ACCORDI PREMATRIMONIALI, CONTRATTI DI CONVIVENZA E DIRITTI DELLE PARTI. L’ORDINAMENTO ITALIANO E GLI ORDINAMENTI STRANIERI A CONFRONTO: CERTEZZE E DUBBI.
ACCORDI PREMATRIMONIALI, CONTRATTI DI CONVIVENZA E DIRITTI DELLE PARTI. L’ORDINAMENTO ITALIANO E GLI ORDINAMENTI STRANIERI A CONFRONTO: CERTEZZE E DUBBI.
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SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. I prenuptial agreements in alcuni ordinamenti stranieri. – 3. I contratti di convivenza nelle esperienze europee e nordamericane. – 4. La posizione italiana. Le tesi di giurisprudenza e dottrina prima della legge n. 76/2016 (c.d. legge Cirinnà). – 4.1. La legge Cirinnà e la regolamentazione dei contratti di convivenza e le recenti aperture della giurisprudenza rispetto agli accordi prematrimoniali.
1. Gli accordi prematrimoniali e i contratti di convivenza, entrambi non contemplati dall’ordinamento italiano fino all’entrata in vigore della legge n. 76/2016 che vi ha introdot- to i secondi, rappresentano una realtà consolidata, anche se di origine piuttosto recente, ti- pica di vari ordinamenti stranieri, in particolare, ma non solo, di quelli appartenenti alla fa- miglia di common-law. Con i termini “prenuptial agreements” e “cohabitation contracts”, che in inglese designano gli istituti in questione, si indicano quei patti stipulati da coppie prima del matrimonio e destinati a regolare vari aspetti, patrimoniali e non, dello stesso, nonché dell’eventuale crisi coniugale, (prenuptial agreements), oppure rivolti a disciplinare, sotto diversi profili, una convivenza more uxorio non ancora intrapresa o già in corso (cohabitation contracts). All’origine della differenza tra gli ordinamenti che da tempo prevedono entrambi tali istituti ed un sistema, come quello italiano, che li ha a lungo mantenuti estranei e soltanto recentemente ha accolto al suo interno i soli contratti di convivenza, vi è sicuramente la di- versa ampiezza riconosciuta alla sfera dell’autonomia privata nei rispettivi contesti giuridici. È noto infatti che in ordinamenti quale quello degli Stati Uniti, che è stato tra i primi, negli anni ’70 a riconoscere valore giuridico ai prenuptial agreements, vige un’impostazione molto li- berale dei rapporti di diritto privato, secondo cui anche quelli di natura familiare sono con- trattualizzabili1; in Italia prevale invece una concezione pubblicistica del matrimonio e dei
procedimenti di separazione e divorzio che è di ostacolo all’ammissibilità di tali istituti.
Anche nel nostro Paese tuttavia si registra, come meglio si vedrà nel prosieguo del presente lavoro, una evoluzione a livello soprattutto culturale e dottrinale, tendente a supe- rare gli argomenti fino ad ora addotti dalla giurisprudenza a sostegno della tesi dell’invalidità per l’ordinamento italiano di tali accordi2. Al di là delle divergenze rilevabili negli ordinamenti di tradizione diversa, si può cogliere comunque una tendenza comune a
1 X. XXXXXX, Gli accordi prenuziali negli ordinamenti di common law, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx.xxxx, 2006,
p. 3.
2 Fra gli altri cfr. X. XXXXXX, I contratti della crisi coniugale, Milano, 1999; ID. Sulla natura disponibile degli assegni di separazione e divorzio, in Fam. e dir., n. 5/2003, p. 496 ss. Dopo l’entrata in vigore della legge n.76/2016, la pre- clusione potrebbe scomparire anche per i prenuptial agreements laddove dovesse essere varato il disegno di legge con delega al Governo approvato nella seduta del 27 e 28 febbraio.
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concepire il diritto il diritto di famiglia come diritto “misto”3, in cui l’autodeterminazione delle parti coesiste con esigenze pubblicistiche di tutela di particolari valori, quali la solida- rietà coniugale e l’intangibilità degli interessi della prole. In un simile quadro di riferimento, i prenuptial agreements e i cohabitation contracts, lungi dal sostituirsi integralmente alla legge, con- sentono una maggiore flessibilità nella regolazione dei rapporti di diritto di famiglia.
2. Per comprendere meglio la natura di tali accordi e la portata delle questioni legate alla loro applicazione occorre esaminare innanzitutto quegli ordinamenti che già li preve- dono, prendendo in considerazione separatamente contratti di convivenza e accordi prema- trimoniali e partendo da questi ultimi.
Negli Stati Uniti, che sono, come detto, da considerarsi il paese pioniere nel ricono- scimento della rilevanza giuridica dei prenuptial agreements, attualmente la disciplina di tali ac- cordi è diversa nei vari Stati della Federazione, mancando una specifica legislazione a livello federale. In realtà negli ultimi decenni sono stati portati avanti progetti di uniformazione della disciplina della materia, che si sono concretizzati nello “Uniform Premarital Agreement Act” (UPAA) del 1983 e nel “Principles of the Law of Family Dissolution” redatto dall’American Law Institute nel 2002. Questi due documenti racchiudono principi e regole destinati ad ac- comunare le legislazioni dei vari Stati della Federazione, ma quest’obiettivo è oggi solo in parte raggiunto visto che solo in 27 hanno adottato l’UPAA.
Volendo individuare il cuore delle regole contenute nell’UPAA4, si può affermare che esso consiste nel concetto di “unconscionability”5 che è il fulcro attorno al quale ruota la di- sciplina dei prenuptial agreements. Il termine “unconscionability” ed il relativo aggettivo “uncon- scionable” corrispondono in buona sostanza al concetto di iniquità, che nel sistema dell’ UPAA, costituisce il principale limite all’efficacia degli accordi prematrimoniali. Secondo l’UPAA, che su questo punto riproduce un principio già previsto nella maggior parte delle legislazioni degli stati membri, un “prenuptial agreement” non è “forceable”, cioè applicabile coercitivamente, quando determini una situazione di iniquità, da valutarsi sia con riferimen- to al momento della stipulazione dell’accordo che a quello della sua esecuzione6. Non si può dunque sostenere che negli Stati Uniti, che pure sono Paese notoriamente liberista, in materia di rapporti familiari viga un affidamento incondizionato all’autonomia delle parti, la quale risulta invece sottoposta ad un controllo formale e sostanziale da parte dell’autorità giudiziaria. Se la funzione del prenuptial agreement consiste nel consentire alla coppia che in- tende sposarsi di derogare al regime legale degli effetti soprattutto patrimoniali che scaturi- scono dal matrimonio o dall’ ipotetica separazione e divorzio, tale deroga non può spin- gersi fino al punto da determinare soluzioni inique, in considerazione soprattutto delle esi-
3 X. XXXX, Famiglia di fatto e cohabitation contracts, in X. Xxxxxxxx e al., Sistemi giuridici comparati: ipotesi applicative,
Salerno, 1997, p. 269.
4 Secondo la Section 1 dell’Uniform Premarital Agreement Act, “premarital agreement means an agreement between prospective spouses made in contemplation of marriage and to be effective upon marriage”. Section 1, Uniform Premarital Agreement Act in xxxx://xxx.xxx.xxxxx.xxx/xxx/xxxxxxxx/xxx/xxxxx00/0000x/xxxx00.xxx.
5 J.H. XXXXXXXX, Unconscionability: the heart of Uniform Premarital Agreement Act, in xxx.xxxxxxxxx.xxx/XX/Xxxxxxxx/Xxxxxxxx0.xxx.
6 X. XX XXXXXXX, I prenuptial agreements negli stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, in Fam. dir., 2005, n. 5, p. 552.
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genze di tutela del coniuge “debole”. La specificazione del concetto di unconscionability, è contenuta nelle successive disposizioni dell’UPAA, nonché nelle sentenze riguardanti la numerosa casistica giurisprudenziale. In base alla section 6 dell’UPAA, una delle parti può astenersi dall’adempiere l’accordo se dimostra, alternativamente, di non aver fino a quel momento dato esecuzione allo stesso, o che lo stesso risulta iniquo al momento dell’esecuzione. Questa ultima previsione intende tutelare la parte debole del rapporto da eventuali modificazioni sfavorevoli della sua situazione economica intervenute dopo la sti- pulazione. Bisogna sottolineare la tendenza da parte delle corti americane ad interpretare questa clausola in senso restrittivo, forse anche per arginare gli effetti, in termini di affida- mento sulla volontà delle parti, di un troppo frequente ricorso ad essa. Il compito che spet- ta ai tribunali è in particolare quello di contemperare il principio del rispetto della volontà delle parti con esigenze sociali di tutela della parte svantaggiata: secondo un’opinione diffu- sa in dottrina il giudice dovrebbe limitarsi a dichiarare l’unconscionability solo in casi di palese iniquità, perché altrimenti si darebbe corso ad una concezione paternalistica del diritto, che è da ritenersi superata7.
L’UPAA pone inoltre a carico delle parti di un prenuptial agreement un obbligo di “ fair e reasonable disclosure”8, cioè una dichiarazione fedele circa i beni materiali e finanziari di pro- prietà, che se disatteso, può determinare nella parte sfavorita, il diritto di chiedere che l’accordo venga dichiarato “unenforceable”, previa dimostrazione dell’altrui omissione. Il qua- dro sin qui delineato del contenuto dell’UPAA vale in generale, ma è necessario puntualiz- zare che la disciplina dei singoli Stati che l’hanno adottato non è affatto uniforme, variando sensibilmente da Stato a Stato il livello di iniquità capace di invalidare un premarital agreement nonché lo standard di financial disclosure richiesto. A proposito di quest’ultimo si deve sotto- lineare come in alcuni Stati, quali il Texas, non è affatto richiesta come requisito di validità di un prenuptial agreement una previa financial disclosure, che tuttavia rappresenta una condizio- ne richiesta nella quasi totalità degli Stati che hanno adottato l’UPAA . Quest’ultimo espressamente prevede la facoltà per le parti di rinunciare alla disclosure e ammette che anche in assenza di disclosure, fair e reasonable, il premarital agreement possa essere efficace, qualora l’altra parte conoscesse la reale situazione di quella autrice di dichiarazione non veritiera, o avesse una ragionevole possibilità di conoscerla9.
Questa clausola è stata interpretata il più delle volte in maniera restrittiva, ricono- scendosi efficacia al premarital agreement solo quando il coniuge avesse effettiva conoscenza della situazione patrimoniale reale dell’altro.
In alcuni Stati poi l’unconscionability di un prenuptial agreement è determinata dalla dispari- tà di potere di negoziazione che abbia spinto la parte con minore potere a concludere l’accordo contro la propria volontà o senza la conoscenza esatta dei suoi termini.
Alcuni Tribunali hanno poi cercato di estendere ai prenuptial agreements il principio di buona fede, ma una sentenza della Corte d’Appello dell’Indiana10 ha recentemente confuta- to la sentenza di primo grado che riconosceva ad una moglie il diritto agli utili dell’attività
7 X. XX XXXXXXX, I prenuptial agreements…., in Fam. dir., 2005, n.5, cit., p. 553.
8 In Fick vs Fick, la Corte Suprema del Nevada ha invalidato un prenuptial agreement perché non c’era stata piena
disclosure prima della firma, cfr. Fick vs Xxxx, 109 Nev., 458,851P.2.d445 (1993).
9 J.H. XXXXXXXX, Unconscionability: the heart …, cit., in xxx.xxxxxxxxx.xxx/XX/Xxxxxxxx/Xxxxxxxx0.xxx, p. 2.
10 Pardieck v Pardieck, 676, N.E. 2d 160 (Ind.1996).
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del marito che aveva agito sia prima che durante il matrimonio contrariamente a buona fe- de, sostenendo che in nessuna legge dello Stato era previsto in ogni contratto vigesse dove- re di buona fede e “reasonableness”11. Un ulteriore motivo di unconscionability, secondo l’UPAA si verifica quando l’accordo prenuziale prevede l’esclusione dell’obbligo di mantenimento e delle prestazioni alimentari ed una delle parti si ritrovi poi in stato di bisogno o di insuffi- cienza di mezzi. Tale disposizione è esplicitamente rivolta ad evitare che la parte debole del rapporto ricorra all’assistenza statale, quando possa concretamente ricevere sostegno dal coniuge. In ipotesi del genere l’UPAA prevede che il giudice possa imporre, nonostante i termini dell’accordo, ad un coniuge di provvedere al sostentamento dell’altro. Del resto le preoccupazioni legate all’esigenza di alleggerimento degli oneri finanziari dello Stato corri- spondono a motivazioni di carattere etico: anche l’ordinamento americano sembra acco- gliere, il principio per cui il dovere di solidarietà reciproca che lega i coniugi permane anche dopo lo scioglimento dell’unione, indipendentemente dalle pattuizioni stipulate dagli stes- si12. A questo riguardo bisogna poi evidenziare che il passaggio al “no fault divorce” da un lato ha escluso l’incidenza sulla regolamentazione degli effetti del divorzio di valutazioni sulle cause dello stesso, dall’altro, dando rilievo al semplice consenso dei coniugi, ha esteso l’area della contrattualizzazione, favorendo la diffusione dei prenuptial agreements.
Per avere un quadro più preciso della funzione concretamente svolta dai prenuptial agreements negli Stati Uniti bisogna operare una distinzione, in base ai due diversi regimi pa- trimoniali previsti nei vari Stati:alcuni si basano sul regime della community of property13, se- condo il quale i beni non personali sono attribuiti in comunione ad entrambi i coniugi e sono divisi in parti uguali al momento del divorzio; altri seguono invece il modello della equitable distribution, in base al quale non vi sono beni da attribuire in comunione e al mo- mento dello scioglimento del matrimonio il giudice può assegnare i beni in base ad un crite- rio di equità indipendentemente dall’intestazione formale degli stessi. Com’è facile notare negli Stati che fanno riferimento al primo regime patrimoniale, nel giudizio di divorzio il giudice è vincolato alle disposizioni di legge, mentre negli Stati che adottano il secondo modello la discrezionalità del giudice è certamente molto più ampia.
A seconda che si considerino nel contesto dei common property states o degli equitable di- stribution states, i prenuptial agreements assumono ruoli diversi che consistono, nel primo caso, nel consentire ai nubendi di svincolarsi dal regime legale predefinito, nel secondo di sottrar- si alla discrezionalità del giudice14. Questa distinzione è valida in generale, ma bisogna tene- re conto del fatto che in alcuni Stati che adottano l’equitable distribution, non tutti i beni dei coniugi sono ad essa soggetti: la cosiddetta separate property, che comprende i beni personali, è infatti sottratta ad essa, mentre a ricadervi è la cosiddetta marital property. A questi requisiti di carattere sostanziale, cui è subordinata la validità del prenuptial agreement, si aggiungono poi quelli riguardanti la formazione del consenso: oltre alla violazione dell’ obbligo di fair e reasonable disclosure il sistema americano prevede quale causa di nullità dell’agreement il ricorso all’inganno e alla violenza nella stipulazione dello stesso, nonché la mancata possibilità di consultare un legale prima della prestazione del consenso. È previsto infine, nella maggio-
11 J.H. XXXXXXXX, Unconscionability: the heart ..., cit. in xxx.xxxxxxxxx.xxx/XX/Xxxxxxxx/Xxxxxxxx0.xxx, p. 2. 12 J.H. XXXXXXXX, Unconscionability: the heart…, cit., in xxx.xxxxxxxxx.xxx/XX/Xxxxxxxx/Xxxxxxxx0.xxx, p.3. 13 X. XX XXXXXXX, I prenuptial agreements……., cit., in Fam. dir., 2005, n. 5, p. 548.
14 X. XX XXXXXXX, I prenuptial agreements……. ,cit., in Fam. dir., 2005, n. 5, p. 549.
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ranza degli Stati americani che l’accordo venga stipulato entro il termine massimo di una settimana prima del matrimonio.
Una situazione radicalmente diversa in tema di prenuptial agreements si riscontra nell’ordinamento inglese, il quale nega valore vincolante a tale tipo di accordi. È bene sotto- lineare come in materia di diritto di famiglia, l’ordinamento inglese mantenga un atteggia- mento statalista, secondo il quale alla giurisdizione nazionale spetta la competenza esclusiva a decidere in merito alle questioni di maggiore rilievo, incluse quelle attinenti ai rapporti pa- trimoniali tra coniugi.
La resistenza dell’ordinamento inglese rispetto al dispiegamento dell’efficacia delle in- tese in vista del divorzio si spiega anche con l’assenza in esso di regole sull’attribuzione del- la proprietà in costanza di matrimonio analoghe a quelle che in altri paesi prescrivono il re- gime della comunione dei beni, con la conseguenza che al matrimonio si applicano le co- muni regole sulla proprietà dei beni, che prevedono la titolarità esclusiva dell’intestatario15.
All’assenza di norme che prestabiliscano il regime della comunione, si aggiungono i vasti poteri attribuiti al giudice in sede di definizione dei rapporti patrimoniali tra coniugi sia in caso di nullità del matrimonio che in caso di divorzio, nonché in caso di rottura di una “civil partnership”16. Solo per fare qualche esempio, in virtù dei poteri riconosciutigli, il giudice inglese può disporre di trasferire la proprietà di determinati beni da un coniuge ad un altro o imporre la vendita di altri ed indicare a quale dei due coniugi debba andare il ri- cavato: nell’esercitare i propri poteri il giudice deve solo tenere conto di alcune circostanze come l’interesse del minore o la condizione economica e le abitudini di vita di entrambi i coniugi, nonché il tenore di vita goduto prima della rottura del matrimonio.
In un contesto come quello descritto, in cui un ruolo predominante è attribuito al giudice, che è a sua volta vincolato a principi cogenti posti a tutela di interessi considerati di rilevanza generale, poco spazio possono trovare le intese in vista di un’eventuale separazio- ne o divorzio. In effetti la casistica giurisprudenziale inglese, a partire dal dopoguerra, con- ferma il dato, deducibile a livello legislativo, che in linea generale per il sistema d’oltre Ma- nica, i prenuptial agreements, così come i cohabitation contracts, sono privi di efficacia. Il primo caso avente ad oggetto l’applicazione di un prenuptial agreement fu esaminato dalla House of Lords nel 1929 (Xxxxx vs Xxxxx)17; in quell’occasione la suprema Corte inglese stabilì che un accordo stipulato prima delle nozze non potesse impedire al coniuge avente diritto di chiedere, durante il giudizio di divorzio, l’attribuzione di un assegno di mantenimento, sulla base del rilievo che l’imposizione al marito dell’obbligo di mantenere la moglie era rivolto a tutelare non solo costei ma anche i terzi che entrassero in contatto con lei. Sempre con la stessa sentenza si affermava poi la contrarietà all’ordine pubblico (public policy) dell’esclusione della giurisdizione statale che l’applicazione dell’ accordo avrebbe comporta- to18. Altri esempi di questo indirizzo si possono ritrovare nella giurisprudenza inglese che quasi sistematicamente ha ignorato in sede di separazione e divorzio quanto pattuito dai
15 N.V. XXXX, Prenuptial agreements: the English position, in InDret, vol. 1, 2008, p. 1.
16 L’atto che prevede l’attribuzione di ampi poteri decisori in capo ai giudici in materia di separazione, divor- zio e annullamento del matrimonio è il Matrimonial Causes Act, varato dal Parlamento nel 1973.
17 Xxxxx x Xxxxx (1929) AC 601.
18 N.V. XXXX, Prenuptial agreement,…….., cit., in InDret, vol. 1, 2008, pp. 5-6.
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coniugi prima della celebrazione del matrimonio. In Xxxxxx x Xxxxxx,19 ad esempio, la House of Lords ha riconosciuto alla moglie un assegno assai superiore a quanto era stato preventi- vamente concordato col marito (7.5 milioni di sterline contro 275.000). Forse in questo ca- so sulla decisione dei giudici ha influito anche il fatto che la sottoscrizione dell’accordo era stata “imposta” alla moglie come unica condizione per convolare a nozze, che a sua volta era per la predetta l’unica condizione per tenere il bambino concepito con l’allora partner.
A partire da Xxxxx vs Xxxxx la giurisprudenza ha inglese ha sempre negato valore vincolante ai prenuptial agreements eccetto che in un caso, Xxxx vs Xxxx00 che non mancò di esercitare una certa influenza quantomeno a livello politico e dottrinale. In Xxxx vs Xxxx per la prima volta un tribunale inglese ha dato corso ad un accordo prematrimoniale relativa- mente alla questione della scelta della giurisdizione competente: le parti in causa avevano doppia cittadinanza, inglese ed israeliana, ed avevano convenuto che in caso di divorzio a doversi esprimere sarebbe stato il giudice israeliano. Dopo che la moglie aveva adito il Tri- bunale di Londra, il marito eccepì l’esistenza della predetta clausola del prenuptial agreement e chiedeva, ottenendo ragione, che il giudizio fosse devoluto alla competenza esclusiva del giudice israeliano21. Il caso Xxxx vs Xxxx si segnala dunque per essere il primo che vede il ri- conoscimento del valore per il sistema inglese di un prenuptial agreement, ma anche perché questo riconoscimento è operato indipendentemente dalla circostanza che una delle parti non avesse avuto la possibilità di consultare un legale, che in altri ordinamenti di common law costituisce invece un requisito di validità dell’agreement.
Dopo aver esaminato, seppur sommariamente, la configurazione dell’istituto in due dei principali ordinamenti di common law, è bene spostare l’attenzione sul versante degli or- dinamenti di civil law, in particolare quelli di Germania e Francia.
In Germania il principio della libertà contrattuale sancito dal BGB trova applicazione anche alla materia dei rapporti tra coniugi sia nel corso del matrimonio che successivamen- te ad un divorzio. È così consentito ai nubendi di determinare preventivamente qualsiasi aspetto patrimoniale di un futuro divorzio. La libertà dei soggetti che intendono unirsi in matrimonio può spingersi anche fino ad escludere del tutto la corresponsione di un assegno di divorzio.
In determinati casi tuttavia la giurisprudenza tedesca, secondo un indirizzo ormai consolidato, ha dichiarato la nullità degli accordi contratti sfruttando l’inesperienza o la la- bilità psichica altrui e degli accordi in cui la rinunzia al mantenimento è oggetto di uno scambio con l’affidamento dei figli. Si segnala, in senso opposto all’orientamento generale, una sentenza del BGH (19 dicembre 1989)22 con la quale è stata dichiarata la nullità di un accordo che prevedeva la rinunzia da parte della moglie all’assegno di divorzio, sulla base del rilievo che l’intesa era stata raggiunta in circostanze eccezionali.
In Francia, in tema di efficacia degli accordi prematrimoniali si registra una sostanzia- le dicotomia tra dottrina e giurisprudenza, la prima incline a riconoscere la validità di tali accordi, la seconda a negarla, sulla base dell’assenza di norme apposite nella legislazione d’oltralpe. In varie sentenze la Court de Cassation ha in particolare sancito la nullità delle
19 Xxxxxx x Xxxxxx (2006) UKHL 26.
20 Ella v Xxxx (2007) EWCA Civ 99, (2007) 2 FLR 35
21 N.V. XXXX, Prenuptial agreements……, cit., in InDret, vol. 1, 2008, p.7.
22 D.G. XXXXXXXX, Gli accordi prematrimoniali, Napoli, 2005, pp. 220-222.
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xxxxxxxx contemplanti una “prestation compensatoire”, giungendo ad identica conclusione an- che per le intese sulla liquidazione e lo scioglimento della comunione, che sono proibite finché la comunione non sia dissolta, cioè dopo il divorzio23. Bisogna tuttavia tenere conto del fatto che il codice civile dà ampio spazio all’autonomia privata nell’ambito delle con- venzioni matrimoniali, stipulate cioè durante il matrimonio. Attraverso tali convenzioni è consentito, in caso di scioglimento del matrimonio per morte o per divorzio di derogare al principio di divisione paritaria dei beni, ma non è permessa l’attribuzione dell’intera massa in caso di divorzio.
3. Per quanto concerne i contratti di convivenza, al fine di chiarire il relativo concet- to, bisogna operare una distinzione preliminare: per “contratto di convivenza” si intende, in un’accezione generale, qualsiasi accordo contrattuale diretto a regolare un rapporto di con- vivenza, sia esso fondato sul matrimonio o no, sia che essa riguardi persone eterosessuali che dello stesso sesso. In questo lavoro si accoglierà però una nozione più ristretta riferita soltanto alle convivenze, eterosessuali o omosessuali non basate sul matrimonio. Nella ge- neralità degli ordinamenti mondiali il matrimonio è disciplinato già da regole predefinite, che includono la tutela della parte debole del rapporto, mentre il discorso è diverso per quanto concerne la convivenza more uxorio: quest’ultima essendo tendenzialmente priva di una disciplina generale si presta maggiormente ad essere regolata mediante atti negoziali delle parti. Si può forse affermare che proprio nei cohabitation contracts l’autonomia dei privati trova una delle massime esplicazioni. Si deve tuttavia precisare che nonostante discipline generali della convivenza more uxorio non siano del tutto assenti dagli ordinamenti stranieri (si veda il caso degli USA), i contratti tra le parti rappresentano lo strumento tipico di rego- lazione di tale fenomeno. L’affermarsi nella pratica della stipulazione di cohabitation contracts mira proprio a colmare un vacuum juris che si riscontra in tema di regolamentazione delle famiglie di fatto24.
Tale vuoto deriva dalla riconduzione esclusiva della disciplina della convivenza all’autonomia delle parti, che implica il riconoscimento di una diversità sostanziale della fa- miglia di fatto rispetto a quella legittima. Riconduzione all’autonomia delle parti non signifi- ca tra l’altro attribuire automaticamente a questa valore giuridico. Secondo molti infatti la convivenza crea vincoli solo sul piano della morale sociale, secondo il modello dei gentle- men’s agreements25 che non hanno effetti giuridici26 e non sono azionabili in giudizio. Contro questa concezione si afferma una tendenza, soprattutto nella giurisprudenza dei paesi di common law, a giuridicizzare la convivenza, cioè ad equipararla quanto ad effetti al matrimo- nio. Ciò da un lato incoraggia l’utilizzo dei cohabitation contracts poiché ne comporta la vinco- latività sul piano giuridico, dall’altro ne subordina l’efficacia al controllo dell’autorità giudi- ziaria. In alcuni ordinamenti come quello della Provincia canadese del Québec, è consenti- to a persone che formano un’unione di fatto regolarne i più vari aspetti, dalla distribuzione
23 D.G. XXXXXXXX, “Gli accordi….”, cit., Napoli, 2005, pp. 223-226.
24 X. XXXX, Famiglia di fatto……, cit., Salerno, 1997, p. 263.
25 X. XXXX, Famiglia di fatto……, cit., Salerno, 1997, p. 250.
26 Come noto, l’unico effetto giuridico collegato alle obbligazioni naturali, che costituiscono l’oggetto dei gent- leman’s agreements, è rappresentato dall’irripetibilità di quanto prestato in forza dell’accordo.
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dei beni di proprietà alla scelta della residenza familiare.27 In particolare le leggi del Québec permettono ai conviventi di fissare il contributo alle spese domestiche che ciascuno è tenu- to a dare ed anche a quali aspetti vada destinato. Inoltre i conviventi possono includere nel cohabitation contract la promessa di donazioni, che se non mantenute generano nel destinata- rio della stessa il diritto ad ottenere un risarcimento danni. È altresì previsto che il contrat- to non possa essere risolto unilateralmente e che in ogni momento, di comune accordo, i conviventi possano modificarne i termini al mutare delle circostanze o al verificarsi di even- ti imprevisti. È bene sottolineare che il Québec, al pari di altri ordinamenti di common-law, oltre a prevedere il matrimonio e a consentire alle parti di regolare la propri convivenza, contempla un terzo tipo di unione, la “civil union”, che comporta minori vincoli del matri- monio, ma anche una minore negoziabilità rispetto alla convivenza more uxorio.
Una situazione peculiare si registra poi in Francia, dove l’entrata in vigore della legge
n. 1944 del 1999 ha introdotto i P.a.c.s. (pacte civil de solidaritè), che possono essere definiti come contratti di convivenza tipizzati. La legge istitutiva dei Pacs espressamente stabilisce alcuni diritti e doveri di una coppia convivente che ricorra ad esso. Il pacs è in sostanza un contratto che prevede obblighi reciproci, ma anche una forma di unione alternativa al ma- trimonio28, cui possono accedere anche coppie omosessuali. In realtà l’omologo francese della nostra Corte Costituzionale, il Conseil constitutionel, ha affermato che il pacs costituisce esclusivamente un contratto la cui conclusione non modifica lo stato civile delle parti, per cui è da negare una sua assimilazione al matrimonio. Concludendo un pacs la coppia si im- pegna a condurre vita in comune e a darsi sostegno reciproco e materiale. L’obbligo di vi- vere in comune comporta tra l’altro la fissazione di una residenza comune, mentre il soste- gno reciproco e materiale va inteso in senso esclusivamente materiale, non gravando sui conviventi alcun vincolo di fedeltà, soccorso o assistenza. Una norma della disciplina di pacs che vale la pena di sottolineare è quella che stabilisce che i contraenti sono responsabili in solido per le obbligazioni assunte da ciascuna per far fronte alle necessità giornaliere o alle spese per l’abitazione in comune.
Per essere efficace il pacs deve essere registrato presso la cancelleria del tribunale del luogo di residenza della coppia. La previsione di tale registrazione è stata dichiarata con- forme alla Costituzione francese dal Conseil constitutionel, che ha sottolineato come essa as- solva da un lato alla funzione di garantire il rispetto delle norme di ordine pubblico, dall’altro di rendere il patto opponibile ai terzi29.
Per quanto concerne il regime dei beni è prevista una disciplina diversa per i beni mobili e per gli immobili: mentre per i primi i partenaires possono svincolarsi dal regime le- gale della comunione pro indiviso, i secondi soggiacciono a comunione con l’attribuzione in parti uguali ai conviventi. A differenza di quanto avviene nel Quebec, lo scioglimento del pacs può avvenire anche su richiesta al Tribunal d’instance da parte di uno solo dei conviventi. In caso di scioglimento del pacs le parti devono accordarsi sulla liquidazione dei diritti e de- gli obblighi che derivano dallo stesso: se manca tale accordo a decidere è il giudice. Inoltre in Francia esiste oltre al matrimonio ed al pacs una terza figura, quella del concubinage, che
00 X. XXX, Xx facto union in Quebec, in xxxx://xxxxxxx.xx.xx/xxx/xx/xxx-xxx/xxx-xxx/xxx-xxx.xxx, p. 2.
28 X. XXXXXXX, Il patto civile di solidarietà e la situazione italiana, 2002, in
xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxx/xxxxxxx.xxxx, p. 1.
29 X. XXXXXXX, Il patto civile di solidarietà…, cit., 2002, in xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxx/xxxxxxx.xxxx, p. 1-3.
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consiste in una convivenza di mero fatto alla quale non sono collegati particolari doveri, ma da cui deriva la possibilità di regolare pattiziamente i reciproci rapporti patrimoniali per le parti.
In Germania solo recentemente si è ammessa la validità dei contratti di convivenza (Partnershaftvertrage) che per lungo tempo sono stati ritenuti contrari al buon costume. Sono oggi vietate le sole clausole riguardanti aspetti particolarmente sensibili come il credo reli- gioso e politico, l’obbligo di fedeltà e la filiazione. Oggetto tipico dei contratti di conviven- za sono solitamente previsioni riguardanti la corresponsione di un assegno in caso di cessa- zione della convivenza e dell’elargizione di una buona uscita per la donna in caso di fine del rapporto.
La legislazione belga riconosce ampia libertà alle parti nella determinazione del con- tenuto patrimoniale dell’accordo, con l’unico limite rappresentato dall’obbligo di contribui- re al ménage e dalla previsione della responsabilità solidale per le obbligazioni contratte.
Nell’esperienza statunitense i cohabitation contracts sono stati progressivamente rico- nosciuti efficaci, fino al punto di indurre molti stati della Federazione ad adottare leggi che sostanzialmente equiparano la convivenza al matrimonio30. Come noto, il processo di af- fermazione dei cohabitation contracts quali strumenti per conferire giuridicità ad una unione di fatto, iniziò quando nel 1978 la corte Suprema della California decise il caso Marvin31: in quell’occasione fu riconosciuta alla convivente, Xxxxxxxx Xxxxxx il diritto, in base ad un contratto verbale, di ottenere una quota dei beni del partner. Nonostante l’esito della con- troversia, in seguito a ricorso dinanzi alla Court of Appeal of California sia stato sfavorevole alla richiedente, il caso Xxxxxx ha segnato l’inizio di un nuovo corso nel diritto di famiglia americano, basato su un ampliamento graduale delle possibilità di tutela dei soggetti convi- venti. Così nel 2002 l’ American Law Institute ha redatto il famoso “Principles of the law of family dissolution” in cui si prevede che da una domestic partnership, al pari che da un matrimonio de- rivano diritti patrimoniali e obbligazioni di sostegno materiale in via presuntiva, ameno che non vi sia un contratto fra le parti che regoli diversamente la partnership.
Dal caso Xxxxxx in poi molti stati americani hanno introdotto l’istituto della dome- stic partnership, che conferisce valenza giuridica alle unioni di fatto. Nella maggior parte delle legislazioni che la prevedono, la registered o domestic partnership conferisce determinati benefici economici solitamente legati al matrimonio, come la health insurance. Inizialmente destinata agli impiegati dell’amministrazione locale, la registered partnership è stata successivamente estesa a tutte le coppie, anche omosessuali, non sposate. Ad oggi almeno 12 giurisdizioni statali (California, Colorado, Connecticut, District of Columbia, Hawaii, Maine, Maryland, New Jersey, Nevada, Oregon, Winsconsin, Washington e Vermont)32 ed alcune giurisdizio- ni cittadine (New York City e San Xxxxxxxxx) hanno introdotto una disciplina della registered partnership. Se in alcuni stati, come Vermont e Hawaii l’introduzione per via legislativa della registered partnership ha fatto seguito ad un orientamento giurisprudenziale sulla giuridicità delle unioni di fatto, in California essa è stata il frutto di un’autonoma iniziativa del legisla- tore. Ai partners vengono tra gli altri riconosciuti il diritto di utilizzare la procedura adottiva riservata allo stepparent, quello di ottenere un risarcimento per il danno subito in caso di
30 S.N. XXXX, New directions for family law in the United states in InDret, vol. 2, 2007, p. 3.
31 Xxxxxx x Xxxxxx, 557 p. 2d 106 (Cal. 1976).
32 S.N. XXXX, New directions for family law……., cit., in InDret, vol. 2, 2007, p. 13.
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morte provocata del convivente e quello di chiedere i benefici previsti dalla legge per i disa- bili mentali in caso di infermità di uno dei due33. La registered partnership rappresenta dunque un modello di tutela legale della convivenza more uxorio, che se deriva dal riconoscimento dell’efficacia dei cohabitation contracts si pone come un’alternativa a questi ultimi. L’aver fissa- to per legge diritti e obblighi derivanti dalla convivenza ha infatti inteso limitare il ricorso allo strumento dei cohabitation contracts ed evitare un’eccessiva discrezionalità delle parti nella regolamentazione delle convivenza.
Un ultimo aspetto da mettere in evidenza riguarda le unioni omosessuali. Se è pa- cifica l’estensione del regime della registered partnership alle coppie di individui dello stesso sesso, innovativa appare una decisione della Corte Suprema del Massachussets34 che ha di- chiarato la contrarietà alla Costituzione dello Stato della legge che proibiva i matrimoni omosessuali. Diversamente dal caso Xxxxxx, la sentenza Xxxxxxxxx non ha avuto le stesse ri- percussioni sul piano legislativo: molti Stati dopo quella sentenza hanno anzi adottato leggi che espressamente vietano i matrimoni omosessuali.
4. Come accennato all’inizio della presente trattazione, in Italia il dibattito sul valore da attribuire agli accordi delle parti in materia di diritto familiare ha per lungo tempo risen- tito di una concezione pubblicistica della famiglia e del matrimonio, che tuttavia risale alle origini del nostro sistema ed è stata in parte superata con la riforma del 1975. Con quella ri- forma si avviò un processo di privatizzazione del diritto di famiglia che vedeva l’assegnazione ai coniugi di una più ampia autonomia che in passato in merito alle varie questioni inerenti al rapporto coniugale. Accanto al regime legale della comunione dei beni fu introdotta la possibilità per i coniugi di optare per la separazione dei beni. Come sotto- lineato da parte della dottrina35 l’estensione della sfera dell’autonomia dei coniugi in tema di regime patrimoniale non va vista come un elemento di contraddizione rispetto al regime le- gale ed alla finalità perequativa da esso perseguita, ma come un mezzo per adeguare il regi- me dei beni alle esigenze dei coniugi e all’effettivo assetto economico-organizzativo della vita familiare. Con la riforma del 1975 veniva cioè superata la contrapposizione tra auto- nomia privata e tutela della parte debole che aveva fino ad allora caratterizzato la visione del diritto di famiglia in Italia. Tale risultato era però limitato alla scelta del regime patrimo- niale da adottare durante il matrimonio, mentre permaneva, come la successiva giurispru- denza avrebbe dimostrato, una netta preclusione circa la negoziabilità delle condizioni di separazione e divorzio. Con varie sentenze, a partire dalla fine degli anni ’80 la Corte di Cassazione36 ha infatti escluso la validità di qualsiasi accordo preventivo volto a determinare le conseguenze patrimoniali di un successivo eventuale divorzio, sulla base del rilievo che tali accordi determinano un commercio di status ed incidono su diritti, come quello all’assegno di divorzio, posti a tutela di interessi pubblici e quindi indisponibili.
33 S.N. XXXX, New directions, for family law …., cit., in InDret, vol. 2, 2007, p. 14.
34 Goodridge v Department of public Health, 798 N.E. 2d 941.
35 X. XXXXXX, Regime patrimoniale e autonomia dei coniugi, relazione al convegno “Bilanci e prospettive del diritto di fa- miglia a trent’anni dalla riforma”, Università di Catania, 25, 26, 27 Maggio 2006, pp. 3-4.
36 Cfr. Xxxx., sez. un., 29/11/ 1990, n.11490, in Giust. Civ, 1990, I, 2789, con nota di X. Xxxxxxxxx; Cass., 4/01/1991, n.39; Cass., 19/01/1991, n.512.
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Nella sentenza n. 3777 del 198137, in particolare, la Cassazione, ha asserito che la ragione della nullità degli accordi preventivi in vista del divorzio risiede nel fatto che essi condizionano la volontà del coniuge distogliendolo dal contestare la domanda di divorzio e influenzando così le sue scelte personali in tema di status. A questi argomenti la dottrina38 ha sollevato delle obiezioni che sono così sintetizzabili: a) per quanto attiene al commercio di status, esso si verificherebbe allorquando un coniuge si obbligasse tramite accordo a pre- sentare domanda di separazione, di divorzio o di annullamento del matrimonio, o a rinun- ziare a tali domande, e non in caso di regolazione preventiva degli effetti della crisi coniuga- le; b) per quanto riguarda il carattere indisponibile dell’assegno di divorzio, con riferimento soprattutto alla sua natura assistenziale, si è sostenuto che gli argomenti utilizzabili per l’obbligazione alimentare non sono estensibili all’assegno di divorzio, che non ha come pre- supposto uno stato di bisogno dell’avente diritto, ma è rivolto a garantire a quest’ultimo un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Con queste obiezioni la dottrina ha legittimato l’efficacia dei prenuptial agreements nell’ordinamento italiano, la quale invece è tuttora negata dalla giurisprudenza. Si deve comunque precisare che sinora la giuri- sprudenza ha avuto modo di esprimersi limitatamente alla validità di intese stipulate in sede di separazione in vista di un futuro divorzio, avendo in un unico caso39 dichiarato la validità per conformità all’ordine pubblico internazionale, di un accordo stipulato da coniugi statu- nitensi residenti in Italia, durante il matrimonio ed in vista del divorzio. Anche all’interno del panorama offerto dalla giurisprudenza, soprattutto degli ultimi anni, è comunque possi- bile intravedere qualche apertura verso l’affermazione dell’ammissibilità degli accordi pre- matrimoniali nel nostro ordinamento. Con la sentenza n. 23713 del 21 dicembre 2012, la sez. I della S.C., nel ribadire la generale nullità degli accordi stipulati prima del matrimonio in vista della eventuale futura cessazione dello stesso, ha fatto salvo l’accordo stipulato pri- ma del matrimonio con il quale la futura moglie impegnava a trasferire al futuro marito in caso di fallimento del matrimonio un determinato bene immobile, a titolo di indennizzo delle somme spese per ristrutturare l’edificio poi adibito a casa coniugale. L’argomento so- stenuto dalla S.C. a supporto della propria pronuncia risiede nella considerazione che in si- mili circostanze non si è di fronte ad un contratto in cui il fallimento del matrimonio assu- me il valore di causa del negozio, quanto piuttosto ad un contratto atipico in cui l’evento dedotto costituisce un mera ipotesi condizionale. In tale sentenza la Cassazione suggerisce quindi l’idea che gli accordi preventivi in vista della fine del matrimonio siano validi ed effi- caci qualora il contratto stesso non abbia la funzione di provvedere a regolare gli effetti complessivi della cessazione del matrimonio, ma di regolare singoli rapporti patrimoniali tra i nubendi per l’eventualità della sua verificazione. Successivamente, però, la giurisprudenza della Cassazione ha di nuovo affermato la nullità degli accordi matrimoniali per illiceità del- la causa, data l’indisponibilità dei diritti matrimoniali, senza prevedere eccezioni di sorta (Cass. n. 2224/2017). Da ultimo, si segnala inoltre la ormai nota sentenza delle SS.UU. n. 18287/18, la quale nell’affermare la natura essenzialmente assistenziale dell’assegno di di- vorzio, implicitamente pone un ulteriore ostacolo al recepimento della tesi dell’ammissibilità degli accordi prematrimoniali, in quanto limita di per sé l’autonomia dei
37 Cass., 11/06/1981, n.3777 in Foro it., 1981,I, 184; in Xxxx.xx. 1981, I, 1, 1553 con nota di X. Xxxxxxxxx.
38 X. XXXXXX, Sulla natura disponibile degli assegni ……., cit., in Fam.. e dir., n. 5/2003, p. 497 ss.
39 Cass., 3/05/1984 n. 2682, in Riv. Dir. Int. Priv., 1985, p.579.
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coniugi e la loro possibilità di disporre dei diritti e degli obblighi nascenti dal divorzio. A superare le resistenze opposte dalla giurisprudenza, potrebbe però presto provvedere il le- gislatore, in quanto il consiglio dei Ministri nella seduta del 27 e 28 febbraio 2019 ha appro- vato un disegno di legge con delega al Governo per l’introduzione all’interno del codice ci- vile degli accordi prematrimoniali per regolare i rapporti personali e patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto, nonché a stabilire i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli. Una simile iniziativa era stata già presa nella preceden- te legislatura, ma il disegno di legge non fu mai approvato prima della fine della stessa e de- cadde (proposta di legge Morani D’Xxxxxxxxxx n. 2669/2014)
La stessa giurisprudenza di legittimità, già prima dell’introduzione ufficiale dell’apposito strumento contrattuale con legge n. 76/2016 (cfr. infra), aveva invece dichiara- to validi i contratti conclusi per regolare una convivenza, poiché in nessuna norma impera- tiva, di ordine pubblico e in nessun principio di buon costume è dato ravvisare un’indicazione in senso contrario40. Tale indirizzo assume tanta più rilevanza quanto più si riflette sul fatto che, nonostante l’adozione della legge n. 76/2016, la convivenza non è esaustivamente regolata né tutelata (eccetto che per singoli aspetti)41, per cui il ricorso al contratto rappresenta per i conviventi l’unica via per dare giuridicità alla propria condizio- ne. I contratti di convivenza ammissibili nell’ordinamento italiano sono però esclusivamen- te quelli che dispongono in merito ad aspetti patrimoniali della convivenza e non quelli che disciplinano aspetti personali quali l’obbligo di fedeltà, l’assistenza morale e la coabitazio- ne42, poiché questi ultimi sarebbero privi del requisito del contenuto patrimoniale delle pre- stazioni, nonché potenzialmente contrari al buon costume. Oggetto di un contratto di con- vivenza valido possono essere invece: 1) pattuizioni sul contributo economico alla vita in comune; 2) oppure la instaurazione di un regime patrimoniale di comunione legale od ana- logo ad esso; 3) la determinazione delle conseguenze economiche della cessazione della convivenza, per rottura del rapporto o per morte del convivente. Quanto al primo aspetto, i conviventi vanno ritenuti liberi di determinare la misura dell’obbligo di contribuzione an- che in maniera diseguale, poiché alla convivenza non è applicabile l’art. 143 del codice civi- le43. Per quanto riguarda l’instaurazione di un regime sul modello della comunione legale, oggi espressamente ammessa dalla legge Cirinnà, bisogna sottolineare che in precedenza la dottrina aveva negato la possibilità, in caso di convivenza, di una riproduzione esatta del regime legale previsto per il matrimonio. In particolare non si era ritenuto possibile applica- re in caso di convivenza gli effetti esterni della comunione legale44, in ragione del carattere strettamente privato del contratto, a differenza del matrimonio, che è un istituto a rilevanza
40 Cass., 8/06/1993, n. 6381, cit.
41 La legge 54/2006 ad esempio estende l’applicazione delle norme sull’affido condiviso anche ai casi di cessa- zione di una convivenza more uxorio. La legge n. 76/2016 ha invece equiparato la condizione del convivente a quella del coniuge relativamente a determinati diritti, come quelli nascenti dall’ordinamento penitenziario o dalla norme in tema di diritto di visita ed assistenza stabilite dalle strutture sanitarie pubbliche ed ospedaliere 42 X. XXXXXXXXXX, I contratti di convivenza in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xxx/xxxxx.xxx?xxxxxxxxxxxxxxxxx&xxxxxx000, p. 1.
43 X. XXXXXX, Contratti di convivenza e contratti tra conviventi more uxorio, 2004, in xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxx/XxxxxxxXxxx/Xxxxxxxxx/0000/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx, pp. 11-13.
44 X. XXXXXX, Contratti di convivenza e…, cit., 2004, in xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxx/XxxxxxxXxxx/Xxxxxxxxx/0000/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx, p. 13 ss.
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pubblicistica. È ammissibile invece un regime di comunione ordinaria in merito agli acquisti effettuati anche da parte di uno solo dei conviventi durante la convivenza.
Sono valide infine anche le pattuizioni che prevedono prestazioni economiche in ca- so di rottura dell’unione aventi finalità solidaristiche e assistenziali. Laddove l’accordo per- seguisse invece il fine di distogliere dal suo intento una parte che abbia intenzione di tron- care il rapporto, sarebbe nullo perché oltremodo restrittivo della libertà del contraente.
4.1. Con l’approvazione e l’entrata in vigore della legge n. 76/2016 si è sancita in Ita- lia una profonda novità nella materia oggetto del presente contributo in quanto con essa è stata ufficialmente introdotta e disciplinata la figura del contratto di convivenza. In realtà la segnalata novità si inserisce nel quadro di una più ampia riforma del diritto di famiglia ap- portata dalla legge in questione, la quale ha determinato altresì l’introduzione dell’istituto delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e della relativa disciplina, prevedendo una sostanziale equiparazione dello status del soggetto contraente l’unione con quello del co- niuge. Inoltre si è dettata una disciplina di determinati aspetti delle convivenze di fatto, es- senzialmente attraverso l’estensione ai conviventi di determinati diritti riconosciuti ai co- niugi.
Dal punto di vista che maggiormente interessa l’argomento della presente trattazione, l’introduzione della possibilità di stipulare contratti di convivenza va vista come una misura atta a colmare una lacuna da tempo avvertita nell’ordinamento italiano, il quale, pur ricono- scendo rilevanza giuridica alla convivenza sotto vari profili di tutela, era privo di una norma che consentisse ai conviventi di dare formalizzazione giuridica ad una serie di obblighi che in precedenza venivano ricondotti esclusivamente alla categoria delle obbligazioni naturali e risultavano pertanto incoercibili sul piano giuridico45. Ci si riferisce in particolar modo agli obblighi relativi alle modalità di contribuzione alla vita comune ed a quelli derivanti dal re- gime patrimoniale scelto dai conviventi, che rappresentano oggi aspetti espressamente re- golabili attraverso il contratto di convivenza nonché i profili rispetto ai quali maggiormente sentita era la mancanza di una norma che garantisse l’effettività e la certezza delle situazioni che venivano in rilievo. Il contratto di convivenza, può essere stipulato soltanto da persone di sesso diverso oppure no, che coabitino e che siano legate da una stabile relazione affetti- va e da “legami di reciproca assistenza morale e materiale” e che non siano unite in matri- monio (per le persone di sesso diverso) e non abbiano contratto un’unione civile (nel caso delle persone dello stesso sesso) e non siano avvinte da vincolo di parentela, affinità ed adozione. Esso può avere quindi ad oggetto unicamente la regolazione degli aspetti patri- moniali concernenti la convivenza. La disciplina dei predetti obblighi rappresenta dunque non soltanto un contenuto eventuale del contratto di convivenza, ma quello caratterizzante l’istituto stesso, in quanto espressamente menzionato e preso in considerazione dalla legge.
45 Cfr. Cass., 22/01/ 2014, n. 12477; Cass., 15/01/1969, n. 60; Cass., 20/01/1989, n. 285; Cass., 13/03/2003,
n. 3713; Cass., 15/05/2009, n. 11330). In dottrina , M. SESTA in Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2007, p. 188, evidenzia come la riconducibilità dei doveri nascenti dalla convivenza more uxorio alla categoria delle ob- bligazioni naturali rappresenti il risultato di un mutamento di orientamento maturato nella giurisprudenza ne- gli anni sessanta. Prima di allora infatti le prestazioni dell’uomo verso la donna venivano considerate come una donazione remuneratoria, “quasi a rappresentare la riparazione del danno sofferto per la seduzione e la successiva con- vivenza”.
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Tale scelta rappresenta la conferma dell’intento di escludere dall’ambito della regolazione autonoma dei soggetti legati da una relazione affettiva stabile, secondo quanto già previsto per il matrimonio, gli aspetti personali del rapporto, in quanto incoercibili ed insuscettibili di formare oggetto dell’autonomia dispositiva dei soggetti interessati. Al tempo stesso tale previsione riconosce l’essenza della funzione del contratto di convivenza, per come conce- pito e regolato anche negli ordinamenti stranieri. Tuttavia all’intento di valorizzare lo stru- mento oggetto di disciplina non è corrisposta una chiarezza ed inequivocità della stessa quanto all’individuazione dei limiti all’autonomia negoziale esplicabile attraverso il ricorso ai contratti di convivenza. Il comma 53 dell’unico articolo che compone la legge n. 76/2016 prevede infatti che “il contratto di convivenza può contenere: (…) b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Stando al tenore puramente letterale della sola norma di cui alla lettera c), che espressamente richiama le disposizioni codicistiche sulla comunione lega- le, non potrebbe che ritenersi che tale regime sia l’unico che possa essere costituito attra- verso il contratto di convivenza, fermo restando che diversamente che per il matrimonio, esso rappresenta un regime meramente opzionale per i conviventi e non operante in via predefinita laddove manchi un’espressa scelta. Tale norma e tale interpretazione, se da un lato rendono possibile un accostamento dell’istituto della convivenza a quello del matrimo- nio, dall’altro ne sanciscono una netta divergenza, in quanto determinano una preclusione verso la scelta di regimi alternativi o personalizzati che invece sono consentiti ai coniugi nell’ambito dell’istituto matrimoniale (artt. 159 e 162 c.c.). Tuttavia il successivo comma n. 54 stabilisce che il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modi- ficato in qualunque momento nel corso della convivenza ed in questo sembra suggerire l’apertura verso la possibilità per i conviventi di adottare regimi patrimoniali personalizzati sul modello delle convenzioni matrimoniali. Ad una analisi complessiva del combinato di- sposto dei commi 53 e 54 dell’art. 1 della legge 76/2016, sembra dunque potersi affermare, contrariamente a quanto sostenuto da buona parte della dottrina46, che attraverso lo stru- mento del contratto di convivenza sia riconosciuta ai conviventi un’autonomia analoga a quella prevista a favore dei coniugi e consistente nella possibilità di adottare sia il regime della comunione legale che quello della separazione dei beni, nonché quelli della comunio- ne speciale, vale a dire del regime comunitario legale così come modificato e derogato dalle apposite pattuizioni dei coniugi. Tale interpretazione, oltre ad essere più aderente al dato letterale complessivo della legge, si mostra anche come quella più razionale, in quanto di- versamente argomentando si priverebbe la disposizione dei coniugi del suo carattere con- trattuale e la si ridurrebbe a mera dichiarazione circa la scelta di adottare sic et simpliciter il re- gime della comunione legale oppure quello c.d. ordinario dell’esclusività degli acquisti47. Si
46 X. XXXX, Le unioni civili in Italia, Napoli, 2016, p. 264, per il quale “sarebbe irragionevole considerare che in sede di stipula del contratto si possa soltanto scegliere la comunione [legale] e, che, in sede di modifica, si possa disporre altrimenti”; so- stanzialmente dello stesso parere X. XX XXXX, I contratti di convivenza, in Le nuove Leggi Civili Commentate, 2016,
n. 4, p. 706, nonché F. MECENATE, Comunione legale, contratto di convivenza e circolazione dei beni dopo la legge Ci- rinnà, in xxxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxx/xxxxx/000-0000-X.xxx, p. 15.
47 In senso contrario all’ammissibilità di una piena autonomia negoziale dei conviventi cfr. F. MECENATE, De- bito, Responsabilità e comunione legale nel nuovo diritto di famiglia, Torino, 2017, p. 15. Non sembra potersi condivi- dere l’argomento a favore della preclusione verso l’adozione di regimi patrimoniali diversi, fondato sulle
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tratterebbe di una dichiarazione priva anche di carattere negoziale essendo correttamente ascrivibile alla categoria degli atti in senso stretto, data l’indisponibilità degli effetti da essa derivanti. La tesi secondo la quale i conviventi avrebbero soltanto la possibilità di scegliere il regime della comunione legale o quello ordinario, anche attraverso una modifica della scelta compiuta in origine, si rivelerebbe in questo modo fortemente compressiva dell’autonomia delle parti, limitandola solamente alla possibilità di effettuare una scelta tra due regimi legalmente predeterminati ed inderogabili quanto al loro contenuto dalle pattui- zioni dei conviventi. Ma se tale fosse stata l’intenzione del legislatore, non ci sarebbe stata necessità alcuna di prevederne la formalizzazione attraverso il contratto di convivenza, ma sarebbe bastato stabilire la possibilità per i conviventi di rendere una dichiarazione anche con atto pubblico e iscritto nei registri dell’anagrafe, con cui manifestare tale scelta.
Un’altra questione emersa all’indomani dell’entrata in vigore della legge n.76/2016 ri- guarda l’ammissibilità della regolamentazione attraverso il contratto di convivenza della fase relativa alla cessazione della convivenza stessa. Secondo parte della dottrina il dettato lette- rale del comma n. 56 dell’art. 1 della legge in questione, che prevede che il contratto di convivenza non possa essere sottoposto a condizione o a termine parrebbe indurre a nega- re tale possibilità48. In realtà, secondo la tesi della stessa dottrina testé richiamata e che si condivide, l’ipotesi qui considerata non sembra ricadere nell’ambito del divieto posto dal comma 56, atteso che la disciplina della cessazione della convivenza di per sé non rappre- senta una condizione di efficacia del contratto, almeno nei casi in cui il suo contenuto non sia limitato alla regolamentazione di tale aspetto. In tali casi, infatti, a prescindere dal verifi- carsi dell’evento della cessazione della convivenza, il contratto avrà e conserverà efficacia in relazione a tutte le altre pattuizioni stipulate dai conviventi. Diverso il discorso nel caso in cui invece il contratto di convivenza abbia come unico oggetto la preventiva determinazio- ne delle condizioni alle quali debba avvenire l’eventuale futura cessazione della convivenza. In simili ipotesi non sembra superabile l’ostacolo posto dal comma 56 all’ammissibilità del contratto di convivenza, atteso che si sarebbe in presenza di un contratto indubbiamente condizionato, in quanto la sua efficacia sarebbe interamente ed esclusivamente condiziona- ta al verificarsi dell’evento dedotto. Nulla vieta ad ogni modo, che laddove dovesse essere accertata l’inefficacia di un simile contratto, i conviventi in fase di cessazione del loro rap- porto possano stipulare un contratto ad hoc, ordinario, con il quale regolare gli effetti pa- trimoniali della già avvenuta rottura.
Per quanto attiene alla cessazione degli effetti del contratto di convivenza il comma 59 prevede una serie di ipotesi in cui il contratto si risolve, ossia a) accordo delle parti; b) recesso unilaterale; c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed al- tra persona; d) morte di uno dei contraenti. Tali ipotesi sembrano configurare cause di riso- luzione che integrano quelle previste dal codice civile in via generale per i contratti e che ri- guardano in particolare l’inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione e l’eccessiva onerosità sopravvenuta per una delle parti. In realtà l’ipotesi dell’inadempimento del contratto di convivenza sembra rientrare nel più generale alveo della crisi del rapporto
preoccupazioni per la circolazione dei beni e la certezza delle situazioni: i rischi al riguardo sussistono, infatti già solo per effetto della previsione della possibilità di scegliere e revocare il regime della comunione legale.
48 X. XXXXX, La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza, in Notariato, 1, 2017, p. 31, anche in
xxxx://xxx.xxxxxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxx_xxxxxxxxx/000_0000_0000_00000.xxx.
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personale tra i conviventi piuttosto che solo in quello della patologia del rapporto contrat- tuale pertanto in tale prospettiva l’inadempimento va inquadrato anche in relazione alla coercibilità degli obblighi stabiliti con il contratto di convivenza, i quali potranno dunque essere oggetto di esecuzione coattiva in caso di inottemperanza, in alternativa alla risolu- zione e salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno, secondo le regole generali dell’ordinamento. A tal proposito va sottolineato che il contratto di convivenza, stante la perdurante mancanza di una disciplina generale ed esaustiva della convivenza e degli obbli- ghi che da essa derivano, costituisce a tutt’oggi l’unico strumento per dare rilevanza giuri- dica alle obbligazioni assunte con la convivenza, le quali in mancanza del predetto contratto continueranno a ricadere nell’ambito delle obbligazioni naturali49 essendo in quanto tali in- suscettibili di esecuzione coercitiva.
Da segnalare, per quanto attiene al recesso unilaterale che esso, quale causa di risolu- zione del contratto di convivenza, in deroga a quanto stabilito in generale per i contratti, opera indipendentemente dalla sua espressa previsione nel contratto di convivenza stesso, ma è subordinato al requisito formale della dichiarazione per atto pubblico o in scrittura privata autenticata da un notaio in base al comma 51. Secondo il comma 61 inoltre “nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a 90 giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione”. Tale ultima disposizione, come rilevato dalla dottrina50, presenta un particolare interesse in quanto presuppone necessariamente che il recesso unilaterale coincida necessariamente con la cessazione della convivenza, ma nella realtà potrebbe anche accadere diversamente, in quanto il recesso potrebbe essere motivato semplicemente dalla sopravvenuta mancata ri- spondenza alle possibilità o interessi economici del recedente delle condizioni stabilite nel contratto.
Ai fini della validità ed efficacia del contratto di convivenza è previsto che esso sia redatto in forma scritta e per atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata (comma 51). Lo stesso requisito formale è previsto per le modifiche e per la risoluzione del contratto, mentre per quanto riguarda l’opponibilità ai terzi, si prevede che essa consegua all’iscrizione del contratto nei registri dell’anagrafe del comune di residenza dei conviventi. La prevista forma di pubblicità assolve essenzialmente alla funzione di garantire la certezza delle situazioni nell’ambito della circolazione dei beni e dei rapporti con i terzi, secondo una norma che sostanzialmente ricalca quella vigente in tema di convenzioni matrimoniali. Infi- ne, il comma 57 regola i casi di nullità del contratto di convivenza, stabilendo che esso è af- fetto da nullità insanabile allorquando viene stipulato a) in violazione del comma 36, ossia da persone unite in matrimonio o parte di un’unione civile o legate da vincoli di parentela, affinità ed adozione; b) da persona minore d’età; c) da persona interdetta giudizialmente; d) in caso di condanna per il delitto di cui all’art. 88 del codice civile ovvero per omicidio ten- tato o consumato di una parte ai danni dell’altra. Interessante segnalare in proposito il di- vieto assoluto previsto per il contratto di convivenza stipulato dal minore d’età il che si lega al riconoscimento giuridico della convivenza intercorrente esclusivamente tra persone mag- giorenni (c. 37), a differenza di quanto avviene per il matrimonio che può essere validamen-
49 Cfr. Cass., 22/01/2014, n. 12477; Cass., 15/01/1969, n. 60; Cass., 20/01/1989, n. 285; Cass., 13/03/ 2003, n. 3713; Cass., 15/05/2009, n. 11330.
50 X. XXXXX, op. cit., p. 32.
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te contratto anche dal minore d’età purché almeno sedicenne e su autorizzazione espressa del Tribunale dei minorenni, ricorrendo gravi motivi.
Conclusivamente sul tema, non può non argomentarsi come la materia, pur resisten- do alle intemperie giuridiche del tempo, presenta caratteristiche di innovabilità che solo la sperimentazione quotidiana potrà segnalare non senza precisare, però, che in subjecta materia, sarà difficilmente possibile porre la parola fine.
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