COSA CHIEDIAMO AL NUOVO GOVERNO
ImpresA
•sociale•
A cura del Centro studi CGM del Consorzio nazionale della cooperazione di solidarietà sociale Xxxx Xxxxxxxxxx
COSA CHIEDIAMO AL NUOVO GOVERNO
PROGRAMMI SOCIALI PROPOSTI IN CAMPAGNA ELETTORALE
PROFILO DEL DIRIGENTE DELLA COPERAZIONE SOCIALE
CONTRACTING OUT NEI SERVIZI DI WELFARE
15
maggio / giugno 1994
SOMMARIO
IMPRESA SOCIALE
A cura del Centro studi CGM Consorzio nazionale della cooperazione di solidarietà sociale Xxxx Xxxxxxxxxx
n. 15 maggio / giugno 1994
DIREZIONE
Xxxxxx Xxxxxxxx (direttore responsabile), Xxxxxxx Xxxxx
COMITATO EDITORIALE
Xxxxx Xxxxxxxx,Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx X'Xxxxxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxx,
Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxxxxx,
Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx
REDAZIONE
26 Xxx Xxxxxxxxxx 00000 XXXXXXX Tel. 030/0000000/3 Fax 030/0000000
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cooperazione di solidarietà sociale Xxxx Xxxxxxxxxx 11 Xxxxxxxx Xxxxx 00000 XXXXXX L’abbonamento dà diritto a ricevere 6 numeri che usciranno nel 1994. A chi si abbona durante l’anno saranno spediti gli arretrati
Cosa chiediamo al nuovo governo 2
Dall’organizzazione nonprofit al gruppo nonprofit
Primo piano sul dirigente della cooperazione sociale
Xxxxx Xxxxxxxxx 13
LE FORME DELLA CONTRATTAZIONE
Sul contracting out nei servizi sociali e sanitari
Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx 18
STRUMENTI
Il bilancio di solidarietà sociale: una proposta per redigerlo 32
DOCUMENTI
Programmi di politica sociale proposti
nella recente campagna elettorale 40
Linee programmatiche del Consorzio CGM 46
IL COMMERCIALISTA DEL SOCIALE
Trattamento fiscale dei contributi in conto capitale e liberalità 50
COSA CHIEDIAMO AL NUOVO GOVERNO
L
e recenti ultime elezioni politiche - al di là del giudi- zio positivo, negativo o di attesa che il loro esito può aver determinato in ciascuno - hanno rappresentato
un’occasione di confronto civile di grande interesse riguardo ai temi oggetto di governo e, in specifico, alle politiche di welfare.
Seppure in modo talvolta ancora un po’ generico e schemati- co, specie nel corso dei dibattiti televisivi, anche il tema delle politiche sociali è stato infatti finalmente oggetto di una più seria e attenta considerazione. Tutte o quasi le forze politiche e i loro leader hanno ben compreso come dagli intendimenti e dalle proposte (magari anche un po’ demagogiche e populi- ste) su temi quali la tutela della salute senza sperperi, l’edu- cazione dei figli, la cura degli anziani avrebbero giocato buona parte del loro credito e della loro attrattiva agli occhi degli elettori.
E’ soprattutto su alcune questioni riguardanti le forme della sicurezza sociale che si è soffermata l’attenzione dei program- mi e dei dibattiti elettorali. Tutti gli schieramenti e i partiti in lizza hanno sottolineato, con sfumature simili, che il ruolo educativo e di cura della famiglia dovrà essere valorizzato e sostenuto anche economicamente, più di quanto oggi si fac- cia. Si è registrato un coro unanime nel rimarcare l’importan- za del volontariato. Una concordanza di vedute, seppur con accenti diversi, è stata manifestata anche rispetto all’opportu- nità che venga ridimensionato il ruolo dello Stato come ero- gatore diretto di servizi sociali.
Su altre questioni, invece, le proposte presentate sono apparse dissimili, quando non alternative. Si pensi, ad esempio, alle proposte in tema di riforma del sistema sanitario e previden- ziale e alle soluzioni prospettate per far fronte ai problemi della disoccupazione legata ai processi di riconversione indu- striale. Su altri temi, infine, solo alcune formazioni politiche
hanno preso posizione: solo in alcuni programmi, ad esempio, si è parlato chiaramente di terzo settore e di imprenditoria sociale, indicandoli come soluzioni necessarie per un welfare davvero rinnovato.
Proprio per meglio consentire di approfondire i programmi presentati durante la passata campagna elettorale, in questo numero di Impresa sociale sono state pubblicate e comparate le principali proposte di politica sociale dei tre maggiori par- titi che hanno fatto parte dei tre schieramenti elettorali con- frontatisi lo scorso 27 e 28 marzo.
Passato il confronto elettorale, l’avvento della Seconda Repubblica e il formarsi di una coalizione di Governo di destra segnano oggi l’inizio di una nuova stagione politica, i cui tratti generali sono già, in larga misura, delineati. Sono stati promessi (e presumibilmente saranno perseguiti con decisione) obiettivi che prevedono meno presenza dello Stato nell’economia e nella società, meno tasse, meno oneri a cari- co dell’impresa privata, meno regole che vincolino la libera iniziativa economica e falsino la concorrenza, più autonomia e responsabilità alle amministrazioni locali, fino a configura- re un’organizzazione dello Stato di tipo federale.
Queste linee generali d’azione saranno probabilmente appli- cate non solo nel campo delle politiche economiche, ma anche delle politiche sociali. Se verranno effettivamente attuati gli intendimenti affermati nel corso della campagna elettorale dai partiti che compongono l’attuale coalizione governativa, si assisterà all’introduzione generalizzata di forme di compe- tizione nella fornitura di previdenze e prestazioni sociali, all’applicazione di più stringenti criteri di selettività (soprat- tutto in base al reddito) nell’accesso ai servizi, a un ripensa- mento della fiscalità e della sua funzione redistributrice, all’introduzione di misure economiche “negative” (sgravi fiscali e previdenziali per le organizzazioni e le imprese impe- gnate nel sociale, detrazioni fiscali per i cittadini che acqui- steranno direttamente servizi di welfare), ecc. Di fronte a que- sti indirizzi, sentiamo allora la necessità di esprimere alcuni auspici e preoccupazioni.
La prima e più sentita preoccupazione è che il “vento liberi- sta” spazzi via non solo i laccioli che hanno frenato l’innova- zione e i privilegi riconosciuti ad un apparato pubblico spesso inefficiente, ma anche alcuni diritti finora garantiti in Italia a tutti i cittadini, seppure in modo sovente stentato e non unifor- me. Certi servizi essenziali quali l’educazione di base, le cure mediche fondamentali, forme previdenziali minime, ecc. - al di
là di chi dovrà esserne il fornitore - debbono continuare a essere garantiti in modo universalistico a tutti i cittadini.
Non ci convince dunque l’intendimento di creare un sistema di protezione sociale di tipo duale, secondo cui le persone abbienti sarebbero sollevati da molti degli obblighi fiscali e contributivi (potendo essi acquistare direttamente sul mercato servizi e previdenze sociali), mentre solo le persone o le fami- glie in difficoltà economiche sarebbero aiutate dallo Stato. Un siffatto modello comporterebbe non pochi problemi e rischi: difficoltà a certificare su parametri di reddito le effettive situazioni di indigenza; accentuazione della segmentazione tra ricchi e poveri; possibilità di comportamenti imprevidenti, per cui alcuni cittadini potrebbero decidere di non assicurar- si, salvo poi non poter ricevere assistenza in caso di bisogno, ecc.
E’ preferibile pertanto che le pubbliche amministrazioni - a prescindere dalla natura pubblica, privata o sociale del forni- tore - continuino ad assicurare a tutta la popolazione un livel- lo minimo di servizi e previdenze essenziali, attraverso forme di prelievo fiscale generalizzato e progressivo. Per altre pre- stazioni non essenziali è invece condivisibile pensare di introdurre più stringenti criteri selettivi in base al tipo di biso- gno, al merito, allo status lavorativo, al reddito, evitando così di cercare di dare tutto a tutti.
Ad esempio, è da condividere l’intendimento di ridurre il livello di copertura previdenziale generalizzata, che ha deter- minato in questi anni un eccessivo carico di oneri sociali per le imprese. Xxxxxx invece è che venga mantenuto un livello minimo di protezione pensionistica per tutti i cittadini, lasciando poi la possibilità di forme di previdenza integrativa. Una seconda preoccupazione è che l’ondata liberista possa aprire indiscriminatamente anche a forme di imprenditorialità eccessivamente spregiudicate, ossia poco attente alle esigenze dei fruitori dei servizi sociali e molto attente invece a far quattrini. Com’è noto, una delle ragioni economiche che giu- stificano la presenza di fornitori pubblici o nonprofit sta pro- prio nel fatto che essi, non avendo come fine il massimo pro- fitto, appaiono più idonei a fornire servizi sociali a persone in difficoltà e non in grado (es. poveri, malati, bambini, anziani non autosufficienti, ecc.) di difendere i loro diritti di consuma- tori.
Per queste e per altre ragioni auspichiamo che il nuovo Governo, nella prospettiva di una delega gestionale dei servi- zi sociali, definisca regole e controlli a tutela dei cittadini utenti e sostenga soprattutto quelle iniziative organizzate espressioni delle comunità locali che operano per perseguire
il maggior benessere collettivo.
Altra preoccupazione sta nel timore che il nuovo Governo guardi con sospetto alla cooperazione sociale, assimilandola alle cooperazione tradizionale considerata, non senza qual- che motivo, come settore protetto e colluso con alcuni partiti. Quanti conoscono la cooperazione sociale ben sanno invece come, fin dalle sue giovani origini, essa abbia trovato solide radici soprattutto nello spirito del volontariato e nella cultura d’impresa, evitando quelle tentazioni collateralistiche da cui la cooperazione tradizionale è stata invero talvolta attratta.
Non vi sono dunque ragioni per non valorizzare l’azione delle cooperative sociali. Xxxx, essendo fortemente vincolate sul piano della finalizzazione solidarististica e della trasparenza amministrativa, esse appaiono un soggetto particolarmente idoneo per accelerare e attuare correttamente i futuri pro- cessi di depubblicizzazione dei servizi sociali, in modo non penalizzante per poveri e bisognosi.
Affinchè tali processi vedano efficacemente impegnati le imprese sociali e l’insieme dei soggetti di terzo sistema, occorre tuttavia che vengano rimossi alcuni ostacoli e inde- terminatezze. Ci vuole - così come anche illustrato nel pro- gramma del maggior partito di Governo - uno specifico regi- me fiscale per il settore nonprofit; è necessario che vengano meglio definite le specifiche finalità e missioni dei diversi sog- getti che lo compongono, evitando così improprie invasioni di campo; bisogna muoversi nella direzione di creare forme sta- bili di collaborazione tra settore pubblico e settore senza fini di lucro, nelle quali lo Stato e le sue articolazioni periferiche mantengano soprattutto un’attività di controllo, garantendo l’universalità e la qualità del servizio.
Sono obiettivi, questi, che da tempo non ci stanchiamo di rimarcare nelle pagine della nostra rivista e che sono stati illustrati anche in recenti documenti (si vedano soprattutto le “Proposte al Governo e al Parlamento” presentate in occa- sione della Legge finanziaria 1993 e il documento dell’Osservatorio Nazionale sul Volontariato circa i rapporti tra volontariato organizzato e cooperazione sociale, pubbli- cati sui numeri 8 e 12 di Impresa sociale). Su tali proposte ci troviamo dunque consenzienti e disponibili al confronto e alla collaborazione, nella speranza che vengano presto realizzate.
Xxxxxxx Xxxxx
IMPRESA SOCIALE 15/1994
DALL’ORGANIZZAZIONE NONPROFIT AL GRUPPO NONPROFIT
Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Premessa
Vogliamo proporre in questa sede alcune riflessioni sui percorsi di sviluppo, integrazione e differenzia- zione possibili per le organizzazioni nonprofit (ONP). Limiteremo la nostra trattazione alle possi- bilità di differenziazione e integrazione riguardanti associazioni, fondazioni ed organizzazioni di volontariato ed alla loro integrazione con le coope- rative sociali.
L’evoluzione della normativa italiana sulle organizzazioni di privato-sociale
I primi anni ‘90 hanno visto l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico di una serie di norme riguardanti le organizzazioni del privato sociale che si sono aggiunte alla regolamentazione codici- stica delle associazioni e fondazioni, determinando la nascita di alcune forme giuridiche definite. Si pensi, ad esempio, alla codificazione operata dalla legge quadro sulle caratteristiche delle organizza- zioni di volontariato, in precedenza costituite a volte in forma di associazioni, a volte di cooperati- ve. La codificazione delle forme attraverso cui i soggetti privati organizzati possono concorrere al perseguimento di fini di pubblico interesse ed esse- re agevolati in ciò, pone gli stessi di fronte a scelte anche difficili per far corrispondere la realtà della propria organizzazione agli schemi definiti dalla normativa.
Abbiamo innanzitutto la regolamentazione delle organizzazioni di volontariato “registrate”, in cui
l’elemento tipico delle associazioni (la partecipa- zione degli associati ad una organizzazione per rea- lizzare uno scopo comune) è stato ulteriormente caratterizzato da un complesso di obblighi e vinco- li. L’organizzazione di volontariato delineata dalla legge 266/91 è infatti caratterizzata dall’assenza di rapporti giuridici patrimoniali tra aderenti ed orga- nizzazione; dall’assenza di fini di lucro; dalla gra- tuità delle prestazioni effettuate dai volontari-ade- renti in modo personale, spontaneo e gratuito per esclusivo fine di solidarietà; dalla democraticità della struttura; dalla elettività e gratuità delle cari- che. Completa la struttura necessaria dell’organiz- zazione l’obbligo di formazione del bilancio e la regolamentazione dei rapporti con gli associati e della loro assicurazione.
Ci troviamo di fronte ad un’associazione in cui alla struttura democratica ed alla prevalenza dell’ele- mento personale tipico dell’associazione si accom- pagna l’assenza di uno scambio economico tra ade- renti ed organizzazione. Il fine esclusivo di solida- rietà viene “premiato” da un trattamento fiscale notevolmente agevolativo per i benefattori oltre che per l’organizzazione, il che rende l’organizza- zione di volontariato soggetto particolarmente adatto alla raccolta di mezzi finanziari destinati al sostegno delle attività, oltre che alla organizzazio- ne della attività personale degli aderenti.
La regolamentazione giuridica delle fondazioni non è mutata negli ultimi anni: esse rappresentano aggregazioni organizzate di beni per fini di pubbli- ca utilità. La fondazione, superata spesso l’esclusi- va connotazione di “patrimonio orientato ad uno scopo” si presenta come una organizzazione in cui
gli organi danno esecuzione alla volontà del fonda- tore orientati a garantire la salvaguardia del xxxxx- xxxxx e la garanzia del rispetto delle volontà del fondatore. La fondazione, in forza della prevalenza dell’elemento patrimoniale su quello personale e della volontà del fondatore, non ha obbligatoria- mente struttura democratica, anche perchè non ha soci che nominano gli organi direttivi, spesso nominati mediante meccanismi di cooptazione.
Nel settore nonprofit vengono solitamente ricom- prese le cooperative sociali, società mutualistiche a marcata connotazione solidaristica, che hanno “lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana ed all’integrazio- ne sociale dei cittadini”. Queste società cooperati- ve, che si autodefiniscono “imprese sociali”, accet- tano di accompagnare al fine dell’equilibrio econo- mico a valere nel tempo valido per ogni azienda la socialità come caratteristica della loro attività. In forza di questo particolare orientamento le coope- rative sociali appaiono tra le imprese maggiormen- te qualificate a gestire servizi sociali, potendo coinvolgere nella partecipazione alla base sociale e nella gestione soci volontari e soci utenti.
Anche se alcuni sostengono l’indifferenza delle forme giuridiche adottate dalle organizzazioni del privato sociale, si ritrova una tendenziale tipicizza- zione delle forme giuridiche in cui possiamo rico- noscere un ruolo specifico per le associazioni di volontariato (per semplicità, in questa fase imma- giniamo che tutte le organizzazioni di volontariato assumano la forma giuridica dell’associazione), per le fondazioni e per le cooperative sociali, all’interno di quello che viene comunemente iden- tificato come il “settore nonprofit”.
La situazione risultante, a metà degli anni 90, è
caratterizzata dalla presenza di una pluralità di forme giuridiche che possono rispondere con una diversa tipizzazione alla necessità di intervento nel settore. Le organizzazioni di volontariato si mostreranno come strutture particolarmente adatte per la raccolta di fondi e l’organizzazione delle attività in cui sono direttamente operanti volontari- soci e sostenitori dell’organizzazione. Le fondazio- ni saranno invece utilizzabili per garantire la conti- nuità dell’orientamento “di fondo” delle attività dell’ONP, oltre le scelte contingenti su attività e modelli di gestione. A loro volta, le cooperative sociali saranno impegnate nella gestione di servizi con la partecipazione di lavoratori, utenti, volonta- ri, finanziatori, accompagnando l’attenzione al mantenimento di condizioni di equilibrio economi- co caratteristiche di ogni azienda al rispetto dei contenuti di responsabilità sociale tipici delle atti- vità in oggetto (Osservatorio Nazionale per il Volontariato, 1993).
I soggetti privati che perseguono fini di pubblico interesse
Per superare il problema dell’assenza di una defini- zione unitaria per le organizzazioni nonprofit, si è assunta la nozione di ONP come “organizzazioni di diritto privato che perseguono scopi di pubblico interesse”. Premessa concettuale per il riconosci- mento di una peculiarità e di un regime maggior- mente agevolativo rispetto alle “organizzazioni profit oriented” appare essere il riconoscimento del valore di determinate attività, indipendentemente dalla natura giuridica pubblica o privata del sogget- to che le pone in essere.
Due sono i principi di carattere generale che
Intendiamo per gruppo nonprofit
un sistema di ONP costituito da una organizzazione di volontariato, una fondazione, una o più cooperative sociali che unitariamente perseguono lo scopo ideale della ONP originaria, nella specificità
delle forme giuridiche e dei compiti
operativi
vogliamo acquisire alla nostra riflessione:
- le attività o le situazioni giuridiche che attengono
alla tutela di valori ed interessi ritenuti di pubblico interesse dall’ordinamento giuridico sono tali indi- pendentemente dal soggetto, pubblico o privato, che le pone in essere;
- il potere pubblico deve assicurare l’esercizio di diritti e svolgere le proprie funzioni di tutela, senza con ciò necessariamente predisporre direttamente tutti i servizi connessi.
La dottrina aziendale ha interpretato queste rifles- sioni con la distinzione tra funzione e servizio pub- blico, intendendo per funzione pubblica “l’espres- sione del raggiungimento di fini ed obiettivi istitu- zionali ... Essa concerne la responsabilità attribuita alla pubblica amministrazione nella sua articola- zione organizzativa sulla produzione di un certo effetto nel sistema economico ed è un processo di risposta ad aree di bisogno che la collettività espri- me in modo più o meno manifesto”. Per servizio pubblico si intende invce “l’espressione di stru- menti attraverso i quali si realizzano le funzioni sopraindicate e consiste nell’organizzare le attività atte a generare certi prodotti-servizi o atte a realiz- zare un dato trasferimento di ricchezza” (Fiorentini 1992).
Per quanto riguarda la responsabilità sulla regola- xxxx nell’utilizzo delle risorse, comunque acquisite, la stessa regolare gestione e rendicontazione a pieno titolo richiesta all’ente pubblico può essere richiesta all’ONP registrata come onere per il man- tenimento delle agevolazioni di carattere fiscale concesse (in questo senso va probabilmente inteso l’obbligo di presentazione del bilancio per le orga- nizzazioni di volontariato a dimostrazione del cor- retto impiego delle risorse per gli scopi statutari).
Per quanto concerne invece la responsabilità sull’efficienza e sull’efficacia nell’utilizzo delle risorse, riteniamo si debba affermare la responsabi- lità della ONP sull’utilizzo efficace ed efficiente delle risorse acquisite e l’obbligo di rendicontazio- ne esteso alle attività svolte ed ai risultati raggiunti, con l’utilizzo di aggregati monetari ed indicatori di attività.
Appare inoltre riduttivo vedere questa collabora- zione solo come uno strumento di supplenza od integrazione da parte del “privato sociale” di quelle attività che il pubblico non vuole o non riesce a svolgere, e prevedere invece stabilmente una plura- lità di forme organizzative per il complessivo eser- cizio della funzione pubblica. Questa pluralità di formule organizzative e di gestioni possono evitare l’”appiattimento” della complessiva funzione pub- blica sul modello di servizio sviluppato dal sogget- to pubblico, promuovendo invece processi di speri-
mentazione ed innovazione che, attraverso processi di apprendimento organizzativo, possono portare a modificare i modelli di intervento del sistema.
Il passaggio da un sistema di soggetti di natura esclusivamente pubblica che perseguono finalità ritenute di pubblico interesse al riconoscimento che le medesime finalità possono essere perseguite autonomente da soggetti privati di interesse pubbli- co (le ONP) rappresenta, oltre ad un riconoscimen- to di pluralismo nelle dinamiche con cui i soggetti sociali possono partecipare alla vita civile ed eco- nomica, anche una risposta alla complessità della domanda sociale e della sua evoluzione. In questo quadro l’operatore pubblico, rendendosi conto della strutturale difficoltà per un unico soggetto e per un unico modello organizzativo nel fronteggia- re l’evoluzione della domanda sociale, rende possi- bile e favorisce l’attività di una pluralità di soggetti (pubblici, privati profit, ONP) legati tra loro e con l’operatore pubblico da relazioni di competizione e collaborazione. Questo atteggiamento rappresenta un riconoscimento della complessità del problema
La fondazione nel gruppo nonprofit
svolge il peculiare ruolo di garanzia di continuità
del patrimonio e dell’orientamento strategico del gruppo stesso
e delle dinamiche sociali e della necessità di garan- tire la massima flessibilità del sistema dei servizi.
La formazione del gruppo nonprofit ed il ruolo delle diverse organizzazioni: processi di diffe- renziazione ed integrazione
Dalle considerazioni sopraesposte giungiamo alla definizione del gruppo nonprofit quale ipotesi di adeguamento delle forme istituzionali delle orga- nizzazioni nonprofit. Intendiamo per gruppo non- profit un sistema di ONP costituito da una organiz- zazione di volontariato, una fondazione, una o più cooperative sociali, originati da una ONP (o da più ONP aventi lo stesso orientamento) che unitaria- mente perseguono lo scopo ideale della ONP origi- naria nella specificità delle forme giuridiche e dei compiti operativi. Caratteristica del gruppo ONP appare essere la differenziazione al proprio interno delle organizzazioni in base alle diverse specificità,
nella condivisione dell’unitario orientamento stra- tegico, rappresentato dalla originaria “missione” dell’ONP di cui il gruppo nonprofit è sviluppo ed espressione.
Analizzando innanzitutto le specificità delle diver- se ONP, vediamo come l’organizzazione di volon- tariato possa esplicare il proprio ruolo di organiz- zazione della libera partecipazione dei cittadini attraverso una funzione di stimolo e controllo delle attività dei soggetti pubblici e privati operanti. Inoltre, l’organizzazione di volontariato potrà dive- nire (stante la favorevole regolamentazione tributa- ria) struttura di attivazione di risorse finanziarie donate per i fini del gruppo nonprofit, potenziando con il governo delle stesse la funzione di stimolo, controllo e sostegno delle attività ritenute merito- rie.
La cooperativa sociale, in questo quadro, diventa la forma di impresa che gestisce servizi in condi- zioni di equilibrio economico, facendosi contem- poraneamente carico, conformemente alla propria particolare interpretazione solidaristica dello scopo mutualistico, del “perseguimento dell’interesse generale della comunità alla promozione umana”. La scelta di affidare a cooperative, e non ad asso- ciazioni od a fondazioni la gestione diretta di servi- zi, è guidata dalla convinzione che l’impresa coo- perativa sia una forma più adatta alla gestione di strutture e servizi in cui l’orientamento alla solida- rietà deve essere accompagnato da una buona dose di imprenditorialità nell’utilizzo delle risorse umane e materiali, con la continua attenzione all’utilizzo economico delle risorse ed al rapporto tra servizi prodotti e costi sostenuti.
L’utilizzo della particolare forma di cooperativa sociale è poi volto al superamento della mera gestione mutualistica di servizio, prevedendo la presenza delle diverse categorie di soci all’interno della base sociale e del gruppo dirigente (lavorato- ri, volontari, utenti o familiari di utenti, persone giuridiche pubbliche o private); ci riferiamo quindi a cooperative sociali che utilizzino le facoltà previ- ste dalla legge di differenziazione dalle ordinarie cooperative ad esclusivo scopo mutualistico. Si potrà prevedere la costituzione di una o più coope- rative sociali per la gestione delle diverse attività o dei diversi servizi in cui il gruppo nonprofit si trova impegnato.
La fondazione nel gruppo nonprofit svolge il pecu- liare ruolo di garanzia di continuità del patrimonio e dell’orientamento strategico del gruppo stesso, mantenendo il patrimonio del gruppo al riparo dal rischio connesso a singole iniziative promosse
dagli altri soggetti. Inoltre meccanismi di nomina del gruppo dirigente della fondazione che temperi il metodo democratico con elementi di cooptazione (non possibile nelle altre due strutture giuridiche) rappresenterebbero per tutti una garanzia rispetto al rischio di ribaltamento di maggioranze e decisioni che mettano a repentaglio l’intero patrimonio del gruppo. Un meccanismo mediato di nomina del gruppo dirigente della fondazione la accrediterebbe come sede della continuità della missione strategi- ca del gruppo e luogo di composizione dei diversi orientamenti sulla gestione delle attività del grup- po.
Tentiamo ora di delineare i rapporti, istituzionali e finanziari, che possono intercorrere tra i diversi soggetti del gruppo nonprofit. Per quel che riguar- da i collegamenti istituzionali, la fondazione potrebbe essere uno dei soci-persone giuridiche delle cooperative sociali; nel caso in cui la fonda- zione si trovi nella condizione di socio sovventore, essa potrebbe rinunciare alla remunerazione mone- taria del proprio conferimento a fronte del suo impiego, per finalità connesse alla propria missione istituzionale. La presenza della fondazione tra i soci della cooperativa renderebbe anche possibile la presenza di amministratori nominati dalla fonda- zione nell’organo amministrativo della cooperati- va; allo stesso modo si può prevedere la presenza di un rappresentante della fondazione negli organi direttivi della associazione di volontariato.
Si può poi prevedere che parte dei componenti gli organi della fondazione vengano scelti dalla coope- rativa o dall’organizzazione di volontariato. La partecipazione alla cooperativa sociale come socio può essere pensata anche per l’organizzazione di volontariato, con la conseguente possibilità di desi-
gnare rappresentanti per il consiglio di amministra- zione. La presenza negli organi direttivi delle orga- nizzazioni di rappresentanti di altre ONP deve però fungere da elemento di coesione e collegamento e non può divenire rapporto di controllo, per evitare di azzerare le specificità ricercate nella differenzia- zione delle forme istituzionali delle ONP del grup- po. Si possono definire poi rapporti di integrazione operativa e finanziaria, che divengono nella realtà più incisivi dei rapporti istituzionali. Accanto al conferimento di capitale sociale, la fondazione può destinare fondi alla stessa cooperativa per l’iniziale finanziamento di progetti innovativi, che non pre- sentano ancora condizioni di equilibrio economico, oppure può consentire, a titolo di contributo econo- mico, l’utilizzo gratuito del patrimonio della stessa fondazione.
L’organizzazione di volontariato può poi destinare parte delle risorse finanziarie raccolte dal pubblico
all’acquisizione di servizi da cooperative sociali (svolgendo un ruolo di integrazione e migliora- mento dei servizi forniti dall’operatore pubblico), da destinare gratuitamente al pubblico, contrattan- do con le stesse cooperative quantità e qualità dei servizi per gli utenti. La stessa organizzazione di volontariato può decidere (statutariamente o in sede di destinazione del risultato di esercizio) di destinare alla fondazione una parte o la totalità del risultato attivo di gestione. Questa scelta determi- nerebbe una strutturale assenza di capitalizzazione della organizzazione di volontariato, a favore del consolidamento patrimoniale della fondazione, cassaforte finanziaria oltre che centro di direzione strategica delle attività.
Nell’attuale quadro legislativo, inoltre, associazio-
ni e fondazioni non potrebbero fruire del beneficio della responsabilità limitata nell’esercizio di atti- vità anche costituendo un’apposita società uniper- sonale e si troverebbero costrette a costituire appo- site strutture, per non rischiare tutto il capitale in una unica iniziativa.
All’interno del gruppo nonprofit le diverse orga- nizzazioni (pur nella condivisione dell’unica mis- sione strategica) perseguiranno diversi obiettivi, in dipendenza della loro diversa natura giuridica e della diversa filosofia che dovranno esprimere i gruppi dirigenti, interpretando correttamente le dif- ferenziazioni. In particolare, la cooperativa sociale sarà orientata a rispondere alle aspettative di remu- nerazione dei soci lavoratori, di livello quali-quan- titativo dei servizi espresso da volontari ed utenti in costanza dell’equilibrio economico e finanziario aziendale.
La fondazione sarà invece maggiormente attenta al rafforzamento del gruppo, per garantire la sua sopravvivenza e la continuità delle iniziative; l’organizzazione di volontariato sarà volta a svilup- pare quanto più possibile la propria attività, sia in termini di persone in essa coinvolte, che di incisi- vità della propria azione. Gli obiettivi delle diverse ONP sono strutturalmente in conflitto tra loro, per- chè richiedono di orientare in direzioni opposte risorse umane e materiali, ma la pluralità delle organizzazioni consente di trasformare i contrasti tra obiettivi in un continuo confronto tra le diverse interpretazioni e i diversi modelli di sviluppo delle attività propugnati dalle diverse ONP.
Da tale confronto possono scaturire ulteriori stimo- li per l’adeguamento dell’intervento delle organiz- zazioni al mutamento della situazione nei settori di interesse. La pluralità degli strumenti facilita inol- tre la sperimentazione di diversi modelli organizza- tivi e gestionali, autonomamente od in collabora- zione con altri soggetti pubblici e privati.
Anche nei rapporti con gli Enti Pubblici sarà evi- dente la diversa posizione dei soggetti del gruppo nonprofit: per la cooperativa il soggetto pubblico sarà cliente per la cessione di servizi alla produzio- ne dei quali è rivolta l’attività sociale; per la fonda- zione il soggetto pubblico sarà invece di volta in volta interlocutore e partner nella gestione di pro- getti. Infine, per l’organizzazione di volontariato il soggetto pubblico sarà nello stesso tempo destina- tario dei servizi gratuiti oggetto dell’attività dei volontari, così come dell’attività di stimolo e con- trollo, così come finanziatore indiretto attraverso la formula delle agevolazioni fiscali.
L’informazione sulle attività ed il ruolo del bilancio per le organizzazioni del gruppo non- profit
La costituzione di un gruppo nonprofit ci pone di fronte a particolari problemi relativi all’informa- zione da dare all’esterno sulle attività dei soggetti interessati e sui flussi monetari attivati dalla gestio- ne delle organizzazioni. Abbiamo visto che la pre- senza di rapporti complessi di collaborazione tra soggetti rende possibile la formazione di rapporti non basati sul solo criterio dello scambio economi- co. Siamo in presenza di rapporti simili a quelli tra società controllate e collegate per cui la normativa sulle società di capitali richiede la formazione di un bilancio consolidato e l’evidenziazione separata dei rapporti.
Per garantire una corretta e completa informazione ai soci ed ai terzi esterni alle organizzazioni sarà necessario dichiarare l’appartenenza ad un gruppo nonprofit ed evidenziare i rapporti, monetari e non, intercorrenti tra organizzazioni appartenenti allo stesso gruppo; sarebbe
inoltre opportuno evi-
colte dalla organizzazione di volontariato e non preventivamente destinate al finanziamento di pro- getti e servizi “contrattati” con la fondazione o la cooperativa sociale) si ripropongono i citati rappor- ti di competizione tra le diverse organizzazioni, che determinano le scelte di rafforzamento dell’una o dell’altra organizzazione. Il rispetto del divieto di distribuzione di parte del residuo di gestione attra- verso benefici monetari destinati ai partecipanti alle organizzazioni nonprofit (soci-aderenti della organizzazione di volontariato, partecipanti agli organi della fondazione, soci delle cooperative sociali) serve a garantire (anche se non in senso assoluto) i soggetti esterni donanti e gli enti pubbli- ci sul fatto che le risorse finanziarie conferite al gruppo onp saranno interamente devolute per gli scopi del gruppo stesso e non andranno a costituire una qualche forma di dividendi e sovra-remunera- zioni del proprio apporto per i partecipanti.
Percorsi di definizione e successo per le organiz-
zazioni ed i gruppi non- profit
denziare i flussi finan- ziari ed i rapporti con Enti Pubblici. Oltre alla dichiarazione dei rappor- ti interni al gruppo non- profit il sistema informa- tivo-contabile delle fon- dazioni sarà volto alla
Il successo del gruppo nonprofit e delle diverse ONP è rappresentato dalla possibilità di esprimere
per ogni ONP la pienezza della
propria “missione”
Si possono delineare alcuni “percorsi tipici” di strutturazione del gruppo nonprofit a partire da sin- gole organizzazioni non- profit o da cooperative sociali. Una organizza-
dimostrazione dell’utilizzo dei proventi e della sal- vaguardia del patrimonio della fondazione in rela- zione ai progetti ed alle iniziative sostenute.
Nella cooperativa sociale il bilancio civilistico redatto secondo le prescrizioni del DL 127/1991, integrato dal bilancio di responsabilità sociale, sarà orientato alla dimostrazione del risultato economi- co dell’esercizio ed all’evidenziazione dei rapporti con gli interlocutori rilevanti. Il bilancio delle organizzazioni di volontariato, pur preso in consi- derazione dalla legge 266/1991, è argomento su cui l’elaborazione scientifica e la prassi aziendale non offrono un modello consolidato: in considerazione della particolare realtà di queste organizzazioni si può definire uno schema di rendiconto finanziario di competenza basato sulla rappresentazione dei circuiti gestionali tipici della organizzazione di volontariato.
Nella “ripartizione” del complessivo avanzo di gestione del gruppo nonprofit (rappresentato nel nostro quadro dalla destinazione delle risorse rac-
zione di volontariato può decidere, ad un certo punto della sua evoluzione, di separare il proprio patrimonio e costituire una fondazione, che possa perseguire in diverso modo la stessa “missione” dell’organizzazione. Allo stesso modo, una coope- rativa potrebbe scorporare parte del proprio patri- monio alla costituzione di una fondazione per far svolgere ad essa alcune attività che ritenga mag- giormente adatte a questa forma giuridica, conti- nuando a svolgere attività economica. In altre situazioni la stessa cooperativa o direttamente alcu- ni suoi soci potrebbero invece promuovere una associazione di volontariato che svolga attività di sostegno ed integrazione a quelle di “servizi socio- sanitari” svolte dalla stessa cooperativa.
In altri casi la formazione del gruppo nonprofit è risultato del processo di crescita dell’organizzazio- ne, che nella formazione del gruppo e nella costitu- zione di una fondazione vede la possibilità di sepa- rare dalla persona del fondatore-leader carismatico e dalle sue vicende personali l’attività ormai fonda-
ta e sviluppata.
Quali sono allora le condizioni necessarie perchè questo processo giunga alla costruzione di ONP e di un gruppo che uniscano alla permanenza una incisiva capacità innovativa sul sistema dei servi- zi? In buona sostanza, quali le condizioni per un gruppo nonprofit “di successo”? Possiamo dire che il successo del gruppo nonprofit e delle diverse ONP è rappresentato dalla possibilità di esprimere per ogni ONP la pienezza della propria “missione” (gestione di servizi in equilibrio economico per le cooperative, organizzazione dei volontari e raccol- ta di fondi per l’organizzazione di volontariato, continuità nelle attività per la fondazione) nella realizzazione di alcune idee-forza all’interno dell’orientamento complessivo del gruppo.
Considerazioni conclusive
L’organizzazione delle diverse ONP nel gruppo nonprofit permette di valorizzare le diverse specifi- cità delle organizzazioni, mantenendole all’interno del gruppo in ragione dell’appartenenza ad una unica “missione” nonprofit. L’attività dei gruppi nonprofit nei processi di ridefinizione dell’inter- vento dell’operatore pubblico nel sociale inserisce elementi di flessibilità di una certa rilevanza; innanzitutto l’inserimento di nuovi soggetti operan- ti nel campo della protezione e della solidarietà sociale conferisce flessibilità al sistema, evitando l’appiattimento sulle scelte organizzative espresse dall’operatore pubblico (possiamo immaginare che un numero maggiore di soggetti riesca ad esprime- re una maggiore flessibilità nei modelli di interven- to, che si traduca in una maggiore capacità di ade- guamento continuo ai bisogni da parte del sistema dei servizi). La costruzione di gruppi nonprofit e la definizione in essi di spazi di collegamento e di differenziazione inserisce inoltre un ulteriore ele- mento di flessibilità per gli interventi delle organiz- zazioni nonprofit, non più legati ad un unico modello istituzionale di intervento.
Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Professore a contratto di Economia Aziendale Università degli Studi di Bologna
Bibliografia
Coda V. (1987), L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Milano. Fiorentini G. (1992), Organizzazioni nonprofit e di volontariato, Etas, Milano.
Mariconda G. (a cura di) (1993), “Le organizzazioni nonprofit nell’ordinamento giuridico”, Quaderni del Volontariato, Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma.
Osservatorio Nazionale per il Volontariato (1993), Documento di indirizzo sull’attuazione integrata delle leggi 266/91 e 000/00, Xxxx.
Travaglini C. (1992), “Cooperative sociali e sistema pubblico: possibilità di integrazione”, Rivista della Cooperazione, n. 6
IMPRESA SOCIALE 15/1994
PRIMO PIANO SUL DIRIGENTE DELLA COOPERAZIONE SOCIALE
Xxxxx Xxxxxxxxx
Premessa1
Per la raccolta delle informazioni necessarie è
2
stato predisposto un questionario inviato ai mem-
Chi sono i dirigenti della cooperazione sociale? Qual è la loro età e il loro livello di formazione? Da quanto tempo operano nella cooperazione sociale? Come vi sono arrivati? Quali e quanti incarichi ricoprono all’interno del movimento coo- perativo? Come è scandita la loro settimana lavora- tiva?
Queste sono alcune delle domande che il gruppo di ricerca si è posto all’avvio dell’indagine sulla diri- genza della cooperazione sociale, il cui obiettivo principale era la conoscenza delle caratteristiche dei membri eletti nei diversi livelli della struttura organizzativa della cooperazione sociale. Si è cer- cato di raggiungere tale obiettivo attraverso l’anali- si delle principali caratteristiche anagrafiche dei dirigenti, dei loro impegni ed incarichi assunti in ambito cooperativo, dei loro percorsi formativi, delle competenze professionali ed imprenditoriali acquisite e/o da accrescere.
Particolare attenzione è stata posta all’uso del tempo nel corso di una settimana lavorativa, al fine di verificare la consistenza degli impegni del diri- gente della cooperazione, la loro distribuzione nei diversi ambiti e le diverse funzioni svolte.
Il dirigente della cooperazione sociale è in prevalenza una persona di sesso maschile, proviene in misu- ra maggiore dalle regioni settentrio- nali , ha un’età media di 42 anni
bri del Consiglio nazionale e dei Consigli regionali di Federsolidarietà ed ai membri dei Consigli di amministrazione dei Consorzi di cooperative socia- li. Inoltre, sono stati coinvolti i partecipanti a due corsi di formazione per dirigenti di cooperative sociali organizzati da CGM.
Tale inclusione ha trovato giustificazione nel fatto che si tratta di persone che quotidianamente opera- no in cooperativa con ruoli di responsabilità, mem- bri dei Consigli di amministrazione, fortemente motivate ad approfondire le tematiche della coope- razione, direttamente in contatto con la base socia- le: possono quindi essere considerati come futuri dirigenti. Nell’ambito della ricerca, tale gruppo ha avuto la funzione di “termometro” e di gruppo di confronto tra “nuovi” e “vecchi” dirigenti.
Il profilo del dirigente
L’analisi dei dati raccolti ha permesso di scattare una fotografia al dirigente della cooperazione sociale, evidenziandone alcune sue caratteristiche. Il dirigente della cooperazione sociale è in preva- lenza una persona di sesso maschile (72%), provie- ne in misura maggiore dalle regioni settentrionali (75,7%), ha un’età media di 42 anni (il 44% è nato tra il 1951 e il 1960).
Si noti (fig. 1) l’alto livello di scolarizzazione: quasi 9 su 10 possiedono almeno il diploma di scuola media superiore.
Figura 1 - Titolo di studio del dirigente della coo- perazione sociale
licenza media 12%
laurea 41%
diploma superiore 47%
Egli ha integrato il suo curriculum scolastico con corsi di formazione inerenti la cooperazione socia- le, a cui ha partecipato nel corso degli ultimi cin- que anni. Il 73% ha partecipato in media a sei corsi ciascuno, di cui due organizzati dal settore formazione CGM.
Il dirigente della cooperazione sociale lavora da molti anni in questo settore (il 46% da un numero di anni compreso tra 6 e 10 ed il 35% da più di 10 anni), dato questo che indica un elevato consolida- mento dell’esperienza, oltre che forte motivazione e coinvolgimento. Il suo impegno si innesta preva- lentemente su esperienze di volontariato, di asso- ciazionismo e di obiezione di coscienza, anche se non mancano coloro che sono arrivati alla coopera- zione sociale per motivi professionali (fig. 2).
Figura 2 - Provenienza del dirigente della coope- razione sociale (%)
47,3
29,1
12,2
4,7
1,4
2,7 2,6
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
volontariato
familiare di utente
utenti
motivi professionali
obiezione di coscienza
gruppo religioso
altro
0
Un numero rilevante di dirigenti (77%) ha avuto esperienze di lavoro in ambiti diversi da quello della cooperazione sociale, in prevalenza in quello privato.
Oltre a ricoprire incarichi dirigenziali, opera in qualità di socio prestatore o volontario in una coo- perativa sociale di cui è almeno membro del Consiglio di Amministrazione; inoltre, ricopre almeno due ruoli dirigenziali ai diversi livelli orga- nizzativi (federazioni e consorzi).
La presenza femminile
La presenza femminile nel gruppo dirigente della cooperazione sociale è pari al 28%, ed è decisa- mente più elevata rispetto agli altri settori del mer- cato del lavoro, dove raggiunge il 10-11%.
Confrontando i diversi ambiti in cui le dirigenti sono impegnate, si registra una loro maggiore pre- senza nei ruoli gestionali, soprattutto in cooperati- va (28,6%), che diminuisce nei consorzi (26,4%), mentre è decisamente più bassa nei ruoli politici (20,6% in Federsolidarietà) per aumentare nuova- mente nelle Centrali cooperative (26,8%).
Questo dato può derivare da più fattori, quali ad esempio il diverso utilizzo del tempo dovuto alla combinazione di impegni professionali e familiari, il maggiore pragmatismo che porta ad una maggio- re partecipazione nei ruoli gestionali, la maggior difficoltà nella gestione di rapporti fortemente con- notati al maschile. Tuttavia, resta un dato signifi- cativo la presenza di una percentuale di donne par- ticolamente elevata, dato da attribuire anche al fatto che la cooperazione sociale è un fenomeno abbastanza recente e, quindi, risente meno della tradizionale divisione dei ruoli; al fatto che mag- giore è la loro propensione per la scelta di lavori nel sociale, dove maggiori sono le competenze relazionali e minori le barriere all’accesso.
Il dirigente volontario
Lo sviluppo della cooperazione sociale è da attri- buire, in buona misura, all’attività prestata gratuita- mente da persone fortemente motivate al lavoro nel sociale, provenienti da esperienze precedenti di volontariato. I dirigenti soci volontari di cooperati- va rappresentano il 36,9% del totale.
Nonostante la mancanza di informazioni specifiche sulla condizione professionale del socio volontario (lavoratore dipendente, libero professionista,
imprenditore, pensionato) e sul tipo di attività svol- ta (a titolo gratuito o retribuito) nelle altre cariche ricoperte nelle diverse strutture della cooperazione sociale, dall’analisi dei dati emergono comunque alcune considerazioni interessanti. Tenendo conto dell’età media (42 anni) e sulla base dell’impegno settimanale, prevale il dirigente socio volontario che lavora in un altro settore economico, portando la propria esperienza professionale esterna all’interno della cooperativa e/o del consorzio, in cui è impegnato per un numero di ore settimanali compreso tra 1 e 10.
L’acquisizione di professionalità in altri settori ed il suo trasferimento nella cooperativa sociale ha una valenza positiva per il suo sviluppo imprendi- toriale, in quanto favorisce il confronto continuo con la realtà economica complessiva e, quindi, appare un’opportunità di crescita molto importan- te.
Prevale il dirigente socio volontario che lavora in un altro settore economico, portando la propria esperienza professionale all’interno della cooperativa/consorzio
Accanto a questa figura prevalente, non manca (15%) il dirigente volontario impegnato a tempo pieno (oltre 30 ore settimanali) nella cooperativa e/o nel consorzio. In questo caso, si può ipotizzare che la maggiore disponibilità di tempo sia dovuta all’esistenza di altre fonti di reddito, quali pensio- ne o redditi non da lavoro. La figura del dirigente socio volontario full time può rivelarsi problemati- ca, in quanto i suoi investimenti personali si trova- no concentrati nell’unico ambito della cooperazio- ne sociale. In questo senso la visione definibile come “quasi monacale” dell’essere cooperatore può determinare l’adesione a modelli unici di inter- pretazione della realtà, che non tengono conto di contesti più ampi e diversi.
Abbastanza contenuto è l’impegno richiesto dalle strutture di Federsolidarietà e di Confcooperative; di conseguenza la presenza del socio volontario nelle stesse strutture è molto limitata e si concen- tra principalmente nella fascia di impegno settima- nale compresa tra 1 e 10 ore.
Anche il tempo dedicato dai soci volontari agli impegni familiari evidenzia due tipi diversi di diri- genti. Tale distinzione è riconducibile alle osserva-
zioni precedenti: infatti da un lato vi sono coloro che, essendo impegnati anche nell’attività lavorati- va, hanno minor tempo libero e quindi vi dedicano tra 1 e 10 ore (42%); dall’altro troviamo un gruppo di persone (il 16% ) impegnate in famiglia per oltre 40 ore.
Il futuro dirigente
Il cooperatore che ha partecipato ai corsi di forma- zione per dirigenti della cooperazione sociale orga- nizzati dal settore formazione CGM è per metà circa di sesso maschile (53%), prevalentemente proviene dalle regioni settentrionali (92,5%), è nato dopo il 1960 (72%), ha conseguito un diploma di scuola media superiore (62%).
Anche il futuro dirigente è arrivato alla coopera- zione sociale attraverso esperienze di volontariato oppure spinto da motivi professionali; opera in tale ambito da un periodo compreso tra due e cinque anni (63%).
Attualmente lavora a tempo pieno in una coopera- tiva sociale, in qualità di socio prestatore con ruoli di responsabilità, ed è almeno membro del Consiglio di amministrazione.
Ha avuto spesso esperienze lavorative in ambiti diversi da quello cooperativo in settori privati o pubblici (67,4%) ed è impegnato (70% dei casi) in attività diverse (sociali, politiche, religiose, cultu- rali) al di fuori dell’ambito della cooperazione sociale.
Essendo prevalentemente socio prestatore (76,7%), la sua attività lavorativa si concentra essenzialmen- te nella cooperativa, dove è impegnato a tempo pieno. Non è ancora presente nelle strutture orga- nizzative dei livelli superiori. Unica eccezione rile- vata riguarda alcuni corsisti, che operano in qualità di dipendenti presso il consorzio territoriale (12%). Confrontando le caratteristiche del dirigente con quelle dei partecipanti ai corsi di formazione, si evidenziano alcune differenze, che fanno in alcuni casi intravedere una continuità di percorso nelle due figure. Infatti, il corsista è ovviamente più gio- vane, opera da un minor numero di anni nella coo- perazione sociale ed inizia la propria carriera parte- cipando con ruoli di responsabilità ai Consigli di amministrazione delle cooperative, in cui lavora come socio prestatore. Si può, quindi, supporre che la formazione per futuri dirigenti sia mirata e selet- tiva, in quanto i corsisti vengono individuati e scel- ti sulla base del possesso di alcuni requisiti legati alla conoscenza della realtà cooperativa ed
all’esperienza maturata in attività sociali affini. Infatti, è necessario ricordare che i percorsi forma- tivi CGM sono rivolti esclusivamente ad operatori di cooperative sociali.
Nel gruppo dei partecipanti ai corsi di formazione, la presenza dei soci volontari è molto limitata (11,6%). Si tratta di persone più giovani che, pur provenendo da esperienze di volontariato, hanno maturato in minor misura esperienze professionali esterne alla cooperazione. Si presume quindi che il passaggio dall’esperienza nelle diverse realtà asso- ciative a quella di socio prestatore nelle cooperati- ve sociali sia stato in molti casi immediato. Questo fatto può rappresentare un limite, in quanto il tra- vaso delle professionalità dall’esterno all’interno ha un significato di particolare importanza, soprat- tutto per chi opera nelle cooperative di inserimento lavorativo, in quanto essi devono acquisire com- petenze ed abilità che rendano possibile una produ- zione di qualità, la permanenza sul mercato e, di conseguenza, lo sviluppo imprenditoriale.
La ridotta presenza del volontario tra i corsisti può
essere anche imputata ad una diversa visione dell’essere cooperatore tra le giovani generazioni. Coloro che decidono di impegnarsi nel sociale scelgono di lavorarvi a tempo pieno e, quindi, in qualità di prestatori, mentre il tempo di non lavoro viene dedicato ad altre attività. Infatti, sono il 70% coloro che sono impegnati in attività esterne alla cooperazione sociale (sociale, politiche, religiose, culturali). Questo non deve essere considerato tanto un limite, ma piuttosto un modo diverso di organizzare il tempo e di vedere una maggiore distinzione tra tempo di lavoro e di non lavoro, senza per questo nulla togliere dal lato della pro-
fessionalità.
Gli incarichi assunti e il tempo richiesto
Ponendo attenzione agli impegni assunti nel corso di una settimana lavorativa nelle diverse strutture della cooperazione sociale, risulta che ciascun diri- gente, pur essendo presente in almeno due livelli organizzativi (94,5%), concentra la sua attività in prevalenza nella cooperativa, mentre molto limita- to è il tempo dedicato agli altri incarichi assunti.
Ciò, se in parte è attribuibile al minor impegno richiesto passando dalle strutture operative a quel- le organizzative e strategiche (quali le Federazioni regionali e nazionali), è da ricercare in larga parte nella necessità di mantenere un forte radicamento nella cooperativa, di cui i dirigenti sono sovente presidenti e molto probabilmente anche soci fonda- tori.
Si può, quindi, affermare che il dirigente arriva ai livelli più alti del movimento solo attraverso un percorso interno di carriera: prima giunge alla coo- perativa sociale provenendo da esperienze di volontariato e successivamente, grazie al consoli- damento delle motivazioni - che stanno alla base del suo impegno nel sociale - e all’acquisizione di competenze gestionali e relazionali, arriva negli altri livelli della struttura (federazioni, consorzi).
Se difficile è capire come funzionano le diverse assunzioni di responsabilità e le priorità nelle diverse strutture ed in quale misura c’è mobilità all’interno di una medesima struttura, è certamente significativo il dato sull’ultima elezione del Consiglio nazionale di Federsolidarietà, il quale indica che il gruppo dirigente è stato rinnovato nella misura del 73%, facendo intravedere una buona disponibilità al ricambio delle cariche ed evidenziando che il tempo di permanenza nella cooperazione sociale non coincide necessariamente con quello impegnato in ruoli dirigenziali a livello nazionale.
Tuttavia, l’accentramento e la sovrapposizione delle cariche diventano problematiche nel lungo periodo, quando la possibilità di rinunce e dimis- sioni porrà il problema del ricambio delle persone. A tale riguardo sorgono alcune domande. I dirigen- ti di oggi stanno lavorando per formare e crescere altri dirigenti? I programmi formativi tengono conto degli strumenti gestionali necessari a chi opera nelle strutture di secondo e terzo livello? Sono ipotizzabili percorsi formativi specifici per questi dirigenti?
L’attività formativa
Relativamente al tempo dedicato all’attività forma- tiva, si rileva che il 52% dei dirigenti dedica da 1 a 5 ore settimanali allo studio ed il 23,6% da 6 a 10 ore. Inoltre, accanto a dirigenti (73%) che hanno partecipato mediamente a 6 corsi di formazione ciascuno negli ultimi cinque anni, si trova un grup- po (27%) che non ne ha frequentato nessuno.
Accanto, quindi, a persone che ritengono necessa- rio il percorso di formazione ed aggiornamento, non mancano quelle che, al contrario, non ne sen- tono la necessità, in quanto probabilmente hanno accumulato molta esperienza: ritenendo ormai con- cluso il proprio processo di crescita, non prendono in considerazione l’ipotesi di tornare a studiare.
Il dirigente arriva ai livelli più alti del movimento solo attraverso un percorso
interno di carriera
Analizzando, inoltre, il confronto tra le competen- ze acquisite dai dirigenti e quelle da acquisire, si osserva che essi si dichiarano maggiormente pre- parati negli aspetti della gestione aziendale, ma sugli stessi temi chiedono ulteriori approfondimen- ti, evidenziando il loro bisogno di formazione. Il medesimo confronto tra le risposte dei corsisti evi- denzia invece che il gap tra ciò che essi conoscono e non conoscono riguarda essenzialmente lo svi- luppo e l’innovazione nelle cooperative e gli aspet- ti di gestione.
Questa informazione deve essere recepita con attenzione da coloro che si occupano della proget- tazione di proposte formative, anche al fine di indi- viduare nuove modalità formative, che tengano
conto delle diverse esigenze.
Conclusioni
Le considerazioni emerse non hanno la pretesa di esaurire l’analisi del gruppo dirigente, anche per- chè, essendo la ricerca rivolta all’interno dell’orga- nizzazione, ha il vantaggio di offrire un’occasione in più per avviare momenti di confronto. Attraverso il dibattito interno, potranno emergere ulteriori approfondimenti necessari per conoscere i responsabili dell’organizzazione ed i loro bisogni (formativi, relazionali, ecc.), per capire meglio il loro ruolo all’interno dell’organizzazione, per favorire l’individuazione di percorsi di gestione il più possibile coerenti ed in linea con gli obiettivi della stessa.
In particolare, la conoscenza delle caratteristiche del dirigente della cooperazione sociale può avere due implicazioni:
di tipo politico: nel sapere le loro qualità e, quindi, se possono assumersi responsabilità di rappresen- tanza e di decisione; nel valutare il problema del ricambio, considerando in che misura le sostituzio- ni sono frutto di scelte opportune oppure del “but- tar via” risorse ancora valide e difficilmente sosti- tuibili;
di tipo formativo: nel sapere in quale forma e con quali modalità è possibile intervenire per aggiorna- re gli attuali dirigenti e individuare percorsi di spe- cializzazione differenziati per i diversi livelli; nell’investire nella formazione di nuovi dirigenti partendo da un percorso di base comune valido per tutti i cooperatori, indipendentemente dal loro futu- ro come dirigenti.
Xxxxx Xxxxxxxxx Centro Studi CGM
Note
1) Il presente articolo riporta una sintesi dei principali risultati emersi da una recente ricerca condotta sulla dirigenza della cooperazione sociale, realizzata da Confcooperative-Federsolidarietà e dal Centro studi CGM, con il contributo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (1993). Il gruppo di ricerca, coordi-
nato da Xxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx, era composto da Xxxxx Xxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxx.
2) I questionari pervenuti, validi ai fini della ricerca e, quindi, elaborati, sono complessivamente 197, di cui 154 compilati dai dirigenti e 43 dai partecipanti ai per- corsi formativi per dirigenti.
IMPRESA SOCIALE 15/1994
LE FORME DELLA CONTRATTAZIONE
SUL CONTRACTING OUT
NEI SERVIZI SOCIALI E SANITARI
Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx
Introduzione
Si fa sempre più pressante la discussione sulla sorte del nostro sistema di Stato sociale (welfare state, come lo chiamano inglesi ed americani). La domanda di prestazioni sociali da parte dei cittadi- ni cresce. Con essa tuttavia aumentano anche le difficoltà finanziarie dello Stato e sorge perciò la necessità di ridurre la quantità e la qualità dei ser- vizi erogati.
Aumentano anche, in modo sempre più evidente, le contestazioni verso l’apparato pubblico (la buro- crazia amministrativa ed i soggetti erogatori) che ha il compito di fornire i servizi ai cittadini. Sempre più forti si levano le voci di protesta contro le inefficienze, i meccanismi di funzionamento barocchi, le procedure farraginose e, in generale, l’insieme dei costi (non solo monetari) cui i cittadi- ni vanno soggetti per ottenere servizi di qualità ritenuta scadente.
In questo frangente, guadagnano consenso coloro che ritengono opportuno applicare anche ai servizi dello Stato sociale (principalmente sanità, assisten- za ed educazione) la ricetta che altri paesi (la Gran Bretagna in particolare) hanno usato per le imprese manifatturiere e le utilities di proprietà pubblica: privatizzare. La privatizzazione dei servizi di wel- fare presenta però caratteri assai più controversi di quella delle imprese manifatturiere, soprattutto per il loro implicito carattere redistributivo (di ricchez- za e di opportunità). Affidare al semplice operare del mercato (o alla benevolenza individuale) la for- nitura di servizi quali l’istruzione o la sanità signi- ficherebbe infatti escludere ampie fasce della popolazione dal loro consumo.
È per contenere i costi ed incrementare l’efficienza dello Stato sociale che sono stati proposti, negli ultimi tempi, alcuni interventi correttivi al mecca- nismo pubblico di fornitura dei servizi sociali e sanitari. L’obiettivo degli interventi è quello di mantenere, e se possibile estendere, il carattere redistributivo e solidale delle nostre economie, ponendo però rimedio alle principali ragioni di malfunzionamento dei sistemi di welfare.
È in questa linea che le amministrazioni di alcuni paesi (Stati Uniti in primo luogo) hanno iniziato ad utilizzare la tecnica del contracting out, cioè ad appaltare a terzi (pubblici o privati), attraverso meccanismi competitivi, la produzione di beni o servizi di welfare. Agli occhi di coloro che la sostengono, questa tecnica consente di porre rime- dio alla contraddizione cui si è fatto cenno in pre- cedenza: all’aumento della domanda di servizi di welfare (molti dei quali hanno le caratteristiche di beni pubblici o quasi-pubblici) corrisponde una crescita delle contestazioni verso l’apparato pub- blico che li fornisce. Il contracting out riduce il problema mantenendo la responsabilità pubblica del finanziamento del costo del servizio (ovviando con ciò ai ben noti problemi di finanziare sul mer- cato la produzione di beni pubblici) ma attribuendo una responsabilità privata nella erogazione dello stesso. In tal modo consente di ottenere una ridu- zione dei costi ed un miglioramento della qualità di ciò che viene offerto ai cittadini.
I paragrafi che seguono analizzano i principali strumenti di una privatizzazione che non voglia ridursi alla semplice delega al mercato (paragrafo 1), le ragioni e le condizioni di funzionamento della tecnica del contracting out (paragrafo 2), per
poi concludere sull’esperienza italiana del conven- zionamento tra pubblico e privato come modalità molto particolare di privatizzazione (paragrafo 3).
1. Gli strumenti della privatizzazione: principali alternative
Gli interventi dell’operatore pubblico nel sistema economico e sociale sono molteplici e diversi; que- sta varietà di azioni pubbliche fa si che il termine privatizzazione non assuma un unico significato.
Sulla privatizzazione si confrontano infatti due filosofie polari alternative tra le quali si trovano poi diverse soluzioni intermedie. La prima filosofia è quella che ritiene di poter fare affidamento sul mercato (e quindi sulle risorse finanziarie dei sin- goli) sia per il finanziamento che per la produzione dei servizi. In questo modello, il singolo cittadino paga con denaro proprio un fornitore privato che gli vende un servizio (sanitario, assistenziale o di altro genere). La seconda filosofia è quella che propone l’affidamento a soggetti privati della sola fornitura del servizio ai cittadini, lasciando a carico del bilancio pubblico il relativo finanziamento; è su questa che ci concentreremo.
Il modello tradizionale di produzione e fornitura pubblica del servizio è illustrato dalla figura 1 (adattata da Xxxxx, 1987); in essa la linea tratteg- giata indica la produzione e la fornitura del servi- zio da parte dello Stato (G) ai consumatori (C), mentre le imprese private (PF)1 non esercitano alcun ruolo. Non esistono flussi finanziari di ritor- no (linea a puntini) dai consumatori allo Stato poi- ché i primi non pagano direttamente i servizi, che sono invece finanziati con tassazione generale.
Modifiche a questo modello, nella direzione della riduzione del ruolo pubblico di fornitura di beni e servizi ma non del loro finanziamento, possono attuarsi seguendo tre principali indirizzi e modalità attuative: il contracting out, i vouchers e la conces- sione di sussidi alla produzione privata di servizi di welfare.
Con il termine di contracting out ci si riferisce al comportamento di quell’operatore pubblico (a livello nazionale o locale) che non utilizza il pro- prio personale per fornire determinati beni o servi- zi pubblici ai cittadini, ma preferisce piuttosto ser- virsi di un operatore pubblico di altro livello o, più spesso, di una organizzazione privata, nonprofit o a fine di lucro, cui delegare il compito della fornitura
G
G
PF
C
PF
C
FIGURA 1 FIGURA 2
C
G
G
PF
PF
C
FIGURA 3 FIGURA 4
materiale del bene o del servizio. Questo caso è illustrato dalla figura 2; questa volta è l’impresa privata (PF) a fornire materialmente il servizio (linea tratteggiata) ai consumatori (C). Questa impresa è delegata (linea continua) e finanziata (linea a puntini) dallo Stato (G); è quest’ultimo che si fa dunque carico del costo del servizio (per il quale i consumatori non devono pagare il fornitore privato e che viene finanziato con tassazione gene- rale) e che si occupa di scegliere, ed autorizzare ad operare, il fornitore privato.
La pratica del contracting out è utilizzata in modo massiccio in aree diverse da quelle dei servizi sociali e sanitari: si pensi al caso dei servizi di pulizia degli edifici pubblici, alla manutenzione delle strade o agli stessi servizi di raccolta rifiuti. In questi casi, infatti, la metodologia si presenta particolarmente idonea e funzionale. Una simile modalità di fornitura di beni e servizi pubblici tende tuttavia a diffondersi progressivamente anche nell’area dei servizi sociali e sanitari nono- stante la sua applicazione a questi casi presenti alcuni problemi di non facile risoluzione, come vedremo meglio più avanti.
Attraverso il contracting out l’operatore pubblico conserva dunque la titolarità del servizio e si fa carico del suo finanziamento (pur restando salva la possibilità di applicare o fare applicare prezzi a carico degli utenti) ma si libera dei compiti di gestione diretta che vengono affidati ad altri sog- getti.
Attraverso i voucher, invece, l’operatore pubblico distribuisce potere d’acquisto, sotto forma di buoni per l’acquisto di beni e servizi, ai cittadini ritenuti
idonei ad ottenere la prestazione del servizio o la fornitura del bene. Si tratta di buoni (di valore pre- stabilito) che il cittadino può spendere sul mercato per procurarsi beni o servizi a cui ha diritto.
Il caso è illustrato dalla figura 3: lo Stato (G) tra- sferisce ai consumatori (C) risorse finanziarie (linea a puntini) sotto forma di buoni per l’acqui- sto. I consumatori (C) scelgono (linea continua) e pagano con i buoni (linea a puntini) le imprese pri- vate (PF) che forniscono loro il servizio (linea trat- teggiata).
Il voucher non impegna l’operatore pubblico in alcuna relazione contrattuale con fornitori terzi, ma lascia i cittadini liberi di scegliere il fornitore rite- nuto maggiormente idoneo; quest’ultimo otterrà poi dall’operatore pubblico il controvalore moneta- rio del voucher.
L’utilizzo dei voucher, anzichè dell’equivalente in denaro, ha l’obiettivo di vincolare il beneficiario ad un uso ben preciso dei fondi stanziati dall’operato- re pubblico. Poiché non tutti i beni ed i servizi sono ugualmente meritori agli occhi del contri- buente e dell’operatore pubblico, quest’ultimo si premura di impedire che il cittadino possa barattare il servizio, cui la collettività ritiene egli abbia dirit- to, con altri beni o servizi che egli possa preferire (ma che siano ritenuti non meritori dalla colletti- vità); questo baratto è facilitato da ogni trasferi- mento monetario mentre risulta più difficoltoso nel caso dei voucher.
Un altro modo attraverso cui l’operatore pubblico facilita la fornitura di beni e la prestazione di servi- zi è quello di sussidiare organizzazioni private che, di loro iniziativa, forniscono servizi o beni ai citta- dini. Si tratta, in genere, di sussidi che contribui- scono a far quadrare i bilanci di organizzazioni che operano gratuitamente, o caricando costi minimi ai clienti, e derivano le proprie risorse principalmente da donazioni o dalla gestione di un patrimonio.
È il caso della figura 4. Alcuni fornitori privati (PF) forniscono servizi (linea tratteggiata) ai con- sumatori (C); se questa fornitura avviene a titolo gratuito, come accade nel caso di molte organizza- zioni senza fine di lucro e caritative, i consumatori non effettuano alcuna contropartita (e perciò non vi sono linee che vanno dai consumatori alle imprese private). Nel caso in cui la prestazione non sia a titolo gratuito, allora i consumatori scelgono i loro fornitori (linea continua) e pagano il costo del ser- vizio (linea a puntini). Lo Stato (G) seleziona (linea continua) e finanzia (linea a puntini) alcuni fornitori (P) che ritiene particolarmente meritori.
I sussidi presentano caratteristiche differenti rispet-
to a quelle del contracting out e dei voucher. Mentre nei due casi precedenti l’azione dell’opera- tore pubblico determina in modo chiaro l’esistenza di un diritto alla fornitura di un bene o alla presta- zione di un servizio da parte di una certa categoria o della totalità dei cittadini, nel caso dei sussidi questo diritto non viene sancito in modo esplicito. L’operatore pubblico non stabilisce criteri di acces- so ai servizi (vincolando con ciò l’organizzazione fornitrice, come accade nel caso del contracting out) ma si limita a sostenere finanziariamente chi, di propria iniziativa, ha deciso di fornire il bene o il servizio. Accade tuttavia con una certa frequenza che la concessione del sussidio sia subordinata al rispetto di determinate modalità di azione da parte dell’organizzazione; solitamente, i vincoli imposti al comportamento dell’organizzazione sussidiata crescono all’aumentare della quota di finanziamen- to proveniente dall’ente pubblico.
Attraverso il contracting out l’operatore pubblico conserva
la titolarità del servizio e si fa carico del suo finanziamento, ma si libera dei compiti di gestione diretta che vengono affidati ad altri soggetti
Questi diversi modi di privatizzare la fornitura di servizi pubblici, pur rispondendo ad esigenze simi- li (quelle elencate nel paragrafo precedente) deter- minano sia mutamenti del ruolo dell’operatore pubblico che differenti modalità di rapporto tra quest’ultimo e gli operatori privati.
Per quel che riguarda il ruolo dell’operatore pub- blico, abbiamo già rilevato come solo alcune modalità di fornitura di beni o servizi determinino la creazione di diritti in capo a una parte della popolazione. In alcuni casi dunque, l’azione dell’ente pubblico crea un diritto più o meno uni- versale, in altri si limita ad approvare l’operato di alcuni soggetti privati. In conseguenza di ciò anche il ruolo finanziario dell’ente pubblico assume con- notati differenti. Nei casi in cui i cittadini (o una parte di essi) siano ritenuti titolari di un diritto, l’ente pubblico si fa carico delle spese necessarie alla concreta realizzazione di quel diritto e opera quindi nella veste di finanziatore unico (o principa- le) del bene o del servizio; qualora il diritto non sia esplicitamente sancito, l’operatore pubblico opera al più come fonte di finanziamento sussidiaria, al
pari di un socio sostenitore privato del servizio. Anche il ruolo di regolamentazione viene a mutare con le forme di fornitura del servizio. Nel caso del contracting out l’ente pubblico determina con pre- cisione le caratteristiche del bene o del servizio oggetto di contrattazione, stabilendo con ciò anche i connotati della prestazione all’utente finale, pre- stazione che viene effettuata in nome e per conto dell’operatore pubblico. Nel caso dei sussidi o dei voucher l’ente pubblico non acquista direttamente il bene o il servizio e quindi non ne determina le caratteristiche; in questi casi l’ente pubblico svolge generalmente una azione regolamentatrice e di controllo delle attività degli operatori presenti sul mercato. È chiaro che questa azione regolamenta- trice può assumere caratteristiche che la rendano altrettanto efficace dell’acquisto diretto dei beni o dei servizi.
2. Il contracting out
La tecnica del contracting out ha una decennale tradizione di utilizzo in aree diverse da quelle dei servizi sociali e sanitari, che più facilmente si pre- stano a questo modello di fornitura di servizi pub- blici. Negli Stati Uniti, ad esempio, il governo limita molto la produzione diretta e si affida a for- nitori terzi per molti interventi. Questa tendenza riguarda non solo settori tradizionali, quali l’acqui- sto di beni fisici come penne, tavoli, sedie, auto- mobili, treni e così via, ma in modo crescente anche la fornitura di servizi; a ritmo crescente ven- gono affidate a privati la manutenzione stradale e degli immobili, i servizi di pulizia e di lavanderia degli ospedali e degli uffici, la gestione delle mense, ed altro ancora.
La tendenza, in tempi più recenti, si è estesa anche ai servizi alla persona, dove il decentramento della fornitura è reso più complesso dalla difficoltà di specificare con precisione le caratteristiche del bene o del servizio che deve essere prodotto; nei servizi alla persona assumono infatti rilievo fonda- mentale le relazioni che si instaurano tra fornitore ed utente del servizio. Tuttavia il contracting out va estendendosi anche a queste aree, così che, caso estremo ma assai evocativo, si sperimentano pri- gioni gestite da organizzazioni private; il ruolo dei privati cresce anche per servizi più tradizionali come le case di cura, i ricoveri per anziani, gli interventi di prevenzione e di cura per i giovani e così via.
Una indagine svolta negli Stati Uniti nei primi anni
ottanta ha tentato di stimare l’estensione del feno- meno del contracting out per diversi tipi di servi- zio. Dei 1780 governi locali raggiunti dall’indagi- ne, circa il 27% ha dichiarato di fare uso del con- tracting out per fornire servizi alla popolazione. Come si può vedere dalla tabella 1, le imprese a fine di lucro fanno la parte del leone nelle aree dei beni e dei servizi tecnici, mentre le imprese non- profit hanno una funzione assai più importante nei servizi alla persona (sanità ed assistenza) ed in quelli ambientali; un ruolo minore è rivestito dalle organizzazioni di vicinato.
Imprese a fine di lucro | Organizzazioni locali | Imprese nonprofit | |
Trasporti e lavori pubblici | 21 | 0 | 3 |
Sicurezza pubblica | 18 | 1 | 4 |
Sanità e servizi sociali | 12 | 2 | 23 |
Parchi e ricreazione | 5 | 3 | 16 |
Funzioni di supporto | 18 | 0 | 2 |
Media globale | 17 | 1 | 9 |
Tabella 1 - Governi locali che contrattano con pri- vati per la fornitura di servizi (%)
Fonte: Savas, 1987.
a. Evocare prima di descrivere: un caso.
Come verrà meglio spiegato nella parte d. di que- sto saggio, il successo della tecnica del contracting out si basa essenzialmente sulla capacità dell’ente pubblico di essere un acquirente accorto e capace, in grado di metter in competizione tra loro i diversi fornitori, ottenendo perciò le migliori condizioni di qualità e di prezzo del servizio. In questo dunque il contracting out si diversifica profondamente dalla tecnica delle convenzioni adottata in modo cre- scente nel nostro paese. Come si evidenzierà meglio nel successivo paragrafo, le convenzioni non prevedono generalmente alcuna procedura di carattere competitivo; esse si limitano infatti ad affidare ad un fornitore privato, scelto dalla ammi- nistrazione sulla base di ragioni che spesso non è dato conoscere, la fornitura di un bene o di un ser- vizio.
Per comprendere meglio come possano essere attuati processi di natura competitiva, e prima di passare all’analisi delle ragioni storiche e teoriche che hanno portato allo sviluppo del contracting
out, può essere utile descrivere un caso di attuazio- ne di questa politica. Il caso scelto è quello dei ser- vizi per malati mentali nello stato americano del Maryland.
Il processo prende il via nel 1981 quando, sulla spinta di un movimento favorevole alla de-istitu- zionalizzazione dei malati mentali, viene approvata una nuova legge che rende disponibile un finanzia- mento federale ad organizzazioni private che forni- scono servizi residenziali per malati mentali.
L’obiettivo era quello di favorire quegli stati della confederazione americana che desiderassero affi- dare a organizzazioni private di piccole dimensio- ni, inserite nelle comunità locali, il trattamento dei malati mentali, sotto il vincolo di un costo inferiore a quello delle grandi istituzioni pubbliche. Lo stato del Maryland approfittò della possibilità offerta
dalla legge per proseguire la politica di de-istituzionalizzazio- ne che aveva cominciato già da alcuni anni. In occasione della prima richiesta di fondi federali, avanzata nel 1982, 600 dei 2500 ritardati mentali dello stato furo- no trasferiti dalle grandi istitu- zioni pubbliche a piccole comu- nità private. Una seconda ondata di circa 500 pazienti fu trasferita a partire dal 1984, quando fu
deliberato un nuovo finanziamento federale. L’obiettivo dello Stato del Maryland è quello di arrivare al 1995 con non più di 700 pazienti ricove- rati nelle grandi istituzioni pubbliche.
La fornitura di servizi residenziali per ritardati mentali è stata interamente affidata ad imprese senza fine di lucro poiché la legislazione, fino a poco tempo fa, imponeva al fornitore questa clau- sola. La modifica della legislazione, e l’apertura del mercato anche alle imprese a fine di lucro, non ha tuttavia indotto alcuna di queste imprese a sotto- porre offerte di fornitura, probabilmente a causa dei margini di guadagno estremamente ridotti, se non nulli, consentiti dalle tariffe corrisposte dal settore pubblico.
La procedura di contrattazione per l’acquisto di servizi da destinare ai ritardati mentali non differi- sce da quella che il Code of Maryland Regulations prescrive per l’acquisto di beni fisici, con alcune eccezioni che saranno esaminate tra breve. Questa procedura, che garantisce buone condizioni di tra- sparenza e concorrenzialità del processo di acquisi- zione dei servizi, è spesso criticata dagli operatori e dagli stessi funzionari pubblici per la sua scarsa
flessibilità e perché inadeguata a trattare l’acquisto di servizi dai connotati peculiari come quelli socia- li; rappresenta tuttavia un tentativo che vale la pena di analizzare in dettaglio.
La legge prevede che i ricoverati in istituzioni resi- denziali pubbliche candidati a ricevere servizi da istituzioni private siano inseriti in una lista che ne elenchi le caratteristiche ed i bisogni. Sulla base delle disponibilità finanziarie, l’amministrazione invita le organizzazioni private a sottoporre propo- ste per la prestazione di specificati servizi a favore di alcuni dei potenziali utenti. La formula tecnica adottata è quella della Request For Proposals (RFPs) che specifica, con elevato grado di detta- glio, le caratteristiche dei servizi richiesti, i criteri che verranno adottati nella selezione dei potenziali fornitori ed invita questi ultimi a sottoporre offer- te. La pubblicazione delle RPFs sugli albi pubblici e sulle riviste del settore, nonchè l’invio delle stes- se ad un ampio numero di possibili candidati alla fornitura, garantisce ampia informazione. Le offer- te inviate al Department of Health and Mental Hygiene devono contenere i nomi degli utenti di cui l’organizzazione intende farsi carico, nonchè proposte dettagliate in ordine al servizio offerto ed ai costi che si prevede di sostenere (salari, stipendi, consulenze, costi dei programmi, costi amministra- tivi, costi di struttura, ecc.). Poiché le organizza- zioni tendono solitamente ad avanzare proposte solo per un numero ridotto di utenti, non è detto che per tutti gli utenti pervengano più offerte.
Le proposte pervenute vengono valutate dal dipar-
timento sulla base di criteri relativi alla qualità dei servizi, alle richieste economiche e alla affidabilità dell’organizzazione. L’adozione di quest’ultimo criterio consente ai funzionari preposti alla valuta- zione di conoscere i nomi delle organizzazioni che avanzano le diverse proposte, generando qualche potenziale problema di correttezza ed imparzialità delle procedure ma, nel contempo, garantendo forse una maggior qualità dei servizi prestati. La legislazione ammette la possibilità di assegnare contratti senza gara di appalto (sole source con- tractor) in casi di emergenza o qualora il servizio oggetto della contrattazione presenti qualità tali da poter essere prestato esclusivamente da un deter- minato fornitore.
Le proposte approvate dai funzionari del diparti- mento debbono essere successivamente vagliate da tre organismi di controllo prima di diventare veri e propri contratti: il Department of Budget and Fiscal Planning, l’Attorney General ed il Board of Public Works.
Un certo interesse presentano anche le modalità di pagamento delle organizzazioni nonprofit. Sino alla fine del 1988 il sistema dei pagamenti consi- steva nel rimborso dei costi approvati a contratto. In realtà, parte dei contributi venivano spesso anti- cipati poiché, soprattutto nel caso di organizzazioni o di comunità di nuova costituzione, l’anticipazio- ne pubblica rappresentava il capitale necessario alla costituzione stessa dell’unità chiamata alla for- nitura del servizio.
Il successo della tecnica del contracting out si basa sulla capacità dll’ente pubblico
di essere un acquirente accorto e capace, in grado di mettere in competizione tra loro
i diversi fornitori
Questo sistema di pagamenti, che non consentiva di graduare in modo efficace i rimborsi alla gravità dei casi trattati, ha comportato due esiti indesidera- ti. Il primo è una sostanziale uguaglianza di tratta- mento economico per agenzie che hanno a che fare con clienti in condizioni assai diverse, con le con- seguenti lamentele. Il secondo è una generale ten- denza delle organizzazioni nonprofit ad avanzare offerte di trattamento solo per quei clienti che non presentino gravi controindicazioni, in sostanza per i casi più semplici (creaming). Alle istituzioni sta- tali restano perciò affidati i casi di più difficile soluzione.
La soluzione adottata per risolvere questi problemi è stata, nel 1989, l’introduzione di un nuovo siste- ma di pagamenti, il Perspective Payment System (PPS). Lo Stato non finanzia più il generale funzio- namento delle organizzazioni, ma dota ogni cliente di un budget, proporzionale alla gravità del suo caso, che viene corrisposto allagenzia cui il cliente è assegnato. Si evita così il problema di un tratta- mento finanziario identico di soggetti tra loro assai diversi. Il sistema, che non è un voucher in senso proprio, dovrebbe consentire anche un maggior grado di scelta da parte dell’utente dotato di budget personale.
b. Le ragioni storiche del contracting out. L’opinione degli studiosi è abbastanza concorde nel ritenere che la crescente applicazione di questa metodologia di fornitura di servizi pubblici possa essere fatta risalire ad una serie di fenomeni verifi-
catisi nel corso degli anni ottanta.
Il primo fenomeno può essere identificato nell’aumento della domanda di servizi pubblici nell’area sociale ed assistenziale, aumento derivan- te dalla presenza congiunta di fenomeni demogra- fici ed economici. Tra i primi va ricordato il pro- gressivo invecchiamento della popolazione, che ha portato alla crescita della domanda di servizi socia- li per persone non autosufficienti ed all’incremento della richiesta di prestazioni sanitarie per fasce di popolazione dalla salute più cagionevole. Tra i secondi va sottolineata la straordinaria crescita economica sperimentata dalle economie occidenta- li nel corso degli anni ottanta (la più lunga fase di crescita del dopoguerra): con l’aumento del reddito è cresciuta la domanda di beni e servizi come quel- li sociali e sanitari che possono essere classificati come beni superiori (o almeno come beni normali), la cui domanda tende ad aumentare più che propor- zionalmente rispetto alla crescita del reddito dei consumatori.
La crescita della domanda per questo genere di ser- vizi pubblici si è però accompagnata a due feno- meni che hanno portato a ridurre la capacità o la legittimità dell’intervento pubblico diretto.
Il primo fenomeno riguarda le difficoltà finanziarie e di bilancio attraversate da molte economie occi- dentali nel corso degli anni ottanta. In taluni casi, queste difficoltà hanno portato a ridurre il peso dell’intervento pubblico in certe aree dell’econo- mia attraverso la privatizzazione di servizi; in generale, esse hanno indotto i governi a sperimen- tare modalità più efficienti per fornire i servizi stessi, così da poter fronteggiare domande crescen- ti con risorse che non aumentavano nella stessa
proporzione.
Il secondo fenomeno riguarda una crisi di legitti- mità dell’intervento pubblico. Alla crescita della domanda di servizi pubblici è infatti corrisposto un rigetto sempre più forte per la burocrazia che era chiamata a fornire questi servizi; l’apparato pubbli- co preposto alla fornitura dei servizi è stato, di volta in volta, accusato di inefficienza, di ineffica- cia, di clientelismo, di attenzione esclusiva al pro- prio interesse e non a quello degli utenti. Questa crisi di legittimità ha assunto connotati più marcati nei paesi di area anglosassone, dove è stata accom- pagnata da una vera e propria revisione ideologica dei fondamenti dell’intervento dello Stato in eco- nomia; tuttavia i segni della sua presenza sono evi- denti anche nel nostro paese.
Di fronte a questa apparente contraddizione (cresce la domanda di servizi pubblici, ma aumenta anche l’avversione verso i soggetti - la burocrazia pubbli- ca - che sono stati i fornitori tradizionali di questi servizi) i governi hanno adottato soluzioni politi- che differenti (tutte in qualche modo possono esse- re ricomprese dentro il termine più ampio di priva- tizzazione): in alcuni casi si è optato per la delega al mercato della fornitura di certi servizi (con quel- lo che questa politica comporta in termini di rinun- cia a politiche redistributive), in altri si è optato per la commistione di elementi di pubblico (il finanzia- mento) e di privato (la fornitura), come per le poli- tiche di contracting out.
c. Le ragioni teoriche del contracting out.
Oltre a rispondere ad esigenze di carattere ideolo- gico (il rifiuto più o meno motivato della burocra- zia pubblica), il contracting out porterebbe con sè alcuni vantaggi che possono essere ricondotti ad una riduzione dei costi pubblici, a parità di servizio fornito, ed in un miglioramento della qualità dei servizi stessi.
I motivi per cui i costi pubblici della fornitura dei servizi dovrebbe ridursi sono molteplici, anche se pochi di essi sono stati assoggettati a verifica empi- rica.
La ragione più frequentemente citata fa riferimento alle virtù del mercato competitivo contrapposte ai vizi tipici del monopolio. Operando generalmente come fornitore unico di un bene o di un servizio, l’operatore pubblico è soggetto alle inefficienze del monopolio (tipicamente un prezzo più elevato rispetto a quello dei mercati di concorrenza perfet- ta). Il contracting out consente invece di raggiun- xxxx le condizioni di ottimalità tipiche dei mercati di concorrenza perfetta grazie alla creazione di una
sorta di concorrenza per il mercato tra i diversi potenziali fornitori di un servizio finanziato dall’operatore pubblico; quei fornitori potenziali sarebbero infatti coinvolti in un processo di aste o di negoziazioni competitive il cui esito sarebbe l’assegnazione dell’appalto a colui che garantisce il minor costo a parità di servizio fornito.
Oltre alla diversa forma di mercato che il contrac- ting out consentirebbe di instaurare, anche le moti- vazioni dei soggetti produttori consentirebbero risparmi di costi. L’obiettivo del profitto perseguito dal fornitore privato (raggiunto solo grazie ad una tecnologia produttiva efficiente) si sostituirebbe agli obiettivi dei burocrati pubblici incaricati della produzione di beni e servizi in regime di monopo- lio; gli studiosi ipotizzano spesso che questi ultimi agiscano con il fine di massimizzare il proprio potere ed il proprio ruolo, obiettivo che può essere raggiunto più facilmente facendo crescere le dimensioni dei bilanci di cui si dispone, indipen- dentemente dalle necessità degli utenti e dall’effi- cienza delle soluzioni tecniche adottate.
I sostenitori del contracting out mettono inoltre in evidenza come esso renda possibile la realizzazio- ne di economie di scala che non sempre si possono ottenere con la produzione diretta. Gli esempi
Sembra opportuno che nel caso di servizi acquisiti da imprese senza fine di lucro,
la pubblica amministrazione istituisca qualche sistema di monitoraggio delle prestazioni
fanno riferimento sia ai servizi sociali e sanitari (come nel caso di una costosa apparecchiatura dia- gnostica che può rimanere sottoutilizzata se serve una sola unità sanitaria, mentre può lavorare a pieno regime servendo anche gli utenti di altre unità sanitarie che appaltano alla prima l’esecuzio- ne dei test diagnostici) che a servizi diversi (la combustione dei rifiuti solidi urbani può essere svolta da un unico impianto che funzioni a pieno regime con i rifiuti di più comuni anzichè da picco- li impianti localizzati nei singoli comuni).
Ulteriori ragioni che rendono possibile una ridu- zione dei costi pubblici della fornitura di servizi fanno riferimento ai complessivi risparmi sul costo della manodopera. Questi sarebbero ottenibili in virtù di una minor sindacalizzazione dei lavoratori privati, e perciò di contratti relativamente più sfa-
vorevoli per gli stessi rispetto ai dipendenti pubbli- ci; a ciò si aggiungerebbe l’acquisizione di una maggiore flessibilità di uso della manodopera da parte dell’ente pubblico che potrebbe utilizzare i propri dipendenti per progetti di breve periodi, incrementando le prestazioni part-time e servendo bisogni specifici che non trovano soddisfazione attraverso imprese private, senza con ciò essere costretto a mantenere organici gonfiati.
Il miglioramento della qualità dei servizi derive- rebbe invece principalmente dalla esistenza di incentivi monetari, assenti nel caso di servizi pre- stati dalla burocrazia pubblica.
d. Le condizioni per un contracting out efficiente.
I vantaggi del contracting out non si realizzano tut- tavia in modo automatico, per il solo fatto di abbandonare la fornitura diretta da parte dell’ente pubblico. Affinché i pregi del modello del contrac- ting out siano realizzati, occorre che siano rispetta- te alcune condizioni di base (cfr. DeHoog, 1984, cap. 2 a cui questo paragrafo deve molto).
La prima condizione di base riguarda l’esistenza di un ambiente e di procedure che consentano la rea- lizzazione dei vantaggi della concorrenza rispetto al monopolio. Un ambiente competitivo presuppo- ne innanzitutto la presenza di una pluralità di forni- tori potenziali del bene o del servizio oggetto di contrattazione. L’assenza della pluralità di fornitori vanifica gli obiettivi del contracting out poiché sostituisce il monopolio pubblico con un monopo- lio privato, eliminando ogni incentivo all’efficien- za ed alla riduzione dei costi. La mancanza di for- nitori potenziali alternativi può essere ancora più grave se la burocrazia pubblica non ha mai fornito direttamente il bene o il servizio contrattato e non è dunque in grado di valutare la congruità delle offerte private.
Procedure competitive sono quelle che garantisco- no la massima pubblicità ed informazione, consen- tendo così a tutti potenziali produttori di venire a conoscenza dell’intenzione di concedere in appalto la fornitura di un bene o di un servizio pubblico. Procedure competitive devono garantire una speci- ficazione chiara e completa del bene o del servizio richiesto e debbono permettere la valutazione imparziale degli offerenti. La corruzione è una eventualità sempre possibile.
La seconda condizione di base riguarda i soggetti deputati alla promulgazione dei bandi di concorso ed alla scelta dei potenziali fornitori; questi sogget- ti devono agire razionalmente in direzione dell’obiettivo di minimizzare (o di ridurre in
maniera soddisfacente) i costi per la pubblica amministrazione, fatta salva la qualità del servizi ottenuti. Le capacità di decidere razionalmente a favore dell’alternativa più conveniente, mette in evidenza De Hoog, devono essere utilizzate alme- no in due diverse circostanze: nel momento della scelta tra produzione interna ed appalto esterno (e perciò nella scelta dei servizi da acquistare) e nel momento della selezione dei potenziali fornitori.
La terza condizione è che l’ente pubblico appaltan- te sia in grado di esercitare una funzione di vigilan- za efficace e continuativa sulle attività del conces- sionario; ciò per verificare che le condizioni con- trattuali siano rispettate e che i servizi forniti a chi ne ha diritto siano quelli previsti dai contratti stes- si.
e. I problemi del contracting out.
Non sempre le condizioni ora elencate possono essere rispettate senza problemi nel corso dei pro- cessi di contrattazione.
In primo luogo si può evidenziare come i soggetti decisori possono essere influenzati da alcune delle parti in causa, venendo con ciò meno alla propria neutralità e pregiudicando la possibilità di mini- mizzare (o ridurre) i costi pubblici. Al gioco com- petitivo i diversi soggetti si presentano infatti con rapporti di forza distribuiti in modo tutt’altro che omogeneo. I produttori sono facilmente in grado di aggregarsi, di assumere comportamenti di tipo col- lusivo e di cooptare il regolatore (legislatore o burocrate che sia) per indurlo a sostenere i propri progetti. Molto più difficilmente possono aggre- garsi per difendere i propri interessi gli utenti dei servizi, e meno che mai i cittadini tassati, coloro su cui ricade, in ultima analisi, il costo effettivo. Anche quando queste aggregazioni si realizzano, come nel caso dei movimenti dei consumatori, la loro capacità di influenzare il regolatore appare notevolmente ridotta. Questi fenomeni mettono dunque in discussione la possibilità pratica del meccanismo del contracting out di esplicare i suoi effetti benefici sulla finanza pubblica e sulla qua- lità delle prestazioni.
Oltre alla presenza di decisori non neutrali, anche le imperfezioni dei mercati impediscono che si rea- lizzino le condizioni di concorrenza indispensabili a garantire l’efficacia della procedura di contrac- ting out. Queste imperfezioni possono essere fatte risalire sia alla presenza di un numero limitato di fornitori potenziali (al limite di uno solo), che a condizioni di informazione imperfetta.
La presenza di un numero limitato di fornitori
potenziali può caratterizzare i settori ed i servizi maggiormente innovativi, dove nuove capacità imprenditoriali si sviluppano con lentezza. È il caso di settori particolari, come quello della difesa nazionale, che richiedono ingenti investimenti spe- cializzati e dove la presenza di un numero assai limitato di committenti non favorisce lo sviluppo della concorrenza. Ma anche il caso di beni e servi- zi, come quelli sociali e sanitari, che hanno le caratteristiche di bene pubblico e per i quali il mer- cato privato non è dunque particolarmente svilup- pato: si pensi ai servizi di recupero per i tossicodi- pendenti che, nella fase iniziale del loro sviluppo, erano offerti quasi esclusivamente da un numero ridotto di organizzazioni di volontari o, più recen- temente, ai servizi di assistenza e ricovero per i malati di Aids, oppure ai servizi di assistenza domiciliare per anziani e malati. Nel caso in cui il numero dei fornitori potenziali sia limitato non esi- ste alcuna garanzia che il contracting out dia risul- tati migliori, o a costi più contenuti, rispetto alla produzione pubblica diretta. Il contracting out richiede anche che l’ente appaltante disponga di completa informazione per valutare con precisione le prestazioni del concessionario.
Questa informazione è relativamente agevole da
ottenere nei casi in cui sia appaltata la fornitura di beni materiali, le cui qualità possono facilmente essere valutate una volta che il bene sia stato forni- to. Molto più ampia e complessa (e difficilmente assoggettabile a parametri oggettivi) è l’informa- zione necessaria a valutare le prestazioni di servi- zio, specie nei casi di servizio alla persona. In que- sti casi la prestazione appaltata ha spesso la natura di un servizio di tipo relazionale (che non riguarda cioè la fornitura di beni materiali ma piuttosto
l’instaurarsi di una relazione tra fornitore ed uten- te) e come tale è assai difficilmente valutabile con parametri oggettivi; non è dunque facile stabilire se un eventuale mancato raggiungimento dell’obietti- vo sia da attribuire alla scarsità o all’inadeguatezza dello sforzo profuso dal concessionario o piuttosto alle caratteristiche dell’utente.
In altri casi le conoscenze necessarie alla valuta- zione del servizio fornito sono di tipo specialistico, come nel caso delle prestazioni mediche; chi acquista il servizio deve dunque rimettersi alla valutazione del venditore (il medico) per valutare la necessità di talune prestazioni.
Nella gran parte dei casi poi, l’ente pubblico si trova ad operare nella veste di un acquirente di ser- vizi per conto terzi; dei servizi appaltati benefice- ranno infatti cittadini che spesso non hanno alcuna possibilità e capacità di influire sulla scelta del for- nitore. In tal modo, l’utente che dispone dell’infor- mazione necessaria a valutare la qualità del servi- zio fornito non è in grado di influenzare la scelta del fornitore, mentre l’operatore pubblico che effettua questa scelta non è soggetto alle sue pre- stazioni e pertanto si trova in una condizione diffi- cile per valutarle.
Per queste ragioni è difficile pensare che le caratte- ristiche di informazione completa siano facilmente raggiungibili, o che il costo della raccolta dell’informazione sia irrisorio; nella valutazione della convenienza relativa della produzione interna rispetto al contracting out è dunque necessario cal- colare anche i costi della raccolta di informazione. A questi costi (raccolta delle informazioni sui potenziali concessionari, raccolta delle informazio- ni sulle prestazioni degli stessi, valutazione dei prezzi, ecc.) si aggiungono poi quelli che tipica- mente possiamo catalogare come costi di transa- zione, cioè costi che sorgono nel momento in cui viene intrapresa una procedura contrattuale: i costi della stesura di contratti che contengano clausole vincolanti per i contraenti o che inducano nel con- cessionario il comportamento desiderato dal titola- re del servizio. In questa categoria si suole fare rientrare, tipicamente, il costo del monitoraggio del concessionario.
Se l’insieme dei costi enunciati è elevato, è proba- bile che venga meno il vantaggio dell’uso del con- tracting out.
f. Informazione e forma istituzionale del venditore. Il problema del differenziale di informazione che può esistere tra l’ente pubblico acquirente ed il concessionario del servizio (ed il connesso incenti-
vo del concessionario a fornire servizi scadenti per lucrare profitti superiori) conduce alla questione, più volte affrontata dalla letteratura economica, della diversa forma istituzionale che il concessio- nario può assumere. Beni o servizi possono infatti essere forniti da imprese dalla struttura giuridica, e di conseguenza dalla logica comportamentale, diversa. Sul mercato si confrontano infatti imprese a fine di lucro, imprese senza fine di lucro (nonpro- fit) e imprese pubbliche. La scelta di una particola- re forma istituzionale può essere interpretata come una risposta a situazioni differenti dal punto di vista dell’informazione del consumatore nei con- fronti del bene o del servizio acquistato.
A quale tipo di venditore dovrebbe rivolgersi la pubblica amministrazione che non volesse fornire direttamente beni e servizi di tipo socio-assisten- ziale, cioè beni con le caratteristiche peculiari che abbiamo precedentemente descritto?
In presenza di acquirenti in grado di conoscere per- fettamente (cioè in maniera istantanea e completa) le caratteristiche del bene acquistato2, il benessere della società sarà reso massimo quando i produttori vengono remunerati perché sono in grado di fornire il prodotto desiderato al minor costo. In questo caso, le imprese a fine di lucro saranno quelle più efficienti poiché dotate della struttura di incentiva- zione che le induce a comprimere i costi per aumentare i profitti. Questa compressione dei costi non andrà scapito della qualità dei beni; se ciò accadesse, infatti, gli acquirenti (che sono perfetta- mente in grado di distinguere un bene di qualità elevata da uno scadente) dirotterebbero i propri acquisti verso altre imprese. La compressione dei costi avverrà invece attraverso una efficiente gestione economica delle risorse. I consumatori premieranno perciò le imprese che soddisfano le proprie esigenze di qualità al minor prezzo, rifor- nendosi da loro. La forma dell’impresa a fine di lucro si rivela perciò la migliore per un mercato con perfetta informazione da parte dei consumato- ri.
È chiaro che solo in taluni casi i consumatori dispongono di conoscenza perfetta. Alla carenza di informazione si supplisce, in numerose circostanze, con sistemi di regolamentazione pubblica o privata che proteggono il consumatore imponendo al pro- duttore il rispetto di determinati standard di qualità. È possibile estendere queste conclusioni anche al caso di conoscenza imperfetta? Si può ancora affermare che la massima efficienza sociale viene raggiunta quando le imprese vengono remunerate sulla base della loro capacità di fornire beni al
costo minimo e che, di conseguenza, la forma isti- tuzionale che garantisce la massima efficienza è quella delle imprese a fine di lucro? Le osservazio- ni del paragrafo precedente gettano alcuni dubbi su questa conclusione. La possibilità di lucrare profitti approfittando dello stato di disinformazione in cui versano gli acquirenti esclude che sia efficiente remunerare i produttori in virtù della loro capacità di fornire ciò che gli acquirenti acquistano solo per sbaglio o per disinformazione3.
Nei casi in cui le caratteristiche del bene sono dif- ficili da controllare, può essere perciò opportuno, per l’acquirente, rivolgersi ad una impresa senza fine di lucro. Quest’ultima infatti, perseguendo un obiettivo differente rispetto al profitto, non è incen- tivata a sfruttare il vantaggio informativo di cui gode e perciò a fornire beni o servizi scadenti al fine di lucrare maggiori guadagni.
g. Prestazioni e struttura delle remunerazioni.
Risulta però immediatamente evidente che, da solo, lo statuto di impresa senza fine di lucro non costituisce una sufficiente garanzia di qualità delle prestazioni offerte. Ciò sia per ragioni di tipo legi- slativo4 che per la possibilità, sempre presente, che la formula giuridica senza fine di lucro offra coper- tura ad obiettivi differenti, di tipo economico5 o non economico.
Sembra perciò opportuno che, anche nel caso di servizi acquistati da imprese senza fine di lucro, la pubblica amministrazione istituisca qualche siste- ma di monitoraggio delle prestazioni con l’obietti- vo di controllarne la qualità e di prevedere forme di remunerazione legate a questultima.
Si viene perciò ad affrontare il complesso proble- ma della misura di quantità e qualità di un prodotto dalle caratteristiche assai peculiari. Le prestazioni gradite alla pubblica amministrazione, quelle che essa vorrebbe remunerare, fanno infatti riferimento alla interazione che si viene a stabilire tra conces- sionario ed utente. è sostanzialmente impossibile produrre una unità di misura di questa prestazione, ragion per cui si fa spesso riferimento a variabili approssimative che forniscano una ragionevole idea dell’andamento di ciò che si vuole ma non si può, oppure è troppo costoso, misurare. Nel caso di un ricovero per anziani, ad esempio, l’obiettivo di garantire il superamento di una condizione di soli- tudine ed abbandono può essere misurato attraver- so la quantità di locali di socializzazione a disposi- zione degli utenti o attraverso il numero di anima- tori assunti; analogamente, nel caso di un centro per minori a rischio, l’obiettivo del raggiungimento
di una situazione di autonomia e di stabilità rela- zionale con gli adulti può essere approssimativa- mente misurato dal raggiungimento di determinati risultati scolastici, assunti ad indicatore della capa- cità di relazionarsi con gli insegnanti e con i com- xxxxx; ancora, nel caso di un centro educativo, l’obiettivo di aumentare il livello culturale e la capacità critica dei soggetti può misurarsi approssi- mativamente attraverso il grado di conoscenza di talune nozioni, e via di seguito.
Gli indicatori approssimati adottati per misurare il raggiungimento dell’obiettivo prefissato sono spes- so assai imperfetti, sicché utilizzarli per remunera- re le prestazioni può condurre a non remunerare affatto la prestazione desiderata. E stato inoltre sot- tolineato (Xxxxxxxx, 1988) come l’utilizzo di misu- re semplici e poco costose di fenomeni complessi possa influenzare i comportamenti dei soggetti in modo sorprendente ed in direzione indesiderata. In questi casi infatti, talora in maniera inconsapevole, le persone vengono motivate ad aumentare la pre- stazione misurata, che è solo una imperfetta approssimazione di quella desiderata, limitando lo sforzo dedicato a questioni importanti ma non misurate (e misurabili). Un esempio classico è l’introduzione di un meccanismo incentivante nei servizi di pubblica sicurezza con l’obiettivo di ridurre il tasso di criminalità in talune aree territo- riali. Se il meccanismo di incentivazione premia, ad esempio, il numero degli arresti, gli agenti pos- sono trovare conveniente abbandonare ogni attività di tipo preventivo (utile al raggiungimento dell’obiettivo, ma non remunerata) per concentrarsi su quelle punitive. Il risultato finale di questo com- portamento può, sorprendentemente, essere oppo-
Gran parte delle convenzioni stipulate nel nostro paese manca
di elementi rilevanti, quali la chiara definizione delle prestazioni cui il concessionario è tenuto,
la specificazione delle competenze e della formazione richiesta
sto a quello desiderato. La riproduzione di un simi- le meccanismo in casi analoghi conduce ad un classico dilemma: se si remunera ciò che è misura- bile si rischia di indurre distorsioni nei comporta- menti, se non lo si fa si scoraggia l’efficienza.
Non ci sono soluzioni semplici a questo dilemma; il ragionamento a mio parere più sensato è quello
che punta a ridurre il divario di motivazioni tra committente e concessionario del servizio. I possi- bili comportamenti opportunistici si riducono infat- ti solo se l’ente pubblico che decentra il servizio e l’organizzazione privata che lo gestisce condivido- no gli obiettivi di fondo dell’azione. Per questo il momento del contracting out può essere pensato solo come tappa finale di un percorso che porta al confronto tra operatori pubblici e privati che affrontano un problema o gestiscono una politica.
4. Contracting out e convenzioni in Italia
In Italia, la tecnica del contracting out non pare essere utilizzata molto frequentemente nell’area dei servizi sociali.
Questo non significa che l’operatore pubblico provveda direttamente alla fornitura della totalità dei servizi di welfare. Infatti, nel corso degli anni ottanta, l’utilizzo di fornitori privati diviene sem- pre più consistente nei settori sanitario ed assisten- ziale. Le attività di questi fornitori privati si con- centrano negli interventi più innovativi (si pensi alle tossicodipendenze, all’Aids, all’assistenza ed alla ospedalizzazione domiciliare, agli avviamenti lavorativi per soggetti a rischio, ecc.), quelli che l’operatore pubblico è presumibilmente meno attrezzato ad affrontare. Gli interventi innovativi si affiancano ad altri interventi, più tradizionali, in cui le organizzazioni private sono sempre state par- ticolarmente attive come partner della pubblica amministrazione: si pensi ad esempio alla case di riposo per anziani.
Queste deleghe nella fornitura dei servizi (con finanziamento pubblico) avvengono assai spesso grazie allo strumento della convenzione. La con- venzione è un contratto instaurato tra la pubblica amministrazione ed un soggetto privato per la for- nitura di un bene o di un servizio il cui finanzia- mento viene garantito dalla pubblica amministra- zione.
Dei modi in cui la pubblica amministrazione può delegare ai privati (to contract out) la fornitura di beni e servizi, la convenzione è probabilmente quello che fornisce minori garanzia di trasparenza ed efficienza. La convenzione infatti corrisponde a quella modalità contrattuale che, nel caso del Maryland descritto in precedenza, è stata chiamata sole source contractor. La principale differenza
rispetto ad una normale procedura di contracting out si riscontra nel processo che porta alla scelta del fornitore privato. Il contracting out mira infatti a mettere in competizione tra loro diversi potenzia- li fornitori allo scopo di ottenere la prestazione del bene o del servizio al minor prezzo possibile per la pubblica amministrazione e con le maggiori garan- zie di trasparenza per i cittadini-contribuenti; con la convenzione, al contrario, la pubblica ammini- strazione esercita un potere discrezionale di scelta del fornitore, tralasciando qualunque procedura competitiva e, spesso, qualunque esigenza di tra- sparenza. Di conseguenza non esiste alcuna garan- zia del fatto che il fornitore prescelto sia effettiva- mente quello che presentava la migliore combina- zione possibile di prezzo e qualità del servizio.
Nell’analisi di un buon numero di convenzioni effettuata dall’IRS (Istituto per la Ricerca Sociale, 1991) è stato inoltre messo in evidenza come esi- stano anche altre ragioni per cui l’istituto della convenzione, assai spesso, non sia in grado di garantire il raggiungimento dei risultati di rispar- mio e di efficienza che stanno generalmente alla base delle domande di privatizzazione della forni- tura di taluni servizi pubblici. Gran parte delle con- venzioni stipulate nel nostro paese manca infatti di elementi rilevanti, quali la chiara definizione delle prestazioni cui il concessionario è tenuto, la speci- ficazione delle competenze e della formazione richiesta al personale o la definizione di un regime dei controlli e delle inadempienze. Apparentemente, la scelta di un singolo fornitore attraverso una procedura nè competitiva nè traspa- rente dovrebbe indurre ad una maggiore vigilanza, da parte della pubblica amministrazione, sulle pre- stazioni del soggetto delegato. Tutto ciò non sem- bra verificarsi, con le conseguenze che ognuno può facilmente immaginare dal punto di vista dei costi della pubblica amministrazione e, soprattutto, della qualità dei servizi forniti agli utenti.
Per queste ragioni riesce assai difficile credere che
le ragioni che hanno indotto la pubblica ammini- strazione a delegare la fornitura di numerosi servizi possano fare riferimento al costo o alla qualità degli stessi, come si è assunto nelle pagine prece- denti.
Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx Università Cattolica di Milano
IMPRESA SOCIALE 15/1994
Note
1) Con questo termine si intendono sia le imprese a fine di lucro che le imprese nonprofit; la distinzione tra le due sarà introdotta in seguito.
2) La conoscenza perfetta implicherebbe la capacità del consumatore di distinguere immediatamente (o forse ancor prima dell’acquisto) e completamente le caratteri- stiche del bene acquistato. Questa capacità si realizza raramente, tuttavia perchè restino valide le affermazioni esposte di seguito, è sufficiente che il consumatore:
a. venga a conoscere la qualità del bene in un breve periodo di tempo successivo all’acquisto;
b. ciò comporti un costo ridotto;
c. sia in grado di rivolgersi ad un eventuale fornitore alternativo;
d. non sia gravemente danneggiato dall’acquisto di un bene dalle caratteristiche diverse rispetto al desiderato.
3) Si veda il lavoro di Xxxxxxxx (1988 in particolare i capitoli 2 e 3) che a sua volta si basa su Xxxxxxxx (1980).
4) La legislazione italiana in materia di imprese senza fine di lucro non è così precisa e dettagliata come quella dei paesi anglosassoni; inoltre il sistema delle imprese nonprofit non è assolutamente soggetto ai controlli fiscali, tributari e di merito vigenti, ad esempio, negli Stati Uniti.
5) È sempre possibile aggirare l’ostacolo legale alla distribuzione di utili attraverso la concessione di stipen- di assai più alti di quelli vigenti sul mercato.
Bibliografia
DeHoog Xxxxxxxx R. (1984), Contracting Out for Human Services, State University of New York Press, Albany.
Xxxxxx H. W. and Xxxxxxxx M., (eds.) (1989), Services for Sale, Xxxxxxx University Press, New Brunswick and London.
Xxxxxxxx X. (1980), The role of non-profit enter- prise, Yale Law Journal, April.
Istituto per la Ricerca Sociale (1991), Convenzioni tra enti pubblici e soggetti privati per lerogazione di servizi socio-assistenziali, Collana Studi, Ricerche e Documentazioni del Ministero dellInterno.
Istituto per la Ricerca Sociale (1990), Convenzioni tra enti pubblici e soggetti privati per l’erogazione di servizi socio-assistenziali, dattiloscritto non pubblicato.
Xxxxxxxx X. and Xxxx X., (eds.) (1989), Privatization and the Welfare State, Princeton University Press, Princeton.
XxXxxxx X. and Xxxxxxxx X. (eds.) (1984), Privatisation and the Welfare State, Xxxxx Xxxxx, London.
Xxxxx E. (1987), Privatization. The key to better government, Xxxxxxx House, New Jersey.
Xxxxxxxx B. (1988), The Nonprofit Economy, Harvard University Press.
Idee chiave
• Il contracting out mantiene la responsabilità pubblica del finanziamento del costo del servizio (ovviando con ciò ai ben noti problemi di finanziare sul mercato la produzione di beni pubblici), ma attribuisce una responsabilità privata nella erogazione dello stesso. In tal modo consente di ottenere una riduzione dei costi ed un miglioramento della qualità di ciò che viene offerto ai cittadini.
• Modifiche nella direzione della riduzione del ruolo pubblico di fornitura di beni e servizi, ma non del loro finanziamento, possono attuarsi seguendo tre principali indirizzi e modalità attuative: il contracting out, i vouchers e la concessione di sussidi alla produzione privata di servizi di welfare.
• Affinché i pregi del modello del contracting out siano realizzati, occorre che siano rispettate alcune condi- zioni. La prima condizione riguarda l’esistenza di un ambiente e di procedure che consentano la realizzazio- ne dei vantaggi della concorrenza rispetto al monopolio. La seconda condizione riguarda i soggetti deputati alla promulgazione dei bandi di concorso ed alla scelta dei potenziali fornitori; questi soggetti devono agire razionalmente in direzione dell’obiettivo di minimizzare i costi fatta salva la qualità dei servizi ottenuti. La terza condizione è che l’ente pubblico appaltante sia in grado di esercitare una funzione di vigilanza efficace e continuativa.
STRUMENTI
IL BILANCIO DI SOLIDARIETÀ SOCIALE: UNA PROPOSTA PER REDIGERLO
Il tema del Bilancio di solidarietà sociale, introdotto da Xxxxxx Xxxxxxxx sullo scorso numero della rivista, si colloca nell’ambito della riflessione sugli strumen- ti di valutazione e comunicazione dell’attività delle cooperative sociali.
Proponiamo qui un primo schema di Bilancio di solidarietà sociale, sviluppato dal gruppo di ricerca del Centro studi CGM a partire dal terzo rapporto della ricerca “Le cooperative sociali e i loro consorzi tra imprenditorialità e solida- rietà sociale” curata per conto dell’Istituto Luzzati e illustrato nei Corsi di for- mazione “Dal Bilancio CEE al Bilancio di solidarietà sociale”, organizzati dallo stesso consorzio nazionale CGM.
Il modello viene presentato come “documento di lavoro”, affinchè tutti gli inte- ressati, ed in primo luogo i cooperatori, possano concretamente contribuire alla definizione dello strumento “Bilancio di solidarietà sociale”, espressione di quell’orientamento alla solidarietà sociale che ha costituito elemento qualificante nello sviluppo del nostro movimento.
1. Obiettivi e struttura del Bilancio di solidarietà sociale
Il Bilancio di solidarietà sociale ha la funzione di rendicontare sui rapporti tra cooperativa sociale e interlocutori rilevanti individuati in:
• soci
• lavoratori
• utenti
• finanziatori
• movimento cooperativo
• comunità civile.
La comunicazione sulle relazioni tra impresa sociale ed interlocutori è espressa attraverso :
• l’osservazione della produzione e distribuzione di ricchezza;
• l’evidenziazione del complesso dei rapporti di finanziamento/investimento;
• la rilevazione degli aspetti non monetari.
L’integrazione del Bilancio d’esercizio con Stato patrimoniale e Conto economi- co riclassificati e schede delle notizie integrative permette di informare in modo chiaro, completo e formalizzato sulle attività della cooperativa e sui loro effetti sociali. Riteniamo inoltre che la redazione del Bilancio di solidarietà sociale possa pienamente rispondere all’obbligo normativo della Legge n. 59 che impone agli Amministratori la comunicazione sul perseguimento cooperativistico degli scopi statutari.
2. Perché redigere il Bilancio di solidarietà sociale?
Il Bilancio di solidarietà sociale, opportunamente diffuso, è strumento di comuni- cazione delle attività della cooperativa verso l’esterno e costituisce un’occasione per coinvolgere gli interlocutori sociali e la comunità locale su obiettivi ed inizia- tive dell’impresa cooperativa .
La redazione del Bilancio consente agli Amministratori e ai soci di riflettere sui rapporti con i propri interlocutori e sulla loro evoluzione nel tempo, permettendo loro di definire, attuare e controllare la strategia economica e sociale.
La peculiarità della cooperazione sociale viene così ribadita dalla scelta di rendi- contare non solo sulla situazione economico-patrimoniale dell’impresa, ma anche sull’impatto sociale dell’attività.
Aspetto osservato | Metodo di analisi | Documento informativo | Informazioni |
Economico | Produzione e distribuzione Valore | Riclassificazione Conto Economico | Ricavi/costi |
Patrimoniale | Rapporti di investimento e finanziamento | Riclassificazione Stato Patrimoniale | Debiti/crediti |
Impatto sociale | Relazioni con gli interlocutori sociali | Schede sociali | Rapporti non monetari |
3. Stato Patrimoniale riclassificato
ATTIVO
A - IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI NETTE B - IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI NETTE
B1) Terreni e fabbricati B2) Impianti e macchinari
B3) Attrezzature industriali e commerciali B4) Altri beni
C - TOTALE IMMOBILIZZAZIONI TECNICHE NETTE (A + B) D - IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE
D1) Crediti finanziari a medio-lungo termine
D2) Partecipazioni a consorzi e/o movimento cooperativo D3) Altre immobilizzazioni finanziarie
E - TOTALE ATTIVITÀ IMMOBILIZZATE (C + D)
F - DISPONIBILITÀ
F1) Rimanenze finali di Magazzino F2) Titoli
G - LIQUIDITÀ DIFFERITE
G1) Crediti verso soci
G2) Crediti commerciali verso terzi G3) Crediti per contributi
G4) Altri crediti
G5) Ratei e risconti attivi
H - LIQUIDITÀ IMMEDIATE
H1) Cassa H2) Banca c/c
I - TOTALE ATTIVO CIRCOLANTE (F + G + H) L - TOTALE ATTIVITÀ
PASSIVO
M - TOTALE CAPITALE SOCIALE
M1) Capitale sociale soci volontari M2) Capitale sociale soci prestatori M3) Capitale sociale soci fruitori M4) Capitale sociale altri soci
N - TOTALE RISERVE DI CAPITALE ED UTILI
N1) Contributi di capitale N2) Riserve di capitale N3) Riserve di utili
N4) (Perdita esercizi precedenti) N5) Utile ( Perdita ) d’esercizio
O - TOTALE CAPITALE NETTO (M + N)
P - TOTALE PASSIVITÀ CONSOLIDATE
P1) Prestito sociale
P2) Debiti v/altri finanziatori P3) Mutui Passivi
P4) Debiti per TFR
Q - TOTALE PASSIVITÀ A BREVE
Q1) Debiti v/banche Q2) Debiti v/fornitori Q3) Altri debiti a breve
Q4) Ratei e risconti passivi
R - TOTALE PASSIVITÀ (P + Q)
S - TOTALE PASSIVITÀ E NETTO
Gli obiettivi informativi della riclassificazione dello Stato Patrimoniale sono rap- presentati:
• dall’evidenziazione degli investimenti e dei finanziamenti in atto;
• dall’evidenziazione della composizione del Capitale Sociale suddiviso per cate- gorie di Soci.
La scelta di questa riclassificazione, volta alla osservazione dell’attività della coo- perativa e strutturata secondo criteri quasi finanziari è stata operata al fine di pro- porre un unico schema di Stato Patrimoniale utilizzabile per scopi quali la conces- sione di affidamenti bancari, contributi pubblici, ecc.
L’Attivo dello Stato Patrimoniale è articolato in 2 MacroClassi: Immobilizzazioni e Attivo Circolante; risultano ovviamente assenti Fondi Ammortamento e Fondi Rischi portati in diretta rettifica delle corrispondenti poste dell’attivo in confor- mità alle nuove disposizioni civilistiche.
La MacroClasse Immobilizzazioni è suddivisa in 3 Classi: Immobilizzazioni Immateriali, Materiali e Finanziarie.
La MacroClasse Attivo Circolante è formata da 3 Classi (disponibilità, liquidità differite e liquidità immediate).
Nella Classe - Liquidità differite viene richiesto tra le altre Voci di esporre il Credito della Cooperativa verso i Soci (MacroClasse A -Stato patrimoniale Bilancio ex. Cod. Civile) ed il Credito per contributi.
La Voce Credito v/soci ha una particolare rilevanza per i Soci di nuova ammissio- ne; si richiede l’indicazione dei Crediti per contributi nei confronti di Enti Pubblici.
Il Passivo dello Stato Patrimoniale è strutturato in 2 MacroClassi (Capitale Netto e Passività).
Il Capitale Netto composto da 2 classi: Capitale Sociale e Riserve di Capitale ed utili; del Capitale Sociale viene richiesta la suddivisione per categorie di Soci (volontari, fruitori e prestatori).
La Voce Contributi in Conto Capitale accoglie eventuali erogazioni in conto capitale pervenute a titolo di sostegno della cooperativa dall’esterno.
La Voce Riserve di Capitale comprende invece le riserve formate nei precedenti esercizi per apporti delle diverse tipologie di Soci non collocati nel Capitale Sociale, per esempio il sovrapprezzo azioni.
Nelle Riserve di Utili troviamo gli utili di precedenti esercizi non distribuiti e quindi accantonati a riserva indivisibile ai sensi della Legge 904/1977.
Le passività sono distinte in passività consolidate e passività a breve termine, tra le passività consolidate è chiesto di evidenziare il Prestito Soci.
4. Conto Economico Riclassificato
A - TOTALE RICAVI ATTIVITÀ SOCIALE coop. sociali tipo A A1) Fatturato da Enti pubblici in convenzione
A2) Fatturato da Enti pubblici A3) Fatturato da privati
A4) TOTALE FATTURATO
A5) Contributi ad integrazione ricavi
Z - ALTRI COMPONENTI POSITIVI DI REDDITO
Z1) Fatturato altre attività
Z2) Variazione delle rimanen. prodotti in corso di lavor.,semil. finiti
A - TOTALE RICAVI ATTIVITÀ SOCIALE coop. sociali tipo B A1) Fatturato in convenzione art.5 legge n. 381
A2) Fatturato da Enti pubblici A3) Fatturato da privati
A4) TOTALE FATTURATO coop. sociali tipo B A5) Contributi ad integrazione ricavi
Z - ALTRI COMPONENTI POSITIVI DI REDDITO coop. soc. tipo B
Z1) Fatturato altre attività
Z2) Fiscalizzazione degli oneri sociali
Z3) Variazione delle rimanenze prodotti in corso di lavorazione, semilav. finiti
B - PRODUZIONE INTERNA LORDA CARATTERISTICA (A + Z)
C - COSTI ESTERNI
C1) Acquisti di servizi
C2) Acquisti di mat. prime,sussidiarie e semilavorati
C3) Variazioni delle rimanenze di materie prime, suss. e consumo C4) Costi commerciali
C5) Costi amministrativi C6) Altri costi gestionali
D - VALORE AGGIUNTO LORDO CARATTERISTICO (B - C)
E1) TOTALE COSTO LAVORO LAVORATORI NON SOCI
E2) Costo del personale non soci E3) Accantonamento TFR non soci E4) Collaborazioni non soci
E5) TOTALE COSTO LAVORO LAVORATORI SOCI
E6) Costo del personale soci E7) Accantonamento TFR soci E8) Collaborazioni soci
E1) TOTALE COSTO DEL LAVORO LAVOR. ORDINARI coop. soc. tipo B
E2) Salari e stipendi lavoratori ordinari E3) Oneri sociali lavoratori ordinari
E4) Accantonamento TFR lavoratori ordinari E5) Collaborazioni lavoratori ordinari
E6) TOTALE COSTO DEL LAVORO LAVOR. SVANTAG. coop. soc. tipo B
E7) Xxxxxx e stipendi lavoratori svantaggiati ex art. 4 Legge 381 E8) Oneri sociali lavoratori svantaggiati
E9) Accantonamento TFR lavoratori svantaggiati E10) Collaborazioni lavoratori svantaggiati
F1) Assicurazione soci volontari
G - TOTALE COSTO DEL LAVORO (E + F)
H - MARGINE OPERATIVO AL LORDO AMM.TI ED ACC.TI (D - G) I - TOTALE AMMORTAMENTI ED ACCANTONAMENTI
I1) Ammortamenti Immobilizzazioni materiali e immateriali I2) Accantonamenti a fondi rischi ed oneri
L - RISULTATO OPERATIVO NETTO (H - I)
M - TOTALE ONERI / PROVENTI FINANZIARI NETTI
M1) Interessi passivi prestito soci M2) Interessi passivi bancari ed altri M3) Interessi attivi Titoli
M4) Interessi attivi bancari ed altri
N - RISULTATO ORDINARIO (L - + M)
O - ONERI / PROVENTI STRAORDINARI
O1) Oneri extragestionali O2) Proventi extragestionali
O3) Contributi in conto esercizio
P - RISULTATO ECONOMICO GLOBALE DI GESTIONE (N + - O)
Q - Rettifiche ed accantonamenti in applicaz.di norme tributarie R - UTILE O PERDITA DELL’ESERCIZIO (P - Q)
La cooperativa sociale sarà chiamata a compilare quelle parti del Conto economi- co relative al proprio ambito di attività:
a) gestione di servizi socio-sanitari ed educativi;
b) svolgimento di attività diverse (artigianali, commerciali ed industriali) finaliz- zate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Nella macroClasse B - Produzione interna lorda caratteristica - viene evidenziata la composizione del fatturato delle cooperative sociali per soggettività di cliente-
la, distinguendo i Ricavi da Ente Pubblico e quelli derivanti da soggetti privati. All’interno dei Ricavi localizzati nel gruppo di voci sub b si evidenziano separa- tamente i Ricavi relativi alle Convenzioni con Enti Pubblici in deroga alle norme di contabilità pubblica come previsto dal 1° comma dell’art. 5 della Legge n. 381/1991.
Nella Voce “Contributi ad integrazione di Fatturato” si registrano i Contributi in c/esercizio in relazione diretta con servizi ed attività svolta dalla cooperativa. “Fatturato altre Attività” corrisponde a quelle attività marginali e complementari rispetto all’attività “principale”.
Alle cooperative di tipo b) è richiesto di evidenziare nella Voce “Fiscalizzazione oneri sociali “ il ricavo aggiuntivo derivante dallo sgravio dal pagamento dei con- tributi previdenziali ed assicurativi per i soggetti svantaggiati; tale valore rappre- senta una integrazione che trova contropartita al punto E8 dello schema del Conto economico, ove si indica il costo del lavoro al lordo dei soggetti svantaggiati.
Nella Macroclasse C, oltre alla rilevazione degli acquisti di materie prime, sussi- diarie e semilavorati e dei servizi acquistati da economie esterne vi è una distin- zione tra: a) costi commerciali; b) costi amministrativi c) altri costi gestionali.
Nelle Voci costi amministrativi e commerciali si inseriscono i Costi di beni, ser- vizi e prestazioni diverse ottenuti da Terzi; tale rilevazione è necessaria al fine dell’identificazione della produzione e distribuzione del Valore Aggiunto da parte delle cooperative sociali.
La Voce “altri Costi gestionali” accoglie tra gli altri, i valori residuali inerenti ai processi di produzione di beni e servizi che non hanno ancora trovato collocazio- ne nelle Voci precedenti, ivi compresi IVA non deducibile, ICIAP, altre Imposte e Tributi locali, tasse di concessione che si pongono in diretta connessione con le attività produttive della cooperativa.
Tra i componenti il costo del lavoro, nella voce collaborazioni vanno segnalati gli importi dovuti a collaboratori soci e non, per prestazioni di lavoro collegate agli scopi sociali ed analoghe nel contenuto a quelle dei dipendenti, prestate però in regime di lavoro autonomo.
Per quanto attiene la gestione straordinaria, vanno considerati proventi extrage- stionali eccezionali ed imprevedibili tra gli altri: eventuali donazioni, contribuzio- ni e ogni tipo di liberalità pervenute da Privati, imprese od Associazioni varie non in dipendenza da contratti di cessione a titolo oneroso di beni o servizi.
Xxxxx inseriti nei contributi in conto esercizio- proventi extragestionali eventuali contributi pervenuti da Enti Pubblici non legati da una inerenza diretta ad attività caratteristiche ed ordinarie.
Sono considerati oneri extragestionali eccezionali ed imprevedibili tra gli altri: eventuali liberalità o contributi erogati dalla Cooperativa, indipendentemente dalla loro possibile deducibilità fiscale, - MacroClasse E - Conto Economico art. 2425 Cod. Civile.
5. Schede delle notizie integrative
1. Base Sociale numero
- Soci lavoratori ordinari
- Soci lavoratori svantaggiati
- Soci fruitori
- Soci sovventori
- Persone giuridiche
- Altre categorie di soci
- TOTALE
2. Lavoratori numero
- Soci lavoratori ordinari
- Soci lavoratori svantaggiati
- Lavoratori ordinari non soci
- Lavoratori svantaggiati non soci
- Soci collaboratori
- Collaboratori non soci
- TOTALE
3. Volontari numero ore/anno
- Soci
- Non Soci
- TOTALE
4. Obiettori di coscienza numero
5. Utenti per tipologia numero
-
-
-
- TOTALE
6. Prestito Sociale percentuale
- Soci lavoratori
- Soci volontari
- Soci fruitori
- Persone giuridiche
- Altre categorie di soci
- TOTALE
7. Composizione del C. d. A. numero
- Soci lavoratori
- Soci volontari
- Soci fruitori
- Soci sovventori
- Persone giuridiche
- Altre categorie di soci
- TOTALE
8. Collegio Sindacale numero
- Soci
- Non Soci
9. Suddivisione del Fatturato percentuale
- quota di fatturato da committente pubblico, suddiviso per servizi e committenti
- quota di fatturato da soggetti privati
10. Valutazione della complessità dei servizi percentuale
1) fatturato per forniture prestazioni lavorative
2) fatturato per gestione servizi per conto altrui
3) fatturato per gestione servizi propri
11. Rapporti con il Sistema Cooperativo descrizione
- Adesione ad Xxx.xx nazionale di rappresentanza
- Adesione a Consorzio od altre organizzazioni
Queste schede completano, con notizie non monetarie, le informazioni richieste dal Bilancio di solidarietà sociale. Le 11 schede presentate sono raggruppate secondo gli aspetti importanti della cooperativa sociale: un primo gruppo indaga circa i soggetti presenti nella cooperativa (schede 1-4) ed identifica i fruitori del servizio (scheda 5), la composizione del prestito sociale (scheda 6) e la rappresen- tanza all’interno degli organi sociali (schede 7 e 8); un secondo gruppo riguarda l’assetto produttivo e imprenditoriale (schede 9 e 10); la scheda 11 evidenzia infi- ne i rapporti che intercorrono tra cooperativa sociale e movimento cooperativo. Le informazioni richieste sono di tipo numerico o di percentuale, poichè espres- sioni oggettive e confrontabili nel tempo permettono il rapporto tra bilanci relativi a più esercizi e redatti da diverse cooperative.
Particolare interesse riveste la scheda n. 10, che informa sulla complessità imprenditoriale del servizio; al punto 1 infatti il rischio di mercato è piuttosto basso, la cooperativa fornisce prestazioni e non si occupa della gestione del servi- zio; al punto 2 la cooperativa assume alcune decisioni (e relativi rischi) ma per conto di altri; al punto 3 la cooperativa decide autonomamente le modalità di pro- duzione o erogazione del servizio, assumendosi in toto il rischio di mercato.
6. Relazione sulla gestione del Consiglio di Amministrazione
La relazione sulla gestione è lo strumento più adatto per accogliere quelle infor- mazioni di carattere maggiormente descrittivo che non sono comprese all’interno delle schede.
Consigliamo quindi di comprendere all’interno della Relazione alcuni aspetti come:
• attività gratuite rivolte a soggetti svantaggiati o alla comunità locale in genere;
• attività di sensibilizzazione della comunità locale;
• attività di formazione;
• attività rivolte alla base sociale;
• altre valutazioni circa il perseguimento delle finalità mutualistiche e solidaristi- che.
È opportuno evidenziare servizi che sono erogati gratuitamente, o a prezzi figu- rativi, poiché questi rappresentano una concreta applicazione dello scopo solidari- stico, ma non sono autonomamente evidenziati a bilancio; la sensibilizzazione costituisce uno sforzo concreto per rimuovere le cause dell’emarginazione e del disagio; è auspicabile un impegno costante che determini un significativo ricono- scimento da parte della comunità e possa giustificare la presenza di un elevato importo di liberalità; la formazione è invece indicatore del livello qualitativo del servizio.
IMPRESA SOCIALE 15/1994
DOCUMENTI
PROGRAMMI DI POLITICA SOCIALE PROPOSTI NELLA RECENTE CAMPAGNA ELETTORALE
Come ricordato nell’editoriale, di seguito sono pubblicate e comparate le principali proposte di politica sociale, suddivise per grandi temi (famiglia, previdenza, ecc.), dei tre maggiori partiti (PDS, PPI, Forza Italia) che hanno fatto parte dei tre schieramenti elettorali (sinistra, centro, destra) confrontati- si lo scorso 27 e 28 marzo. Poiché i loro programmi nazionali ufficiali pre- sentano una diversa struttura logica, è stato necessario operare tagli, selezio- ni e spostamenti di testo, onde consentire una loro comparazione.
Si precisa pertanto che non tutte le proposte di politica sociale contenute nei tre programmi sono state riportate in questa sede, bensì solo quelle ritenute più significative ed essenziali.
LINEE GUIDA GENERALI
Partito Democratico della Sinistra
La politica sociale deve combattere i privilegi e puntare a realizzare il massi- mo di uguaglianza possibile. Ciò non significa semplicemente assicurare la pur necessaria assistenza ai poveri e agli emarginati, ma comporta un com- plesso e organico sistema di redistribuzione delle risorse. Oggetto di redistri- buzione debbono essere tutte le risorse che concorrono a formare la qualità della vita: istruzione, qualità del lavoro, reddito, disponibilità e possibilità di accesso ai servizi sociali, condizioni abitative e ambientali, contesti educativi e relazionali, ecc.
Obiettivo della politica sociale - e della sua funzione perequativa - è di garan- tire a tutti pari opportunità di partenza e di aiutare tutti ad autopromuoversi. A questo criterio, già acquisito nella cultura liberal-democratica, deve aggiun- gersi un obiettivo più ambizioso e impegnativo: assicurare a tutti, anche a coloro che per i più vari motivi restano indietro nella corsa della vita, il rag- giungimento di un traguardo, il conseguimento di uno zoccolo di benessere.
Un sistema di welfare rinnovato non riguarderà dunque solo i poveri e le fasce deboli ma tutta la società. Il modo migliore per aiutare le minoranze deboli è far avanzare la giustizia sociale per tutti. Per questo il PDS mantiene una opzione per un sistema universalistico e pubblico. Il passaggio a un sistema privato comporterebbe non meno ma più spesa sanitaria o previdenziale totale e inoltre esporrebbe i singoli al rischio insito nell’incertezza dei mercati finan- ziari. Forme miste vanno tuttavia incentivate e va sostenuto lo spirito di inizia- tiva individuale.
Partito Popolare Italiano
La prospettiva di fondo consiste nel passaggio dall’odierno Stato sociale buro- cratico e assistenzialistico alla comunità solidale, capace di valorizzare a pieno titolo e con piena dignità le forze del volontariato e del privato sociale nella programmazione e gestione degli interventi.
Per realizzare adeguati servizi alla persona occorre passare da uno Stato assi- stenziale burocratico, che rastrella risorse per erogare da lontano e spesso male i servizi, ad uno che riconosce e promuove, con misure adeguate, le risorse di solidarietà e creatività della società civile presente sul territorio e vicina ai bisogni reali del cittadino.
Si ritiene comunque fondamentale il ruolo di garanzia dello Stato nell’orga- nizzazione e nella programmazione delle politiche sociali. Vanno mantenute quindi le conquiste dello Stato sociale, a cominciare dal fondamentale diritto alla tutela della salute, attraverso la riqualificazione della spesa, l’eliminazio-
ne degli sprechi e la partecipazione attiva dei cittadini.
Stato e pubblica amministrazione devono divenire sempre più regolatori e sempre di meno soggetti attivi della produzione e dello scambio. Essi devono invece sviluppare capacità di garante e funzioni di alto controllo contro le concentrazioni, gli oligopoli, i parassitismi, per la valorizzazione della ric- chezza nazionale, per la tutela della famiglia, dei cittadini, dei consumatori e per una più attenta ricerca delle compatibilità ambientali dello sviluppo.
Forza Italia
Vogliamo una solidarietà che, in base a regole certe, liberi dalla paura e dall’ansia i nostri concittadini meno fortunati e favorisca quella coesione sociale senza la quale verrebbe impedito al Paese di continuare a camminare lungo la via dello sviluppo. Le somme astronomiche attualmente dissipate in nome di una malintesa solidarietà in apparati burocratici costosi, inefficienti e corrotti devono essere finalmente destinate, grazie a meccanismi concorren- ziali di mercato, ad obiettivi di solidarietà autentica nei confronti dei nostri concittadini meno fortunati e bisognosi di assistenza.
Non vogliamo che, in nome della solidarietà, continui la prassi aberrante fino- ra seguita, di distribuire su larga scala potere e reddito a vantaggio di una clas- se politico-burocratica parassitaria.
I servizi di interesse pubblico vanno privatizzati per favorire l’economicità della gestione e, ove ciò non sia immediatamente possibile, occorre dirigerli e gestirli come aziende private.
Si tratta inoltre di introdurre nuovi stimoli e fattori concorrenziali ogni qual volta sia possibile, riducendo quindi drasticamente l’area delle situazioni monopolistiche (o quasi monopolistiche).
FAMIGLIA
Partito Democratico della Sinistra
E’ ormai largamente riconosciuta la centralità della istituzione famigliare, non solo come unità primaria di organizzazione della convivenza e di formazione degli individui, ma come vero e proprio terminale delle politiche sociali, in quanto prima produttrice del lavoro di cura e di servizio alle persone.
Il sostegno del ruolo delle famiglie va valutato all’interno di un sistema inte- grato di protezione sociale e dovrebbe articolarsi almeno attraverso le seguenti misure:
- estensione a tutte le donne del congedo o indennità di maternità;
- congedi parentali da utilizzare per la cura dei piccoli, degli anziani o dei malati;
- riconoscimento del lavoro di cura sul piano economico e previdenziale;
- incentivazione del rientro al lavoro del genitore che lo abbia abbandonato per occuparsi della famiglia.
Partito Popolare Italiano
- Va ricalibrato il sistema impositivo e tariffario in funzione della condizione economica della famiglia, valutata con riferimento al suo reddito, al suo patri- monio e alla sua struttura;
- vanno incentivate politiche di congedi per i genitori, con una riconsiderazio- ne del tempo familiare rispetto al tempo di lavoro;
- va riconosciuto, con moderna mentalità, il lavoro femminile svolto nella casa;
- vanno promosse forme di sicurezza sociale disegnate sui bisogni della fami- glia nelle diverse fasi del suo ciclo di vita (dalla situazione della coppia giova-
ne a quella degli anziani).
Al di là dei provvedimenti economici e fiscali necessari, solo il riconoscimen- to di una piena cittadinanza della famiglia può contribuire a diminuire diffusi fenomeni di disagio, malessere, ingiustizie e patologie sociali.
Forza Italia
1. Attuare una politica che favorisca l’accoglienza e la tutela della vita.
2. Rapportare il computo del reddito ai fini fiscali ai valori procapite del nucleo familiare, cioè ridurre le imposte alle famiglie monoreddito e numero- se.
3. Favorire lo sviluppo dell’edilizia locativa delle grandi città, anche con l’introduzione del “buono casa” per le famiglie bisognose di nuova formazio- ne.
4. Riformare le modalità di erogazione degli assegni familiari, garantendo che il prelievo tributario specifico venga effettivamente redistribuito alle famiglie e non disperso in altre voci di bilancio.
VOLONTARIATO E TERZO SETTORE
Partito Democratico della Sinistra
Occorrono modelli di gestione basati sull’integrazione tra pubblico, privato e privato sociale, attraverso l’affermazione di una nuova statualità, in contrasto con il processo di deresponsabilizzazione delle funzioni pubbliche, che metta in campo risorse sia di progettualità, sia di gestione, sia di valutazione e con- trollo; attraverso la sollecitazione di modalità di auto-organizzazione della domanda e di riconoscimento dei diritti degli utenti.
Occorre operare poi per l’attuazione delle leggi quadro su volontariato e coo- perazione sociale e per la predisposizione di analoga legge sull’associazioni- smo.
Partito Popolare Italiano
Oggi assumono un ruolo decisivo le associazioni del volontariato e le organiz- zazioni senza scopo di lucro, il cui contributo può essere valutato su un dupli- ce fronte: da un lato costituisce un’importante affermazione del principio del pluralismo degli attori sociali che in vario modo concorrono al benessere della società, dall’altro immette nel più vasto contesto sociale un principio di pre- stazione solidale, non priva di una sua evidente efficacia ed efficienza.
Questo settore di attività dovrà essere in ogni modo riconosciuto, incoraggiato e facilitato, nonché regolamentato sotto il profilo giuridico e fiscale, con statu- ti e ruoli crescentemente paritari nei confronti di Stato e mercato.
Il nuovo sistema fiscale deve riconoscere una posizione di autonoma soggetti- vità fiscale alle persone e alle imprese, ma anche alle famiglie e alle attività svolte non per profitto.
Forza Italia
- Creare uno specifico regime fiscale di favore per le organizzazioni senza fine di lucro.
- Creare forme stabili di collaborazione tra settore pubblico e settore senza fine di lucro, nelle quali lo Stato e le sue articolazioni periferiche mantengono un’attività di controllo, garantendo l’università e la qualità del servizio.
- Determinare con il massimo rigore possibile la specifica finalità e missione di ogni singola associazione per evitare confusioni, sovrapposizioni all’interno delle varie associazioni e tra gruppi di volontariato ed enti locali, e affinché
nessuna associazione amplii impropriamente il proprio campo d’azione.
- Liberalizzare la possibilità di offerte private, detraibili fiscalmente, alle asso- ciazioni di volontariato riconosciute. Tali offerte saranno iscritte nel bilancio delle associazioni in modo da ottenere il massimo della trasparenza.
SANITÀ
Partito Democratico della Sinistra
Proponiamo:
- La regionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale: allo Stato solo pochi atti di indirizzo e coordinamento sulle grandi politiche della salute, sul pac- chetto di prestazioni sanitarie da garantire a tutti i cittadini e sulla solidarietà da mettere in atto tra regioni ricche e regioni povere; pubblico, privato, priva- to-sociale, mutualità volontaria come soggetti erogatori di beni e servizi sani- tari;
- garanzia a tutti i cittadini di un pacchetto selezionato di prestazioni di cittadi- nanza sanitaria, comprendente un rapporto riqualificato con il medico di medi- cina generale;
- il controllo di qualità per tutte le strutture pubbliche e private, mediante un efficiente sistema di monitoraggio delle procedure e dei risultati;
- la riqualificazione del personale della sanità (attribuzione piena delle respon- sabilità non solo tecniche, ma funzionali e gestionali, con verifica degli obiet- tivi di qualità), la razionalizzazione del numero dei medici impegnati nel Servizio Sanitario Nazionale; una maggiore responsabilizzazione budgettaria dei medici di base.
Partito Popolare Italiano
La tutela della salute è un servizio pubblico per eccellenza, perché esige di mediare e di decidere tra bisogni espressi o inespressi della popolazione, le potenzialità del mondo della tecnica e dell’organizzazione e le risorse disponi- bili. Per questi motivi non è possibile ipotizzare una sanità senza un controllo della politica, che lo deve esercitare però nel nome di esigenze generali, diret- te a garantire in modo puntuale e rigoroso la soddisfazione e il diritto alla tute- la della salute e alla qualità della vita.
In questo quadro, ed analogamente a quanto previsto per gli altri servizi pub- blici alla persona, deve essere garantito alle strutture private/libere la possibi- lità di fornire il servizio in condizioni di effettiva parità con le strutture finan- ziate direttamente dal settore pubblico, allo scopo, tra l’altro, di innestare una “competizione virtuosa” che consenta l’elevazione qualitativa del servizio.
Forza Italia
- Affidare al mercato la fornitura del servizio, garantendone così la qualità attraverso la concorrenza tra fornitori privati e fornitori pubblici;
- Far carico allo Stato soltanto di quella parte di popolazione che non può per- mettersi di sopportare in prima persona il costo dell’assistenza. Comunque il finanziamento pubblico non sarà destinato agli ospedali (come avviene attual- mente) ma agli utenti, sotto forma di un buono, personale e non negoziabile, con cui l’utente potrà acquistare, dalla compagnia di sua scelta, un’assicura- zione sanitaria con caratteristiche minime fissate per legge.
- Applicare la legge che trasforma i più grandi ospedali pubblici in aziende. Dove possibile, cederne la gestione ai privati mantenendo gli immobili di pro- prietà dell’Ente pubblico.
- Rendere obbligatoria per tutti un’assicurazione per i grandi interventi.
- Rendere detraibili le spese per assicurazioni sanitarie.
POLITICHE PER L’OCCUPAZIONE
Partito Democratico della Sinistra
- Maggiore mobilità e flessibilità, senza trasformare il mercato del lavoro in una giungla, nel pieno rispetto cioè della tradizione italiana e europea dei diritti sindacali;
- introduzione, in modo sperimentale e graduale, di una leva del lavoro, che impegni per un anno ragazzi e ragazze (in alternativa al servizio militare) nei lavori di pubblica utilità, concepiti come servizio civile;
- riduzione dei contributi sociali per lavori con retribuzioni inferiori a quelle medie;
- diffusione dei contratti di solidarietà come alternativa alla cassa integrazio- ne;
- estensione del ricorso al part time;
- possibilità di congedi per attività di cura e di formazione, il cui onere sia ripartito tra il lavoratore, l’impresa e lo Stato;
- stimolare la creazione di nuovi progetti e nuovi mercati nel settore del wel- fare, in questa ottica collocando la necessaria espansione di lavori socialmente utili.
Partito Popolare Italiano
Si introdurranno flessibilità delle regole contrattuali, contratti di solidarietà, incentivi per gli investimenti privati, sostegni per i giovani e per il terzo setto- re, cioè per le forme autonome di attività non orientate al profitto, oggi capaci di assorbire ingenti quantità di unità di lavoro.
Occorre un sostegno convinto alle varie forme di impresa, tra cui le imprese cooperative e le imprese non per profitto
Xxxxx create occasioni di lavoro anche al di fuori della sfera di mercato. È qui decisivo il ruolo propulsivo che il terzo settore può esercitare a riguardo: pun- tare su lavori socialmente utili che diano occupazione e producano beni di cui vi è domanda solvibile, per la quale i cittadini sono, cioè, disposti a contribui- re.
Forza Italia
- Detassare le nuove assunzioni, riducendo il peso degli oneri fiscali e previ- denziali sul costo del lavoro. Sperimentare in zone ad alta disoccupazione forme di esenzione fiscale completa per un triennio e di agevolazioni previ- denziali destinate a tutte le attività che diano vita ad una creazione netta di nuovi posti di lavoro produttivo;
- rendere produttivi i corsi di formazione professionale, sia al fine di evitare truffe e raggiri, sia al fine di qualificare la nuova forza lavoro;
- rivedere la legislazione in tema di lavoro: eliminare attraverso forme legali e flessibili di occupazione ciò che oggi è lavoro nero o sommerso.
PENSIONI E PREVIDENZA
Partito Democratico della Sinistra
Il sistema previdenziale deve rimanere a ripartizione, deve garantire la solida- rietà intergenerazionale e deve garantire un rapporto più stretto tra contributi e prestazioni. Proponiamo:
- omogeneizzazione dei trattamenti e unificazione delle normative e dei tassi di rendimento;
- flessibilità nei requisiti di accesso ai trattamenti, rispondenti alle esigenze di un nuovo e diverso rapporto tra i tempi di vita e di lavoro;
- offerta di una copertura reddituale universalistica alla popolazione anziana più debole;
- incentivazione della previdenza integrativa;
- eliminazione del requisito contributivo minimo (attualmente 20 anni) e intro- duzione di schemi di pensionamento flessibili, consentendo un anticipo del pensionamento a condizione di una stretta equivalenza tra contributi e benefi- ci.
Partito Popolare Italiano
Una nuova politica previdenziale deve avere alla base la condivisione di un rapporto di solidarietà tra le generazioni viventi e quelle future. Lo Stato deve divenire soprattutto garante e controllore di un equilibrato rapporto che favori- sca un’articolazione pluralistica ed efficiente degli strumenti e delle responsa- bilità, con la partecipazione consapevole dei diversi soggetti: le persone, le famiglie, le imprese, le autonomie sociali.
A questo riguardo il Partito Popolare guarda con attenzione di forme di assi- curazione privata integrativa e all’ingresso nel nostro sistema finanziario dei fondi pensione e dei “fondi chiusi”, anche al fine di un consolidamento del risparmio e di un ampliamento delle modalità del cosiddetto capitalismo democratico.
Forza Italia
1) Favorire lo sviluppo della previdenza privata: passare gradualmente ad un sistema assicurativo privato, in cui lo Stato renda obbligatoria per tutti una forma di assicurazione pensionistica per vecchiaia e invalidità e consenta la deducibilità delle spese destinate a questo scopo.
2) Passare da una visione universalistica del sistema della previdenza pubbli- ca che premia i non bisognosi ad uno che favorisca i meno abbienti. Lo Stato deve fornire pensioni di invalidità e vecchiaia soltanto a quanti si trovano al di sotto di un reddito minimo.
3) Effettuare tutto questo in modo progressivo, nel rispetto dei diritti acquisiti.
IMPRESA SOCIALE 15/1994
LINEE PROGRAMMATICHE 94/96 DEL CONSORZIO CGM
Il Consorzio nazionale CGM - conducendo attività edi- toriale, di ricerca, formazione, consulenza, interconnes- sione e general contracting - rappresenta oggi in Italia un significativo punto di riferimento per favorire la pro- mozione, l’integrazione e lo sviluppo imprenditoriale della cooperazione sociale. Attualmente sono soci CGM 27 consorzi territoriali operanti in 12 regioni italiane, dei quali sono socie 400 cooperative sociali.
Si è ritenuta pertanto cosa utile, non solo per gli asso- ciati, pubblicare le linee programmatiche del triennio 94/96, definite e approvate recentemente dall’Assemblea dei soci CGM.
Premessa
L’obiettivo di tratteggiare le linee portanti del program- ma e dell’organizzazione di CGM comporta la necessità di ipotizzare uno scenario di riferimento per le modifi- cazioni del sistema di welfare, su cui orientare lo svilup- po strategico della cooperazione sociale, secondo quan- to la legge 381 ha iniziato a configurare.
In questo scenario si muovono sia processi di breve che di medio-lungo periodo, relativi sia all’evoluzione del contesto socio-economico (es. integrazione europea) sia alla trasformazione e ridefinizione dei rapporti tra società civile ed istituzioni politiche ed all’emergere di nuove reti che incorporano soggetti e risorse non diret- tamente provenienti dal settore pubblico e privato.
In tal senso, questo scenario riconosce in sé la pluralità dei poli che come sistemi interconnessi concorrono alla produzione di welfare (reti primarie, Stato, mercato e settore nonprofit), caratterizzandosi in particolare lo Stato per:
• la formulazione delle politiche;
• la definizione delle priorità;
• la redistribuzione delle risorse per i servizi;
e il settore nonprofit per:
• la rappresentanza degli interessi di cittadinanza;
• l’assunzione di responsabilità diretta in attività di gestione;
• la produzione di beni relazionali collettivi.
Le interconnessioni fra i diversi poli che concorrono a determinare le politiche sociali rendono necessaria, da una parte, una rinnovata capacità dello Stato ad elabora- re le norme di cui si sostanzia la funzione di “regolazio- ne pubblica” e dall’altra una capacità di autopromozio- ne strategica del settore nonprofit ed in particolare della cooperazione sociale.
Linee d’orientamento
L’orientamento strategico della cooperazione aderente al CGM deriva da un’insieme, tendente alla massima coerenza interna, di:
1) Valori: motivano l’origine degli interventi e la allo- cazione delle risorse;
2) Tecniche: rendono i processi di distribuzione delle risorse efficaci ed efficienti;
3) Strutture: collocano nei punti d’intervento adeguati l’articolazione necessaria in un sistema complesso. Assumendo come reciprocamente interdipendenti gli elementi costitutivi del sistema consortile (cooperativa, consorzio locale, consorzio nazionale), i valori, le tecni- che e le strutture afferiscono all’ambito etico-culturale ed operativo, pur nella diversità delle funzioni svolte, sia della singola cooperativa sociale che del consorzio locale e del consorzio nazionale.
1) Valori:
• centralità della persona a tutti i livelli (interno/esterno) della cooperazione sociale, come socio, come lavorato- re, come utente;
• etica della solidarietà, come riferimento per le azioni ed i comportamenti dei singoli e delle organizzazioni, ma anche per la valutazione dei risultati dell’attività imprenditoriale;
• democrazia, come partecipazione paritaria alle scelte e gestione del potere basato sul consenso, sulla trasparen- za e sulla circolarità delle informazioni;
• innovazione (per noi sono le frontiere dove non c’è riposta al bisogno) come principale indicatore di effi- cienza;
• assunzione personale di responsabilità: a) nell’attività d’impresa, attraverso la sottoscrizione di capitale; b) nella testimonianza, attraverso l’impegno concreto, del significato educativo insito in comportamenti coerenti con idee e valori;
• capitalizzazione delle diversità e della ricchezza socia- le per produrre sviluppo.
2) Tecniche, ovvero processi organizzativi diffusi relati- vi a:
• ottimizzazione delle risorse economiche, finanziarie ed umane finalizzate al mantenimento dei valori ed al sod- disfacimento dei bisogni;
• valutazione del processo di lavoro con cui si realizza il prodotto sociale;
• verifica del prodotto sociale in termini sia economici (efficienza) che di raggiungimento dell’obiettivo (effica- cia) in modo da consentire la determinazione della qua- lità sociale (cioè quella percepita dall’utente e misurata dall’accettabilità e dall’accessibilità);
• sostegno alla motivazione delle risorse umane come prerequisito ai contenuti di professionalità specifica.
3) Strutture:
• organizzazione a rete, dove nei punti di connessione si realizza lo scambio fra diversi punti produttivi;
• massimo decentramento produttivo territoriale, con- sentendo il massimo di radicamento possibile della rap- presentanza dei diritti di cittadinanza;
• articolazione organizzativa flessibile, capace di incor- porare sia il lavoro di tipo gestionale-imprenditoriale che di tipo tecnico-professionale in ogni punto produtti- vo;
• specializzazione orientata a produrre le risposte per tipologia dei soggetti portatori di bisogno, per cui si rende necessaria specifica accumulazione di conoscenze e risorse da implementare nel tempo.
Questo mix di valori, tecniche e strutture trova la sua caratterizzazione specifica nel sociale attraverso l’agire imprenditoriale, che con la forma cooperativa utilizza risorse marginali, produce innovazione, genera efficien- za.
Declinando, pertanto, quanto prima si è cercato di trat- teggiare come insieme di valori, tecniche e strutture secondo le funzioni degli elementi costitutivi il sistema consortile: la cooperativa, il consorzio territoriale, il consorzio nazionale.
La cooperativa:
• è il soggetto che attua, nella comunità locale, gli inter- venti di promozione umana ed integrazione sociale dei cittadini;
• è il soggetto della verifica degli indirizzi e dell’opera- tività dei livelli consortili;
• è il soggetto responsabile ed il luogo della produzione del servizio sociale o delle attività produttive per l’inse- rimento lavorativo secondo il dettato della L. 381;
• è il luogo della produzione e dello sviluppo delle rela- zioni interpersonali;
• è il luogo dell’aggregazione delle risorse umane e della produzione delle risorse economiche dell’intero sistema della cooperazione sociale;
• è il luogo di scambio con le esperienze che in un deter- minato contesto sociale si accumulano.
Il consorzio territoriale:
• è il fulcro delle attività d’integrazione fra le diverse
vocazioni specialistiche delle cooperative;
• è il soggetto di partnership con gli enti locali per i pro- getti di sviluppo dell’occupazione;
• è il gestore, su mandato delle cooperative, di attività di sostegno all’imprenditorialità, quali la formazione, la progettazione, ecc.;
• è la struttura organizzativa di presidio del territorio, per lo sviluppo delle cooperative sociali;
• è il soggetto imprenditoriale che orienta gli indirizzi di politica sociale verso una condivisione dei valori di cui è portatore;
• è il promotore operativo di nuova cooperazione sulla base di una lettura attenta alla domanda sociale;
• è il mandatario istituzionale del Consorzio Nazionale, nella cui rete si interconnette con gli altri consorzi terri- toriali, potenziando i canali di circolarità progettuale attraverso “poli” che costituiscono il livello di funziona- mento decentrato del Consorzio Nazionale;
• è luogo di integrazione delle realtà di terzo sistema, come punto della rete.
Il consorzio nazionale:
• è il luogo del raccordo strategico delle attività di svi- luppo dei consorzi territoriali;
• è il presidio della coerenza interna tra i valori fondanti l’omogeneità culturale e la conseguente azione impren- ditoriale dei consorzi territoriali;
• è il luogo di passaggio dalla gestione puntiforme dei servizi alla gestione di servizi complessi con l’obiettivo di sviluppare occupazione ed integrazione di risorse umane marginali attraverso progetti caratterizzati dall’equilibrio delle risorse umane ed economiche di diverse realtà diffuse sull’intero territorio nazionale;
• è il luogo dell’elaborazione degli strumenti di sostegno all’impresa (finanza, marketing, formazione, modelli gestionali ecc.), che maggiormente sono permeati dalle linee strategico-organizzative espresse e condivise dai mandatari istituzionali (i consorzi territoriali);
• è il marchio a cui afferisce l’identificazione del siste- ma della cooperazione sociale attraverso canali di comunicazione d’immagine, da collocarsi in specifico progetto di marketing sociale;
• è il soggetto di partnership nazionale per interventi comunitari nell’economia sociale;
• è il soggetto promotore dell’identità del gruppo diri- gente della cooperazione sociale, attraverso la gestione di specifica attività formativa.
Indirizzi operativi
Se i valori sono il fondamento del nostro agire impren- ditoriale e ne permeano le scelte, queste devono essere assunte nel consorzio nazionale CGM su singoli proget- ti operativi.
I singoli progetti operativi saranno costituiti rendendo disponibili, da parte dei consorzi territoriali, risorse umane ed economiche.
La partecipazione delle cooperative e dei consorzi terri- toriali alla attività del consorzio nazionale è il requisito indispensabile per innestare il processo di assunzione di responsabilità e di condivisione attraverso la capitaliz-
zazione e la gestione decentrata dei progetti operativi.
Le modalità per l’informazione e la formazione finaliz- zate alla costituzione dei progetti trovano la loro sede di definizione attraverso l’attività dei “poli” (livello decen- trato di funzionamento di CGM).
La progettazione e realizzazione di strumenti di analisi e verifica dei principi di democrazia e partecipazione (coerenza con legge 381) e di qualità dei prodotti e della gestione imprenditoriale costituisce il requisito indi- spensabile per la creazione di un differenziale competiti- vo fra i vari soggetti che concorrono a formare il siste- ma di risposta ai bisogni sociali.
L’identificazione dei singoli strumenti operativi, relati- vamente alla gestione imprenditoriale (finanza, marke- ting, ecc.), è da collocarsi sia al livello del consorzio ter- ritoriale o nazionale, a seconda dei singoli contesti.
IMPRESA SOCIALE 15/1994
IL COMMERCIALISTA DEL SOCIALE
TRATTAMENTO FISCALE DEI CONTRIBUTI IN CONTO CAPITALE E LIBERALITÀ
Si riportano alcune indicazioni utili per la dichiarazio- ne dei redditi 1993, fornite dal servizio legislativo e legale della Confederazione Cooperative Italiane, rela- tive al trattamento fiscale dei contributi in conto capita- le e liberalità. Tali indicazioni rappresentano il frutto di un lavoro di gruppo e, pur nella loro opinabilità, costituiscono un valido supporto per la interpretazione di talune norme che hanno dato adito a pareri diversi.
La formulazione dell’art. 55, 3° comma, del D.P.R. 917/86, antecedente al D.L. 30.12.1993, n. 554, ora
D.L. 139 del 28.2.1994, così recitava:
“Sono inoltre considerate sopravvenienze attive”
b) i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui alle lettere e) ed f) del comma 1° art. 53 (contributi in conto esercizio). Tuttavia l’ammontare di tali proventi, se sia stato accantonato in apposito fondo del passivo, concor- re a formare il reddito nell’esercizio e nella misura in cui il fondo sia utilizzato per scopi diversi dalla copertu- ra di perdite di esercizio...”.
Ne conseguiva che le cooperative potevano accantonare i contributi in conto capitale ricevuti in apposito fondo del passivo ed in sospensione d’imposta.
Molto spesso le leggi concedenti il contributo impone- vano l’accantonamento in apposita posta del passivo e ne vietavano l’utilizzo sino al permanere in funziona- mento dei beni per il cui acquisto era stato erogato il contributo.
Si noti per inciso il termine utilizzato dal legislatore conseguito e non invece il termine percepito. Il contri- buto pertanto si considera conseguito, cioè appostabile in bilancio, quando sia maturato per competenza, certo e definitivo nell’ammontare, quand’anche fosse incassa- to in periodi successivi.
Contributi in conto capitale
I principi contabili dei Dottori Commercialisti eviden- ziano due impostazioni diverse per la trattazione ai fini contabili:
La prima è quella che accredita al conto economico il contributo gradatamente alla vita utile del cespite.
In pratica si iscrive il contributo fra le passività, anzichè nel patrimonio netto, in un fondo ben definito che si riduce, con accredito al conto economico, in funzione dell’ammortamento del cespite cui si riferisce.
La seconda è quella che considera il contributo come parte integrante del patrimonio netto (voce VII “altre riserve”, articolo 2424 del Codice Civile).
La seconda impostazione è quella accolta dalla norma fiscale dell’art. 55 T.U., per la quale viene scelto di fare transitare per intero nel conto economico il contributo salvo poi accantonarlo integralmente.
Peraltro, appare corretta ai fini fiscali oltre che più cor- retta ai fini civilistici la diretta imputazione del contri- buto al fondo patrimoniale, senza imputazione al conto economico, per poi storno al fondo di accantonamento. L’articolo 1 del D. L. 30.12.93, n. 554, ora D.L. 139 del 28.2.94, ha modificato sostanzialmente il disposto della norma, con una dizione riconfermata dall’art. 1 del D.
L. 28.2.94, n. 139, che ha reiterato per mancata conver- sione il precedente D.L.
L’unica modifica attiene alla sostituzione del termine “fondo” con il termine “riserva”, in quanto la nuova for- mulazione del bilancio di esercizio prevede come fondi le sole poste per rischi ed oneri, mentre qualifica come riserve tutte le altre.
La nuova formulazione dell’art. 55, 7° comma, è la seguente: “Sono inoltre considerate sopravvenienze attive...
b) i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui alle lettere c) ed f) del comma 1 dell’art. 53 (contributi in conto esercizio). Tali proventi concorrono a formare il reddito in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati conseguiti e nei successivi e non oltre il nono; tuttavia il loro ammontare, nel limite del 50 % e se accantonato in apposita riserva, concorre a formare il reddito nell’eser- cizio e nella misura in cui la riserva sia comunque utilizzata”. Ai fini fiscali, l’intero ammontare viene evidenziato nelle variazioni in aumento del risultato d’esercizio, come sopravvenienza attiva ex art. 55 T.U.I.D.
Come variazione in diminuzione, si possono optare per le due ipotesi diverse:
1) vengono indicati la quota complessiva non deducibile nell’esercizio secondo il periodo di deducibilità prescel- to, da due a dieci anni con quote costanti;
2) dedotto il 50% accantonato a riserva in sospensione d’imposta, che ai fini fiscali è tutta variazione in dimi- nuzione, il restante 50% si deduce in un periodo com- preso fra due e dieci anni con quote costanti e viene indicato fra le variazioni in diminuzione per l’ammonta- re non deducibile nell’esercizio.
Ai fini civilistici, si tratta sempre di contributi che non possono trovare collocazione nel conto economico, ma devono venire allocati integralmente nel patrimonio netto, salvo poi venire ripresi a tassazione solo in sede di variazione nella compilazione del modello 760.
Quanto sopra deve essere esplicitato nella nota integrativa.
Contributi in conto capitale patrimonializzati e arti- colo 12/904
L’applicazione della nuova normativa comporta una tas- sazione, ancorchè differita, dei contributi in conto capi- tale, di cui è maggiore la rilevanza per le società coope- rative destinatarie di ingenti contributi in conto capitale e con un patrimonio indivisibile per i soci.
Occorre pertanto valutare la possibilità di utilizzare il disposto normativo di cui all’art. 12 della legge 16 dicembre 1977 n. 904.
Il termine “somma” è di ampia accezione come ha con-
fermato il Ministero delle Finanze (risoluzione 9/110 del 7 ottobre 1993) quando l’ha ritenuta applicabile anche alle plusvalenze emergenti in sede di liquidazione della società. Si appalesa come possibile, pertanto, la contabilizzazione dei contributi in conto capitale nel bilancio a norma dell’art. 12 Legge 904/77 anziché rin- viare all’art. 55, 3° comma, D.P.R. 917/86 mediante l’appostazione nel conto economico degli stessi come sopravvenienze attive.
Tale operato appare legittimo in forza delle due seguenti considerazioni:
1. L’agevolazione prevista, in via specifica, dell’art. 12/904 prevale sul disposto dell’art. 55, comma 3°, let- tere b), in quanto prevede che “non concorrano a forma- re reddito” le somme destinate alle riserve indivisibili. L’art. 55 dispone che concorrono a formare il reddito...”:
2. Il nuovo testo dell’art. 55, dopo le modifiche apporta- te dal D.L. 28.2.1994, n. 139 parla espressamente di riserve e non più di fondi.
Se vi erano pochi dubbi che i precedenti fondi in sospensione d’imposta, quando lo statuto delle coopera- tive li conprendesse nel patrimonio sociale, non venisse- ro equiparati alle riserve indivisibili, non ve ne sono attualmente che il termine “fondi” è stato sostituito con “riserve”.
Poichè l’accantonamento è effettuato a una riserva, e queste sono staturiamente indivisibili, l’utilizzo della norma agevolativa di cui all’art. 12 legge 904/77 è pie- namente legittimo.
Liberalità
L’art. 55, 3° comma, D.P.R. 917/86 equipara il tratta- mento fiscale dei contributi in conto capitale alle liberalità. Peraltro le predette liberalità non sono altro che contri- buti che, se erogati da privati, ovvero da Enti Pubblici non in base a norme di legge, costituiscono sempre sopravvenienze attive sia che siano dati in conto capitale sia in conto esercizio.
Si precisa, inoltre, che non sono considerate sopravve- nienze attive le contribuzioni dei soci ai fondi contributi ex art. 55, 4° comma, del D.P.R. 917/82 in virtù del richiamo dell’art.95, 1° comma, stesso D.P.R.
Le considerazioni esposte nel capitolo dei contributi in merito all’applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 12 legge 904/77, si applicano integralmente anche alle somme ricevute dalla cooperativa a titolo di liberalità.
La nuova normativa comporta conseguenze diverse per quelle cooperative, in particolare sociali, per le quali le liberalità assumono una rilevante dimensione e sono necessarie per la presentazione di un risultato d’eserci- zio a pareggio.
Con la precedente normativa, di cui all’art. 55, la coope- rativa poteva scegliere se imputare tutte o parte delle liberalità nel conto economico, ovvero accantonarne una quota. Con la nuova normativa le liberalità sono sempre sotto- poste a tassazione nel caso sopraesposto: distribuite sino a dieci anni con la prima modalità; con accantonamento
in sospensione di imposta del 50 per cento.
Se la posta delle liberalità è necesssaria per il pareggio del conto economico, il bilancio evidenzia con la prima modalità un pareggio civilistico, mentre ai fini fiscali viene evidenziata una perdita, tanto maggiore quanto più lungo risulta il numero degli esercizi nei quali far concorrere al reddito le quote della liberalità.
Con la seconda modalità, il bilancio evidenzia una per- dita civilistica pari all’accantonamento ex art. 55 pari al massimo al 50% come appostazione del rigo 25, mentre ai fini fiscali il risultato è sempre la perdita.
Volendo esemplificare, si ipotizzi una cooperativa che dopo il primo anno non benefici di altre liberalità e chiuda comunque a pareggio.
Nel primo esercizio successivo il bilancio civilistico chiude a pareggio, mentre fiscalmente si evidenzia un reddito per la ripresa pro quota delle liberalità del prece- dente esercizio.
Tale reddito non è soggetto a IRPEG perchè affrancato dalle perdite precedenti, mentre è soggetto ad ILOR con l’aliquota del 12,50%.
Con questa conclusione appare più conveniente accanto- nare almeno il 50% in apposita riserva, al fine di ridurre l’imponibile fiscale soggetto ad ILOR.
Vi è peraltro il problema che la coperativa chiude in perdita civilistica con eventuali problemi in ordine alla copertura della stessa, salvo dichiarare nella nota inte- grativa che la perdita si è prodotta a motivo di un’appo- stazione fiscale a riserva, pari alla perdita stessa.
Presentiamo un esempio di una cooperativa che riceve una liberalità di 1.000, necessaria per il pareggio del conto economico, che accantona a riserva per il 50% e porta a concorrenza del reddito la parte eccedente in 5 anni.
tuati antecedentemente la rilevazione dell’utile di eser- xxxxx, rientrano nella base imponibile per il calcolo del 3 %. Pur trattandosi di una forzatura del disposto dell’art. 2536 c.c. si consiglia l’applicazione del contributo del 3 per cento per evitare la perdita della agevolazione fisca- le (art. 11, comma 10°, legge 31.1.92, n. 59). Lo stesso va detratto dal contributo in conto capitale.
Imposta sul patrimonio netto delle imprese - D.L. 394 del 30.09.1992 convertito con legge 26.11.1992 n. 461
1. Poste del netto patrimoniale da considerare ai fini del calcolo.
- Capitale sociale, compresi i fondi di cui agli artt. 4 e 5 della legge 59/92.
- Versamenti dei soci in c/capitale o in c/aumento capi- tale.
- Riserva da sovrapprezzo azioni o quote qualora ai sensi dell’art. 9 della legge 59/92 lo statuto non ne pre- veda l’indivisibilità.
- Riserve di rivalutazione ai sensi delle leggi n. 408/90 e 413/91 e ai sensi delle leggi 576/75 e 72/83, quest’ulti- me se non qualificate indivisibili ex. art. 12 legge 904/77.
- Fondi costituiti per rischi ed impegni.
- Perdite pregresse e dell’esercizio ( da computare in detrazione).
Valore contabile o se minore, il valore della corrispon- dente frazione di capitale netto delle azioni o quote di partecipazione in società o enti consortili se possedute da almeno tre mesi alla fine dell’esercizio.
2. Poste al netto patrimoniale da non considerare ai fini del calcolo.
ESERCIZIO
RISULTATO
RISULTATO
ILOR
- Riserve indivisibili art. 12/904 (legale, statutaria, straordinaria).
CIVILISTICO | FISCALE | ||
1993 | 500 | 900 | == |
1994 | == | 100 | 12,15 |
- Riserve di contributi in c/capitale, post 30.12.1993.
- Riserve ex art. 55 D.P.R. 597/73 e art. 55 del T.U.I.R. ante 30.12.93.
1995 | == | 100 | 12,15 | - Utile d’esercizio. |
1996 | == | 100 | 12,15 | Relativamente alle “Riserve di condono di cui all’art. 15 |
1997 | == | 100 | 12,15 | della legge 516/82 e all’art. 33 della L. 413/91”, si ritie- |
ne che le stesse possano essere comprese fra le riserve |
Una liberalità di 1.000, necessaria per raggiungere il pareggio del conto economico, comporta un costo fisca- le del 5% c.a.
Problematiche per l’applicazione del contributo del 3%
L’imputazione del contributo direttamente a patrimonio non comporta l’applicazione del 3%, in quanto la dedu- cibilità per quote è atto di sola rilevanza della dichiara- zione fiscale, mentre non influenza il risultato d’esercizio. L’utilizzo della disposizione dell’art. 12 legge 904/77 comporta invece l’assogettabilità dei contributi al 3%, in quanto il Ministero del Lavoro ha specificatamente dichiarato (circolare n. 83 del 10 Agosto 1993) che tutti gli accantonamenti ex art. 12 legge 904/77 anche effet-
indivisibili per il disposto dell’art. 12 della L. 904/77.
N.B.
- L’imposta patrimoniale per l’anno 1993, a differenza di quanto è avvenuto nel 1992, non è imputabile alle riserve preesistenti;
- la inclusione nella base imponibile della imposta patri- moniale delle riserve di rivalutazione di cui alle leggi 408/90 e 413/91 derivano dalla risoluzione del Ministero delle Finanze ottenuta dalla Confcooperative
n. 9/388 del 10.4.1991 - div. 9 - con la quale a scanso di ogni equivoco il Ministero ha affermato che le predette riserve sono in ogni caso soggette ad imposta sostitutiva e, quindi, anche in presenza di regimi di esenzione IRPEG-ILOR.