aliéner sa liberté». Tale affermazione, fondata sulla consapevolezza della natura negoziale dell’arbitrato, che nasce per effetto di un contratto e solo come tale potrebbe essere regolato dal legislatore entro i limiti e nel rispetto della libera volontà delle parti per cui gli arbitri non sono giu- dici e non gli spettano le funzioni di «ministres de la loi» (124), ebbe la replica del presidente dell’assemblea che, dopo aver sottolineato il fine ultimo del compromesso arbitrale teso ad accelerare e facilitare l’iter processuale ordinario (125), chiuse con la seguente domanda: «mais lorsqu’il compose lui-même le tribunal dont il veut se rendre justiciable, pourquoi ne seroit-il pas lié?» (126).
priairial (18 juin), et arrêté définitivement dans celle du 10 messidor (29 juin). La rédac- tion, adoptée dans cette dernière séance, fut communiquée officieusement à la section de législation du Tribunat, le 11 messidor (30 juin). Cette section fit des observations qui donnèrent lieu à une conférence entre ses membres et ceux de la section de législation du Conseil. X. Xxxxxx, après cette conférence, présenta, le 29 mars, une dernière rédaction du Livre. Le 19 avril, X. Xxxxx, accompagné de MM. Xxxxxxx et Xxxxxxx, présenta le projet au Corps Législatif, et en exposa les motifs. Le même jour, il fut officiellement communi- qué à la section de législation du Tribunat. Le 29 avril, MM. Xxxxxx-Préfeln et Mal- larmé apportèrent au Corps Législatif le voeu d’adoption émis par la section du Tribu- nat. X. Xxxxxxxx en exposa les motifs. Dans la même séance, le projet fut décrété à la majorité de 239 voix contre 3. La nouvelle loi a été promulguée le 9 mai 180ł».
(124 ) Cfr. ffsprit du code de procédure civile, ou Conférence du Code de Procédure avec les Discussions du Conseil, les Observations du Tribunat, les ffxposés de motifs, les Discours des Orateurs du Tribunat, les Dispositions des autres Codes, etc. etc. Dédié a Sa Grandeur
M. le Chancelier de France, par le Baron Xxxxx, Ancien Secrétaire Général du Conseil d’fítat et du Roi, Avocat à la Cour Royale de Paris, Officier de l’Ordre Royal de la Légion d’Hon- neur. (Nota. Le texte est conforme à la nouvelle édition du Xxxx), XX, Xxxxx, 0000, p. 345.
(125 ) Xxx. xxxxxxx xx xxxx xx xxxxxxxxx xxxxxx, XX, xxx., x. 000: «tout homme qui com- promet a l’intention de terminer promptement son procès, et que, dans cette vue, il préfère la voie plus accélérée de l’arbitrage, à la marche plus régulière, mais plus lente des tribunaux».
(126 ) Cfr. ffsprit du code de procédure civile, IV, cit., p. 346.
La querelle trovò in fondo risposta e forse fu sedata dalla orazione conclusiva del tribuno che, nel ripercorrere la disciplina dell’arbitrage dettatta dalla tradizione consuetudinaria e poi regolata dalle iniziative legislative settecentesche, sostenne l’aderenza del testo normativo in oggetto ai principi generali del diritto che tutelavano, da un lato, la libera iniziativa dei cittadini e, dall’altro, la necessità del controllo sta- tuale di una forma privata di risoluzione della «leur différend», a diffe- renza di quanto accadde nel secolo precedente ove mancava un crite- rio uniforme di disciplina e l’arbitrato veniva regolato vuoi a tutela dei privati, vuoi come segno di marcato assolutismo sovrano (127).
Un controllo che certo non doveva ne poteva pregiudicare la quali- ficazione naturale del compromis come contratto (128), in quanto «il n’est pas inutile d’observer qu’un arbitrage doit nécessairement avoir pour base un compromis. Un compromis est un contrat: il en a tous les caractères, il doit en avoir tous les effets; mais il doit aussi être soumis à toutes les règles établies par les lois en matière de contrat» (129).
L’orazione del tribuno sulla formulazione dell’art. 1019 richiama pro- prio l’esigenza di una disciplina uniforme dell’arbitrage che sposi quanto garantito dal principio negoziale del compromesso con quanto statuito (e dunque entrato nella prassi giurisprudenziale del secolo precedente) dalla normativa in materia, considerando, peraltro, il riscontro logico per cui gli arbitri non solo «y trouveront un guide unique et sûr, qui ne leur per- mettra pas de s’écarter de la voie qui leur aura été indiquée par les parties
(127 ) Cfr. ffsprit du code de procédure civile, IV, cit., p. 347 ss.: «Les dispositions relatives à l’arbitrage créent sur la matière un droit tout nouveau qui nous a paru plus conforme aux principes que ne l’étoit la législation, ou plutôt la jurisprudence, soit ancienne, soit moderne».
(128 ) Tale aspetto della insopprimibile natura contrattuale è posto in evidenza anche sulla base di una interpretazione di un testo di legge del 1790: «La loi du 24 août 1790 en a fait cesser quelques uns, et les principaux sans doute; mais, conçue en six articles seulement, elle n’a pu remédier à tous. N’est-elle pas même tombe dans de nou- veaux, en autorisant l’arbitrage entre toutes personnes usant de leurs droits, dans tous les cas et en toutes matières; en permettant aux arbitres de proroger leurs pouvoirs; en n’admettant l’appel des jugements arbitraux qu’autant que les parties se le seroient expressément réservé, et auroient de plus désigné le tribunal devant le quel il seroit porté?» (cfr. ffsprit du code de procédure civile, IV, cit., p. 349).
(129 ) Cfr. Législation civile, commerciale et criminelle ou commentaire et complé- ment des Codes Français, X, cit., p. 440; ffsprit du code de procédure civile, IV, cit., p. 353 s.
intéressées», ma anche «sauront qu’il est de leur devoir d’appliquer rigou- reusement la loi si les parties ne leur ont pas demandé de prendre pour base de leurs décisions des considérations particulières, en leur donnant le pou- voir de prononcer comme amiables compositeurs» (130).
Inoltre, un elemento di novità nel discorso del tribuno, che rimanda più al droit coutumier e al diritto comune che ai provvedi- menti legislativi sei-settecenteschi, sembra essere il richiamo al con- cetto dell’equità naturale come potere che tendenzialmente accomu- nerebbe le due figure di arbitro e che consente di scorgere anche in questa ipotesi un legame profondamente voluto con la tradizione pas- sata: «Ils pourront, dans ce cas, mais dans ce cas seulement, tempérer la sévérité de la loi, écouter l’équité naturelle, que l’orateur romain appelle laxamentum legis, et prononcer, comme a dit un ancien philosophe, non prout lex, sed prout humanitas aut misericordia impellit regere» (131). Si tratta di una citazione di un passo del De Beneficiis di Xxxxxx (132) che troviamo richiamato, nella distinzione tra arbitro in senso lato e giudice, già nella cultura francese di fine Settecento (133).
Dunque, l’incoerenza legislativa che potrebbe riscontrarsi da una prima lettura del combinato disposto tra l’art. 1003 e l’art. 1019 o l’in- versione di tendenza che potrebbe risultare da una interpretazione meramente letterale della disposizione normativa contenuta nell’art. 1019, alla luce di quanto sostenuto, appaiono infondate o quanto- meno non indicative di un’asserita inversione di tendenza.
(130 ) Cfr. ffsprit du code de procédure civile, IV, cit., – pp. 382, 443; Législation civile, commerciale et criminelle ou commentaire et complément des Codes Français, X, cit., p. 440.
(131 ) Cfr. ffsprit du code de procédure civile, IV, cit., p. 382.
(132 ) Cfr. X. Xxxxxx Xxxxxxx Opera. Volumen secundum. De Beneficiis Libri VII, recognovit X. Xxxxx, Lipsiae, 1853, p. 40.
(133 ) Cfr. Synonymes Latins, et leurs diffêrentes significations, avec des exemples des synonymes xxxxxxxx. Par Feu X. Xxxxxx Xxxxxxxx, Professeur ffmérite de Rhétori- que en l’Université de Paris, au Collége d’Xxxxxxxx, et ancien Principal au Collége de Xxxxx-le-Grand. Troisième fídition, Revue, corrigée et augumentée par X. Xxxxxx, Paris, 1813, p. 62 (la prima edizione è del 1777); Commentaire sur la loi des Douze Tables, dédié au premier consul; Par le X. Xxxxxxxx, De l’Institut national, l’un des quarante de la Classe d’histoire et de littérature ancienne; Professeur du Droit de la nature et des gens, au Collége national de France; de la Société des observateurs de l’homme; de l’Aca- démie de jurisprudence et d’économie politique, Seconde fídition, Revue, corrige et con- sidérablement augmentée, II, Paris, 1803, p. 90.
4.1. – L’interpretazione della dottrina e della giurisprudenza. – L’idea che la disciplina legislativa sull’arbitrage avesse configurato, sulla base delle spinte costituzionali precedenti e su impulso di quella tendenza a sposare la tradizione con il «nuovo diritto», un istituto apparente- mente, e solo apparentemente, animato dalle due diverse figure del- l’arbitro di diritto e dell’amichevole compositore – in quanto entrambe facenti capo al compromis e caratterizzate da poteri prede- terminati per volontà concorde delle parti – risulta in tutta la sua con- sistenza nel pensiero di Xxxxxxxx-Xxxxxxx Xxxxxx, un giurista francese che, vissuto a cavallo dell’Ancien Régime e del periodo rivoluzionario e napoleonico, ha partecipato ai lavori preparatori del Code de procédure civile e si è imbattuto in una significativa produzione dottri- nale di diritto processuale civile che ha avuto senza dubbio un’ampia diffusione nella cultura giuridica francese della prima metà dell’Otto- cento (134).
(134 ) V., ad esempio, anche per tematiche diverse dall’arbitrato (le cui citazioni saranno evidenziate successivamente nello studio del pensiero di altri autori): Traité des faillites et banqueroutes dan l’ordre judiciaire, D’après les Lois, Ordonnances et Déclarations, la Jurisprudence ancienne et moderne, sur-tout celle de la Cour de Cassa- tion, et les articles du Code civil qui ont rapport à cette matière. Par X. Xxxx-Xxxxx Xxx- xxxx, Avocat, Paris, 1806, p. 53; Jurisprudence de la Cour Royale de Lyon et décisions remarquables des Tribunaux du Ressort. Par MM. Allard, Xxxxxxxx et Serizi, Xxxxxxx, I, Lyon, 1823, p. 394; Les lois de la procédure civile, Ouvrage dans lequel l’auteur a refondu son analyse raisonnée, son traité et ses questions sur la procédure civile, Par
G.L.J. Xxxxx, professeur en la Faculté de Droit de Rennes, II, Paris, 1827, p. 88; Traité fílémentaire de la procédure civile, contenant: 1o Les Règles de la Compétence des Juri- sdictions civiles et des Officiers qui y sont attachés; 2o les fíléments de la Procédure civile, avec des définitions tirées des meilleurs Commentaires du Code; 3o des Notes nombreuses, dans las quelles on donne l’explication de la loi par ses motifs et des exem- ples, et la solution de toutes le difficultés que son texte présente et des questions de Procédure les plus importantes, d’après les auteurs et les décisions judiciaries. Par L.-X. Xxxxx, Ouvrage utile aux jeunes praticiens, aux étudiants en droit, et généralement a toutes les personnes qui se livrent a l’étude de la procedure, I, Paris, 1828, p. 12; Traité du bénéfice d’inventaire et de l’acceptation des successions, Par X. Xxxxxxx, Avocat a la Cour Royale de Toulouse; Auteur du Traité des Référés, en matière civile et de com- merce, ancient directeur de la Tribune Provinciale, Journal de la science du droit et des débats judiciaires. Dédié à X. Xxxxxxxx, Officier de la Légion d’Honneur, Doyen de la Faculté de Droit de Paris. Ouvrage spécial, présenté sous des aperçus tout nouveaux, et dans le quel on s’occupe: 1o de l’origine de l’acceptation bénéficiaire; 0x xx x’xxxx xx x’xx- xxxxxx xxxxxxxxxxxxx xxx xx point important de notre droit civil; 3o des personnes qui peuvent invoquer aujourd’hui le bénéfice d’inventaire; 0x xxx xxxxxx xx xx genre d’accep-
In una delle sue prime opere, Procédure civile du Châtelet de Paris risalente al 1778 (le altre due edizioni, sempre precedenti alla codifica- zione, sono del 1780 e del 1787), dopo aver definito il compromesso – collocato non a caso nel Livre Premier «Des moyens de prévenir les procès», a seguito delle sue riflessioni sul soddisfacimento della pretesa altrui e sulla transazione – come un contratto volto ad evitare alle parti il rito ordinario del processo (135) e dopo aver ricordato agli arbitri, al fine di consentire loro un migliore contemperamento degli interessi delle parti, il discorso di d’Xxxxxxxxx sur l’indépendence de l’avo- cat (136), sottolinea che «pour exercer la fonction d’arbitre, beaucoup de sagesse, de pénétration et de prudence, et sur-tout un désir sincère de concilier les parties» e aggiunge che «il est rare qu’avec ces qualités, on ne vienne à bout de les réunir, et de leur faire sentir qu’il vaut mieux faire un sacrifice, que d’essuyer les maux qui résultent des procès» (137).
tation; 0x xx xxxxx xxxxxxx xx xxxx xxxx xxx xxxxx; ło de la gestion à la quelle elle soumet l’héritier; 7o des effets qu’elle produit; 0x xx xx xxxxxxxxx qui peut être encourue; 9o de la faculté d’abandonner les biens héréditaires, et 10o des droits d’enregistrement qui s’ap- pliquent à ces divers objets, Paris, 1838, p. 79; Le Droit Civil expliqué suivant l’ordre du code. De la Prescription, ou Commentaire du Titre XX, Livre III du code civil; Par X. Xxxxxxxx, Conseiller a la Cour de Cassation, Ancien Président de la Cour Royale de Xxxxx. fídition xxxxxxxxx, xx Xxxxxxxx, xx xx xxxxxxxxxxx xx xx xx xxxxxxxxxxxxx xxxxxx et mise en rapport avec les éditions du pays, Bruxelles, 1846, p. 526; Traité des Scellés en matière civile, commerciale et criminelle, des inventaires et des prisées. Deuxième édi- tion revue avec soin et augmentée des lois, des circulaires ministérielles et du texte des arrests. Par X. X.-X. Xxx, Auteur du Répertoire général des justices de paix; du Traité de la Compétence judiciaire des juges de paix; Du Formulaire et Xxxxxx de procédure des justices de paix, Paris, 1854, p. 162.
(135 ) Cfr. La procédure civile du Châtelet de Paris, et de toutes les jurisdictions ordi- naires du royaume, Démontrée par principes, et mise en action par des formules. Nou- velle édition, revue, corrigée et augmentée de plusieurs observations sur l’ffdit du mois de juin 0000, xxxxxxxxxx xxx xxxxxxx xx ratification. Xxx X. Xxxxxx, Xxxxxx, X, Xxxxx, 0000,
p. 16: «Le compromise est une convention par laquelle des parties qui sont en procès, ou près d’y entrer, nomment des arbitres pour les juger, et promettent de s’en rapporter à leur décision».
(136 ) Cfr. La procédure civile du Châtelet de Paris, et de toutes les jurisdictions ordi- naires du royaume, I, cit., p. 24: «oubliez cette ardeur qui vous animoit, lorsqu’il s’agis- soit de combattre et non pas de décider du prix; et, quoique votre autorité ne soit fondée que sur un choix purement volontaire, ne croyez pas que votre suffrage soit dûà celui qui vous a choisi; et soyez persuades que votre ministère n’est distinguée de celui des juges».
(137 ) Cfr. La procédure civile du Châtelet de Paris, et de toutes les jurisdictions ordi- naires du royaume, I, cit., p. 25.
Nella seconda edizione del 1811 della sua Procédure civile des tri- bunaux de France (la prima apparve tra il 1808 e il 1809, la terza nel 1814, mentre la quarta postuma nel 1824) curiosamente non fa riferi- mento alla già vigente disposizione normativa di cui all’art. 1019, ma, soffermandosi sull’art. 1003, arricchisce la definizione di compro- messo come unica fonte dell’arbitrage, sulla base di una critica all’editto di Xxxxxxxxx XX emanato a Fontainebleau nel 1560 e all’or- donnance de Moulins del 1566, comportanti la trasformazione dell’isti- tuto arbitrale da volontario ad obbligatorio e, di conseguenza, la tra- sformazione dell’arbitro da attore che agisce sulla base di un potere attribuitogli dalle parti a ministro di un ufficio pubblico. Egli infatti dichiara che «les compromis est absolument libre, et l’on ne peut forcer personne à le souscrire. Cette règle est générale, et ne souffre aujourd’hui qu’une exception», ossia nella ipotesi dei contratti di società che, nonostante l’entrata in vigore del code de procédure civile, soggiacciono ancora alla disciplina dell’ordonnance du commerce di antico regime la quale prescrive (art. 4) la nomina preventiva di arbitri al fine di sanare tempestivamente l’insorgenza di eventuali conflitti societari (138).
Di particolare rilievo sembra anche la posizione assunta dal giuri- sta nel Commentaire sur le code de procédure civile, pubblicato dopo nove anni dalla sua scomparsa per opera dell’allievo Xxxxxxxx, in quanto non solo sintetizza il pensiero dell’autore sulle singole disposi- zioni contenute nel codice di rito – ed è forse allo stesso Xxxxxxxx che si deve il merito di tale operazione come già per la nuova edizione delle Notions élémentaires sur le droit civil del 1804 pubblicata nel 1918, anno della morte di Xxxxxx, con il titolo Cours élémentaire de Code civil – ma anche perché riproduce il suo Projet di codice. Sul punto, almeno per quanto concerne il contenuto delle disposizioni interessate, al di là della differente numerazione degli articoli, non si riscontrano significative differenze tra le proposte di Pigeau e le norme contenute nel codice, come, del resto, sembra conforme la col- locazione della disciplina dell’istituto nell’ultimo libro, sotto il titolo
(138 ) Xxx. Xx xxxxxxxxx xxxxxx xxx xxxxxxxxx xx Xxxxxx, démontrée par principes, et mise en action par des formules. Par X. Xxxxxx, Ancien avocat et professeur de la Faculté de droit de Paris. fídition, corrigée et augmentée, I, Paris, 1811, p. 18 s.
unico «Des Arbitrages» (139). Per quanto riguarda il suo commento all’art. 1019, appare molto sintomatica l’interpretazione delle ragioni che hanno spinto il legislatore a distinguere – peraltro in piena confor- mità al punto di vista e al volere del giurista che nel suo progetto pro- pose lo stesso identico testo normativo – l’arbitro di diritto dall’ami- chevole compositore: egli ritiene, anche sulla base di quanto sostenuto da Domat citato ad hoc, che non si tratti di un involuto sconfessa- mento della natura negoziale dell’istituto arbitrale ancora percepito come unitario, ma di una sottolineatura della funzione della volontà delle parti che possono preventivamente scegliere nel compromesso se attribuire all’arbitro il potere di pronunciarsi secondo le norme di diritto o secondo l’equità. Si tratta con tutta evidenza di poteri deri- vanti comunque dalla volonté de negociabilité delle parti, volonté che, per definizione, non comporterebbe l’identificazione del ruolo dell’ar- bitro a quello del giudice. Peraltro, Xxxxxx, ancor più sulla base del pensiero del giurista secentesco (140), ritiene che gli arbitri, vuoi qundo astretti alle norme di diritto, vuoi quando liberi dai criteri fissati dal codice e liberi di valutare secondo equità, sono sempre chiamati a sanare la tensione tra le parti attraverso un equilibrato temperamento degli interessi contrapposti, temperamento che lascia presumere non già necessariamente la rigida applicazione della norma giuridica quanto piuttosto un accomodamento degli interessi vantati (141).
Xxxxx stesso solco di pensiero, nell’ambito della dottrina che si è imbattuta nello studio del codice di rito civile (142), si pongono i lavori
(139 ) Cfr. Commentaire sur le code de procédure civile, par X. Xxxxxx, Ancien Avo- cat, et Professeur de la Faculté de Droit de Paris; revu et et publié par MM. Xxxxxxxx, docteur en droit, professeur suppléant a la Faculté de Droit de Paris, et Xxxxx- Xxxxxxxxxxxxx, avocat a la Cour royale de la meme ville; précède d’une notice histori- que sur X. Xxxxxx, I, Paris, 1827, p. CLXIV.
(140 ) V. supra, in questa parte V, sez. VI, n. 3.1.
(141 ) Cfr. Commentaire sur le code de procédure civile, par X. Xxxxxx, II, cit., p.
732.
(142 ) V. anche Traité général de l’arbitrage en matière civile et commerciale ou
Recueil complet des règles a suivre tant par les parties que par les arbitres. Ce Xxxxxx indispensable contient en outre toutes les Décisions judiciaires intervenues depuis la punblication de nos Codes, ainsi que les Formules d’Actes qui sont d’obligation en ces matières, Ouvrage utile à tous les Français, Pariculièrement aux Magistrats, aux Avo- cats, Avoués, Notaires, Huissiers, Propriétaires, Négocians, Fabricaus, Machands, Hom-
di Xxxxxxxxx Xxxxx Xxxxxx Xxxxx che, pur avendo coperto pressappoco la stessa spanna di vita di Xxxxxx, ne riprende, talvolta citandolo, i contributi.
Al giurista di Rennes si deve, nella sua Analyse raisonnée et con- férences des opinions dec commentateurs et des arrêts des cours, sur le code de procédure civile, la cui prima edizione è del 1811, la particolare interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 1003, in quanto, soffermandosi sulla natura negoziale dell’arbitrage, fa un esplicito rife- rimento al Titre XV «Des transactions» del code civil del 1804 (143), ribadendo con maggior vigore che i poteri degli arbitri, siano essi di diritto, siano essi amiables compositeurs, trovano la loro fonte nella stessa volontà che spingerebbe le parti a transigere onde evitare il giu- dizio ordinario (144).
Particolare attenzione richiede anche la posizione assunta da Carré in merito all’art. 1019, allorquando, nella sua opera Lois de la procédure civile et administrative, la cui prima edizione risale al 1824 (se ne contano almeno altre due postume del 1844 e del 1862, aggior- nate da Xxxxxxx Xxxxxxxx), dopo essersi soffermato sulla distinzione tra le due figure di arbitro, che ad ogni modo troverebbero nella ratio della disposizione normativa in questione «un guide unique et sûr qui ne leur permet pas de sìécarter de la voie qui leur aurait été indiquée par les parties interessées», riprende la formula di Xxxxxx nota al legislato- re (145) per descrivere la facoltà di risolvere la causa arbitrale attra- verso una elastica applicazione della legge ed un equo contempera- mento delle posizioni contrapposte (146).
mes d’Affaires, par X. Xxxxxxx de la Bilennerie, Président du Tribunal civil de Maren- nes, Croisième ffdition, I, Paris, 1829, p. 15 ss. Per una ricostruzione della storia legi- slativa dell’arbitrato, v. Commentaire sur l’arbitrage volontaire et forcé, par X. Xxxxxx xxx Xxxxxxxx, Xxxxxx, X, Xxxxx, 0000, p. 7 ss.
(143 ) Cfr. Code Napoléon. fídition originale et seule officielle, Paris, 1807, p. 524
ss.
(144 ) Cfr. Analyse raisonnée et conférences des opinions des commentateurs et des
arrêts des cours, sur le code de procédure civile, par G. L. J. Xxxxx, Professeur de procédure civile et de droit criminel en la Faculté xx xxxxx xx Xxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, p. 746.
(145 ) X. xxxxx, xx xxxxxx xxxxx X, xxx. XX, x. 0, nota 131.
(146 ) Xxx. Xxx Xxxx xx xx xxxxxxxxx xxxxxx, xxx X.-X.-X. Xxxxx, Xxxxxx doyen de la Faculté de droit de Rennes, Membre de la Légion d’honneur; Ouvrage dans le quel l’au-
Per delineare – seppur nella inevitabile tendenza all’approssima- zione – un quadro ancor più chiaro o completo sulla natura dei poteri riconosciuti alle due figure d’arbitro, potrebbe tornare utile guardare alle soluzioni offerte dalla giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del Code de procédure civile anche al fine di comprendere quanto e come venisse in concreto applicato ciò che il legislatore aveva voluto disporre con l’art. 1019, a prescindere da qualsivoglia interpretazione letterale della norma, e quanto peso fosse riconosciuto alle argomentazioni dottrinali (147) suindicate.
Un riferimento siginificativo (148) in tal senso si potrebbe avere dal Répertoire méthodique et alphabétique de législation de doctrine et de jurisprudence di Xxxxxx-Xxxxxx-Xxxxxx Xxxxxx che, con la collabora- zione del fratello Xxxxxx, noto per essere l’autore del Dictionnaire général et raisonné de Législation, de Doctrine et de Jurisprudence, tra il 1845 ed il 1865 pubblicò l’opera divisa in quarantaquattro volumi.
xxxx a refondu son analyse raisonnée, son traité et ses questions sur la procédure. Nou- velle édition, dans la quelle ont été examinées et discutées: 1o les opinions de Xxxxx; 2o les décisions rendues jusqu’a 1840; 3o les questions prévues par MM. Xxxxxxx- Xxxxxxxxxx, Pigeau, Xxxxxx, Boitard, Boncenne, etc.; par Xxxxxxxx Xxxxxxx, professeur a la Faculté de droit de Toulouse, et membre de la Légion d’Honneur, V, Bruxelles, 1844, p. 492.
(147 ) Stavo per scrivere «esegetiche», ma in realtà, almeno per quanto ho potuto constatare, la produzione scientifica processual-civilistica della prima metà dell’Otto- cento francese sembra non così marcata dall’impronta dell’fícole de l’ffxégèse, benché già da ultimo ridimensionata anche sul versante del diritto sostanziale dalla storiogra- fia giuridica moderna. Solo in tempi più recenti si è parlato, infatti, di fícole du Code, mettendo in dubbio la definizione critica data nei primi anni del Novecento dal giuri-
sta francese Xxxxxx Xxxxxxxxx (cfr. Xxxxxxxx, Codificazione e cultura giuridica,
Torino, 2006, p. 67 ss.; Xxxxxxxx, L’fícole de l’ffxégèse, entre lumière et positivisme scientifique, in Traditions savantes et codifications, Colloque Poitiers 8, 9, 10 septem- bre 2005, Parix, 0000, x. 29 ss.)
(148 ) Non riporto quanto espresso nell’opera di Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, perso- naggio molto importante nel panorama politico che ha fatto da sfondo alla prepara- zione dei codici, tanto che divenne Ministro della Giustizia durante il Direttorio, poi Consigliere di Stato a vita e Procuratore generale imperiale presso la Corte di Cassa- zione, in quanto il suo Répertoire universel et raisonné de jurisprudence, benché pub- blicato in Francia per la prima volta nel 1807, riprende i contenuti di un famoso repertorio dell’antico regime, il Répertoire de jurisprudence di Xxxxx, di cui Xxxxxx acquistò i diritti e aggiornò i riferimenti giurisprudenziali senza tuttavia intaccare il corpo centrale dell’opera settecentesca costituito dal diritto romano, dal diritto con- suetudinario e dalle pronunce della Cassazione.
Nella sezione riservata all’arbitrage e, più segnatamente, alle pronunce giurisprudenziali sull’art. 1019, viene citato un arrêt de Cassation del 30 agosto 1813, in cui è messa in evidenza la «différence entre les arbi- tres et le juge-public»: mentre il giudice è definito come «celui-ci ne peut appliquer que la loi» e che «ne peut recourir à l’équité qu’au défaut de la loi», l’arbitro «au contraire, peut être dispensé de suivre les régles du droit, soint dans le forme, soit au fond», in quanto assume le vesti, consacrate dal testo di legge, di amichevole compositore. Inoltre, tale arrêt viene a pronunciarsi anche sulla differenza tra l’arbitro e il juge de paix, che, pur essendogli piu assimilabile del giudice ordinario per- ché è «par sa nature juge de conciliation», ne differisce in quanto non può esercitare le sue funzioni «que dans les limites de sa compétence, et toujours suivant le droit».
L’arbitro, percepito come figura unitaria che può agire, per man- dato delle parti, o in conformità alle norme di diritto o libero da esse, differisce dal giudice in quanto privo di «puissance publique» (149) e dunque di iurisdictio in senso proprio (150).
5. – L’arbitro nei codici di rito degli Stati italiani successori: un’ecce- zione all’influenza d’Oltralpe. – Come avvenne per il Code Napoléon anche il Code de procédure civile fu più o meno riprodotto dal legisla- tore degli Stati italiani successori (151). Ad ogni modo, per quel che
(149 ) Cfr. Répertoire méthodique et alphabétique de lxxxxxxxxxx xx xxxxxxxx xx xx xxxxxxxxxxxxx xx xxxxxxx xx xxxxx xxxxx, xxmmercial, criminel, administratif, de droit des gens et de droit public; Nouvelle édition, considérablement augmentée et précédée d’un essai sur l’histoire générale du droit français; Par M. D. Dalloz, Député du Jura, Avocat à la Cour royale de Paris, ancien Président de l’Ordre des Avocats aux Conseils du Roi et à la Cour de Cassation, avec la collaboration de X. Xxxxxx Xxxxxx, Avocat à la Cour royale de Parix, X, Xxxxx, 0000, x. 54.
(150 ) Sulla nozione di giurisdizione nella Francia ottocentesca si rimanda a Xxxxxxx, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano 2007, p. 147 ss. L’A. peraltro sottolinea che la percezione di una giurisdizione statuale nell’età napoleonica si evidenzia anche dal portato dell’art 1020 del Code de procédure civile laddove pre- scrive la necessità dell’ordinanza del presidente del tribunale perché la pronuncia arbitrale assuma forza esecutiva.
(151 ) Sull’influenza in generale della legislazione napoleonica si rimanda ad Astuti, Il «Code Napoléon» in Italia e la sua influenza sui codici degli Stati italiani suc- cessori, in Annali di Storia del diritto italiano, XIV-XVII (1970-1973), Milano, 1974, p. 1 ss.
concerne la disciplina dell’arbitrato in generale e, in specie, la distin- zione tra arbitro e amichevole compositore utilizzata nei codici di rito preunitari, si può, a mio avviso, affermare che la volontà del legislatore d’Xxxxxxxx non venne tanto profondamente intesa, da far sì che quella figura unitaria di arbitro, i cui poteri venivano timidamente differen- ziati nella piena consapevolezza della loro comune natura negoziale, del loro modo libero di ristabilire l’equilibrio tra le parti, senza schemi e termini processuali, e nella sentita vocazione a preservare l’autono- mia privata dalla giurisdizione statuale, potesse sopravvivere in for- mule normative viceversa rigide e talvolta, forse, poco discusse e fret- tolosamente apposte come se si trattase di eseguire un «calco» (152).
Da questa impostazione, basata sul recepimento puro e semplice del testo legislativo francese, colorato, peraltro, da un radicato ed esponenzialmente crescente processo di giurisdizionalizzazione del- l’istituto arbitrale da parte del nostro legislatore (153), si sottraggono
(152 ) Nel momento della composizione legislativa preunitaria i testi dottrinali francesi sopra esaminati circolavano in Italia e determinavano in fondo buona parte della cultura giuridica della prima metà dell’Ottocento, come testimonia il massiccio fenomeno delle traduzioni avvenute in questo arco di tempo. A tal punto si rinvia al funzionale contributo di Napoli, La cultura giuridica europea in Italia: repertorio delle opere tradotte nel secolo XIX, I-II, Napoli, 1986-1987, passim. Si pensi, ad esempio, che le citate opere di Xxxxxxxx-Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx e di Xxxxx Xxxxxx Xxxxx con- tinuarono ad essere tradotte ed arricchite in Italia almeno fino agli anni Sessanta del- l’Ottocento.
(153 ) Si pensi all’art. 66 del Regolamento di procedura civile per i Tribunali del Granducato di Toscana del 1814 che stabilisce: «Il compromesso potrà essere fatto in Arbitri per decidere ai termini di giustizia, in Arbitratori con facoltà di staglio, e di stralcio, a misura delle ragioni delle parti tanto nel primo, quanto nel secondo caso potrà essere renunziato, o riservato l’appello, e senza la renunzia espressa s’intenderà riservato, e la causa si devolverà alla Ruota di prime appellazioni, da cui dipende il Tribunale, che dovrà pubblicare il Lodo, e quanto alle seconde appellazioni si osser- verà il metodo che si osserva nelle altre cause di corso ordinario»; oppure si pensi all’art. 1099 dello stesso Regolamento, collocato sotto il Titolo VIII «Dei giudizj com- promissarj» che pone in partenza un adempimento giudiziario a carico degli arbitri a pena della stessa procedura arbitrale: «Gli arbitri non devono assumere cognizione delle cause, se prima non hanno accettato in scritto il compromesso, e fatto registrare l’atto della loro accettazione presso il Tribunale competente» (cfr. Leggi del Grandu- cato della Toscana pubblicate dal 27 d’aprile 1814, in Regolamento di procedura civile per i Tribunali del Granducato di Toscana 1814, in Testi e documenti per la storia del processo, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxxx, Milano, 2004, p. 16 ss.). Si pensi inoltre alla sistematica del Titolo unico «De’ compromessi» delle Leggi della procedura ne’ giu-
con ogni probabilità di certezza i codici di rito sardo-piemontesi (154). Infatti, se tale maturità legislativa appare ancora non del tutto formata nel codice del 1854 – che, pur avvicinandosi di molto alla formula di cui all’art. 1019 del code de procédure civile e all’interpretazione che di essa ne veniva da parte della dottrina e della giurisprudenza francese, subordinava il potere degli arbitri di pronunciarsi come amichevoli compositori alla volontà delle parti purché il compromesso fosse fatto per atto notarile o giudiziale (155) – nel codice del 1859 all’art. 1116 stabilisce che «gli arbitri non sono tenuti di osservare i termini e le formalità prescritte dal presente Codice per l’istruzione delle cause che si fa davanti all’Autorità giudiziaria. È però lecito alle Parti di con- venire altrimenti (...)» (156), lasciando presumere quantomeno all’inter- prete la possibilità di configurare un arbitro che possa esercitare le sue funzioni libero dagli schemi propri del rito processuale ordinario.
A conforto di tale approdo legislativo viene forse utile cogliere una nota di riflessione di Xxxxxxx, Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx – peraltro ben lon-
dizj civili del Codice per lo Regno delle Due Sicilie del 1819, che, se nell’art. 1079 riprende quasi fedelmente l’art. 1003 del code de procédure civile, dopo aver tassativa- mente imposto obblighi a carico degli arbitri e finanche delle parti, all’art. 1085 stabi- lisce che «nella procedura le parti e gli arbitri osserveranno i termini e le forme stabi- lite pe’ tribunali, qualora le parti non abbiano convenuto diversamente» (cfr. Codice per lo Regno delle Due Sicilie. Parte terza, Leggi della procedura ne’ giudizj civili8, Napoli, 1840, p. 256 s.). Su questo stesso tenore normativo si colloca la disciplina det- tata dal Codice di procedura civile estense del 1852 che sembra proprio aver assorbito nell’ambito dell’esercizio della giurisdizione la figura dell’arbitro al quale, benché scelto dalle parti e non dal Sovrano come i giudici e i conciliatori, si riconosce uno spazio di autonomia assai ristretto si attribuisce la qualifica di persona che ha parte nell’amministrazione della giustizia come indicato dall’art. 1; si distingue inoltre la figura dell’arbitratore al quale è attribuito, secondo l’art. 17, il potere esclusivo di pro- nunciarsi «a termini di equità» (cfr. Codice di procedura civile per gli Stati ffstensi 1852, in Testi e documenti per la storia del processo, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxxx, Milano, 2003, p. 1 ss.).
(154 ) Sulla formazione dei due codici di procedura sardo-piemontesi si rinvia al ricco e approfondito contributo monografico di Aimerito, La codificazione della pro- cedura civile nel Regno di Sardegna, Milano, 2008, passim.
(155 ) Cfr. Codice di procedura civile per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1855, in Testi e documenti per la storia del processo, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxxx, Milano, 2004, p. 284 (il riferimento è all’art. 1081).
(156 ) Cfr. Codice di procedura civile per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1859, in Testi e documenti per la storia del processo, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxxx, Milano, 2004, p. 600.
tani dal voler pensare l’arbitro estraneo all’ordinamento giudiziario sovrano (157) – espressa nel loro Commentario del 1856, ove ritengono apprezzabile la «grande pieghevolezza» con cui il legislatore «imparti- sce facoltà alle parti o agli arbitri stessi nel silenzio delle parti» (158).
6. – Il Codice di procedura civile del 18ł5 e la nuova disciplina del com- promesso: il ragionamento di Xxxxxxxxx. – Durante le annessioni, nelle Marche, nell’Umbria ed in Xxxxxx Xxxxxxx, era entrato in vigore il codice di procedura civile sardo del 1859, mentre l’ex Regno delle Due Sicilie e l’ex Granducato di Toscana avevano conservato la loro legislazione. Dunque, a voler riassumere l’assetto legislativo, quattro codici diversi regolavano in Italia il procedimento civile, quello delle Due Sicilie del 1819, il Regolamento toscano del 1814, il Codice sardo del 1859, esteso nel 1861 alle Marche ed all’Umbria, e per la proce- dura contenziosa ancora alle provincie parmense e modenese, il rego- lamento lombardo del 1796 modificato dalla legge del 1862.
Nel tentativo di costituire un ordinamento unitario che potesse
«cementare giuridicamente la nazione sorta grazie a tanti sforzi politici e militari» (159), per quanto concerne la disciplina dell’arbitrato, collo- cata in apertura al codice fin dal Progetto presentato al Senato nella tornata n. 23 del 26 novembre 1863 e che verrà poi introdotta nel Titolo Preliminare «Della conciliazione e del compromesso» della ste- sura definitiva, emerge chiaro l’impegno del giurista salentino Giu-
(157 ) Cfr. Commentario del codice di procedura civile per gli Stati Sardi con la com- parazione degli altri Codici italiani, e delle principali Legislazioni straniere compilato dagli Avvocati e Professori di Diritto P. S. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, V, 2, Torino, 1856, p. 226: «Tornando a quella proposizione che l’arbitramento ossia la scelta dei propri giudici è di diritto naturale, non siamo noi che vogliamo contrad- dirla. Ma il diritto sociale trasforma questo benedetto diritto naturale che per nuove relazioni e per nuovi bisogni è costretto a disciplinarsi e circondarsi di artificii e di regole entrando nella sua fase convenzionale».
(158 ) Cfr. Commentario del codice di procedura civile per gli Stati Sardi con la com- parazione degli altri Codici italiani, V, 2, cit., p. 227.
(159 ) Riprendo una felice espressione del processualista Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx collocata nella ricostruzione storica della genesi del codice di procedura del 1865 (cfr. Xxxxxxxxxx, Introduzione. Il Codice di procedura civile italiano del 18ł5, in Codice di procedura civile del Regno d’Italia (18ł5), in Testi e documenti per la storia del pro- cesso, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxxx, Milano, 2004, p. XII).
xxxxx Xxxxxxxxx che, da Guardasigilli, preparò il Progetto con un’ampia Relazione incentrata sulla conciliazione, sul compromesso, sull’ordine e forma dei giudizi.
Dopo la descrizione storica e riflessiva sulla normativa francese e preunitaria del compromesso, egli incentra la sua attenzione sulla disciplina da adottare nel codice unitario per l’istituto arbitrale che, per quanto si leghi inevitabilmente a prescrizioni proprie dell’ordina- mento giudiziario come l’istituto necessario della omologazione suc- cessiva alla pronuncia del lodo, sembra continuarne a preservare, nella sua coscienza di giurista legislatore, quella spinta negoziale finalizzata a risolvere, in forza di un contratto, ciò che il ricorso agli apparati giu- diziari renderebbe irrisolvibile (160). Di particolare rilievo è l’argomen- tazione addotta a sostegno della negazione di validità di una clausola compromissoria generica e generale – anche se poi nel codice la clau- sola compromissoria scomparirà del tutto – in quanto contribuisce a comprendere il pensiero di Xxxxxxxxx sensibile, allo stesso tempo, sia alla sopravvivenza del principio dell’autonomia delle parti a risolvere la lite attraverso un negozio giuridico, sia alla tutela del diritto ad adire l’autorità giudiziaria costituita in forza di un ordinamento che ha il preciso scopo di garantire la pace sociale e, utilizzando un’espres- sione moderna, il rispetto delle situazioni giuridiche soggettive. Il ragionamento prende spunto da una serrata critica alla disciplina del
(160 ) Cfr. Relazione sul progetto del Codice di procedura civile presentato in inizia- tiva al senato dal Ministro Guardasigilli nella tornata del 2ł novembre 18ł3, n. ł3, in Il Codice di procedura civile del Regno d’Italia per l’avvocato Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, Professore di procedura civile nella R. Università di Napoli. Opera plaudita dalla R. Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli contenente il testo del Xxxxxx, prece- duto dalle disposizioni transitorie per la sua attuazione. Il confronto coi Codici francese, napoletano, austriaco, parmense, estense, albertino. I motivi di esso, Seconda edizione riveduta ed accresciuta dall’autore. Nuova ristampa, I, Napoli, 1887, p. 51: «Pare tutta- via miglior partito di ammettere l’arbitramento anche nell’interesse dei minori, e delle altre persone che non possono liberamente disporre della cosa controversa, perché il negarlo assolutamente sarebbe stato in certi casi togliere alle medesime un vero bene- fizio. La natura della controversia può richiedere che questa sia definita senza l’osser- vanza delle forme e la pubblicità d’un giudizio; le spese ed i ritardi inseparabili da un procedimento giudiziario costituiscono talvolta un danno irreparabile. Si pensò inol- tre che l’approvazione del consiglio di famiglia e l’intervento del tribunale per l’omo- logazione del compromesso escludono il pericolo che possa tornare a danno della per- sona incapace».
compromesso contenuta nel codice del Cantone di Ginevra del 1819 che stabiliva genericamente come le parti potessero preventivamente obbligarsi a sottoporre alla decisione degli arbitri eventuali contesta- zioni: «Venendo alle garantie giudiziarie che sono stabilite dalla legge per mantenere salvi i diritti, è anzitutto palese che niuno può ritenere un diritto e rinunziare intanto al mezzo di farlo valere; il patto con cui taluno a ciò si obbligasse sarebbe nullo perché contrario alle leggi d’ordine pubblico. Ma si potrà rinunziare alla facoltà di ricorrere ai tribunali ordinari per la ricognizione di diritti che ancora non compe- tono? Neppure, perché la facoltà di adire ai tribunali, l’azione giudi- ziaria è essa pure un diritto (jus persequendi) che prende norma e carattere dal diritto principale che tende a garantire; se non è per- messa la rinunzia di questo, non può ammettersi la rinunzia al mezzo ordinario di farlo valere. Havvi un principio fondamentale nella mate- ria delle convenzioni, il quale richiede che l’oggetto di essa debba essere determinato» (161).
Tale impostazione di pensiero, che consente di sintetizzare la per- cezione della cultura giuridica dell’Italia unita (162), pochissimi anni prima dell’entata in vigore del codice, in merito all’arbitro – protago- nista di un modo alternativo di risoluzione della controversia e, allo stesso tempo, attore che si sottoponeva, forse perdendo qualche tratto originale di libertà, al controllo dell’ordinamento statuale, non già per esserne risucchiato, ma per non destituirne il fondamentale aspetto della tutela giurisdizionale dei diritti – non penetrò del tutto nella nor- mativa approvata con il Regio Decreto n. 23 del 25 giugno 1865 (163) dopo i rapidissimi lavori, durati poco più di un mese, della Commis-
(161 ) Cfr. Relazione sul progetto del Codice di procedura civile presentato in inizia- tiva al senato dal Ministro Xxxxxxxxxxxxx nella tornata del 2ł novembre 18ł3, n. ł3, cit., p. 52.
(162 ) Si pensi, ad esempio, alla nota prolusione che il giurista Xxxxxxxx Xxxx tenne a Napoli negli anni Sessanta dell’Ottocento proprio su questo aspetto: cfr. Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxx ed il concetto di azione, ovvero l’eredità scientifica di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, in Giur. it., 1997, IV, c. 89 ss.
(163 ) L’art. 21, ad esempio, poneva a carico dell’arbitro l’obbligo di motivazione del lodo in fatto e in diritto a pena di nullità; l’art. 32 elencava le cause di nullità del lodo senza distinguere le pronunce date per equità da quelle formulate in punto di diritto e, dunque, sottoponeva alle ipotesi di nullità anche l’operato degli amichevoli compositori.
sione preposta (d.m. 6 aprile 1865) alla redazione finale del progetto accompagnato dalla relazione del Ministro Xxxxx.
Certo è che l’interpretazione del testo legislativo, a partire dalle raccolte dei motivi (164) e a finire con gli orientamenti giurisprudenzia- li (165), si dimostrò abbastanza elastica e ben predisposta a seguire le posizioni di quel filone dottrinale francese che rese dignità e merito alla figura dell’arbitro, i cui poteri, in ragione della loro natura nego- ziale, vennero a più riprese protetti dalle tendenze giurisdizionalizza- trici di un ordinamento che era sorto sul codice, codice voluto preva- lentemente per ragioni di uniformità del tessuto normativo.
7. – Conclusioni. – A dover concludere questo ritaglio storico sul modo di intendere l’arbitrato e sul momento nel quale si è affacciato nella sua species c.d. libera, ossia espressione pura dell’autonomia pri- vata senza imposizioni normative sia della forma che della sostanza – oggi, alla luce delle iniziative legislative del XX e XXI secolo, ver- rebbe fatto di dire «irrituale», ma questo, appunto, riguarda un’altra stagione e implicherebbe l’utilizzazione di categorie concettuali che mal si attagliano con il mondo di ieri, oltreché preludere ad un pano- rama legislativo allora ancora lontano nel tempo e forse impensabile –
(164 ) Si segnalano i motivi raccolti da Xxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxxx in merito alla definizione di compromesso e più segnatamente sull’art. 9: «A differenza de’ Codici abrogati, si riconosce la facoltà di compromettere al tutore, agli amministratori, e generalmente a coloro che hanno il libero esercizio de’ loro diritti. A tutela però delle persone interessate viene stabilito che il compromesso non avrà effetto se non quando sia approvato ne’ modi richiesti per la transazione. Si cercò in tal guisa di equiparare il compromesso alla transazione» (cfr. I Motivi del Codice di procedura civile del Regno d’Italia e delle disposizioni transitorie di esso tratti 1o Da’ lavori preparatori de’ Codici di procedura civile degli Stati Sardi del 1854 e del 1859; 2o Da quelli del Codice di proce- dura civile del Regno d’Italia del 18ł5; 3o Dalle esposizioni de’ motivi della Loi sur la procédure civile du Canton de Genève, seguita dal nostro codice; 4o ff dal Commentario del Codice di procedura civile per gli Stati Sardi del 1854, fatto dai professori Xxxxxxxxx, Scialoja e Xxxxxxx, ed ordinati sotto ciascun articolo da’ xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, Giu- dice Istruttore presso il Tribunale d’Isernia, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Vice-Cancelliere nel Tri- bunale di Solmona, Torino-Firenze, 1870, p. 29).
(165 ) Si pensi, ma solo come esempio, alla omissione della clausola compromisso- ria che invece fu diffusissima nella prassi: cfr. Repertorio generale annuale della giuri- sprudenza italiana con notizie bibliografiche, di legislazione, ecc. a cura della Redazione del periodico «La giurisprudenza italiana e la legge» Rivista universale di giurisprudenza e dottrina, anno I (1898), Torino, 1899, voce Arbitri (Giudizio di), p. 29 ss.
si può affermare che il fenomeno di giurisdizionalizzazione iniziato nella Francia del Cinquecento, la stessa idea di porre fine al particola- rismo giuridico di Antico Regime attraverso la codificazione, e la con- figurazione di una nuova forma di iurisdictio, emersa a più riprese nella storia dei codici moderni, non hanno minato le origini negoziali dell’istituto. Tali fattori hanno comportato talvolta un tentativo di incanalamento di esso all’interno dei binari processuali vuoi distin- guendo, sulla falsariga della distinctio medievale, l’arbitro di diritto, equiparabile per le funzioni ad un giudice, dall’amichevole composi- tore, il solo che dell’arbitro manterrebbe i caratteri originari, vuoi pre- diligendo un criterio di garanzia delle situazioni giuridiche tutelate dall’ordinamento, come nella ipotesi argomentata dal Guardasigilli Xxxxxxxxx.
Dunque, a voler trovare una risposta al quesito posto nel titolo, che provocatoriamente presume la consapevolezza delle incerte sorti della natura privatistica dei poteri dell’arbitro vivente nel nostro momento legislativo, si può dire che l’arbitro sciolto dal codice del- l’Ottocento non costituì l’unico emblema della natura negoziale del- l’istituto, in quanto i tentativi di ridimensionamento dello spazio di azione dell’arbitro – la cui libertà di agire ha trovato sempre fonda- mento nella volontà delle parti, eccetto che nella breve parentesi del- l’arbitrato obbligatorio o dell’arbitrage forcé e in alcune stabilizzazioni normative preunitarie durate ben poco – rimasero tali o certo non furono sufficienti per consentirci di parlare di un nuovo volto del fenomeno arbitrale.