Le residenze turistico alberghiere
39. Le Residenze Turistico Alberghiere. Proprietà frazionata, rapporti condominiali e regolamenti contrattuali: tecniche redazionali, in Foro Padano, 2007, II, 206.
Le residenze turistico alberghiere
Proprietà frazionata, rapporti condominiali e regolamenti contrattuali: tecniche redazionali
DI XXXXXX XXXXXXXX (*)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Residenze Turistico Alberghiere e proprietà frazionata: un connubio possibile.- 3. Il condominio “alberghiero” e le sue peculiarità.- 4. Le limitazioni convenzionali all’uso della proprietà esclusiva nei regolamenti contrattuali: tecniche redazionali ed efficacia nella circolazione dei beni.- 5. Conclusioni.
1. Premessa
Le Residenze Turistico Alberghiere costituiscono una species del più ampio genus delle strutture ricettive e si caratterizzano quali “esercizi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio e servizi accessori in unità abitative arredate costituite da uno o più locali, dotate di servizio autonomo di cucina” (art. 6 della legge quadro sul turismo n. 217 del 1983).
A seguito della tipizzazione normativa delle RTA si è assistito da un lato alla diffusa trasformazione di alberghi tradizionali in RTA e, dall’altro, alla realizzazione di nuove strutture ricettive inquadrate sin dall’origine secondo le caratteristiche che individuano le RTA.
Nell’ambito di questo fenomeno si è assistito, anche nella nostra Regione, alla proliferazione di iniziative che prevedono il frazionamento del complesso immobiliare destinato a RTA e la alienazione a terzi delle singole unità abitative che lo compongono.
Lo scopo della presente relazione è l’esame - sotto il profilo civilistico - della prassi negoziale che connota questo tipo di iniziative imprenditoriali e della sua coerenza con la disciplina di settore.
Le questioni che occorre affrontare nell’ambito del fenomeno considerato sono oggettivamente complesse e delicate: esse riguardano non soltanto il profilo della liceità o meno del frazionamento della proprietà del complesso immobiliare con destinazione a residenza turistica alberghiera, ma anche gli strumenti di diritto privato che possono essere utilizzati per assicurare la permanenza della destinazione turistico-ricettiva a fronte della parcellizzazione dell’assetto proprietario.
* Docente nell’Università di Genova – Avvocato in Genova
La rilevanza del fenomeno, d’altra parte, induce a riflettere sulla emersione di una (nuova) tendenza del mercato verso un investimento immobiliare di natura non tradizionale, indirizzato non più ad esaurirsi con il godimento esclusivo dell’immobile ma per converso attento all’aspetto reddituale connesso alla fruibilità da parte di terzi.
2. Residenze Turistico Alberghiere e proprietà frazionata: un
CONNUBIO POSSIBILE.
Un primo, rilevante profilo che occorre esaminare è quello relativo alla stessa ammissibilità di una proprietà frazionata del complesso immobiliare con destinazione turistico ricettiva in senso lato e più specificamente con destinazione a RTA.
La questione è connotata dalle possibili ambiguità che discendono dalla interazione nell’ambito del medesimo fenomeno di più discipline costituite da un lato dalle norme urbanistiche che attengono alla destinazione d’uso degli immobili e, dall’altro, dalla ordinaria disciplina di diritto privato che regola gli assetti proprietari dei beni.
Non mancano, come è noto, opinioni che ritengono ontologicamente inammissibile il frazionamento della proprietà nell’ambito di una RTA in ragione del possibile aggiramento, per tale via, del vincolo di destinazione d’uso discendente dagli strumenti urbanistici.
Ma dalla lettura dei precedenti giurisprudenziali che apparentemente sembrerebbero suffragare la correttezza della tesi che nega in radice la ammissibilità della proprietà frazionata nell’ambito tanto degli alberghi tradizionali, quanto delle RTA, ne emerge per contro l’infondatezza in ragione del fatto che essa sovrappone inammissibilmente le ben diverse discipline normative (l’una di natura pubblicistica e l’altra di natura privatistica) che operano nell’ambito del medesimo fenomeno.
Ed invero, se si riflette sulle finalità delle due diverse discipline si rileva che mentre quella pubblicistica attiene alla disciplina dell’uso degli immobili, l’altra ha riguardo alla appartenenza dei beni: si tratta quindi di ambiti applicativi diversi che non possono essere sovrapposti ed unificati.
Per la verità, come si è accennato, la giurisprudenza (specialmente amministrativa) che ha avuto modo di affrontare il problema della ammissibilità della proprietà frazionata nell’ambito di strutture ricettive ha sempre chiarito che l’assetto proprietario è, in sé, indifferente rispetto alla disciplina urbanistica con specifico riferimento alla destinazione d’uso degli immobili con funzioni turistico ricettive.
L’aspetto critico del fenomeno, infatti, non risiede nella presenza di una pluralità di proprietari, ma nella fruizione del bene che non può discendere dalla mera esplicazione delle facoltà del proprietario, ma deve invece soggiacere alle regole della ricettività che presuppongono da un lato l’unitarietà della gestione imprenditoriale con finalità turistico ricettiva e, dall’altro, l’apertura al pubblico.
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha contribuito a chiarire ulteriormente i corretti termini della questione, sottolineando la compatibilità della destinazione alberghiera di un edificio con la proprietà frazionata del medesimo.
Secondo la Corte, infatti, la destinazione alberghiera, fondata su norme di diritto pubblico, non comporta un tipo di proprietà conformata, incompatibile con la proprietà frazionata del complesso immobiliare, in quanto le due situazioni giuridiche sono del tutto separate ed autonome.
Rileva infatti la Corte che “una cosa è la destinazione dell’uso e la stessa conformazione della appartenenza; altra la coesistenza dei diritti di proprietà e di condominio. Le due situazioni giuridiche sono del tutto separate ed autonome. Il regime del condominio non dipende dalla destinazione d’uso o dalla conformazione delle cose in proprietà esclusiva sibbene della esistenza nello stesso edificio di più proprietà separate, ancorché conformate”. (Cass. 5 febbraio 2007 n. 2477 in Corr. Giur. 2007, 1100 ss. con nota di X. Xxxx “La disciplina dettata per il condominio è compatibile con la destinazione alberghiera dell’intero edificio o complesso immobiliare”).
Risulta così autorevolmente confermato l’indirizzo giurisprudenziale, al quale si è fatto cenno in precedenza, che non ravvisa alcuna ontologica inammissibilità di proprietà frazionate all’interno di una struttura con destinazione turistico ricettiva.
Né possono condurre ad una diversa conclusione le decisioni della Cassazione Penale che in taluni casi hanno ritenuto ravvisabile una lottizzazione abusiva di natura negoziale nella alienazione frazionata di parti di immobili con destinazione turistico- ricettiva.
L’analisi dei casi esaminati in sede penale consente di rilevare, da un lato, che quasi tutte le decisioni note riguardano provvedimenti di sequestro, e quindi misure cautelari in senso lato nel cui ambito è sufficiente la sussistenza di un fumus di illiceità e non si affronta il merito della vicenda e, dall’altro, che in tutte le fattispecie esaminate si era di fronte alla vendita frazionata di immobili con destinazione residenziale nell’ambito di strutture turistico ricettive (Cass. Pen., Sezione III, 4 maggio 2004, n. 00000, Xxxxxx; id., 30 aprile 2004 n. 20390, Casarin; id., 21 marzo 2005, n. 10889, Garbari; id., 24
febbraio 2006, n. 6990, Ambrosioni; id., 3 aprile 2007 n. 13687, Signori).
In tutti i casi citati, invero, il profilo di presunta illiceità è stato ravvisato nella sottrazione del bene alla sua destinazione d’uso turistico-ricettiva attuata mediante la vendita frazionata quali “private residenze” delle singole unità immobiliari ubicate nel complesso turistico-ricettivo, senza quindi che fosse assicurato il rispetto della unitarietà di gestione e della apertura al pubblico.
In altri termini ciò che si è ritenuto sanzionabile è la violazione del vincolo alla gestione unitaria ed all’offerta al pubblico, mediante contratti c.d. di albergo, della singole unità immobiliari.
La lettura dell’unica – a quanto consta – pronuncia della Cassazione Penale che è intervenuta all’esito di un giudizio di merito (Xxxx. Pen. Sez. III, n. 6396 del 15 febbraio 2007, Cieri) conforta la tesi della irrilevanza, anche ai fini penali, della vendita
frazionata di una RTA qualora ad essa non si accompagni la sottrazione del bene alla gestione unitaria ed alla apertura al pubblico.
Nella fattispecie concreta la destinazione d’uso turistico-ricettiva era risultata indispensabile per legittimare una deroga alle previsioni pianificatorie limitative (e quindi il suo mutamento realizzava di fatto una lottizzazione residenziale contrastante con gli strumenti urbanistici, così integrando il reato di lottizzazione abusiva), ma la vera ratio decidendi risiede nella constatazione della “inesistenza di una organizzazione imprenditoriale preposta alla gestione dei servizi comuni ed alla concessione in locazione dei singoli appartamenti compravenduti secondo le regole comuni al contratto di alloggio”.
Risulta così confermata la tesi favorevole alla compatibilità della proprietà frazionata con la destinazione d’uso turistico-ricettiva dell’immobile: ciò che rileva non è il regime dell’appartenenza, bensì quello dell’uso del bene.
Ne consegue la constatazione che, di per sé, è ammissibile la coesistenza della proprietà frazionata nell’ambito di una residenza turistico alberghiera.
3. Il condominio “alberghiero” e le sue peculiarità.
La ritenuta ammissibilità della proprietà frazionata nell’ambito delle RTA pone una serie di questioni di natura più schiettamente civilistica che occorre brevemente esaminare.
L’appartenenza a soggetti diversi di porzioni della RTA e nel contempo la presenza di un nucleo essenziale di cose comuni ai titolari delle proprietà esclusive nell’ambito di un medesimo edificio pone innanzitutto il quesito se la fattispecie debba o meno essere inquadrata nell’ambito del regime condominiale di cui agli artt. 1117 e ss. cod. civ.
A tale quesito ha dato risposta affermativa la già menzionata decisione della Suprema Corte 5 febbraio 2007 n. 2477, osservando in proposito che il condominio si costituisce in seguito alla semplice coesistenza nello stesso edificio di più proprietà solitarie e, ad un tempo, di più cose, servizi ed impianti destinati all’uso comune, essendo a questo fine irrilevante la destinazione d’uso dell’edificio dettata dalle norme urbanistiche.
Secondo la Corte, pertanto, “il regime condominiale è sicuramente compatibile con la destinazione alberghiera di un immobile”.
La prassi negoziale, tuttavia, consente di rilevare che usualmente nel procedersi alla vendita frazionata di un immobile con destinazione turistico-ricettiva (e con specifico riferimento alle RTA, in particolare) il costruttore-venditore riserva a sé e/o ad una società destinata ad esercitare unitariamente l’attività turistico-ricettiva la proprietà di quasi tutte le parti comuni dell’edificio.
In questa prospettiva occorre domandarsi se anche nell’ipotesi considerata debba ritenersi sussistente il regime condominiale, così come recentemente ritenuto dalla Corte di Cassazione.
La questione non è di facile soluzione, in quanto se da un lato un nucleo essenziale di cose comuni permane (ad esempio il sedime del fabbricato, i muri perimetrali, il tetto, le condotte dei servizi) dall’altro vi è la tendenza nella prassi ad escludere positivamente l’applicabilità della disciplina condominiale.
Per evidenti ragioni, infatti, la prassi negoziale privilegia (rispetto ai pochi beni comuni) l’applicazione della disciplina della comunione ordinaria: in essa le deliberazioni assembleari di ordinaria amministrazione sono assunte con il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle quote mentre nel condominio è sempre necessario anche un quorum soggettivo. Più in generale la gestione della cosa comune consente un maggiore spazio all’autonomia privata nell’ambito della comunione ordinaria rispetto a quanto può operarsi nell’ambito di un regime condominiale.
Si può tuttavia dubitare che la prassi intesa a disciplinare attraverso le regole della comunione ordinaria i rapporti tra i singoli proprietari rispetto alle parti comuni sia in grado di escludere in concreto l’applicabilità della specifica disciplina del condominio.
E’ vero che la presunzione di proprietà comune di cui all’art. 1117 cod. civ. fa salva l’ipotesi che il titolo disponga diversamente, ma è da dubitarsi che sussistendo effettivamente parti comuni dell’edificio (quelle minimali per la sua fisica esistenza) l’autonomia contrattuale possa escludere l’applicazione del regime condominiale.
Diverso è naturalmente il caso in cui si escluda in toto la sussistenza di proprietà comuni fra i singoli proprietari esclusivi: si tratta peraltro di un’ipotesi più teorica che effettiva, in quanto l’esclusione convenzionale della proprietà comune di tutti i beni e/o servizi essenziali presupporrebbe da un lato una proprietà superficiaria (mancando la proprietà comune del sedime dell’edificio) e dall’altro e comunque la costituzione di una serie di servitù connesse alla utilizzazione dei beni e dei servizi indispensabili per l’uso delle proprietà esclusive (ingresso, scale, condutture per i servizi e così via).
La questione relativa al regime civilistico al quale deve ritenersi soggetta una RTA a proprietà frazionata, comunque, è tutt’altro che meramente classificatoria e nominalistica in quanto, come è noto, talune norme in tema di condominio non sono derogabili nemmeno attraverso regolamenti contrattuali, dal momento che l’art. 1138 cod.civ. non distingue in ordine alla genesi (contrattuale o assembleare) del regolamento nel prevedere che esso comunque non possa derogare a talune disposizioni che si assumono quindi necessariamente applicabili.
In questa prospettiva talune previsioni contenute nei regolamenti utilizzati dalla prassi presentano profili di criticità.
E’ ipotesi diffusa, ad esempio, quella di prevedere che l’amministrazione delle parti comuni (sia pure ridotte all’indispensabile) nell’ambito delle RTA sia affidata, per espressa disposizione del regolamento contrattuale predisposto dal costruttore –
venditore trascritto ed accettato dagli acquirenti, al soggetto (normalmente una società) deputato alla gestione unitaria a scopo ricettivo del complesso immobiliare.
Se si ritiene che il regime applicabile sia quello condominiale ha ragione di porsi la questione relativa alla validità di tale disposizione, in quanto essa contrasta con il disposto dell’art. 1129 cod. civ. (dichiarato inderogabile dal successivo art. 1138) a mente del quale l’amministratore dura in carica un anno.
La previsione di una nomina di durata ultra-annuale dell’amministratore sarebbe conseguentemente incompatibile con la richiamata disciplina inderogabile.
Altra vicenda normalmente ricorrente nella prassi è quella della nomina di una società (come si è detto si tratta usualmente della società deputata a gestire imprenditorialmente la RTA) quale amministratore della “comunione” tra i proprietari rispetto ai beni comuni.
Come è noto si è per lungo tempo dubitato della ammissibilità della attribuzione delle funzioni di amministrazione di un condominio ad una persona giuridica e la stessa Corte di Cassazione nel 1994 (Cass. 9/6/1994 n. 5608) si era espressa in senso negativo.
Con una più recente sentenza, peraltro, la stessa Corte ha ritenuto superabili le perplessità che sul punto erano state manifestate dalla precedente decisione e ha motivatamente enunciato il (nuovo) principio di diritto secondo cui “anche una persona giuridica può essere nominata amministratore del condominio negli edifici, posto che il rapporto di mandato istituito nei confronti delle persone suddette, quanto all’adempimento delle obbligazioni ed alla relativa imputazione della responsabilità, può essere caratterizzato dagli stessi indici di affidabilità che contrassegnano il mandato conferito ad una persona fisica.”(Cass. 24/10/2006, n. 22840).
Le considerazioni, necessariamente sintetiche, che sono state sin qui svolte consentono di rilevare un profilo di criticità nella prassi negoziale che privilegia l’applicazione della disciplina della comunione ordinaria rispetto al fenomeno della proprietà frazionata nell’ambito delle RTA.
Poiché nel nostro ordinamento la qualificazione giuridica dei fenomeni negoziali è sottratta alla autonomia delle parti ed è per converso rimessa al giudice, può essere opportuno tenere adeguatamente conto dell’opinione recentemente ed autorevolmente enunciata dalla Suprema Corte nella più volte richiamata decisione n. 2477 del 2007.
In essa la Corte non dubita della applicabilità del regime condominiale nella fattispecie considerata ed è quindi assai probabile che, in caso di controversie, l’orientamento dei giudici di merito tenda a conformarsi a tale precedente.
Ma se di “condominio alberghiero” sembra doversi necessariamente discutere, non possono peraltro sfuggire le peculiarità che lo connotano, come emerge anche dalle considerazioni che seguono.
4. Le limitazioni convenzionali all’uso della proprietà esclusiva nei regolamenti contrattuali: tecniche redazionali ed efficacia nella circolazione dei beni.
Nell’ambito delle iniziative finalizzate alla vendita frazionata di immobili con destinazione turistico – ricettiva (e specificamente con destinazione a RTA) assumono un ruolo fondamentale i regolamenti contrattuali predisposti dal costruttore – venditore.
Tali regolamenti costituiscono infatti lo strumento indispensabile non solo per una corretta ed ordinata gestione del complesso immobiliare ma anche e soprattutto per consentire l’ammissibilità stessa, sotto il profilo giuridico, della vendita frazionata della RTA.
Attraverso il regolamento contrattuale si pongono infatti quelle necessarie limitazioni all’uso della proprietà esclusiva che sono funzionali ad assicurare la permanenza dei requisiti essenziali che connotano la RTA e che si sostanziano, come si è più volte sottolineato, nella unitarietà della gestione imprenditoriale del complesso immobiliare e nella apertura al pubblico del medesimo.
E’ proprio in questa prospettiva che si coglie la peculiarità della fattispecie di quello che si è in precedenza indicato quale “condominio alberghiero”. Allo scopo di assicurare la sussistenza del requisito, indispensabile, dell’apertura al pubblico, il regolamento deve necessariamente prevedere il divieto per il proprietario della singola unità abitativa alla utilizzazione di essa uti domino.
La fruibilità dell’unità abitativa non può essere consentita al proprietario della medesima se non attraverso la stipulazione di un rapporto contrattuale con un soggetto imprenditore che gestisce unitariamente il complesso (cd. contratto d’albergo, che non si esaurisce nella mera disponibilità del bene ma è connotato dalla prestazione di servizi in favore dell’utente) e nella prospettiva sopra indicata è pertanto necessario che i singoli proprietari delle unità abitative mettano a disposizione di un soggetto imprenditore le loro proprietà al fine dell’esercizio, unitario appunto, dell’azienda turistico – ricettiva.
Si tratta, come è evidente, di rilevanti ed incisive limitazioni delle facoltà che ordinariamente competono al proprietario.
Tali limitazioni, peraltro, sono indispensabili al fine di rispettare la disciplina di settore e specialmente quella urbanistica.
Non vi sono ostacoli di natura privatistica alla previsione di siffatte limitazioni, che trovano la loro fonte nell’autonomia privata e, non svuotando completamente il diritto di proprietà, non si pongono neppure in contrasto con principî inderogabili dell’ordinamento.
Il vincolo di destinazione urbanistica che connota la RTA sin dalla autorizzazione amministrativa che ne consente la realizzazione, infatti, è ragione sufficiente per l’ammissibilità di limitazioni convenzionali, di natura privatistica, all’uso delle singole proprietà esclusive.
La prassi negoziale conosce svariate tipologie di regolamenti finalizzati al mantenimento dei requisiti essenziali che debbono necessariamente connotare le RTA con la proprietà frazionata delle medesime.
Non è evidentemente possibile offrire in questa sede un esaustivo panorama delle diverse tecniche redazionali dei regolamenti che attengono all’uso ed alla gestione di una RTA a proprietà frazionata; è tuttavia possibile dare conto della fattispecie che è statisticamente più utilizzata nella prassi e che può essere sintetizzata nei termini che seguono.
Il costruttore – venditore della RTA procede alla costituzione di una srl finalizzata alla gestione unitaria della medesima, alla quale vengono trasferite in proprietà le parti comuni dell’edifico, escluse quelle indispensabili (sedime, muri perimetrali, tetto, scale e condutture dei servizi) da trasferirsi pro-quota agli acquirenti delle singole unità immobiliari.
Si procede poi all’alienazione delle singole unità immobiliari unitamente a corrispondente proporzionale quota di partecipazione alla società di gestione.
Contestualmente all’acquisto della unità immobiliare e delle quote della società di gestione l’acquirente stipula con la società di gestione un contratto, funzionalmente collegato all’atto di acquisto, mediante il quale viene assicurata la facoltà per la società di gestione di poter disporre del godimento delle singole unità immobiliari ai fini dell’esercizio unitario dell’azienda turistico – ricettiva.
Diversi sono i tipi contrattuali utilizzati per il conseguimento di tale obbiettivo (associazione in partecipazione, mandato, appalto di servizi, affitto di azienda) ma tutti sono connotati da un lato dalla messa a disposizione in favore della società di gestione delle singole unità abitative e, dall’altro, dal riconoscimento in favore del proprietario di un corrispettivo che naturalmente può essere, a seconda dei casi, in misura fissa ovvero proporzionale agli utili rivenienti dalla attività turistico – ricettiva.
Altre relazioni si occupano specificamente dei profili relativi alle modalità di gestione delle RTA a proprietà frazionata e ad esse è quindi opportuno fare rinvio.
In questa sede preme sottolineare, ancora una volta, che in virtù dei regolamenti convenzionali adottati nella prassi (virtuosa, non patologica) anche il proprietario esclusivo della singola unità abitativa ne usufruisce attraverso la stipulazione di un cd. contratto di albergo, alla stessa stregua del normale turista.
Un profilo che impegna particolarmente i professionisti chiamati a redigere i regolamenti relativi all’uso e alla gestione di una RTA a proprietà frazionata è quello relativo alla opponibilità ai terzi sub-acquirenti delle limitazioni all’uso esclusivo della singola proprietà ed all’obbligo di consentirne la gestione in capo al soggetto imprenditore che esercita l’attività turistico - ricettiva nel complesso.
Nella prassi si fa usualmente ricorso al meccanismo della trascrizione del regolamento unitamente al primo atto di compravendita, alla menzione delle limitazioni convenzionali nella nota di trascrizione ed alla espressa accettazione di tale regolamento da parte
dell’acquirente anche per effetto della trascrizione nell’atto delle più rilevanti pattuizioni contenute nel regolamento.
L’aspetto più delicato, tuttavia, è certamente quello che attiene all’obbligo del singolo proprietario di consentire (attraverso i vari tipi contrattuali ai quali si è fatto in precedenza cenno) la disponibilità della singola unità abitativa in capo all’imprenditore gestore unitario del complesso turistico – ricettivo.
In questo caso si tratta di obbligazioni che, pur avendo ad oggetto beni immobili, non assumono certamente i connotati del diritto reale né quelli delle obbligazioni propter rem, nei limiti in cui si riconosca tale categoria giuridica nel nostro ordinamento.
La circolazione di tali obbligazioni è quindi un problema assai delicato.
Diverse possono essere le tecniche per assicurare l’opponibilità di esse ai successivi sub- acquirenti e tuttavia ciascuna presenta qualche profilo di criticità.
Un non recente, ma autorevole, precedente specifico della Suprema Corte, tra l’altro a Sezioni Unite, consente di individuare nel collegamento negoziale uno degli strumenti più confacenti alla soluzione del problema.
In una fattispecie di casa-albergo a proprietà frazionata in cui contemporaneamente alla compravendita delle singole unità immobiliari si era stipulato anche un contratto di appalto dei servizi connessi alla casa-albergo con la società deputata alla gestione unitaria dell’azienda alberghiera e si era convenzionalmente esclusa la possibilità di recesso dal contratto di appalto salvo scioglimento per unanime volontà delle parti o risoluzione per inadempimento, infatti, la Corte ha ritenuto che “dai fatti prospettati ed accertati emerge chiaramente il collegamento funzionale tra l’appalto dedotto e la proprietà esclusiva della varie parti d’immobile dei singoli condomini, conseguita mediante i relativi atti di compravendita; nel senso che, stipulandosi contemporaneamente alla compravendita anche l’appalto dei servizi connessi alla casa- albergo, il secondo contratto è in funzione del primo in quanto costituisce un elemento essenziale per il godimento del bene acquistato, secondo le caratteristiche ad esso proprie e la sua destinazione. Con l’ulteriore conseguenza, stante il carattere accessorio dell’appalto rispetto alla compravendita, che il primo rapporto ha la stessa durata, in capo a ciascun condominio, della proprietà conseguita mediante il secondo; sempreché non si verifichi lo scioglimento dell’appalto per unanime volontà delle parti – secondo la previsione del regolamento contrattuale -, ovvero la sua risoluzione per inadempimento, a’ sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c.” (Cass. Sez. Unite, 14/6/1990, n. 5777, in Giust. Civ., 1991, I, p. 79 ss.).
Si discute, ancora, se la opponibilità ai terzi sub-acquirenti di unità abitative ubicate in una RTA dei severi vincoli alla utilizzazione di esse (obbligo alla gestione unitaria, divieto di uso diretto da parte del proprietario) possa essere assicurata attraverso un meccanismo impositivo di servitù reciproche.
In effetti, se si considera che secondo la giurisprudenza nelle vendite a lotti di aree edificabili le limitazioni alla libertà di utilizzare i vari lotti disposte contrattualmente hanno natura di servitù reciproche opponibili ai terzi nella successiva fase di circolazione
dei beni (cfr. ad esempio Cass. 2 giugno 1992 n. 6652), tale soluzione appare percorribile al fine di mantenere nel tempo il rispetto della destinazione funzionale del bene.
Si può infine ipotizzare l’utilizzazione, in questa prospettiva degli atti impositivi di vincoli di destinazione relativi a beni immobili (art. 2645 ter cod. civ.), categoria dagli incerti confini recentemente introdotta dal legislatore.
Dispone in proposito la citata norma che gli atti pubblici con cui beni immobili (o mobili iscritti in pubblici registri) sono destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili (tra l’altro) a pubbliche amministrazioni possano essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione. Tali beni possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e sono soggetti ad esecuzione forzata solo per i debiti contratti per tale scopo.
Non è possibile in questa sede il necessario approfondimento sulla natura e sugli effetti di tali atti di destinazione, ma è tuttavia consentito ipotizzarne l’utilizzazione proprio al fine di assicurare la permanenza del vincolo di destinazione turistico-ricettiva, pur nell’ambito della circolazione della proprietà frazionata delle singole unità che compongono una RTA.
5. Conclusioni
Le considerazioni che precedono, pur nella loro necessaria sinteticità, consentono di trarre alcune conclusioni, di natura eminentemente pratica, in ordine al fenomeno delle RTA a proprietà frazionata.
Debbono certamente essere respinte le tesi radicali che escludono in sé l’ammissibilità della vendita frazionata in quanto asseritamente elusiva del vincolo di destinazione d’uso.
Come si è cercato di dimostrare in precedenza, infatti, il regime della appartenenza dei beni, e quindi il regime proprietario di essi, è indifferente rispetto al vincolo di destinazione urbanistica impresso ai beni medesimi.
E’ invece rilevante la verifica della sussistenza o meno nella fattispecie considerata dei requisiti essenziali della unitarietà della gestione imprenditoriale per finalità turistico – ricettive della RTA e della sua apertura al pubblico.
La questione deve quindi essere risolta caso per caso, ponendo attenzione alle peculiarità di ciascuna fattispecie.
Qualora, attraverso le opportune previsioni contrattuali contenute negli atti di alienazione delle singole unità abitative e nei regolamenti convenzionali che disciplinano l’uso e la gestione della RTA, risulti garantita la permanenza dei più volte richiamati requisiti essenziali (unitarietà della gestione e apertura al pubblico) la coesistenza di proprietà frazionate nell’ambito delle RTA deve ritenersi perfettamente legittima in quanto rispettosa della normativa di settore.
E’ evidente che il fenomeno pone delicate questioni tanto di natura pubblicistica quanto privatistica e tuttavia la corretta impostazione dell’operazione economica nei termini in precedenza indicati ne consente la legittima realizzabilità.
La diffusione del fenomeno nella prassi, come si è segnalato nella premessa, impone comunque una riflessione sulle nuove forme di utilizzazione della proprietà fondiaria che ne privilegiano l’aspetto reddituale rispetto a quello della fruizione egoistica.
Se correttamente impostata, nel rispetto della normativa nel senso in precedenza indicato, la realizzazione di una RTA a proprietà frazionata può consentire una buona remunerazione del capitale investito, altrimenti non conseguibile.
E d’altra parte - e conclusivamente - la collocazione privilegiata, dal punto di vista anche paesaggistico ambientale, che spesso connota gli immobili con destinazione turistico – ricettiva, ben può sopportare le oggettive limitazioni all’uso della singola proprietà che necessariamente conseguono al vincolo di destinazione turistico ricettivo.