LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO È LEGGE: NUOVE REGOLE IN MATERIA DI CONTRATTI FLESSIBILI, LICENZIAMENTI, AMMORTIZZATORI SOCIALI.
LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO È LEGGE: NUOVE REGOLE IN MATERIA DI CONTRATTI FLESSIBILI, LICENZIAMENTI, AMMORTIZZATORI SOCIALI.
SOMMARIO
1 L'art. 1: novità in materia di tipologie contrattuali 3
1.1 Liberalizzazione del primo contratto a tempo determinato o di somministrazione e modifiche alla disciplina generale dei contratti a termine 4
1.2 Abrogazione del contratto di inserimento 7
1.3 Modifiche al contratto di apprendistato 7
1.4 Modifiche alla disciplina generale dei contratti part-time 8
1.5 Lavoro intermittente 8
1.6 Il lavoro a progetto 9
1.7 Modifiche al contratto di associazione in partecipazione 12
1.8 Modifiche al lavoro accessorio (voucher) 12
1.9 Nuove linee di indirizzo sui tirocini formativi e di orientamento
13
2 L'art. 1: nuove regole in materia di licenziamenti individuali e collettivi 13
2.1 Requisiti dell'atto di licenziamento: obbligo di specificazione dei motivi 14
2.2 La comunicazione preventiva di licenziamento e la procedura di conciliazione obbligatoria 15
2.3 Il nuovo art. 18 dello Statuto dei Lavoratori 17
2.4 Nuove disposizioni in materia di licenziamenti collettivi 21
3 Tutele per i lavoratori licenziati: l’istituzione dell’ASpI 22
3.1 Entità del trattamento 23
3.2 Durata del trattamento e disciplina transitoria 23
3.3 Abrogazioni 25
3.4 La mini-ASpI 25
3.5 Il finanziamento dell’ASpI 26
3.5.1 Contributo addizionale per i contratti a termine 26
3.5.2 Contributo addizionale per cessazione dei rapporti a tempo indeterminato 26
3.5.3 Addizionale sui diritti d’imbarco 27
4 Sostegno al reddito dei xx.xx.xxx 27
5 Aumento dei contributi alla Gestione Separata 28
6 CIG e mobilità in deroga 28
7 Tutele in costanza di rapporto di lavoro 29
7.1 CIGS a regime in alcuni settori 29
7.2 Fondi di solidarietà 29
7.2.1 Fondi di solidarietà bilaterali per settori non coperti da CIG 29
7.2.2 Fondi di solidarietà alternativi 30
7.2.3 Fondo di solidarietà residuale 31
7.3 Utilizzo dell’ASpI per le sospensioni 31
7.4 Conversione di fondi speciali già esistenti 32
7.5 Abrogazioni 32
8 Ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro 33
8.1 Prepensionamenti (a carico delle aziende) 33
8.2 Incentivi all’assunzione 33
8.2.1 Lavoratori anziani 33
8.2.2 Donne 33
8.2.3 Condizioni di spettanza 34
8.3 Dimissioni convalidate 34
8.3.1 Dimissioni delle lavoratrici in gravidanza e dei neogenitori 35
8.3.2 Dimissioni e risoluzione consensuale in genere 35
8.4 Sostegno alla genitorialità 37
8.4.1 Congedi per il padre 37
8.4.2 Voucher per le neomamme 37
8.5 Modifiche al collocamento obbligatorio 37
8.6 Sgravi sulla contrattazione di secondo livello 38
8.7 Immigrati 38
8.8 Responsabilità solidale negli appalti 38
8.9 Decadenza dal diritto a beneficiare degli ammortizzatori sociali 39
8.10 Deleghe al Governo 39
8.11 Norme di natura fiscale 40
E' stata pubblicata sul Supplemento ordinario n. 136 alla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 3 luglio 2012, la Legge 28 giugno 2012 n. 92, intitolata "Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita" ma nota ai più come "Riforma Fornero" o più semplicemente "riforma del lavoro". La legge entrerà pertanto in vigore (fatte salve le diverse decorrenze, specificamente previste per alcune disposizioni) il 18 luglio 2012.
Il provvedimento ha avuto, com'è noto, una gestazione lunga e costellata di polemiche, ma rappresenta comunque un momento di svolta per il nostro mercato del lavoro e non soltanto per aver riscritto una norma fortemente simbolica come l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Possiamo anzi affermare che la riforma si basa su tre capisaldi:
1. sul versante dei contratti di lavoro, si introduce una maggior omogeneità di trattamento economico e soprattutto previdenziale tra le diverse tipologie di contratto subordinato e parasubordinato, con l'obiettivo di separarli nettamente dai contratti di lavoro realmente autonomo. Inoltre, ci sembra particolarmente importante, per quel che riguarda la flessibilità in ingresso, la sostanziale liberalizzazione del primo contratto a termine, fino a un anno di durata, che cancella in un colpo solo i rischi legati all'utilizzo di uno strumento fondamentale per agevolare l'ingresso nel mondo del lavoro.
2. Sul versante degli ammortizzatori sociali, viene realizzata la prima vera riforma strutturale da vent'anni a questa parte, introducendo da un lato un’assicurazione generale contro la disoccupazione, applicabile a tutto il lavoro dipendente, sulla falsariga di quanto avviene nel resto d'Europa; dall'altro, la cassa integrazione viene riportata alla sua funzione originaria di gestione delle crisi, temporanee o strutturali, che presentino però almeno qualche possibilità di reimpiego del personale, lasciando alle procedure di licenziamento collettivo e alle politiche attive la gestione delle chiusure aziendali. In questo quadro, non va sottovalutato nemmeno il superamento del sistema delle casse in deroga, la cui utilità contingente non deve farne dimenticare il carattere sostanzialmente distorsivo rispetto agli altri ammortizzatori sociali.
3. Infine, la normativa sui licenziamenti individuali (art. 18): la regola generale per i
licenziamenti illegittimi non è più basata sulla reintegrazione pura e semplice del lavoratore, che viene limitata alle ipotesi più gravi (e, in questi casi, l'indennizzo che l'accompagna scende notevolmente); in tutte le altre ipotesi, il lavoratore viene risarcito solo economicamente. L'indennizzo previsto non è di poco conto, almeno in alcune ipotesi, però presenta un altro, fondamentale vantaggio rispetto al passato: ha un tetto massimo e quindi consente una predeterminazione ragionevolmente certa del costo, soprattutto quando si tratta di realizzare il cosiddetto “aggiustamento fine” degli organici nelle aziende al di sopra dei 15 dipendenti. Indubbiamente, quella sui licenziamenti è la parte che potrà risentire maggiormente delle interpretazioni giurisprudenziali, anche a causa di una scrittura della norma poco lineare, almeno in alcuni passaggi, però resta un fatto fondamentale: la reintegrazione non è più la regola, ma l'eccezione.
E' possibile, anzi probabile, che il testo di legge, benché appena approvato, subisca già in un prossimo futuro alcune modifiche, soprattutto per quanto riguarda la parte relativa ai nuovi ammortizzatori. L'impianto complessivo è però destinato a restare inalterato ed è strutturato su 4 articoli, dedicati rispettivamente alle tipologie contrattuali e alla disciplina dei licenziamenti (art. 1); agli ammortizzatori sociali (art. 2); alle tutele in costanza di rapporto di lavoro (art. 3) ed infine a ulteriori norme in materia di servizi al lavoro, tutela del lavoratore e politiche attive (art. 4). Nell'esposizione che segue, ci soffermeremo soprattutto sulle novità, a nostro giudizio, più importanti, seguendo l'ordine utilizzato dal legislatore.
1 L'art. 1: novità in materia di tipologie contrattuali
1.1 Liberalizzazione del primo contratto a tempo determinato o di somministrazione e modifiche alla disciplina generale dei contratti a termine
Come si evidenziava in premessa, i commi 9 e 10 dell'art. 1 hanno liberalizzato, di fatto, l'utilizzo del contratto a tempo determinato e della somministrazione di lavoro, per favorirne l'utilizzo (in luogo di forme contrattuali alternative al lavoro subordinato) quali strumenti di primo ingresso in azienda, pur riaffermando che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro. A tale scopo, il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è stato modificato con l'inserimento, all'art. 1, del comma "1-bis" e quindi:
− viene eliminato l'obbligo di motivazione (le ben note "ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo"), sia per il primo contratto di lavoro subordinato tra il datore di lavoro e il lavoratore, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato;
− i contratti esenti da motivazione possono avere ad oggetto qualunque tipo di mansione;
− i contratti esenti da motivazione non possono avere durata superiore a dodici mesi;
− i contratti esenti da motivazione non possono essere prorogati allo scadere del termine fissato inizialmente, anche se inferiore ai dodici mesi.
Parimenti, anche la norma di riferimento in materia di somministrazione (l'art. 20, c. 4 del D.Lgs. 276/03) viene integrata per tener conto del principio appena esposto.
Tuttavia, in base all'art. 2 c. 28 della riforma, su tutti i contratti diversi da quello a tempo indeterminato graverà, a partire dal 1° gennaio 2013, un incremento contributivo pari all'1,4%, che potrà però essere recuperato, in tutto o in parte, in caso di stabilizzazione del lavoratore. Restano esenti dal contributo addizionale le assunzioni a termine per ragioni sostitutive e quelle per lavori stagionali.
La restituzione si applica:
− in caso di conversione a tempo indeterminato, alla scadenza del termine;
− in caso di successiva riassunzione, entro 6 mesi dalla scadenza del termine. L'importo restituito non può comunque eccedere le 6 ultime mensilità di contribuzione aggiuntiva, successive al superamento del periodo di prova e, nel caso di riassunzione successiva, va detratto un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso tra la scadenza del termine e la riassunzione.
La norma precisa che il contributo in questione non si applica nemmeno all'apprendistato, che però è considerato tradizionalmente un contratto a tempo indeterminato, seppure sottoposto a condizione risolutiva. La precisazione va intesa quindi semplicemente come una (utile) conferma.
Es.: ipotizziamo un lavoratore assunto a termine dal 1° febbraio 2013, per 12 mesi, con retribuzione lorda mensile di 1660,46 euro (paga base del 5° liv. ccnl Unionmeccanica).
La contribuzione aggiuntiva mensile sarà pari a 23,24 euro, che moltiplicati per 13 mensilità danno un totale di 302,12 euro di costo aggiuntivo. Di questi, l'importo relativo a 6 mensilità (139,44 euro) sarà restituito in caso di stabilizzazione alla scadenza del termine.
I critici della riforma affermano, quindi, che così la flessibilità in ingresso diventa più costosa per le aziende. Si consideri, però, che l'incremento di costo (modesto, tutto sommato), è a nostro avviso ampiamente compensato dalla eliminazione della causale per i primi 12 mesi di rapporto, che si traduce, di fatto, in un "periodo prova allungato" e consente sia di valutare meglio il lavoratore, sia anche di incrementare temporaneamente l'organico quando, ad es., le prospettive di mercato non sono ancora ben chiare, senza doversi preoccupare di un eventuale contenzioso sulla reale sussistenza, appunto, della causale.
La disciplina generale dei contratti a termine, di cui al D.Lgs. 368/2001 resta complessivamente invariata, salvo alcune modifiche che riguardano le ipotesi di prosecuzione oltre il termine o di reiterazione del contratto a termine. In particolare:
− la "franchigia" prevista dall'art. 5, c. 2, del D.Lgs. 368/2001, che evita di considerare a tempo indeterminato il contratto proseguito oltre la scadenza del termine inizialmente fissato, viene innalzata, rispettivamente, da 20 a 30 gg., per i contratti di durata inferiore a sei mesi; di 30 a 50 gg. negli altri casi. Il datore di lavoro avrà però l'onere di comunicare la prosecuzione al Centro per l'Impiego, entro la scadenza del termine inizialmente fissato, con modalità che saranno fissate da un apposito decreto ministeriale. In questo modo, si penalizzano le "dimenticanze", ma si consente di adattare più facilmente il termine pattuito inizialmente alle esigenze che ne stanno alla base.
− Parimenti, i termini prima dei quali non è possibile riassumere un lavoratore il cui contratto a termine si è appena concluso, previsti dall'art. 5, c. 3, del D.Lgs. 368/2001, sono incrementati rispettivamente da 10 a 60 gg. dopo la scadenza, se il primo contratto aveva durata fino a sei mesi; da 20 a 90 gg. dopo la scadenza, negli altri casi. Termini più brevi possono essere ripristinati dai contratti collettivi. Questa è, evidentemente, la modifica più sfavorevole alle imprese, perché in molti casi le costringerà, di fatto, alla "proroga" del termine.
− La disciplina della proroga, contenuta nell'art. 4 del D.Lgs. 368/2001, rimane in teoria immutata, pertanto essa non può avvenire per più di una volta e non va confusa con la prosecuzione trattata nell'alinea precedente (che quindi può sommarsi alla proroga: l'art. 5 del D.Lgs. 368/2001 si riferisce infatti alla continuazione "dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato"), alla quale può sommarsi. Di fatto, però, l'introduzione della comunicazione preventiva al collocamento per i casi di prosecuzione ex art. 5 snatura l'impianto originario e dà luogo a una (poco comprensibile) duplicazione di quella che ora potremmo definire "proroga in senso stretto" (ex art. 4): questa non ha limiti temporali (salvo i 36 mesi di durata totale), non ha maggiorazioni retributive e può avvenire una volta sola, mentre la "prosecuzione" di cui all'art. 5 diventa una sorta di "seconda proroga", limitata temporalmente e, soprattutto, gravata da una maggiorazione retributiva (già prevista nel D.Lgs. 368/2001). E' evidente, quindi, la convenienza di optare immediatamente per la proroga in senso stretto e solo allo spirare anche di questa, ricorrere eventualmente alla prosecuzione ex art. 5.
− Infine, il termine massimo di 36 mesi, oltre il quale il rapporto di lavoro fra lo stesso
datore di lavoro e lo stesso lavoratore si considera a tempo indeterminato, qualora il superamento derivi da proroghe, rinnovi e successioni di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro (art. 5, c. 4-bis, del D.Lgs. 368/2001), verrà conteggiato tenendo conto anche dei periodi di somministrazione presso lo stesso utilizzatore, per mansioni equivalenti.
Provando a riassumere, le differenze tra il regime "pre" e "post" la riforma introdotta dalla L. 92/2012 sono così sintetizzabili:
PRIMA | DOPO | |
OBBLIGO DELLA CAUSALE | Sempre | Non richiesta per il primo contratto, purché questo non abbia durata superiore a 12 mesi |
PROROGA DEL CONTRATTO (proroga "in senso stretto", art. 4 D.Lgs. 368/2001) | E' prevista una sola possibilità di proroga del termine originario. Le ragioni della proroga, purché riconducibili a ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, possono essere anche diverse da quelle che hanno determinato la stipulazione del contratto prorogato. La proroga deve essere comunicata al collocamento entro cinque giorni. | Idem |
PROSECUZIONE OLTRE IL TERMINE INIZIALE (art. 5, c. 2, D.Lgs. 368/2001) | Non determina la conversione automatica a tempo indeterminato, se contenuta entro: − 20 gg. dopo la scadenza originaria, in caso di contratti di durata fino a 6 mesi − 30 gg. dopo la scadenza originaria, in caso di contratti di durata superiore a 6 mesi Non sono previste comunicazioni al collocamento | Non determina la conversione automatica a tempo indeterminato, se contenuta entro: − 30 gg. dopo la scadenza originaria, in caso di contratti di durata fino a 6 mesi − 50 gg. dopo la scadenza originaria, in caso di contratti di durata superiore a 6 mesi E' necessaria una comunicazione al collocamento, prima della scadenza del termine originario |
COSTO DELLA PROSECUZIONE OLTRE IL TERMINE (art. 5, c. 1, D.Lgs. 368/2001) | E' dovuta al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto, pari al 20% fino al decimo giorno successivo ed al 40% per ciascun giorno ulteriore. | Idem |
RIASSUNZIONE CON UN NUOVO CONTRATTO A TERMINE (art. 5, c. 3, D.Lgs. 368/2001) | Non determina la conversione automatica a tempo indeterminato, se avviene dopo almeno: − 10 gg. dopo la scadenza del contratto precedente, se questo aveva durata fino a 6 mesi − 20 gg. dopo la scadenza originaria, in caso di del contratto precedente, se questo aveva durata superiore a 6 mesi | Non determina la conversione automatica a tempo indeterminato, se avviene dopo almeno: − 60 gg. dopo la scadenza del contratto precedente, se questo aveva durata fino a 6 mesi − 90 gg. dopo la scadenza originaria, in caso di del contratto precedente, se questo aveva durata superiore a 6 mesi |
LIMITI ALLA SUCCESSIONE DI CONTRATTI A TERMINE - DURATA MASSIMA (art. 5, c. 4-bis, D.Lgs. 368/2001) | La durata complessiva del contratto non può superare (fatte salve eventuali deroghe previste dai ccnl) i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi e indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro |
1.1.1 Modifiche alla disciplina del contenzioso sui contratti a termine
Per quanto riguarda le norme sul contenzioso, la riforma opera in due direzioni.
1. Sotto il profilo strettamente procedurale, la mera impugnazione del contratto, qualora si eccepisca la nullità del termine, dovrà essere formulata entro 120 giorni (attualmente sono 60) dalla data di cessazione del contratto stesso; viceversa, il vero e proprio ricorso giudiziale (o la richiesta di esperimento del tentativo di conciliazione o dell'arbitrato) dovrà essere avviato entro i 180 giorni successivi all'impugnazione (attualmente sono 270). Entrambe le modifiche si applicheranno con riferimento ai contratti a tempo determinato che cesseranno dal 1° gennaio 2013.
2. Per quanto riguarda, invece, la sanzione in caso di conversione a tempo indeterminato del rapporto, viene fornita un'interpretazione autentica (basata, peraltro, su una recente sentenza della Corte Costituzionale) della norma di cui all'art. 32, c. 5, della L. 183/2010 ("Collegato lavoro"): si precisa infatti che il risarcimento dovuto al lavoratore e quantificato tra un minimo di 2,5 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, è l'unico risarcimento spettante al lavoratore ed è quindi comprensivo anche di quanto derivante da eventuali ricadute di ordine retributivo (ad es. quando il lavoratore lamenta anche la mancata percezione, per effetto della mancata conversione, di aumenti, scatti etc.) e contributivo (ad es. quando il lavoratore lamenta, per lo stesso motivo, anche la perdita di periodi contributivi utili).
1.2 Abrogazione del contratto di inserimento
Il comma 14 dell'art. 1 abroga definitivamente, a partire dal 1° gennaio 2013, questa figura contrattuale, notoriamente mai troppo convincente.
1.3 Modifiche al contratto di apprendistato
Benché entrato completamente in vigore da nemmeno 3 mesi, il nuovo Testo Unico sull'apprendistato è già oggetto di manutenzione: indipendentemente dal merito delle modifiche, è un fatto che mette tristezza, soprattutto se si considera che le modifiche incidono non su una legge qualsiasi, ma su un "testo unico", cioè un provvedimento che avrebbe la presunzione di uniformare e razionalizzare tutta la disciplina formatasi precedentemente su un certo argomento. Pazienza.
Le novità sono contenute nel comma 16 dell'art. 1 e concernono:
1. la previsione di un termine di durata minima dell'apprendistato, da fissare a cura dei contratti collettivi nazionali e comunque non inferiore a 6 mesi;
2. con una norma di carattere interpretativo, si chiarisce che, in caso di recesso al termine del periodo formativo, durante l'effettuazione del periodo di preavviso (che porta ovviamente ad eccedere la durata prefissata per l'apprendistato) al rapporto continua ad applicarsi la disciplina propria dell'apprendistato;
3. a partire dal 1° gennaio 2013, nelle imprese con almeno 10 dipendenti sarà incrementato il limite massimo di apprendisti che possono essere contemporaneamente in servizio, che passa dal 100% al 150% delle maestranze specializzate e qualificate in servizio, mentre nelle imprese sotto i 10 dipendenti resta confermato il limite del 100%;
4. nelle aziende con almeno 10 dipendenti, l'assunzione di nuovi apprendisti e' subordinata alla conferma in servizio, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Dal computo della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l'assunzione
di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti suddetti sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto.
Oltre alle novità appena esposte, vanno però tenute in considerazione anche le ricadute sul contratto di apprendistato di due innovazioni di carattere previdenziale più generale, contenute nell'art. 2 della legge (vd. infra):
− l'introduzione dell'Aspi e l'estensione della relativa contribuzione di finanziamento (1,31%, pari all'attuale contribuzione Ds) anche ai rapporti di apprendistato;
− l'introduzione del contributo (pari al 50% del trattamento mensile di Aspi per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni) sulle interruzioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, tra le quali viene esplicitamente ricompreso l'apprendistato, tranne che per le interruzioni ad iniziativa del lavoratore.
1.4 Modifiche alla disciplina generale dei contratti part-time
Le modifiche al regime vigente per i rapporti a tempo parziale intervengono non sull'impianto di base, ma su due specifiche clausole che possono essere apposte al contratto: le c.d. clausole elastiche e quelle flessibili.
Ricordiamo che per "clausole elastiche" si intendono quelle che, nei soli contratti di tipo "verticale" o "misto", consentono al datore di lavoro di aumentare stabilmente (differenziandosi così dal mero lavoro supplementare) la durata della prestazione lavorativa, ancorché per un periodo delimitato nel tempo e magari solo eventuale; le "clausole flessibili", invece, sono quelle che consentono al datore di lavoro di variare la sola collocazione temporale della prestazione, senza aumentarne la durata complessiva.
Il comma 20 dell'art. 1 della L. 92/2012 stabilisce ora che:
− i contratti collettivi devono stabilire condizioni e modalità che consentano al lavoratore di richiedere l'eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche;
− i lavoratori studenti, nonché i lavoratori che si trovino in alcune condizioni di specifica difficoltà (lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa; patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa; convivente di età non superiore agli anni tredici o con figlio convivente portatore di handicap), possono revocare il consenso già prestato all'introduzione di clausole elastiche o flessibili nel loro contratto.
1.5 Lavoro intermittente
I comma 21 e 22 dell'art. 1 introducono modifiche ai limiti di età che consentono di instaurare in ogni caso (ovvero al di fuori delle ipotesi specificamente consentite dai ccnl) contratti di lavoro intermittente. Anche in questo caso, una semplice tabella consente di riepilogare meglio le differenze:
PRIMA | DOPO | |
POSSONO ESSERE SEMPRE ASSUNTI A CHIAMATA | soggetti: − con più di 45 anni di età − con meno di 25 anni di età | soggetti: − con più di 55 anni di età − con meno di 24 anni di età, purché l'attività sia svolta entro il 25° anno di età |
Inoltre, prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro dovrà comunicarne la durata alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio. Le modalità della comunicazione saranno fissate con decreto ministeriale e saranno comunque semplificate (anche mediante sms, fax o posta elettronica).
N.b.: per quanto riguarda i contratti di lavoro intermittente già in essere alla data del 18 luglio 2012, la legge prevede che, qualora non siano compatibili con le nuove disposizioni, cessino automaticamente di produrre effetti dal 18 luglio 2013.
1.6 Il lavoro a progetto
In quest'ambito, da sempre particolarmente delicato, le novità introdotte (art. 1, commi 23 e seguenti) sono parecchie e articolate. Il campo di applicazione viene ristretto, limitandolo a quei rapporti che presentano un effettivo collegamento con un risultato finale.
1.6.1 Modifiche alla regole contrattuali
Il comma 23 apporta una serie di modifiche agli articoli 61 e seguenti del D.Lgs. 276/2003, che hanno immediata efficacia per tutti i nuovi contratti stipulati dal 18 luglio 2012:
− il contratto dovrà essere riconducibile a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore;
− non saranno più ammesse le collaborazioni per l'esecuzione di un programma o di una fase di esso;
− il progetto dovrà essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non potrà consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente, tenendo conto del coordinamento con l'organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa;
− il progetto non potrà comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che potranno anche essere individuati dai contratti collettivi nazionali;
− il contratto dovrà contenere la descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire;
− l'individuazione di uno specifico progetto costituirà elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, pertanto la mancanza del progetto determinerà la costituzione automatica di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
− il compenso pattuito dovrà essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e non potrà essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, con riferimento ai minimi salariali applicati nello stesso settore alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati;
− In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non potrà essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali assimilabili per competenza ed esperienza;
− infine, sarà possibile recedere prima della scadenza per giusta causa, ovvero qualora emergano oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore, tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto;
− il collaboratore, a sua volta, potrà recedere anticipatamente, dandone preavviso, solo nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto individuale;
− n.b.: nel caso in cui l'attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quelle seguite dai lavoratori dipendenti dell'impresa committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, saranno considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto; restano escluse soltanto le prestazioni di elevata professionalità (che dovranno però essere individuate dai ccnl) e resta comunque ammessa la prova contraria, il cui onere è ovviamente a carico del committente.
1.6.2 Aumento dell'aliquota contributiva
Per completezza di informazione, va tenuto presente che la L. 92/2012 non ha toccato solo i contenuti civilistici del rapporto, ma anche quelli previdenziali: l'art. 2, c. 57 ha infatti previsto un ulteriore aumento di un punto percentuale annuo della aliquota, sino ad arrivare al 33% nel 2018 (24% per i soggetti pensionati o già iscritti ad un'altra gestione previdenziale obbligatoria), rispetto all'aumento introdotto dal 1° gennaio 2012 con la c.d. "legge di stabilità 2012" (L. 183/2011). Considerando quindi anche lo 0,72% aggiuntivo per le prestazioni assistenziali, dal 1° gennaio 2013 le aliquote saranno rispettivamente del 28,72% (soggetti scoperti) e del 19% (soggetti coperti) e aumenteranno di un ulteriore punto per ciascun anno successivo, fino al traguardo del 2018.
Al momento in cui andiamo in stampa, tuttavia, pare si sia raggiunta l'intesa per una rettifica di tale meccanismo, rinviando al 1° gennaio 2014 l'entrata in vigore del primo incremento di aliquota.
1.6.3 Il contrasto alle false partite Iva: presupposti e presunzioni
Le disposizioni contenute nel comma 26 dell'art. 1 sono particolarmente significative e puntano a sfoltire la platea dei lavoratori parasubordinati da quella congerie di figure che, soprattutto in alcuni settori, utilizzano il possesso della partita Iva come schermo per svolgere attività che di professionale hanno ben poco.
Il cardine su cui è costruita la norma è dato dalla presunzione che, accertati alcuni indicatori oggettivi, tali da evidenziare un regime di sostanziale "monocommittenza" (o quasi), si sia in presenza non di un professionista genuino ma, appunto, di un collaboratore coordinato e continuativo. La presunzione, naturalmente, è relativa, ovvero sarà sempre possibile, per il committente, dimostrare la natura realmente autonoma della prestazione (art. 2222 del Codice civile, "Contratto d'opera") e quindi che il rapporto si basa sull'obbligo a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, non soltanto con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, ma anche senza coordinazione e senza continuità.
Ricordiamo che si ha "coordinazione" quando, al di fuori di un rapporto con il vincolo della subordinazione, il collaboratore con la propria attività opera per il raggiungimento dei fini del soggetto collaborato, sulla base di un collegamento funzionale tra l'attività del collaboratore e quella del committente, pur con l'autonomia del primo nella scelta delle modalità per l'esecuzione della prestazione. La coordinazione sussiste perciò in tutti quei casi in cui l'attività del collaboratore è inserita nel più ampio contesto della realizzazione degli obiettivi del committente, senza privarla di quella autonomia organizzativa che costituisce elemento di differenziazione con il lavoro dipendente. In ultima analisi, si può definire "coordinazione" quella connessione funzionale che offre la possibilità al committente di ingerire nell'attività del collaboratore, senza tuttavia sfociare in un vincolo gerarchico.
La "continuità", invece, sussiste in un rapporto di durata, quando:
− il contratto implica attività di collaborazione per un certo periodo di tempo e per un numero indeterminato di prestazioni;
− la prestazione lavorativa si protrae in maniera indeterminata e implica una reiterazione delle prestazioni lavorative;
− il rapporto non si esaurisce con l'esecuzione di una o più prestazioni occasionali ma importi un insieme di prestazioni che nel complesso possono essere considerate come unica collaborazione.
Si tenga presente che la giurisprudenza di Cassazione ravvisa la continuità, nell'ipotesi di prestazione unica, anche quando il prestatore ha messo a disposizione esclusivamente del committente le proprie energie lavorative, derivandone una sorta di dipendenza economica.
La presunzione introdotta dal comma 26 dellart. 1 opera, pertanto, qualora si accertino almeno 2 dei 3 seguenti indici:
1. durata complessiva della collaborazione superiore a otto mesi nell'arco dell'anno solare;
2. corrispettivo (n.b.: anche se fatturato a più soggetti, riconducibili però al medesimo centro d'imputazione di interessi) che costituisce più dell'80% dei ricavi del collaboratore nell'arco dello stesso anno solare;
3. concessione al collaboratore della disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
La presunzione di cui sopra non opera, tuttavia, qualora la prestazione lavorativa presenti (congiuntamente, stando a un'interpretazione letterale del testo normativo) i seguenti requisiti:
− sia connotata da elevate competenze teoriche, acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività;
− sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233.
La presunzione è altresì esclusa (ma questo non significa che non si possa dimostrare il contrario) in caso di prestazioni lavorative svolte nell'esercizio di attività professionali, riservate agli iscritti a ordini professionali, registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati. Il Ministero del Lavoro dovrà svolgere una ricognizione di tali attività, entro il 18 ottobre 2012.
Le suddette disposizioni si applicheranno:
− immediatamente, ai contratti stipulati dal 18 luglio 2012;
− dal 18 luglio 2013, per i contratti già in essere al 18 luglio 2012.
Va detto, tuttavia, che anche in questo caso, alla data in cui andiamo in stampa pare sia stata definita un'intesa per rendere meno stringenti i parametri che fanno scattare la presunzione: in particolare, la durata superiore a 8 mesi e l'incidenza dell'80% sui ricavi complessivi dovrebbero rapportarsi non all'anno solare, ma a un biennio.
1.6.4 Il contrasto alle false partite Iva: sanzioni e conseguenze sul regime previdenziale
Nell'ipotesi in cui, ai sensi del comma 26 appena illustrato, un prestatore con partita Iva veda riclassificata la propria attività come "collaborazione coordinata e continuativa", ciò determina "l'integrale applicazione della disciplina di cui al presente capo" (ovvero, il Capo I del Titolo VII del D.Lgs., come modificato dalla riforma Fornero, che disciplina compiutamente il contratto di lavoro a progetto) e quindi anche la necessità che sussista un "progetto", con la conseguenza che:
− se questo manca, si avrà la riconversione a rapporto di lavoro subordinato (vd. sopra);
− se c'è, allora si realizza un nuovo e singolare regime dei versamenti contributivi, che sta a mezza strada tra il normale regime dei lavoratori a progetto (ripartizione del carico contributivo in ragione di due terzi sul committente e un terzo sul collaboratore, con versamento completamente a cura del committente) e quello previsto per i professionisti titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (contributo e oneri di versamento a carico del collaboratore, con rivalsa
del 4% verso il committente): difatti, gli oneri contributivi resteranno a carico per due terzi del committente e per un terzo del collaboratore, ma sarà quest'ultimo ad operare il versamento, fatto salvo ovviamente il diritto di rivalsa nei confronti del committente.
1.7 Modifiche al contratto di associazione in partecipazione
Il comma 28 dell'art. 1 modifica anzitutto il testo del Codice civile (articolo 2549), vietando che il numero degli associati impegnati in una medesima attività sia superiore a tre, qualora il loro apporto consista anche in una prestazione di lavoro.
Il divieto opera indipendentemente dal numero degli associanti, con l'unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo.
In caso di violazione del limite, il rapporto con tutti gli associati, il cui apporto consista anche in una prestazione lavorativa, si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
N.b.: la nuova regolamentazione si applica immediatamente ai nuovi contratti, ma anche a quelli già esistenti, con l'unica eccezione di quelli certificati ai sensi degli artt. 75 e seguenti del D.Lgs. 276/2003.
Una seconda innovazione, di carattere più strettamente sanzionatorio, è quella apportata dal comma 30, in base al quale i rapporti di associazione in partecipazione con apporto lavorativo si presumono, salva prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, se:
− instaurati o attuati senza che vi sia stata un'effettiva partecipazione dell'associato agli utili dell'impresa o dell'affare, ovvero senza consegna del rendiconto previsto dall'articolo 2552 del codice civile;
− l'apporto di lavoro non presenta i requisiti già visti per il lavoro a progetto (durata maggiore di 8 mesi; corrispettivo incidente per più dell'80% dei redditi; disponibilità di una postazione lavorativa permanente).
Nel secondo caso, in particolare, è da ritenere che, anche in questo caso, la conversione a lavoro subordinato operi qualora si registri la violazione di 2 dei 3 parametri.
1.8 Modifiche al lavoro accessorio (voucher)
In materia di voucher per lavoro accessorio, la nuova disciplina (dettata dai commi 32 e 33 dell'art.1) cambia radicalmente approccio:
− viene superato il criterio restrittivo precedente, che ne limitava l'utilizzo, in linea generale, solo ad alcune specifiche attività, ampliandone il campo di applicazione a qualunque attività lavorative di natura meramente occasionale;
− di contro, viene ristretta la possibilità di accumulare reddito da voucher presso più committenti, poiché ora i compensi percepiti non devono superare, con riferimento alla totalità dei committenti, il tetto 5.000 euro nel corso di un anno solare (finora, il tetto era riferito a ciascun singolo committente);
− in ogni caso, l'attività svolta a favore di committenti imprenditori commerciali o professionisti non può comportare compensi superiori a 2.000 euro, fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso dell'anno solare.
Inoltre, un decreto ministeriale provvederà a incrementare l'aliquota contributiva attuale del 13%, in funzione degli incrementi previsti per gli iscritti alla Gestione Separata art. 2 l. 335/95 (collaboratori coordinati e continuativi).
I cittadini extracomunitari potranno conteggiare i voucher percepiti, ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.
I buoni già richiesti alla data del 18 luglio 2012 potranno comunque essere utilizzati, fino al 31 maggio 2013, secondo la previgente disciplina.
1.9 Nuove linee di indirizzo sui tirocini formativi e di orientamento
In materia di tirocini, la riforma interviene specificamente su quelli già definiti "formativi e di orientamento" (ovvero quelli avviati entro 12 mesi dal conseguimento di un titolo di studio o di formazione professionale), ma ha dovuto tener conto del fatto che la competenza specifica in materia è riservata alle Regioni (in Veneto, ad es., dalla DGR 337/2012): pertanto, i commi da 34 a 36 dell'art. 1 hanno anzitutto previsto che, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della riforma, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano stipuli un apposito accordo per la definizione di nuove linee-guida in materia di tirocini formativi e di orientamento, sulla base dei seguenti criteri:
− revisione della disciplina dei tirocini formativi e previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell'istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività;
− individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza;
− riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta.
La vera novità è dunque l'introduzione dell'obbligo di corrispondere al tirocinante una somma "congrua" (che, ricordiamo, resta esente da assoggettamento contributivo, ma è imponibile fiscalmente). La mancata corresponsione dell'indennità in questione comporterà a carico dell'azienda ospitante l'irrogazione di una sanzione amministrativa, il cui ammontare varierà da 1.000 a 6.000 euro.
Restano comunque immodificate (e, dunque, ancora gratuite) le altre tipologie di tirocinio, quali quelli curricolari (promossi da Università, istituzioni scolastiche, organismi di formazione professionale etc., a favore dei propri studenti o allievi e all’interno del periodo di frequenza di un corso di studi o di formazione, per realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro), quelli obbligatori per l'accesso alle professioni ordinistiche, quelli finalizzati ad agevolare l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori disoccupati, inoccupati e/o appartenenti a specifiche categorie di soggetti, quelli estivi e quelli a favore di particolari categorie di soggetti.
2 L'art. 1: nuove regole in materia di licenziamenti individuali e collettivi
Benché contenute nello stesso articolo 1 della legge 92/2012, le nuove norme in materia di licenziamento costituiscono un corpus a sé stante e meritano, ovviamente, una trattazione separata e, soprattutto, approfondita.
La riforma Fornero formalmente, non abroga le norme previgenti (la Legge n. 604 del 15 luglio 1966 e l'art. 18 della Legge n. 300 del 20 maggio 1970, meglio nota come "Statuto dei Lavoratori), ma le riscrive profondamente, in particolare la seconda. Di quest'ultima, tuttavia, mantiene ferma (salvo che per i licenziamenti discriminatori) la netta distinzione di trattamento tra:
− datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti nella sede o nel comune ove ha avuto luogo il licenziamento, ovvero che comunque occupano più di 60 dipendenti, ovvero che comunque occupano più di 15 dipendenti e abbiano attuato le procedure di mobilità previste dalla legge n. 223/1991 (vd. Notiziario Apindustria n. 1 del 15 gennaio 2012);
− datori di lavoro che non raggiungono tali requisiti dimensionali.
Possiamo pertanto affermare sin d'ora che, in materia di licenziamenti, la riforma Fornero riguarda principalmente i datori di lavoro con più di 15 dipendenti e lascia quindi immutate le conseguenze di un eventuale licenziamento illegittimo operato dai datori di
lavoro che non raggiungono la soglia dei 15 dipendenti, ovvero il risarcimento del danno con un importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Va ribadito, come già affermato in premessa, che la scrittura del testo normativo non appare sempre armonica. Dal punto di vista sistematico, comunque, la riforma agisce su quattro direttrici:
1. intervenendo sui requisiti generali di legittimità dell'atto giuridico del licenziamento;
2. introducendo una netta differenziazione, anche sotto il profilo procedurale, tra i licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo (i licenziamenti disciplinari, sostanzialmente) e tutti gli altri, attraverso il ripristino una procedura obbligatoria di conciliazione preventiva, con l'intento di creare un effetto deflattivo del contenzioso giudiziale;
3. introducendo una modulazione delle conseguenze del licenziamento illegittimo, che confina la famosa "reintegrazione" alle sole ipotesi di maggior gravità del comportamento datoriale;
4. modificando la procedura prevista per i licenziamenti collettivi (espressione che d'ora in avanti sostituisce formalmente quella di "mobilità"), dettata dalla Legge n. 223 del 23 luglio 1991.
A queste si aggiungono norme specifiche di carattere processuale, anche qui con intento deflattivo e per cercare di sveltire i tempi del giudizio. Nella trattazione che segue, seguiremo la ripartizione sostanziale sopra indicata, che non sempre coincide con l'articolazione per commi del testo normativo.
Le nuove regole si applicano ai licenziamenti intimati dal 18 luglio 2012.
2.1 Requisiti dell'atto di licenziamento: obbligo di specificazione dei motivi
Il comma 37 opera, di fatto, una semplificazione procedurale rispetto al meccanismo precedente: in base al previgente art. 2 della L. 604/1966, il datore di lavoro non era tenuto a specificare nella lettera di licenziamento i motivi dello stesso, però il lavoratore aveva la facoltà di richiederli nei 15 giorni successivi, costringendo in tal caso il datore di lavoro a specificarli nei 7 giorni successivi. La riscrittura dell'art. 2 L. 604 operata dalla riforma taglia la testa al toro e impone la specificazione dei motivi fin da subito, recependo peraltro un indirizzo giurisprudenziale consolidato, almeno per quanto riguarda i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo. La giurisprudenza, in questi casi, richiede sistematicamente l'adozione della procedura prevista dall'art. 7 della L. 300/70 per i provvedimenti disciplinari, pertanto il lavoratore ha già cognizione di quanto gli viene addebitato.
Per rinvenire le conseguenze della mancata specificazione dei motivi, dobbiamo fare un salto
fino al comma 42 dell'art. 1 della riforma, che è poi quello che riscrive l'art. 18 della L. 300/70. Sul punto, viene prevista l'applicazione del regime generali dei licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo e pertanto il giudice
1. dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento
(niente reintegrazione, quindi);
2. condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva, determinata però in misura inferiore alla regola generale (vd. infra), tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
N.b.: il lavoratore ha però la possibilità di chiedere al giudice di accertare non solo il vizio formale, ma anche il difetto di giustificazione sostanziale del licenziamento, nel qual caso si torna alle conseguenze previste per tali ipotesi (vd. infra).
2.1.1 L'obbligo del licenziamento per iscritto
Cogliamo l'occasione dall'enunciazione dell'obbligo di motivare il licenziamento, per una divagazione dal contenuto della riforma, precisando che l'obbligo della forma scritta era già sancito dal primo comma dell'art. 2 della L. 604/66. La giurisprudenza è quindi pacifica nel considerare del tutto inefficace il licenziamento in forma verbale: non est de hoc mundo, semplicemente non esiste. Ciò significa che, a prescindere dal numero di dipendenti occupati, il rapporto di lavoro non si interrompe e il diritto del lavoratore alla retribuzione continua a decorrere, nonostante gli sia inibito di prestare la propria opera.
Il nuovo art. 18, come riscritto dalla riforma Fornero, precisa comunque che il licenziamento verbale dà diritto alla reintegrazione e al risarcimento del danno.
2.2 La comunicazione preventiva di licenziamento e la procedura di conciliazione obbligatoria
La riforma (commi 40 e seguenti dell'art. 1) introduce un meccanismo di "valutazione preventiva" del licenziamento, applicabile esclusivamente:
− ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo;
− ai datori di lavoro che rientrano nei parametri dimensionali fissati dall'art. 18 L. 300/70.
Sono escluse da questa procedura, quindi, le imprese che non superano i 15 dipendenti, a prescindere dal tipo di licenziamento messo in atto.
Qualora ricorrano entrambi i suddetti requisiti, il licenziamento deve essere preceduto da una comunicazione inviata:
− alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera (a mezzo racc. a/r o posta elettronica certificata, ragionevolmente);
− al lavoratore medesimo, per conoscenza (a mezzo racc. a/r o a mano, dato che la norma precisa che la comunicazione si considera validamente effettuata, quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio da lui formalmente comunicato al datore di lavoro, ovvero quando ne sottoscrive copia per ricevuta).
Nella comunicazione, il datore di lavoro:
1. manifesta l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo;
2. indica i motivi del licenziamento medesimo, nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
Il rispetto della suddetta procedura, quando prescritta, è una "condizione di procedibilità": in difetto della stessa, il licenziamento è del tutto inefficace e si applica la stessa sanzione prevista per la mancata indicazione dei motivi nella comunicazione di licenziamento (vd. sopra, par. 2.1).
Ricevuta la comunicazione, La Direzione territoriale del lavoro deve convocare insieme il datore di lavoro e il lavoratore, nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta. L'incontro si svolge dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione, costituita presso la stessa Dpl.
All'incontro, le parti possono essere assistite dalle associazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato, ovvero da un rappresentante sindacale dei lavoratori, nonché da un avvocato o da un consulente del lavoro. Se lo preferiscono, possono quindi presentarsi anche liberamente, senza alcuna assistenza.
Scopo dell'incontro in Commissione provinciale è l'esame non solo delle motivazioni, ma anche di eventuali soluzioni alternative al recesso. La procedura deve comunque concludersi entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro, a meno che le parti non concordino di proseguire la discussione per tentare di raggiungere un accordo. La procedura, tuttavia, può essere sospesa per un massimo di 15 giorni, purché vi sia un legittimo e documentato
impedimento del lavoratore. Non sono ammesse sospensioni dei termini, quindi, per impedimenti riguardanti l'impresa (chiusure feriali, ad es.) e tantomeno il suo titolare.
Gli sbocchi possibili sono ovviamente due:
LA CONCILIAZIONE RIESCE | LA CONCILIAZIONE FALLISCE O TRASCORRE INUTILMENTE IL TERMINE DI 20 GG. (SALVO SOSPENSIONI) |
L'accordo può prevedere: 1. una misura alternativa al licenziamento; 2. la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, che consente al lavoratore di usufruire della nuova Assicurazione sociale per l'impiego (ASpI, vd. infra), sostitutiva della tradizionale indennità di disoccupazione e può prevedere un percorso di ricollocazione professionale, attraverso l'affidamento ad un'Agenzia per il lavoro. | 1. Il datore di lavoro comunica il licenziamento al lavoratore; 2. il licenziamento decorre dal giorno di avvio del procedimento; 3. il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato; 4. resta salvo l'eventuale diritto del lavoratore al preavviso residuo o alla relativa indennità sostitutiva; 5. resta altresì salva, qualora applicabile, la sospensione degli effetti del licenziamento prevista dalle disposizioni a tutela della maternità e paternità; 6. il licenziamento resta altresì sospeso in caso di impedimento derivante da infortunio "occorso" sul lavoro; 7. nel contenzioso giudiziario che presumibilmente seguirà al licenziamento, il giudice dovrà tener conto, ai fini della quantificazione del risarcimento spettante eventualmente al lavoratore, del comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in Dpl e della proposta conciliativa avanzata dalla Commissione provinciale di conciliazione. |
Due osservazioni a commento:
1. la norma favorisce lo strumento della "risoluzione consensuale", consentendo che il lavoratore che la accetta possa ugualmente usufruire dell'Aspi (da quando entrerà a regime, vd. infra; ad oggi, l'indennità di disoccupazione viene negata al lavoratore che risolve consensualmente il rapporto, tant'è che le conciliazioni si fanno sempre partendo dal presupposto di un licenziamento già attuato);
2. la norma disciplina anche il regime del rapporto in pendenza della fase conciliativa e, soprattutto, consente di imputare al preavviso il periodo eventualmente svolto in servizio durante tale fase. Trattandosi di licenziamenti per motivi oggettivi, il preavviso è ovviamente sempre dovuto, tuttavia ci si chiede se il datore di lavoro abbia facoltà, in pendenza di conciliazione, di sospendere (anche solo per motivi di opportunità) dal servizio il lavoratore che intende licenziare: a nostro avviso sì, tuttavia, tale sospensione non potrà essere certo imputata a ferie (salvo che non sia il lavoratore a richiederle), né a preavviso, poiché quest'ultimo non dà luogo al diritto all'indennità sostituiva solo quando è effettivamente "lavorato".
La norma sulla decorrenza del licenziamento è contenuta nel comma 41 dell'art. 1 ed è particolarmente interessante, perché si applica anche ai licenziamenti disciplinari, una volta esaurito il procedimento di cui all'art. 7 della L. 300/1970 (vd. infra).
2.3 Il nuovo art. 18 dello Statuto dei Lavoratori
Il comma 43 dell'art. 1, L. 92/2012, ristruttura l'art. 18 della L. 300/70, suddividendolo in cinque grandi aree, alle quali corrispondono rispettivamente:
FATTISPECIE TUTELATA | COMMI DI RIFERIMENTO NEL NUOVO ART. 18 | SANZIONE |
Licenziamento discriminatorio | Commi 1 - 2 - 3 | Reintegrazione + risarcimento minimo 5 mens. |
Licenziamento disciplinare o per giustificato motivo sogg., illegittimo per insussistenza del fatto o per contrasto con le norme contrattuali collettive | Comma 4 | Reintegrazione + risarcimento (max 12 mens.) |
Licenziamento per giusta causa, giustificato motivo soggettivo o giustificato motivo oggettivo, illegittimo per motivi sostanziali diversi da quelli previsti al comma 4 | Comma 5 | Risarcimento tra 12 e 24 mensilità |
Licenziamento per giusta causa, giustificato motivo soggettivo o giustificato motivo oggettivo, illegittimo per vizi formali o procedurali | Comma 6 | Risarcimento tra 6 e 12 mensilità, salvo che il giudice non accerti, a richiesta del lavoratore, anche l'illegittimità per motivi sostanziali |
− Licenziamento per inidoneità del lavoratore (giustificato motivo sogg.) carente di giustificazione − Licenziamento per giustificato motivo oggettivo manifestamente insussistente | Comma 7 | Reintegrazione + risarcimento (max 12 mens.) |
E' superfluo ricordare che, in tutte le ipotesi suddette, la sanzione prevista fino ad oggi è sempre quella della reintegrazione, unita al risarcimento nella misura minima di 5 mensilità. Ora, invece, possiamo affermare che la regola generale è quella contenuta nel comma 5: tutte le altre sono eccezioni dipendenti o dall'inammissibilità "a prescindere" del licenziamento (quando è discriminatorio), o da scelte palesemente errate, che il datore di lavoro avrebbe potuto facilmente valutare prima di attuare il licenziamento (quali il contrasto con le norme contrattuali o la manifesta insussistenza del motivo addotto). La reintegrazione diventa perciò un rimedio riservato teoricamente ai "casi-limite" e non più alla generalità dei licenziamenti, siano essi disciplinari o dettati da motivazioni oggettive.
A questo si aggiunge una nuova logica nella costruzione dell'eventuale indennità risarcitoria a favore del lavoratore: la misura "aperta" (minimo 5 mensilità, salvo il danno maggiore, normalmente commisurato al numero di mesi, o meglio anni, intercorrenti tra il licenziamento e la sentenza a favore del lavoratore) resta riservata alla sola ipotesi più grave in assoluto, costituita dal licenziamento discriminatorio. In tutti gli altri casi, anche in concorso con la reintegrazione, l'indennità risarcitoria non può superare un tetto massimo prefissato e omnicomprensivo, da calcolare anche tenendo conto del contegno del lavoratore.
Nell'esposizione delle diverse fattispecie, analizzeremo quindi prima la regola generale e poi le singole eccezioni.
2.3.1 Il comma 5 del nuovo art. 18: la regola generale in caso di licenziamento illegittimo
La norma in questione è destinata, in prima battuta, ai licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo; tuttavia, il successivo comma 7 la richiama esplicitamente anche per tutti i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, in cui il fatto posto a base del licenziamento non sia "manifestamente insussistente". Questo spiega perché essa debba ritenersi, in base ad un'interpretazione sistematica della norma, non una semplice ipotesi residuale, ma il vero cardine su cui si poggia l'intera riscrittura dell'art. 18.
Pertanto, e fatte salve le eccezioni che vedremo nel prosieguo, in tutti i casi in cui semplicemente non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo, della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo, addotti dal datore di lavoro:
− il rapporto di lavoro è considerato risolto con effetto dalla data del licenziamento
− il datore di lavoro è condannato al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva, determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, esente da contribuzione previdenziale e assistenziale.
Nella determinazione dell'indennità, il giudice deve tener conto:
− dell'anzianità del lavoratore;
− del numero dei dipendenti occupati e delle dimensioni dell'attività economica aziendale;
− del comportamento e delle condizioni delle parti;
− solo in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, anche delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito del tentativo preventivo di conciliazione (vd. sopra, par. 2.2).
2.3.2 I commi da 1 a 3 del nuovo art. 18: la tutela contro il licenziamento discriminatorio
Il licenziamento è considerato "discriminatorio" e quindi nullo, quando è intimato per i motivi indicati negli artt. 4, L. n. 604 del 1966 e 15, L. n. 300 del 1970, ovvero:
− per il fatto che il lavoratore aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
− a causa della sua attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero;
− per ragioni di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basate sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.
A questi si aggiungono i licenziamenti:
− intimati in concomitanza col matrimonio;
− in violazione dei divieti dettati dalle norme a tutela e sostegno della maternità e paternità;
− riconducibili ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinati da un motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 Cod. civ..
Al licenziamento discriminatorio è altresì assimilato, come abbiamo già visto, il licenziamento verbale.
N.b.: in tutti i casi suddetti, l'onere di dimostrare la natura discriminatoria o verbale del licenziamento, è in capo al lavoratore.
Questa è l'unica parte dell'art. 18 che si applica a tutti i datori di lavoro, indipendentemente dai limiti dimensionali, e a tutti i lavoratori, dirigenti compresi. Questa è comunque una novità rispetto al testo legislativo precedente, ma non rispetto alla giurisprudenza, che è già consolidata nell'applicare la reintegrazione anche ai licenziamenti discriminatori operati dalle imprese più piccole.
Quando accerta la natura discriminatoria del licenziamento, il giudice ordina dunque la reintegrazione; il lavoratore ha trenta giorni di tempo per riprendere servizio, trascorsi i quali il rapporto di lavoro si intende comunque risolto.
In alternativa alla reintegrazione, il lavoratore ha diritto di chiedere un'indennità economica pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, esente da contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere presentata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
In aggiunta alla reintegrazione, resta confermata la previsione di un risarcimento del danno, in misura non inferiore a 5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (il cosiddetto "aliunde perceptum").
Il datore di lavoro è condannato, infine, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per un periodo corrispondente a quello coperto dal risarcimento.
2.3.3 Il comma 4 del nuovo art. 18: la tutela contro il licenziamento disciplinare per fatto insussistente o al di fuori delle previsioni contrattuali
Con questa norma, viene ribadita l'applicabilità della reintegrazione, accompagnata però da un risarcimento delimitato nella misura massima, in 2 ipotesi ben precise:
1. quando il fatto contestato non sussiste (o non è direttamente imputabile al lavoratore licenziato);
2. quando il fatto, benché sussistente, in base al ccnl o al codice disciplinare applicato, può essere punito solo con una sanzione conservativa (richiamo, multa, sospensione).
In ordine alla prima ipotesi, la norma richiede espressamente l'inesistenza del fatto e non la circostanza che esso sia stato commesso da un lavoratore diverso da quello licenziato. Tuttavia, data la funzione garantista delle norme sui licenziamenti, propendiamo per un'interpretazione estensiva e quindi per l'applicazione del comma 4 anche quando il fatto sussiste, ma non è stato commesso dal lavoratore.
Es.: un lavoratore viene licenziato per aver trafugato dei disegni industriali, poi però si scopre che il furto è stato commesso non dal lavoratore licenziato, bensì da un collega. In questo caso, il fatto della sottrazione oggettivamente sussiste, ma non sussiste il "fatto contestato" della sottrazione da parte di quello specifico lavoratore.
Per quanto riguarda invece la non conformità alle norme contrattuali, va ricordato che tutti i principali contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono uno o più titoli, articoli, paragrafi etc. espressamente dedicati ai provvedimenti disciplinari e alle condizioni per la loro applicazione. Tali norme non possono avere, per definizione, carattere esaustivo (nessuna norma può prevedere tutti i possibili comportamenti umani, soprattutto quelli più bizzarri). Difatti, il comma 4 si applica non quando il fatto che ha determinato il licenziamento "non è previsto" tra le condotte punibili con tale sanzione, ma solo quando "è previsto" espressamente tra le condotte punibili con una sanzione più lieve.
Pertanto, prima di irrogare un licenziamento disciplinare, sarà opportuno:
1. verificare se la condotta contestata è compresa, dalla norma contrattuale, tra quelle astrattamente meritevoli di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo;
2. verificare se la condotta contestata è anche prevista tra quelle astrattamente meritevoli di una sanzione conservativa (ad es., il ccnl Unionmeccanica prevede il fatto "insubordinazione" sia tra le condotte meritevoli di sospensione, sia - quando è "grave" - tra quelle meritevoli di licenziamento, imponendo quindi una valutazione di valore);
3. verificare se il ccnl, pur non citando esplicitamente la condotta contestata tra quelle meritevoli di licenziamento, prevede tuttavia tale sanzione anche per mancanze "di analoga gravità" rispetto a quelle esplicitamente previste e, in tal caso, se la condotta contestata è assimilabile ad esse;
4. nel caso la condotta contestata sia recidiva, verificare il trattamento previsto dal ccnl per tale circostanza.
Se, nonostante tutte le nostre verifiche preventive, il giudice accerta l'insussistenza del fatto contestato o che esso rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, il licenziamento è annullato il datore di lavoro è condannato:
− alla reintegrazione del lavoratore;
− al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata al periodo che intercorre tra il giorno del licenziamento e quello dell'effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto;
− al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali commisurati al periodo che intercorre tra il giorno del licenziamento e quello dell'effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi legali ma senza applicazione di sanzioni, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto e quella accreditata al lavoratore in relazione all'aliunde perceptum.
Dal calcolo dell'indennità va dedotto:
1. quanto il lavoratore ha percepito nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum);
2. quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire, dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (aliunde percipiendum).
Come per il licenziamento discriminatorio, al posto della reintegrazione il lavoratore ha diritto di chiedere un'indennità economica pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, esente da contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere presentata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
2.3.4 Il comma 6 del nuovo art. 18: la tutela contro il licenziamento inefficace
Di questa ipotesi abbiamo già trattato, a proposito dell'obbligo di precisare la motivazione nella comunicazione di licenziamento, nonché dell'obbligo, nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, di avviare la procedura preventiva di conciliazione. Rimandiamo perciò al par. 2.1.
2.3.5 Il comma 7 del nuovo art. 18: il licenziamento per motivi economici manifestamente insussistenti
Il licenziamento "per motivi economici" è la principale ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed è definito dall'art. 3 della L. 604/66 come quello dettato da "ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa".
Le sue condizioni sostanziali di legittimità sono sostanzialmente date dalla sussistenza di due condizioni:
1. l'aver realmente soppresso o ridotto il posto e quindi non aver sostituito il lavoratore licenziato con un altro;
2. l'aver verificato che non esistono nell'organizzazione aziendale, altre mansioni equivalenti assegnabili al lavoratore licenziato.
Come abbiamo visto (par. 2.3.1), la regola generale introdotta dalla riforma dice che, nell'eventualità in cui non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo, non si applica la reintegrazione, ma solo l'indennità risarcitoria.
Tuttavia, il comma 7 prevede la possibilità (non automatica, ma rimessa a una valutazione caso per caso: il giudice "può altresì applicare") una tutela più incisiva, analoga a quella prevista per i licenziamenti disciplinari viziati da insussistenza del fatto o contrasto con le norme contrattuali (comma 4 del nuovo art. 18), qualora accerti la "manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento". In tal caso, quindi, la conseguenza è
− la reintegrazione del lavoratore;
− la condanna al pagamento di un'indennità risarcitoria (non superiore a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto);
− la condanna al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali fino al giorno della effettiva reintegrazione.
Se nel corso del giudizio emerga, sulla base della domanda del lavoratore, non soltanto la manifesta insussistenza del fatto addotto come motivo, ma anche la natura discriminatoria o disciplinare del licenziamento, si applicano ovviamente le tutele specifiche previste per tali ipotesi.
La domanda è quindi: quando possiamo considerare "manifestamente insussistente" un licenziamento per motivi economici? A nostro avviso, l'ipotesi non può che ricorrere quando il datore non riesce a dimostrare di aver realmente soppresso il posto, ad esempio perché ha assunto un lavoratore per svolgere le stesse mansioni di quello licenziato. Non ricorre, invece, quando cambiano le modalità di svolgimento della fase lavorativa alla quale era addetto il lavoratore licenziato, ad esempio quando tale fase viene "esternalizzata": a questo proposito, va ricordato che la L. 183/2010 (art. 30, c. 1) dispone che "il controllo giudiziale
... non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro..." In pratica, non potendo entrare nel merito di dette valutazioni tecniche, organizzative e produttive, non può nemmeno affermarne la manifesta insussistenza. Opportunamente, il comma 43 dell'art. 1 della L. 92/2012 precisa che l'eventuale inosservanza (da parte del giudice) delle disposizioni che gli impediscono di entrare nel merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto.
2.3.6 Il comma 7 del nuovo art. 18: altre ipotesi di tutela contro il licenziamento ingiustificato
Un regime analogo a quello appena visto per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo manifestamente insussistente, è applicabile qualora il motivo oggettivo non sia di natura economica, ma si basi sull'inidoneità fisica o psichica del lavoratore (che, ricordiamo, può essere accertata solo attraverso la "visita collegiale" prevista dall'art. 5 dello Statuto dei lavoratori), ovvero qualora il licenziamento sia stato intimato in violazione delle norme che tutelano il lavoratore malato o infortunato.
2.3.7 Il comma 10 del nuovo art. 18: la revoca del licenziamento ingiustificato
La riscrittura dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori si completa con la regolamentazione di una fattispecie finora affrontata solo dalla giurisprudenza: la revoca del licenziamento, ovvero l'atto unilaterale del datore di lavoro che, accortosi che il licenziamento è in qualche modo viziato, lo ritira. Finora la giurisprudenza non ha mostrato particolare tenerezza verso questa forma di "ravvedimento", ritenendola ammissibile solo in presenza dell'accettazione del lavoratore e quindi consentendo a quest'ultimo, di fatto, di chiedere comunque un risarcimento, nonostante il ripristino del rapporto di lavoro.
Con la nuova disciplina, il datore di lavoro può utilmente revocare il licenziamento, purché ciò avvenga entro quindici giorni dal momento in cui egli viene a conoscenza dell'impugnazione del licenziamento: in tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, senza ulteriori conseguenze sanzionatorie.
2.4 Nuove disposizioni in materia di licenziamenti collettivi
La norma modificata dai commi 44 e ssgg. dell'art. 1 è, in quest'ambito, ovviamente la L. 223/1991, che viene anzitutto lievemente aggiornata sotto il profilo procedurale.
In primo luogo, la comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, della L. 223/1991, n. 223, deve essere inviata non più "contestualmente", ma "entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi". La comunicazione in questione è quella contenente l'elenco dei lavoratori da licenziare, con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta.
In secondo luogo, diventa possibile sanare gli eventuali vizi della comunicazione di apertura della procedura, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura stessa.
Vengono poi precisate le conseguenze del licenziamento collettivo illegittimo:
− se è intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applicano le stesse regole già viste per i licenziamenti individuali in forma verbale;
− in caso di violazione delle procedure di comunicazione e consultazione sindacale, si applica il regime previsto per i licenziamenti economici;
− in caso di violazione dei criteri di scelta, si applica il regime previsto dal comma 4 dell'art. 18 L. 300/70 e quindi:
− reintegrazione del lavoratore;
− pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata al periodo che intercorre tra il giorno del licenziamento e quello dell'effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto;
− al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali commisurati al periodo che intercorre tra il giorno del licenziamento e quello dell'effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi legali ma senza applicazione di sanzioni, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto e quella accreditata al lavoratore in relazione all'aliunde perceptum.
Dal calcolo dell'indennità va dedotto tanto l'aliunde perceptum quanto l'aliunde percipiendum.
3 Tutele per i lavoratori licenziati: l’istituzione dell’ASpI
L’ambizione della Legge Fornero si misura soprattutto sulla volontà di affrontare temi che sono in agenda da decenni, quali appunto la riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, che ancor più delle norme sui licenziamenti sono il risultato di una regolamentazione sempre additiva e mai modificativa. Ebbene, Legge 28 giugno 2012 n. 92, negli articoli 2, 3 e 4, ristruttura in profondità sia gli ammortizzatori in costanza di rapporto che quelli per i lavoratori espulsi, realizzando un disegno riformatore di vasta portata, come si auspicava e non si realizzava dai primi anni ‘90. Il principale obiettivo è quello di introdurre forme di tutela tendenzialmente universali, superando così la frammentazione per settori e tipologie di imprese: che tale obiettivo sia stato centrato e in quale misura, è già argomento di forte discussione. Fin d’ora pare di poter dire che una volta entrato a regime, il sistema delineato contribuisce a ridurre sperequazioni e diversità di trattamento divenute intollerabili agli occhi dei più. Ma nell’articolato in commento c’è molto altro ancora.
L’art. 2 della Legge 28 giugno 2012 n. 92, si apre con l’introduzione dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI), a decorrere dal 1° gennaio 2013, concepita al fine di sostenere il reddito dei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro involontariamente. Il nuovo istituto, che richiama fortemente l’attuale indennità di disoccupazione ordinaria non agricola, interesserà tutti i lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti, i soci di cooperativa che abbiano instaurato, accanto a quello associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata, gli artisti, attualmente esclusi dalla disoccupazione ordinaria, nonché i dipendenti delle Pubbliche Amministrazione assunti a tempo determinato.
Restano viceversa fuori dal campo di applicazione dell’ASpI gli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato, per i quali rimangono in vigore le normative di settore.
Requisiti soggettivi fondamentali per l’accesso all’ASpI sono i seguenti:
− possesso dello status di disoccupati ai sensi del Decreto legislativo n. 181/2000 (soggetti privi di lavoro e immediatamente disponibili ad intraprendere una nuova attività lavorativa)
− possibilità di far valere almeno due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio della disoccupazione.
Coerentemente con l’impostazione che prevede la tutela solo per coloro che sono involontariamente disoccupati, sono esclusi dal beneficio i dimissionari e coloro che abbiano consensualmente risolto il rapporto (salvo che ciò avvenga nell’ambito della conciliazione preventiva per il licenziamento economico di cui al novellato art. 7 della Legge n. 604/1966 – vedi supra).
3.1 Entità del trattamento
L’importo mensile dell’indennità, alla quale è associato l’accredito della contribuzione figurativa, sarà il risultato di complessi calcoli:
a) base di riferimento = retribuzione mensile risultante dalla media delle retribuzioni effettive degli ultimi due anni, divisa per il numero delle settimane di contribuzione e moltiplicato per 4,33 (52 : 12);
b) se a) è pari o inferiore a 1.180 Euro (parametro valido per il 2013, che sarà rivalutato annualmente) l’ASpI è pari al 75% di a);
c) se a) è superiore a 1.180 Euro, l’ASpI viene incrementata del 25% del differenziale tra la retribuzione effettiva e 1.180 Euro;
d) l’indennità mensile ASpI non potrà comunque superare il massimale più alto previsto per la CIG e la Mobilità, attualmente pari a 1.119,32 Euro, dal quale non sarà in ogni caso dedotto il prelievo del 5,84% che ora grava sui massimali d’intervento.
L’indennità come sopra calcolata, di entità analoga alla mobilità, sarà in ogni caso ridotta del 15% dopo i primi 6 mesi di fruizione e di un altro 15% dopo 12 mesi di fruizione.
Come per la disoccupazione ordinaria, l’ASpI spetta dall’8° giorno successivo alla cessazione del rapporto e va richiesta entro il termine di decadenza dei successivi 60 giorni (tot. 68 gg.), esclusivamente per via telematica.
Mutuando alcune caratteristiche della mobilità, la nuova ASpI:
− può essere sospesa fino ad un massimo di 6 mesi in caso di rioccupazione del soggetto indennizzato (si presume con contratto a termine);
− nel caso di lavoro autonomo, dal quale consegua un reddito inferiore al limite previsto per il mantenimento dello stato di disoccupazione (€ 4.800) e del quale l’INPS sia portato a conoscenza, l’indennità viene ridotta in misura pari all’80% del reddito percepito, ma viene mantenuta la contribuzione figurativa;
− in via sperimentale per il triennio 2013-2015, nel limite di spesa di 20 milioni di Euro per ciascun anno, il lavoratore beneficiario dell’ASpI può chiedere la liquidazione anticipata dell’indennità non ancora percepita, al fine di intraprendere un’attività di lavoro autonomo, avviare un’impresa o associarsi in cooperativa; la cosa dovrà essere definita da un decreto ministeriale entro 180 giorni dall’entrata in vigore della norma.
3.2 Durata del trattamento e disciplina transitoria
La nuova ASpI entrerà a regime nel 2016, mentre nel periodo intermedio è prevista graduale armonizzazione rispetto alle forme di sostegno al reddito attualmente previste.
A regime, infatti, l’ASpI sostituirà l’indennità di mobilità (prevista per le aziende industriali con più di 15 dipendenti), l’indennità di disoccupazione non agricola ordinaria e con requisiti ridotti, l’indennità di disoccupazione speciale edile.
Durata dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI) per gli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1° gennaio 2016 (regime ordinario) (art. 2, comma 11, Legge 28 giugno 2012 n. 92)
Soggetti di età inferiore a 55 anni detratti i periodi di indennità (anche mini-ASpI) fruiti nel biennio(?) precedente | 12 mesi |
Soggetti di età pari o superiore a 55 anni detratti i periodi di indennità (anche mini-ASpI) fruiti nel biennio(?) precedente e nei limiti delle settimane di contribuzione degli ultimi 2 anni | 18 mesi |
Regime transitorio di durata dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI) nel periodo dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015 (art. 2, comma 45, Legge 28 giugno 2012 n. 92)
Eventi di disoccupazione verificatisi nell’anno 2013 | |
Soggetti di età inferiore a 50 anni | 8 mesi |
Soggetti di età pari o superiore a 50 anni | 12 mesi |
Eventi di disoccupazione verificatisi nell’anno 2014 | |
Soggetti di età inferiore a 50 anni | 8 mesi |
Soggetti di età pari o superiore a 50 anni ed inferiore a 55 anni | 12 mesi |
Soggetti di età pari o superiore a 55 anni * | 14 mesi |
Eventi di disoccupazione verificatisi nell’anno 2015 | |
Soggetti di età inferiore a 50 anni | 10 mesi |
Soggetti di età pari o superiore a 50 anni ed inferiore a 55 anni | 12 mesi |
Soggetti di età pari o superiore a 55 anni * | 16 mesi |
* nei limiti delle settimane di contribuzione degli ultimi 2 anni |
All’entrata in vigore progressiva dell’ASpI, corrisponde un regime transitorio dell’indennità di mobilità, che permane fino al 2016 compreso (con una dilazione di un anno), nel periodo dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2016 (art. 2, comma 46, Legge 28
giugno 2012 n. 92)
Collocati in mobilità dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2013 | ||||||||||
Art. 7, comma 1, Legge 223/91 – Regioni del Centro-Nord | 1) 2) 3) | 12 24 36 | mesi mesi mesi | fino a dai 40 dai 50 | 39 anni anni anni | + | 364 | gg. | Invariato | |
Art. 7, comma 2, L. 223/91 – Regioni del Sud | 1) 2) 3) | 24 36 48 | mesi mesi mesi | fino a dai 40 dai 50 | 39 anni anni anni | + | 364 | gg. | Invariato | |
Collocati in mobilità dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2014 | ||||||||||
Art. 7, comma 1, Legge 223/91 – Regioni del Centro-Nord | 1) 2) 3) | 12 24 30 | mesi mesi mesi | fino a dai 40 dai 50 | 39 anni anni anni | + | 364 | gg. | 1) 2) 3) | Invariato Invariato Ridotto 6 mesi |
Art. 7, comma 2, Legge 223/91 – Regioni del Sud | 1) 2) 3) | 18 30 42 | mesi mesi mesi | fino a dai 40 dai 50 | 39 anni anni anni | + | 364 | gg. | 1) 2) 3) | Ridotto 6 mesi Ridotto 6 mesi Ridotto 6 mesi |
Collocati in mobilità dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015 | ||||||||||
Art. 7, comma 1, Legge 223/91 – Regioni del Centro-Nord | 1) 2) 3) | 12 18 24 | mesi mesi mesi | fino a dai 40 dai 50 | 39 anni anni anni | + | 364 | gg. | 1) 2) 3) | Invariato Ridotto 6 mesi Ridotto 12 mesi |
Art. 7, comma 2, Legge 223/91 – Regioni del Sud | 1) 2) 3) | 12 24 36 | mesi mesi mesi | fino a dai 40 dai 50 | 39 anni anni anni | + | 364 | gg. | 1) 2) 3) | Ridotto 12 mesi Ridotto 12 mesi Ridotto 12 mesi |
Collocati in mobilità dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 | |||||||||||
Art. 7, comma 1, Legge 223/91 – Regioni del Centro-Nord | 1) 2) 3) | 12 12 18 | mesi mesi mesi | fino a dai 40 dai 50 | 39 anni anni anni | + | 364 | gg. | 1) 2) 3) | Invariato Ridotto 12 Ridotto 18 | mesi mesi |
Art. 7, comma 2, Legge 223/91 – Regioni del Sud | 1) 2) 3) | 12 18 24 | mesi mesi mesi | fino a dai 40 dai 50 | 39 anni anni anni | + | 364 | gg. | 1) 2) 3) | Ridotto 12 Ridotto 18 Ridotto 24 | mesi mesi mesi |
Dal 1° gennaio 2017 applicazione integrale dell’ASpI |
3.3 Abrogazioni
La realizzazione del nuovo sistema prevede la cancellazione di una serie di discipline, delle quali ricordiamo le più significative; dal 1° gennaio 2013 vengono dunque abrogate:
− art. 19, comma 1, lettere a), b) e c) del D.L. n. 185/2008, convertito in Legge n. 2/2009
- utilizzo dell’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola ordinaria e con requisiti ridotti nei casi di sospensione dal lavoro nei settori non coperti da CIG, in concorso con l’intervento degli enti bilaterali (art. 2, comma 55, Legge 28 giugno 2012 n. 92);
− art. 19, comma 2, del D.L. n. 185/2008, convertito in Legge n. 2/2009 – una tantum per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (art. 2, comma 69, Legge 28 giugno 2012 n. 92)
− art. 7, comma 3, del D.L. n. 86/1988, convertito in Legge n. 160/1988 – indennità di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti (idem).
Con decorrenza 1° gennaio 2016 viene abrogato l’art. 3 della Legge n. 223/1991, ossia la disciplina della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per procedure concorsuali, quali il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione straordinaria, il concordato preventivo (art. 2, comma 70, Legge 28 giugno 2012 n. 92). Merita a questo punto notare che non viene curiosamente abrogata la CIGS per cessazione di attività, che presenta evidenti analogie quanto a finalità, ed è stata introdotta dapprima surrettiziamente tramite decretazione ministeriale (vedasi il D.M. 18/12/2002 n. 31826) e solo successivamente normata positivamente, con il D.L. n. 249/2004, convertito il Legge n. 291/2004.
Con decorrenza 1° gennaio 2017 sono infine abrogati:
− l’art. 5, commi 4, 5, e 6; gli artt. da 6 a 9; l’art. 16, commi 1, 2, 3; l’art. 25, comma 9; della Legge n. 223/1991, sancendo la fine definitiva dell’indennità di mobilità e degli incentivi alla riassunzione ad essa connessi (art. 2, comma 71, Legge 28 giugno 2012 n. 92);
− gli artt. da 9 a 19 della Legge n. 427/1975, istitutiva della indennità di disoccupazione speciale per gli operai edili (idem).
3.4 La mini-ASpI
In sostituzione dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, dal 1° gennaio 2013 viene introdotta la mini-ASpI, per coloro che non possono vantare i requisiti soggettivi di cui sopra ma almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi.
L’indennità, di importo pari a quello dell’ASpI, viene liquidata per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione nell’ultimo anno, detratti i periodi già fruiti nel medesimo periodo.
Alla mini-ASpI si applica quasi integralmente la disciplina dell’ASpI, compresa la possibilità di chiederne l’anticipo per intraprendere attività autonome o d’impresa, fatto salvo il caso di rioccupazione del soggetto indennizzato, per il quale è prevista la sospensione del trattamento fino ad un massimo di 5 giorni.
3.5 Il finanziamento dell’ASpI
Al finanziamento del nuovo ammortizzatore sociale concorre la contribuzione già prevista per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria (artt. 12, comma 6, e 28, comma1, della Legge n. 160/1975) pari all’aliquota del 1,31%, al quale si aggiunge lo 0,30% di cui all’art. 25 della Legge 845/1978, che le aziende possono destinare ai fondi paritetici per la formazione continua.
Sulla contribuzione di cui sopra continueranno a trovare applicazione le riduzioni previste dalla Legge n. 388/2000 (fino allo 0,80%) e dalla Legge n. 266/2005 (fino all’1%), nonché le misure compensative a favore della previdenza complementare e del Fondo di Tesoreria. Per i lavoratori per i quali non si versava il contributo di disoccupazione, alla contribuzione ASpI si applicano le residue riduzioni di cui sopra, non ancora utilizzate.
Per i lavoratori ai quali le riduzioni di cui sopra risultino già applicate al contributo dell’1,31% si arriverà con incrementi annui pari allo 0,26% per i 4 anni dal 2013 al 2016 e pari allo 0,27% per il 2017. Contestualmente con incrementi dello 0,06% annuo si procederà all’allineamento graduale all’aliquota dello 0,30%. Fino al completo allineamento alle aliquote di finanziamento alla misura piena (1,31 + 0,30), le prestazioni dell’ASpI e della mini-ASpI vengono però ridotte in funzione dell’aliquota effettiva di contribuzione, mediante un Decreto Ministeriale da emanare ogni anno.
Per rendere comprensibili le note di cui sopra, si può notare che il comparto industria non subirà aumenti contributivi per l’introduzione dell’ASpI, essendo già state applicate le riduzioni dello 0,80% dell’1% sulla contribuzione CUAF ed essendo a regime da tempo la contribuzione per l’assicurazione contro la disoccupazione.
L’aliquota dell’1,31% graverà anche sui rapporti di apprendistato come contribuzione aggiuntiva e non soggetta alle riduzioni previste per le aziende fino a 9 dipendenti, con un corrispondente aumento netto del costo del lavoro.
3.5.1 Contributo addizionale per i contratti a termine
Sempre con decorrenza dal gennaio 2013, il comma 28 dell’art. 2 introduce una contribuzione addizionale dell’ASpI, a carico del datore di lavoro, pari all’1,40%, per tutti i rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato. Xxxxxx parlando della disposizione che ha sollevato le più aspre critiche di parte datoriale e che nelle intenzioni del Governo risponde al principio per cui il lavoro precario deve costare di più, in funzione deterrente.
Il contributo addizionale non si applica:
a) ai lavoratori assunti a termine per ragioni sostitutive;
b) ai lavoratori a termine per attività stagionali, ai sensi del D.P.R. n. 1525/1963, nonché, per il periodo 2013-2015 alle attività stagionali previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati fino al 31 dicembre 2011 (segnaliamo ad esempio i ccnl del settore alimentare);
c) agli apprendisti, il cui rapporto è notoriamente considerato a tempo indeterminato;
d) ai lavoratori assunti a termine dalle Pubbliche amministrazioni.
Alla funzione deterrente viene associata la funzione incentivante: il comma 30 dell’art. 2 prevede infatti una sorta di premio per la trasformazione dei contratti a termine in rapporti stabili, disponendo che il contributo addizionale in parola, nei limiti di 6 quote mensili, sia restituito al datore di lavoro in caso di conferma a tempo indeterminato del lavoratore assunto a termine, una volta decorso il periodo di prova. Analoga misura viene prevista per chi riassume il lavoratore a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla scadenza del contratto a termine; in questo caso però vengono decurtate le quote relative ai mesi intercorrenti dalla cessazione alla riassunzione.
3.5.2 Contributo addizionale per cessazione dei rapporti a tempo indeterminato
“In tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni, intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013 …” (art 2, comma 31) il datore di lavoro deve versare un’ulteriore addizionale pari al 50% del trattamento mensile
iniziale dell’ASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni. Se c’è stato, negli ultimi 3 anni, un rapporto a termine trasformato senza soluzione di continuità in rapporto a tempo indeterminato, o comunque c’è stata la restituzione del contributo addizionale di cui al punto precedente, nell’anzianità si conteggia solo il rapporto il periodo a tempo indeterminato.
Fatti un po’ di conti su questo nuovo balzello, si può facilmente notare che l’importo massimo da versare potrà essere 1,5 volte il massimale d’intervento più alto stabilito per la CIG, ossia 1.678,98 Euro (1.119,32 x 1,5 - valori 2012), una somma inferiore al contributo d’ingresso alla mobilità al quale s’ispira, ma dovuto appunto in tutti i casi di cessazione diversi dalle dimissioni, come stabilisce la formula utilizzata dal legislatore: sia dunque in tutti i casi di licenziamento (anche per motivi diversi dalla crisi aziendale), ma anche in caso di risoluzione consensuale del rapporto e addirittura in caso di decesso del lavoratore.
Dato che l’ASpI si applica anche agli apprendisti, il contributo di cui sopra è dovuto anche all’interruzione dei rapporti di apprendistato diversi dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore.
Viceversa, il contributo in parola non è dovuto:
− nel periodo 2013-2015, ai casi di licenziamenti per cambio d’appalto, quando i lavoratori impegnati passano alle dipendenze del nuovo appaltatore in funzione di clausole stabilite dai contratti collettivi nazionali di lavoro;
− nel medesimo periodo 2013-2015, in caso di interruzione dei rapporti a tempo indeterminato nel settore edile, per completamento delle attività di cantiere;
− fino al 31 dicembre 2016, quando sia dovuto il contributo d’ingresso alla mobilità, nei casi di licenziamento collettivo; dal 1° gennaio 2017, cessato definitivamente l’istituto della mobilità, il contributo in parola si applicherà anche ai licenziamenti collettivi e in caso di mancato accordo sindacale in esito alla procedura, verrà triplicato.
3.5.3 Addizionale sui diritti d’imbarco
Dal 1° gennaio 2016 le somme derivanti dall’incremento dell’addizionale comunale sui diritti d’imbarco sui voli aerei, pari a 3 Euro, sarà riversata alla Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali istituita presso l’INPS.
Fino al 31 dicembre 2015 l’addizionale sui diritti d’imbarco continua ad essere destinata al cd. Fondo Volo, il fondo speciale per il sostegno del reddito, dell'occupazione e della riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo, istituito anch’esso presso l’INPS ad opera del D.L. n. 249/2004.
4 Sostegno al reddito dei xx.xx.xxx.
Sempre in tema di assistenza ai soggetti precari, il comma 51 dell’art. 2 riscrive in toto la disciplina di quella che veniva definita l’una tantum per i xx.xx.xxx., prevista in via sperimentale fino a tutto il 2012, dal D.L. n. 185/2008, convertito in Legge n. 2/2009.
La Riforma rende strutturale l’istituto, stabilendo che a partire dal 2013 ai collaboratori coordinati e continuativi di cui all'art. 61, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, quelli a progetto appunto (sono espressamente esclusi i professionisti con partita IVA), iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata, è riconosciuta un'indennità purché soddisfino in via congiunta i seguenti requisiti:
a) abbiano operato, nel corso dell'anno precedente, in regime di monocommittenza;
b) abbiano conseguito l'anno precedente un reddito lordo complessivo soggetto a imposizione fiscale non superiore a 20.000 Euro, che sarà annualmente rivalutato;
c) con riguardo all'anno di riferimento (quello in cui viene avanzata la richiesta) sia accreditato, presso la Gestione Separata un numero di mensilità non inferiore a uno;
d) abbiano avuto un periodo di disoccupazione ininterrotto di almeno due mesi nell'anno precedente;
e) risultino accreditate nell'anno precedente almeno quattro mensilità (solo tre nel periodo transitorio 2013-2015) presso la predetta Gestione Separata.
L'indennità è pari al 5% (7% nel triennio 2013-2015) del minimale annuo di reddito di cui all'art. 1, comma 3, della Legge n. 223/1990 (minimale contributivo per la gestione artigiani e commercianti, pari nel 2012 a 14.930 Euro), moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate l'anno precedente e quelle non coperte da contribuzione.
L'indennità è liquidata in un'unica soluzione se pari o inferiore a 1.000 Euro, ovvero in importi mensili pari o inferiori a 1.000 Euro se superiore.
Merita notare che, rispetto alla normativa attuale, non risulta più richiesto la fine del lavoro e l’assenza del contratto da almeno 2 mesi al momento della domanda, condizioni entrambe sostituite dal requisito di cui alla lettera d).
5 Aumento dei contributi alla Gestione Separata
Uno dei punti qualificanti della Riforma, o maggiormente criticabili, secondo i punti di vista, è il progressivo allineamento dell’aliquota di contribuzione e di computo delle prestazioni, dovute alla Gestione Separata, che viene portata, per coloro che risultano iscritti in via esclusiva, al livello di quella dei lavoratori dipendenti (33%) a partire dal 2018; viene parallelamente innalzata anche l’aliquota per i pensionati o coloro che risultano iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria.
Dalle aliquote vigenti per il 2012, pari al 27% per gli iscritti in via esclusiva e al 18% per gli iscritti non esclusivi, la tabella che segue indica le tappe e l’entità degli aumenti.
Rammentiamo che all’aliquota di finanziamento e di computo, per gli iscritti in via esclusiva, si aggiunge l’aliquota dello 0,72% destinata al finanziamento delle prestazioni di maternità, congedo parentale, degenza ospedaliera, malattia e assegno al nucleo familiare.
Anno 2013 | Iscritti in via esclusiva | 28% |
Pensionati e iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria | 19% | |
Anno 2014 | Iscritti in via esclusiva | 29% |
Pensionati e iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria | 20% | |
Anno 2015 | Iscritti in via esclusiva | 30% |
Pensionati e iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria | 21% | |
Anno 2016 | Iscritti in via esclusiva | 31% |
Pensionati e iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria | 22% | |
Anno 2017 | Iscritti in via esclusiva | 32% |
Pensionati e iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria | 23% | |
Anno 2018 | Iscritti in via esclusiva | 33% |
Pensionati e iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria | 24% |
6 CIG e mobilità in deroga
Nell’art. 2 della Legge 92/2012 trova posto anche una disciplina temporanea degli ammortizzatori sociali in deroga, espressamente destinata a garantire la graduale transizione verso il sistema di ammortizzatori delineato dalla Riforma, di cui fanno parte integrante i fondi bilaterali di solidarietà che vedremo in seguito; a questi ultimi è infatti demandato il compito gestire forme di tutela in costanza di rapporto per i casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa nei settori non coperti da CIG e di sostituire stabilmente, a regime, proprio gli ammortizzatori in deroga.
Per gli anni 2013-2016 dunque, anche alla luce della crisi economico-produttiva che attanaglia il Paese, il Ministro del Lavoro può disporre, di concerto col Ministro dell’Economia, la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di cassa integrazione e di mobilità in deroga alla normativa vigente, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a 12 mesi, anche con riferimento a specifici settori o aree regionali (comma 64).
Nell’ambito delle risorse stanziate, il Ministro del Lavoro e il Ministro dell’Economia possono altresì disporre con decreto, la proroga dei trattamenti di cassa integrazione e di mobilità in deroga, anche senza soluzione di continuità, per periodi non superiori a 12 mesi. Nel caso di proroga però il trattamento economico riservato ai lavoratori è ridotto del 10% per la prima proroga, del 30% per la seconda e del 40% nel caso di proroghe successive; inoltre, per le proroghe successive alla seconda, l’erogazione del sostegno al reddito è subordinato alla frequenza di specifici programmi finalizzati alla riqualificazione professionale dei lavoratori e al loro reimpiego (comma 66).
Il comma 67 ribadisce le condizioni soggettive per beneficiare degli ammortizzatori in deroga, parificati a quelli previsti per l’industria: per accedere alla CIGS in deroga il lavoratore deve avere almeno 90 giorni di anzianità presso l'impresa richiedente (art. 8, comma 3, D.L. n. 86/1988), mentre per accedere alla Mobilità in deroga il lavoratore deve far valere una anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato (art. 16, comma 1, Legge n. 223/1991)
Le autorizzazioni di spesa già previste sono incrementate di 1 miliardo di Euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, di 700 milioni per 2015 e di 400 milioni per il 2016.
7 Tutele in costanza di rapporto di lavoro
L’art. 3 della Legge n. 92/2012 contiene quasi esclusivamente la nuova disciplina degli ammortizzatori sociali destinati ai lavoratori ancora in forza, per i casi riduzione o sospensione dell’attività lavorativa legati a crisi cicliche o strutturali. In realtà, l’intervento riformatore è focalizzato su quei settori non soggetti alla disciplina della Cassa Integrazione Guadagni (ordinaria e straordinaria), che resta pienamente in vigore nell’industria, eccettuata la marginale abrogazione della CIGS per procedure concorsuali già menzionata.
Destinatari principali delle nuove regole sono dunque le imprese dei settori artigiano e commerciale, che da alcuni anni beneficiano degli ammortizzatori in deroga, ma senza sottostare all’onere di formare la provvista di risorse finanziarie.
7.1 CIGS a regime in alcuni settori
Il comma 1 dell’art. 3 rende finalmente strutturale, a partire dal 2013, l’applicazione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) e dei relativi oneri contributivi (0,90% a carico del datore di lavoro) ad alcuni settori che da molto tempo ne beneficiano mediante provvedimenti temporanei reiterati di anno in anno; i settori interessati sono i seguenti:
a) imprese esercenti attività commerciali con più di 50 dipendenti;
b) agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, con più di 50 dipendenti;
c) imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti;
d) imprese del trasporto aereo a prescindere dal numero dei dipendenti;
e) imprese del sistema aeroportuale a prescindere dal numero dei dipendenti.
Il successivo comma 2 mette a sua volta a regime, dal 2013, le forme di sostegno al reddito ai lavoratori temporanei occupati a tempo indeterminato nelle imprese ed agenzie che operano nel sistema portuale (navale) e ai lavoratori dipendenti dalle società derivate dalla trasformazione delle compagnie portuali, ai sensi rispettivamente dell’art. 17, commi 2 e 5 e dell’art. 21, comma 1, lett. b), della Legge 28/01/1994 n. 84.
7.2 Fondi di solidarietà
7.2.1 Fondi di solidarietà bilaterali per settori non coperti da CIG
Il comma 4 e seguenti dell’art. 3 delinea lo strumento fondamentale inteso a garantire adeguate forme di tutela in costanza di rapporto ai lavoratori dei comparti non soggetti alla CIG. Per fare questo le organizzazioni imprenditoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale sono invitate, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge (18 gennaio 2013), a stipulare accordi collettivi, anche intersettoriali, per la
costituzione di Fondi di solidarietà bilaterali che assicurino un sostegno al reddito nei casi riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, analogamente a quanto previsto dalla normativa CIG.
Entro 3 mesi dalla stipula dell’accordo, un decreto del ministro del Lavoro, di concerto col Ministro dell’Economia, provvederà all’istituzione del fondo come gestione speciale dell’INPS, recependo l’ambito di applicazione stabilito dagli accordi.
L’istituzione dei fondi in parola è obbligatoria per tutti i settori non coperti da CIG in relazione alle imprese che occupano mediamente più di 15 dipendenti; tale soglia dimensionale è verificata mensilmente con riferimento alla media del semestre precedente; prestazioni e relativa contribuzione non sono dovute per i dirigenti, se non espressamente previsto.
Pare di poter affermare che se l’obbligo di partecipazione al fondo è fissato a 16 dipendenti, il progressivo abbandono degli ammortizzatori in deroga è di auspicio perché ne venga estesa l’applicazione anche alle aziende più piccole.
La delega affidata alle parti sociali, non impedisce al Legislatore di fissare alcune condizioni precise e cogenti:
− soglia di prestazioni; il comma 31 stabilisce, con formula piuttosto oscura, che i fondi “assicurano almeno la prestazione di un assegno ordinario di importo pari all’integrazione salariale, di durata non superiore a un ottavo delle ore complessivamente lavorabili da computarsi in un biennio mobile”, laddove non si comprende perché la prestazione non possa essere più ampia (superiore), a fronte di finanziamenti adeguati; risulta altresì evidente che la misura di 1/8 corrisponde a 3 mesi in un biennio, quindi molto inferiore a quella assicurata dalla CIG (12 mesi nel biennio mobile);
− le aliquote di contribuzione ordinaria sono ripartite per 2/3 a carico del datore di lavoro e per 1/3 a carico del lavoratore;
− ai contributi di finanziamento si applicano le disposizioni vigenti in tema di contribuzione previdenziale obbligatoria;
− il datore che ricorre alle prestazioni di sostegno al reddito per riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, è chiamato a versare al fondo un contributo addizionale calcolato in rapporto alle retribuzioni perse, nella misura stabilità dai decreti ministeriali e comunque non inferiore all’1,5%;
− i fondi hanno l’obbligo del pareggio di bilancio, non possono erogare prestazioni in carenza di disponibilità ed hanno l’onere di formulare bilanci di previsione a 8 anni, basati sullo scenario macroeconomico risultante dai documenti di economia e finanza.
I fondi bilaterali possono perseguire finalità ulteriori rispetto a quella principale, imponendo la corrispondente contribuzione straordinaria, e precisamente:
a) assicurare ai lavoratori una tutela in caso di cessazione del rapporto di lavoro, integrativa rispetto all’ASpI;
b) prevedere sostegni al reddito straordinari, nel quadro di processi di agevolazione all’esodo, ai lavoratori che raggiungano i requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata nei successivi 5 anni;
c) contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con fondi nazionali e comunitari.
Per le ulteriori finalità appena illustrate, fondi di solidarietà bilaterali possono essere costituiti anche nei settori produttivi coperti da CIG.
Infine, gli accordi e i contratti istitutivi dei fondi possono prevedere che in essi confluisca anche il fondo interprofessionale per la formazione continua istituito dalle medesime parti firmatarie ai sensi dell’art. 118 della Legge n. 388/2000; in tal caso confluisce al fondo di solidarietà anche la contribuzione dello 0,30%.
7.2.2 Fondi di solidarietà alternativi
In alternativa ai fondi di cui al punto precedente, il comma 14 dell’art. 3 prevede la possibilità che nei settori non coperti da CIG dove sono già operanti consolidati sistemi di bilateralità, quale quello dell’artigianato, le organizzazioni datoriali e sindacali possano adeguare le fonti istitutive dei fondi bilaterali già esistenti alle finalità perseguite dalla
Riforma, al fine di garantire forme di tutela in costanza di rapporto nei casi riduzione o sospensione dell’attività lavorativa.
A tale scopo gli accordi e i contratti collettivi definiscono:
a) un’aliquota complessiva di contribuzione non inferiore allo 0,20%;
b) le tipologie di prestazioni in funzione delle disponibilità del fondo;
c) l’adeguamento dell’aliquota in funzione dell’andamento della gestione ovvero la rideterminazione dell’entità delle prestazioni, anche alla luce dell’andamento del settore e più in generale dell’economia del Paese;
d) possibilità di far confluire nel fondo di solidarietà una quota parte del contributo previsto per il fondo interprofessionale di formazione;
e) criteri e requisiti per la gestione delle risorse.
I fondi di solidarietà alternativi, che non assumono la veste di gestioni speciali dell’INPS, ma rimangono interamente nella disponibilità delle parti sociali, hanno pur sempre una valenza pubblica, in funzione degli scopi che perseguono nell’ambito complessivo Riforma; per questo la norma prevede che con decreto di natura non regolamentare del Ministro del Lavoro, di concerto col Ministro dell’Economia e sentite le parti sociali istitutive, siano dettate disposizioni per determinare i requisiti di professionalità ed onorabilità dei soggetti preposti alla gestione, i criteri e i requisiti per la gestione contabile dei fondi e altre misure per rafforzare la funzione di controllo sulla loro corretta gestione.
Anche i fondi di solidarietà alternativi, pur avendo maggiore autonomia, hanno l’obbligo del pareggio di bilancio e non possono erogare prestazioni in carenza di disponibilità; anch’essi operano nei limiti delle risorse già acquisite.
7.2.3 Fondo di solidarietà residuale
“Per i settori, tipologie di datori di lavoro e classi dimensionali comunque superiori ai quindici dipendenti, non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale …” (art. 3, comma 19), per i quali non siano stipulati entro il 31 marzo 2013 gli accordi collettivi volti alla costituzione dei fondi di solidarietà di cui sopra, scatta l’intervento sostitutivo del Ministro del Lavoro, di concerto col Ministro dell’Economia, che con decreto non regolamentare istituisce un fondo di solidarietà residuale a cui contribuiscono (obbligatoriamente) i datori di lavoro dei settori individuati.
Un primo rilievo alle formulazioni utilizzate dal Legislatore, concerne il campo di applicazione del fondo di solidarietà residuale: se nei casi dei fondi già illustrati pare chiaro che i destinatari siano le imprese, nel caso del fondo residuale questa destinazione appare più sfumata, a meno che non la si deduca proprio dalla funzione sostitutiva che assume l’intervento ministeriale rispetto all’inerzia delle parti sociali; fatto sta che l’utilizzo del termine datore di lavoro, anziché imprese, legittima i dubbi in proposito.
Il fondo di solidarietà residuale, finanziato dai contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori (nella misura di 2/3 e 1/3) garantirà anch’esso una prestazione ordinaria di importo pari all’integrazione salariale, per una durata non superiore a 1/8 delle ore complessivamente lavorabili da computarsi in un biennio mobile, in relazione a riduzione o sospensione dell’attività lavorativa.
Come le atre due tipologie di fondi, il fondo residuale ha l’obbligo del pareggio di bilancio, non può erogare prestazioni in carenza di disponibilità ma solo nei limiti delle risorse già acquisite; come i fondi di solidarietà bilaterali di cui al punto 7.2.1 ha l’onere di formulare bilanci di previsione a 8 anni, basati sullo scenario macroeconomico risultante dai documenti di economia e finanza.
In caso di necessità di assicurare il pareggio di bilancio ovvero di assicurare prestazioni già deliberate, il Ministero del Lavoro può intervenire a modificare le aliquote contributive dovute al fondo residuale e ai fondi di solidarietà bilaterali di cui al punto 7.2.1, anche in mancanza di proposte in tal senso da parte dei rispettivi comitati di amministrazione.
7.3 Utilizzo dell’ASpI per le sospensioni
Il comma 17 dell’art. 3, in via sperimentale per gli anni 2013, 2014 e 2015, prevede l’utilizzo della neonata ASpI a sostegno dei lavoratori sospesi per crisi aziendali ed occupazionali che siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 2, comma 4 (2 anni di assicurazione e
almeno 1 anno di contribuzione nel biennio precedente) subordinatamente ad un intervento integrativo pari almeno al 20% dell’indennità a carico dei fondi bilaterali di solidarietà (punto 7.2.1) ovvero dei fondi alternativi (punto 7.2.2).
La durata massima del trattamento non può superare le 90 giornate da computare in un biennio mobile.
Stando alla lettera della norma, i primi rilievi che si possono formulare sono i seguenti:
− il richiamo ai requisiti soggettivi di cui all’art. 2, comma 4, determina l’impossibilità di utilizzare la mini-ASpI nelle sospensioni, diversamente da quanto avviene ora con l’indennità di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. b), del D.L. n. 185/2008;
− i fondi di solidarietà che devono erogare il trattamento integrativo sono espressamente quelli disciplinati dalla Riforma, che nel frattempo devono essere compiutamente costituiti;
− non è menzionato il fondo di solidarietà residuale (punto 7.2.3), che sembra perciò escluso dalla possibilità di erogare il trattamento integrativo.
Il trattamento ASpI per le sospensioni è erogato nei limiti delle risorse stanziate, pari a 20 milioni di Euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, e non trova comunque applicazione nei confronti dei lavoratori dipendenti da imprese soggette alla CIG, nonché nei casi di contratti di lavoro con previsione di sospensioni lavorative programmate e di contratti a part-time verticale.
7.4 Conversione di fondi speciali già esistenti
I fondi di solidarietà già esistenti nei settori del credito, del credito cooperativo, delle esattorie, dei Monopoli di Stato, delle Poste, del settore aeroportuale e ferroviario, saranno adeguati alle norme previste dalla Riforma con decreto del Ministro del Lavoro, di concerto col Ministro dell’Economia, sulla base di accordi e contratti collettivi stipulati entro il 30 giugno 2013 dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale nei diversi comparti.
Non si menziona in questo caso alcun intervento sostitutivo del Ministero in caso di inerzia delle parti sociali.
7.5 Abrogazioni
Dal 1° gennaio 2013 vengono abrogati:
− l’art. 1-bis del D.L. n. 249/2004, convertito in Legge n. 291/2004 che ha esteso la CIGS e la mobilità al personale, anche navigante, dei vettori aerei e delle società da questi derivate;
− l’art 2, comma 37, della Legge n. 203/2008, che ha riconosciuto i trattamenti di CIGS e di mobilità al personale dipendente dalle società di gestione aeroportuale e dalle società da queste derivate.
Dal 1° gennaio 2014 sono altresì abrogati:
− l’art. 2, comma 28, della Legge n. 662/1996, che regolamenta l’istituzione di fondi di sostegno al reddito per enti ed aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità;
− il regolamento di attuazione della norma appena menzionata, D.M. 27/11/1997 n. 477;
− l’art. 1-ter del D.L. n. 249/2004, convertito in Legge n. 291/2004, che ha istituito il cd. Fondo Volo, il fondo speciale per il sostegno del reddito, dell'occupazione e della riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo
− l’art. 59, comma 6, 4°, 5° e 6° periodo, della Legge n. 449/1997, che istituiva il fondo a gestione bilaterale per il sostegno al reddito per il personale della Società Ferrovie dello Stato S.p.A..
8 Ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro
Sotto la rubrica dell’art. 4 della Legge n. 92/2012 è raggruppata una nutrita serie di novità legislative, alcune delle quali di immediata applicabilità e di notevole impatto sulla vita quotidiana della aziende; altre norme di natura programmatica, come le deleghe al Governo per la riforma dei servizi all’impiego, per la validazione della formazione continua e la certificazione delle competenze e per la disciplina delle forme di partecipazione dei lavoratori agli utili e al capitale delle imprese.
8.1 Prepensionamenti (a carico delle aziende)
Il comma 1 e seguenti dell’art. 4, contempla una dettagliata disciplina di prepensionamento per i lavoratori anziani eccedentari, la cui caratteristica fondamentale consiste nel porre a carico dell’azienda l’intero onere dell’operazione, essendo il datore di lavoro obbligato a corrispondere all’INPS sia l’importo del trattamento di pensione che l’equivalente della contribuzione figurativa.
Nelle aziende che occupano mediamente più di 15 lavoratori dunque, gli accordi aziendali possono prevedere, al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori più anziani (quelli che raggiungono i requisiti di pensionamento entro 4 anni dalla cessazione del rapporto), che il datore di lavoro s’impegni a corrispondere ai lavoratori, tramite l’INPS, un importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti.
Per fare questo, il datore di lavoro presenta apposita domanda all’Istituto, corredata dall’accordo aziendale e da una polizza fideiussoria bancaria a garanzia della sua solvibilità.
In seguito alla validazione della domanda, dopo apposita istruttoria per la verifica dei requisiti in capo al lavoratore e all’azienda, il datore di lavoro procede a versare mensilmente all’INPS la provvista per la prestazione e la contribuzione figurativa. A sua volta l’Istituto provvede al pagamento della prestazione con le modalità previste per il pagamento delle pensioni.
In caso di mancato versamento della provvista l’INPS sospende il trattamento al lavoratore e procede all’escussione della fideiussione.
8.2 Incentivi all’assunzione
La variegata batteria di incentivi all’assunzione presente nell’ordinamento, dall’anno prossimo si arricchisce di due nuovi strumenti; in realtà i nuovi incentivi prenderanno il posto, più o meno gradualmente, di altri destinati a scomparire, alla luce dell’abrogazione del contratto di inserimento e del superamento progressivo dell’indennità di mobilità (vedi supra).
8.2.1 Lavoratori anziani
Le assunzioni di lavoratori di età non inferiore a 50 anni e disoccupati da almeno 12 mesi, effettuate dal 1° gennaio 2013 con contratto a tempo determinato o mediante somministrazione a termine, beneficeranno di riduzione dl 50% dei contributi a carico del datore di lavoro per 12 mesi. Se il contratto a termine è trasformato a tempo indeterminato, ovvero l’assunzione sia effettuata a tempo indeterminato fin da subito, la riduzione contributiva spetta per un periodo complessivo di 18 mesi.
8.2.2 Donne
La riduzione contributiva di cui sopra si applica anche alle assunzioni (o alle somministrazioni) di:
− donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi e residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti comunitari o nelle aree di cui all’art. 2, punto 18, lett. e) del Regolamento CE n. 800/2008 (professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo- donna in tutti i settori economici dello Paese), individuate annualmente da un decreto dei Ministri del Lavoro e dell’Economia;
− donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, ovunque residenti.
Le agevolazioni per gli over-50 e per le donne si applicano nel rispetto del Regolamento CE
n. 800/2008, che individua le condizioni affinché gli aiuti previsti da norme nazionali, a settori e tipologie di imprese, non violino le regole comunitarie sulla libera concorrenza.
Fin d’ora si possono pronosticare alcune problematiche, già emerse in relazione al contratto di inserimento, che lo sgravio contributivo per le donne ricorda molto, per ciò che concerne l’esatto significato da attribuire alla formula privo di impiego regolarmente retribuito, non ancora oggetto di chiarimenti amministrativi e la necessità di un decreto ministeriale annuale, che troppo spesso arriva con grave ritardo.
Non sembra viceversa problematico affermare che le agevolazioni di cui sopra saranno fruibili da qualsiasi datore di lavoro e non solamente da quelli costituiti in forma d’impresa.
8.2.3 Condizioni di spettanza
Il comma 12 dell’art. 4 prevede una dettagliata disciplina delle condizioni da rispettare affinché il datore di lavoro possa beneficiare degli incentivi alle assunzioni, dettata espressamente per a tutti gli incentivo previsti dall’ordinamento. Gli incentivi dunque non spettano:
a) se l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente, stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva; gli incentivi sono altresì esclusi se l’obbligo di un’assunzione diretta viene aggirato mediante un contratto di somministrazione;
b) se l’assunzione viola il diritto di precedenza, stabilito dalla legge o dal contratto collettivo, di altro lavoratore licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine; esclusi gli incentivi anche laddove l’utilizzo di un lavoratore somministrato non sia stato preceduto dall’offerta di riassunzione al lavoratore titolare di un diritto di precedenza per essere stato in precedenza licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine;
c) se il datore di lavoro o l’utilizzatore della somministrazione abbiano in atto sospensioni dal lavoro connesse a crisi aziendale, fatti salvi casi in cui l’assunzione, la trasformazione o la somministrazione coinvolgano professionalità sostanzialmente diverse da quelle dei lavoratori sospesi o siano fatte presso altre unità produttiva;
d) con riferimento a quei lavoratori che siano stati licenziati nei 6 mesi precedenti, da un datore di lavoro che, al momento del licenziamento, presenti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro che assume, ovvero sia con quest’ultimo in rapporto di collegamento o controllo; in caso di somministrazione tale condizione si applica anche all’utilizzatore.
Ai fini della determinazione del diritto agli incentivi e della loro durata, precisa il comma 13, si cumulano i periodi in cui il lavoratore ha prestato attività a favore dello stesso soggetto, a titolo di lavoro subordinato o somministrato.
Sempre in tema di incentivi, il comma 14 interviene positivamente a modificare un passaggio assai ambiguo della Legge n. 407/1990, che escludeva l’accesso agli incentivi per i disoccupati di lunga quando l’assunzione avveniva in sostituzione di lavoratori “per qualsiasi causa licenziati o sospesi”; la nuova formulazione stabilisce l’esclusione solo se le assunzioni agevolate sono effettuate per sostituire dipendenti “licenziati per giustificato motivo oggettivo o per riduzione di personale o sospesi”; si garantisce in tal modo il diritto agli incentivi se i licenziamenti precedenti erano di natura disciplinare o comunque per giusta causa.
Infine, il comma 15 stabilisce che gli incentivi non sono riconosciuti, per il periodo dall’assunzione alla data della tardiva comunicazione, laddove le comunicazioni obbligatorie di instaurazione o modifica del rapporto di lavoro o di somministrazione siano state fatte in ritardo.
8.3 Dimissioni convalidate
Quelle che ci accingiamo ad illustrare sono le annunciate novità di maggiore impatto sulla vita quotidiana delle aziende: in entrambi i casi, all’alba del 18 luglio prossimo (data di
entrata in vigore della Riforma), tutti i datori di lavoro dovranno adeguarsi e organizzare in tal senso le opportune procedure.
8.3.1 Dimissioni delle lavoratrici in gravidanza e dei neogenitori
Il comma 16 dell’art. 4, riscrivendo il 4° comma dell’art. 55 del Testo Unico sulla maternità (D.Lgs. n. 151/2001), stabilisce che la risoluzione consensuale del rapporto o le dimissioni presentate dalla lavoratrice in gravidanza, nonché dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primi 3 anni di vita del bambino, devono essere convalidate dal servizio ispettivo della Direzione Territoriale del Lavoro competente; la convalida è condizione sospensiva per l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.
Viene dunque esteso da 1 a 3 anni il periodo considerato a rischio di dimissioni estorte, xxxxx restando comunque il periodo di interdizione dal licenziamento per le lavoratrici madri e le altre tutele previste dal Testo Unico; nuovo è però l’inserimento della risoluzione consensuale del rapporto tra le fattispecie a rischio e perciò bisognose di convalida.
L’innalzamento a 3 anni dell’onere di convalida, pone dei problemi di coordinamento con il comma successivo a quello novellato, il 5°, che recita “Nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso”: essendo richiamato al 1° comma dell’art. 55 il termine di 1 anno dalla nascita del figlio, durante il quale le dimissioni della lavoratrice devono essere trattate come un licenziamento (diritto al preavviso e alle indennità di disoccupazione), mentre al 4° comma il periodo di 3 anni, non risulta affatto chiaro quale dei due periodi si debba considerare.
In ogni caso le norme sulla convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale, si applicano fino a 3 anni dall’ingresso in famiglia del minore adottato o in affidamento, nonché nei casi di adozione internazionale, con la specifica che in tal caso i tre anni decorrono dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento.
8.3.2 Dimissioni e risoluzione consensuale in genere
Con l'obiettivo di contrastare il fenomeno delle c.d. dimissioni in bianco, al di fuori dei casi previsti al punto precedente, il comma 17 dell’art. 4 stabilisce la necessità della convalida per tutti i casi di dimissioni o risoluzione consensuale del rapporto dei lavoratori e delle lavoratrici; la convalida, condizione sospensiva della risoluzione del rapporto, può essere effettuata presso la Direzione Territoriale del Lavoro, il Centro per l’Impiego territorialmente competente o le altre sedi individuate dai contratti collettivi nazionali.
In alternativa alla convalida (comma 18) l’efficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale è sospensivamente condizionata alla sottoscrizione di apposita dichiarazione dei lavoratori in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione telematica di cessazione. La norma non specifica il contenuto di tale dichiarazione, ma pare prudente suggerire un formulazione non troppo sintetica o limitata ad una firma del lavoratore; altro suggerimento prudente è quello di preparare preventivamente la documentazione necessaria.
Ulteriori modalità semplificate per accertare la veridicità della data della risoluzione consensuale e l’autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore dimissionario, potranno essere individuate dal Ministro del Lavoro tramite decreto.
Ovviamente le problematiche sorgeranno nei casi di inerzia del lavoratore e laddove non sia possibile far sottoscrivere istantaneamente la dichiarazione in calce alla comunicazione telematica di cessazione; è quanto i successivi commi da 19 a 22 tentano di regolare:
− se il lavoratore non procede spontaneamente alla convalida nelle sedi menzionate o alla sottoscrizione della ricevuta della comunicazione telematica di cessazione, il rapporto si considera risolto qualora egli non aderisca entro 7 giorni dalla ricezione dell’invito rivoltogli per iscritto dal datore di lavoro, a presentarsi presso le sedi o a sottoscrivere la dichiarazione;
− il rapporto si risolve entro 7 giorni anche qualora il lavoratore, debitamente sollecitato per iscritto, non effettui la revoca delle dimissioni;
− la comunicazione contenente l’invito, corredata di copia della ricevuta di trasmissione della cessazione, da recapitare entro 30 giorni dalla data delle dimissioni, si considera
validamente effettuata quando è inviata all’indirizzo fornito dal lavoratore o risultante dal contratto di lavoro (senza oneri di accertamento ulteriore), ovvero consegnata a mano e sottoscritta dall’interessato;
− nei 7 giorni dalla ricezione dell’invito datoriale, che può coincidere col preavviso lavorato, il lavoratore ha facoltà di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto; tale revoca, specifica la norma, può essere comunicata in forma scritta, ma può evidentemente assumere altre forme; in caso di revoca, il contratto di lavoro viene ripristinato, ma se non c’è stata prestazione lavorativa tra il recesso e la revoca, il lavoratore non matura alcuna retribuzione; alla revoca delle dimissioni conseguono il venir meno di eventuali pattuizioni connesse al recesso e l’obbligo del lavoratore di restituire quanto eventualmente percepito in forza di esse;
− se manca la convalida o la sottoscrizione e il datore di lavoro non trasmette al lavoratore l’invito a comparire di cui sopra, entro 30 giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto, le dimissioni si considerano definitivamente prive di effetto.
Per riepilogare le tappe e le scadenze proponiamo la seguente tabella.
Presentazione delle dimissioni o sottoscrizione risoluzione consensuale.
Se il lavoratore non sottoscrive immediatamente la dichiarazione o non si presenta spontaneamente a convalidare le dimissioni o la risoluzione consensuale
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Entro 30 giorni il datore di lavoro deve invitare per iscritto il dipendente (allegando copia della ricevuta di cessazione telematica) per:
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Sottoscrivere l’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione telematica di cessazione
Convalidare le dimissioni o la risoluzione consensuale presso la Direzione Territoriale del Lavoro, il Centro per l’Impiego o le altre sedi individuate dal ccnl
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Entro 7 giorni dalla ricezione dell’invito, il lavoratore può:
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Convalidare le dimissioni o la risoluzione consensuale | Sottoscrivere la dichiarazione di cessazione | Revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale; il rapporto viene ripristinato |
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Se entro 7 giorni dalla ricezione dell’invito scritto il lavoratore non revoca le dimissioni e/o la risoluzione consensuale, non le convalida presso le sedi qualificate, né sottoscrive la dichiarazione, il rapporto si intende risolto
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Se il datore non recapita entro 30 giorni al domicilio del lavoratore l’invito, le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto sono inefficaci
Il comma 23 dell’art. 4, per scoraggiare ulteriormente comportamenti scorretti, introduce una sanzione amministrativa da 5.000 a 30.000 Euro per il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore per simulare le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto; salvo che il fatto non costituisca reato.
Competente ad accertare ed irrogare la sanzione è la Direzione Territoriale del Lavoro.
8.4 Sostegno alla genitorialità
Con espressa finalità di sostenere la funzione genitoriale e promuovere un cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia, la Riforma propone due misure sperimentali per gli anni 2013-2015 (art. 4, commi 24-26)
Con decreto del Ministro del Lavoro, di concerto col Ministro dell’Economia, da adottare entro un mese dall’entrata in vigore della legge, sono stabiliti i criteri di accesso e le modalità di utilizzo dei congedi di cui al successivo punto 6.4.1., nonché il numero e l’importo dei voucher di cui al punto 6.4.2., anche in relazione all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEEI del nucleo familiare
8.4.1 Congedi per il padre
Il padre lavoratore dipendente, nei primi 5 mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un giorno.
Nel medesimo periodo, il padre può astenersi altri 2 giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione, perché in questo caso i congedi devono coincidere con l’astensione obbligatoria di quest’ultima.
Entrambi i congedi di cui sopra sono indennizzati dall’INPS al 100%. Il padre lavoratore deve comunicare per iscritto al datore di lavoro i giorni prescelti per astenersi dal lavoro, con un preavviso di almeno 15 giorni.
8.4.2 Voucher per le neomamme
Nei limiti delle risorse stanziate, sarà possibile concedere alla madre lavoratrice, al termine del congedo di maternità (astensione obbligatoria), per gli 11 mesi successivi ed in alternativa al congedo parentale (astensione facoltativa), la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting o per far fronte alle spese degli asili-nido pubblici o privati, purché questi ultimi siano accreditati.
8.5 Modifiche al collocamento obbligatorio
Il comma 27 dell’art. 4, dispone le seguenti modifiche alla legge per il collocamento dei disabili:
a) viene riscritto il 1° comma dell’art. 4 delle Legge n. 68/1999, stabilendo che nella base di computo per la determinazione del numero di disabili da assumere, devono essere inseriti tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato; non sono viceversa da computare i lavoratori occupati ai sensi della legge n. 68/1999, i soci di cooperative di produzione e lavoro, i dirigenti, i lavoratori assunti con contratto di inserimento, i lavoratori somministrati, i lavoratori assunti per attività da svolgersi all'estero per la durata di tale attività, i soggetti impegnati in lavori socialmente utili, assunti ai sensi dell'art. 7 del D.Lgs. 28 febbraio 2000 n. 81, i lavoratori a domicilio, lavoratori che aderiscono al programma di emersione, ai sensi dell'articolo 1, comma 4-bis, della legge
18 ottobre 2001, n. 383 e successive modificazioni, i lavoratori la cui esclusione è prevista da discipline di settore. Dal confronto con la precedente formulazione si nota che saranno ricompresi nella base di computo tutti i contratti a tempo determinato, che finora ne erano esclusi se il rapporto non superava i 9 mesi; considerata l’immediata entrata in vigore della disposizione, potrà essere necessario ricalcolare la base di computo e potranno emergere scoperture, che dovranno essere segnalate ai servizi competenti entro 60 giorni, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge in parola;
b) a modifica dell'articolo 5, comma 2 della legge n. 68/1999, si prevede che, ai fini dell'esonero dagli obblighi di assunzione, si ricomprende nel personale di cantiere anche quello direttamente operante nei montaggi industriali o impiantistici e nelle relative opere di manutenzione svolte in cantiere, indipendentemente dall'inquadramento previdenziale dei lavoratori; in sostanza, le aziende impiantistiche che operano nelle costruzioni
beneficeranno dell’esenzione dal collocamento obbligatori al pari di quelle edili in senso stretto;
c) al fine dichiarato di evitare abusi nel ricorso all'istituto dell'esonero e garantire il rispetto delle quote di riserva, all'art. 5 della Legge n. 68/1999 si introduce il comma 8-quinquies, che prevede l’emissione di Decreto ministeriale, entro il 18 settembre 2012, con il quale regolare la disciplina sui procedimenti relativi agli esoneri parziali dagli obblighi di assunzione, la disciplina sui criteri e le modalità per la loro concessione, la definizione di norme volte al potenziamento delle attività di controllo;
d) si interviene infine sul comma 1 dell'art. 6 della legge n. 68/1999, prevedendo che gli uffici competenti dei servizi regionali per l'impiego comunichino, anche in via telematica, con cadenza almeno mensile, alla competente Direzione territoriale del lavoro, il mancato rispetto delle norme sulle assunzioni obbligatorie e il ricorso agli esoneri, ai fini dell'attivazione degli eventuali accertamenti.
8.6 Sgravi sulla contrattazione di secondo livello
I commi 28 e 29 dell’art. 4, intervengono sugli sgravi contributivi previsti per la contrattazione di secondo livello:
a) il comma 28 prevede la messa a regime dello sgravio contributivo previsto all'articolo unico, commi 67 e 68, della Legge n. 247/2007, rimuovendo il riferimento al carattere sperimentale ivi previsto. E’ inoltre semplificata la procedura di concessione dello sgravio contributivo, attraverso la soppressione dell'apposito Osservatorio istituito presso il Ministero del Lavoro e la procedura che richiedeva una verifica annuale di conferma; lo sgravio è concesso a valere sulle risorse, pari a 650 milioni di euro, già presenti nello stato di previsione del Ministero, relative al Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello.
b) il comma 29 autorizza, per l'anno 2011, il Ministro del Lavoro a utilizzare le risorse iscritte nei capitoli del proprio stato di previsione già impegnate per gli sgravi contributivi.
8.7 Immigrati
Il comma 30 dell’art. 4, modifica la disciplina relativa al prolungamento del soggiorno del cittadino straniero extracomunitario nell'ipotesi di perdita del posto di lavoro, attraverso:
a) l’elevazione ad almeno un anno del periodo minimo di iscrizione nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso;
b) la previsione che il permesso per attesa occupazione sia valido per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita, qualora superiore all’anno di cui sopra.
8.8 Responsabilità solidale negli appalti
Il comma 31 interviene sulla responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatori, negli appalti di opere o di servizi, modificando la formulazione dell’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, oggetto di rivisitazioni anche recenti:
a) viene inserito un periodo iniziale che demanda ai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, la possibilità di individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti tali da escludere le obbligazioni solidali disciplinate dalla normativa in parola;
b) si interviene sui rapporti di responsabilità tra committente e appaltatore in sede di giudizio prevedendo, rispetto alla formulazione vigente, che il committente imprenditore
o datore di lavoro (soggetto a solidarietà passiva) è sempre convenuto in giudizio unitamente all'appaltatore e agli eventuali subappaltatori; inoltre l'eccezione di preventiva escussione esercitata da parte del committente può riguardare non solo il patrimonio dell'appaltatore (come invece attualmente previsto) ma anche quello di eventuali subappaltatori; in ogni caso il committente non è più tenuto ad indicare i beni del patrimonio dell'appaltatore sui quali il lavoratore può agevolmente soddisfarsi; l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente non solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore (come invece attualmente previsto) ma anche dopo l'infruttuosa escussione di quello di eventuali subappaltatori. Resta invece immutata la possibilità per il committente, che ha eseguito il pagamento, di esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.
8.9 Decadenza dal diritto a beneficiare degli ammortizzatori sociali
Al fine di incentivare comportamenti virtuosi e responsabilizzare i lavoratori che beneficiano di prestazioni di sostegno del reddito, viene riscritta la disciplina della decadenza, contenuta nell’art. 1-quinquies, del D.L. n. 249/2004, convertito in Legge n. 291/2004, che viene corrispondentemente abrogato.
− Il lavoratore sospeso dall’attività lavorativa e beneficiario di sostegni al reddito in costanza di rapporto, decade dal trattamento qualora rifiuti di essere avviato ad un corso di formazione o di riqualificazione o non lo frequenti regolarmente senza giustificato motivo (comma 40);
− il lavoratore cessato, beneficiario dell’indennità di mobilità o di sussidi comunque collegati allo stato di disoccupazione (comma 41), decade dai trattamenti se:
a) rifiuti di partecipare a iniziative di politiche attive proposte dai Centri per l'impiego o non vi partecipi regolarmente senza un giustificato motivo;
b) non accetti un'offerta di lavoro con inquadramento in un livello retributivo superiore almeno del 20% rispetto all'importo lordo dell'indennità cui ha diritto.
Le disposizioni di cui sopra si applicano quando le attività formative o di riqualificazione ovvero le offerte lavorative si svolgono in luoghi che non distano più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore o comunque ad una distanza percorribile con mezzi di trasporto pubblici in 80 minuti.
Particolarmente severa la condizione di cui al punto b), laddove la norma previgente faceva riferimento ad offerte lavorative inquadrate in un livello retributivo non inferiore del 20% rispetto a quello delle mansioni di provenienza.
Ferma restando la perdita del diritto alla prestazione nelle ipotesi sopra elencate, rimangono salvi i diritti già maturati.
I centri per l'impiego e gli altri servizi competenti, comunicano tempestivamente gli eventi sopra descritti all'Inps, che dispone il provvedimento di decadenza (sempre impugnabile con ricorso al Comitato provinciale).
8.10 Deleghe al Governo
La Legge n. 92/2012 contiene ben tre deleghe al Governo per intervenire con decreti legislativi su materie connesse al mercato del lavoro:
− delega per il riordino della normativa concernente i servizi all’impiego e le politiche attive; a tale scopo vengono allungati i tempi per l’esercizio della delega di cui all’art. 1, comma 30, lettera a) della Legge n. 247/2007, stabilendo un termine di 6 mesi dall’entrata in vigore della Riforma (commi 48-50);
− delega per la definizione di norme generali e livelli essenziali delle prestazioni, per l’individuazione e la validazione degli apprendimenti non formali ed informali (che i commi 51-54 si premurano di definire) e per la costruzione di un sistema nazionale di
certificazione delle competenze (comma 58), da esercitare entro 6 mesi dall’entrata in vigore della Riforma;
− delega per riordinare le norme esistenti e individuare nuove discipline per favorire la partecipazione dei lavoratori agli utili e al capitale delle aziende (comma 62), da esercitare entro 9 mesi dall’entrata in vigore della Riforma.
8.11 Norme di natura fiscale
Con l’evidente intento di recuperare risorse, la Riforma contiene anche norme di natura squisitamente fiscale, che certamente non incontreranno il favore delle imprese; il comma 72 dell’art. 4, prevede infatti:
− la riduzione dal 40% al 27% della percentuale di deduzione dal reddito delle spese e degli altri costi relativi alle autovetture, per imprese, lavoratori autonomi e professionisti;
− la riduzione dal 90% al 70% della percentuale deducibile per le auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti.
Il successivo comma 76 prevede infine che la deduzione dal reddito dei contributi al Servizio Sanitario Nazionale gravanti sui premi assicurativi sia operante per la parte eccedente la franchigia di 40 Euro.
Per maggiori informazioni su questi temi, rinviamo alle pagine di questo stesso Notiziario curate dai colleghi del Servizio Fiscale.