LA FUNZIONE NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE NEL SISTEMA CONTRATTUALE E NEL SISTEMA LEGALE.
SEDE AMMINISTRATIVA: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E CRITICA DEL DIRITTO
SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO INTERNAZIONALE, PRIVATO E DEL LAVORO
CICLO XXVIII
LA FUNZIONE NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE NEL SISTEMA CONTRATTUALE E NEL SISTEMA LEGALE
Direttore della Scuola: Xx.xx Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Supervisore: Xx.xx Prof.ssa Xxxxxxx xx Xxxxx
Dottoranda: Xxxxxx Xxxxxxxx
LA FUNZIONE NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE NEL SISTEMA CONTRATTUALE E NEL SISTEMA LEGALE.
SOMMARIO
PREMESSA 7
CAPITOLO I DALLE ORIGINI AL PROTOCOLLO DEL 23 LUGLIO 1993:
L’ACQUISIZIONE E I PRIMI SVILUPPI DELLA FUNZIONE NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE.
1. Le origini del contratto collettivo aziendale 9
2. Il contratto aziendale quale espressione di un interesse collettivo autonomo
.............................................................................................................................. 12
3. Il contratto aziendale quale fonte normativa nel sistema contrattuale. Il coordinamento con il contratto nazionale 16
3.1. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello: i termini
del problema 21
3.2. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello nel dibattitto dottrinale 22
3.3. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello in giurisprudenza 28
4. Il contratto collettivo aziendale e la legge 32
5. Gli Accordi triangolari sul «costo del lavoro»: il Protocollo del 31 luglio 1992 e il Protocollo del 23 luglio 1993 37
5.1. Il contratto aziendale nel sistema del Protocollo del 23 luglio 1993 40
5.2. (Segue) La funzione normativa in materia salariale 44
5.3. I limiti della funzione normativa del contratto aziendale 48
CAPITOLO II LA FUNZIONE NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE NEL SISTEMA CONTRATTUALE.
1. Le criticità del livello contrattuale aziendale e le proposte di riforma 55
2. L’«Accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali» del 22 gennaio 2009 62
2.1. L’acquisizione all’ordinamento intersindacale del principio di derogabilità del contratto nazionale da parte del contratto aziendale 68
2.2. Segue. Gli sviluppi della clausola d’uscita nel settore industriale 72
3. La «vicenda» Fiat: prove di forza del contratto collettivo «aziendale» 74
3.1. L’accordo di Pomigliano d’Arco del 15.06.2010: il contenuto in deroga in assenza della clausola d’uscita 74
3. 2. Gli Accordi di Mirafiori e di Pomigliano d’Arco del dicembre 2010:
nuove dimensioni del contratto «aziendale» 78
3.3. Alcuni contenuti normativi controversi dei contratti Fiat del 2010 83
3.4. I contratti Fiat e l’influenza sul sistema delle relazioni industriali italiane 88
4. L’«Accordo interconfederale» del 28 giugno 2011: erede del Protocollo del 1993 o degli Accordi del 2009? 89
4.1. Le competenze del contratto aziendale, (ancora) «delegate» dal contratto di categoria 93
4.2. Segue. L’ampiezza della «delega» e l’eliminazione del c.d. principio
del ne bis in idem 96
4.3. Segue. L’intersecarsi delle «deleghe» contrattuali con le deleghe legislative 99
4.4. L’«uscita» dal contratto nazionale: la derogabilità della disciplina collettiva di categoria 101
4.4.1. Punto 7, II parte: il regime «transitorio» 102
4.4.2. Punto 7, I parte: il regime «ordinario». L’applicazione nei rinnovi
dei contratti collettivi di categoria e i limiti ipotizzabili alla deroga 106
4.4.3. La derogabilità al contratto nazionale dopo l’entrata in vigore dell’art. d.l. n. 138/2011 (conv., con modifiche, con l. n. 148/2011).
Rinvio. 112
4.5. Il riverbero della formalizzazione della facoltà derogatoria sulla funzione del contratto collettivo aziendale. 114
4.6. I silenzi eloquenti, le risposte e le istanze dell’Accordo 2011 sulle potenzialità della contrattazione aziendale. 116
5. Le «Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia» del 21 novembre 2012: un altro passo verso il decentramento. 118
6. La trasfusione dei contenuti dell’Accordo del giugno del 2011 nel c.d. Testo unico del gennaio 2014. 121
CAPITOLO III LA FUNZIONE NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE NEL SISTEMA LEGALE.
1. Le tecniche di rinvio della legge e le funzioni del contratto collettivo aziendale. La terminologia utilizzata ed il suo significato. 123
2. La contrattazione collettiva aziendale “delegata” dalla legge e
l’ordinamento intersindacale. 127
3. La contrattazione collettiva «in deroga» ammessa dalla legge 131
4. L’art. 8 del d.l. n. 138/2011, conv. con modifiche, in l. n. 148/2011 133
4.1. L’introduzione nell’ordinamento del «contratto collettivo di prossimità»: l’art. 8, co. 2bis, quale norma generale sul contratto aziendale
in deroga alla legge 134
4.1.1. Segue. Il coordinamento dell’art. 8 d.l. n. 138/2011 con le speciali disposizioni legislative di delega o di deroga 137
4.2. La fattispecie: il contratto aziendale in deroga alla legge quale
«contratto di scopo» 140
4.3. Segue… Il controllo del giudice 143
4.4. Il contratto aziendale in deroga al contratto nazionale 145
4.5. I permanenti dubbi di incostituzionalità sull’art. 8… 148
4.5.1. …nella parte in cui sembra violare l’art. 3 Cost. 148
4.5.2. …nella parte in cui viola l’art. 39, co. 1, Cost. 151
4.5.3. …nella parte sembra violare l’art. 117 Cost. 153
4.6. Le materie derogabili e i limiti derivanti dalla Costituzione, dalla normativa comunitaria ed internazionale 154
4.6.1. La deroga ai sensi dell’art. 8, co. 2, lett. a) 155
4.6.2. La deroga ai sensi dell’art. 8, co. 2, lett. b) 158
4.6.3. La deroga ai sensi dell’art. 8, co. 2, lett. c) 160
4.6.4. La deroga ai sensi dell’art. 8, co. 2, lett. d) 165
4.6.5. La deroga ai sensi dell’art. 8, co. 2, lett. e) 167
4.7. Un ultimo dubbio: un contratto stipulato ai sensi dell’art. 8 può essere disciplina collettiva autosufficiente rispetto al contratto nazionale? 171
CONCLUSIONI 175
BIBLIOGRAFIA 179
Esposizione riassuntiva del lavoro svolto 205
Abstract 206
PREMESSA.
La ricerca si propone di ricostruire l’evoluzione della funzione normativa del contratto collettivo aziendale, oggi dagli ampi contenuti, con l’intenzione di verificarne le caratteristiche e, quindi, di comprenderne le attitudini regolative e considerarne le prospettive, nella consapevolezza delle oscillanti opzioni di politica sindacale talora a favore della più ampia de-regolazione del sistema ed incentivazione della contrattazione decentrata, talora, in particolar modo nei periodi di crisi economica, a favore della centralizzazione dell’iniziativa normativa nelle materie più rilevanti. In particolare, la ricerca intende comprendere come la funzione normativa, ora particolarmente accresciuta, del contratto aziendale incide nel rapporto tra questo e il contratto nazionale sia nel sistema contrattuale che nel sistema legale.
Il primo passo sarà, quindi, definire giuridicamente la natura della funzione normativa del contratto collettivo aziendale, attraverso l’evoluzione interpretativa avutasi sia in dottrina che in giurisprudenza, nonché ponendo attenzione a come possano aver contribuito i richiami legislativi ad ampliare i contenuti e ad incoraggiare specifiche funzioni normative del contratto aziendale.
L’esame del ruolo dell’accordo aziendale nel sistema contrattuale intende mettere in luce la connessione tra la funzione normativa assegnata al contratto decentrato nell’assetto confederale e il ruolo che questo è chiamato a svolgere rispetto alla disciplina collettiva nazionale, non trascurando di evidenziare come il modello contrattuale di contratto aziendale non trova riscontro in giurisprudenza.
Quest’ultima si avvale di strumenti interpretativi di diritto privato, così che le soluzioni al concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello non si conformano alla struttura contrattuale disegnata dalle parti sociali.
Infine, nel sistema legale il cuore dell’approfondimento sarà costituito dall’art. 8 del d.l. n. 138/2011 che sembra quasi interpretabile come disposizione di legge generale sul contratto collettivo aziendale, così che il modello legale di contratto aziendale si porrebbe quale alternativo al modello contrattuale.
La percezione con cui si inizia il percorso di approfondimento è quella di un regolamento idoneo a disciplinare il trattamento economico e normativo nel rapporto individuale di lavoro in modo completo e, oggi, sempre più indipendente dal contratto nazionale. La vicenda Fiat, a questo proposito, evidenzia –in modo
estremo- una qualche disponibilità degli agenti negoziali a rinunciare alla sede nazionale di contrattazione, nonché la concreta libertà del datore di lavoro di svicolarsi dal tradizionale assetto delle relazioni industriali.
CAPITOLO I
DALLE ORIGINI AL PROTOCOLLO DEL 23 LUGLIO 1993: L’ACQUISIZIONE E I PRIMI SVILUPPI DELLA FUNZIONE NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE.
SOMMARIO: 1. Le origini del contratto collettivo aziendale. 2. Il contratto aziendale quale espressione di un interesse collettivo autonomo. 3. Il contratto aziendale quale fonte normativa nel sistema contrattuale. Il coordinamento con il contratto nazionale. 3.1. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello: i termini del problema. 3.2. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello nel dibattitto dottrinale. 3.3. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello in giurisprudenza. 4. Il contratto collettivo aziendale e la legge. 5. Gli Accordi triangolari sul «costo del lavoro»: il Protocollo del 31 luglio 1992 e il Protocollo del 23 luglio 1993.
5.1. Il contratto aziendale nel sistema del Protocollo del 23 luglio 1993. 5.2. (Segue) La funzione normativa in materia salariale. 5.3. I limiti della funzione normativa del contratto aziendale.
1. Le origini del contratto collettivo aziendale.
Il contratto collettivo aziendale fu per la prima volta legittimato quale ulteriore espressione di autonomia collettiva1 dal Protocollo Intersind-Asap del 5 luglio 19622; fino a quel momento la contrattazione collettiva a livello aziendale era stata praticata informalmente (e clandestinamente) dalle Commissioni interne e aveva avuto ad oggetto per lo più istituti retributivi.
Il Protocollo del 1962 si allontanò dal principio dell’esclusività della contrattazione nazionale di categoria che fino a quel momento aveva informato il sistema della contrattazione collettiva, riconoscendo al sindacato il diritto di negoziare specifiche materie a livello d’azienda. Quanto disposto dall’Accordo, poi riprodotto nei contratti di categoria successivamente stipulati, introdusse il sistema della c.d. contrattazione articolata, ovvero una struttura della contrattazione collettiva organizzata su tre livelli, gerarchicamente ordinati, di esplicazione dell’autonomia collettiva: il contratto nazionale di categoria, il contratto di settore (che mai trovò effettiva attuazione) ed il contratto aziendale.
1 X. XXXXXXXXXX, Il contratto collettivo aziendale in Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva X. XXXXX (a cura di), Cedam, 2014, p. 717.
2 Alcuni, invece, riconoscono il momento di legittimazione definitiva nel patto federativo del 3 luglio 1972, tra CGIL, CISLe UIL, che individua nel consiglio unitario dei delegati “l’istanza sindacale di base”, prevedendo esplicitamente che il medesimo potesse contrattare in azienda (cfr. X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Il diritto sindacale, Bologna, 1997, p. 84).
Il contratto aziendale, in particolare, stipulato dal sindacato provinciale di categoria (e non dall’organismo di rappresentanza di lavoratori interno all’azienda com’era stato fino a quel momento), assolveva in concreto ad una funzione strettamente integrativa ed applicativa del contratto nazionale3. Quest’ultimo, infatti, definiva, per mezzo delle clausole di rinvio, i soggetti della contrattazione aziendale nonché le limitate competenze del livello di contrattazione decentrato (disciplina del cottimo, sistema di valutazione delle mansioni, incentivi). La contrattazione aziendale, tra l’altro, non era libera di modificare le condizioni poste dal contratto nazionale: a contropartita delle clausole di rinvio, erano infatti sottoscritte a livello nazionale le clausole c.d. di tregua sindacale, quale scambio sia politico che giuridico4, che precludevano successive azioni di lotta volte a modificare, integrare o innovare la disciplina già definita a livello nazionale.
La struttura della contrattazione articolata, alla fine degli anni ‘60, si evolse nella contrattazione c.d. non vincolata, nell’ambito della quale il contratto aziendale si arricchì di funzioni altresì modificative e finanche sostitutive alla disciplina prescritta dalla contrattazione nazionale.
La stagione della contrattazione articolata si chiuse alla stipula del contratto dei metalmeccanici del 1969, ove al mancato accordo sulle materie da destinare alla competenza della contrattazione aziendale era conseguita l’assenza di regole di coordinamento dei livelli contrattuali e, così, la formale autonomia della contrattazione aziendale che, a questo punto, poteva aprirsi in qualsiasi sede ed interessare qualsiasi materia.
La contrattazione aziendale, grazie agli spazi di rivendicazione così ottenuti, giunse ad esplicare un effetto addirittura trainante5 rispetto alla contrattazione nazionale, tanto che quest’ultima divenne spesso sede di generalizzazione all’intera categoria dei risultati previamente oggetto di contratti stipulati in importanti aziende (come la prassi salariale degli aumenti in cifra uguale per tutti) o di acquisizione di materie in precedenza non affidate alla contrattazione collettiva6: i
3 X. XXXXXX, Diritto sindacale, 2012, Cacucci Editore, Bari, p. 161.
4 X. XXXXXXX, Procedure e strutture della contrattazione collettiva a livello d’impresa, Riv. Giu. Lav., 1985, p. 7; X. XXXXXX e X. XXXXXXX, Movimento sindacale e contrattazione collettiva, in Potere sindacale ed ordinamento giuridico, De Donato editore, p. 98.
5 X. XXXXXX, Diritto sindacale, cit., p. 163.
6 L’inquadramento unico operai-impiegati ne costituisce l’esempio più importante; prima stabilito dai contratti di importanti aziende, soprattutto del settore della siderurgia, poi recepito dal contratto collettivo dei metalmeccanici del 1973.
nuovi contenuti degli istituti muovevano, dunque, «dal basso verso l’alto»7, ovvero dal particolare aziendale verso il generale categoriale8.
La crisi economica ed occupazionale, conseguita alla crisi petrolifera, dei primi anni ’70 condusse alla progressiva ri-centralizzazione del sistema contrattuale, con innovata distribuzione delle competenze e riduzione del ruolo di alcuni livelli contrattuali.
Prima in via “di fatto”, si ridusse lo spazio delle rivendicazioni in sede aziendale aventi ad oggetto istituti retributivi: l’automatismo della c.d. scala mobile (Accordo interconfederale sull’indicizzazione dei salari al costo della vita del 1975), amministrato in sede contrattuale dalle confederazioni, assicurava incrementi retributivi senza alcuna necessità di gestione dell’istituto a livello decentrato. Inoltre, risultava insufficiente il coinvolgimento sindacale nella disciplina di altri istituti, quali i diritti di informazione e l’organizzazione dell’orario di lavoro9 a causa di diversi fattori, quali principalmente: l’attività contrattuale divenuta più collaborativa e meno rivendicativa a causa della crisi nonché la preferenza delle imprese, soprattutto di quelle segnate da una profonda conflittualità nei primi anni ’70, verso una politica contrattuale di controllo centralizzato sulle spinte salariali, promossa da Confindustria.
Le spinte di “ri-centralizzazione” trovarono, sul piano giuridico-formale, un primo accoglimento nell’Accordo interconfederale del 26 gennaio 1977 sul costo del lavoro e produttività, ove si vincolò lo svolgersi della contrattazione a livello decentrato attraverso l’adozione di meccanismi di rinvio predefiniti. Seguì, quale ulteriore passo verso una rinnovata centralizzazione del sistema di contrattazione collettiva, il Protocollo del 22 gennaio 1983 (c.d. Protocollo Xxxxxx) che specificò, nel tentativo di evitare che le dinamiche del costo del lavoro alimentassero l’inflazione, il c.d. principio di non ripetibilità della contrattazione aziendale per cui “La contrattazione a livello aziendale non potrà avere per oggetto materie già definite in altri livelli di contrattazione” (punto 13). Nuovamente, dunque, il contratto collettivo aziendale si poneva quale subordinato rispetto al livello negoziale centrale, con competenze distinte e residuali.
7 X. XXXXXXX, Il contratto collettivo tra funzione normativa e funzione obbligatoria, Cacucci, Bari, 1992, p. 134.
0 X. XXXXXX, Xxxxxxx, contratto e sindacato, Cacucci editore, Bari, 2012, p. 100.
9 G.P. XXXXX, X. XXXX, Relazioni industriali, Il Mulino, Bologna, 1982, p. 82.
Stando alla lettera della clausola 13 del c.d. xxxx Xxxxxx, era, infatti, preclusa qualsiasi “sovrapposizione” tematica tra il contratto collettivo nazionale e quello aziendale.
A partire dalla seconda metà degli anni ’80, una volta raggiunta la massima centralizzazione del sistema contrattuale, il pendolo10 che segna l’orientamento della struttura delle relazioni collettive oscillò nuovamente a favore della contrattazione aziendale. Le istanze di flessibilità delle aziende, a fronte dell’impegno richiesto per fronteggiare la concorrenza internazionale, trovavano nella contrattazione decentrata il miglior strumento per attuare le opportune diversificazioni dei trattamenti di lavoro e la riduzione delle rigidità nella regolazione dei rapporti di lavoro.
2. Il contratto aziendale quale espressione di un interesse collettivo autonomo.
Alle prime forme di contrattazione in azienda, ovvero le stipulazioni convenute dall’imprenditore con la Commissione interna, era negata la qualifica di vero e proprio contratto aziendale; tali accordi erano, piuttosto, inquadrati come contratto plurisoggettivo, la cui efficacia vincolante si esplicava esclusivamente nei confronti dei soggetti presenti in azienda all’atto della stipulazione, e solo se ed in quanto garantissero ai lavoratori, in servizio, specificatamente individuati trattamenti di miglior favore rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale11. Probabilmente gravava su tale ricostruzione, seguita soprattutto dalla giurisprudenza12, il clima informale, e quasi clandestino, che aveva visto nascere i primi esempi di contratto aziendale stipulati con le commissioni interne. Il contratto aziendale, nella primissima fase, si risolveva dunque, strutturalmente, in una pluralità di contratti collettivi individuali, incapace, così ricostruito, di esprimere un interesse collettivo. Anche nell’ambito della contrattazione articolata non si riconosceva completa autonomia al momento di contrattazione in azienda, in conseguenza, alla rigida gerarchia instaurata tra i livelli negoziali. Lo schema della contrattazione articolata era, infatti, interpretato quale fattispecie negoziale a formazione progressiva, per
10 X. XXXXXXXXXXXX, Il pendolo tra centralismo e decentramento, in Riv. it. dir. lav., 2006, p. 293.
11 Cass. 14.04.1958, n. 263, in Xxxx. Xxx. Xxx. Xxx., 0000, x. 000; Cass. 24.05.1960, n. 1336, in
Foro. It., 1960, I, p. 1963.
12 Cass. ss. uu., 26.06.1965, n. 1353, in Mass. Giur. Lav., 1965, 215; Cass. 31.03.1967, n. 721, in
Mass. Giur. Lav., 1967, 241; Cass. 11.09.1972 in Rep. Foro It., 1972, voce Lavoro, n. 47.
cui l’accordo aziendale costituiva il momento successivo rispetto alla stipulazione del contratto nazionale, nonché il momento che segnava il compiersi dell’integrazione della fattispecie e idoneo, quindi, a determinare la vincolatività del complessivo prodotto negoziale. Muovendo da tale ricostruzione, non esente da critiche13, il contratto aziendale non era riconosciuto in quanto piena espressione di autonomia collettiva a livello decentrato, ma in quanto strettamente vincolato al contratto nazionale, quasi un «regolamento di esecuzione» dello stesso14. Ne conseguiva che il contratto collettivo aziendale non realizzava un interesse collettivo autonomo, bensì, proprio perché integrava –e concordava con- la disciplina normativa del contratto di categoria, si poneva a tutela del medesimo interesse collettivo.
Si erano perciò manifestate difficoltà, sia in dottrina che in giurisprudenza, nell’ammettere contratti collettivi aziendali svicolati dalla struttura articolata, definiti «contratti asindacali»15, che per l’appunto si inquadravano giuridicamente come contratti plurisoggettivi; l’esito era, pertanto, che la disciplina dei contratti individuali trovava necessariamente la sua fonte normativa o nel contratto di categoria, eventualmente così come completato dal contratto aziendale, o direttamente nelcontratto individuale16.
Diversi fattori contribuirono al progressivo riconoscimento di un interesse collettivo aziendale autonomo rispetto sia a quello della categoria sia a quello individuale di ciascun lavoratore.
In primo luogo, era maturata una diffidenza verso tutte le ricostruzioni che legavano l’interesse collettivo alla categoria professionale, considerate riflesso di
13 Nega, infatti, che il contratto nazionale possa essere configurato come lo stadio preliminare di una più ampia fattispecie complessa che si perfeziona e si completa soltanto con la stipulazione del contratto aziendale integrativo, X. XXXXXX, Il contratto collettivo aziendale, Xxxxxxx, Milano, 1965,
p. 166; secondo l’A., l’accordo nazionale, ancorchè configurabile quale trattativa preliminare ai sensi dell’art. 1337 c.c., manterrebbe carattere del tutto autonomo e definitivo rispetto al momento della determinazione contrattuale.
Ancora esclude che il contratto collettivo d’impresa, pur presentando un processo formativo storicamente rilevante, rientri nella categoria degli atti a formazione progressiva X. XXXXXXXXX, ne Il contratto collettivo di impresa, Xxxxxxx, Milano, p. 56, ritenendo che le dichiarazioni di volontà contrattuale espresse a livello nazionale, nella c.d. clausola di rinvio, e a livello aziendale siano assolutamente distinte ed autonome, dando origine a un fenomeno di successione di fattispecie negoziali sotto il profilo cronologico.
14 M. RUSCIANO, Contratto collettivo ed autonomia sindacale, Utet 2003, p. 108.
15 Per esempio, gli accordi stipulati dall’imprenditore e rappresentanze di lavoratori in azienda non collegate ai sindacati legittimati a gestire la contrattazione articolata. X. XXXXXXXXX, Brevi note introduttive alla problematica del contrato aziendale, Mass. Giur. Lav., 1961, p. 40.
16 X. XXXXXXXX, Contratto collettivo…, cit., p. 111.
un’impostazione del regime corporativo. Si era, invece, affermata la concezione di interesse collettivo di natura privatistica, legato alla riconduzione dell’autonomia collettiva quale specie di autonomia dei privati, teorizzata da Xxxxxxxxx Xxxxxxx- Xxxxxxxxxx00, idonea ad avere effetti suoi propri e, precisamente, effetti normativi18 proprio perchè destinata a dare soddisfazione ad un interesse collettivo: interesse collettivo che si riteneva proprio di ogni comunità giuridicamente organizzata. Tale comunità giuridicamente organizzata, tuttavia, non poteva, più, essere riconosciuta esclusivamente nella categoria merceologica, identificando il «collettivo» con la totalità della categoria professionale e trascurando come in azienda si fossero nel tempo affermate vere e proprie «unità contrattuali»19 che impostavano la dialettica contrattuale con l’imprenditore in modo sempre più collaborativo e comprensivo delle logiche gestionali.
Infatti, e questo è il secondo fattore, nel contesto di anomia (quale assenza di istituzionalizzazione delle procedure, delle competenze e degli agenti negoziali)20 che seguì il tramonto della contrattazione articolata, il contratto aziendale sviluppò forti capacità di regolamentazione normativa, anche indipendenti da deleghe del livello contrattuale superiore o da rinvii del legislatore. Nel periodo di altissima conflittualità che fu il c.d. autunno caldo ed il periodo immediatamente successivo, il contratto aziendale emerse al di fuori del rigido quadro istituzionale che gli era stato assegnato, accrescendo i propri contenuti rivendicativi e ponendosi, più che in funzione integrativa, in funzione sostitutiva del contratto nazionale21. Tale capacità «innovativa» dell’accordo aziendale venne dimostrata, per esempio, nell’introduzione di istituti quali i superminimi collettivi di categoria, che non erano previsti dal contratto nazionale e fino a quel momento erano disciplinati dal potere unilaterale dell’imprenditore, o nella compiuta regolamentazione di temi dell’organizzazione del lavoro, dell’ambiente e dell’inquadramento professionale, scarsamente disciplinati in sede centrale, senza attendere specifiche deleghe.
17 X. XXXXXXX-PASSERELLI, Saggi di diritto civile, Jovene, 1961, 177 e ss.
18 X. XXXXXXXX, Osservazioni sulla revisione della dottrina sindacale, in Arg. dir. lav., 2011, 1, p. 5.
19 X. XXXXXX, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Xxxxxxx, 1960, p. 102-103. L’Autore ricorre alla figura della bargaining unit anglosassone, rilevando come si tratti di una nozione economica, che può tuttavia assumere rilievo giuridico classificatorio, soprattutto in considerazione del fatto che il valore della merce-lavoro si misura tanto con la professione, quanto con la produttività aziendale.
20 X. XXXXXXXXX, Ruolo ed efficacia della contrattazione collettiva articolata, in AA.VV. Xxxxx ed efficacia della contrattazione collettiva articolata, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1984, 45.
21 X. XXXXXXXX, La contrattazione collettiva, il Mulino, Bologna, 1985, p. 56.
L’interesse collettivo alla cui realizzazione tendeva il contratto aziendale, pertanto, non poteva più essere identificato con l’interesse collettivo perseguito a livello nazionale e distinto da esso solo in termini quantitativi per l’eventuale innalzamento degli standard di tutela, bensì risultava strutturalmente diverso dall’interesse collettivo categoriale22.
L’azione sindacale in azienda, infatti, si era arricchita, tendendo alla realizzazione di interessi nuovi e di altro tipo. Non più, cioè, solo un’attività di
«garantismo»23, poiché la facoltà di intervento in determinate aree (per esempio, la scelta dei lavoratori da collocare in Cig), consentiva al contratto aziendale di arginare il potere datoriale altrimenti privo di limiti legislativi.
Allo stesso tempo, nello svolgere tale azione il contratto aziendale, definito
«gestionale» realizzava –in tempi di crisi economica quali erano quelli degli anni ‘70- uno scambio che non componeva più solo il conflitto tra capitale e lavoro, com’era stato durante il periodo della contrattazione aziendale acquisitiva, ma anche tra lavoratori e gruppi di essi. E questo influiva sull’emancipazione dell’interesse collettivo aziendale dagli interessi individuali della pluralità dei lavoratori. Differentemente, infatti, dai contratti decentrati che conseguivano miglioramenti rispetto ai contratti di categoria, i quali pertanto si presumeva realizzassero l’interesse al contempo di tutti e di ciascun lavoratore (con conseguente automatica identificazione fra interesse collettivo e di tutti i lavoratori), i contratti gestionali non potevano realizzare l’interesse collettivo, quale interesse della comunità dei lavoratori, se non con inevitabile sacrificio di taluni interessi individuali24. Tale tipologia di contratto, frutto soprattutto dell’esercizio dell’autonomia collettiva in spazi aperti da rinvii legislativi, agevolò
22 X. XXXXXXX, Ordinamento, ruolo del sindacato e dinamica contrattuale di tutela, Cedam, 1981, p.160.
23 X. XXXXXXXXX, Evoluzione della contrattazione collettiva, in X. XX XXXX XXXXXX E X. XXXXXXX (a cura di) Il diritto del lavoro nell’emergenza (la legislazione degli anni 1978-1979), Jovene, Napoli, 1979, p. 135.
24 DE XXXX XXXXXX, Evoluzione della contrattazione collettiva, Riv. It. Dir. Lav., 1985, I, p. 27. L’Autore, e non è l’unico, ricollega a questo momento il superamento dell’identificazione tra interesse collettivo di una comunità di lavoratori e interesse individuale di ciascuno di essi, che era stato proprio della contrattazione acquisitiva. Un contratto gestionale, infatti, che in quanto collettivo tende alla realizzazione dell’interesse collettivo, non può realizzarlo se non con inevitabile sacrificio di taluni interessi individuali. Si interroga se si possa considerare come oggetto della contrattazione collettiva la «riduzione concordata» dei livelli di occupazione, conseguenti a licenziamenti collettivi, pensionamenti anticipati o sospensione dal lavoro con ricorso alla cassa integrazione guadagni, X. XXXXXXX, Le ristrutturazioni e i diritti individuali dei lavoratori: poteri di fatto e garanzie legali, Riv. Giur. Lav., 1983, 6-7.
l’affermazione identitaria dell’interesse collettivo aziendale proprio perché, in tali fattispecie, si perseguivano interessi di una comunità di lavoratori percepiti come strutturalmente indivisibili, (sebbene sia stata sostenuta, in alcune occasioni, la relatività di tale predicato: tali interessi non sarebbero sempre ricostruibili a priori perché condizionati da coefficienti mutevoli di tipo organizzativo, gestionale, di strategia negoziale, di rappresentanza25). Ne derivava il riconoscimento di un effettivo interesse collettivo, altro rispetto alla totalità degli interessi individuali dei lavoratori di una determinata comunità.
Gli sviluppi nella teorizzazione dell’accordo collettivo in azienda condussero, così, a riconoscerne definitivamente come funzione «quella di realizzare la tutela di interessi collettivi, ponendo in essere una disciplina unitaria dei rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori unitariamente considerati e non già soggettivamente identificati, e pertanto al contratto aziendale va riconosciuta la natura propria del contratto collettivo e non già quella di somma di contratti individuali»26. Ed ugualmente, rispetto al contratto di categoria, il contratto aziendale era considerato “in sé perfetto e produttivo dei suoi effetti”27.
3. Il contratto aziendale quale fonte normativa nel sistema contrattuale. Il coordinamento con il contratto nazionale.
Se il rafforzamento della funzione normativa del contratto aziendale aveva contribuito all’enucleazione dell’interesse collettivo aziendale e alla sua emancipazione dall’interesse categoriale, aveva altresì imposto il contratto decentrato quale fonte di disciplina del rapporto di lavoro, con conseguente necessità di verificare il coordinamento, nel sistema contrattuale delle fonti, con il contratto collettivo nazionale28.
I termini in cui impostare ed esaminare la problematica, soprattutto in un primo momento nel contesto della contrattazione articolata, furono fortemente condizionati da due fattori. In primo luogo, il principio della monovalenza
25 X. XXXXXXX, Verso un nuovo rapporto tra legge e contratto, Pol. del Dir., 1985, p. 441.
26 Cass. 18.01.1978, n. 233, Dir. Lav., 1979, II, p. 69.
27 X. XXXXXX, Considerazioni sull’accordo tra governo e parti sociali del 23 luglio 1993, in Pol. dir., 1994, 1, p. 37.
28 X. XXXXXXX, Procedure e strutture …, cit., p. 4, spiega l’origine di tale problematica nella concezione statualistica delle fonti propria dei paesi di civil law. X. XXXXXXXXX, Il contratto collettivo di impresa, cit., p. 49, ritiene che le clausole di rinvio legittimino l’inserzione del contratto collettivo d’impresa in una piramide di fonti iure proprio.
normativa del contratto collettivo nel sistema giuridico-statale29, per cui tutti i contratti collettivi costituiscono atti giuridici strutturalmente e funzionalmente identici30; in secondo luogo la rigida gerarchia del sistema delle fonti. Muovendo da tali premesse, al problema dei meccanismi interni di rinvio fra i vari livelli contrattuali e al problema della posizione del contratto collettivo nel sistema delle fonti si rispondeva ritenendo il contratto aziendale gerarchicamente subordinato, in modo più31 o meno32 accentuato, al contratto nazionale che ne definiva i limiti di contenuto. Ovvero, il contratto aziendale come integrativo del contratto nazionale e il contratto nazionale suppletivo del contratto aziendale33.
In seguito, tale schema monistico divenne insufficiente a dar conto del ruolo che il contratto aziendale andava acquisendo quale fonte normativa, per diverse ragioni. In primo luogo, l’introduzione di una disciplina diversificata per determinati contratti collettivi aziendali, relativi ai fenomeni di crisi e riorganizzazione aziendale, favoriva soluzioni di distribuzione delle materie di competenza dei diversi livelli contrattuali, cui conseguiva la tendenza a configurare in un modo differenziato la funzione giuridica del contratto collettivo decentrato, senza tuttavia pretendere di ricollegare a tali differenze funzionali diversi regimi giuridici. Il mantenimento della prospettiva differenziale esclusivamente sul piano funzionale garantiva, in particolare, la conservazione della più ampia unità teleologica che caratterizza la contrattazione collettiva34. Ne derivava, comunque, una revisione del rapporto, e del coordinamento, tra livelli contrattuali, intendendolo fondato
sostanzialmente sull’autonomia.
L’ampio spazio di intervento riconosciuto alla contrattazione aziendale consentì di sperimentarne altresì una funzione «consultiva»35, funzionale cioè al riconoscimento di diritti di informazione e consultazione sindacale, non altrimenti previsti.
29 X. XXXXXXX, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, Jovene, Napoli, 1984, p. 12.
30 X. XXXXXXX, Funzioni e livelli della contrattazione collettiva, Lav. e Dir., 1987, I, p. 234.
31 X. XXXXXXXXX, Il contratto collettivo di impresa, cit., 49 e ss. L’Autore riconosce la libertà agli agenti negoziali di livello decentrato anche di non addivenire alla stipulazione del contratto, ritenendo che l’obbligo imposto dalle clausole di rinvio sia alla trattativa e non anche alla stipulazione.
32 X. XXXXXX, Il contratto collettivo aziendale, cit., p. 174-176.
00 X. XXXXXX, Xxxxxxx, contratto..., cit., p. 101.
34 X. XXXXXXX, Funzioni e livelli..., cit., p. 264.
35 X. XXXXXXX, Procedure e strutture della contrattazione …,cit., p. 5.
Sempre il livello contrattuale aziendale fu, ancora, sempre più spesso individuato dal legislatore a svolgere una funzione normativa in via integrativa (v., per esempio, gli artt. 1 e 2 della l. n 863 del 1984), su cui più ampiamente si tornerà in seguito.
L’accordo collettivo aziendale tra l’altro si diversificò, specificandosi in ulteriori livelli negoziali quali «il gruppo»36 o «lo stabilimento».
Il contratto aziendale diveniva, dunque, il polo propulsivo del sistema37 e, dopo l’introduzione dello Statuto dei lavoratori nel 1970, veniva altresì a vivere in un contesto normativo proprio, ben differenziato dal contratto di categoria38. L’acquisizione da parte del contratto aziendale di tale “funzione pilota” nei confronti dello stesso contratto nazionale di categoria39 era, appunto, ammissibile solo grazie ad una ricostruzione dei rapporti tra i livelli contrattuali come reciprocamente indipendenti ed autonomi40. Il contratto collettivo aziendale si poneva quale fattispecie del tutto peculiare di contratto collettivo in quanto strumento di organizzazione dell’attività lavorativa, operante nelle forme del confronto costante dei diversi interessi in conflitto e del controllo sindacale dell’organizzazione industriale, dotato quindi di un ruolo differenziato ed autonomo rispetto al contratto nazionale. Sicché il collegamento tra i due momenti negoziali non assumeva più rilevanza sul piano giuridico, ma soltanto sul piano delle relazioni politiche e sindacali41.
Le spinte di centralizzazione che, si è detto, iniziarono ad agire dalla metà degli anni ’70 riproposero l’esigenza di coordinamento organico tra i diversi livelli contrattuali; tuttavia dall’Accordo sul costo del lavoro del 1977, e in seguito dal Protocollo del 1983, non si dedusse l’intenzione di ripristinare una rigorosa e stabile
36 Cfr. Protocollo Iri del 18 dicembre 1984 (e l’emendamento del luglio 1986).
37 X. XXXXXXXX, Prospettive del sistema contrattuale …, cit., 56.
38 DEL PUNTA, Il contratto collettivo aziendale, in D’ANTONA (a cura di), Letture di diritto sindacale, Jovene, Napoli, 1990, 308. Cfr., inoltre, X. XXXXXXX, Contratto collettivo e contrattazione in azienda, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1985, 52 e ss., per cui il disegno statuario realizza un compromesso dinamico fra le esigenze di regolamentazione del meccanismo contrattuale (implicite nel tentativo di sindacalizzare l’agente contrattuale in azienda) e le istanze democratiche che fanno ritenere necessario un certo grado di partecipazione della base nella formazione della volontà collettiva; e X. XXXXXXX, Ordinamento, ruolo del sindacato…, cit., 276, il quale ritiene che il riconoscimento delle rsa come potenziali diramazioni nell’unità produttiva del sindacato firmatario del contratto collettivo nazionale avrebbe realizzato un coordinamento tra i livelli negoziali almeno in termini soggettivi.
39 XXXXXXXXX, op.cit., 131.
40 XXXXXXXXX, Evoluzione della contrattazione collettiva, in AA.VV., Il diritto del lavoro nell’emergenza, Jovene editore, Napoli, 1979, 128.
41 X. XXXXXXX, Ordinamento, ruolo del sindacato …, cit., p. 155.
dipendenza tra livelli negoziali. A differenza di allora, la tensione verso una centralizzazione dell’azione sindacale non significava abbandono dell’iniziativa a livello di fabbrica, ma piuttosto l’aspirazione a delineare delle coerenti linee di sviluppo del sistema industriale nel quadro delle quali inserire le specifiche rivendicazioni aziendali.
In particolare, l’Accordo del 1983 individuava, in modo generico, le materie delegate alla contrattazione aziendale, per lo più riferite alle forme di organizzazione del lavoro poiché, invece, la materia salariale era stata attribuita alla competenza esclusiva del contratto nazionale (punto 8 dell’accordo); il meccanismo di selezione delle materie non era, tuttavia, quello precedente del rinvio, bensì quello dell’esclusione, ovvero attribuzione di competenze marginali e residuali. Anche tale opzione di distribuzione delle competenze tra livelli contrattuali fu ritenuta significativa della riaffermazione del primato del livello intermedio di contrattazione42.
Ulteriore argomento in tal senso si traeva dalla previsione della c.d. clausola di non ripetibilità (punto 13), ovvero il divieto di rinegoziare in sede aziendale materie già definite a livello di accordo di categoria.
La prevalente dottrina negò che la clausola avesse valore negoziale vincolante, tale da sanzionare con effetti reali eventuali accordi decentrati che definissero in modo differente quanto disposto dai sindacati nazionali: sia per l’autonomia che si riconosceva in capo alle rappresentanze sindacali aziendali43, sia per l’ambito di operatività della clausola, entro i limiti del vincolo associativo per cui sussisteva un obbligo di influenza degli organismi sindacali superiori rispetto a quelli inferiori, senza che si aprissero spazi in sede giudiziaria per far valere il mancato rispetto della clausola44. Tale disposizione, si ritenne, assolveva una funzione politico- programmatica, cioè di legittimazione di divieti espliciti di contrattazione ulteriore su specifici oggetti eventualmente contenuti nei contratti collettivi di livello superiore45.
42 X. XXXXXXXX, Prospettive del sistema contrattuale, Pol. del Dir., 1985, p. 48.
43 X. XXXXXXX, Procedura e strutture…, cit., p. 15.
44 X. XXXXXXX, Contratto collettivo e …, cit., p. 48 ss.
45 P. G. ALLEVA, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1982-1983, Gior. Dir. Lav. e Rel. Ind.,
1983, p. 369.
I limiti dimostrati dal tradizionale approccio «monistico-unitario», e l’applicazione delle regole del diritto comune46 al tema del contratto collettivo portarono a tentare una lettura della problematica del coordinamento tra livelli negoziali che valorizzava le differenze funzionali acquisite dal livello negoziale periferico, senza sovvertire del tutto l’elaborazione fino a quel momento sviluppata. In particolare, si propose di superare lo schema del collegamento negoziale, perlomeno quale rigido nesso genetico tra contratti per cui il contrato di efficacia minore non può esistere senza la fonte superiore. Soprattutto, il vincolo e l’autorizzazione imposta dall’associazione sindacale complessa all’associazione semplice in sede di contratto nazionale era ritenuta soltanto una delle possibili procedure di avvio della contrattazione aziendale, non un elemento (imprescindibile e) qualificante della stessa47. L’attività contrattuale decentrata
può, pertanto, svolgersi anche in assenza di atti autorizzativi espliciti.
Tale ricostruzione registra la versatilità che lo strumento della contrattazione decentrata risulta, sempre più, capace di offrire e ne tenta una collocazione tra le fonti, contrattuali, di disciplina del rapporto di lavoro.
Se, infatti, sul piano nazionale, il contratto di categoria si connota per la tensione a svolgere una funzione regolamentare che investe tutti i rapporti di lavoro, sul piano aziendale, invece, il contratto collettivo si arricchisce, accanto all’originaria funzione integrativa di specificazione della disciplina posta da altri livelli, che determina sotto questo profilo la natura di fonte decentrata, di una funzione gestionale, cui si è accennato, ovvero una funzione normativa originaria, in quanto non delegata, che assoggetta a disciplina collettiva la regolamentazione di istituti altrimenti oggetto del potere unilaterale del datore di lavoro.
Anche i termini del coordinamento con il contratto nazionale, pertanto, variano, a seconda che il contratto aziendale assolva ad una funzione normativa o, anche, gestionale. Solo nel primo caso, infatti, si pone un effettivo problema di coordinamento con il contratto nazionale, rispetto al quale il contratto aziendale risulta, meramente, la disciplina integrativa decentrata. Diversamente, il contratto
46 Cfr. X. XXXX, intervento in Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, Atti delle giornate di studio AIDLASS 15-16 maggio 1981, Giuffè, Milano, 1982, p. 115-117.
47 X. XXXXXXX, Contratto collettivo e…, cit., p. 213. L’Autrice precisa, in ogni caso, che la ricostruzione non vuole suggerire uno «spezzettamento» del sistema negoziale, nell’ambito del quale perdano rilievo ed utilità gli stadi ed i livelli di organizzazione ed azione sindacale. Il coordinamento tra livelli contrattuali (e dunque tra agenti negoziali distinti) rimane un passaggio obbligato nella ricerca del fine unico perseguito dall’associazione nel suo complesso.
gestionale si sottrae al coordinamento con il contratto di categoria, in quanto introduce una disciplina collettiva su materie che erano, altrimenti, oggetto del potere unilaterale del datore di lavoro.
L’evolversi della contrattazione aziendale, quindi, ne ha determinato da un lato l’attitudine e l’idoneità ad essere parte di un sistema coordinato di fonti negoziali, ma soprattutto, dall’altro, la capacità di esistere indipendentemente da fonti ad essa preordinate48.
3.1. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello: i termini del problema.
L’affermazione del contratto collettivo aziendale quale fonte dotata di capacità normativa originaria e non necessariamente discendente, e vincolata, dall’autorizzazione del contratto nazionale, ovvero quale fonte idonea concettualmente e funzionalmente a disciplinare tutti gli aspetti del rapporto di lavoro pone all’attenzione il problema della concorrenza nell’integrazione degli effetti del contratto individuale di regolamenti collettivi di diverso livello, comportando l’esigenza di individuare il regolamento prevalente nella disciplina di un medesimo istituto del rapporto di lavoro individuale. Tale problematica, per l’appunto, si riferisce alle ipotesi di intervento normativo del contratto aziendale concorrente con quello del contratto di categoria; dalla materia rimangono, invece, escluse le ipotesi in cui l’accordo aziendale regolamenta un’attività altrimenti rimessa alle scelte unilaterali del datore di lavoro, questa, infatti, non concorre con altro regolamento collettivo, ma soprattutto realizza già di per sé una deroga migliorativa alle gestioni autoritarie dell’imprenditore49.
I criteri selettivi ricercati dalla dottrina, tra gli anni ’60 ed ’80, al fine di dirimere i conflitti tra contratti collettivi di diverso livello sono stati molteplici, nessuno dei quali è, in realtà, risultato pienamente soddisfacente.
E’, in ogni caso, opportuno precisare che gli sviluppi della dottrina, e si vedrà anche della giurisprudenza, muovevano da un presupposto di omogeneità dei regolamenti collettivi concorrenti, prendendo in considerazione, solo, il concorso tra contratti collettivi di diritto comune, posto che il rapporto tra contratti collettivi
48 X. XXXXXXX, Contratto collettivo e…, cit., p. 212.
49 X. XXXXXXX, Il caso Alfa: autonomia collettiva, diritti dei lavoratori e poteri dell’imprenditore, Quest. Xxxxx., 1982, p. 568.
di diversa natura –cioè corporativo e di diritto comune- e del medesimo livello costituiva un problema differente e, dunque, richiedeva un profilo di indagine separato50.
3.2. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello nel dibattitto dottrinale.
Il confronto sulla problematica del concorso di contratti collettivi di diverso livello, e quindi dell’individuazione del criterio cui ricorrere per dirimere il conflitto tra più discipline applicabili al medesimo istituto si rivelò particolarmente vivo negli anni ’60, quasi inutilmente, verrebbe da osservare, considerato che il meccanismo delle clausole di rinvio proprio della contrattazione articolata già realizzava un coordinamento «giuridico» dell’azione contrattuale ai diversi livelli negoziali.
Le prime teorie tentarono di sostenere la prevalenza della disciplina del contratto nazionale su quella disposta dal contratto aziendale, e così l’inderogabilità, in peius, del contratto di categoria, in primo luogo, richiamandosi alla regola del favor nei confronti del lavoratore51, in seguito specificato quale strumento correttivo del principio di uniformità, in funzione di una valorizzazione della personalità del lavoratore secondo l’indirizzo che si trae dalla Costituzione52.
Ugualmente si tentò di sostenere l’inderogabilità del contratto nazionale mutuando dalla struttura del mandato gli strumenti che consentivano di invalidare il prodotto dell’autonomia negoziale decentrata qualora questa si fosse svolta al di fuori dei confini tacciati a livello nazionale.
Vi era una posizione che ricorreva, in particolare, alla figura dell’abuso del potere rappresentativo, secondo la quale la stipulazione, oltre la delega, di un contratto collettivo aziendale peggiorativo di quello preesistente di livello superiore configura una fattispecie di abuso di potere alla quale consegue la nullità del negozio “abusivo”. Pertanto, la stipulazione di un accordo aziendale peggiorativo era ammissibile solo se l’associazione sindacale di grado inferiore vi era stata espressamente autorizzata, dallo statuto del sindacato o da un’apposita clausola del
50 X. XXXXXXXXX, Ruolo ed efficacia della contrattazione collettiva…, cit., p. 52.
51 X. XXXXXXX, Il «favor» verso il prestatore di lavoro subordinato, Xxxxxxx, 1966, pp. 30 ss.
52 X. XXXXXXX, Nuovi profili del «favor», in X. XXXXXXX, X. XX XXXX XXXXXX, Dal garantismo al controllo, Xxxxxxx, 1982, p. 99.
contratto nazionale, e nei limiti di tale autorizzazione, se la stessa aveva revocato il mandato all’associazione sindacale di grado superiore53. L’invalidità del negozio decentrato peggiorativo esito dell’applicazione dei principi civilistici in tema di rappresentanza trovava, tuttavia, temperamento, nella valorizzazione, ai fini dell’effettiva annullabilità del negozio, del perseguimento o meno dell’interesse del gruppo54. Ovvero, la deroga in peius era condizione necessaria, ma non ancora sufficiente ad escludere che l’accordo aziendale producesse effetto qualora quest’ultimo avesse effettivamente realizzato l’interesse collettivo, e non il mero interesse del sindacato. Tale verifica era affidata al giudice.
Le critiche mosse a tale posizione rilevavano la difficoltà di riscontrare nel concreto fattispecie di abuso di potere, data la mancanza di criteri tipizzati e l’elasticità del mandato sindacale55.
Una seconda tesi proposta fu quella del mandato irrevocabile56, conferito dalla associazione sindacale di grado inferiore, anche nel proprio interesse, a quella di grado superiore, la cui azione, pertanto, vincola l’associazione inferiore fintanto che perdura il rapporto associativo. In questo caso, venne criticata l’equiparazione, in via analogica, tra l’iscrizione del singolo lavoratore al sindacato e l’adesione dell’associazione di grado inferiore all’associazione di grado superiore, nonché l’insostenibilità dell’applicazione analogica di un meccanismo esplicativo funzionale alla soluzione dei conflitti tra contratti collettivi corporativi e contratti collettivi di diritto comune57.
Ricorrendo ancora all’analogia, si sostenne l’inderogabilità in peius del contratto nazionale da parte del contratto decentrato sulla scorta dell’art. 2077 c.c., ricostruzione largamente accolta in un primo periodo dalla giurisprudenza, come si vedrà. Si trattava, in realtà, di una delle tesi più risalenti, che risentiva della configurazione del contratto aziendale quale contratto plurisoggettivo. Inoltre, la ratio della disposizione codicistica stava nell’assicurare l’inderogabilità del contratto collettivo corporativo da parte del contratto individuale. La natura di regolamento collettivo che si era, irrevocabilmente, riconosciuta al contratto
53 X. XXXXXXXXX, Il contratto collettivo di impresa, cit., p. 120.
54 X. XXXXXXXXX, Il contratto collettivo di impresa, cit., p. 125-126.
55 X. XXXXXXXXX, Ruolo ed efficacia della contrattazione collettiva…, cit., p. 54.
00 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Xxxxx corporative, autonomia collettiva, autonomia individuale, Dir. dell’Econ. 1958, p. 1187.
57 X. XXXXXX, Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, Gior. Dir. Lav. e Rel. Ind., 1981, p. 371.
aziendale e l’inquadramento giuridico del contratto collettivo quale contratto di diritto comune resero, dunque, del tutto inadeguato l’art. 2077 c.c. a costituire una solida base normativa all’inderogabilità del contratto di categoria.
Ancora, si sostenne l’impossibilità per l’accordo aziendale di disporre in modo diverso e peggiorativo rispetto al contratto nazionale in forza del principio del favor nei confronti del lavoratore desumibile dal disposto dell’art. 7 della l. n. 741 del 1959, la c.d. legge Xxxxxxxxx, che estendeva i minimi di trattamento stabiliti dai contratti collettivi allora vigenti, facendo salve solo «le condizioni, anche di carattere aziendale, più favorevoli ai lavoratori». Se ne voleva dedurre, quale criterio risolutivo nel conflitto tra contratti di diverso livello, la prevalenza della disciplina a sfera più ampia, con l’unica eccezione delle clausole eventualmente più favorevoli previste a livello aziendale.
Si osservò, tuttavia, come la norma di legge in esame fosse, in realtà, una norma speciale di legge transitoria, che non era stata adottata al fine di imporre un ordine nel sistema di fonti collettive. Soprattutto, la disposizione legislativa riflette una concezione delle sfere di competenza, dei livelli del sistema contrattuale, largamente influenzata dall’idea che, nella ripartizione dei compiti tra contratto di categoria ed aziendale, il primo svolga la funzione di determinare i minimi di trattamento, il secondo la funzione di eventuale integrazione migliorativa58. Fu, inoltre, osservato come il principio del favor non potesse essere considerato un principio protettivo generale presente nell’ordinamento, considerando come le specifiche disposizioni che lo prescrivono, in realtà, sono informate da ratio tra loro diverse; ciò, quindi, preclude che tale criterio possa agire al di fuori delle ipotesi in cui è espressamente previsto (nel rapporto tra norma di legge inderogabile da parte del contratto collettivo e norma di contratto collettivo inderogabile dal contratto individuale)59.
La presa di coscienza della mancanza nell’ordinamento di un certa base giuridica su cui affermare l’inderogabilità, in peius, del regolamento di categoria da parte del contratto aziendale60, indusse al ripensamento dei rapporti tra contratti collettivi di diverso livello nei termini della derogabilità, in melius ed in peius, (per quanto qui
58 P. XXXXXX, I rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in X. XXXXXXX, P. XXXXXX, Il contratto collettivo, Utet, 1984, p. 284.
59 X. XXXXXX, Rapporti tra contratti collettivi…, cit., p. 386.
60 X. XXXXXXX-PASSERELLI, Derogabilità del contratto collettivo e livelli di contrattazione, Giorn. Dir. Lav. e Rel. Ind., 1980, p. 624.
interessa) del contratto aziendale rispetto al contratto nazionale, cui si accompagnarono ulteriori proposte di criteri selettivi del regolamento applicabile in caso di conflitto. Al dibattito contribuiva, inoltre, l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori che riconosceva autonomia organizzativa e funzionale alle rappresentanze sindacali aziendali che si traduceva, necessariamente in un’autonomia giuridica ed effettuale dell’attività negoziale da queste eventualmente esercitata61.
Fallì, tuttavia, il tentativo di parte della dottrina di legittimare la derogabilità del contratto nazionale da parte dell’accordo aziendale, adottando quale base giuridica l’art. 2113 c.c.
La disposizione individuata, che ammetteva la deroga alla legge da parte del contratto individuale, si riteneva utile a legittimare, a fortiori, l’analoga derogabilità del contratto collettivo nazionale ad opera di quello aziendale62.
Le critiche, però, evidenziarono come la finalità propria della norma, ovvero la tutela del contraente debole, non consentiva di estendere il principio della derogabilità ai contratti collettivi di diverso livello.
All’indomani della stagione del «non coordinamento», l’attenzione della dottrina al tema si rinnovò.
Tra le varie elaborazioni, vi fu la proposta di considerare i livelli di contrattazione gerarchicamente ordinati, riflesso del rapporto gerarchico che intercorreva tra i soggetti sindacali. L’adesione di un’associazione sindacale periferica ad un’associazione di grado superiore fa sorgere in capo alla prima l’obbligo di osservare le norme e le deliberazioni di questa; le associazioni periferiche, pur avendo una distinta soggettività giuridica ed una propria autonomia negoziale, sono tenute ad osservare le direttive dell’associazione cui aderiscono, quando nello statuto sia prevista una norma che imponga un obbligo in tal senso.
Una volta che siano osservate le direttive dell’associazione di grado superiore, e quindi in qualche modo questa presti un consenso tacito63, l’associazione di grado inferiore può liberamente derogare, in senso migliorativo o peggiorativo, al contratto nazionale. Si configura, così, nell’ambito dell’organizzazione sindacale una gerarchia tra associazioni di diverso livello che, pur non escludendo
61 X. XXXXXXX, Procedure e strutture …, cit., p. 28.
62 X. XXXXXXXX, Xxxxx, giudice e contratto collettivo, in Dir. Lav., 1977, pp. 17-18.
63 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Derogabilità del contratto collettivo…, cit., p. 628.
l’autonomia delle associazioni inferiori, la comprime: se infatti gli agenti negoziali periferici possono convenire condizioni anche peggiorative rispetto a quanto stabilito a livello nazionale, dell’ammissibilità di tali deroghe, in realtà, devono aver previamente deciso, ammettendole, gli organi direttivi dell’associazione sindacale, con annullamento di ogni istanza di autonomia periferica. Xxxx è, però, che la sanzione per un’eventuale deroga, nemmeno tacitamente concessa, si risolverebbe, esclusivamente, nella responsabilità per inadempimento dell’associazione periferica nei confronti dell’associazione nazionale64, senza alcuna ripercussione sulla validità dell’accordo in deroga. L’Autore conclude che il problema della derogabilità, inderogabilità del contratto collettivo ad opera di un contratto collettivo con diverso ambito di applicazione non è, più, giuridico, ma diventa politico, essendo rimessa la valutazione della derogabilità o meno della disciplina del contratto nazionale alle diverse strutture dei soggetti sindacali65.
In seguito, una rivisitazione del criterio gerarchico proponeva di ricollegare il rapporto di subordinazione tra livelli contrattuali, non alla sovra e sotto ordinazione dei soggetti negoziali, ma piuttosto ad una gerarchia discendente dalla preminenza dell’interesse collettivo tutelato, per cui il contratto in cui si esprime la tutela di interesse collettivi più ampi prevaleva su quello destinato alla tutela di interessi collettivi più ristretti66. A tale ampiezza, in tesi, corrispondeva, infatti, una diversa graduazione nel valore giuridico-sociale dell’interesse tutelato, secondo un ordine decrescente di intensità, discendendone, pertanto, la giustificazione, in ipotesi di conflitto tra regolamenti collettivi, del contratto nazionale.
Avvertendo l’inadeguatezza di ogni strumento di ripartizione formale, tuttavia, la dottrina preferì valutare un criterio, non del tutto astratto, che fosse idoneo a dar conto della capacità normativa del contratto aziendale, soprattutto in certe materie, quali l’orario di lavoro, i controlli, la gestione dei processi di ristrutturazione e di innovazione tecnologica, le politiche di impiego e sviluppo di nuove professionalità, considerate ormai «oggetti tipici» del contratto aziendale. La riflessione precisava, quindi, la sua ottica, tendendo ad individuare l’unità contrattuale efficiente rispetto ad un determinato problema67. L’ordine contrattuale,
64 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Derogabilità del contratto collettivo, cit., p. 629 e 638.
65 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Derogabilità del contratto collettivo …, cit.., p. 639.
66 X. XXXXXXX, La contrattazione collettiva tra crisi economica e riforme istituzionali, Riv. It. Dir. Lav., 1986, p. 226.
67 X. XXXXXXXX, Prospettive del sistema contrattuale…, cit., p. 64.
in questo caso, si reggeva sulla capacità ed idoneità di conformazione degli assetti reali acquisita dai soggetti negoziali.
In sostanza, un criterio di competenza e specialità o specializzazione68.
L’obiezione principale, tuttavia, rilevava la difficoltà di individuare parametri su cui misurare e stabilire con certezza la specialità di una disciplina rispetto ad un’altra69.
Il criterio della specialità venne, in un’ulteriore elaborazione, combinato con il criterio della successione dei contratti collettivi nel tempo70. Ormai superata del tutto la concezione gerarchica dei rapporti tra livelli negoziali, al contratto aziendale è riconosciuto pienamente lo status di fonte regolamentare autonoma, sicchè le clausole contrattuali collettive aziendali e nazionali sono munite del medesimo valore giuridico. Se pertanto si riconosce che atti della medesima natura e delle medesima capacità normativa possano disporre, in successione, anche trattamenti peggiorativi (legge o contratto collettivo che deroga in peius, rispettivamente, alla legge o al contratto collettivo precedente), è da concludersi che non sia invalido il contratto collettivo aziendale che modifichi peggiorativamente un precedente trattamento contrattuale previsto a livello aziendale, con prevalenza del contratto collettivo successivo, sia di pari grado che di grado inferiore71.
Ancora il criterio cronologico, precisamente però di priorità cronologica, fu proposto quale regola per la soluzione dei concorsi di discipline collettive, anche di livelli differenti, ritenendo applicabili a tali ipotesi i principi generali in tema di conflitto di diritti72. Presupponendo, infatti, la coincidenza tra gli elementi costitutivi del conflitto di diritti e gli elementi che caratterizzano il conflitto tra i poteri normativi di sindacati diversi, in ogni caso di conflitto tra regolamenti concorrenti prevale l’atto che è stato concordato per primo con l’ente contrapposto73; ne consegue l’inefficacia del regolamento concordato
68 X. XXXXXX, Rapporti tra contratti collettivi…, cit., p. 390.
69 X. XXXXXXXXX, Ruolo ed efficacia della contrattazione collettiva…, cit., p. 58-59. In particolare, l’Autore evidenzia, altresì, l’accrescimento della difficoltà ove due clausole regolanti in modo differente lo stesso istituto si pongano non in un rapporto di specialità, ma di intensità ed ampiezza diverse.
70 X. XXXXXXX, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Cedam, 1981, p. 379.
71 X. XXXXXXX, Ordinamento, ruolo del sindacato…, cit.., p. 377.
72 X. XXXXXXXXX, Concorso e conflitto tra regolamenti collettivi di lavoro, Cedam, 1984, p. 232.
73 X. XXXXXXXXX, Concorso e conflitto tra regolamenti…, cit., p. 237.
successivamente per tutto il periodo di vigenza del primo. Per quanto riguarda, in particolare, il conflitto tra regolamenti di diverso livello, è ripreso il parametro del vincolo previsto nell’atto costitutivo o nello statuto dell’ente sovraordinato all’azione dell’ente sindacale di grado inferiore, per cui se manca una disposizione che limiti, nel rapporto verticale tra gli organismi sindacali, la potestà normativa dell’agente negoziale in sede aziendale, l’accordo stipulato da quest’ultimo prevale, a prescindere da un contenuto più o meno favorevole74.
In mancanza di un orientamento del tutto persuasivo, sebbene molte posizioni fossero state superate per la manifesta inadeguatezza a risolvere il problema posto e l’ultimo arresto –che indicava il criterio della specialità come il parametro idoneo a offrire la migliore soluzione auspicabile– fosse stato tutto sommato favorevolmente accolto75, molte voci attendevano ed auspicavano, in realtà, un intervento eteronomo, da parte del legislatore76. Esse trascuravano, forse, come la corretta impostazione del problema non dovesse esaurirsi in termini strettamente giuridici, bensì, comprendesse e definisse la questione, anche e soprattutto, in termini di politica sindacale e, quindi, di distribuzione, all’interno delle strutture sindacali, dell’autonomia normativa. Profilo della questione, quest’ultimo, intuito come si vedrà dalla giurisprudenza.
In ogni caso, se al contratto aziendale si riconosceva un’ampia autonomia normativa, tale da disporre, oltre che sulle materie espressamente delegate, anche in deroga al regolamento collettivo di categoria, di quest’ultimo rimaneva comunque ferma la funzione aggregativa, di unificazione e coordinamento normativo, quindi la sua necessarietà77.
3.3. Il concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello in giurisprudenza.
Le pronunce giurisprudenziali intervenute tra gli anni ’60 e gli anni ’80 riflettono il disagio degli interpreti nell’adottare un criterio di selezione del regolamento
74 X. XXXXXXXXX, Concorso e conflitto tra regolamenti …, cit., p. 221.
75 X. XXXXXX, intervento in Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, cit., p. 122. L’Autore riferisce il principio di specialità, non tanto alle materie quanto più, ai soggetti o agenti contrattuali. 76 Cfr., per es., X. XXXX, intervento in Rapporti …, cit., p. 115; X. XXXXXXX, La contrattazione collettiva tra crisi economica..., cit., p. 227; critico, invece, X. XXXXXXX, Il mutamento della funzione del contratto collettivo, Dir. lav. rel. ind., 1983, p. 770.
77 X. XXXXXXXX, Prospettive del sistema contrattuale…, cit., p. 67-68.
collettivo applicabile nelle ipotesi di concorso tra il contratto collettivo nazionale e un accordo aziendale.
Parte della difficoltà, fu osservato, derivava dalla scarsità di elementi validi offerti dalla dottrina, nonché dal dover contemperare, nell’operazione ricostruttiva del criterio, dinamiche di natura politico-sindacale.
In una primissima fase, sfruttando l’ancora incerta natura del contratto aziendale quale collettivo o plurisoggettivo, la principale opzione giurisprudenziale tentò di coordinare il rapporto tra livelli negoziali facendo riferimento all’art. 2077 c.c.; assimilando il contratto collettivo aziendale ad una pluralità di contratti individuali, se ne dichiarava la soggezione gerarchica al contratto nazionale, la cui disciplina era, così, inderogabile: operazione ritenuta di schietta indole creativa78. Riconoscendo, tuttavia, che «la stessa ragione politico-sociale della subordinazione dell’interesse individuale a quello collettivo non è meccanicamente trasponibile al rapporto tra i diversi livelli ai quali può esprimersi l’interesse collettivo» e che
«dall’autonomia organizzativa e funzionale delle istanze sindacali ai vari livelli discende una autonomia giuridica ed effettuale dell’attività negoziale da queste esercitata, senza che possa configurarsi alcun rapporto di gerarchia tra di esse»79, tale iniziale orientamento venne superato.
Allo stesso modo, venne superato l’orientamento garantista, che, in applicazione del principio del favor, riconosceva come prevalente tra diverse fonti collettive compresenti quella che prevedeva il trattamento di miglior favore per il lavoratore. Sebbene l’orientamento avesse corretto il criterio del maggior favore con il principio del cumulo, prendendo quindi in considerazione, nell’ambito di ciascun istituto contrattuale non le singole clausole, bensì i trattamenti complessivi desunti dalle due discipline concorrenti80, e quindi il livello effettivo di tutela complessiva, lo stesso fu ugualmente ritenuto inadeguato: da un lato, fu accolto il rilievo dottrinale che riteneva non estensibile il principio del favor al di fuori delle ipotesi in cui era espressamente previsto81, dall’altro, fu del tutto abbandonata la tesi dell’incorporazione del contratto collettivo nel contratto individuale, escludendo
78 X. XX XXXXXXX, Recenti tendenze giurisprudenziali sui rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, nota a X. Xxxx. 0.00.0000, x. 0000, Xxxx Xx., 1987, I, p. 517.
79 X. Xxxx. 6.11.1984, n. 5620, Rep. Xxxx Xx., 0000, xxxx Xxxxxx, x. 00; X. Xxxx. 6.02.1984, n. 928,
Rep. Foro It., voce Lavoro,, n. 34. ; X. Xxxx. 0.00.0000, x. 0000, Xxxx Xx., 1987, I, p. 527.
80 X. Xxxx. 16.03.1981, n. 1516, Foro It., 1982, I, p. 224.
81 X. Xxxx. 5.03.1986, n. 1445, Foro It., 1987, I, p. 527.
quindi che la disciplina collettiva precedente si traducesse in individuali «diritti quesiti», immodificabili se non in senso migliorativo82.
Varie, e disomogenee, sono state, a questo punto, le vie tentate dalla giurisprudenza per rispondere ai concreti problemi di coordinamento tra regolamenti negoziali tra più livelli, di volta in volta criticate dalla dottrina.
Tornando a valorizzare il contratto collettivo quale contratto di diritto comune e a far riferimento alla teoria del mandato, si è ritenuto di ammettere un contratto aziendale peggiorativo rispetto al contratto nazionale, configurandolo quale implicita revoca del mandato conferito dall’associazione sindacale di grado inferiore nei confronti di quella di grado superiore, revoca che libera da qualsiasi vincolo la potestà normativa dell’agente negoziale periferico83. Si è obiettato l’artificiosità della tesi, non sostenuta dal disposto di cui all’art. 1724 c.c., e l’astrattezza di una revoca così ricostruita84.
Ancora, nella lettura del rapporto tra regolamenti di diversi livelli contrattuali, si è adottata la chiave della relazione norma speciale e norma generale, ritenendo quindi prevalente la norma speciale, pur se peggiorativa. Tale tesi conduceva ad una prevalenza automatica, in ogni caso, del contratto aziendale, esito che suscitò critiche allarmate per la potenziale legittimazione di forme di sindacalismo di comodo85, nonché per l’appartenenza del criterio, sotto il profilo storico- sistematico, al sistema delle fonti, non trasportabile al rapporto tra contratti collettivi di diverso livello86.
Superficiale è stata, poi, ritenuta la giurisprudenza che aveva contato di trovare nel criterio cronologico la via più breve per risolvere le fattispecie di conflitto, dichiarando, comunque, la prevalenza della disciplina collettiva successiva, indipendentemente dal carattere peggiorativo o migliorativo, con effetto di integrale sostituzione rispetto a quella precedente, trascurando del tutto la diversità della fattispecie a seconda che successivo fosse il contratto aziendale rispetto a quello nazionale o viceversa87. Quasi aspri furono, infatti, i rilievi che censuravano
82 X. Xxxx. 26.07.1984, n. 4423, Rep. Xxxx Xx., xxxx Xxxxxx, x. 00.
83 X. XXXXXXXXXXX, Il rapporto tra contratti collettivi di diverso livello e gli orientamenti della giurisprudenza, in Ruolo ed efficacia della contrattazione collettiva articolata, cit., p. 88.
00 X. XX XXXXXXX, Xx contratto aziendale nella recente evoluzione giurisprudenziale, in
Contrattazione decentrata e rapporto di lavoro, a cura di X. XXXXX, Xxxxxxx, 1986, p. 26.
85 X. XXXXXX, intervento in Rapporti tra contratti collettivi…, cit.., p. 184.
86 X. XXXXXXXXXXX, Il rapporto tra contratti collettivi …, cit., p. 88.
87 X. Xxxx. 8.05.1984, n. 2808, Rep. Xxxx Xx., 0000, xxxx Xxxxxx x. 00; Cass. 4.10.1985, n. 4819,
Rep. Foro
l’orientamento per aver introdotto nell’area concettuale del concorso, conflitto delle fonti negoziali un elemento del tutto estraneo, ovvero l’effetto sostitutivo globale, criterio proprio delle ipotesi di successione nel tempo di norme contrattuali di identica natura quanto a soggetti, efficacia giuridica e livello88, nonché, per il ricorso, ancora una volta, ad un canone espressamente sancito solo per le fonti legali89.
Con alcune perplessità fu altresì accolta l’indicazione da parte della dottrina del criterio di specialità.
Sebbene fosse considerato il più duttile dei parametri, potenzialmente idoneo a selezionare il regolamento «più vicino» alla platea di lavoratori interessati, vi si ricorreva in via residuale, quando non residuavano altri mezzi positivi nell’ordinamento90.
Ritenendo, tuttavia, che l’adozione di tale parametro avrebbe potuto determinare un impatto asistematico sul sistema contrattuale complessivo, poiché il criterio di specializzazione avrebbe, in sostanza, legittimato ogni sorta di deroga peggiorativa dei trattamenti da parte dei livelli negoziali inferiori, la giurisprudenza concluse ora per l’inidoneità del canone91, ora per la correzione dello stesso con altri principi quali il principio di competenza, di coordinamento funzionale ed organizzativo e di unità e razionalità del sistema negoziale complessivo92.
La giurisprudenza, in realtà, lamentava, quale originaria causa delle forzature interpretative, se non dei veri e propri errori, da un lato l’assenza di un criterio
«esterno» rintracciabile o deducibile con certezza dal diritto positivo, ma soprattutto, dall’altro, la carenza di precise ed univoche opzioni sindacali nel senso della reciproca derogabilità, anche in peius, tra fonti collettive; ciò richiedeva al giudice di misurarsi, nel tentativo di comporre il conflitto concreto posto alla sua attenzione, su strumenti di gestione più che di normazione93. In particolare, si
It., 1985, voce Lavoro, n. 64; X. Xxxx. 16.11.1985, n. 5648, ibid., n. 55.
88 X. XXXXXX, Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello: una «svolta» tra continuità e rottura con il passato, nota a X. Xxxx. 5.03.1986, n. 1445, cit., p. 513.
89 X. XXXX, intervento in Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, cit., p. 80.
90 X. XXXXXX, Sul concorso-conflitto tra regolamentazioni contrattuali collettive di diverso livello, Giust. Civ., 1983, p. 2720.
91 X. Xxxx. 5.03.1986, n. 1445.
92 X. Xxxx., 28.03.1980, n. 2049, giust. civ. mass., 1980, p. 150.
93 X. XX XXXXXXX, Il contratto aziendale nella recente evoluzione…, cit., p. 31. Era, inoltre, ampiamente condivisa l’osservazione per cui il processo del lavoro e la sua natura e struttura erano calibrati in una dimensione individuale, motivo per cui il contenzioso non si prestava ad essere la
osservava, non emergevano dall’assetto contrattuale precise scelte di valore da parte dei sindacati94, di cui si invocava, pertanto, l’adozione di scelte applicative funzionali ad armonizzare il sistema contrattuale: «sta dunque al sindacato e alle sue varie istanze operare scelte di contenuto, ed eventualmente introdurre delle deroghe; sta ugualmente al sindacato inserire le scelte che ha compiuto […] nell’ambito di un sistema collettivo»95. Proprio la pretesa di dedurre dal sistema sindacale gli strumenti per risolvere il conflitto tra regolamenti condusse alla sostituzione o alla correzione dei criteri in precedenza adottati con il principio dell’autonomia «talché la fonte collettiva più prossima agli interessi disciplinati è
–nei limiti della normativa inderogabile di legge- prevalente sulle altre consimili, anche se di livello superiore, nel rispetto però dei criteri fondamentali ispiratori di queste ultime che però non escludono differenziazioni giustificate da situazioni locali o particolari, quali una diversità qualità o quantità del lavoro o peculiarità di singoli settori», anche l’eventuale conservazione del trattamento più favorevole è affidata «all’autonomia contrattuale delle stesse parti stipulanti»96. Coerentemente, più volte veniva rimarcata la rilevanza della «effettiva volontà delle parti contraenti»97.
4. Il contratto collettivo aziendale e la legge.
Un importante incentivo allo sviluppo della contrattazione in sede aziendale, e della sua preminente funzione normativa, provenne dal legislatore. Molteplici, e di varie tipologie, furono, infatti, gli interventi dell’ordinamento statale volti al coinvolgimento degli agenti negoziali all’interno dei luoghi di lavoro.
In primo luogo, la legge dimostrò un’attitudine «promozionale», volta cioè a valorizzare l’attività sindacale, e precisamente negoziale, attraverso l’introduzione dello Statuto dei lavoratori, l. n. 300 del 1970, che, disciplinando la presenza del sindacato nelle unità produttive, rifletteva la volontà del legislatore di instaurare un dialogo con esso, in questa sede, cioè rafforzando, qui, il rapporto tra ordinamento
sede più adeguata per affrontare nei corretti termini la questione, dato il forte condizionamento conseguente all’urgenza di assicurare il miglior trattamento al singolo lavoratore.
94 V. Il diritto dei sindacati, Prima serie de Quaderni di studi e legislazione, Camera dei deputati – Segretariato generale, 1979, p. 31 ss.
95 X. XXXXXXXXXXX, Il rapporto tra contratti collettivi …, cit., p. 93.
96 Cass. 12.07.1986, n. 4517, in Mass. Giur. Lav., 1986, p. 462.
97 Cass. 17.05 1985, n. 3047, in Xxx. xxxx. xxx., 0000, XX, x. 000; Cass. 1.07.1986, n. 4354, in Xxx.
Xxxx xx., 0000, xxxx Xxxxxx (xxxxxxxxx), x. 00; Cass. 19.03.1987, n. 4758, in Riv. it. dir. lav., 1988, II, p. 107.
statale ed autonomia collettiva98: si trattò, in sostanza, di creare le condizioni per l’impianto organizzativo del sindacato nell’xxxxxxx00 che sarebbe stato, in seguito, altresì dotato degli strumenti per essere messo a parte delle scelte imprenditoriali, con facoltà di incidere sulle stesse.
Quanto ai puntuali richiami legislativi all’autonomia collettiva, questi possono dirsi operanti in tre direzioni100: attribuivano direttamente all’autonomia collettiva il potere di derogare (anche in senso peggiorativo) alla disciplina legale: per esempio, in materia di trasferimento d’azienda (l. n. 215/1978) o della parità uomo- donna (l. n. 903/1977) o sul trattamento di fine rapporto (l. n. 97/1982); assegnavano alla disciplina collettiva in compito di integrare (con presumibile efficacia soggettiva generale) la norma di legge: per esempio, la definizione della retribuzione dei nuovi assunti con il contratto di formazione e lavoro (l. n. 285/1977), le ipotesi di contratto a termine per i giovani iscritti nelle liste speciali (l. n. 479/1978), i criteri per la concessione anticipata del trattamento di fine rapporto (l. n. 297/1972); o prefiguravano un procedimento nel quale «accordi»,
«intese», «pareri» sindacali costituivano il presupposto necessario di un provvedimento emesso da un organo amministrativo: per esempio, in materia di ricorso alla cassa integrazione guadagni (l. n. 164/1975), in materia di mobilità interaziendale (l. n. 285/1977), sui contenuti del contratto di formazione e lavoro (l. n. 876/1977). Lo stesso Statuto dei lavoratori rimetteva alla contrattazione collettiva (spesso, di fatto, nazionale) l’indicazione di sanzioni corrispondenti alle infrazioni (art. 7), la definizione delle modalità per l’azione in azienda degli istituti di patronato (art. 12), la determinazione del periodo di assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori tale da determinare il diritto all’assegnazione definitiva (art. 13), l’individuazione delle modalità per il versamento dei contributi sindacali (art.
26) o la fissazione della disciplina dei permessi retribuiti per i dirigenti provinciali e nazionali.
Il più importante spazio aperto all’esercizio della funzione normativa del contratto aziendale fu quello individuato dalle norme di legge che, prescrivendo precise procedure nella fase di formazione e di esplicazione dei poteri
98 Su cui, in generale, cfr. X. XXXXXXX, Legge ed autonomia collettiva, Mass. Giur. Lav., 1980, p. 692 ss.
99 X. XXXXXX, Giuridificazione e derogalazione nel diritto del lavoro italiano, in Dir. lav. rel. ind., 1986, p. 337.
100 X. XXXXXXXX, Contratto collettivo…, cit., p. 158.
imprenditoriali, disegnavano un contesto ove il controllo sindacale si poteva trasformare in una più consistente attività di contrattazione. Molteplici sono, infatti, gli esempi del contratto aziendale quale strumento previso dal legislatore ai fini della razionalizzazione delle modalità di esercizio dei poteri imprenditoriali. Tali tipologie di rinvio all’autonomia collettiva hanno consentito che la funzione normativa tradizionalmente integrativa del contratto aziendale si sviluppasse in una funzione normativa, dal contenuto ablativo, di tipo gestionale, di negoziazione di tutti gli aspetti organizzativi dell’impresa, concretizzandosi in una forma rudimentale di democratizzazione delle decisioni aziendali101.
Nello Statuto dei lavoratori si rintracciano l’art. 4 (tutela della riservatezza nei luoghi di lavoro), l’art. 6 (tutela del patrimonio aziendale) e l’art. 9 (controllo dell’applicazione delle norme in materia di prevenzione agli infortuni e malattie professionali).
Gli artt. 4 e 6 prevedono che l’accordo aziendale definisca le modalità di esercizio del potere di controllo del datore di lavoro, così che questi non può agire in modo arbitrario, vessatorio o discriminatorio. Le norme (differentemente dallo St. lav.), chiamano, dunque, l’agente negoziale in azienda a svolgere una funzione quasi regolamentare nel contesto organizzativo dell’impresa, pur senza venir meno ad una più naturale funzione di contemperamento di interessi contrapposti e di assetto degli stessi in uno schema negoziale102.
L’art. 9, poi, nel prevedere il necessario coinvolgimento delle strutture di rappresentanza in azienda nella messa a punto condivisa delle misure idonee alla tutela della salute dei lavoratori, si ritiene possa aver riservato uno spazio per un intervento specializzato della contrattazione collettiva aziendale, anche in mancanza di un esplicito rinvio del contratto nazionale di categoria, in considerazione degli interessi da tutelare nelle singole unità produttive103. Differentemente dall’art. 2087 c.c., infatti, il bene della salute e sicurezza nel lavoro che l’art. 9 dello Statuto si propone di tutelare è considerato quale bene collettivo
101 G.P. XXXXX, X. XXXX, Relazioni industriali. Manuale per l’analisi dell’esperienza italiana, Il Mulino, Bologna, p. 159.
102 X. XXXXXXX, Contratto collettivo e…, cit., p. 99.
103 X. XXXXXXX, Contratto collettivo e …, cit., p. 103.
cui inerisce un interesse, collettivo, indivisibile proprio di ciascuna comunità di lavoratori intesa quale «comunità di rischio»104.
Altro importante riconoscimento al potere negoziale in azienda si ritraccia agli artt. 1 e 5 della l. n. 903/1977, ove la legge individua nell’accordo collettivo il mezzo per il contenimento ed il controllo delle prerogative imprenditoriali in tema di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. E precisamente, se l’art. 1 ammette la deroga al divieto di discriminazione per le mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva in generale, senza specificare il livello più idoneo a svolgere tale funzione, l’art. 5 riconosce espressamente alla contrattazione «anche aziendale» la facoltà di disciplinare diversamente il generale divieto di adibire le donne al lavoro notturno. Anche in questo caso, infatti, la legge sembra auspicare un intervento normativo, di natura collettiva, in sede aziendale, selezionata quale tavolo di trattativa maggiormente idoneo, in quanto più ristretto e consapevole delle concrete problematiche organizzative e lavorative di ciascuna realtà, ad offrire una soluzione condivisa di adeguamento della disciplina garantista e protettiva dei diritti dei singoli lavoratori a particolari esigenze organizzative aziendali.
Il terreno d’elezione per lo sviluppo della funzione normativo-gestionale fu offerto in particolare, si è detto, dagli inviti del legislatore all’esplicazione dell’autonomia collettiva nei processi di crisi aziendale.
L’art. 5 della l. n. 164/1975, “Provvedimenti sulla garanzia del salario”, (legge ispirata all’accordo interconfederale del gennaio 1975), prevedeva, nelle ipotesi in cui l’imprenditore intendesse disporre la sospensione o la riduzione dell’orario, il diritto di informazione e di consultazione a favore delle rappresentanze sindacali in azienda. La possibilità di addivenire ad un accordo aziendale sulle modalità di gestione dell’organizzazione del lavoro al momento della crisi è, in assenza di un preciso rinvio della legge, solo eventuale. Certo è che, prescrivendo l’esame congiunto della situazione aziendale e delle possibilità di ripresa, il legislatore anche in questa fattispecie riconosce importanti facoltà di intervento all’autonomia
104 Contra X. XXXXXXXX, Le “rappresentanze a tutela della salute fra Statuto dei lavoratori e riforma sanitaria”, nota a Cass. 5.12.1980, n. 6339, Foro It., 1980, p. 2999, che ritiene, invece, la materia una zona residuale riservata alle rappresentanze sindacali in azienda, e X. XXXXXXXX, Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, Arg. Dir. Lav., 1999, p. 12, il quale sembra spiegare il rinvio del legislatore con la scelta dello stesso di sostituire alla disciplina legale, astratta e generale, la disciplina sindacale, più idonea a tener conto della situazione concreta.
collettiva, chiamata ora non più solo a perseguire un obiettivo di miglioramento delle condizioni lavorative, nel confronto lavoro-capitale, ma anche a comporre situazioni di conflitto tra le singole posizioni dei lavoratori; nessun dubbio, inoltre, sulla disponibilità dei diritti individuali dei lavoratori da parte del contratto collettivo105. Ecco perché l’intento del legislatore risulta essere quello di non lasciare il sindacato estraneo alle vicende di trasformazione dell’impresa, bensì dotarlo di capacità di controllo, e così di potenziale condizionamento, dei processi produttivi106. Il sindacato, da parte sua, dimostra ampia disponibilità alla sfida di questo nuovo tipo di azione, pur correndo il rischio di perdere la fiducia dei lavoratori. Gli agenti negoziali si assumono, infatti, la responsabilità di promuovere l’interesse aziendale autorizzando trattamenti peggiorativi, compensati tuttavia, sotto il profilo dinamico, dalla salvaguardia dell’occupazione, dal risanamento aziendale e dal perseguimento di obiettivi di sviluppo.
E così anche per altre ipotesi di rinvii legislativi: gli artt. 24 e 25 della l. n. 675/1977 (procedure di mobilità), l’art. 1 della l. n. 215/1978 (agevolazione della mobilità e Cassa integrazione guadagni), gli artt. 3 e 4-bis della l. n. 36/1979 (ancora in materia di mobilità), nonché, in seguito, l’art. 47 della l. n. 428/1990 (trasferimenti d’azienda), il quale abilitava esplicitamente l’autonomia collettiva a derogare alla legge (art. 2112 c.c.) al fine di preservare, in tutto o in parte, l’occupazione.
La diversificazione e specializzazione dei contenuti dell’accordo aziendale, disposti su rimando del precetto legale, portò a ipotizzare una differenziazione strutturale, e non solo funzionale, delle tipologie di contratto collettivo aziendale, quasi che il contratto gestionale fosse altro rispetto a quello tradizionalmente normativo.
105 M.V. BALLESTRERO, Riflessioni in tema di inderogabilità dei contratti collettivi, in Riv. it. dir. lav., 1989, I, p. 399; ma v. anche, tra gli altri, da X. XXXXXXX, Diritti individuali dei lavoratori e poteri del sindacato, Xxxxx. Dir. Lav., 1985, p. 685 ss.; X. XXXX, Sulla disponibilità sindacale dei diritti individuali, Riv. It. Dir. Lav., 1986, p. 927 ss.; P. XXXXXXXXXXX, Efficacia dispositiva del contratto collettivo e autonomia individuale, Cedam, 1990; X. XXXXXXX, Transazioni collettive e disposizione dei diritti dei lavoratori, Giorn. Dir. Lav., 1991, p. 283 ss.
106 Vale la pena rammentare che è proprio a questo periodo che affiora la tendenza a concepire l’impresa come formazione sociale nella quale si svolge la personalità dell’individuo secondo la previsione dell’art. 2 Cost. La valorizzazione dell’individuo non si limita più solo alla figura dell’imprenditore, ma si estende ai lavoratori, osservando come «il moto dell’impresa sia impresso dall’attività lavorativa»; ne consegue che a coloro i quali esprimo tale attività lavorativa non può essere negato di diritto di avere nell’impresa un crescente ruolo, nella forma delle rappresentanze sindacali. Cfr. X. XXXXXXX, Concezione «causale» del controllo dei poteri dell’imprenditore, in Dal garantismo al controllo, cit., p. 123.
Il tipo di accordo in esame, infatti, sebbene incida su prerogative imprenditoriali realizzandone una «bi-lateralizzazione», ha pur sempre come contenuto non la scelta discrezionale in sé, ma il modo in cui questa si riflette sui rapporti di lavoro. Soprattutto, il principio di polivalenza normativa del contratto collettivo107 permette di valorizzare la funzione che il contratto collettivo, nel caso aziendale, è chiamato a svolgere, anche in considerazione del contesto economico e delle relazioni industriali in cui si pone, purché di fatto tale funzione si concretizzi in un regolamento collettivo, che essenzialmente presuppone un interesse indivisibile, di un momento del rapporto di lavoro. La funzione propria del contratto gestionale, quindi, specifica e non tradisce la funzione normativa «tradizionale», che va misurata sul connotato originario del contratto collettivo quale composizione del conflitto tra capitale e lavoro. E, in questo senso, anche i contratti gestionali presuppongono un conflitto tra l’interesse dei datori di lavoro, alla massima e più intensa flessibilità, per esempio a sospendere o a licenziare, e quello dei lavoratori, alla stabilità del rapporto. In tutti i casi, però, sebbene in modi diversi, gli accordi in esame perseguono, allo stesso modo degli ordinari contratti normativi, un interesse collettivo dei lavoratori e quindi sono pur sempre riconducibili al
«principio della tutela del lavoro» che si dispiega, anche in questi casi, attraverso l’autonomia di gruppo108.
L’innovazione e l’aggiornamento della funzione normativa del contratto aziendale, rispetto ad uno scopo di tutela meramente acquisitiva, non assume, in conclusione, una rilevanza giuridica immediata tale da determinare una diversa struttura e configurazione giuridica dell’accordo gestorio rispetto a quello più latamente normativo109.
5. Gli Accordi triangolari sul «costo del lavoro»: il Protocollo del 31 luglio 1992 e il Protocollo del 23 luglio 1993.
Agli inizi degli anni ’90 le parti sociali ed il Governo posero un limite, temporaneo, alla contrattazione aziendale, sensibili all’esigenza di contenere il costo del lavoro e della contrattazione a livello decentrato al fine di consentire, così,
107 X. XXXXXXX, Contratti collettivi e rapporto individuale di lavoro, Xxxxxx Xxxxxx, 1985, p. 407.
108 X. XXXXXXXX, cit., p. 21.
109 X. XXXXXXX, Contratti collettivi e rapporto…, cit. p. 410-411.
alle imprese di recuperare competitività, nonché di adeguare l’inflazione ai parametri imposti dal Trattato di Maastricht.
Il primo passo fu incidere sulla funzione integrativa salariale della contrattazione aziendale, bloccata per il biennio 1992-1993 dalla clausola che sospendeva l’attività contrattuale in azienda, di cui al Protocollo del 31 luglio 1992110. Sebbene possa essere immediato il parallelismo con la clausola al punto 13 dell’Accordo
«Xxxxxx» del 1983, in realtà la funzione politica e tecnica della disposizione del 1992 si inserisce in un disegno di coordinamento dei livelli negoziali, per quanto attiene alla materia retributiva, che anticipa il progetto che sarà proposto, in modo più organico ed ufficiale, solo in seguito con il Protocollo del 1993, anch’esso accordo triangolare, tanto che la clausola del blocco salariale aziendale fu ritenuta
«programmatica» e «ad esecuzione differita»111.
La sospensione della contrattazione aziendale, tuttavia, risultava uno strumento senza dubbio sproporzionato all’obiettivo di razionalizzare la dinamica contrattuale di integrazione a più livelli: sebbene espressamente la disposizione precludesse l’ulteriore attività di negoziazione in azienda solo nella materia retributiva, di fatto incideva in modo sostanziale sulla portata di innovazione ed integrazione normativa di un accordo aziendale, per lo più concentrata nella disciplina di istituti ad effetto salariale diretto ed indiretto, non lasciando alcun margine residuo in cui il regolamento di livello aziendale potesse esplicarsi in modo apprezzabile. La funzione contrattuale integrativa veniva, dunque, seriamente compressa, nel tentativo di riaccentrare gli equilibri negoziali, motivo per cui si preferì un’interpretazione non direttamente vincolante nei confronti degli agenti negoziali di livello decentrato, con conseguente apertura all’ammissione di contratti aziendali in deroga. La disposizione venne, piuttosto, classificata come clausola obbligatoria, ovvero tale da impegnare le parti sociali firmatarie al dovere di influenza sulle articolazioni minori del sindacato112 e all’attivazione di meccanismi statutari interni113. Tuttavia, questo potere non apparteneva alle strutture sindacali superiori,
110 La clausola formalmente risultava quale adesione delle parti sociali all’invito del Presidente del Consiglio a non procedere a negoziati a livello d’impresa dai quali potessero derivare incrementi al costo del lavoro, durante il periodo in cui opera la manovra di contenimento della dinamica salariale. 111 X. XXXXXXXX, Accordo del 31 luglio 1992 e contrattazione aziendale, in Dir. lav. rel. ind., 1993, p. 222.
112 X. XXXXXXXX, Accordo del 31 luglio 1992 …, cit., p. 223
113 X. XXXXXX, Accordo del 31 luglio 1992 e contrattazione aziendale, in Dir. lav. rel. ind., 1993, p. 216.
che non disponevano di strumenti per imporre o vietare comportamenti alle articolazioni inferiori. La facoltà di queste ultime, dunque, di sottrarsi al condizionamento delle prime si confermava anche per il loro potere di contrattazione, così che i comportamenti negoziali in deroga non potevano essere invalidati nei loro risultati, né altrimenti sanzionati nei loro effetti, per l’inidoneità dei regolamenti privati ad incidere sulla validità degli atti114.
Il progetto avviato nel 1992 si completò nel 1993, con l’accordo triangolare del 3 luglio, ratificato il 23 luglio 1993, c.d. Protocollo «Giugni», l’allora Ministro del lavoro, che lo definì «una nuova costituzione delle relazioni industriali».115 L’accordo del 1993 razionalizzò ed ufficializzò, per la prima volta, il sistema di relazioni collettive che si era affermato nella prassi, imprimendo un ordine che, tra attitudini di flessibilità, potenzialità inespresse e criticità manifestate, di fatto è rimasto immutato per quasi vent’anni.
Il Protocollo si propone quale accordo di sistema, quello cioè che era fino a quel momento mancato alle relazioni collettive in Italia, ovvero un accordo che fornisce regole precise sulle fonti e sugli attori del sistema, principalmente preposto al perseguimento d politica dei redditi una volta esaurita la fase dell’indicizzazione della «scala mobile»116.
Se in gran parte il Protocollo ha razionalizzato principi, regole e prassi che si erano andati affermando e stratificando, non sono mancate anche delle innovazioni, nella configurazione del contratto aziendale, che, confermate le tradizionali competenze di attività normativa integrativa, viene deputato all’individuazione di strumenti condivisi che leghino istituti del salario variabile alle performance della produzione e del reddito aziendale. Trattandosi di un accordo triangolare, l’efficacia regolativa del 1993 era attutita, risolvendosi in regole che funzionavano più come fattori di orientamento e stabilizzazione dei comportamenti delle parti
114 X. XXXX, Contrattazione collettiva e governo del conflitto, in Dir. lav. rel. ind., 1988, p. 460.
115 X. XXXXXX, Un’intesa densa di novità, in Lav. info., 1993, p. 5.
116 Meccanismo inoperante già dal 1991, v. AA. VV.., La disdetta della scala mobile: quali problemi giuridici, in Riv. It. Dir. Lav., I, 1982, p. 542 ss.; X. XXXX, La disdetta dell'accordo interconfederale sulla scala mobile, in Studi in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, (a cura di X. XXXXXXXX), Xxxxxxx, Xxxxxx 0000, p. 421 ss.; X. XXXXXXXX, I xxxxxx, Bologna 1986; X. XXXXXXX, Indennità di contingenza, in C.N.E.L., La revisione della normativa sul rapporto di lavoro, (a cura di X. XXXX e
X. XXXXXXXX), Roma 1987, pp. 263 ss.; M. DELL'OLIO, voce Scala mobile, in Enciclopedia del diritto, Xxxxxxx, Milano 1989, p. 578 ss.
sociali, al momento dei rinnovi dei contratti di categoria, che in «una accezione giuridicamente […] pregnante e se del caso cogente»117.
5.1. Il contratto aziendale nel sistema del Protocollo del 23 luglio 1993.
Il sistema di relazioni contrattuali definito con l’Accordo del 1993 prevede due livelli di contrattazione: quello nazionale di categoria e quello aziendale (o, in alternativa, quello territoriale). Sebbene fosse sempre stato riconosciuto, e implicitamente legittimato nella prassi negoziale, solo in quest’occasione il livello di contrattazione decentrato trova formale recezione nel sistema della contrattazione collettiva quale fonte integrativa; inoltre, in materia retributiva, se da un lato la sua funzione integrativa viene limitata, dall’altro si assicura uno spazio peculiare nell’ambito del quale possa esplicarsi autonomamente il potere normativo degli agenti negoziali in azienda, ovvero la materia del salario variabile vincolato all’andamento economico dell’impresa.
Una lettura formalistica del sistema delle relazioni industriali, così come emergeva dalla lettera del Protocollo, poteva indurre ad una ricostruzione delle relazioni collettive, e soprattutto dei rapporti tra livelli e regolamenti contrattuali, quali informate da un principio gerarchico, con implicito rafforzamento del ruolo del contratto nazionale di categoria, capace di disporre, per il tramite delle clausole di rinvio, materie e tempi in cui il contratto aziendale era ammesso ad integrare il regolamento collettivo: si leggeva, infatti, che la contrattazione del secondo livello,
«laddove previsto», si svolgeva «secondo le modalità e negli ambiti di applicazione che saranno definiti dal contratto nazionale di categoria, nello spirito dell’attuale prassi negoziale»; anche le competenze negoziali delle rappresentanze sindacali unitarie (la cui compiuta disciplina verrà adottata con l’Accordo del dicembre del 1993) sono, appunto, riconosciute «sulle materie oggetto di rinvio da parte dei contratti nazionali».
In realtà, il ruolo della contrattazione aziendale, sebbene coordinato con il livello nazionale, è ampiamente valorizzato sia nella sua idoneità a produrre di un regolamento collettivo compiuto sia nell’attitudine dimostrata a disciplinare specifiche fattispecie che si presentano nella vita di un’azienda. Il rapporto tra livelli non deve, infatti, essere analizzato muovendo dal contratto nazionale, bensì
117 G.P. XXXXX, X. XXXX, Relazioni industriali, cit., p. 37.
analizzando il contratto aziendale alla luce del rinvio di competenze118 che opera il contratto nazionale ed esaminando, quindi, le potenzialità che ne risultano illuminate.
In questo senso il rapporto tra contratto aziendale e nazionale può leggersi, come fu proposto119, quale rapporto di gerarchia e al contempo di specializzazione. Certo, è innegabile che sia stata riservata al contratto di categoria la scelta del punto di equilibrio tra centralizzazione e decentramento, ovvero il ruolo di «baricentro»120 del sistema contrattuale, il quale tuttavia non implica necessariamente la pervasività né l’onnicomprensività della regolazione. Al contratto aziendale, infatti, può dirsi riservata una funzione normativa di specializzazione rispetto al contratto nazionale, nelle materie non considerate, o considerate solo in xxx xx xxxxxxxxx, xxxxx xxxxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx. Ed è appunto il grado di specializzazione normativa che ci permette di apprezzare la diversità funzionale del contratto aziendale121. Si rinnova, cioè, la funzione normativa integrativa dell’accordo collettivo aziendale: non si tratta più della tradizionale funzione integrativa, ma di un ruolo specializzato, cui sono connessi margini più o meno ampi di autonomia nella regolamentazione, nell’integrazione e nell’applicazione delle singole materie di competenza in relazione alle caratteristiche ed alle esigenze delle singole unità produttive122.
Si rintracciano altresì due clausole che senza dubbio investono sull’autonomia regolativa dell’accordo decentrato. In primo luogo, la clausola di non ripetibilità del Protocollo è esclusivamente limitata agli istituti retributivi propri del Ccnl, differentemente dalla clausola 13 dell’Accordo del 1983, che paralizzava l’attività contrattuale in azienda su tutte le materie ed istituti già definiti al livello superiore; pertanto, mentre quest’ultima disposizione era l’unico criterio di regolazione del rapporto tra contratti collettivi e relegava la contrattazione aziendale quasi ad un ruolo residuale, non potendo l’accordo aziendale tornare a regolare quanto già era stato definito a livello centrale, la clausola di non ripetibilità del Protocollo è preposta ad una diversa funzione, ovvero favorire soluzioni applicative diverse ed
000 X. XXXXXX, Xxxxxxx, contratto …, cit., p. 103.
119 X. XXXXXXXX, Concertazione e contrattazione. Xxxxxxxx, poteri e dinamiche regolative, Xxxxxxx, Bari, 1999, p. 115.
120 X. XXXX, L’Accordo del 23 luglio 1993: assetto contrattuale e struttura della retribuzione, in Riv. giu. lav., 1993, p. 224.
121 X. XXXXXX, Azienda, contratto …, cit., p. 103.
122 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Relazioni industriali e contrattazione collettiva, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1997, p. 49.
autonomamente definite in ciascuna categoria, in modo non rigido, tanto da poter ammettere una normativa integrativa o derogatoria aziendale anche su materie già definite a livello di categoria.
Ancora, ricorre una clausola che riserva al livello decentrato la funzione di gestire «gli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali quali le innovazioni tecnologiche, organizzative ed i processi di ristrutturazione che influiscono sulle condizioni di sicurezza, di lavoro e di occupazione, anche in relazione alla legge sulle pari opportunità». E’ evidente, in questa disposizione, come le parti sociali ed il Governo abbiano incentivato quell’attitudine regolativa di carattere «gestionale», anche di situazioni di crisi aziendali, rivelata dagli accordi collettivi che adempivano a prescrizioni del legislatore. Trova, così, valorizzazione quella funzione organizzativa e gestionale del contratto aziendale, affermatasi nei decenni precedenti il Protocollo, in modo del tutto autonomo, colmando le lacune regolative lasciate dal regolamento di categoria in materia. Una specializzazione organizzativa123, dunque, che si collega strettamente alle ragioni tecnico- organizzative proprie di ciascuna azienda e, soprattutto, delimita il perimetro del livello decentrato, qualificando il rapporto tra rinvii del contratto nazionale e livello in cui si manifesta quell’esigenza. Si giustifica così l’attribuzione di competenza al livello decentrato non solo nelle materie espressamente delegate dal contratto nazionale, ma anche nelle materie da esso non disciplinate in una specializzazione che, pertanto, si declina anche nella forma della sussidiarietà124 (ed è da sottolineare la sostanziale mancanza di limiti nello svolgimento della funzione normativa di specializzazione).
Nel complesso disegno dell’Accordo, quindi, le clausole esaminate non costituiscono il presupposto della centralizzazione, bensì risultano strumentali al coordinamento tra livelli e alla coesione del sistema125 e, in particolare, il principio del rinvio rimane sì cardine della struttura, ma rivisto in funzione della ripartizione di competenze specializzate tra livelli e non quale regola di rigida gerarchia che informa i rapporti tra regolamenti collettivi.
La conferma di tale collocazione del contratto aziendale nel sistema delle relazioni collettive si ricava, anche, da tre ulteriori profili: la conferma dei principi,
123 X. XXXXXX, Azienda, …, cit., p. 105.
124 X. XXXX, L’Accordo del 23 luglio …, cit., p. 224.
125 X. XXXXXXXX, Concertazione …, cit., p. 173.
in materia di soluzione del concorso, conflitto tra regolamenti collettivi, elaborati nel contesto precedente, ove l’accordo aziendale era del tutto svincolato dal contratto nazionale, la conseguente sostanziale autonomia della rappresentanza in azienda rispetto al sindacato di categoria e, infine, la conferma della libertà di trattare e di scegliere gli interlocutori nelle negoziazioni aziendali.
La clausola di non ripetibilità, peraltro limitata agli istituti retributivi come si approfondirà, e le clausole di rinvio sono state ricondotte alla tipologie di clausole collettive dagli effetti, meramente, obbligatori126 da cui non possono discendere effetti reali, ovvero idonei a porre nel nulla l’efficacia della disposizione aziendale in deroga. Al sostanziale rispetto degli impegni sottoscritti a livello nazionale presidierebbero i tradizionali rimedi civilistici, da cui può discendere unicamente una responsabilità politica o per inadempimento degli agenti negoziali in azienda rispetto alle strutture sindacali superiori. E, secondo un orientamento giurisprudenziale dell’inizio degli anni 2000127, neppure quest’ultima. Se tanto poteva dirsi quando la rappresentanza in azienda si concentrava nella figura della
r.s.a. costituite ai sensi dell’art. 19 St. lav., l’introduzione della rappresentanza sindacale unitaria, r.s.u., non conduce a conclusioni differenti.
L’opzione del Protocollo di introdurre in azienda una nuova forma di rappresentanza dei lavoratori, compiutamente disciplinata con l’accordo interconfederale del 20.12.1993, che favorisce la transizione verso forme di espressione fondate sulla reale capacità esponenziale della comunità di lavoro e funzionali all’esercizio, in quell’ambito, di poteri negoziali vincolanti erga omnes128 legittimandola, pertanto, alla stipulazione dell’accordo collettivo aziendale, di fatto accentua il decentramento contrattuale: è, infatti, ancor più flebile il condizionamento degli impegni assunti da parte di Cgil, Cisl e Uil, in quanto questi possono variamente influenzare le strutture verticali e orizzontali del sindacato, per effetto di norme statuarie interne, mentre non possono esplicare la medesima influenza nei confronti dei nuovi organismi di rappresentanza aziendale, le cui modalità di costituzione prevedono meccanismi elettorali aperti a tutti gli
126 X. XXXX, L’Accoro del 23 luglio…, cit., p. 239; X. XXXXXXX, Gli assetti contrattuali delineati dal Protocollo del luglio 1993 e i rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in Arg. dir. lav., 1997, p. 274; X. XXXXXXXX, La contrattazione collettiva nel 1993, in Dir. lav. rel. ind., 1995, p. 357.
127 Cass. 19.05.2003, n. 78477847, in Xxx. xxxx xx., 0000, xxxx Xxxxxx (xxxxxxxxx) x. 00; Cass. 28.05.2004, n. 10353, in Orient. giur. lav., 2004, I, p. 287.
128 N. DE MARINIS, I modelli della rappresentanza sindacale tra lavoro privato e lavoro pubblico, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2002, p. 66.
elettori129 e che non sono soggetti neppure a sanzioni endoassociative130. Dal valore meramente formale sarebbe, poi, l’obiezione fondata sulla disposizione dell’Accordo del dicembre 1993 che ammette le r.s.u. alla stipula del contratto
«nelle materie, con le procedure, le modalità e nei limiti stabiliti dal contratto collettivo nazionale» che equivarrebbe a dire che il soggetto aziendale di natura contrattuale, pur ottenendo un’investitura elettorale unitaria dalla comunità dei lavoratori, acquista potere negoziale solo alla luce della regolamentazione del livello interconfederale che lo prevede e, di riflesso, i suoi atti sono validi nei limiti individuati dai contratti collettivi nazionali; ma l’inevitabile conclusione del ragionamento, per cui l’r.s.u. risulterebbe gerarchicamente subordinata al sindacato di categoria, è in realtà insostenibile, considerando come tale vincolo di gerarchia è stato, per lo più, negato anche nei confronti della r.s.a131.
Si è, infine, confermata la liberà del datore di lavoro di trattare o meno132, così come elaborata dalla precedente giurisprudenza133, perlomeno nelle materie diverse da quella salariale.
5.2. (Segue) La funzione normativa in materia salariale.
Il più importante investimento che il Protocollo del 1993 effettua nei confronti della capacità regolativa del contratto aziendale attiene, come si è anticipato, alla funzionalizzazione della disciplina aziendale retributiva al conseguimento di obiettivi di produttività e di redditività dell’impresa, laddove si prevede che «le erogazioni del livello di contrattazione aziendale sono strettamente correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione dei programmi, concordati tra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità ed altri elementi di competitività di cui le imprese dispongono, compresi i margini di produttività, che potrà essere impegnata per accordo tra le parti, eccedente quella eventualmente già utilizzata per riconoscere gli aumenti retributivi a livello di CCNL, nonché ai
129 X. XXXXX, Il Protocollo del 23 luglio 1993 sul costo del lavoro: verso l’istituzionalizzazione delle relazioni industriali?, in Riv. giu. lav., 1993, p. 294; l’Autore, in particolare, auspica l’intervento eteronomo del legislatore volto a riconoscere e disciplinare l’r.s.u., ritenendolo l’unica soluzione in grado di assicurare la tenuta del sistema definito dal Protocollo del 1993.
130 B. DE MOZZI, La rappresentanza sindacale in azienda: modello legale e modello contrattuale, Cedam, Padova, 2012, p. 81.
000 X. XXXXXXX, Gli assetti contrattuali …, p. 275.
132 X. XXXXXX, Ecco su quali scogli ci siamo arenati, in La Repubblica, 2.07.1993.
133 Cass. n. 1700/1986, in Not. giur. lav., 1986, p. 553; Cass., n. 4381/1984, in Riv. it. dir. lav., 1985, II, p. 52.
risultati legati all’andamento economico dell’impresa» e al «miglioramento dell’efficienza aziendale» (punto 3).
Può dirsi, così, completato il processo di «interiorizzazione»134 del controllo della dinamica salariale, avviato con la disdetta della scala mobile, che esclude interventi pubblici diretti, sia legislativi che di governo, nella dinamica retributiva e contrattuale. In questa direzione si inseriscono le disposizioni che prevedono il rinnovo della parte economica di ciascun contratto collettivo ogni due anni (diversamente da quella più strettamente normativa, il cui rinnovo è previsto ogni quattro anni) e la previsione dell’indennità di vacanza contrattuale in caso di ritardo nei rinnovi: si affida, dunque, al contratto, e non più agli automatismi della scala mobile, la tutela del potere di acquisto dei lavoratori, esplicitamente indicato come obiettivo nell’Accordo del 1992 e nel Protocollo del 1993.
Si ammette, invece, sul modello degli altri paesi europei, che il presidio pubblico si manifesti mediante strumenti indiretti quali, nella specie, promessi sgravi fiscali. L’assetto contrattuale che emerge dal Protocollo, dunque, recepisce le istanze di controllo centrale delle retribuzioni, e di stabilizzazione dei livelli medi, tentando, per mezzo della clausola di non ripetibilità, di contenere il costo della contrattazione per la disciplina del livello standard di retribuzione alla sede di negoziazione nazionale, stabilendo che gli istituti –retributivi- della contrattazione decentrata debbano essere diversi e non ripetitivi rispetto a quelli propri del contratto nazionale; esso, altresì, apre spazi alla possibilità di flessibilità e decentramento, purché funzionalizzati, specificando che le erogazioni retributive devono essere collegate a risultati di produttività e all’andamento economico aziendale135, possibilità non condizionata, come era stato richiesto, alle dimensioni
occupazionali dell’impresa136.
La differenziazione tra contratto economico nazionale con funzione redistributiva e contratto economico aziendale che regola le modalità di partecipazione dei lavoratori alla produttività ed alla reddittività dell’impresa, mediante accordi su programmi ed obiettivi, asseconda senza dubbio la tendenza al decentramento; se è innegabile che la tutela del potere di acquisto dei salari è
134 X. XXXX, L’Accordo del 23 luglio 1993…, cit., p. 221.
135 Notevoli erano state le resistenze di Confindustria a confermare, in via ufficiale, due livelli negoziali retributivi. La rappresentanza dei datori di lavoro chiedeva, infatti, di concentrare la contrattazione in materia salariale su un unico livello.
136 X. XXXXXX, cit.
prerogativa del contratto di categoria, resta il fatto che una quota importante della retribuzione si negozia, ora, nell’impresa e che la connessione con i risultati produttivi implica un coinvolgimento dei lavoratori che, nelle intenzioni, è destinato ad innovare non solo la struttura del salario, ma anche gli stili delle relazioni industriali137.
In materia salariale, dunque, spetta al contratto decentrato la definizione del c.d. salario variabile di produttività: si ripristina un tratto storicamente essenziale della funzione normativa affidata alla negoziazione aziendale, ovvero la redistribuzione del reddito prodotto138. Il modello proposto, diversamente che in passato, non prevede miglioramenti all’interno della struttura della retribuzione definita dal contratto di categoria o premi generici, bensì speciali schemi partecipativi, finalizzati alla condivisione dei programmi di produttività e alla definizione dei premi legati alla reddittività aziendale. Il funzionamento di tale modello di relazioni nell’impresa richiede un’autentica partecipazione dei lavoratori alle direttive aziendali, come in effetti auspica l’accordo nella previsione per cui «ai fini dell’acquisizione di elementi di conoscenza comune per la definizione degli obiettivi della contrattazione aziendale, le parti valutano le condizioni dell’impresa e del lavoro, le sue prospettive di sviluppo anche occupazionale, tenendo conto dell’andamento e delle prospettive della competitività e delle condizioni essenziali di reddititività». L’imprescindibile presupposto per la riuscita di un tale modello, dunque, non può che essere un sistema di informazioni, consultazioni ed esami congiunti, sull’esempio di quelle poche disposizioni, di contratto nazionale o di legge, che, se adeguatamente sviluppate, condurrebbero a forme di vera e propria cogestione, in una sorta di democrazia industriale139.
E quest’ultima conclusione fonderebbe, nelle aspettative di alcuni autori, addirittura un obbligo a trattare in capo al datore di lavoro. L’effettiva crescita della produttività costituirebbe il presupposto (economico) dell’apertura della negoziazione, imponendo, contemporaneamente, l’insorgenza di un relativo obbligo a trattare -limitato a queste materie- in funzione, appunto, della realizzazione degli obiettivi generali che le parti hanno concordato di perseguire140.
137 M. D’ANTONA, Il Protocollo sul costo del lavoro e l’«autunno freddo» dell’occupazione, in Riv. it. dir. lav., 1993, I, p. 417.
138 X. XXXXX, Le nuove relazioni industriali, in Dir. e prat. lav., 1993, 33, p. 2167.
139 X. XXXXXX, Considerazioni sull’accordo …, cit, p. 13.
140 X. XXXXXXXX, Concertazione e contrattazione…, cit., p. 110.
Tale approdo teorico, in realtà, oltre ad essere contrario alla prassi fino a quel momento osservata, legittimata dalle pronunce giurisprudenziali, è scarsamente traducibile in un obbligo giuridico, sanzionabile, per l’assenza di riferimenti in tal senso nello stesso testo del Protocollo141.
La peculiare funzione normativa affidata al contratto aziendale spinge anche a superare il dato del Protocollo che vorrebbe tale tipo di contrattazione a cadenza quadriennale. Il processo negoziale in azienda si configura, invece, come potenzialmente continuo142, in considerazione delle procedure di informazione e consultazione, nonché delle ipotesi di contrattazione previste dalla legge o dalle norme e prassi collettive vigenti e finalizzate alla gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali. Non è, infatti, possibile escludere che tali esperienze negoziali rivelino implicazioni di carattere salariale: la contrattazione aziendale, pertanto, appare come un potenziale «cantiere aperto» a diverse e molteplici sperimentazioni.
Per le materie connesse all’organizzazione del lavoro, d’altra parte, il Protocollo non dispone alcun vincolo sotto il profilo temporale.
Quanto poi al concorso, conflitto della disciplina di istituti di natura retributiva del contratto aziendale e del contratto nazionale, hanno trovato sostanziale conferma i principi precedentemente consolidatisi. Sebbene sia stato ritenuto, perlomeno, difficoltoso sostenere la validità e l’efficacia di un contratto aziendale che, rinegoziando istituti già regolati a livello nazionale, contrasti con le disposizioni del contratto di categoria cui dovrebbe invece attenersi143, la regolarità e gli effetti della pattuizione aziendale dovrebbero essere in ogni caso misurati per l’appunto sulle disposizioni, precise, del contratto nazionale, che individuino espressamente le competenze del contratto decentrato; non risulta, a tal fine, sufficiente il mero richiamo alla clausola interconfederale della non ripetibilità.
Le aspettative del Protocollo del 1993 sulle capacità regolative del contratto aziendale sono state, in realtà, deluse negli anni a seguire, principalmente per l’assenza di una cultura della partecipazione, in alternativa a quella del conflitto,
141 Soprattutto alla luce di quanto dichiarato dall’allora Ministro del lavoro, per la tranquillità dei datori di lavoro, ovvero: «nessun vincolo (a trattare) e nessuna preclusione vengono posti dall’accordo tripartito».
142 X. XXXXXXX, Azione sindacale e politica dei redditi: appunti sull’Accordo triangolare del 23 luglio 1993, in Riv. giur. lav., 1993, I, p. 270.
143 X. XXXXXXX, Morfologia e funzione delle nuove rappresentanze aziendali nell’accordo interconfederale del dicembre 1993, in Riv. giur. lav., 1995, I, p. 211.
sufficientemente diffusa e matura da permettere una revisione delle dinamiche contrattuali. Se l’assetto dei livelli contrattuali si consolidò e, in materia salariale, risultò idoneo ad assicurare un trattamento economico minimo uniforme su scala nazionale, di contro il contratto aziendale confermò la propria attitudine a regolare, per lo più, situazioni di crisi aziendale, senza tuttavia riuscire a legare, in modo sinallagmatico, l’offerta della prestazione lavorativa, in una determinata quantità e qualità superiore al minimo esigibile, al conseguimento di risultati di reddito e di produzione dell’impresa. In sostanza, non provenne dal contratto aziendale quel contributo di innovatività, negli istituti retribuivi e non, che si attendeva.
5.3. I limiti della funzione normativa del contratto aziendale.
L’incapacità del contratto aziendale di disciplinare determinate materie, che ha nei fatti reso impraticabile il decentramento coordinato e controllato della contrattazione collettiva144 auspicato dal Protocollo del 1993, si spiega alla luce di molteplici fattori.
I maggiori punti di sofferenza del nuovo sistema di relazioni collettive si manifestarono già negli anni immediatamente successivi. Pur se l’assetto contrattuale aveva garantito il conseguimento degli obiettivi macroeconomici prefissati ( garanzia delle retribuzioni in termini reali e redistribuzione, a seconda dei settori, di una quota di produttività del sistema, grazie al contratto nazionale), del tutto insufficienti erano stati i risultati ottenuti a livello microeconomico145: la contrattazione decentrata, preposta ad accrescere la variabilità della retribuzione, concorrendo così ad una maggior flessibilità del sistema, è risultata quantitativamente e qualitativamente insufficiente ed insoddisfacente. A tale inconcludenza della potenziale capacità regolativa in sede aziendale hanno, indubbiamente, contribuito elementi contingenti quali il ritardo e la limitazione nell’applicazione dell’incentivazione contributiva promessa per le erogazioni stabilite a livello aziendale (e giunta solo con la legge del 23 maggio 1997)146 e la
144 Relazione finale della Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993, presieduta da X. Xxxxxx, in Riv. giur. lav., 1998, I, p. 578.
145 Relazione finale della Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993, cit., p. 579.
146 Questa misura, tuttavia, era un incoraggiamento e non una condizione imprescindibile alla negoziazione aziendale di emolumenti correlati a redditività e produttività, cfr. X. XXXXXXX, Azione sindacale …, cit., p. 270.
scarsa diffusione dell’esperienza negoziale in azienda (che interessava, negli anni 1993-1997, circa il 30% della realtà produttiva nazionale).
Le ragioni più profonde del fallimento del sistema di contrattazione decentrata teorizzato dal 1993 sono, tuttavia, da individuare, da un lato, nell’ambigua attività negoziale svolta dai sindacati a livello di categoria, che ha prevalentemente assecondato tendenze di centralizzazione, lasciando spazio alla devoluzione regolativa solo quando richiesto da ragioni di vera e propria necessità147; dall’altro, nella carenza, nella realtà industriale italiana, di una cultura della partecipazione ai processi decisionali di produttività e di una, conseguente, disponibilità dei lavoratori a legare parte, variabile, del loro salario all’andamento economico dell’impresa, ovvero all’assunzione, secondo modalità e limiti convenuti, del rischio d’impresa.
Per quanto attiene al primo aspetto, i rinnovi dei contratti nazionali che hanno seguito il 1993 hanno fatto emergere una pluralità di tipologie regolative e quindi di sistemi contrattuali di categoria, che del Protocollo condividono, a seconda dei casi e con diversa intensità, gli strumenti e gli obbiettivi, ma non sempre gli esiti per quanto attiene al perseguimento dell’equilibrio tra centralizzazione e decentramento voluto dall’Accordo triangolare al fine di favorire una più equa distribuzione del reddito e, contemporaneamente, la flessibilizzazione delle condizioni di lavoro in funzione del miglioramento della competitività aziendale e, quindi, dello sviluppo economico dell’occupazione.
Segnali di forte centralizzazione, infatti, traspaiono, innanzitutto, dall’irrigidimento nell’applicazione della clausola di non ripetibilità al rinnovo dei contratti di categoria: spesso la clausola ampliava il limite della contrattazione aziendale, oltre agli istituti retributivi, a tutte le materie ed istituti già definiti a livello centrale148, così svuotata della carica di innovazione che le aveva voluto
147 X. XXXXXXX, Retribuzione, produttività e assetti contrattuali a quindici anni dal Protocollo Ciampi, in AA. VV., Xxxxxxx in onore di X. Xxxxx, Xxxxxxx, Bari, 2008, p. 120.
148 X. XXXXXXXX, Assetti contrattuali e rappresentanze sindacali unitarie: il Protocollo del 23 luglio 1993 e la sua applicazione nei ccnl dell’industria, in Riv. giur. lav., 1995, I, p. 332. Cfr., ad esempio,
C.c.n.l. Industria tessile 22.07.1995, art. 9 ter; C.c.n.l. 29.02.1996 C.c.n.l. Piccole e medie imprese produttrici di occhiali, art. 6; C.c.n.l. 20.02.1996 Imprese esercenti servizi di recapito telegrammi, art. 1; C.c.n.l. 2.02.1996 Imprese esercenti servizi postali in appalto, art. 1; C.c.n.l. 17.11.1995 Imprese di pubblici servizi del gas, dell'acqua e vari, art. 1; C.c.n.l. Società/cooperative di vigilanza antincendio, art. 4; C.c.n.l. 27.09.1995 Piccole e medie industrie delle calzature, art. 9 ter; C.c.n.l. 27.07.1995 Aziende di panificazione, art. 57. Tutti i testi sono reperibili all’indirizzo xxxx://xx00.xxxxxxxxxxxx.xx/xxx-xxx/XxxXxxx.
conferire il Protocollo, nel cui contesto si poneva quale criterio di coordinamento tra discipline collettive di diverso livello e non come regola limitativa alle facoltà di regolamentazione decentrate, come lo era stata la clausola 13 del Protocollo del 1983. Ancora, un esito di contenimento della contrattazione aziendale entro realtà imprenditoriali medie e grandi sembra essere perseguito dalle clausole che prescrivono livelli minimi di dimensione occupazionale quale condizione all’ammissione della contrattazione aziendale dei premi149; gli effetti di dette clausole tradiscono, poi, l’esplicito intento di limitare l’attività di regolamentazione collettiva in azienda nel momento in cui si combinano con l’opzione dei sindacati di categoria, nell’alternativa tra contrattazione territoriale ed aziendale quale secondo livello di negoziazione150, a favore di quest’ultima: così, di fatto, si promuove il livello centrale quale sede di regolamentazione di ogni aspetto del rapporto di lavoro, affinché le condizioni risultino uniformi sul territorio per le aziende e per i lavoratori che rimangano privi di contratto decentrato, ancora la maggior parte anche a dieci anni dall’adozione del Protocollo151.
Non mancano, poi, contratti nazionali che si spingono a fornire linee guida per la negoziazione dei premi, o addirittura a riservarsi del tutto la materia152, creando così le condizioni perché anche la contrattazione di carattere economico, in teoria prerogativa del livello decentrato, abbia un principio di regolazione centralizzata153. Non può sottacersi come, d’altra parte, anche la capacità normativa aziendale non si è dimostrata all’altezza delle aspettative, regolando premi di produttività in realtà svincolati dall’effettivo andamento economico dell’impresa, che cioè non si
149 Cfr. rinnovo c.c.n.l. grafici ed editoriali, turismo.
150 Le ristrettezze di autonomia normativa in sede decentrata che discendevano dalla clausola dell’alternatività (tra livello aziendale e livello territoriale), lamentate soprattutto in alcuni settori come il commercio, indussero al suo superamento, in favore dell’opzione del cumulo: si riteneva, così, di attutire gli effetti preclusivi dell’eventuale clausola che imponeva una soglia dimensionale minima per la contrattazione aziendale, poiché il secondo livello di regolamentazione collettiva era garantito dalla contrattazione territoriale. Cfr. X. XXXXXXXX, Concertazione e contrattazione …, cit.,
p. 111-113; X. XXXXXXXX, Il rilancio della bilateralità, la flessibilità e il decentramento nel rinnovo contrattuale del commercio, in Dir. rel. ind., 2000, 2, p. 272. Sull’opzione a favore del secondo livello territoriale, che tradizionalmente interesse la categoria degli edili e degli artigiani, v. R. GIOVANI, La riforma degli assetti contrattuali nell’artigianato: un modello originale, in Dir. rel. ind., 2004, 3, p. 469 ss.
151 X. XXXXXXXX, Le relazioni industriali in transizione: nodi critici ed ipotesi di riforma, in Dir. rel. ind., 2003, 3, p. 386 e p. 390.
152 Cfr. rinnovo c.c.n.l. tessile, alimentaristi, petrolio, chimici Confindustria, metalmeccanici Confindustria, ceramica e vetro.
153 Non mancarono, sotto questo profilo, autorevoli critiche: X. XXXXXXXX, Assetti contrattuali …, cit., p. 333; XXXXXX, Concertazione e partecipazione nell’accordo del 23 luglio 193, in AA. VV., Democrazia economica, Xx. Xxxxxx, 1994, p. 29.
proponevano quali strumenti di effettiva partecipazione al reddito aziendale, ma si appiattivano, come era stato temuto154, sulle preesistenti strutture dei premi aziendali, ad esempio di retribuzione o di presenza, e superminimi individuali.
Quest’ultimo rilievo trova più ampia giustificazione nella seconda ragione cui si ritiene di poter collegare il mancato sviluppo della contrattazione aziendale, perlomeno negli spazi che le erano stati riservati dal Protocollo del 1993: la difficoltà, da parte dei lavoratori, di condividere un’effettiva strategia aziendale volta all’incremento della produzione e del reddito, e, soprattutto, di legare a questi ultimi fattori la quota variabile del proprio salario, che spesso incontrava una reticenza sindacale a tradurre le scarse istanze di partecipazione.
La previsione e disciplina dei premi di risultato, a ben vedere, richiede lo sviluppo di forme di attività sindacale in azienda, funzionali ad una finale contrattazione, ovvero attività di consultazione, di informazione e, in seguito, di verifica. La contrattazione, cioè, risulta momento di una più ampia sequenza di attività che, seppur orientate alla produzione di norme, impostano e risolvono con apporti convergenti singoli problemi individuati in modo concordato dalle parti155. L’affermazione e la diffusione di forme di sistemi retributivi legati alla produttività impongono, dunque, la scelta e l’adozione di modelli di relazioni sindacali decentrati che consentano effettiva partecipazione all’economia dell’impresa, conformemente alla prospettiva di democrazia economica che connota il Protocollo: l’evoluzione dei meccanismi retributivi porta, dunque, con sé l’esigenza di sviluppare modelli integrativi che coinvolgano in modo più diretto i lavoratori nei successi, e nei rischi, della gestione. Questa consapevolezza conduce ad implementare relazioni collettive ispirate a logiche di azione a livello aziendale che sviluppano una decisa autonomia rispetto a quelle tipiche del livello nazionale di categoria: queste implicazioni, che sarebbero discese dalla piena realizzazione del modello di relazioni industriali proposto, hanno frenato notevolmente le aspirazioni della contrattazione aziendale che era stata concepita
nella «nuova costituzione del lavoro».
Risultarono ostative ragioni legate alla struttura, e alle effettive volontà, del sindacato, ad un ondivago atteggiamento dei datori di lavoro e alla limitata
154 X. XXXX, L’Accordo del 23 luglio 1993…, cit., p. 229.
155 X. XXXXXXXX, Le relazioni industriali nell’impresa, in G.P. XXXXX, X. XXXX, Relazioni industriali, cit., p. 229.
disponibilità dei lavoratori di farsi carico della codeterminazione delle scelte aziendali.
Quanto alla prima ragione, si è posto il problema della compatibilità del meccanismo istituzionale italiano, che prevede livelli sovra-aziendali di contrattazione collettiva. Le condizioni a contenuti del contratto aziendale che correlano una quota del salario alla produttività in azienda sono individuati nel controllo sindacale dei meccanismi partecipativi e nell’adattamento della struttura contrattuale: il ruolo del sindacato nell’impresa dipende dalla funzione assegnata al livello aziendale nel sistema di contrattazione collettiva, e reciprocamente, l’importanza e l’autonomia del livello aziendale, rispetto agli altri livelli di contrattazione, dipende dal rapporto tra base e vertice del modello organizzativo del sindacato156. Rapporto che certo non può ritenersi, da parte dei sindacati di categoria, di fiducia e di investimento a favore delle strutture inferiori, stante il mancato ampliamento delle materie rimesse alla contrattazione aziendale (e territoriale)157.
Anche la non chiara reazione degli imprenditori di fronte all’effettiva possibilità di sviluppo delle forme partecipative ha avuto il suo peso. Sebbene sia stato rilevato, in alcune occasioni e soprattutto in realtà aziendali di notevoli dimensioni, un interesse a tali forme di inclusione dei lavoratori nelle decisioni di politica di gestione dell’azienda e a forme di retribuzione più dinamiche158, tale strumento è, per lo più, sempre stato contenuto e, in ogni caso, sempre progressivamente limitato via via che si procede da questioni di tipo assistenziale o di applicazione delle normative in fabbrica, a materie economiche, fino a quelle che toccano direttamente la gestione dell’impresa159. Non sono mancate, poi, reticenze anche da parte dei lavoratori, non sempre disponibili “ad assumersi un rischio, mettere in gioco la propria sicurezza, a convivere con l’incertezza e a cambiare innanzi tutto se stessi”160, al coinvolgimento e all’identificazione, sia quali soggetti individuali che
156 M. D’ANTONA, Partecipazione, codeterminazione, contrattazione (temi per un diritto sindacale possibile), in Riv. giur. lav., I, 1992, p. 153.
157 X. XXXXXXX, Retribuzione…, cit., p. 119.
158 X. XXXXXXXX, Competitività d’impresa e governo delle dinamiche sociali: la partecipazione negoziata in Telecom Italia, e X. XXXXX, Organizzazione, strategia e relazioni industriali: il caso Vulcaflex, entrambi in Dir. rel. ind., 1996, 1, rispettivamente p. 119 ss. e p. 129 ss.
159 X. XXXX, Cogestione e partecipazione, in Dir. lav. rel. ind., 1989, 4, p. 609.
160 Si legge nel testo dell’accordo integrativo aziendale Vulcaflex del 22.07.1993, in Dir. rel. ind., p. 131.
collettivi, negli obiettivi dell’impresa e alla responsabilizzazione rispetto ai risultati aziendali.
I margini di esplicazione della contrattazione collettiva decentrata nell’assetto delle relazioni collettive del Protocollo del 1993 si sono, dunque, rivelati in concreto più ridotti rispetto alle intenzioni delle parti sociali, tanto che l’andamento della contrattazione nell’impresa è risultato stazionario, se non addirittura regressivo161. Ha, invece, trovato conferma l’inclinazione, già rivelata grazie ai suggerimenti legislativi, dell’accordo collettivo aziendale ad occuparsi di problemi connessi alla crisi e alle ristrutturazioni aziendali, da un lato, e a declinare selezionati momenti del rapporto individuale alla luce degli specifici contesti lavorativi, su delega dei contratti nazionali, dall’altro, per esempio individuando nuove posizioni professionali o di mutamento del contenuto professionale delle posizioni esistenti, sperimentando nuovi modelli di organizzazione del lavoro162.
Proprio la mancata fiducia nella capacità e negli strumenti degli agenti negoziali in azienda di produrre un regolamento collettivo esauriente ha rappresentato, sotto questo profilo, un limite alla tenuta della struttura delle relazioni collettive voluta dal Protocollo, quando, dopo circa dieci, quindici anni, le istanze di devoluzione di maggiori contenuti al secondo livello di negoziazione sono divenute sempre più pressanti, inducendo a rivedere l’assetto delle relazioni industriali.
161 X. XXXXXXX, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, p. 700.
162 X. XXXX, Struttura della contrattazione e rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in X. XXXXXXXX, X. XXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Istituzioni e regole di lavoro flessibile, Ed. scientifica, Napoli, 2006, p. 308.
CAPITOLO II
LA FUNZIONE NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE NEL SISTEMA CONTRATTUALE.
SOMMARIO: 1. Le criticità del livello contrattuale aziendale e le proposte di riforma. 2. L’«Accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali» del 22 gennaio 2009. 2.1. L’acquisizione all’ordinamento intersindacale del principio di derogabilità del contratto nazionale da parte del contratto aziendale. 2.2. Segue. Gli sviluppi della clausola d’uscita nel settore industriale. 3. La «vicenda» Fiat: prove di forza del contratto collettivo «aziendale». 3.1. L’accordo di Pomigliano d’Arco del 15.06.2010: il contenuto in deroga in assenza della clausola d’uscita. 3.2. Gli Accordi di Mirafiori e di Pomigliano d’Arco del dicembre 2010: nuove dimensioni del contratto
«aziendale». 3.3. Alcuni contenuti normativi controversi dei contratti Fiat del 2010. 3.4. I contratti Fiat e l’influenza sul sistema delle relazioni industriali italiane. 4. L’«Accordo interconfederale» del 28 giugno 2011: erede del Protocollo del 1993 o degli Accordi del 2009? 4.1. Le competenze del contratto aziendale, (ancora) «delegate» dal contratto di categoria. 4.2. Segue. L’ampiezza della
«delega» e l’eliminazione del c.d. principio del ne bis in idem. 4.3. Segue. L’intersecarsi delle
«deleghe» contrattuali con le deleghe legislative. 4.4. L’«uscita» dal contratto nazionale: la derogabilità della disciplina collettiva di categoria. 4.4.1. Punto 7, II parte: il regime «transitorio».
4.4.2. Punto 7, I parte: il regime «ordinario». L’applicazione nei rinnovi dei contratti collettivi di categoria e i limiti ipotizzabili alla deroga. 4.4.3. La derogabilità al contratto nazionale dopo l’entrata in vigore dell’art. 8 d.l. n. 138/2011 (conv., con modifiche, con l. n. 148/2011). Rinvio. 4.5. Il riverbero della formalizzazione della facoltà derogatoria sulla funzione del contratto collettivo aziendale. 4.6. I silenzi eloquenti, le risposte e le istanze dell’Accordo 2011 sulle potenzialità della contrattazione aziendale. 5. Le «Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia» del 21 novembre 2012: un altro passo verso il decentramento. 6. La trasfusione dei contenuti dell’Accordo del giugno del 2011 nel c.d. Testo unico del gennaio 2014.
1. Le criticità del livello contrattuale aziendale e le proposte di riforma.
La crescita delle capacità regolative del contratto aziendale e la sua concreta diffusione, attesa dal sistema delineato dal Protocollo del 1993, non ha mai avuto luogo, perlomeno non in modo soddisfacente, come rilevato dalla stessa Commissione “Giugni” per la verifica del Protocollo.
Tuttavia, l’insoddisfazione per il mancato decollo del livello negoziale aziendale non è propriamente da imputare ad una disfunzione dell’assetto contrattuale voluto dal Protocollo, poiché il sistema di relazioni collettivo varato con l’accordo triangolare del 1993 non progettava, prioritariamente, il decentramento negoziale, ma fronteggiava il fenomeno dell’inflazione, obbedendo quindi a logiche di
contenimento del sistema economico e contrattuale finalizzate ad impedire che le soluzioni concordate in azienda fuggissero «in avanti»163 rispetto alle indicazioni provenienti dalla programmazione raggiunta ai tavoli concertativi.
Xxxxx i concorrenti fattori critici, che sopra si è tentato di evidenziare e che senza dubbio hanno contribuito a frenare la concretizzazione delle potenzialità del livello aziendale, primo fra tutti il ritardo del legislatore nell’attivare le politiche di decontribuzione, l’appiattimento della funzione normativa del contratto collettivo aziendale, nel sistema del Protocollo, è da ricercare principalmente nelle logiche cui erano state improntate le relazioni collettive. Tali logiche, se pure conferivano selezionate funzioni all’accordo aziendale, di fatto non consentivano di dedurre una volontà delle parti sociali di effettivo decentramento del sistema, che rimaneva saldamente ancorato al contratto nazionale, comunque voluto, soprattutto dai rinnovi dei contratti di categoria, quale amministratore delle competenze anche del secondo livello di negoziazione.
Il mutamento del contesto economico, e sociale, e delle relazioni industriali hanno messo in luce, negli anni 2000, l’inadeguatezza dell’impianto del 1993 ad adattarsi alle nuove condizioni, nonché l’effettiva incapacità di difesa del potere di acquisto dei salari.
Sono affiorate, così, diverse proposte di riforma, maggiormente concentrate, ora, sulla determinazione di quante e quali competenze distribuire tra livello centrali e periferico di contrattazione, nella convinzione che la riforma degli assetti contrattuali dovesse trovare il proprio fulcro, appunto, nella ripartizione, e nel coordinamento, delle competenze normative.
La prima proposta giunge dal Ministero del Lavoro del Governo Xxxxxxxxxx: il Libro bianco del 2001, manifesto programmatico elaborato da un gruppo di lavoro coordinato dal xxxx. Xxxxx Xxxxx.
Il Governo, in quest’occasione ha preso le mosse dalle proposte offerte dalla Relazione finale della Commissione Giugni del 1997-98, i cui aspetti essenziali erano la conferma del sistema negoziale su due livelli e il rafforzamento della differenziazione funzionale delle competenze del secondo livello di contrattazione, rese più specializzate dal punto di vista normativo/organizzativo, retributivo e di
163Relazione finale della Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993, presieduta da X. Xxxxxx, in Riv. giur. lav., 1998, I, punto 19, p. 578.
promozione dell’occupazione: il contratto nazionale rimane sede determinante del sistema contrattuale, con la funzione di garantire le condizioni minime di tutela omogenee sul territorio nazionale, ma si introducono regole, chiare, di flessibilità e coordinamento con il livello negoziale inferiore; soprattutto, il contratto nazionale abilita il livello decentrato alla contrattazione in deroga per mezzo delle c.d. clausole di uscita.
L’opzione manifestata nel Libro bianco è quella di mantenere il contratto nazionale di categoria, quale fonte normativa preposta ad assicurare standard minimi di tutela, non solo di carattere retributivo, alleggerita tuttavia da una serie di funzioni, demandate alla contrattazione decentrata. Quest’ultima è, nelle intenzioni, da rafforzare, con la funzione di redistribuire produttività, facilitare la riemersione del lavoro sommerso e di agevolare il superamento di temporanee crisi aziendali, capacità di cui è già stata data prova. Il ruolo del contratto nazionale appare, nel progetto, più come fornitore di trattamenti standard che some disciplina minima e fonte di regolazione omogenea164; le indicazioni sul possibile accrescimento delle competenze del contratto aziendale, poi, si limitano, in realtà, a dichiarazioni d’intenti, prive di chiare indicazioni operative –assenti, infatti, riferimenti a raccordi di competenza di tipo gerarchico o funzionale- e di strumenti d’attuazione.
Sono, quindi, seguite le riflessioni della dottrina, anch’esse fedeli alle linee tracciate dalla Commissione Giugni, sollecitate, da un lato, dallo sguardo ai limiti manifestati dalla tradizionale struttura contrattuale incentrata sul contratto nazionale onnicomprensivo che, deputato a regolare in modo uniforme le condizioni di lavoro e a stabilizzare gli andamenti retributivi, a partire dal nuovo millennio inizia ad esercitare un ruolo frenante sull’intero sistema e contribuisce mantenere debole la dinamica salariale165 e sensibilizzate, dall’altro, dalle scelte del legislatore che, sempre più spesso, apre spazi di integrazione del precetto legale anche alla contrattazione decentrata, in particolare nella disciplina delle forme di lavoro flessibili.
164 A tacere, inoltre, dello svilimento dell’attività di contrattazione nel consentire la derogabilità delle disposizioni di legge e di contratto collettivo da parte dell’autonomia individuale. X. XXXXXXXX, Le relazioni industriali in transizione: nodi critici e ipotesi di riforma, in Dir. rel. ind., 2003, 3, p. 395 e 396.
165P. TOSI, Gli assetti contrattuali fra tradizione e innovazione, in Arg. dir. lav., 2013, 3, p. 511.
Le posizioni emerse nel confronto, i cui termini sono essenzialmente di natura politico-sindacale, pur orientate a valorizzare il secondo livello di negoziazione, sono tra loro diverse, se non opposte.
È senza dubbio condivisa la necessità, e l’urgenza, di aggiornare la struttura contrattuale in termini di decentramento: una maggior rilevanza del contratto collettivo, anche territoriale, è, in modo unanime, riconosciuta quale strada mastra alla «ricostruzione»166 del sistema contrattuale. Il profilo su cui si accende il dibattito attiene, piuttosto, alla funzione e ai contenuti da riservare al contratto di categoria, ritenuto ora irrinunciabile ora un ostacolo al complessivo sviluppo economico.
Dalle tenui rivisitazioni dell’assetto del Protocollo, che vogliono la risposta al dibattuto problema nell’armoniosa e ragionevole combinazione del livello nazionale e di quello aziendale, proprio del modello italiano, ferme delle pattuizioni minime, normative e salariali, inderogabili167, alle più audaci proposte di forte contenimento del ruolo del contratto nazionale, consentendo ampia facoltà di derogarvi, in sede aziendale168, a seconda delle scelte che di volta in volta le circostanze concrete che si presentano richiedono agli agenti negoziali delle periferie169, il contratto nazionale viene in rilievo, per lo più, nella sua funzione di garante dell’uniformità e dell’omogeneità dei trattamenti normativi e retributivi in tutto il territorio nazionale, sebbene sia altrettanto pacifico che la struttura, per comparto o categoria merceologica, e i contenuti, generici e mai innovativi, necessitino di un aggiornamento o, più precisamente, di un alleggerimento, scontando prescrizioni secondo parametri generali, inidonee ad attagliarsi a condizioni di vita e di lavoro che, nel concreto, risultano diverse.
166L. XXXXXXXX, Il sistema contrattuale: ricostruire più che riformare, in Riv. it. dir. lav., 2006, I, p. 281.
000X. XXXXXXXXXXXX, Il pendolo tra centralismo e decentramento, in Riv. it. dir. lav., 2006, I, p. 296. 168P. XXXXXX, Xxxx non funziona nella centralizzazione della contrattazione collettiva, in Dir. relind., 2006, 4, p. 955; X. XXXXXX, A cosa serve il sindacato?, Mondadori, Milano, 2005; v. anche confronto tra X. XXXXXX e X. XXXXXXXX, La riforma della contrattazione collettiva, testo disponibile su xxx.xxxxxx.xxxx. L’A., in particolare, assume che questo realizzerebbe un importante forma di lotta al lavoro irregolare, nel momento in cui la pacifica derogabilità del contratto aziendale a quello nazionale eviterebbe rapporti di lavoro informali a condizioni di lavoro peggiorative rispetto a quanto stabilito dal contratto nazionale.
169I. REGALIA, Tendenze al decentramento contrattuale, tra esigenze di competitività delle imprese, tutela del lavoro, coordinamento degli esiti, in Dir. rel. ind., 2003, 3, p. 435.
La discussione si sofferma, poi, sulla competenza che contratto aziendale può mantenere in materia retributiva: a volte negandola del tutto170, reduci dall’esperienza fallimentare di previsioni collettive aziendali che limitavano le erogazioni alle forme tradizionali in cifra fissa, incapaci –va detto non esclusivamente per mancanza di attitudine regolativa, ma nel complesso per immaturità nel contesto economico di un’effettiva cultura cooperativa e partecipativa171 - di sviluppare la regolazione dei salari voluta dal Protocollo, e suggerendo di potenziare la competenza regolativa del contratto aziendale in una prospettiva strettamente normativa in materie a cavallo tra rapporto di lavoro e mercato di lavoro, in adempimento di deleghe legislative172; a volte, confermando il ruolo del contratto nazionale nella determinazione del salario, con rinvio della contrattazione di una quota più o meno rilevante dello stesso, prevedendo, tuttavia, che alla conferma della competenza retributiva di entrambi i livelli consegua una, legittima, differenziazione per aree geografiche del salario di produttività173.
Soprattutto, si invoca, in una più rigorosa prospettiva giuridico-istituzionale, la definizione di criteri certi a coordinamento dei livelli contrattuali, di fronte alla permanente avversione delle strutture sindacali di periferia all’imposizione di vincoli gerarchici dalle articolazioni superiori alla propria attività normativa, che traspare da accordi in sede aziendale di trattamenti, anche retributivi, migliorativi e peggiorativi174, avvallata dalla giurisprudenza, che, in caso di concorso, contrasto tra regolamenti collettivi, ripropone l’insuperato criterio per cui i contratti collettivi anche se di diverso livello hanno tutti uguale forza giuridica ed è dunque applicabile quello più vicino agli interessi da regolare (e quindi quello aziendale).
Archiviata, sul punto, l’idea di un intervento legislativo175, si ritiene, sebbene non all’unanimità,176 che una chiara disciplina del conflitto di regolazione non
170M. NAPOLI, La riforma della struttura della contrattazione, in Dir. rel. ind., 2003, 3, p. 359. 171A. PIZZOFERRATO, Il contratto collettivo di secondo livello come espressione di una cultura cooperativa e partecipativa, in Riv. it. dir. lav., 2006, I, p. 434.
172M. NAPOLI, La riforma della struttura della contrattazione, in Dir. rel. ind., 2003, 3, p. 359. 173O. XXXXXXXX, La democrazia industriali e le regole del gioco, in Riv. dir. lav., 2006, I, p. 432. 174 Xxxxxxxxx, in particolare, la facoltà di deroghe, anche peggiorative, ai minimi retributivi Cass. 27.09.1989, in Giust. civ. Mass., 1; Cass. 2603.1998, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, p. 683 ss, con nota di X. XXXX, sostenendo che «ben può essere assunta a parametro per la quantificazione della giusta retribuzione la previsione dei minimi contrattuali contenuta in un contratto collettivo […] aziendale anche se diversa (per difetto) rispetto a quella portata dal contratto nazionale».
175A. TURSI, E’ davvero necessaria una «rivoluzione maggioritaria»?, in Riv. it. dir. lav., 2006, I, p. 304.
176176 V. A. VALLEBONA, Dimensione degli interessi e decentramento regolativo, in Riv. it. dir. lav., 2006, I, p. 446, che manifesta riserve a predeterminazioni rigide ed inderogabili.
possa che tradursi nell’individuazione di meccanismi interni di risoluzione dei concorsi di competenze tra livelli negoziali, salvo in ambiti di intervento ove la contrattazione aziendale, di tipo gestionale, ha rivelato una tipicità strutturale e funzionale non comparabile alla contrattazione nazionale, quindi né alternativa né concorrenziale rispetto alla stessa177.
Il negoziato tra le parti sociali per la riforma del sistema contrattuale ha, infine, formalmente inizio nell’autunno del 2007. Sulla scia del Protocollo sul welfare siglato, a luglio, in riscontro alle istanze che, forti della ripresa economica, rivendicavano una nuova politica dei redditi178, le sigle sindacali tornano ad insistere sulla necessità di rivedere la dinamica normativa in materia salariale, data la progressiva erosione del potere di acquisto dei lavoratori dipendenti179.
Tutte le confederazioni si muovono in una prospettiva di decentramento del sistema contrattuale180, attraverso il depotenziamento del tradizionale ruolo del contratto nazionale e l’incentivo alla diffusione della negoziazione di secondo livello: l’Accordo contenente le “Linee di riforma dell’assetto contrattuale”, già abbozzato nel precedente febbraio, sottoscritto da CGIL, CISL e UIL il 7 maggio del 2008, conferma l’idea, propria già del Protocollo del 1993, di una contrattazione aziendale a contenuto prioritariamente economico in funzione «accrescitiva»181; anche il documento di Confindustria investe nel livello di contrattazione aziendale
177G. XXXXXXX, La riforma del sistema contrattuale, in Riv. it. dir. lav., 2008, I, p. 48.
178 Il Protocollo del luglio 2007 trova il supporto del legislatore nella finanziaria del 2008: la legge
n. 247/2007, infatti, adotta misure di chiara incentivazione della contrattazione di secondo livello, quali l’istituzione di un Fondo per il finanziamento degli sgravi contributivi relativi alle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali (artt. 67-68) e si rimette ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze specifiche previsioni per ridurre l’imposizione fiscale sulla retribuzione di secondo livello, tramite forme di deduzione fiscale o di detassazione (art. 70).
179 Legato sia all’incapacità delle previsioni nazionali di carattere retributivo di adeguarsi al tasso d’inflazione reale (e non programmata) e al ristagno della contrattazione aziendale sulla medesima materia.
180A. LASSANDARI, Contrattazione collettiva e produttività: cronache di evocazioni (ripetute) e incontri (mancati), in Riv. giur. lav., 2009, I, p. 310.
181 Le parti sindacali, invece, non intendono rinunciare alla centralità del contratto nazionale: il documento confederale, volutamente, non fa alcun riferimento alle facoltà normative della contrattazione aziendale nelle altre materie, quali l’organizzazione e le condizioni di lavoro, la valorizzazione della professionalità, gli orari e tutte le tematiche legate alla flessibilità contrattata, la salute e la sicurezza sul lavoro; che tale assenza sia stata voluta, eliminando dal testo l’intenzione, espressa invece nella bozza di febbraio, di rafforzare in tali ambiti la contrattazione decentrata; dichiara, invece, che spetta al contratto nazionale la definizione della normativa nazionale e generale (in materia, si presume, di rapporto individuale di lavoro) e la regolazione del sistema di relazioni industriali, tant’è che i due livelli contrattuali sono definiti «tra loro complementari». X. XXXXXXXX, Sul metodo e sui contenuti del negoziato per la revisione della struttura contrattuale, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 74/2008, p. 22.
al fine di collegare le retribuzioni all’andamento economico dell’impresa, con resistenza, tuttavia, a generalizzare tale negoziazione anche alle imprese di piccole dimensioni e prepone il contratto nazionale alla sola tutela del potere di acquisto. I due documenti convergono nella conferma del modello di contrattazione su due livelli, coordinati in modo gerarchico, sebbene, sotto quest’ultimo profilo, il documento confederale è da interpretarsi quale gerarchia in senso stretto, posto che tace su eventuali specializzazioni del contratto aziendale, e dunque a favore di un decentramento bipolare182; il documento di Confindustria, al contrario, affida il coordinamento alle clausole di rinvio, ma soprattutto di uscita, ovvero che ammettono la deroga da parte del livello aziendale, muovendosi, dunque, verso un decentramento funzionale.
Le proposte delle confederazioni si conciliano nella «Ipotesi di accordo fra Confindustria e CGIL, CISL e UIL per il rilancio della crescita del Paese attraverso la maggiore produttività, per il miglioramento della competitività delle imprese e delle retribuzioni per i lavoratori e per lo sviluppo dell’occupazione» del 12 settembre 2008.
Il documento, confermato il modello di contrattazione su due livelli, si muove per il resto con molta cautela, riproponendo la contrattazione di secondo livello quale negoziazione degli elementi variabili della retribuzione, e destinando la funzione del contratto nazionale al recupero inflazionistico e alla previsione di un
«elemento di garanzia retributiva» da erogarsi ove manchi l’integrazione salariale ad opera del contratto di secondo livello: la contrattazione aziendale cioè risulterebbe promossa, nelle intenzioni, proprio perché le imprese, al fine di evitare di corrispondere l’elemento di garanzia retributiva, sarebbero spinte alla previsione e regolazione del c.d. salario di produttività183. Ciò che, tuttavia, non appare chiaro è se il contratto nazionale realizzi l’obiettivo minimo di garantire la tutela del salario reale: su questo punto, su cui sono importanti le riserve della CGIL, si apre lo strappo tra le Confederazioni dei lavoratori, tanto che il cammino di revisione dell’assetto della struttura contrattuale prosegue senza la storica Confederazione, che non sottoscrive un ulteriore verbale sulle linee di riforma il 10 ottobre 2008,
182L. XXXXXXXX, Sul metodo e sui contenuti …, cit., p. 25.
183M. XXXXXXX, Contratti e xxxxxx: l’abbraccio mortale di Confindustria, su xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.
con Confindustria e Cisl e Uil, e tantomeno aderisce al Protocollo d’Intesa delle sigle sindacali con il Governo, il 30 ottobre.
Si giunge, così, alla firma, separata, dell’accordo interconfederale di revisione della struttura della contrattazione.
2. L’«Accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali» del 22 gennaio 2009.
L’Accordo quadro del 2009 sembra confermare le impressioni suscitate dai testi elaborati dalle confederazioni nella precedente fase di negoziazione, ovvero l’assenza di una chiara prospettiva macro-economica alla quale conformare la revisione del sistema delle relazioni industriali ed, in particolare, dell’assetto del sistema contrattuale. Se è vero che tra struttura contrattuale e strutture produttive esiste un rapporto di condizionamento reciproco, per cui gli obiettivi di mutamento della prima devono in qualche modo corrispondere a finalità di mutamento delle seconde184, nell’accordo del gennaio 2009 rimangono sfocate le intenzioni delle parti sociali di aggiornare i termini dello «scambio politico»185, che, ora, sarebbero da orientare verso l’innovazione e la cooperazione funzionale all’introduzione di cambiamenti tecnici ed organizzativi nei luoghi di lavoro.
Mancano, in sostanza, norme sul decentramento produttivo186, risentendo, in questo, dell’insicurezza delle parti firmatarie circa le intenzioni del Governo, il quale non partecipa attivamente in veste di “esecutivo” che mette a disposizione risorse economiche e normative. Per questo, sembra preferibile attribuire all’Accordo quadro natura di accordo interconfederale187, semmai “allargato” al
184L. XXXXXXXX, Sul metodo e sui contenuti …, cit., p. 8, citando G.P. CELLA.
185M. XXXXXXX, La ricerca faticosa di un compromesso per l’innovazione, ne Il diario del lavoro, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, p. 2.
186M. XXXXX, L’Accordo quadro e l’Accordo interconfederale del 2009: contenuti, criticità e modelli di relazioni industriali, in Riv. it. dir. lav., 2009, 3, p. 359.
187F. CARINCI, Una dichiarazione d’intenti: l’Accordo quadro 22 gennaio 2009 sulla riforma degli assetti contrattuali, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 86/2009, p. 2; X. XXXXXXXX, Concertazione e contrattazione dal Protocollo Giugni agli accordi separati del 2009, in Riv. giur. lav., 2009 I, p. 450; X. XXXXXXX, I nodi attuali del sistema di relazioni sindacali e l’Accordo quadro del 22 gennaio 2009, in Arg. dir. lav., I, 2009, p. 1279; X. XXXXX, Non è solo l’ennesimo strappo, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxx.xxx, p.1; l’A., in particolare, valorizza l’assenza del Governo quale prova di autonomia del sistema di contrattazione collettiva, che sembra virare verso un totale governo sindacale e collettivo della retribuzione. Contra M. NAPOLI, La riforma degli assetti contrattuali nelle intese tra le parti sociali, in Jus, 2009, p. 444: secondo l’A, è sufficiente a determinare la natura di accordo concertativo la firma del Governo partecipante non come datore di lavoro pubblico, quest’ipotesi è, nel caso, esclusa poiché l’Accordo si porrebbe a completamento del precedente Accordo sul welfare.
Governo in veste di datore di lavoro del pubblico impiego privatizzato, ma non di accordo triangolare, com’era stato per il Protocollo del 1993.
L’accordo del 2009, proponendosi di innovare il Protocollo del 1993 nella parte di ordinazione del sistema contrattuale, tenta il compromesso tra istanze di maggior decentramento dei rapporti negoziali, evidenti nell’espressa introduzione della c.d. clausola di uscita, e ritrosie a devolvere al contratto di secondo livello più di quanto strettamente necessario, preferendo in alcuni casi che l’eventuale “fuga” dal contratto di categoria si compia nel contratto individuale, piuttosto che in un confronto collettivo decentrato. Il risultato è, dunque, un decentramento organizzato dal centro188, secondo lo schema già proposto dal Protocollo Giugni.
L’accordo quadro è seguito da ulteriori accordi interconfederali, per vari settori produttivi, che declinano le direttive del gennaio 2009 in modo non del tutto uniforme; se l’accordo del 15 aprile per il settore industriale è, forse, il più significativo, quello concluso per il settore agricolo e dei servizi189 dimostrano maggior completezza e, per certi versi, più chiare scelte strutturali nell’attribuire le funzioni di ciascun livello di contrattazione.
Confermata la distribuzione delle principali competenze normative su due livelli contrattuali (par. 2 dell’accordo quadro del gennaio 2009 e punto 2.2 dell’accordo interconfederale per il sistema industriale del successivo aprile 2009), si dà continuità altresì alla ripartizione dei ruoli dei due livelli nel governo salariale, per cui il contratto nazionale difende il potere di acquisto190, e ne garantisce la certezza, e la contrattazione aziendale lo incrementa in ragione, ancora, della crescita della produttività.
Quanto alle misure volte alla diffusione della contrattazione di secondo livello, se l’Accordo quadro lascia aperta l’alternativa tra contrattazione territoriale ed
188M. XXXXXXX, I nodi attuali …, cit., p. 1281. Un ulteriore rafforzamento della centralizzazione, è stato osservato, conseguirebbe altresì al rafforzamento del potere di controllo dei vertici confederali sulle categorie; cfr. X. XXXXXXXX, L’Accordo interconfederale dell’aprile 2009 di riforma del sistema della contrattazione collettiva: brevi note, in Arg. dir. lav., 2009, I, p. 1024.
189 Accordo interconfederale per l’industria 15.04.2009, tra CONFINDUSTRIA e CISL e UIL; Protocollo d’intesa sugli assetti contrattuali tra CONFAGRICOLTURA, COLDIRETTI, C.I.A., FLAI-CGIL, FAI-CISL, UILA-UIL; Accordo interconfederale 18.11.209 tra CONFESERVIZI e CISL e UIL; si segnala altresì l’intesa sull’applicazione dell’Accordo quadro ai comparti contrattuali del settore pubblico del 30.04.2009 sottoscritta con CISL, UIL, CIDA, CISAL, CONFSAL, UGL e USAE. Tutti i testi reperibili su xxx.xxxx.xx.
190 Si modifica l’indice previsionale, non più commisurato al tassi di inflazione programmata, ma all’ IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo), depurato della dinamica dei prezzi dei beni energetici importanti.
aziendale, rimettendo a specifiche intese l’individuazione dell’ambito prescelto di negoziazione decentrata191, per il settore industriale è immediata l’opzione a favore della contrattazione aziendale esercitata con la c.d. «clausola di congelamento» della prassi esistente: «il contratto collettivo definisce le modalità e gli ambiti di applicazione della contrattazione di secondo livello nello spirito dell’attuale prassi negoziale con particolare riguardo alle piccole imprese […]» (punto 2.3).
Appaiono, così, frustrate le letture più ottimistiche192 che proprio per l’assenza di un tal tipo di clausola nell’accordo quadro gennaio 2009 avevano auspicato una diffusione della contrattazione aziendale anche nelle piccole imprese, non più solo nelle imprese ove già, per prassi, si svolgeva effettivamente la contrattazione. Il riferimento alla prassi è, soprattutto, chiave di lettura per confermare la preferenza, nell’industria, per la negoziazione nell’impresa193.
Il secondo livello contrattuale si può sviluppare entro gli spazi concessi e secondo le modalità stabilite dal contratto nazionale: infatti, da un lato, è il contratto nazionale a definire le competenze del contratto di secondo livello, dall’altro l’esercizio dell’autonomia collettiva in funzione normativa in azienda non può, in ogni caso, discutere quanto già disciplinato a livello di categoria, vincolato da una clausola di «non ripetibilità» (par. 11 dell’a.q. gennaio 2009 e punto 3.2 del successivo a.i. aprile 2009) dalla portata maggiore rispetto al Protocollo del 1993, poiché riferita non solo agli istituti di carattere retributivo, ma a tutte le materie.
La stessa forma scelta per realizzare la devoluzione, in realtà, rivela l’impronta di un ordine gerarchico ai rapporti tra regolamenti collettivi di diverso livello. Il ricorso al termine “delega”, sia nell’accordo quadro sia nell’accordo interconfederale per l’industria, mutuato con ogni probabilità dai rinvii legislativi disposti nella disciplina del lavoro flessibile (d. lgs. nn. 66 e 276 del 2003), a sostituzione del termine “rinvio”, in genere utilizzato, depone a configurare il
191 Indicano la contrattazione territoriale (dimensione di trattativa collettiva cara soprattutto alla Cisl) quale risorsa da valorizzare per estendere il decentramento contrattuale anche alle piccole imprese che, singolarmente, non sono solite praticare negoziazioni all’interno dell’impresa, X. XXXXXXXX, Concertazione e contrattazione, cit., p. 455-456, X. XXXX, Gli assetti contrattuali …, cit., p. 519.
192F. CARINCI, Una dichiarazione d’intenti…, cit., p. 13.
193 Diversamente, per il settore agricolo «Resta confermato il livello provinciale come sede della contrattazione di secondo livello» (punto 4); per il settore dei servizi si esprime preferenza per il settore aziendale ove si prevede che il secondo livello di contrattazione sia «aziendale, o alternativamente territoriale, … secondo l’attuale prassi» (punto 1.1.) e ove si forniscono indicazioni piuttosto dettagliate in merito alla contrattazione aziendale con contenuti economici (sottopunti 3.3. e 3.4.).
rapporto in senso più strettamente gerarchico194, che funzionale, quasi che il contratto aziendale agisca su (ovvero, solo grazie alla) delega del contratto di categoria.
E’ stata, poi, ritenuta impropria la commistione del principio della delega/rinvio con il principio del ne bis in idem195: i due criteri ordinatori delle competenze196 tra livelli risultano incompatibili poiché, ai sensi del primo, la contrattazione decentrata ha facoltà o onere di intervento nei limiti della delega; ai sensi del secondo, invece, la libertà di regolazione dell’autonomia collettiva in sede decentrata subisce, a prescindere da altri vincoli, il limite della non ripetibilità.
L’individuazione delle materie devolute alla contrattazione aziendale è, come accennato, rimessa al contratto nazionale, senza, però, sopravvalutarne la portata.
La clausola di delega/rinvio può agevolare la prevenzione del concorso, conflitto tra contratti collettivi di diverso livello; nel concreto, tuttavia, rimane inidonea a risolverlo197.
Circa la disciplina della clausola di delega in merito agli istituti retributivi collegati alla produttività, sono prescritte delle direttive nell’elaborazione dei contenuti.
Per esempio, gli accordi aziendali di individuazione dei premi aziendali devono commisurare l’importo dell’emolumento «con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati fra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità, di reddittività, di efficacia, di innovazione, di efficienza organizzativa ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività aziendale nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa». Si tratta di un’espressione, a ben vedere, generica che se da un lato garantisce flessibilità di adattamento della contrattazione alle diverse politiche
194L. XXXXXXXX, Concertazione e contrattazione …, cit., p.460.
195 X. XXXXXXX, Se quarant’anni vi sembrano pochi: dallo Statuto dei lavoratori all’Accordo di Pomigliano, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 108/2010, p. 11.
196 Non riconosce il criterio del ne bis in idem quale criterio regolatore delle competenze tra livelli
X. XXXXXXXX, L’attuazione dell’Accordo quadro: pluralità di sistemi contrattuali ed eterogenesi dei fini. Alcune note di sintesi, in Dir. lav. rel. ind., 2010, 2, p. 395. L’A., pertanto, esclude che tale principio possa escludere conflitti di competenze tra livelli contrattuali, v. X. XXXXXXXX, L’Accordo quadro e la sua applicazione nel settore privato: un modello contrattuale «comune»?, in A. ANDREONI (a cura di), Nuove regole per la rappresentanza sindacale. Ricordando Xxxxxxx X’Xxxxxx., Ediesse, Roma, 2010, p. 110.
197 X. XXXXXXXX, L’attuazione dell’Accordo quadro…, cit., p. 393.
aziendali198, dall’altro conferma la permanente incertezza sulla scelta degli strumenti da adottare per coinvolgere i lavoratori nella gestione dell’impresa e condizionare la quota variabile del salario alle risultanze economiche e di reddito aziendali.
Le parti sociali, infatti, ripropongono le forme di democrazia sindacale in azienda già individuate, quali un preventivo esame congiunto sulle condizioni produttive ed occupazionali anche in relazione alla competitività e alla reddittività della stessa impresa per definire obiettivi aziendali, importi, parametri ed erogazione salariale; tacciono, invece, su eventuali obblighi di trasparenza sul quadro economico-finanziario e di bilancio dell’impresa, nonché sull’obbligo informativo e consultivo; veicolano, nel complesso, l’idea che la maggior produttività delle imprese sia condizionata esclusivamente alla disciplina del costo del lavoro199.
Il tutto avvalorato dall’assenza di qualsiasi obbligo a contrarre o a trattare a carico dell’impresa datore di lavoro.
Sebbene, infatti, non siano mancati tentativi volti a tradurre la maggior partecipazione sindacale in termini di vero e proprio diritto all’apertura della trattativa per l’istituzione del premio di produzione in ciascuna azienda200, sembra una forzatura eccessiva dedurre, allo stato, a carico del datore di lavoro un obbligo a trattare201 o, addirittura, a contrarre202. Forse, un timido tentativo in questo senso si riscontra nella facoltà riconosciuta alle associazioni sindacali e datoriali ad intervenire, in caso di paralisi delle trattative aziendali (punto 3.5). Il datore di
198 Cfr. C. FRIGHETTO, Normativa interconfederale e ruolo della contrattazione decentrata, in Aa. Vv.,Xxxxx contrattazione e i suoi livelli, Dossier Adapt n. 21/2009, testo disponibile su xxx.xxxxx.xx,
p. 4.
199 Il rapporto tra i due fattori sarà, in seguito, esasperato negli accordi Fiat: v. X. XXXXXXXXX,
Pomigliano: variazioni sul tema, testo disponibile all’indirizzo xxx.xxxxxxxxxx.xx, p. 1.
200P. XXXXXX, Note tecniche sull’Accordo interconfederale del 22 gennaio, testo disponibile su
201 V., però, X. XXXX, Contrattazione in deroga, in X. XXXXXXX (a cura di), Da Pomigliano a Mirafiori: la cronaca si fa storia, Ipsoa, Milano, 2011, p. 45. L’A. ritiene configurabile perlomeno un obbligo a trattare. V., anche, X. XXXX, Gli obblighi a trattare nel sistema dei rapporti collettivi, Cedam, Padova, 1992, p. 33 xx. x x. 000 xx.
000 X. XXXXXXX, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, p. 712. X. XXXXXXXX, Gli incentivi al decentramento della contrattazione: elemento di garanzia, clausole di uscita,…, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxx.xxx. Esperienze vicine alla realtà italiana, per esempio in Francia evidenziano, invece, la prescrizione, addirittura da parte del legislatore, di specifici obblighi a trattare in sede aziendale, con cadenza annuale, su retribuzioni, orari e condizioni di lavoro; cfr. X. XXXXXXXXXX, Le relazioni industriali e di lavoro dopo il protocollo del 22 gennaio 2009, in X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX (a cura di), Regole, conflitto, partecipazione. Letture di diritto delle relazioni industriali, Xxxxxxx, Milano, 2013, p. 255.
lavoro dovrebbe essere, così, indotta preferire il rinnovo del contratto in sede aziendale a fronte della possibilità di sindacato delle associazioni di categoria sulla negoziazione in sede decentrata.
Nel timore che il contratto aziendale sprecasse la propria funzione normativa in materia salariale nella disciplina di emolumenti che nulla condividevano con l’andamento dell’azienda, gli accordi specificano che il premio deve avere
«caratteristiche tali da consentire l’applicazione dei particolari trattamenti contributivi e fiscali previsti dalla normativa di legge» (par. 13 dell’a.q. e punto 3.3. dell’a.i.); nella disposizione si esprime non solo un divieto ad attribuzioni patrimoniali stabili, ovvero non collegate ad incrementi di produttività, ma, altresì, si esclude che un maggior guadagno per l’impresa sia redistribuito a vantaggio dei lavoratori, se non sussiste la possibilità per l’azienda di giovarsi degli sgravi contributivi o fiscali203. Tale rigidità rischia di soffocare la contrattazione d’impresa in materia retributiva, soprattutto considerando come le agevolazioni fiscali e contributive non siano condizionate alla conclusione di un accordo collettivo, ma ne possono beneficiare anche voci retributive contrattate individualmente204. Il rischio, pertanto, è quello di un’incentivazione teorica della contrattazione di secondo livello, poi nei fatti facilmente sostituibile da accordi individuali205.
Infine, la promozione della contrattazione aziendale passa anche attraverso la facoltà riconosciuta al contratto nazionale di definire linee-guida utili alla determinazione di modelli di premio variabile (da riadattare) in funzione delle concrete esigenze delle aziende interessate (punto 3.4 dell’a.i.). La potenzialità della clausola, talora considerata riduttivamente di stile206, è quella di raggiungere
203 X. XXXXXXXX, L’Accordo interconfederale …, cit., p. 1031. Sulle esperienze negoziali aziendali a contenuto retributivo v. X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Salario variabile e contrattazione decentrata tra teoria e prassi, Dossier Adapt n. 5/2010, testo disponibile su xxx.xxxxx.xx.
204 L’art. 2, co. 1-5, d.l. n. 93/2008, conv. con modifiche con l. n. 174/2008, ha disposto la detassazione delle prestazioni di lavoro straordinario, supplementare, e dei premi di produttività (sebbene nel 2009 la revisione degli assetti contrattuali orientata al decentramento contrattuale, induce a riservare l’imposta sostitutiva alle parti variabili di retribuzione fissate mediante contrattazione collettiva decentrata (art. 53, co. 1, d.l. n.78/2010). Recentemente la l. n. 208/ 2015 (l. di stabilità 2016), ha stabilito che nuove misure di detassazione di voci della retribuzione individuale, quali somme e valori dei fringe benefit concessi ai dipendenti o i premi produttività, senza la condizione che siano convenuti con accordi di secondo livello. Per una ricostruzione v. X. XXXXX, Xxxxx di stabilità 2016: si torna a parlare di produttività, ma gli impatti fiscali dimostrano una mancanza di visione prospettica, testo disponibile all’indirizzo xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
205 P.G. ALLEVA, Sistema contrattuale e democrazia sindacale, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx, p. 16; X. XXXXXXX, Note sull’apparato rimediale del nuovo sistema di contrattazione collettiva, in Dir. rel. ind., 2010, 2, p. 347.
206M. XXXXX, L’Accordo quadro …, cit., p. 357.
le piccole imprese, ove il tenore e la qualità della negoziazione praticata non consentirebbero di sviluppare autonomamente una regolamentazione dei premi aziendali. In tali realtà risulterebbe più agevole declinare il modello proposto dalle linee-guida.
La copertura retributiva rimane, in ogni caso, garantita anche in assenza di contrattazione di secondo livello: laddove questa manchi -lo sguardo volge alle piccole imprese- è assicurato un elemento retributivo di garanzia «a favore dei dipendenti […] che non percepiscono altri trattamenti economici individuali o collettivi oltre a quanto spettante per contratto nazionale di categoria» (punto 4 dell’a.q.).
2.1. L’acquisizione all’ordinamento intersindacale del principio di derogabilità del contratto nazionale da parte del contratto aziendale.
La spinta più decisa alla contrattazione in azienda proviene, senza dubbio, dalla legittimazione, già nell’a.q. del gennaio 2009 (par. 16, poi al punto 5 dell’a.i.), di
c.d. «clausole di uscita», ovvero il riconoscimento della facoltà della contrattazione, decentrata, di tradursi in specifiche intese che «per governare in azienda […] situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale […] potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti nazionali di lavoro di categoria».
Prima di allora, un segnale in questo senso si rintraccia, nel settore chimico, nell’intesa del 29.06.2007, ove i sindacati di categoria convengono, dando seguito all’impegno assunto in sede di rinnovo del contratto nazionale nel 2006 (art. 18 Ccnl 10.05.2006), le linee guida per agevolare la realizzazione, segnatamente a livello aziendale, di accordi in deroga, solo per un periodo transitorio, alle norme del C.c.n.l. “utili a sostenere e/o migliorare la competitività dell’impresa e al sua occupazione in situazioni di congiuntura particolari”. La contrattazione aziendale, pur sottoposta al vaglio di conformità di una Commissione nazionale, è, in sostanza, libera di disciplinare qualsiasi aspetto, normativo o retributivo, non coperto dalle prerogative del livello di categoria207.
207 X. XXXXXX, I contratti aziendali in deroga: il caso del settore chimico-farmaceutico, in Dir. rel. ind.,, 2007, p. 1230.
Ritenuto il segnale più significativo della gravità del momento208, l’espressa ammissione della derogabilità, in pejus, del contratto nazionale da parte del contratto aziendale è stata accolta quale enucleazione, sul piano politico, di nuove prassi con finalità di coordinamento e razionalizzazione del sistema209, rivestendo una valenza più sul piano politico-sindacale che su quello tecnico-giuridico. Può dirsi, cioè, acquisito all’ordinamento intersindacale il principio per cui il contratto aziendale può disporre in deroga, anche peggiorativa, al regolamento di categoria.
Ferme, agli occhi della giurisprudenza, validità ed efficacia giuridica di pattuizioni aziendali in deroga al contratto nazionale, la norma interconfederale sembra avere, dunque, il principale effetto di mettere al riparo le articolazioni sindacali inferiori da eventuali sanzioni, di carattere endo-associativo, comminabili dalle strutture superiori210.
A ben vedere l’introduzione nel sistema contrattuale della clausola d’uscita svuota di significato la clausola di non ripetibilità, ora estesa anche agli istituti non retributivi.
I due principi, a ben vedere, non possono operare congiuntamente: il principio del ne bis in idem preclude alla contrattazione di secondo livello di rimettere in discussione le disposizioni del contratto nazionale. Nel momento in cui, per mezzo della formulazione della clausola d’uscita, si abilita il contratto decentrato a rivedere materie o istituti che già avrebbero una definita regolazione di categoria, nelle forme e con i limiti fissati, di fatto si riconosce che la capacità di specializzazione dell’accordo in deroga superi la linea di confine del ne bis in idem211 (i successivi sviluppi degli assetti contrattuali così come definiti dagli
Se l’intesa per il settore chimico è la prima ad avere carattere generale, si rintraccia una precedente disposizione del C.c.n.l. 5.06.1999 Alimentaristi, art. 30-bis, che sancisce un’apertura alla definizione di intese, in sede aziendale, per «soluzioni di orario ulteriori e diverse» rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale. V. F. XXXXXX, La “derogabilità” del contratto nazionale, in X. XXXXX (a cura di), La riforma degli assetti contrattuali, Dossier Adapt n. 5/2009, testo disponibile su xxx.xxxxx.xx, p. 13.
208R. PESSI, Prospettive evolutive delle relazioni industriali in Italia: la riforma degli assetti contrattuali, in Dir. rel. ind., 2009, 2, p. 328.
209P. TOSI, Gli assetti contrattuali…, cit., p. 517.
210 X. XXXX, Effettività e competenze…, cit., p. 372.
211 X. XXXXXXX, Se quarant’anni vi sembrano pochi…, cit., p. 11. Anche X. XXXXXXXX, L’attuazione dell’Accordo quadro…, cit., p. 395, ritiene non applicabile alla contrattazione in deroga il principio del ne bis in idem, ma imposta il problema in termini del tutto differenti. L’A. ritiene che il principio di non ripetibilità non operi quale criterio di distribuzione delle competenze tra livelli, ma quale meccanismo volto ad evitare la duplicazione dei costi conseguenti alla sovrapposizione di contratti di diversi livelli nella disciplina di una materia; ne conseguirebbe l’applicabilità del limite alla sola contrattazione acquisitiva e non a quella c.d. concessiva.
accordi interconfederali porteranno, infatti, nel 2011, all’implementazione delle clausole d’uscita e alla coerente eliminazione della clausola di non ripetibilità).
Quanto ai teorici limiti individuati per contenere le deroghe ammissibili, nel concreto non appaiono particolarmente efficaci.
Le fattispecie di contratto in deroga, che hanno trovato accoglimento nell’a.q., sono due: il contratto stipulato in un contesto di crisi aziendale o quello volto allo sviluppo economico ed occupazionale (punto 16).
La prima ipotesi coglie l’attitudine della funzione normativa del contratto aziendale a cimentarsi nella “gestione” di circostanze di difficoltà aziendale, che la prassi dei contratti c.d. gestionali ha da sempre evidenziato.
Maggiori perplessità suscita la genericità della formulazione della seconda ipotesi, poi specificata per il settore industriale richiedendo che l’obiettivo sia perseguito sulla base di parametri, stabiliti dal contratto nazionale, quali per esempio l’andamento del mercato del lavoro, i livelli di competenze e professionalità disponibili, il tasso di produttività, il tasso di avvio e cessazione delle attività produttive: non tutti i parametri indicati, infatti, si ritengono oggettivi212.
Resta, altresì, imprecisato il limite oltre il quale la deroga non può spingersi.
E’ stato ipotizzato il limite dei minimi contrattuali retributivi e dei diritti individuali irrinunciabili213, senza tuttavia ritenerlo soddisfacente.
Se il contratto nazionale è preposto al mero recupero inflazionistico, ci si è chiesti che minimi potrebbe, a questo punto, ulteriormente ridurre il contratto decentrato214. Rimane, pare, il limite dei diritti assolutamente indisponibili215.
Nel settore industriale, una prima declinazione della facoltà di deroga riconosciuta al contratto decentrato è cauta. Evidentemente ritenendo che fosse prematuro garantire l’esercizio di tale facoltà a livello aziendale, l’accordo dell’aprile 2009 innanzitutto limita tale possibilità alla contrattazione territoriale.
Inoltre, facendo seguito alle indicazioni della Commissione Giugni, le intese per essere efficaci sono tenute ad osservare «parametri oggettivi individuati» nel contratto nazionale ed «essere preventivamente approvate dalle parti stipulanti i
212M. XXXXX, L’Accordo quadro…, cit., p. 357.
213 Sull’esempio del Ccnl chimici del 2006, unico caso di regolazione da parte del contratto di categoria della deroga prima del 2009.
214L. XXXXXXXX, Sul metodo e sui contenuti…, cit., p. 106.
000X. XXXX, Effettività e competenze …, cit., p. 373.
contratti collettivi nazionali di lavoro della categoria interessata» (punto 5.1dell’a.i.).
E’ da ritenere che una accordo in deroga, svincolato dai parametri nazionali, non goda della copertura della clausola di uscita; il risvolto concreto della mancanza di legittimazione del contratto derogatorio è, tuttavia, limitato, considerato il costante inquadramento della clausola in un’inderogabilità di tipo obbligatorio216 che, in assenza di una norma di legge che qualifichi come gerarchico il rapporto tra contratti collettivi di diverso livello (al pari dell’art. 40, co. 3, d.lgs. n. 165 del 2001), preclude effetti di tipo reale o sostitutivo217. Così, se gli agenti negoziali appartengono alla medesima struttura sindacale delle parti firmatarie il contratto nazionale, si espongono ad eventuali responsabilità politiche o associative, ferma comunque l’efficacia giuridica della convenzione.
Qualora, invece, la stipula dell’accordo in deroga sia compiuta da soggetti sindacali diversi rispetto agli artefici del contratto di categoria, nessun problema sembra porsi. In quest’ultima ipotesi, non saranno configurabili sanzioni di nessun genere: non giuridiche, posto che la giurisprudenza dispone di strumenti tecnico- privatistici che mal si adattano a tutelare la razionalità del sistema della contrattazione collettiva; né endo-associative, poiché non vi è alcun rapporto tra la deroga convenuta e i parametri del livello negoziale superiore218.
Più delicata è l’ipotesi in cui il contratto aziendale in deroga sia “separato”, ovvero stipulato solo da alcune delle associazioni che hanno firmato il contratto di categoria.
La lettura della clausola 5.1 dell’a.i. dell’aprile 2009 lascia comprendere come l’accordo in deroga non possa essere un accordo separato219, ovvero debba essere concluso «fra le Associazioni industriali territoriali e le strutture territoriali delle
216 Si è, in proposito, sostenuto che l’unico modo per attribuire giuridica rilevanza alle disposizioni negoziali limitative dei contenuti della contrattazione collettiva sarebbe di interpretarle quali implicanti obblighi di tregua sindacale. X. XXXX, Contrattazione collettiva e governo del conflitto, in Dir. lav. rel. ind., 1988, p. 459; X. XXXXXXX, Contrattazione collettiva e governo del conflitto, in Dir. lav. rel. ind., 1990, p. 700.
217 X. XXXXXX, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, in Dir. lav. rel. ind., 2008, 3, p. 367 e, soprattutto, p. 375.
218 Tale ultima ipotesi, di accordo in deroga concluso da soggetti sindacali diversi rispetto agli stipulanti il contratto di categoria, si è addirittura collocabile in una dimensione estranea alla funzione assolta dal contratto collettivo secondo i parametri costituzionali definiti agli artt. 36 e 39 Cost; cfr. X. XXXXXXX, Retribuzione e assetto…, cit., p. 706.
219G. XXXXXXX-PASSERELLI, Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio, in Riv. it. dir. lav., 2010, 3, p. 494.
organizzazioni sindacali stipulanti il contratto medesimo» (ovvero il c.c.n.l. che autorizza la stipulazione dell’intesa modificativa). Eppure non va trascurato come l’accordo interconfederale dell’aprile 2009 sia un accordo separato, non sottoscritto dalla Cgil, quindi il vincolo non deve intendersi riferito a quest’ultima confederazione. In caso di conclusione “separata”, ovvero non sottoscritto dalle organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie l’accordo interconfederale, di un’intesa modificativa ai sensi del punto 5.1 potrebbero ipotizzarsi sanzioni interne ora a carico delle strutture inferiori che non hanno firmato l’accordo, ora a carico di quelle che l’hanno firmato a seconda, rispettivamente, che le articolazioni superiori ritengano che la deroga, nel complesso, realizzi o meno l’interesse collettivo aziendale.
Più di un problema di coordinamento si porrebbe, però, al momento del rinnovo del contratto di categoria: un rinnovo privo della sottoscrizione della sigla di categoria della Cgil potrebbe, in modo lineare, attuare il punto 5.1 dell’accordo dell’aprile 2009; un rinnovo condiviso anche dalla sigla di categoria della Cgil potrebbe disconoscere il punto 5.1, intesa interconfederale cui la Cgil non ha aderito, o al contrario attuarlo, anche se si potrebbe dubitare dell’effettiva disponibilità della sigla di categoria di aderire implicitamente ad un’intesa non condivisa dalla Confederazione di appartenenza.
Infine ci si può ulteriormente chiedere le conseguenze ipotizzabili a seguito di un accordo in deroga “separato” nel caso in cui la deroga ecceda le condizioni prefissate dal contratto di categoria. Non sembrano porsi dubbi né sulla stabilità giuridica dell’accordo in quanto tale, salve le consuete problematiche relativa all’efficacia soggettiva, né sulla sussistenza di una responsabilità endo-associativa in capo ai soggetti stipulanti, per aver disatteso le prescrizioni sul punto convenute a livello di categoria; rimarrebbe, invece, esclusa una responsabilità delle associazioni che, proprio per non convenire in deroga oltre i limiti concessi, rifiutino la sottoscrizione dell’accordo.
2.2. Segue. Gli sviluppi della clausola d’uscita nel settore industriale.
La facoltà di deroga al livello contrattuale decentrato, nel settore industriale, è stata concessa, con cautela, dall’accordo dell’aprile 2009, riconoscendo legittime le sole intese concluse «in sede territoriale, fra le Associazioni industriali e territoriali
e le strutture territoriali delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto» nazionale (punto 5.1).
Il riconoscimento della facoltà di deroga alla contrattazione aziendale, sulla quale non si era espresso nemmeno il rinnovo del contratto nazionale- metalmeccanici del 2009 del 15.10.2009220, giunge a distanza di un anno, con l’intesa integrativa del 29.09.2010 del contrattato nazionale, cui non aderisce la CGIL221, che introduce l’art. 4 bis al testo del C.c.n.l.
La deroga aziendale è procedimentalizzata, perché legittima solo se convenuta con l’assistenza delle strutture territoriali, con specificazione indicazione degli obbiettivi perseguiti e della durata della deroga; deve, altresì, precisare le disposizioni nazionali derogate e non può avere ad oggetto alcuni istituti (minimi tabellari, aumenti periodici di anzianità, elemento perequativo oltre ai diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge); infine, la sua esigibilità è presidiata da pattuizioni a garanzia di entrambe le parti.
Non si tratta di limiti stringenti, poiché la disposizione manca nel disciplinare i parametri oggettivi cui il contratto in deroga deve rapportarsi, né questi sono individuati nel contratto nazionale. Ancora, si sostituisce alla preventiva autorizzazione da parte del contratto di categoria un meccanismo di silenzio- assenso.
E’ evidente che la clausola così formulata forza le condizioni previste negli accordi interconfederali; né può trovare salvezza nella previsione dell’a.i. che, sulla disciplina delle condizioni di uscita, lascia ferme le «diverse soluzioni già definite in materia dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria» (punto 5.1 dell’a.i)222, riferibile alle sole ipotesi in cui la contrattazione in deroga fosse già disciplinata dai contratti nazionali al momento della conclusione dell’a.i. dell’aprile 2009.
La portata della clausola, è noto, si coglie nel contesto che ne ha determinato e condizionato il contenuto, ovvero le trattative aziendali che nel 2010 una delle più grandi aziende metalmeccaniche nazionali, Fiat, ha svolto e concluso, senza la sigla della CGIL, per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori.
220 Testo reperibile all’indirizzo xxxx://xx00.xxxxxxxxxxxx.xx/xxx-xxx/XxxXxxx.
221 Intesa conclusa tra Federmeccanica, Assistal e FIM e UILM.
222 X. XXXXXXXXXX, La contrattazione collettiva: prove di de-costruzione di un sistema, in Lav. dir.,
2011, n. 2, p. 327.
L’art. 4 bis, infatti, interviene, a legittimare nel settore industriale un accordo
«aziendale», ancora in senso tradizionale, stipulato da Fiat in deroga al contratto nazionale quando, tuttavia, tale facoltà non era ammessa, né dall’a.i. dell’aprile 2009 né dal di rinnovo del contratto di categoria; interviene quale ultimo tentativo di Confindustria di trattenere Fiat nel sistema confederale, tentativo che l’azienda torinese non riterrà, però, sufficiente.
3. La «vicenda» Fiat: prove di forza del contratto collettivo «aziendale».
Sono molteplici le problematiche che vengono in rilievo, accostandosi all’esame degli episodi di contrattazione aziendale che hanno interessato nel 2010 gli stabilimenti Fiat di Pomigliano d’Arco e Mirafiori. La firma separata e l’intreccio di norme confederali nel quale si inseriscono riportano l’attenzione sui molti dei tradizionali «nodi irrisolti» del diritto sindacale: dall’efficacia soggettiva al valore degli strumenti di democrazia sindacale, dal dissenso individuale all’accesso alle prerogative previste dalla legislazione di sostegno.
In questa sede la riflessione vuole concentrarsi sul contenuto normativo dell’accordo, in particolare per la sua portata derogatoria, rispetto al contratto nazionale dei metalmeccanici del 2009, e per l’innovatività di alcune disposizioni; ci si vuole, inoltre, soffermare anche sulla peculiarità del connotato «aziendale» degli accordi Fiat, che si evolve da tradizionale sede di contrattazione di secondo livello a dimensione, autosufficiente e stratificata, di contrattazione collettiva.
3.1. L’accordo di Pomigliano d’Arco del 15.06.2010: il contenuto in deroga in assenza della clausola d’uscita.
Le note vicende muovono da una chiara intenzione di Fiat di imprimere un nuovo ritmo alla produzione d’auto nei propri stabilimenti italiani quale condizione per evitare il decentramento produttivo in Polonia. Il progetto dell’azienda è, in sostanza, quello di portare a saturazione produttiva gli impianti, ove la resa, in realtà, stagnava, anche a causa di patologici livelli di assenteismo.
L’efficienza delle strutture si ritiene non possa prescindere da una profonda revisione dell’organizzazione del lavoro, in particolare con riguardo agli orari, ai turni, alla pausa mensa, alla regolamentazione delle assenze e alla revisione degli emolumenti salariali.
Non è possibile mettere mano a tali contenuti, come vuole Fiat, senza derogare al contratto nazionale metalmeccanici, rinnovato separatamente nel 2009 senza tuttavia alcun riferimento, soppressi i richiami al Protocollo del 1993, all’accordo di riforma degli assetti contrattuali di gennaio e di aprile 2009223 ed, in particolare, alla facoltà di deroga del contratto di categoria da parte del contratto decentrato.
Il primo contratto stipulato per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, il 15 giugno 2010, si inserisce (ancora) nel sistema confederale, spendendo la facoltà di deroga concessa dall’art. 5 dell’accordo di aprile.
Si è obiettato che il contratto aziendale risulterebbe, così, privo delle condizioni di legittimità previste dall’accordo interconfederale: non si inserisce in una pregressa contrattazione territoriale e non è autorizzato dal contratto di categoria224, il quale, nell’Intesa di rinnovo dell’ottobre 2009, non prevede alcuna clausola di uscita.
In realtà, per il primo aspetto, l’accordo interconfederale a ben vedere non legittima la sola contrattazione decentrata di livello territoriale, ma sembra prescrivere che l’accordo, indipendentemente dal suo ambito di applicazione, debba essere sottoscritto «in sede territoriale, fra le Associazioni industriali territoriali e le strutture territoriali delle organizzazioni territoriali». La dimensione territoriale, potrebbe dirsi, non è l’unico ambito prescelto di applicazione di una deroga al contratto nazionale, ma la sola sede -fisica - ove questa può essere stipulata, indipendentemente da ove esplicherà i propri effetti.
Poco significato avrebbe, altrimenti, la fattispecie della crisi aziendale che, per certo, non potrebbe comportare un ambito di applicazione territoriale della deroga. D’altra parte l’intervento dei soggetti territoriali sarà previsto per le intese in deroga (“transitorie” ai sensi del punto 7, seconda parte) anche nell’accordo del 2011, ove invece è netta l’opzione a favore del livello aziendale quale unico livello
di contrattazione decentrata.
Sembra potersi concludere che l’Accordo di Pomigliano, concluso da Fiat assistita dall’Unione industriale di Torino e dall’Unione degli industriali di Napoli
223 X. XXXXXXXXXX, Le nuove regole sulla contrattazione collettiva: problemi giuridici ed efficacia, in Riv. giur. lav., 2010, p. 47.
224 Contrasta altresì con il precedente C.c.n.l. metalmeccanici, del 20.01.2008, rimasto applicabile a tutti gli iscritti Fiom, posto che il sindacato della CGIL non ha sottoscritto il rinnovo del 2009. Il
C.c.n.l. del 2008, precedendo l’a.q. del gennaio 2009, non fa alcun riferimento a facoltà di deroga da parte della contrattazione decentrata.
e dalla Fim, Uilm, Fismic nazionali e di Napoli225, si conformi su questo punto in modo corretto all’intesa interconfederale226.
Non si giustifica, invece, la deroga alla luce della mancanza, nel contratto nazionale, della clausola di uscita; né la firma dell’accordo di Pomigliano anche dalle parti del contratto nazionale è sufficiente ad autorizzare la deroga227 così come richiede la clausola 5. Quest’ultima prescrive che l’uscita dalla disciplina nazionale sia approvata «preventivamente» alla conclusione dell’accordo, ovvero sia adottata quale regola generale per la categoria e non quale concessione speciale a determinate aziende. Come è stato, appunto, nel caso di Fiat.
La firma delle associazioni di categoria, piuttosto, esclude responsabilità endo- associative delle articolazioni territoriali, ad esse altrimenti imputabile perché carenti di legittimazione228.
L’illegittimità della deroga non sembra, inoltre, potersi evitare valorizzando l’assenza di riferimenti agli accordi interconfederali, per cui l’accordo si troverebbe esposto al solo vaglio della giurisprudenza229, verificato quindi con i soli strumenti
–privatistici- la cui applicazione ha sempre consentito il mantenimento dell’accordo aziendale in deroga. Significherebbe, cioè, sopravvalutare il mero richiamo letterale agli accordi interconfederali tanto da ritenerlo determinante per porre il contratto entro o al di fuori del complesso delle regole interconfederali e, in quest’ultimo caso, rinunciare a leggerlo alla luce delle stesse: operazione che non pare, sinceramente, possibile.
Indipendentemente dall’espresso richiamo, un accordo aziendale, o più ampiamente decentrato, in deroga deve misurarsi con le disposizioni di cui all’accordo quadro, all’accordo interconfederale attuativo e al contratto di categoria.
225 Accordo di Pomigliano d’Arco del 15.06.2010, testo disponibile X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, (a cura di), Pomigliano d’Arco, un accordo che fa discutere. Farà anche scuola?, Bollettino speciale Adapt, n. 23/2010, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
226 Contra X. XXXXXX, Rassegna giuridico-sindacale sulla vertenza Fiat e le relazioni industriali in Italia, in Dir. lav. rel ind., 2011, 2, p. 316; A. BELLAVISTA, Contrattazione separata, in X. XXXXXXX (a cura di), Da Pomigliano a Mirafiori…, cit., p. 67.
227 X. XXXX, Lo shock di Pomigliano sul diritto del lavoro: il sistema collettivo, in Arg. dir. lav., 2010, I, p. 1091.
228 X. XXXXX, La contrattazione in deroga: il «caso» Pomigliano, in Arg. dir. lav., 2010, I, p. 1124. 229 X. XXXXX, La contrattazione …, cit., p. 1124, ma v. anche X. XXXXXX, Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’«archetipo» Fiat di Pomigliano d’Arco, in Quad. rass. sind., 2010, 3, p 337.
Sotto la minaccia dell’uscita di Fiat da Confindustria, (oltre all’anticipata disdetta del contratto di categoria del 2008) giunge a fine settembre l’introduzione della clausola d’uscita, art. 4-bis, al C.c.n.l. dei metalmeccanici del 2009; in particolare, la sostituzione del meccanismo della successiva comunicazione alla preventiva autorizzazione appare idoneo a «sanare»230 l’accordo di Pomigliano di qualche mese prima (che infatti è trasmesso a Federmeccanica con analitica indicazione degli articoli del C.c.n.l. oggetto di modifica)231. Anche se lascia perplessi l’ammissibilità di un’autorizzazione successiva, pare davvero difficile ipotizzare che, una volta convenuto l’art. 4-bis, la tenuta dell’accordo aziendale, sottoscritto dalle associazioni nazionali che si sono poi mosse anche a livello di categoria, risulti compromessa per il solo ritardo nell’approvazione della clausola d’uscita nel contratto nazionale. Anche giudici che, chiamati a verificare la legittimità dell’accordo, avessero combinato il criterio dell’«effettiva volontà delle parti» con le norme interconfederali, non avrebbero potuto con facilità negare che uscire dal contratto nazionale era stata la reale intenzione degli stipulanti.
E una conferma, in questo senso, si ricava da un passaggio argomentativo della sentenza del Tribunale di Torino, giudice Xxxxxxxxxx, del 14.11.2011232. Sebbene il contenzioso non riguardasse il primo accordo di Pomigliano, bensì i successivi accordi del dicembre 2010 e del febbraio 2011, si legge: «Ancorché le previsioni contenute nell’Accordo interconfederale del 2011 [nel frattempo intervenuto n.d.r.]
– al pari di quelle di cui all’art. 4-bis del C.C.N.L. industria metalmeccanica 2009,
…- siano inapplicabili alla fattispecie oggetto di causa, per il diverso assetto di relazioni negoziali che sottendono, rispetto a quello implicato nella presente vicenda, costituiscono comunque riprova indiretta della validità della soluzione qui adottata; attestano infatti che tale soluzione è in linea con gli orientamenti delle parti sociali e, in particolare, con quelli delle organizzazioni confederali dei lavoratori maggiormente rappresentative».
Pur escludendo che l’Accordo del 28 giugno 2011, sotto il profilo formale, abbia forza retroattiva poiché le parti sociali non hanno la disponibilità dei diritti
230 X. XXXXXXX, La cronaca si fa storia…, cit., p. 20.
231 X. XX XXXX XXXXXX, L’accordo di Pomigliano: una storia italiana, in Arg. dir. lav., 2010, I, p. 1084.
232 Testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx e in Riv. it. dir. lav, 2011, II, p. 1421, con nota di R. DEL PUNTA, Del gioco e delle sue regole. Note sulla «sentenza Fiat» e in Dir. rel. ind., 2012, 1, p. 121 ss, con nota di X.XXXXX, Contratti collettivi “separati”, rappresentanza sindacale in azienda e condotta antisindacale: il “caso Fiat di Pomigliano”.
individuali già realizzati, l’intesa pare assicurare ugualmente “copertura politica” o addirittura “legittimità sindacale”233, soprattutto alla luce della ricomposta unità d’azione sindacale, alle intese Fiat.
3.2. Gli Accordi di Mirafiori e di Pomigliano d’Arco del dicembre 2010: nuove dimensioni del contratto «aziendale».
Fiat, pur a fronte dell’introduzione della clausola di uscita, non dismette l’originaria intenzione di sottrarsi alle regole intersindacali, uscendo da Confindustria o, precisamente, dichiarando che le società appartenenti al Gruppo Fiat che sottoscrivono i successivi accordi non vi aderiscono.
La scelta della strada da perseguire è da ricondurre non tanto alla difficoltà di disporre in deroga al contratto nazionale, ormai superata dall’introduzione dell’art. 4-bis, ma all’effetto paralizzante che il contesto contrattuale stava rivelando a causa della compresenza di discipline interconfederali (Protocollo del 1993 e Accordi del 2009) e nazionali (Ccnl del 2008 e del 2009) tutte ancora ugualmente efficaci: sistema ritenuto dall’amministratore delegato di Fiat insostenibile234, soprattutto a fronte del dissenso della Fiom che impediva di superare la precedenti discipline.
L’uscita dal sistema confederale è, dunque, l’opzione più netta preferita alla disdetta dei soli contratti collettivi nazionali, attuata appunto mediante un’operazione di scissione dell’originario gruppo aziendale in realtà societarie da ritenere autonome rispetto ai preesistenti assetti contrattuali235, in particolare, per mezzo della costituzione di NewCo, non aderenti a Confindustria, cessionarie degli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori. Si legge, infatti, nel contratto stipulato per lo stabilimento di Xxxxxxxxx, il 23 dicembre 2012: «la Join Venture, che non aderirà al sistema confindustriale, applicherà un contratto collettivo specifico di primo
233 X. XXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXX e X. XXXXXXX, 28 giugno 2011: come cambiamo le relazioni industriali italiane? Opinioni a confronto, in Dir. rel. ind., 3, rispettivamente p. 643, p. 648, p. 654 e p. 656. V., anche, lo stesso Presidente di Confindustria di allora, X. XXXXXXXXXXX, che, riscontrando la lettera dell’amministratore delegato FIAT, Xxxxxx Xxxxxxxxxx, di fronte alle perplessità manifestate dall’a.d. all’indomani della firma dell’Accordo del 28.06.2011, spiega:
«l’unica strada alternativa è quella di un intervento legislativo con effetto retroattivo, che, in quanto tale, non è nella disponibilità di Confindustria». Entrambi i testi delle lettere, del 30.06.2011, sono disponibili in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Le relazioni industriali dopo l’accordo del 28 giugno 2011, Bollettino speciale Adapt n. 46/2011, su xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
234 X. XXXXXXX, La cronaca si fa storia…, cit., p.21; X. XXXXXXX, Il fuorilegge di Pomigliano, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
235 Per un esame dettagliato dell’intera operazione compiuta da Fiat v. V. DI MAIO, Struttura ed articolazione della contrattazione collettiva, Cedam, Padova, 2013, p. 61, nota 162.
livello che includerà quanto convenuto con la presente intesa», rinviando, per quanto invece non disciplinato alla stesura «di un contratto collettivo specifico»; nel contratto «di primo livello» per lo stabilimento di Pomigliano, del 29 dicembre 2010: «Fabbrica Italia Pomigliano236, non aderendo al sistema confindustriale, non applica la contrattualistica definita nell’ambito dello stesso».
L’accordo di Xxxxxxxxx e quello di Pomigliano di fine 2010, dunque, si presentano quali «contratti di unico livello», ovvero unica fonte collettiva di regolamento normativo del rapporto individuale (e delle relazioni sindacali) all’interno degli stabilimenti interessati, che trova un precedente nella storia delle relazioni industriali nel contratto collettivo di Poste Italiane S.p.a. del 26.11.1994237.
Il testo del contratto di Pomigliano è esplicito sul punto, presentandosi quale
«Contratto collettivo specifico di lavoro di primo livello» (CCSL). La sua stessa struttura, inoltre, lascia intendere la sua candidatura a disciplina collettiva comune nel gruppo Fiat, suscettibile di ulteriore integrazione e specificazione per ciascuno stabilimento: è un chiaro segnale di questo il titolo IV dell’accordo, “Normativa specifica per la Fabbrica Italia Pomigliano” (p. 55 ss.) che lascia intendere come quanto fino a quel momento disposto –ai titoli I, “Sistema di relazioni sindacali” (p. 2 ss.), II, Organizzazione del lavoro (p. 12 ss.), e III “Disciplina del rapporto individuale di lavoro” (p. 37 ss.)- sia “estendibile”238 per adozione successiva alle società-stabilimento Fiat.
Segue, il 17 febbraio 2011, la stipulazione239 del contratto collettivo aziendale di secondo livello per lo stabilimento di Pomigliano.
236 NewCo registrata il 19.07.2010, controllata al 100% da Fiat Partecipazioni.
237 Tale contratto (ancora definito Ccnl) è stato successivamente integrato dal contratto del 23.05.1995. Anche qui si tratta di contratti previsti per una sola azienda con articolazioni nazionali, definiti «contrattazione aziendale e “di categoria” composta da un’unica impresa che prevede una disciplina completa dei rapporti di lavoro», v. X. XXXX, Gli assetti contrattuali…, cit., p. 522. E’ da rilevare l’essenziale differenza che intercorre tra il contratto collettivo Poste e quello di Pomigliano: il primo si inserisce nel sistema confederale, alla luce del richiamo in premessa: «Il presente contratto collettivo … si ispira … ai principi previsti nel Protocollo d'intesa, tra Governo e Sindacati, del 23 luglio 1993» differentemente dal contratto di Pomigliano. V. testo del Contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti dell’E.P.I., sottoscritto da Poste Italiane S.p.a., in persona dell’allora Presidente, prof. E. Cardi, e dalle sigle FEDERAZIONE PT/SLP-CISL, UIL-POST, FILPT-CGIL, SINDIP, disponibile su xxx.xxxxxxxxxx.xx.
238 X. XXXXXXX, La cronaca di fa storia…, cit. p. 28; X. XXXXXX, Rassegna giuridico-sindacale…,
cit., p. 318.
239 L’accordo è sottoscritto da Fabbrica Italia Pomigliano S.p.a e FIM-CISL, UILM-UIL, FISMIC, UGL Metalmeccanici e l’Associazione quadri e capi Fiat.
Tali contratti si differenziano, dunque, dall’accordo di Pomigliano del giugno precedente. Mentre quest’ultimo è un contratto aziendale nel senso tradizionale del termine, ovvero un contratto di secondo livello, stipulato nell’impresa, nel contesto della struttura contrattuale definita negli accordi interconfederali, dal Protocollo del 1993 prima e dagli Accordi del 2009 poi, di diversa natura240 sono invece i successivi contratti del dicembre 2010.
Negli accordi di Mirafiori e Pomigliano l’azienda non definisce un diverso livello di contrattazione, ma l’unica dimensione considerata dell’interesse collettivo che si vuole realizzare nell’esercizio della funzione normativa.
Più chiaramente, in presenza dell’accordo aziendale che specifica, completa, anche deroga al contratto nazionale, la disciplina collettiva del rapporto di lavoro risulta da un’integrazione del regolamento nazionale, ove si tende alla realizzazione dell’interesse collettivo della categoria, e del regolamento aziendale, che tende ad una valorizzazione dell’interesse collettivo di una specifica comunità aziendale.
I due accordi Fiat di dicembre, invece, si allontanano da tale dinamica: quanto prescritto in funzione dell’interesse della categoria non è minimamente ritenuto idoneo a soddisfare le esigenze nell’impresa. E’ unicamente l’interesse collettivo aziendale -che sembra annullarsi nel solo interesse imprenditoriale- ad essere considerato nella stesura del regolamento collettivo, con possibilità di ulteriore declinazione, all’interno della medesima azienda, in stabilimenti diversi.
Si inaugura così una nuova struttura contrattuale multilivello, tarata sulla sola base aziendale, autosufficiente, anche in quanto autoreferenziale241.
L’autoreferenzialità, infatti, esclude la natura di contratto di primo livello se l’accordo collettivo si pone quale effettivo accordo di riferimento per un gruppo di dimensioni nazionali e contenga una regolamentazione che aspira ad essere completa ed organica dei rapporti di lavoro soggetti alla sua applicazione242.
Il contratto di Pomigliano non può essere misurato sui principi e sui cardini espressi negli accordi interconfederali, proprio perché per sottrarsi a tali condizionamenti e parametri le NewCo non hanno aderito a Confindustria. La tradizionale funzione solidaristica del contratto di primo livello, che il sistema della
240 Utilizza il termine «natura» di accordo di primo livello X. Xxx Xxxxx, Del gioco e delle sue regole…, cit., p. 1425, x. xxxx x. 00.
000 X. XXXX, Struttura ed articolazione…, cit., p. 63.
242 R. DEL PUNTA, Del gioco e delle sue regole…, cit., p. 1425.
contrattazione collettiva confederale riconduce, anche negli accordi del 2009, al solo contratto di nazionale di categoria243, non può pretendersi dal contratto di primo livello Fiat, poiché si tratta di un carattere proprio del contratto del sistema confederale, cui Fiat non appartiene (più) e non risponde.
Sulla legittimità di tali accordi si è pronunciato il Tribunale di Torino, con la citata sentenza n. 2583/2011.
Il risvolto pratico, e utile a Fiat, della natura di contratto (aziendale sì ma) di unico livello è l’idoneità di tale regolamento a sostituirsi al contratto di categoria quale contratto «del medesimo livello» ai sensi dell’art. 2112, 3° co., c.c.
Anche in proposito, si è espresso il Tribunale di Torino, «Sono legittimi, in quanto non contrastanti con il disposto dell’art. 2112 c.c., né in frode al medesimo, i contratti collettivi aziendali stipulati tra Fiat s.p.a., Fabbrica Italia s.p.a. e le xx.xx., che prevedono la costituzione di nuovi rapporti di lavoro tra i dipendenti di Fiat Group Automobiles s.p.a., occupati presso lo stabilimento Xxxxxxxxxxxx Xxxx di Pomigliano d’Arco, e Fabbrica Italia Pomigliano s.p.a., nuovo gestore del complesso aziendale. Un contratto aziendale che definisce ogni aspetto dei rapporti di lavoro con i dipendenti deve considerarsi contratto “di primo livello”, idoneo a sostituire, ex art. 2112, comma 3, c.c., il previgente c.c.n.l.»244. Il Tribunale, in particolare, legittima l’operazione negoziale rilevando come la stipulazione da parte di un’azienda di un accordo con l’interlocutore sindacale disponibile, esclusa la fattispecie del sindacato “di comodo”, rientri pienamente nell’esercizio di quella libertà che il combinato disposto degli artt. 39, 1° co., e 41, 1 co., della Costituzione riconosce ad imprese e sindacati per la predisposizione consensuale delle condizioni di lavoro nello specifico ambito di riferimento prescelto, categoria
243 X. XXXXXXX-PASSERELLI, L’impatto del conflitto intersindacale sui livelli contrattuali nella categoria dei metalmeccanici. Note minime su questioni ancora molto controverse, in Arg. dir. lav., 2011, 1, p. 226.
244 Contra X. XXXXXXXXX, La sentenza Pomigliano: un verdetto xxxxxxxxxx che non convince, testo disponibile su xxx.xxxx.xx. L’A. ritiene che un contratto di livello aziendale rimanga, in ogni caso, contratto di livello inferiore rispetto al contratto nazionale, escludendo l’ammissibilità dell’effetto sostitutivo tra il primo e il secondo ai sensi dell’art. 2112, 3° co., c.c. L’impostazione seguita, in realtà, risulta debole sotto più profili: la natura del contratto collettivo quale atto d’autonomia privata
–costantemente ribadita dalla giurisprudenza- determina l’impossibilità, in termini strettamente giuridici, di configurare un rapporto di gerarchia tra regolamenti; né vi è alcun obbligo, salvo quelli discendenti dall’iscrizione al sindacato stipulante il contratto nazionale, di applicare il contratto di categoria ad un rapporto di lavoro; persino il limite inderogabile della retribuzione equa e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost. non trova il proprio esclusivo riferimento nella retribuzione tabellare del
C.c.n.l. ma anche in un contratto locale o aziendale (come conferma anche Cass. 20.09.2007, n. 19467, in Giust. civ. Mass. 2007, 9).
professionale, articolazione territoriale o singola azienda che esso concretamente sia245.
L’esito finale dell’operazione è, dunque, consistito nell’evitare l’applicazione nelle NewCo Fiat non soltanto del contratto di categoria, sia quello del 2008 (non scaduto ed ancora applicabile agli iscritti Fiom) sia quello del 2009, che altrimenti sarebbero transitati quale trattamento economico e normativo vigente al momento del trasferimento e, quindi, applicabile ai lavoratori fino alla scadenza246, ma anche di tutti gli Accordi interconfederali applicabili in forza dell’adesione a Confindustria247.
Sembra potersi dedurre dalla vicenda Fiat, per quanto qui interessa, l’ammissibilità di un regolamento collettivo aziendale che non necessita di innestarsi su di un contratto nazionale a monte, ma è addirittura in grado di sviluppare ulteriori livelli di contrattazione al suo interno.
Certo, un contratto di tale natura, autonomo rispetto al sistema nazionale di contrattazione collettiva, trova forza e giustificazione nelle dimensioni -produttive
245 X. XXXXXXX, Sistema sindacale “di fatto” efficacia del contratto collettivo (aziendale) e principio di effettività, in Arg. dir. lav., 2011, p. 1289.
246 E’ da precisare che, tuttavia, il Tribunale di Torino, giunge a questa conclusione proprio per evitare di approfondire se la formale assunzione da parte delle NewCo dei lavoratori impiegati presso gli stabilimenti che, ai sensi del punto 10 dell’accordo, non costituisce trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., non integri, in realtà, un’elusione della norma. Ritiene, infatti, il Tribunale in primo luogo che un’eventuale violazione dell’art. 2112 c.c. non sarebbe idonea a spiegare effetti sul piano dell’antisindacalità, ma soltanto sul piano dei diritti dei singoli lavoratori operanti nel sito, ove esclusi dalla nuova società (esclusione che, nel caso di specie, non vi è –ancora- stata. Seguiranno, però, vertenze in cui si contesta, quale comportamento discriminatorio e non quale violazione dell’art. 2112 c.c., la mancata assunzione da parte della NewCo Fabbrica Italia Pomigliano di numerosi lavoratori, precedentemente impiegati presso lo stabilimento; vertenze, conclusesi con la condanna nei confronti dell’azienda all’assunzione: x. Xxxx. 11.03.2014, n. 5581;
C. App. Roma 9.10.2012; Trib. Roma 21.06.2012, testi disponibili su xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx). Soprattutto, l’economia del ragionamento si spiega proprio perché, anche a ravvisarsi una violazione dell’art. 2112 c.c., sarebbe rimasta ferma la denunciata disapplicazione del contratto nazionale del 2008 in virtù dell’effetto sostitutivo a favore del contratto di primo livello.
247 Contra X. XXXXXXX-PASSERELLI, L’impatto del conflitto intersindacale…, cit., p. 230. L’A., pur riconoscendo la natura di contratto di primo livello all’accordo di Pomigliano, nega l’effetto sostitutivo ai sensi dell’art. 2112, 3° co., c.c. richiamandosi al principio generale in materia di successione nei rapporti giuridici per cui la NewCo, subentrante a Fiat, sarebbe tenuta ad assumere tutte le obbligazioni che a Fiat fanno capo, tra le quali l’applicazione ai lavoratori iscritti alla Fiom del contratto nazionale di categoria fino alla sua scadenza. Tuttavia, sui principi generali in materia di successione nei rapporti giuridici sembra in ogni caso prevalere la disciplina di cui all’art. 2112, 3° co., c.c., che, nella medesima materia, detta norme speciali con riguardo alla successione nel rapporto di lavoro individuale in caso di trasferimento d’azienda. E quest’ultimo consente una novazione dell’obbligazione avente ad oggetto l’applicazione del contratto collettivo nazionale con l’obbligazione di applicare un contratto collettivo di pari livello: posto che il contratto mono-livello di Pomigliano è, per quanto visto, un contratto idoneo a sostituire quello nazionale, la sostituzione dell’oggetto dell’obbligazione può appunto aver luogo. La non applicazione del contratto agli iscritti Fiom, invece, si giustifica sul -diverso-piano della tradizionale tutela del dissenso individuale.
ed occupazionali- dell’impresa che per prima lo ha sperimentato, nonché nella disponibilità di quest’ultima a sostenere importanti costi per la contrattazione di secondo livello; seppur non mancano alcuni espliciti rinvii al contratto metalmeccanici, la struttura degli accordi assicura piena autonomia rispetto al contratto nazionale248.
Risulta molto poco concreto ipotizzare che, invece, imprese di medie e piccole dimensioni siano in grado di sviluppare, sulla sola base del proprio interesse collettivo, un sistema di contrattazione collettiva autonomo e capace di esaurire la disciplina di ogni profilo, del rapporto individuale o delle relazioni sindacali, necessario. L’assenza diffusa della contrattazione aziendale, pur in funzione complementare a quella nazionale, rende ancor più difficile, sul piano del concreto svolgersi delle relazioni industriali, pensare che il contratto aziendale possa uscire dall’ombra del contratto di categoria, se non in casi eccezionali.
Gli accordi per gli stabilimenti Fiat, e la loro tenuta nel tempo249, tuttavia, evidenziano come si tratti, per l’appunto, di difficoltà concrete e strutturali della realtà produttiva nazionale, assecondata nella disciplina interconfederale dell’assetto contrattuale, e non certo un limite intrinseco dell’accordo d’impresa, perlomeno non in termini di attitudine e capacità regolativa.
3.3. Alcuni contenuti normativi controversi dei contratti Fiat del 2010.
Il nucleo della disciplina normativa convenuta nei contratti Fiat attiene all’organizzazione del lavoro, ed in particolare agli istituti dell’orario di lavoro, dei turni, delle pause, dello straordinario, dei recuperi produttivi, nonché della riassegnazione delle mansioni e della mobilità interna da area ad area250.
248 X. XXXXXXXXXX, La contrattazione collettiva…, cit., p. 331.
249 Il Contratto collettivo specifico, esteso a tutte le società del Gruppo Fiat, è stato rinnovato l’8 marzo 2013, sottoscritto da Fiat S.p.a. e Fiat Industrial S.p.a e le società dei rispettivi Gruppi che applicano il Contratto collettivo Specifico di primo livello del 29.12.2010, nella sua stesura definitiva del 13.12.2011 e le Organizzazioni Sindacali nazionali FIM-CISL, UILM-UIL, FISMIC, UGL Metalmeccanici e l’Associazione Quadri e Capi Fiat (testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx).
Ancor più recentemente, il 7.07.2015, è stato rinnovato il CCSP tra FCA N.V. e CNH Industrial
N.V. –società del Gruppo Fiat/Industrial- e le organizzazioni sindacali nazionali FIM-CISL, UILM- UIL, FISMIC, UGL Metalmeccanici e l’Associazione Quadri e Capi Fiat. Testo dell’accordo disponibile all’indirizzo xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
250 V., ampiamente, X. XXXXXX, Lo shock di Pomigliano sul diritto del lavoro: il rapporto individuale, in Arg. dir. lav., 2010, p. 1095 ss.
Il “perno”251 della disciplina è costituito dall’adozione del sistema Ergo-Uas, il quale privilegia la dimensione ergonomica, correlando “fatica” e “durata” della prestazione, così che all’esecuzione di una prestazione più faticosa corrisponde la disponibilità di un maggior tempo di esecuzione. Il sistema punta ad eliminare gli sprechi, ma allo stesso tempo realizza un’intensificazione dei ritmi di lavoro tale da essere stata definita un «qualsiasi altro figlio o nipote più o meno legittimo del taylorismo»252.
Nel complesso, la disciplina degli istituti del rapporto di lavoro porta a classificare gli accordi come ablativi rispetto al trattamento precedente; vero è, tuttavia, che gli sforzi lavorativi sono compensati da maggiori emolumenti economici. Tra questi ultimi si distingue la rivisitazione dei premi aziendali attraverso istituti incentivanti che legano la dinamica dei salari ai risultati dell’impresa programmati nell’arco di quattro anni, con parte dei benefici (il 50%) comunque assicurata: l’innovazione, dunque, sta nella programmazione ex ante, con superamento i vecchi premi di produzione ove la valutazione dei risultati raggiunti è affidata alla discrezionalità dei datori di lavoro253.
Se, nonostante i contenuti non particolarmente favorevoli ai lavoratori, non vi sono dubbi sulla legittimità dei trattamenti convenuti, disposizioni più controverse sembrano quella che contrasta l’assenteismo (clausola n. 8 dell’accordo di Pomigliano del 15.06.2010, ripresa nei successivi accordi), e le qualificazione delle clausole come integrative del contratto individuale di lavoro (n. 16).
In merito alle assenze, è esclusa la copertura economica nei primi tre giorni della malattia. Pur d’impatto, la disposizione di fatto non contrasta, come pure è stato sostenuto254, né con la legge né con la Costituzione. L’art. 2110 c.c. rimette alla contrattazione collettiva il compito di stabilire entità e limiti della retribuzione da corrispondere al lavoratore: il contratto dei metalmeccanici, differentemente da altri, non prevede eccezioni alla copertura255, ma ne consegue che il problema si
251 X. XXXXXXX, Se quarant’anni vi sembrano pochi…, cit., p. 12.
252 X. XXXXXXX, Se quarant’anni vi sembrano pochi…, cit., p. 13.
253 X. XXXXXXX, Il contratto unico della Fiat, Nota ISRL on line n. 29/2015, testo disponibile su xxx.xxxx.xx, p. 2. Contra X. XXXXXXXXX, Pomigliano: variazioni sul tema, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxx.xx.
254 X. XXXXXXXX, Xxxxxx e contenuti del contratto collettivo (la teoria del contratto collettivo dopo Pomigliano d’Arco), in Lav. nella giur., 2010, 12, p. 1164.
255 X. XXXXXX, Appunti di un giurista su Pomigliano, testo disponibile su xxx.xxxxxx.xxxx. X. XXXXXXXX, Note su un accordo singolare, pone il problema in termini di violazione del diritto di
pone, tutt’al più, in termini di deroga al contratto nazionale (quindi per il solo contratto di Pomigliano di giugno e solo entro i limiti già esaminati); in nessun modo è compromesso, poi, il diritto alla Salute ex art. 32 Cost., ma solo la garanzia di un’indennità assicurativa256.
Più discussa è la dichiarazione dell’integrazione del contratto individuale e, allo stesso tempo, di inscindibilità.
Dispone il punto 15 dell’accordo di Pomigliano: «le clausole del presente accordo integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da considerarsi correlate ed inscindibili, sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare … e comporta il venir meno dell’efficacia nei suoi confronti anche delle altre clausole». Esclusa l’opportunità, oltre che la praticabilità, di una lettura della norma quale determinante un effetto di «incorporazione» della disciplina collettiva nel contratto individuale257, la norma sembra voler cumulare, alla sanzione disciplinare espressamente dettata per un’infrazione un’ulteriore sanzione di natura disciplinare extra ordinem. Tale effetto è, tuttavia, da escludere poiché alla medesima violazione non può conseguire, oltre all’applicazione della sanzione disciplinare prevista (che esaurisce il potere disciplinare del datore di lavoro), un ulteriore effetto –di liberazione dell’azienda dai propri obblighi- in pregiudizio del
lavoratore, al di fuori del sistema disciplinare regolato da norme inderogabili258.
Allo stesso modo, si è ritenuto di escludere che la norma, ponendosi in continuità con la precedente clausola di responsabilità, n. 14, che impone una tregua sindacale quale condizione di esigibilità dell’accordo, intenda colpire, a titolo di infrazione disciplinare, l’esercizio del diritto di sciopero.
Precisamente, si è limitato il riferimento a comportamenti individuali ostruzionistici, ascrivibili all’inadempimento inesatto o imparziale, e non al diritto
uguaglianza, e del principio di ragionevolezza, che si verifica per l’equiparazione del vero ammalato “all’appassionato di calcio”.
256 X. XXXXXXX, Se quarant’anni vi sembrano pochi…, cit., p. 17. V., in modo approfondito, X. XXXXXXXX, Il contrasto all’assenteismo negli Accordi Fiat di Pomigliano d’Arco e di Mirafiori, in Arg. dir. lav., 2011, 3, p. 499 ss.
257 X. XXXXX, La contrattazione in deroga…, cit., p. 1127.
258 X. XXXXXX, Accordi FIAT, clausola di pace sindacale e limiti al diritto di sciopero, WP
C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 117/2011, p. 10. Non sembra, invece, escludere tale conclusione, X. XXXXXXXX, La lotta all’assenteismo…, cit., p. 522, con specifico riferimento alla combinazione della clausola di inscindibilità con quella relativa alle assenze per malattia.
di sciopero259; l’introduzione di un’infrazione caratterizzata da discontinuità e specialità rispetto al complesso degli inadempimenti tradizionalmente elencati nel codice disciplinare, è stata ritenuta incompatibile con il consolidato apparato sanzionatorio di carattere disciplinare260.
Il profilo degno d’interesse risiede, però, negli argomenti spesi, che giungono ad riconoscere la possibilità, in astratto, della limitazione da parte delle sigle sindacali, in sede aziendale, del diritto di sciopero, ritenendo sulla base del dato letterale che non sia il caso della clausola 15 dell’accordo di Pomigliano (con il conforto, altresì, della stessa azienda che ha precisato come «la clausola intende riferirsi ai comportamenti individuali dei lavoratori che possono essere qualificati come inadempimento del contratto e che non si è inteso ricomprendervi lo sciopero»261). Non si rintraccia alcuna preclusione alla disponibilità degli attori sindacali delle condizioni di esercizio del diritto di sciopero in sede di contrattazione, superando la concezione per cui il diritto di sciopero è un diritto dei lavoratori e non del sindacato poiché la titolarità individuale non è sufficiente a giustificare un limite alla potestà regolativa dei contratti collettivi262, quando la esercitano per qualsiasi altro diritto previsto dalla legge.
Rilevando che nota caratteristica dello sciopero rimane pur sempre il perseguimento di un interesse collettivo, con implicita sottoposizione della volontà individuale alla volontà collettiva, in vista del quale è il soggetto collettivo abilitato a “governare” le modalità di attuazione dello sciopero e le condizioni e i limiti del suo esercizio, sembra potersi affermare che il diritto individuale sussiste nei limiti in cui esso venga esercitato in conformità a quanto stabilito dall’autonomia collettiva263. E non sembra esservi alcuna ragione per cui il diritto di sciopero
259 X. XXXXX, Clausole di responsabilità e clausole integrative, in Da Pomigliano a Mirafiori, cit.,
p. 240; X. XXXX, Appunti su alcuni profili giuridici delle recenti vicende Fiat, in Dir. lav. rel. ind., 2011, 2, p. 339; X. XX XXXX XXXXXX, Accordo di Pomigliano e criticità del sistema di relazioni industriali italiane, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, p. 802; X. XXXX, Lo shock di Pomigliano…, cit., p. 1094.
260 X. XXXXXX, Accordi FIAT, clausola di pace…, cit., p. 11.
261 X. XXXXXX, La replica del Segretario della FIOM di Napoli e la mia controreplica, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, riporta le dichiarazioni del xxxx. Xxxxxxxx De Xxxx Xxxxxx, consulente di Fiat nella negoziazione dell’accordo.
262 X. XXXX, Appunti…, cit., p. 340. Contra X. XXXXXXX, Sistema sindacale “di fatto”..., cit., p. 1284.
263 X. XXXXX, Clausole di responsabilità…, cit., p. 241; X. XXXXXXXXXX, L’accordo FIAT di Pomigliano nel quadro delle nuove relazioni industriali, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxx.xxx,
p. 6.
rimanga sottratto a qualunque margine di scambio da parte del sindacato264 tale da tradursi in un vincolo per il singolo lavoratore.
Tale argomento troverebbe un iniziale riferimento normativo nella legge che regola lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (l. n. 146/1990), ove è attribuito alle organizzazioni sindacali il potere di negoziare i codici di regolamentazione settore per settore, con effetti direttamente vincolanti anche per i singoli lavoratori265.
L’approdo potrebbe, dunque, essere l’ammissibilità di clausole di tregua di natura non solo obbligatoria, ma anche normativa266.
E’, dunque, da riconoscere alle vicende negoziali Fiat l’effetto di aver stimolato il confronto sul tema, contribuendo nel senso di considerare le clausole di tregua vincolanti anche nei confronti del singolo267.
264 R. DEL PUNTA, Contrattazione separata, in Da Pomigliano a Mirafiori…, cit., p. 81.
265 X. XXXXXX, Appunti di un giurista…, cit., p. 2.
266 La riconducibilità alla clausola di tregua sindacale di efficacia obbligatoria o normativa riflette la diversa ricostruzione della titolarità, come individuale o collettiva, del diritto di sciopero. La tradizionale tesi della titolarità individuale del diritto ha sempre valorizzato la riferibilità del diritto di sciopero alle esigenze di tutela e di sviluppo della personalità del lavoratore, giungendo a configurarlo come un vero e proprio diritto della persona. Secondo quest’impostazione è opportuno distinguere tra l’impegno di pace sindacale cui si vincolano le parti sociali e il rapporto endo- associativo tra il soggetto collettivo e i suoi membri: il primo integra una clausola dagli effetti obbligatori con cui i sindacati negoziano l’uso del proprio potere (la proclamazione dello sciopero), il rapporto endo-associativo, tuttavia, non preclude l’esercizio dell’individuo del diritto di sciopero. Al contrario, la ricostruzione propria della criticata tesi della titolarità collettiva del diritto di sciopero comporterebbe la vincolatività delle clausole di tregua sindacale per i singoli lavoratori. Per le sintesi più complete si vedano X. XXXXX, Lo sciopero come diritto, in M. D’ANTONA (a cura di) Letture di diritto sindacale, Jovene, Napoli, 1990, p. 403 ss.; M. DEL CONTE, L’evoluzione del concetto di tregua sindacale nell’accordo del 23 luglio 1993, in Dir. rel. ind., 1994, p. 101 ss.; X. XXXXXXXXX, La titolarità del diritto di sciopero negli studi recenti, in Lav. e Dir., 1994, p. 163 ss.;
X. XXXXXXX, La titolarità sindacale del diritto di sciopero, Jovene, Napoli, 2006; R. DEL PUNTA, Lo sciopero, in X. XXXXXXX (diretto da) Trattato di diritto privato, X. XXXXXXX (a cura di), Il lavoro subordinato, tomo I Il diritto sindacale, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2007, p. 393 ss.; X. XXXXXXXX (a cura di), La titolarità del diritto di sciopero, Cacucci, Bari, 2008; X. XXXXXXXX, Diritto di sciopero e assetto costituzionale, in Riv. it. dir. lav., 2009, p. 121 ss.; X. XXXXXXX, La libertà e il diritto di sciopero, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (diretto da), vol. III X. XXXXXXXX (a cura di), Conflitto, concertazione, partecipazione, Cedam, Padova, 2011, p. 25 ss.; M.V. XXXXXXXXXXX, A proposito della titolarità del diritto di sciopero, in AA. VV. Il contributo di Xxxxx Xxxxxxxx all’evoluzione teorica del diritto del lavoro, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2013, p. 383 ss.; P. XXXXXXXXXXX, Xxxxx titolarità del diritto di sciopero e clausole di tregua sindacale: brevi note, in Arg. dir. lav., 2015, 1,,
p. 72 ss. X. XXXXXXX, Il nuovo conflitto collettivo. Clausole di tregua, conciliazione e arbitrato nel declino del diritto di sciopero, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 2012, p. 68 ss. mette in dubbio la riconducibilità delle clausole di tregua sindacale in modo netto alla parte obbligatoria, richiamando la relatività della classica ripartizione tra contenuto normativo ed obbligatorio del contratto collettivo e sostenendo che si tratti in realtà di «clausole ibride».
267 Muove proprio dagli accordi Fiat, la riflessione di X. XXXXXX, La titolarità congiunta del diritto di sciopero, WP “Xxxxxxx X’Xxxxxx” C.S.D.L.E. n. 183/2013, in particolare x. 00 xx. (Xxxxxx la titolarità congiunta del diritto di sciopero v. X. XXXXXX, Diritto sindacale, ed. aggiornata da X. Xxxxxxxx, P. Xxxxxx, M. G.. Xxxxxxxx, Cacucci Editore, Bari, 2012, p. 237). Recentemente v. anche
X. XXXXXXXX, L’onere di astensione dallo sciopero nelle clausole di tregua sindacale, in Riv. it. dir.
3.4. I contratti Fiat e l’influenza sul sistema delle relazioni industriali italiane.
Gli episodi negoziali appena esaminati non si sono tradotti, e oggi lo si può dire con sicurezza, in un modello o, addirittura, in un “archetipo” come alcune voci avevano al tempo pronosticato268. Essi sono rimasti un “caso”269 nelle relazioni industriali, finora del tutto isolato per non essersi in seguito verificate altre clamorose uscite da Confindustria di aziende unicamente intenzionate ad adottare una disciplina collettiva non costretta a misurarsi con la regolamentazione del contratto di categoria270.
A tale vicenda si ritiene, però, di riconoscere il ruolo di stimolo all’aggiornamento del sistema di contrattazione collettiva, in effetti varato non più tardi dell’anno successivo dalle tre Confederazioni storiche rappresentanti dei lavoratori e da Confindustria.
Il modello embrionale che gli accordi di Pomigliano e Mirafiori hanno proposto focalizzava l’attenzione non tanto sul momento della «contrattazione aziendale», quanto sul «contratto aziendale»271 quale contesto in cui dovrebbero trovare composizione i diritti e le esigenze di adeguamento dei meccanismi organizzativi e produttivi delle imprese272, imprese che, in particolare, coltivano aspirazioni di competitività sovranazionale.
Quello che non si può negare essere stato, in qualche modo, un «fallimento» della irrigidita cultura di ciascun sindacato che vi ha preso parte273 e dell’esaurimento della capacità e idoneità regolativa del sistema confederale delle
lav., 2014, I, p. 305; sebbene l’A., una volta dato conto dell’impostazione tradizionale del problema, non si sbilanci ulteriormente, si sofferma sui limiti della posizione che vuole la clausola di tregua sindacale inefficace nel rapporto di lavoro individuale.
268 X. XXXXXX, Contrattazione collettiva e relazioni industriali …, cit., p. 337.
269 X. XXXXXXX, Il “caso Fiat” e il sistema di relazioni industriali: introduzione ad un serio dibattito politico, testo reperibile all’indirizzo xxx.xxxxxxxx.xx, p. 3.
270 Come invece si è registrato in Germania, dove molte imprese sono uscite dalle associazioni datoriali o si sono avvalse della possibilità di restare nell’associazione senza tuttavia applicare il contratto. V. L. BORDOGNA, Ecco perché monitorare l’applicazione dell’Accordo, in Europa Lavoro Economia, supplemento bimestrale di AREL, 2012, reperibile all’indirizzo xxx.xxxx.xx, p. 24.
000 X. XXXXXX, Xxxxxxxx giuridico sindacale…, cit. p. 325; X. XXXXXXX, Quale futuro per la contrattazione aziendale?, Nota ISRL n. 18/2010, p. 4.
272 X. XXXXXXX, Il “caso Fiat” …, cit., p. 3.
273 G.P. XXXXX, Pomigliano e Mirafiori: incertezze e “fallimenti” nelle culture sindacali, in Dir. lav. rel. ind., 2011, spec. p. 110-111; X. XXXXXXX, Automotive e altro: cosa sta cambiando nella contrattazione collettiva nazionale e transnazionale, in Dir. lav. rel. ind., 2011, p. 349-350.
relazioni collettive, non ha, in ogni caso, innescato un vero e proprio processo di de-strutturazione del sistema della contrattazione collettiva, come si era temuto274, ma ha condotto a ripensare il ruolo del contratto collettivo aziendale e quindi, quale necessario presupposto, ampiezza e contenuti del contratto di categoria, ormai spesso obsoleti275. Si è ritenuto che quest’ultimo possa conservare, in ogni caso, la sua ragion d’essere quale generale rete di protezione dei trattamenti minimi, come in effetti si vedrà immediatamente è stato, lasciando però più ampia facoltà d’uscita al contratto aziendale, in un ruolo non tanto genericamente cooperativo276, ma più intraprendente e, così, libero di “sganciarsi” dalla disciplina nazionale277 ogni volta che occorre fronteggiare una crisi aziendale o favorire lo sviluppo economico ed occupazionale.
4. L’«Accordo interconfederale» del 28 giugno 2011: erede del Protocollo del 1993 o degli Accordi del 2009?
Nel giugno del 2011 le tre storiche Confederazioni, in ritrovata unità, e Confindustria sottoscrivono un Accordo interconfederale che segna un’evoluzione fondamentale dell’ordinamento intersindacale nella promozione della contrattazione aziendale, raccogliendo i contributi offerti dagli Accordi del 2009 e dalle vicende negoziali Fiat.
Le parti ritengono, in premessa, sia «essenziale un sistema di relazioni sindacale e contrattuali regolato e quindi in grado di dare certezze non solo riguardo ai soggetti, ai livelli, ai tempi e ai contenuti della contrattazione collettiva, ma anche sull’affidabilità ed il rispetto delle regole stabilite».
L’Accordo del 28 giugno 2011 non rinuncia a mantenere al centro del sistema di contrattazione il contratto nazionale, con «funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale» (punto 2); si aprono, tuttavia, importanti spazi alla contrattazione aziendale che «si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di categoria o dalla legge» (punto 3), ma
274 G. P. CELLA, Verso una destrutturazione del sistema di contrattazione collettiva?, in Dir. rel. ind., 2011, p. 274-275.
275 X. XXXXXXX, Le relazioni industriali dopo Xxxxxxxxxx e Mirafiori. Opinioni a confronto, in Dir. rel. ind., 2011, p. 371.
276 X. XXXXXXX, Se quarant’anni vi sembrano pochi…, cit., p. 24.
277 X. XXXXX, Le relazioni industriali dopo Pomigliano e Mirafiori. Opinioni a confronto, in Dir. rel. ind., 2011, p. 375.
soprattutto può, ora per regolamentazione condivisa delle principali Confederazioni dei lavoratori, «attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze di specifici contesti produttivi. I contratti aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.» (punto 7, 1a parte); onde assicurare l’immediata spendibilità della clausola di uscita, l’Accordo detta, altresì, una disciplina transitoria «Ove non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro» (punto 7, 2a parte)278.
L’Accordo, la cui regolamentazione -si premette sin d’ora- confluirà senza evoluzioni significative nel c.d. Testo Unico sulla Rappresentanza (ovvero l’Accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 che attua279 l’Accordo del 2011 e il successivo Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 sulla contrattazione nazionale), conferma la scelta dell’ordinamento intersindacale italiano per un modello di
«decentramento organizzato» ovvero controllato dal centro280, ovvero mantiene un
«governo unificato e centralizzato di un processo pluricategoriale e plurilivello»281. Eppure, senza tradire l’impostazione che vuole il contratto di categoria al centro della regolamentazione delle materie e degli istituti del rapporto individuale di lavoro, è comunque immediatamente riconoscibile un investimento delle parti sociali sulle potenzialità del contratto collettivo aziendale, non più considerato quale “via di fuga” dal regolamento nazionale, ma sollecitato a «favorire le diversità
278 L’Accordo del 2011 introduce la disciplina, di natura contrattuale, su altro tema particolarmente “caldo”, soprattutto a seguito delle vicende negoziali Fiat: la misurazione della rappresentanza e l’efficacia degli accordi aziendali. Il profilo si pone al di fuori dell’approfondimento che si vuole svolgere, concentrato sulla funzione normativa del contratto aziendale più che sui soggetti e sulla forza vincolante dell’accordo decentrato. Per la ricostruzione di quest’ultimo profilo, che interessa anche i successivi accordi interconfederali del maggio 2013 e del gennaio 2014, v., tra tanti, X. XXXXXXX, Il lungo cammino verso Xxxxxxxx della rappresentatività sindacale (dal titolo III dello Statuto dei lavoratori al Testo unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014), in Dir. rel. ind., 2014, 2, p. 309 ss., e, del medesimo A., Xxxxxxxx Xxxxx, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’art.19, lett. b) St.), WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 179/2013; P. XXXXXXXXXXX, La rappresentanza sindacale e gli assetti della contrattazione collettiva dopo il Testo unico del 2014: spunti di riflessione, in Riv. it. dir. lav., 2014, 2, p. 236.
279 X. XXXXXXXXX, Breviario di diritto del lavoro, 10° ed., Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2015, p. 121 e 123. 000 X. XXXX, Xx relazioni industriali dopo l’Accordo del 28 giugno 2011. L’Accordo 28 giugno 2011 e oltre, in Dir. rel. ind., 2011, p. 613. La nozione di «decentramento organizzato» e
«disorganizzato», da più parti ripresa, è stata elaborata da X. XXXXXXX, Two logics of collective action in industrial relations?, in X. XXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Organised industrial relations in Europe: what future?, Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000.
281 X. XXXXXXX, L’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?, in Arg. dir. lav., 2011, 3, p. 459.
della qualità del prodotto e quindi la competitività dell’impresa» e a «raggiungere risultati funzionali all’attività delle imprese e alla crescita di un’occupazione stabile e tutelata», soprattutto deve essere orientato «ad una politica di sviluppo adeguata alle differenti necessità produttive».
L’Accordo del 2011, pur essendo convenuto per il solo settore industriale, è un tassello atteso nella regolazione delle relazioni industriali e contrattuali, ancor più intensamente in seguito all’allontanamento della Cigl dalle intese interconfederali del 2009 (soprattutto da quella del 15 aprile) e all’irrigidimento del suo sindacato di categoria Fiom nelle vicende Fiat. Soprattutto, l’intesa dimostra la, recuperata, capacità regolatrice autonoma delle parti sociali282.
Il primo profilo rilevante riguarda, dunque, l’introduzione dell’Accordo del 2011 nell’ordinamento intersindacale, dovendosi, quindi, mettere a fuoco se ed in che modo quest’intesa si rapporta con il precedente Accordo del 2009, seppur separato, e, ancor prima, con il Protocollo del 1993.
Non si ritrova, nell’accordo interconfederale in esame, alcun espresso richiamo né al Protocollo del 1993 e, tantomeno, agli accordi del 2009 perché, si è detto, ci si troverebbe altrimenti di fronte ad un trattato di pace in piena regola283. Non si può, tuttavia, negare come la stesura del testo del 2011 si sia svolta secondo le – sempre attuali- proposte di revisione della Commissione Xxxxxx, rifinendo, anche tecnicamente, quanto abbozzato nel 2009.
Il seguente tentativo di definire il rapporto tra l’Accordo del 2011 e i suoi predecessori in termini di successione, integrazione o sostituzione è da intendersi limitato alla disciplina inerente gli assetti contrattuali e, precisamente, le competenze normative del secondo livello di contrattazione nel settore industriale; vi sono, infatti, profili, affrontati negli Accordi del 2009, che non sono oggetto di riesame nel 2011 (la durata del contratto collettivo nazionale, le procedure di rinnovo e l’impegno a non assumere iniziative unilaterali, il Comitato paritetico; ma anche il riconoscimento dell’elemento di garanzia retributiva ed il nuovo parametro di riferimento per i rinnovi contrattuali): sarebbe una forzatura eccessiva ritenerli “implicitamente abrogati” solo perché non riportati nell’Accordo del 2011
282 X. XXXXXXXXXX, Nuove relazioni industriali all’insegna della sussidiarietà e del principio di effettività, in E. MASSAGLI, X. XXXXXXXXX (a cura di), L’accordo unitario su contratti e rappresentanza, Bollettino speciale Adapt, n. 35/2011, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx. 283 X. XXXXXXX, L’Accordo interconfederale …, cit., p. 458.
(semmai la problematica si sposta al momento di attuazione di tali contenuti, ancora privi dell’adesione della Cgil), tanto più che questi non appaiono incompatibili con le misure stabilite nel 2011284.
Tornando alla revisione del ruolo della contrattazione aziendale, l’Accordo del 15 aprile 2009, pur con le sue aperture ancora insicure e confuse al decentramento del momento contrattuale, è premessa all’Accordo del 2011, come risulta dalla vicinanza del testo del 2011 a quello dell’Intesa siglata, unitariamente, nel maggio del 2008285. Quest’ultima, in un primo momento, era stata sviluppata solo da alcuni dei principali attori sindacali, nelle intese del gennaio ed aprile 2009; l’accordo di due anni dopo recupera la volontà manifestata da tutti nel 2008 di aggiornare il sistema contrattuale e fornire alla contrattazione di secondo livello di strumenti efficaci di crescita e diffusione.
Il quadro di riferimento dell’Accordo del 2011, dunque, comprende sia il Protocollo del 1993 sia le intese del 2009 e si pone in continuità con essi: ciò che non è immediatamente chiaro, si è detto, è se il rapporto sia in termini di sostituzione o di integrazione per l’assenza di espliciti rinvii.
Vi sono posizioni che ritengono il Protocollo Giugni così come gli accordi del 2009 implicitamente abrogati alla luce dell’accordo unitario del 2011 perché esauritasi la loro funzione (rispettivamente, per raggiungimento dello scopo e per inefficacia di fatto)286, si contrappongono posizioni più caute; queste ultime non rinvengono segnali certi da cui dedurre che la nuova intesa ha la funzione di modificare e di integrare gli accordi del 2009 e, quindi, di sostituire il Protocollo del 1993, o che la stessa prescinde del tutto da tali accordi, ponendosi piuttosto quale primo passo di una nuova riforma della struttura contrattuale, se non addirittura del sistema di relazioni industriali287.
284 X. XXXX, Dall’Accordo interconfederale 28 giugno 2011 all’art. 8 del d.l. n. 138/2011, in X. XXXXXXX (a cura di), Contrattazione in deroga, Ipsoa, Milano, 2012, p. 142.
285 X. XXXX, L’Accordo del 28 giugno 2011…, cit., p. 614; X. XXXX, Gli assetti contrattuali…, cit., p. 524.
286 X. XXXXXXXX, Regole certe su rappresentanze sindacali e contrattazione collettiva con l’Accordo interconfederale 28 giugno 2011, in Lav. nella giur., 2011, 7, p. 653.
287 X. XXXXXXXX, L’Accordo del 28 giugno: cambia ancora la struttura della contrattazione?, testo disponibile su xxx.xxxxxxxxx.xxx, p.1; X. XXXXX, L’Accordo interconfederale 28 giugno 2011: un’inversione di tendenza nel sistema di relazioni industriali, in Arg. dir. lav., 2012, 1, p. 44; X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, intervento in Il nuovo sistema delle fonti nel diritto del lavoro, in Mass. giur. lav., 2012, 3, p. 157.
Ulteriori elementi di complicazione si hanno nei rinnovi dei contratti di categoria successivi al 2011, ove, come si vedrà, sono talvolta mantenute disposizioni che, in realtà, trovano giustificazione nel precedente assetto contrattuale (come, per esempio, la clausola del ne bis in idem): l’alternativa è, dunque, quella di considerarli lasciti, non riesaminati, di una struttura di contrattazione collettiva ormai superata, privi di alcun valore precettivo; o di leggervi la volontà degli agenti negoziali di mantenere in vita, in assenza di chiare indicazioni circa la loro inefficacia, alcune scelte del sistema fondato negli anni ’90 così come rivisto nel 2009.
In sede di rinnovo del contratto di categoria, in alcuni casi si è fatto esplicito richiamo all’accordo interconfederale del giugno 2011 quale cornice nella quale ciascun settore merceologico intende inquadrare la relativa contrattazione collettiva, senza, invece, alcun riferimento agli accordi del 2009, in particolare quello dell’aprile288.
Seppur conclusione più radicale, si ritiene sia preferibile la prima interpretazione: ovvero, considerare oggi del tutto superato -almeno per quanto riguarda la disciplina degli assetti contrattuali ed, in particolare, la distribuzione delle competenze normative tra livello nazionale e decentrato nel settore industriale- l’assetto di cui al Protocollo del 1993 e all’intesa dell’aprile 2009.
L’accordo del 2011 fornisce, infatti, il nuovo parametro di riferimento per i rinnovi dei contratti di categoria e per gli accordi di livello decentrato (ora -si vedrà- identificato esclusivamente con la sede aziendale) e, quindi, l’unica misura della legittimità della regolamentazione in essi raggiunta. L’ammissibilità e la portata di eventuali sedimenti della struttura precedente andranno verificati alla luce del nuovo schema di relazioni e di contrattazione, rivelandosi con molta probabilità disposizioni ormai vuote di contenuto precettivo.
4.1. Le competenze del contratto aziendale, (ancora) «delegate» dal contratto di categoria.
288 C.c.n.l. Imprese e società esercenti servizi ambientali 21.03.2012, art. 2; C.c.n.l. personale della mobilità 20.07.2012, art. 2 bis; C.c.n.l. Industrie alimentari 27.10.2012, art. 5; C.c.n.l. Tessili
19.06.2013, art. 1; C.cn.l. Abbigliamento 4.02.2014, artt. 9 e 10 e Allegato M). Testi reperibili all’indirizzo xxxx://xx00.xxxxxxxxxxxx.xx/xxx-xxx/XxxXxxx.
Con decisione le Confederazioni confermano la struttura negoziale articolata su due livelli: il livello nazionale di categoria ed un livello decentrato che, ora, viene esplicitamente riconosciuto nel solo livello aziendale, con scomparsa di ogni riferimento al livello territoriale (ricorrono le consuete osservazioni in merito alla diffusione, ancora troppo limitata, della contrattazione aziendale, cui Confindustria obietta asserendo che circa il 70% delle imprese associate289 è coperta da contratto aziendale).
Se l’Accordo nel 2011, nel definire il contratto aziendale, persegue nella strada intrapresa dall’Accordo del 2009, rispetto a questa intesa offre soluzioni che nel complesso si coordinano in un vero supporto giuridico-strutturale290, non finalizzate a trasmettere, come nel 2009, un’opzione di natura principalmente politica.
La contrattazione aziendale continua ad agire su «delega» del contratto di categoria: rimane, dunque, confermata la configurazione del rapporto tra contratto nazionale e aziendale in termini gerarchici.
E’, si ritiene, sconsigliabile sopravvalutare il ricorso al termine «delega»291.
L’esame delle concrete, e varie, modalità con cui il contratto di categoria apre alla contrattazione decentrata trattengono, infatti, dall’impostare in chiave di rigida gerarchia il rapporto tra contratto nazionale e aziendale.
Se quest’ultima deduzione può essere immediata alla lettura del punto 3 dell’Accordo, è altresì immediato notare come sulla struttura della delega l’Accordo non detti alcuna disposizione, rimettendosi al contratto nazionale.
Dall’ulteriore verifica dei rinnovi di categoria emerge un genere di clausole di “rinvio” o “delega” estremamente variegato.
Talvolta sono concessi margini molto ristretti, di esclusivo contenuto economico: per esempio, la rimessione alla contrattazione aziendale della disciplina del premio di produttività, una volta definite le linee guida292, la funzionalizzazione della contrattazione aziendale all’esclusiva negoziazione di erogazioni variabili volte al miglioramento delle condizioni economiche del personale, rimettendo all’accordo decentrato la determinazione del premio di risultato e riservando all’esclusiva competenza del livello nazionale tutti gli istituti del rapporto di lavoro
289 X. XXXXXXXX, L’Accordo del 28 giugno …, cit., p. 2.
290 X. XXXX, Gli assetti contrattuali…, cit., p. 525.
291 X. XXXX, Gli assetti contrattuali…, cit., p. 527; X. XXXXXX, Azienda, contratto e sindacato, Cacucci editore, Bari, 2012, p. 111.
292 Ccnl Turismo 21.04.2015, art. 28.
individuale293; ancora di contenuto economico è il rinvio alla contrattazione aziendale per la definizione delle condizioni retributive spettanti ai lavoratori con orari di lavoro non omogenei294.
Altre volte la delega spazia anche a singoli profili di determinati istituti, soprattutto in materia di orario295 o altri istituti296.
La struttura della delega può spingersi ad investire la contrattazione aziendale della complessiva regolamentazione di vere e proprie materie: per esempio, in materia di formazione, salute e sicurezza, nonché prestazioni di carattere solidaristico-assistenziale297 o in materia di classificazione del personale298. Non mancano nemmeno ipotesi in cui ancora si utilizza il termine «rinvio»299.
A fronte della variabilità dei contenuti della «delega», forse riflesso di un diverso atteggiamento del contratto nazionale nei confronti di quello aziendale mutevole a seconda della categoria merceologica, appare preferibile non vedere nel termine
«delega», in luogo del termine «rinvio», più che una scelta politico-sindacale delle storiche Confederazioni: queste, spinte anche dal desiderio e dalla necessità di recuperare la sigla dissenziente, non hanno rinunciato a confermare il contratto nazionale nel suo ruolo di garante della disciplina normativa uniforme sul territorio nazionale, considerata ancora regola di fondo del sistema contrattuale300; ma, allo stesso tempo, hanno voluto una contrattazione di secondo livello performante, preposta al completamento e allo sviluppo della disciplina collettiva a seconda delle diverse realtà aziendali.
293 C.c.n.l. Impianti di trasporto a fune 28.03.2014, artt. 2, 38 e 39; C.c.n.l. Abbigliamento 4.02.2014, art. 12 ove tra l’altro vi è un richiamo alla «prassi in atto nel settore».
294 .C.c.n.l. Imprese di spedizione, autotrasporti merci e logistica, art. 9.
295 Per esempio: collocazione dei giorni di riposo dei turnisti, v. C.c.n.l. 22.09.2012 Chimici art. 25; superamento del monte ore annuo di straordinario, v. C.c.n.l. 21.03.2012 Imprese e società esercenti servizi ambientali, art. 2, lett. B.2.
296 Per esempio la durata preavviso e clausole elastiche, v. ancora C.c.n.l. 21.03.2012 Imprese e società esercenti servizi ambientali, art. 2, lett. B.2.
297 C.c.n.l. 20.06.2013 Autorimesse, noleggio auto e automezzi, art. 6.
298 C.c.n.l. Metalmeccanici-piccola media industria 1.10.2013, art. 10; C.c.n.l. Chimici 4.03.2013, art. 3. Tutti i testi dei contratti collettivi nazionali di lavoro citati sono reperibili all’indirizzo xxxx://xx00.xxxxxxxxxxxx.xx/xxx-xxx/XxxXxxx.
299 C.c.n.l. 1.02.2013 Servizi di telecomunicazione, art. 3.
300 X. XXXXXXXX, Un buon accordo finalmente, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Le relazioni industriali…, cit.; Contra X. XXXXXXXX, Osservazioni estemporanee sull’Accordo interconfederale del 2011, in Arg. dir. lav., 2011, 3, p. 451: l’A. legge nell’Accordo del 2011 il
«rifiuto condiviso a continuare a tenere ferma la tradizionale concezione centralizzante che vede nel contratto collettivo nazionale il momento essenziale e determinante della disciplina delle relazioni sindacali».
Nel rinnovato sistema di relazioni industriali, dunque, la soluzione prospettata per la contrattazione aziendale è la c.d. «adattabilità»301: nello strumento della
«delega», quindi, si ritrova la scelta di sistema di delegare al contratto aziendale l’adattamento delle condizioni economiche e normative agli specifici contesti produttivi302. Scelta ulteriormente rafforzata, come si vedrà, nella previsione di altri strumenti, primo tra tutti la c.d. clausola d’uscita.
Il valore della clausola di delega è quello di clausola ad effetto obbligatorio: l’eventuale norma aziendale eccedente la delega (che di fatto si sostanzia in una deroga non autorizzata)303 esporrà a sanzioni di carattere endo-associativo.
4.2. Segue. L’ampiezza della «delega» e l’eliminazione del c.d. principio del
ne bis in idem.
L’elasticità della delega, con riferimento ai potenziali contenuti, è altresì assicurata dall’espressione per cui la contrattazione aziendale si esercita «per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto nazionale» (punto 3).
L’inciso «in tutto o in parte» è da intendersi riferito alla diversa ampiezza della delega, sebbene sia stato suggerito, con massimo investimento nelle potenzialità della contrattazione aziendale, che «le materie che sono state delegate dal contratto nazionale sono solo “in parte” le materie sulle quali può dettar disciplina la contrattazione aziendale, nel senso che ben può disciplinare altre materie»304.
Non risulterebbe, quindi, precluso alla contrattazione aziendale regolare, pur in assenza di delega, una qualsiasi materia o una porzione di materia305.
Tale interpretazione potrebbe ritenersi avvalorata dall’eliminazione, con l’Accordo del 2011, del c.d. principio del ne bis in idem: sopprimendo il principio di non ripetibilità, si sarebbe voluto ampliare l’ambito di intervento del contratto aziendale, consentendo di ritornare su materie o istituti già disciplinati a livello di categoria, indipendentemente da una delega.
301 X. XXXXX, Xxxx e ombre sull’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, in Lav. nella giur., 2011, 9, p. 881.
302 X. XXXXXXX, 28 giugno 2011: come cambiamo le relazioni industriali italiane?..., cit., p. 642.
000 X. X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Xx contratto aziendale in deroga, WP. C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 254/2015, p. 9.
304 X. XXXXXXXX, Osservazioni estemporanee…, cit., p. 452; l’A. non ritiene che l’espressione avrebbe altrimenti senso, per la contraddizione che si creerebbe tra l’apertura dimostrata dalle parti in premessa e la volontà di limitare la competenza della contrattazione aziendale alle sole materie oggetto di specifica delega.
305 X. XXXX, Gli assetti contrattuali…, cit., p. 528.
Risulterebbero, però, così vanificati tutti gli sforzi di coordinamento tra livelli contrattuali: perderebbe significato non solo il «principio della delega» (che sembra preferibile al termine «istituto» per il valore più politico che strettamente giuridico), ma altresì quello della «deroga» legittima solo se conforme alle previsioni del contratto nazionale.
A ben vedere, sembra che l’interpretazione equivochi il principio del ne bis in idem, inteso quale insito nel principio di delega306 e non in quello di deroga.
Prescrivere la non ripetibilità, tuttavia, a ben vedere non specifica alcunché in termini di delega; al contrario, ove sancito, il ne bis in idem esclude del tutto che, in sede decentrata, al di fuori delle fattispecie di delega, si possa ritornare, implicitamente per modificare, la disciplina già compiutamente definita a livello di categoria.
In altri termini, il ne bis in idem esprime la negazione totale della facoltà derogatoria del contratto aziendale nei confronti di quello nazionale.
Non a caso era previsto nel Protocollo del 1993, ove la contrattazione aziendale era ammessa unicamente ad «integrare» il regolamento nazionale, agendo solo in forza di un rinvio dall’accordo di categoria, ma non anche in deroga allo stesso.
Al contrario, nell’Accordo del 2011 il contratto aziendale ha un ruolo di
«adattamento»307 della disciplina nazionale alle concrete esigenze produttive, così che, oltre alle competenze delegate, può declinare il contratto della categoria nelle specifiche realtà, sia di categoria che di azienda, anche per quanto da esso già regolato, di fatto derogandovi: proprio il riconoscimento della facoltà di deroga, dunque, spiega l’eliminazione della clausola di non ripetibilità.
E’, dunque, indubbio che alla caduta del principio in esame corrisponda un ampliamento del potere normativo del contratto aziendale, ma il «salto di qualità» della contrattazione aziendale si ha nell’abilitazione non più solo ad un ruolo integrativo, pure così come arricchitosi negli anni senza però, di fatto, mutare funzione308, ma anche di modifica del contratto nazionale309.
306 M XXXXX e X. XXXXX, Dall’Accordo interconfederale 28 giugno 2011..., cit., rispettivamente p. 82-83 e p. 96; X. XXXX, L’Accordo del 28 giugno …, cit., p. 616.
307 Termine riportato anche nel C.c.n.l. Abbigliamento 4.02.2014, Allegato M, ove si legge «La contrattazione aziendale permette quindi di riadattare continuamente i modelli organizzativi alle strategie dell’impresa». Il testo del C.c.n.l. è reperibile all’indirizzo xxxx://xx00.xxxxxxxxxxxx.xx/xxx- bin/FulShow.
308 X. XXXXXXXXXX, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Xxxxxxx, Milano, 2001, p. 138-139. 309 X. XXXX, Osservazioni sull’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e sulla legge in materia di «contrattazione di prossimità», WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 157/2012, p. 13.
Sembrano offrire conforto a questa interpretazione alcune posizioni che ricollegano all’eliminazione del principio del ne bis in idem maggiori facoltà normative del contratto aziendale di carattere acquisitivo310.
E’ da precisarsi, tuttavia, che se di tali ipotesi si condivide la correlazione della (soppressa) non ripetibilità alla derogabilità, in realtà non convince del tutto il diverso inquadramento sistematico della derogabilità in melius ed in peius: non è, infatti, chiaro perché la prima, in assenza di clausola di ne bis in idem, risulterebbe del tutto libera, mentre la seconda vincolata a parametri, criteri e procedure di cui alla clausola d’uscita del contratto di categoria.
Pur se acquisitive, sembra che pur sempre di deroghe alla disciplina nazionale si tratti, sebbene con funzioni diverse: la clausola di deroga additiva al contratto nazionale assume la funzione di calmierare le dinamiche contrattuali secondo un’esigenza propria dei periodi di crescita, esposti a spinte inflazionistiche; la clausola di deroga peggiorativa permette l’adattabilità del sistema contrattuale nei periodi di crisi311. Non si vede, dunque, la ragione per cui queste non debbano, almeno in tesi, sottostare ai medesimi vincoli dettati per quelle peggiorative (sebbene, sotto il profilo pratico, è difficile ritenere che deroghe esclusivamente migliorative diano luogo a dissensi).
Concludendo sull’ampiezza della facoltà normativa aziendale «delegata» (dal contratto nazionale), ricondurre la non ripetibilità ad un aspetto relativo alla derogabilità o meno del contratto nazionale da parte del contratto aziendale induce a ritenere che l’attività normativa in sede aziendale in funzione integrativa non possa che misurarsi sulla -sola- delega del contratto nazionale e, pertanto, esercitarsi solo ove prevista e con i limiti individuati312. E questo anche dopo la trasposizione della regolamentazione degli assetti contrattuale del 2011 nel Testo Unico del gennaio 2014313.
310 X. XXXXXXXX, L’Accordo del 28 giugno…, cit., p. 2; X. XXXXXX, Xxxxx e certezze sull’accordo del 28 giugno, p. 3, testo disponibile all’indirizzo xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; l’A. conferma la posizione anche in Azienda, contratto…, cit., p. 113: X. XXXXX, Dall’Accordo interconfederale 28 giugno…, cit., p. 83.
311 V. anche X. XXXX, L’Accordo 28 giugno …, cit., p. 619.
312 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Accordo interconfederale 28 giugno 2011 e art. 8 d.l. 138/2011 conv. con modifiche l. 148/2011: molte divergenze e poche convergenze, in Arg. dir. lav., 2011, 6, p. 1231 e Il contratto aziendale in deroga, cit., p. 9. Così sembra, alla fine, concludere anche X. XXXXX, Dall’Accordo interconfederale…, cit., p. 96.
313 P. XXXXXXXXXXX, La rappresentanza sindacale e gli assetti della contrattazione collettiva dopo il Testo Unico sulla rappresentanza del 2014: Spunti di riflessione, in Riv. it. dir. lav., 2014, I, p. 264.
Quanto sopra aiuta a interpretare le numerose clausole di irripetibilità che ancora si leggono nei contratti nazionali di categoria314: si tratta di lasciti del precedente assetto negoziale, prive di effettivo significato, posto che la contrattazione aziendale può avere ad oggetto istituti ripetitivi del contratto nazionale in conformità alla disciplina di cui alla clausola d’uscita.
La distribuzione della funzione normativa, che si potrebbe ritenere informata da una versione estremizzata del principio di sussidiarietà315 verticale, caratterizza l’assetto della contrattazione quale policentrico316, in relazione alle diverse finalità perseguite dalla regolamentazione collettiva: da un lato, garantire uniformi minimi di trattamento sul territorio nazionale, dall’altro, adattarsi alle peculiari esigenze concrete nelle differenti imprese.
4.3. Segue. L’intersecarsi delle «deleghe» contrattuali con le deleghe legislative.
La funzione normativa del contratto aziendale, secondo l’Accordo del 2011, non è solo quella delegata dal contratto nazionale, ma anche quella che si svolge in forza di una delega legislativa.
Rilevando la duplicità e la differente natura delle fonti deleganti, il contratto nazionale e la legge, si è lamentato il rischio di un «decentramento sregolato», per la possibile contraddizione tra le competenze rinviate dall’una e dall’altra fonte317: al mancato coordinamento tra delega legislativa e delega contrattuale conseguirebbe una più o meno ampia competenza normativa del contratto aziendale, su di un medesimo istituto o materia, a seconda che si guardi al rinvio legislativo o pattizio.
314 C.c.n.l. 13.05.2013 Aziende cooperative metalmeccaniche, art. 4; C.c.n.l. 27.10.2012 Alimentari,
art. 6; Accordo 13.02.2013 e 13.02.2012 per il rinnovo C.c.n.l. 2.06.2000 Panificazione, art… (Contrattazione di 2° livello relativa ai panifici ad indirizzo produttivo industriale); C.c.n.l. Abbigliamento 4.02.2014, art. 2; Acc. 18.02.2013 per il rinnovo C.c.n.l. 5.03.2010 Settore elettrico,
art. 3; C.c.n.l. Telecomunicazione 1.02.2013, art. 3; C.c.n.l. 21.03.2012 Imprese e società esercenti
servizi ambientali, art. 2; C.c.n.l. Turismo 21.04.2015, art. 28.
Al contrario, la clausola è soppressa, per esempio, nel C.c.n.l. 5.12.2012 Metalmeccanici, art. 4. Tutti i testi dei contratti collettivi nazionali di lavoro sono reperibili all’indirizzo xxxx://xx00.xxxxxxxxxxxx.xx/xxx-xxx/XxxXxxx.
315 X. XXXXX e X. XXXXX, 28 giugno 2011…, cit., rispettivamente p. 648 e p 653.
316 E. ALES, Dal «caso FIAT» al «caso Italia». Il diritto del lavoro “di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, WP. C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 134/2011, p. 8.
317 X. XXXXXXXX, L’Accordo del 28 giugno…, cit., p. 2; X. XXXXX, L’Accordo interconfederale 28 giugno 2011…, cit., p. 48; X. XXXX, Gli assetti contrattuali…, cit., p. 529.