Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro
Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro
e sulle Relazioni Industriali
La contrattazione collettiva in agricoltura: i problemi e le prospettive
di Xxxxxxxx Xxxxx
Collana ADAPT
Modena - n. 3/2002
COLLANA ADAPT, n. 3/2002
Xxxxxxx registrata il giorno 11 novembre 2001 presso il Tribunale di Modena. Registrazione: n.1609.
Stampata, in conformità alle leggi n. 62/2001, n. 47/1948 e n. 374/1939, nel mese di dicembre 2001 dal Xxxxxx Xxxxxx xxxx’Xxxxxxxxxx xxxxx Xxxxx xx Xxxxxx x Xxxxxx Xxxxxx.
Direzione Scientifica: Xxxx. Xxxxx Xxxxx
Curatore della Collana : Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
ADAPT
c/o Centro Studi Internazionali e Comparati
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Facoltà di Economia Xxxxx Xxxxxxxxxx 00, 00000 Xxxxxx
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La contrattazione collettiva in agricoltura: i problemi, le prospettive
di Xxxxxxxx Xxxxx
SOMMARIO:
1. Il settore agricolo: un modello di flessibilità e decentramento
2. Il sistema di relazioni industriali in agricoltura
3. Il dibattito giurisprudenziale sull’applicabilità della Legge n. 230/1962 al settore agricolo.
4. Le attuali interpretazioni di dottrina e giurisprudenza in materia
5. Le massime giurisprudenziali
1. Il settore agricolo: un modello di flessibilità e decentramento
Il sistema produttivo europeo e quello italiano in particolare stanno attraversando un periodo di trasformazione molto significativo che registra il passaggio definitivo dalla “vecchia” alla “nuova” economia, la transizione da un sistema economico industrialista a uno fondato sulle professionalità e le competenze. Le norme che regolano gli attuali rapporti di lavoro non sono in grado di cogliere i mutamenti in atto e di far fronte alle nuove esigenze imposte dal mercato. Il quadro giuridico-istituzionale e i rapporti costruiti dalle parti sociali devono cogliere tali trasformazioni, agevolandone il governo. Le parti sociali devono abbandonare la logica del confronto di breve respiro e, sulla base di un nuovo progetto per la gestione delle risorse umane e dei rapporti collettivi di lavoro, devono modernizzare il sistema delle regole rendendolo sempre più concordato e sempre meno indotto dall’attore pubblico.
Gli elementi che sono stati unanimemente posti alla base di questa modernizzazione sono la flessibilità e il decentramento, tematiche oggetto dei dibattiti e delle ricerche più rilevanti da almeno un decennio.
Sotto il primo profilo, quello della flessibilità,1 si tratta di una strategia necessaria per rispondere ai bisogni di competitività dell’economia del paese, che ha indotto numerosi cambiamenti nel sistema socio-economico italiano, nell’organizzazione del mercato del lavoro e nei rapporti tra le parti sociali – l’introduzione di nuove modalità contrattuali (vedi Legge n. 196/1997) e l’attuale riforma della legge sui contratti a termine ne sono esempi privilegiati. L’intento che il Governo si propone di raggiungere attraverso questa riforma è quello di avviare un disegno riformatore in grado di promuovere la modernizzazione dell’organizzazione del lavoro e contribuire, nel contempo, a
1 O meglio flessibilità mite così come definita in relazione al terzo pilastro delle politiche comunitarie in materia di occupazione, che si occupa di adattabilità (adaptability) - strumento privilegiato, in sede comunitaria, per garantire sia la performance economica e che quella occupazionale. «La flessibilità che si combina alla sicurezza (flex-security o flexurity), alla non precarietà, è il punto ottimale che si dovrebbe raggiungere per ridimensionare gli eccessi di garantismo legislativo, da sempre presenti nel continente europeo (in particolare in Italia), e consentire di ri-regolare gli eccessi opposti, ossia le punte di flessibilità non normata». Xxxx X. Xxxxx, Il lavoro a tempo parziale, Il sole 24 ore, 2000, XIII-XIV.
incrementare le opportunità di occupazione regolare e di buona qualità.
Il secondo profilo, quello del decentramento, è attualmente al centro dei dibattiti, soprattutto in vista della riforma in senso federalistico dell’amministrazione e del governo del paese. In questo contesto di tendenziale spostamento dell’asse centrale dei rapporti, è interessante incentrare l’analisi sugli effetti, positivi o negativi, di un ulteriore decentramento della contrattazione e sull’opportunità di affidare la gestione della materia lavoro alle succursali del ministero centrale.
Con riferimento a tali tematiche appare di elevato interesse l’analisi del settore agricolo da sempre caratterizzato da elevata flessibilità nell’utilizzazione della prestazione lavorativa (soprattutto dal punto di vista della durata temporale) e da massimo decentramento degli assetti negoziali; l’asse portante del sistema contrattuale agricolo è, infatti, nel secondo dopoguerra, con un breve intervallo nel decennio Ottanta, il contratto provinciale.
La particolare tipologia del lavoro nel settore agricolo è alla base dell’elevata flessibilità che caratterizza i rapporti tra datori e operai, per lo più stagionali o a tempo determinato. Se in tutti i settori infatti il contratto a tempo indeterminato costituiva la regola, nel settore agricolo esso costituiva l’eccezione. L’art. 11 della Legge n. 83/1970 ne offre una precisa dimostrazione: «E’ ammessa l’indicazione di durata a tempo indeterminato, stagionale e comunque con approssimazione, qualora sia giustificata dalla particolare natura del lavoro da eseguire».
Alla luce di tali considerazioni si potrebbe affermare che, mentre negli Ottanta il settore agricolo ha tentato di modificare il suo assetto produttivo e contrattuale per avvicinarsi al settore industriale, nell’ultimo decennio, in seguito ai bisogni di flessibilità e di decentramento, è quest’ultimo che dovrebbe guardare al comparto agricolo per trarne utili spunti di riflessione nella prospettiva modernizzatrice sopra richiamata.
Una volta ricostruito sinteticamente il peculiare assetto della contrattazione collettiva in agricoltura, in questo breve contributo si intendono ricostruire i termini della vexata qaestio circa l’applicabilità o meno della Legge n. 230/1962 al settore in questione al fine di comprendere appieno la portata delle disposizioni contenute nel recente decreto sul contratto a termine che testualmente dispone «sono esclusi dalla legge i rapporti di lavoro tra i datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato così come definiti dall’art. 12, comma 2, del D. Lgs. n. 375/1993».
2. Il sistema di relazioni industriali in agricoltura
La contrattazione collettiva in agricoltura si è mostrata in passato e tuttora si mostra come un sistema dotato di notevoli peculiarità rispetto ai sistemi di rapporti collettivi propri di altri settori produttivi.
Le differenze sono intimamente connesse ai caratteri strutturali del settore produttivo, alla morfologia del mercato del lavoro e alla storia del movimento sindacale agricolo. Questi fattori hanno influito, e continuano a influire, sull’intera struttura del sistema contrattuale (livelli e rapporti tra sedi negoziali), sulla strategia del sindacato (orientata essenzialmente sui temi dell’occupazione e della previdenza), sulla più generale politica sindacale concernente i rapporti sociali di produzione (riforma agraria, riforma degli obblighi di miglioria, della cooperazione e delle affittanze collettive, riforma previdenziale).2
Un elemento di cui tener conto per la comprensione delle caratteristiche storiche del settore agricolo è la sovrabbondanza di manodopera rispetto alla domanda espressa dal mercato – dato strutturale dello sviluppo economico italiano che varia a seconda della fase storica e delle realtà geografiche, economiche e produttive. Le cause di questo squilibrio si ritrovano nello stesso sviluppo industriale, tardivo, insufficiente, disomogeneo, e nella deliberata volontà di fare dell’agricoltura il serbatoio di contenimento della manodopera eccedentaria rispetto al particolare tipo di sviluppo economico voluto e realizzato nel nostro paese.
E’ evidente quindi che la contrattazione collettiva in agricoltura ha una storia separata da quella dell’industria e per questo essa presenta caratteri peculiari legati alle condizioni economiche e occupazionali del settore: grande frammentazione delle unità produttive, prevalenza di rapporti di lavoro instabili rispetto all’occupazione garantita e continua, tipica del lavoro industriale.
Tra le cause di questa diffusa precarietà si possono individuare: l’eccessiva frantumazione delle unità aziendali, come già accennato, e le particolari produzioni agricole - in prevalenza colture mediterranee tipicamente stagionali - che non favoriscono uno stabile inserimento del lavoratore nell’azienda e comportano l’instaurazione di rapporti di lavoro di breve durata.
0 Xxx. X. Xxxxxxxxx 0000, 89.
In contrasto col centralismo degli altri settori, la struttura contrattuale agricola è stata storicamente molto articolata su basi settoriali e soprattutto territoriali.
La struttura della contrattazione in agricoltura, come negli altri settori produttivi, è costituita da un insieme di contratti che stabiliscono le condizioni alle quali viene prestata l’attività lavorativa. I contratti agricoli, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, si differenziano tra loro per il diverso ambito di applicazione (nazionale, provinciale, aziendale, ecc.) o per le differenti categorie di lavoratori interessati (impiegati, operai a tempo determinato e indeterminato ecc.).
Questa particolare articolazione contrattuale ignora quasi del tutto il livello aziendale. Tale peculiarità, che segna il punto di maggior debolezza della politica sindacale agricola, deriva dal basso tasso di concentrazione del lavoro agricolo a livello aziendale e dalla disomogenea distribuzione e qualificazione sul territorio nazionale della forza lavoro agricola.3
Per comprendere al meglio il funzionamento di questo sistema, che varia a seconda delle politiche seguite dai principali soggetti delle relazioni collettive, è opportuno tracciare un quadro storico che metta in evidenza l’evoluzione dei rapporti tra le parti sociali, con riferimento particolare ai livelli e ai principali contenuti della contrattazione.
La storia della contrattazione collettiva del comparto agricolo può essere divisa in fasi che segnano prima un forte decentramento (progressivamente superato attraverso l’aumento d’importanza del contratto nazionale), poi un sistema caratterizzato da un forte accentramento, superato solo nel 1995 attraverso la scelta di garantire lo sviluppo equilibrato e coerente delle relazioni contrattuali a livello locale e nazionale.
L’esperienza contrattuale agricola risente ancora di una tradizione storica e di un’organizzazione complessa che non risponde a criteri orientativi omogenei. Essa è stata caratterizzata negli anni Cinquanta e Sessanta da due peculiarità: la segmentazione verticale della categoria (accordi separati per braccianti, salariati fissi, impiegati e per diverse specializzazioni merceologiche) e un accentuato decentramento della struttura negoziale.
A partire dal 1975-1980, queste caratteristiche scompaiono; in particolare scompare la segmentazione verticale tra salariati fissi e braccianti e il contratto nazionale di categoria sostituisce, nel
3 In proposito vedi X. Xxxxxxxxx, 1990, 42.
1977, il Patto che fino a quel momento aveva individuato i principi e le norme fondamentali di carattere generale che regolavano i rapporti di lavoro.4 Il passaggio da patto a contratto è riconosciuto unanimemente da studiosi e specialisti come un momento “storico” per il settore agricolo. Fino ad allora infatti tutto il sistema contrattuale in oggetto si reggeva sul contratto provinciale, che stabiliva il regolamento in base al quale doveva essere prestata l’attività lavorativa e, allo stesso tempo, disciplinava gli istituti del rapporto di lavoro, mentre il patto si caratterizzava per non essere immediatamente efficace, in quanto impegnava soltanto le parti a recepire nei contratti provinciali la disciplina degli istituti regolamentati nei patti stessi. In seguito alla svolta del 1977 il contratto provinciale perde il suo ruolo centrale e ricopre una funzione integrativa. 5
Tale trasformazione non comportò una modifica solo nominale della struttura ma sancì il compimento del processo avviatosi molti anni prima e mirante a realizzare in agricoltura lo stesso sistema contrattuale vigente negli altri settori produttivi. Lo scopo principale era quello di eliminare quell’anomalia che portava a stipulare in ciascuna provincia, sulla base dei rapporti di forza esistenti, contratti collettivi senza limiti di alcun genere circa le materie da disciplinare e circa l’immediata e diretta efficacia. Conseguentemente, nelle diverse realtà provinciali in cui si era riusciti a stipulare un accordo, si avevano differenze, anche notevoli, che non sempre trovavano giustificazione nelle caratteristiche dell’agricoltura di ciascuna area o nella diversa struttura del mercato del lavoro.
Lo spostamento dell’asse della contrattazione verso il livello nazionale nel corso degli anni Ottanta non implicò la totale perdita di importanza di quello provinciale, che, pur abbandonando i suoi caratteri di contrattazione libera e svincolata, conservò una funzione fondamentale nella regolamentazione dei rapporti di lavoro agricolo.
Privilegiando il livello nazionale si trascurò il fatto che l’agricoltura italiana era ancora un settore fortemente eterogeneo, caratterizzato dalla presenza di zone a vocazione agronomica diversa e da differenze geografiche tali da rendere normativamente rilevanti le specialità territoriali. La forte centralizzazione, seguita alla svolta del 1977, comportò una notevole riduzione degli spazi e delle funzioni della contrattazione territoriale e la progressiva sostituzione dell’eterogeneità tipica del settore agricolo con l’uniformità e la semplificazione delle
4 Sul ruolo del Patto nazionale cfr., X. Xxxxxxxxxx, 1990, 22.
5 Cfr. X.Xxxxxx, 1997, 215.
discipline economico-normative, con inevitabili effetti di appiattimento.6
Nel corso degli anni Ottanta furono elaborati due importanti contratti per gli operai agricoli e florovivaisti7, i cui tratti originali in parte confermano e in parte modificano le tendenze in atto nel decennio precedente. Le modifiche apportate vanno interpretate alla luce delle più generali tendenze che hanno interessato le relazioni sindacali in tutti i settori e le stesse relazioni fra le organizzazioni imprenditoriali e sindacali nei confronti del governo.
Le difficoltà poste dalla difficile congiuntura economica, riconducibile a una situazione di stagflazione, modificarono il sistema delle relazioni industriali, che a partire dal 1982 fu caratterizzato dall’affermazione della triangolarità sindacato- imprenditore-governo da cui ebbe origine la politica della concertazione fondata sulla logica dello scambio.8 Il settore agricolo può essere considerato, in un certo senso, antesignano di questa strategia, figurando come il primo comparto in cui si avviarono i negoziati per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro già nel 1982, sotto la spinta di intese di carattere più generale raggiunte presso il Cnel.
I contratti del 1983 e del 1987 rivelano, per quanto riguarda i contenuti della negoziazione, una contraddizione di fondo. Da una parte infatti l’azione negoziale rimane ancorata alle tradizionali tematiche degli anni Settanta, evidenziando un’insufficiente riflessione e un evidente ritardo rispetto alle esigenze di adeguamento della tutela contrattuale alle trasformazioni indotte dall’innovazione tecnologica e dal diffondersi di nuove forme di gestione aziendale. Dall’altra, grazie alla diffusione capillare della “cultura della flessibilità” anche nelle relazioni sindacali, si riscontrano nei contratti di questi anni alcune elaborazioni innovative, tra le quali rivestono un particolare valore quelle che introducono nuove forme di avviamento al lavoro in azienda (riassunzione, convenzioni) e quelle che fissano procedure differenziate per la definizione delle retribuzioni (tariffe speciali per la manodopera non professionale addetta alle operazioni di raccolta).
Per individuare una fase di interesse rilevante, nell’ambito delle relazioni industriali agricole, si deve attendere fino al biennio
6 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, 1990, 21.
7 Con il contratto del 1983 la categoria dei florovivaisti, storicamente legata della sua specificità professionale, fu assorbita nel contratto dei braccianti. Cfr. X. Xxxxxxxxx, Lavoro e sindacati in agricoltura, Xxxxxx Xxxxxx, 1988, 171.
8 Cfr. X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, 1988, n.8, 87.
1993-1994 durante la quale si verificò una svolta decisiva verso la normalizzazione delle relazioni sindacali. Fondamentale nel quadro di cambiamento del sistema fu l’accordo sul mercato del lavoro del 25 luglio 1994, raggiunto tra le parti sociali del settore agricolo, che di fatto rappresentò la loro formale adesione al Protocollo del 23 luglio 1993 sulla politica dei redditi e la revisione degli assetti contrattuali.
La firma dell’accordo per il rinnovo del Ccnl per gli operai agricoli e florovivaisti del 1995, per i suoi contenuti innovativi, rappresenta un momento importante per l’ammodernamento nelle relazioni contrattuali dell’agricoltura. Tali cambiamenti non scaturiscono dal semplice recepimento delle nuove regole contrattuali definite nel Protocollo trilaterale del 23 luglio 1993, quanto piuttosto dalla scelta compiuta dalle parti sociali di assegnare alla contrattazione provinciale un ruolo centrale a scapito di quella nazionale. In questa fase delle relazioni industriali agricole si riscopre la centralità della contrattazione decentrata, fulcro del sistema negoziale agricolo fino alle modifiche apportate nel corso del decennio Ottanta.
Il nuovo sistema contrattuale consisteva nel decentramento al secondo livello di contrattazione, storicamente quello provinciale, di una parte dei compiti, che l’accordo triangolare del 23 luglio 1993 aveva affidato unicamente al contratto nazionale – la salvaguardia del potere di acquisto delle retribuzioni per un biennio di validità contrattuale e la politica degli inquadramenti professionali.
L’impostazione concordata tra le parti sociali si basava sulla considerazione che la centralizzazione del sistema contrattuale da un lato offre il vantaggio di stabilire basi salariali e normative omogenee per tutti i lavoratori ma, dall’altro, difetta nel definirle prescindendo dal grado di redditività delle imprese e dal livello di professionalità dei lavoratori.
In seguito al forte sviluppo capitalistico che aveva investito e modificato il settore agricolo nel ventennio precedente, sconvolgendo quell’omogeneità sociale e professionale del bracciantato agricolo su cui si reggeva la precedente struttura contrattuale, la contrattazione provinciale non poteva più essere in grado di garantire da sola un adeguato grado di differenziazione interna per le difficoltà quantitative e qualitative. Il contesto del settore agricolo, variegato e frammentato, appariva caratterizzato da assetti produttivi, aziendali e sociali profondamente differenti che si estrinsecavano in comportamenti organizzativi e livelli di redditività assai diversi per i vari settori e aziende. Alla luce di questi cambiamenti le parti
ritennero necessaria un’ulteriore differenziazione negoziale per mantenere massima la coerenza tra il sistema di contrattazione collettiva e la fisionomia socio-professionale del settore.9
La tornata contrattuale del 1998 è stata caratterizzata da un ciclo particolarmente positivo di relazioni sindacali e dalla riconferma della scelta fatta nel precedente contratto del 1995 di potenziare il ruolo della contrattazione provinciale a scapito di quella nazionale.
Il nuovo contratto risulta fortemente innovativo e in grado di rispondere alle esigenze di flessibilità del settore. A questo proposito si possono citare i nuovi capitoli relativi alla regolamentazione dei tre istituti – apprendistato, part-time e lavoro interinale – prima assenti dal settore primario per motivi di ordine legislativo e per le resistenze di segno culturale e sindacale. L’estensione al settore di queste modalità contrattuali, avvenuta in seguito alla Legge n. 196/1997, era da tempo attesa dalle associazioni datoriali che chiedevano l’allargamento al comparto delle stesse opportunità vigenti negli altri settori produttivi per quanto riguarda l’utilizzo flessibile della manodopera.10
Di notevole importanza appaiono inoltre gli articoli relativi all’arricchimento del sistema di relazioni incluse nei capitoli relativi alle relazioni sindacali e al mercato del lavoro che rappresentano un passo decisivo verso l’avvicinamento dell’organizzazione lavoristica delle aziende appartenenti al settore agricolo a quelle degli altri settori produttivi e un tentativo di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
3. Il dibattito giurisprudenziale sull’applicabilità della Legge n. 230/1962 al settore agricolo
Il dibattito giurisprudenziale che si è andato sviluppando nell’ultimo ventennio circa l’applicabilità o meno della Legge n.230/1962 al settore agricolo rappresenta un ideale terreno di verifica delle problematiche giuridiche nell’ambito della difficile evoluzione della legge di riforma del contratto a termine.
Conoscere e comprendere le fasi di quel dibattito è importante perché le motivazioni su cui si è incentrata l’ultima sentenza della Corte di Cassazione, sezioni unite, n. 265/1997, sono le stesse che giustificano l’esclusione del settore agricolo dalla portata del decreto sui contratti a termine appena riformato.
9 Xxxx X.Xxxxxxxxx, 1990, 44.
10 Cfr. CNEL, Le relazioni sindacali in Italia 1997-1998, Roma, 2001, 396-397.
La Legge n. 230/1962, abrogando l’articolo 2097 del cod.civ., stabiliva all’art. 6 l’inapplicabilità del provvedimento «ai rapporti di lavoro fra i datori di lavoro dell’agricoltura e i salariati fissi comunque denominati, regolati dalla Legge n. 533/1949». Affidandosi al tenore letterale della norma non sarebbero dovuti sorgere problemi interpretativi, perché appariva evidente che la volontà del legislatore era quella di sottrarre all’operatività della disposizioni della Legge n. 230/1962 solo i rapporti di lavoro dei salariati fissi e di ricondurre nella sua sfera di applicazione quelli dei braccianti.11
In merito all’interpretazione del suddetto articolo si sono succeduti numerosi orientamenti – tuttora le posizioni di dottrina e giurisprudenza sono discordanti – e si è creato un lungo contrasto nella Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.
Alcune pronunce della Corte sostenevano infatti che la legge aveva portata generale e doveva quindi riferirsi a qualsiasi rapporto di lavoro subordinato, quali che ne fossero la natura e il contenuto.12Altre invece asserivano che il rapporto di lavoro agricolo, soprattutto in relazione alla realtà socio-economica in cui lo stesso si svolgeva, aveva caratteristiche che lo distinguevano dai rapporti negli altri settori e per questo a esso non era applicabile la disciplina dettata per il contratto di lavoro a tempo determinato e, in particolare, la disposizione secondo cui «l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto» (art.1, comma 3, Legge n. 230/1962). 13
Le pronunce a favore dell’inapplicabilità, in particolare, affermavano che, come nell’articolo 2097 cod.civ.14, anche nella Legge n. 230/1962 l’identificazione delle attività lavorative stagionali con il requisito di specialità legittimante l’apposizione del termine al contratto di lavoro era evidente.
La Legge n. 230/1962 riprende esplicitamente la tradizionale configurazione del lavoro stagionale nell’art.1 – dove evidenziava quali fossero le ipotesi valide di apposizione del termine al contratto – e nell’elenco delle attività stagionali di cui al D.P.R. n. 1525/1963 il cui contenuto sembrava essere ritagliato sulle esigenze del settore agricolo. Il fatto che la nuova normativa consentisse la stipula dei contratti di lavoro a termine con
11 Cfr., P.A. Xxxxxx, X. Xxxxxxxx, , 1990, 244.
12 Si vedano in proposito: Xxxx. 4 aprile 1978 n. 1546, Cass. 11 aprile 1992 n. 4432.
13 Si vedano in proposito: Xxxx. 24 novembre 1977 n.5122, Cass. 25 maggio 1978 n.
2654, Cass. 27 febbraio 1988 n.2093, Cass. 17 luglio 1990 n. 7314, Cass. 26 giugno 1991 n.
7314, Cass. 10 agosto 1991 n. 8767, Cass. 9 maggio 1995 n. 5033, Cass. 16 dicembre 1995 n.
1287.
14 L’articolo recitava che il contratto di lavoro «si reputa a tempo indeterminato se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto».
riguardo ad attività stagionali non in qualsiasi ipotesi, come nell’articolo 2097 cod.civ., ma soltanto in relazione a quelle tassativamente segnalate nell’elenco di cui al D.P.R. n.1525/1963, costituiva inizialmente l’argomento principale per negare l’applicabilità della disciplina comune al settore agricolo.
A sostegno delle sue argomentazioni, lo stesso orientamento riprendeva inoltre la Legge n. 83/1970, sostenendo che essa non riguardava solamente il collocamento dei lavoratori agricoli, ma regolava anche il contenuto del rapporto di lavoro con una disciplina che, in alcuni punti, appariva incompatibile con la legge generale anteriore inerente i contratti di lavoro a tempo determinato. La tutela per questo tipo di contratto era assicurata da alcune disposizioni contenute nelle stessa legge sul collocamento, la quale all’art. 12 stabiliva che «la sezione dell’ufficio del lavoro deve indicare nel provvedimento di avviamento la durata del rapporto, come dichiarata dal datore di lavoro, e che copia dell’atto di avviamento deve essere consegnata al lavoratore». Sarebbe stato in tal modo dimostrato che anche nel settore agricolo esiste una normativa di tutela che garantisce la certezza in ordine alla durata del rapporto, con la conseguente incompatibilità delle norme della Legge n. 230/1962.
Un noto orientamento giurisprudenziale, che suffragava l’inapplicabilità della legge, considerava lacunoso l’elenco delle attività stagionali contenuto nel D.P.R. n.1525/1963, e sosteneva che la mancata indicazione di «fondamentali operazioni, indubbiamente di carattere stagionale, in cui si articola il ciclo produttivo delle coltivazioni agrarie»15 era sufficiente a ritenere inapplicabili le disposizioni a tutti i rapporti di lavoro agricolo.16 Questa tesi era stata più volte disattesa dalla Cassazione che, con motivazioni inverse rispetto a quelle della decisione di merito sopra riportata, aveva negato che da una presunta particolare natura dei rapporti di lavoro agricolo si potesse desumere l’inapplicabilità agli stessi della disciplina della Legge n. 230/1962, sottolineando come quest’ultima indicasse chiaramente i rapporti non compresi nel suo campo di applicazione.17 Le argomentazioni addotte a sostegno dell’applicabilità della legge a favore del settore agricolo si basavano, in primo luogo, sulle indicazioni dell’art. 1, che consentiva l’apposizione di un termine a un contratto di lavoro a seconda della “speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della
15 Vedi Pret. Cerignola, 11 maggio 1977, in Riv.Giur. Lav. 1977, II, 809.
16 Cfr., X. X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxx, 0000., 245.
17 Cfr, X. X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxx, 0000., 245.
medesima”. Inoltre, in seguito alla stipula del D.P.R. n. 1525/1963, emanato in attuazione del comma 6 del medesimo art. 1, le argomentazioni in materia si erano fatte più concrete, in quanto l’elencazione delle attività c.d. stagionali in esso contenute andava in aiuto alle ragioni precedentemente prodotte, comprendendo una serie di attività prettamente agricole. Tale inclusione dimostrerebbe perciò l’applicabilità della disciplina della legge sul lavoro a termine.
In secondo luogo, l’art. 6 sanciva l’esclusione per «i salariati fissi comunque denominati», senza comprendere esplicitamente gli altri lavoratori agricoli e, in particolare, i braccianti. Lo spessore di questa tesi si era rivelato sicuramente più fragile rispetto alle altre: in seguito al patto del 1972 infatti la categoria dei salariati fissi era stata fatta confluire in quella degli operai a tempo indeterminato, togliendo quindi ogni fondamento all’art. 6, dal momento che la disciplina in esso contenuta era rivolta a rapporti di lavoro a tempo indeterminato che non avevano alcun legame con la legge stessa.
E’ necessario evidenziare che a favore dell’applicabilità al lavoro agricolo della disciplina sul lavoro a termine comune si era schierata la contrattazione collettiva.
A partire dal patto nazionale del 10 agosto 1972 e fino a oggi, gli operai agricoli a tempo determinato venivano definiti, in base alla contrattazione collettiva, «come gli operai che, in base alla Legge n. 230/1962, sono assunti con rapporto individuale di lavoro a tempo determinato per l’esecuzione di lavori di breve durata».
Pur consapevoli della necessità di prendere posizione sul problema relativo alla applicabilità o meno della legge e probabilmente influenzate dalle discordanti interpretazioni manifestatesi nella giurisprudenza, le parti sociali decisero dapprima di eludere il problema e di rinviare la soluzione a un tempo successivo e in seguito di inserire a verbale nel contratto una dichiarazione di intenti. In essa si «impegnavano a operare congiuntamente per una urgente modifica delle parti della legge riguardanti l’obbligatorietà dell’atto scritto, la proroga del rapporto e la riassunzione in dipendenza della speciale natura dell’attività di carattere stagionale». «Le parti inoltre riconoscevano come la disciplina sindacale sul rapporto a tempo determinato rispondesse alle esigenze del mercato del lavoro agricolo e che la richiesta scritta del datore di lavoro all’ufficio di collocamento e il successivo rilascio del nullaosta da parte dello stesso ufficio integrassero nel loro insieme, gli estremi della prova scritta richiesta dall’art. 1 della suddetta legge».
L’analisi delle clausole elencate, inserite nei contratti nazionali, evidenziava come le parti sociali, da un lato, considerassero le rigide disposizioni dettate in materia di contratto di lavoro a termine, in particolare quelle relative al negozio e alla trasformazione automatica del rapporto, come un freno all’instaurazione del rapporto stesso e, dall’altro, ritenessero che il rigore formale predisposto dal legislatore per la stipula dei contratti a termine potesse essere sostituito, nel settore agricolo, dalle formalità procedimentali dettate in materia di collocamento dalla Legge n. 83/1970. Queste procedure infatti erano considerate altrettanto idonee a garantire al lavoratore agricolo la conoscenza del contenuto del contratto e, in particolare, di quelle clausole inerenti alla durata del rapporto e all’ammontare della retribuzione.
Alla luce della tradizione e della prassi che si sono sviluppate in materia di lavoro e secondo la comune concezione delle opposte rappresentanze sindacali, la contrattazione collettiva non ha mai recepito la disciplina dettata dalla Legge n. 230/1962 sul lavoro a termine, richiamata nei singoli contratti dal 1983 ad oggi solo a scopi definitori, per una sorta di ritrosia all’applicazione di suddetta disciplina nel comparto dell’agricoltura.
4. Le attuali interpretazioni di dottrina e giurisprudenza in materia
I contrasti giurisprudenziali, che si sono protratti per quasi un ventennio, hanno sollecitato da ultimo, l’intervento delle Sezioni Unite della cassazione. Con sentenza del 13 gennaio 1997, n.265 la Cassazione a sezioni unite ha definitivamente sancito l’inapplicabilità della disciplina del contratto a termine al settore agricolo. La decisione della Corte – che appare conforme alle peculiarità del mercato del lavoro agricolo, in cui la stagionalità, come si è detto, è una caratteristica strutturale e il rapporto di lavoro a tempo determinato è la regola, non l’eccezione – è stata ripresa dall’attuale decreto di riforma del contratto a termine.18
L’esclusione del comparto agricolo dalla nuova disciplina si fonda sul convincimento che il lavoro agricolo sia stagionale e quindi a tempo determinato: perciò porre condizioni “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” all’apposizione del termine sarebbe in questo caso fuori da ogni
18 Cfr. X. Xxxxxx,, 1995, 110.
logica. La prescrizione dell’atto scritto, mai applicato nel settore, è svolta dalle disposizioni di legge in materia di collocamento, che impongono al datore di lavoro la durata del rapporto nella sua richiesta all’ufficio del lavoro e assicurano al lavoratore la comunicazione dell’atto di avviamento.
La sentenza si basa su un’interpretazione estensiva dell’art. 6 della Legge 230/1962 che, come si è detto, stabilisce l’esclusione dei rapporti di lavoro tra datori di lavoro dell’agricoltura e i salariati dalla disciplina della legge, e sottolinea come, al tempo dell’entrata in vigore della stessa, i salariati fissi fossero, in relazione alla durata del rapporto di lavoro, una categoria mista, nel senso che la stessa poteva comprendere tanto lavoratori a tempo indeterminato quanto lavoratori a tempo determinato. Poiché tra i salariati fissi, esclusi in modo esplicito dalla disciplina della Legge n. 230/1962, erano compresi anche lavoratori a tempo determinato, più o meno stabili, la Corte ha ritenuto che l’esclusione riguardasse a maggior ragione anche tutti gli altri lavoratori a termine operanti nel medesimo settore, in particolare i braccianti, tradizionalmente caratterizzati dalla precarietà e dalla saltuarietà dell’occupazione.
Perciò, in base a un’interpretazione estensiva dell’art. 6 e in seguito alla scomparsa della tradizionale distinzione tra salariati e braccianti, sostituita da quella, più consona, fra operai a tempo indeterminato e a tempo determinato, la suddetta esclusione deve ritenersi estesa, anche per la mancanza di una successiva norma di legge che disponga il contrario, a tutta la categoria dei lavoratori agricoli.
La decisione della Corte è stata notevolmente influenzata nella sua elaborazione anche dall’attuale fase economica e sociale, caratterizzata da forti crisi sia di settore che di area e da un’alta percentuale di disoccupazione nel mercato del lavoro subordinato, tale da richiedere una sempre maggiore flessibilità esterna. Per far fronte a questa esigenza si auspicò, in tutti i settori, l’utilizzo delle nuove forme contrattuali alternative al contratto a tempo indeterminato e ritenute più flessibili.
Per questo, più che in passato, la materia del lavoro agricolo tende oggi a essere sottratta al rigore, formale e sostanziale, dettato per il rapporto di lavoro a tempo determinato dalla Legge n. 230/1962.19
L’interpretazione estensiva dell’art. 6 appare inoltre del tutto conforme al contenuto delle norme che sono state emanate successivamente alla Legge n. 230/1962 per il comparto agricolo.
19 Cfr. Cass. s.u., 13 gennaio 1997, n. 265, vedi F. I. 1997, I, 434.
Le successive elaborazioni del legislatore e della contrattazione collettiva hanno stabilito infatti che il lavoro agricolo stagionale non deve avere alcuna limitazione e che le formalità procedurali necessarie per la stipula di un contratto agricolo (la compilazione di un apposito modello da parte del datore di lavoro, l’invio di tale modello alla competente sezione dell’ufficio di collocamento, la consegna al lavoratore interessato della relativa copia) sono una garanzia sufficiente per la parte più debole e quindi alternative a quanto stabilito per gli altri settori.
La mancanza di una legislazione organica e unitaria in materia di lavoro a tempo determinato e l’esclusione definitiva del settore dalla disciplina di diritto comune non comportano quindi, a parere della corte, un trattamento meno favorevole per i lavoratori agricoli. La loro tutela è infatti garantita dalle formalità procedurali e dalle prescrizioni dettate dalle norme in materia di collocamento agricolo.20
Quest’interpretazione della Corte di Cassazione, come si è detto, è stata ripresa dal legislatore nella formulazione dell’art 10 comma 2 del nuovo decreto sul contratto a termine. L’articolo in particolare stabilisce che sono «esclusi dalla legge i rapporti di lavoro tra i datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato così come definiti dall’art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 375/1993».
La definizione contenuta nel D.Lgs. n. 375/1993 elimina ogni possibile equivoco circa l’ambito di applicazione delle norme previdenziali e relative al collocamento dei lavoratori agricoli, recitando che: «Ai fini della distinzione di cui al comma primo le locuzioni di salariato fisso a contratto annuo e categorie similari contenute nelle leggi, atti aventi forza di legge ed atti amministrativi sono equivalenti a quella di operaio a tempo indeterminato, ferma restando per ogni altra locuzione l’equivalenza a quella di operaio a tempo determinato».
Il dibattito sull’applicabilità o meno al settore agricolo della Legge n. 230/1962 e sulla ricostruzione di un regolamento ordinato e omogeneo della materia, si è concluso a seguito dell’ultima sentenza della Corte di Cassazione.
Un possibile oggetto di una futura riflessione in materia potrebbe vertere sulla necessità di raccordo tra le norme che governano i rapporti di lavoro agricolo subordinato e quelle relative alla
20 Si vuole rilevare come le argomentazioni addotte dalla Corte a tal proposito si limitino alla constatazione che « non trova applicazione la prescrizione dell’atto scritto per l’apposizione del termine al contratto di lavoro ma operano le formalità procedurali e le prescrizioni dettate in tema di collocamento dei lavoratori agricoli parimenti dirette a tutelare questi ultimi ».
tutela e all’organizzazione del lavoro dei lavoratori extracomunitari di cui non si fa alcun cenno nella legislazione passata e presente o nelle sentenze citate. Questi temi saranno fondamentali per comprendere il funzionamento del mercato del lavoro agricolo futuro e per governarne le dinamiche soprattutto considerando la sempre maggior prevalenza di lavoro extracomunitario nel settore.
5. LE MASSIME GIURISPRUDENZIALI
Xxxx. sez. lav. sez. un., 13 gennaio 1997, n. 265
Lavoratori agricoli – lavoro subordinato a tempo determinato – Legge n. 230/1962 - inapplicabilità
La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, quale prevista dalla legge n. 230 del 1962, non trova applicazione nel caso di rapporti di lavoro agricolo atteso che l’art. 6 della legge medesima deve essere interpretato estensivamente nel senso che - nell’escludere espressamente dalla disciplina da quest’ultima legge dettata i salariati fissi “comunque denominati”, tipici lavoratori a tempo determinato, secondo la contrattazione collettiva di categoria dell’epoca, ai quali la precedente disciplina speciale aveva approntato, al fine di assicurare una certa stabilita’ del rapporto, una specifica tutela prescrivendo (con norma a carattere inderogabile) una durata del rapporto non inferiore a due annate agrarie (legge n. 533 del 1949) e fissando in pari durata il rinnovo incaso di mancata disdetta (legge n. 1161 del 1955) - si riferisce, al di la’ del suo tenore letterale, a maggior ragione anche ai braccianti, sia avventizi che giornalieri, caratterizzati dalla intrinseca precarietà e dalla saltuarietà dell’occupazione, ed in generale a tutti gli altri lavoratori a termine operanti nel medesimo settore dell’agricoltura e variamente denominati dalla contrattazione collettiva (nazionale e territoriale) di categoria (quali gli operai fissi, i braccianti fissi, i braccianti semifissi, gli obbligati, i giornalieri di campagna), a nulla rilevando che l’elencazione contenuta nell’articolo unico del d.P.R. 7 ottobre 1963 n. 1525, attuativo dell’art. 1, comma 2, lett. a), legge n. 230 del 1990, cit., contemplava alcune ipotesi di lavori stagionali in agricoltura che
legittimavano l’apposizione del termine al contratto di lavoro, atteso che la successiva normativa ampliativa dell’area di applicazione del contratto a termine (art. 0 xxx
x.x. x. 00 xxx 0000,x conv. in legge n. 79 del 1983; art. 23, comma 1, l. n. 56 del 1987) non contiene alcuna limitazione al lavoro stagionale agricolo. Consegue che non trova applicazione, tra l’altro, la prescrizione dell’atto scritto per l’apposizione del termine al contratto di lavoro (ai sensi dell’art. 1 legge n. 230 del 1990, cit.), ma operano le formalità procedurali e le prescrizioni dettate in tema di collocamento dei lavoratori agricoli (legge n. 83 del 1970, cit., succ. mod.), parimenti dirette a tutelare questi ultimi, in quanto onerano il datore di lavoro di indicare la durata del rapporto nella sua richiesta all’ufficio del lavoro ed assicurano al lavoratore la comunicazione dell’atto di avviamento.
Cass. sez. lav. 9 maggio 1995, n. 5033
Agricoltura – rapporti di lavoro a tempo determinato e indeterminato – legittimità – apposizione del termine.
I rapporti di lavoro in agricoltura sono normalmente a tempo determinato, mentre la previsione di un rapporto a tempo indeterminato, con la conseguente configurabilità di un “tertius genus” rispetto alle tradizionali categorie (entrambe a tempo determinato) dei rapporti di lavoro dei salariati fissi e dei braccianti avventizi, presuppone, secondo il disposto dell’art. 11 del d.l. 3 febbraio 1970 n. 7, conv. nella l. 11 marzo 1970 n. 83, che sia giustificata dalla particolare natura del lavoro da eseguire (la quale deve essere indicata dal datore di lavoro nella richiesta di avviamento numerica), postulando il riscontro di una specifica volonta’ contrattuale, diretta all’assunzione del dipendente senza determinazione di tempo, oppure che ricorra l’ipotesi, prevista dall’art. 8 della l. 8 agosto 1972 n. 457, del superamento nell’anno di centottanta giornate di lavoro presso la stessa azienda; ne consegue che, data la specificità del rapporto di lavoro agricolo, l’apposizione del termine alla durata del relativo contratto deve ritenersi, di regola, pienamente legittima, siccome disciplinata in modo autonomo rispetto alle ipotesi di contratto di lavoro a tempo determinato previste dall’art. 1, comma 1 della l. 18 aprile 1962 n. 230.
Cass. sez. lav. 11 aprile 1992 n. 4432
Agricoltura – lavoro subordinato a tempo determinato – Legge n. 230/1962 - applicabilità
Il rapporto di lavoro a tempo determinato in agricoltura relativo ad attivita’ a carattere stagionale prevista dal
d.P.R. 7 ottobre 1963 n. 1525 - emesso ai sensi dell’art. 1, ultimo comma della l. 18 aprile 1962 n. 230 in tema di contratti a termine e’ assoggettato alla disciplina della medesima legge per quanto riguarda la necessità del requisito della forma scritta per l’apposizione del termine; tale normativa trova infatti applicazione anche per i rapporti di lavoro agricoli (tranne quelli dei salariati fissi, espressamente esclusi dall’art. 6 della stessa legge n. 230 del 1962), non essendo stata parzialmente abrogata per incompatibilità dalla disposizione dell’art. 11 del d.l. 3 febbraio 1970 n. 7 in materia di collocamento dei lavoratori agricoli, convertito con l. 11 marzo 1970 n. 83, che prevede per la richiesta di avviamento al lavoro l’indicazione della durata del contratto.
Cass. sez. lav.10 agosto 1991 n. 8767
Agricoltura – lavoro a tempo determinato – apposizione del termine – ammissibilità
I rapporti di lavoro in agricoltura sono normalmente a tempo determinato, mentre la previsione a tempo indeterminato di tali rapporti, con la conseguente configurabilità di un tertium genus rispetto alle tradizionali categorie (entrambe a tempo determinato) dei rapporti di lavoro dei salariati fissi e dei braccianti avventizi, presuppone - secondo il disposto dell’art. 11 del d.l. 3febbraio 1970 n. 7 (norme sul collocamento dei lavoratori agricoli) convertito con l. 11 marzo 1970 n. 83 - che sia giustificata dalla particolare natura del lavoro da eseguire e postula perciò il riscontro di una specifica volonta’ contrattuale diretta alla assunzione del dipendente senza determinazione di tempo (oppure la ricorrenza dell’ipotesi, prevista dall’art. 8 della l. 8 agosto 1972 n. 457, del superamento nell’anno di centottanta giornate di lavoro
presso la stessa azienda). Consegue che, data la “specialità” del rapporto di lavoro agricolo, l’apposizione del termine alla durata del relativo contratto deve ritenersi di regola, pienamente legittima, siccome disciplinata in modo autonomo rispetto alle ipotesi di contratto di lavoro a tempo determinato previste dall’art.1, comma 1, della l. 18 aprile 1962 n. 230.
Cass. sez. lav. 26 giugno 1991 n. 7191
Agricoltura – rapporti di lavoro a tempo determinato – Legge n. 230/1962 – norme sul collocamento - inconciliabilità
I rapporti di lavoro in agricoltura, sia dei salariati fissi che dei braccianti avventizi, sono normalmente a tempo determinato, mentre la previsione a tempo indeterminato di tali rapporti presuppone - secondo il disposto dell’art. 11
d.l. 3febbraio 1970 n. 7, convertito nella l. 11 marzo 1970 n.
83 (dettante norme sul collocamento dei lavoratori agricoli) - che sia giustificata dalla particolare natura del lavoro da eseguire, talché essa postula il riscontro di una specifica volontà contrattuale diretta all’assunzione del dipendente senza determinazione di tempo (ovvero la ricorrenza dell’ipotesi prevista dalla l. 8 agosto 1972 n. 457 del superamento nell’anno di 180 giornate di lavoro presso la stessa azienda); a tali rapporti a tempo determinato (e quindi non soltanto a quello dei salariati fissi, secondo l’espressa previsione dell’art. 6 della legge n. 230 del 1962) non si applicano le disposizioni di tale ultima legge (quale la presunzione di durata a tempo indeterminato del rapporto e la prescrizione dell’atto scritto per l’apposizione del termine) stante l’inconciliabilità di tale legge con il complesso di norme introdotte dal cit. d.l. n. 7, che - pur attenendo prevalentemente alla regolamentazione del collocamento - riguardano anche la disciplina sostanziale del rapporto.
Cass. sez. lav. 17 luglio 1990 n. 731
Agricoltura - rapporti di lavoro a tempo determinato – salariati fissi – Legge n. 230/1962 - inapplicabilità
I rapporti di lavoro in agricoltura, sia dei salariati fissi che dei braccianti avventizi, sono normalmente a tempo determinato, mentre la previsione a tempo indeterminato di tali rapporti presuppone che sia giustificata dalla particolare natura del lavoro da eseguire, talché essa postula il riscontro di una specifica volontà contrattuale diretta all’assunzione del dipendente senza determinazione di tempo ovvero la ricorrenza dell’ipotesi (prevista dalla l. 8 agosto 1972 n. 457) del superamento nell’anno di 180 giornate di lavoro presso la stessa azienda, come confermato sia dall’art. 6 della l. 18 aprile 1962 n. 230 (disciplina dei rapporti a tempo determinato), che esclude da tale disciplina i rapporti di cui all’art. 1 della l. 15 agosto 1949 n. 533, sul presupposto, appunto, della loro natura di rapporti a termine, sia dalla disciplina dell’assicurazione contro la disoccupazione dettata dall’art. 32 lett. a) della l.
29 aprile 1949 n. 264 (il quale escludeva dall’obbligo assicurativo i salariati fissi ed i braccianti con meno di 180 giornate lavorative dell’anno) e dall’art. 1 del d.P.R. 3 dicembre 1970 n. 1049, modificativo - in senso estensivo - del citato art. 32.
Cassazione civile, sez. lav., 27 febbraio 1988 n. 209
Lavoro a termine - lavoratori agricoli - legge n. 230/1962 – norme sul collocamento - inconciliabilità
I rapporti di lavoro in agricoltura, sia dei salariati fissi che dei braccianti avventizi, sono normalmente a tempo determinato, mentre la previsione a tempo indeterminato di tali rapporti presuppone - secondo il disposto dell’art. 11
d.l. 3 febbraio 1970 n. 7, convertito nella l. 11 marzo 1970 n.
83 (dettante norme sul collocamento dei lavoratori agricoli) - che sia giustificata dalla particolare natura del lavoro da eseguire, talché essa postula il riscontro di una specifica volontà contrattuale diretta all’assunzione del dipendente senza determinazione di tempo (ovvero la ricorrenza della ipotesi prevista dalla l. 8 agosto 1972 n. 457 del superamento nell’anno di 180 giornate di lavoro presso
la stessa azienda). A tali rapporti a tempo determinato (e quindi non soltanto a quello dei salariati fissi, secondo l’espressa previsione dell’art. 6 della legge n. 230 del 1962) non si applicano le disposizioni di tale ultima legge (quale la presunzione di durata a tempo indeterminato del rapporto e la prescrizione dell’atto scritto per l’apposizione del termine) stante l’inconciliabilità di tale legge con il complesso di norme introdotte dal cit. d.l. n. 7, che - pur attenendo prevalentemente alla regolamentazione del collocamento riguardano anche la disciplina sostanziale del rapporto.
Cass. sez. lav.17-07-1990, n. 7314
Agricoltura – lavoro a tempo indeterminato – eccezione – lavoro a tempo determinato - regola
I rapporti di lavoro in agricoltura, sia dei salariati fissi che dei braccianti avventizi, sono normalmente a tempo determinato, mentre la previsione a tempo indeterminato di tali rapporti presuppone che sia giustificata dalla particolare natura del lavoro da eseguire, talché essa postula il riscontro di una specifica volontà contrattuale diretta all’assunzione del dipendente senza determinazione di tempo ovvero la ricorrenza dell’ipotesi (prevista dalla l. 8 agosto 1972, n. 457) del superamento nell’anno di centottanta giornate di lavoro presso la stessa azienda, come confermato sia dall’art. 6, l. 18 aprile 1962, n. 230 (disciplina dei rapporti a tempo determinato), che esclude da tale disciplina i rapporti di cui all’art. 1, l. 15 agosto 1949,
n. 533 sul presupposto, appunto, della loro natura di rapporti a termine, sia dalla disciplina dell’assicurazione contro la disoccupazione dettata dall’art. 32, lett. a), l. 29 aprile 1949, n. 264 (il quale escludeva dall’obbligo assicurativo i salariati fissi ed i braccianti con meno di centottanta giornate lavorative nell’anno) e dall’art. 1,
d.p.r. 3 dicembre 1970, n. 1049, modificativo - in senso estensivo - del cit. art. 32.
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