Leasing immobiliare
Leasing immobiliare
Corte d’Appello di Trieste 18 maggio 2018, n. 202 - Pres. De Rosa - Rel. Colarieti
Sconta il giudizio di non meritevolezza la clausola di rischio cambio inserita in uncontratto di locazione finanziaria perché introduce uno strumento finanziario autonomo e con finalità eminentemente speculative, quindi non solidali né equilibrate in sé e rispetto alla funzione negoziale immaginata alla conclusione del contratto di leasing.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Sulla clausola rischio cambio, riconoscono la natura autonoma di derivato incorporato, Trib. Udine 29 febbraio 2016, n. 263, Trib. Udine 13 maggio 2015, n. 711. Considerano detta clausola come immeritevole di tutela, App. Trieste 18 maggio 2018, n. 198 e App. Trieste 28 maggio 2018, n. 254. |
Difforme | Non sono stati rinvenuti precedenti in termini. |
La Corte d’Appello (omissis)
Motivi della decisione
(omissis)
contrasti con norme positive: in tale ipotesi sarebbe infatti di per sé nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c.
L’immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico
Assorbente su ogni questione di merito e determinante per la decisione delle questioni preliminari è il profilo della meritevolezza della clausola “rischio cambio”.
Come affermato da questa Corte con decisioni uniformi cui si intende dare continuità (da ultimo sentenza n. 686/ 2017 dell’8 agosto 2017), la clausola rischio cambio è nulla/invalida per violazione dell’art. 1322 c.c.
Si tratta di clausola del tutto autonoma rispetto all’eco- nomia del contratto, la cui funzionalità non dipende e nemmeno ne è condizionata, tanto che la stessa (omissis) indicando la ragione della sua previsione fa riferimento alla necessità di coprire il rischio derivante dalla dispo- nibilità della valuta estera necessaria a finanziaria convenzione.
Quindi, un rapporto parallelo rispetto al contratto carat- terizzato da ampia aleatorietà, squilibrio di prestazioni e causa concreta del tutto autonoma rispetto a quella che regge il contratto di leasing.
Giova ricordare ai nostri fini quanto scrive il giudice di legittimità secondo il quale “La “meritevolezza” di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa. Secondo la Relazione al Codice civile, la meritevolezza è un giudizio (non un requisito del con- tratto, come erroneamente sostenuto da parte della dot- trina), e deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso perseguito.
Tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia con- trario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, p. 603, 2^ capoverso). Principio che, se pur anteriore alla pro- mulgazione della Carta costituzionale, è stato da questa ripreso e consacrato negli artt. 2, secondo periodo; 4, secondo xxxxx, e 41, secondo xxxxx, Cost.
Affinché dunque un patto atipico possa dirsi “immerite- vole”, ai sensi dell’art. 1322 c.c., non è necessario che
intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati. Il giudizio di immeri- tevolezza, in definitiva, non costituisce che una para- frasi moderna del secolare ammonimento di Xxxxx nei Libri LXII ad edictum, ovvero non omne quod licet, hone- stum est (Dig., 50, XVII, 144). (cfr. Cass., 28 aprile 2017).
Da che segue che “Il contratto atipico, all’esito del giudizio d’immeritevolezza, deve ritenersi inefficace fin dalla sti- pulazione, inidoneo a vincolare le parti al reticolo di regole che ne compongono la struttura. Tale è la conseguenza della “irrilevanza giuridica” del medesimo. La valutazione da svolgere è, pertanto, del tutto simile a quella riguar- dante l’accertamento della validità o invalidità del con- tratto ex art. 1418 cod. civ., anzi deve ritenersi che l’indagine relativa alla tipicità od atipicità del contratto, alla sua unitarietà o scindibilità, costituisce un accerta- mento preliminare indefettibile” (cfr. Cass. 15 febbraio 2016, n. 2900).
Si tratta di questione tutt’affatto marginale nel dibattito giuridico tanto che la dottrina riflettendo sull’interpreta- zione da dare alla formula dell’art. 1322 c.c., xxxxx XX, c.c. afferma come “la meritevolezza sia coerenza del regola- mento negoziale rispetto alla tutela legale degli interessi in conflitto o la realizzazione di uno scambio economica- mente apprezzabile”.
Il che se manca si risolve in un giudizio di invalidità della clausola che si caratterizza per lo squilibrio economico delle prestazioni e per l’inammissibile (anche oggettiva oltre che soggettiva) alea della pattuizione.
Dunque occorre che l’interesse concretamente perseguito mediante il contratto atipico corrisponda a finalità comunque considerabili degne di tutela, perché assimila- bili a quelle ispiratrici degli schemi tipizzati dell’ordina- mento giuridico.
Problema, quello della meritevolezza, di cui si è occupata, per ovvi motivi, anche la dottrina bancaria che non ha tardato a ricordare che la valutazione positiva è assicurata quando banca e cliente hanno conosciuto e condiviso la qualità e la quantità dell’alea, il modello e il metodo di calcolo del valore finanziario e gli scenari probabilistici. La clausola è così al riparo da un giudizio negativo in termini di meritevolezza, che incombe, perché potrebbe discendere, alternativamente dalla disapprovazione del fatto in sé che un contratto, come il mutuo o il leasing, munito di una causa legalmente e socialmente tipica, sia accompagnato da una componente anomala di rischio, dal semplice sillogismo che per il cliente ha senso chiudere un’opzione finanziaria se l’opzione gli serve per coprirsi, non invece se l’opzione la vende, e la vende inconsape- volmente, quindi senza ricevere il valore finanziario, all’intermediario, il quale si copre contro l’interesse del- l’investitore, oppure dal carattere non equo o sproporzio- nato dell’alea.
Non ignora la Corte le critiche anche dottrinarie a tale indirizzo, il quale importa il rischio di determinare un’il- legittima compressione dell’autonomia privata ed un’i- nammissibile regolazione del mercato e dei suoi interessi attraverso l’indebito richiamo alla previsione degli artt. 2, 38, 41 e 47 Cost.
Tuttavia si tratta di critiche fondate, posto che, soprat- tutto il principio di solidarietà, costituisce un elemento di sintesi insuperabile del principio di buona fede contrat- tuale, principio da cui far scaturire quello di necessario equilibrio delle prestazioni contrattuali. Equilibrio che, proprio perché forma di correttezza, non può, per defini- zione, che costituire un limite alla regolazione degli inte- ressi privati.
Nel merito ed in concreto, la clausola di cui si discute veniva articolata dalla banca secondo la seguente formula: “il locatore determinerà mensilmente la variazione fra il cambio storico e il cambio di scadenza del canone. Se la variazione è positiva, il canone oltre iva maturato sarà suddiviso per il cambio storico di riferimento e moltipli- cata per la differenza tra il cambio storico e quello attuale della scadenza del canone.
L’importo risultante, aumentato dell’IVA costituirà il rischio cambio del mese a carico del Conduttore. Se la variazione è negativa, il canone imponibile maturato sarà suddiviso per il cambio storico di riferimento e moltipli- cato per la differenza tra il cambio storico e quello attuale della scadenza del canone. L’importo risultante aumentato dell’IVA, costituirà il rischio cambio del mese a favore del Conduttore. Il Conduttore prende atto che la presente clausola, per quanto attiene al rischio cambio, ha carattere aleatorio”.
Come scriva parte appellata con argomentazione che si riporta integralmente poiché del tutto condivisibile, l’og- getto della prestazione che trovava origine nella clausola, non era la grandezza di riferimento (il canone), bensì il differenziale tra l’ammontare in franchi svizzeri del canone originariamente pattuito e l’ammontare in franchi svizzeri del canone determinato con riferimento al cambio in vigore alla scadenza del canone stesso.
Differenziale che dipende dalla variabile economica sottostante, vale a dire dal tasso di cambio euro/chf. Perciò la censura perché lo scambio di differenziali avrebbe dovuto essere regolato autonomamente rispetto al pagamento del canone, mentre invece, come risulta dalla dottrina bancaria ampiamente citata dalle parti, la clausola introduce una componente di rischio autonoma “... in quanto promanante dal risul- tato di un’operazione derivativa sui cambi scindibile dal contratto base (e prevede) modalità di calcolo che utilizzando un sottostante diverso dal debito...amplifica il risultato in più o in meno generando un esborso o un vantaggio aggiuntivo a latere diverso da quello dovuto per la restituzione del capitale ...”.
In ciò l’asimmetria tra le parti a seconda della varia- zione positiva (la Banca incamera anche l’IVA) o negativa.
Ed allora, come affermato da questa stessa Corte con la sentenza 8 agosto 2017, l’argomentazione allegata dalla Banca secondo cui la clausola mirava a garantirle la giusta remunerazione per la provvista in valuta estera ed il fatto che l’IVA, per evitare la censura, veniva rimborsata al cliente, non modificano in nulla il giudizio di immerite- volezza della clausola, poiché esso riposa non sul mecca- nismo di funzionamento dell’accordo aleatorio, ma sulla sua stessa ragione.
Ovvero, l’avere introdotto uno strumento finanziario autonomo rispetto al contratto di leasing ed eterogeneo rispetto ai fini di questo, con finalità eminentemente speculative, quindi non solidali e non equilibrate in sé e rispetto alla funzione immaginata.
In altri termini la Banca, se avesse voluto finanziare il contratto con valuta estera, avrebbe potuto, ben più pia- namente, approvvigionarsi della valuta, fissare il cambio al momento in cui l’acquisto veniva fatto e chiederne la remunerazione, anziché approvvigionarsi via via e scom- mettere sull’andamento della valuta rispetto al cambio fissato in modo privo di un legame con uno specifico momento storico.
Non solo, ma senza, peraltro, avere dato dimostrazione della piena consapevolezza da parte del cliente dell’alea sottostante al meccanismo, della sua consapevole parte- cipazione alla scommessa e della piena comprensibilità dei calcoli strutturati.
Altro aspetto, questo (la macchinosa articolazione mate- matica del patto), sul quale la Banca dovrebbe riflettere prima di affermare che si è trattato di una normale e serena regolamentazione degli interessi economici.
In sintesi, perciò, avere previsto un meccanismo di indicizzazione slegato dalle effettive necessità del con- tratto e disallineato rispetto alla corretta remunerazione di un finanziamento in valuta, che, comunque, deter- mina una base di calcolo che parte da un punto arbi- trario (valore della valuta fisato senza riferimento al momento di acquisto della stessa) è ciò che porta all’at- tuale decisione.
Il che, si badi bene, non attiene alla liceità del patto per la violazione della normativa finanziaria perché, prima ed a prescindere da tale eventuale violazione, vale per quanto
ci riguarda quanto appena detto. Cioè la finalità della regolazione di tal fatta degli interessi in gioco viola il limite esterno dell’autonomia privata.
La questione così definita risulta assorbente rispetto alle questioni preliminari sollevate da (omissis).
(omissis)
Ne viene che la sentenza va confermata con la diversa motivazione dovuta all’accoglimento dell’appello inci- dentale del convenuto, dichiarata la nullità della clausola rischio cambio per violazione del canone di cui all’art. 1322, xxxxx XX, c.c.
Le spese seguono la soccombenza.
La non meritevolezza della clausola di rischio cambio, quale strumento finanziario autonomo con finalità speculative
di Xxxxx Xxxxxxx (*)
La pronuncia, non isolata ma correlata a varie altre coeve sentenze della stessa Corte di Appello di Trieste, si segnala perché, nel valutare i contratti di leasing con clausola di rischio cambio, la autonomizza, considerando detta pattuizione collegata e causalmente distinta rispetto al leasing cui accede.
Inoltre, nel qualificare come strumento finanziario detta clausola, la Corte d’Appello ne rileva la non meritevolezza degli interessi perseguiti, perché essa, introducendo un meccanismo di computo dei canoni dovuti dall’utilizzatore altamente speculativo, altera l’assetto e l’equilibrio dell’operazione nego- ziale e svia la funzione contrattuale inizialmente immaginata.
Pur non essendo detto tema trattato espressamente dalla sentenza commentata, l’Autrice si sofferma sulla qualificazione e la struttura giuridica dello strumento finanziario in questione, riportando i principali orientamenti dottrinali in tema di c.d. derivati embedded.
La suddetta qualificazione sottende tematiche importanti, ovvero i) il rapporto fra contratto host e clausola atipica contenente l’implicito ed, in particolare, come la presenza di quest’ultima pattuizione reagisca sulla causa e quindi sulla natura giuridica dell’intero contratto; ii) l’applicabilità o meno della disciplina finanziaria oltre che bancaria all’operazione in oggetto.
Il caso e gli esiti del giudizio di primo grado
Il contenzioso in esame trae origine da un contratto di leasing immobiliare in cui, oltre ad essere stata inserita una clausola d’indicizzazione al Libor “CHF 3 mesi lettera”, è prevista una clausola (denominata “rischio cambio”) che contempla un’ulteriore indicizzazione del canone di leasing alle oscillazioni del rapporto di cambio euro/franco svizzero.
L’utilizzatore fonda la propria citazione sulla riquali- ficazione del contratto, in virtù delle clausole in esso inserite, eccependone la nullità o, comunque, la risoluzione, per violazione della normativa imposta agli intermediari dal T.U.F. e dalla normativa regolamentare.
Il Tribunale friulano (1) accoglie solo in parte le domande dell’opponente, qualificando come stru- mento finanziario la clausola di rischio cambio e ritenendola causalmente autonoma rispetto al con- tratto di leasing. In particolare, il Tribunale ha escluso che la clausola rischio cambio acclusa al leasing
individui un contratto complesso, ravvisando piutto- sto un collegamento negoziale.
Ed è in relazione alla clausola di rischio cambio, riqualificata come derivato finanziario, che la società di leasing avrebbe dovuto assolvere agli obblighi formali e contenutistici previsti dalla normativa vigente.
Il Tribunale condanna, quindi, la società convenuta a risarcire i danni per grave inadempimento contrat- tuale, non essendo stati assolti gli obblighi informa- tivi derivanti dalle vigenti disposizioni in materia di intermediazione finanziaria; e respinge la domanda di risoluzione, perché riferita all’intero contratto di leasing e non all’autonomo prodotto finanziario implicito collegato.
Il giudizio in appello e le argomentazioni della Corte
Ricorre in appello la società di leasing, contestando, fra le altre cose, la natura di derivato implicito della
(*) Il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, al vaglio del Comitato di valutazione.
(1) Trib. Udine 12 settembre 2016, n. 1097.
clausola rischio cambio e sostenendo, invece, le cor- rispettività delle somme elargite dall’utilizzatore in esecuzione della suddetta pattuizione.
L’appellante mette, inoltre, in discussione il colle- gamento negoziale esistente fra contratto di leasing e strumento finanziario “implicito”, ricostruendo l’operazione complessa come negozio misto e rite- nendo applicabile conseguentemente, a fronte della verifica della causa di finanziamento prevalente, la disciplina T.U.B. e non T.U.F.
In via subordinata, nella ricostruzione dell’appel- lante, anche laddove si dovesse ritenere applicabile la normativa sull’intermediazione finanziaria, è con- testato l’inadempimento degli obblighi informativi discendenti dall’applicazione del T.U.F. e della nor- mativa regolamentare e il nesso di causalità fra ina- dempimento e danno contrattuale imputato, nonché la quantificazione del danno stesso.
Si costituisce in giudizio l’utilizzatore appellato, che resiste alle domande attoree, proponendo altresì appello incidentale per l’invalidazione della clausola rischio cambio, sostenendo la violazione della buona fede contrattuale e la violazione di norme imperative e, in particolare, la non meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti.
In questo contesto la pronuncia della Corte è favo- revole all’appellato utilizzatore, perché è respinto l’appello principale, è accolto l’appello incidentale ed è dichiarata invalida e inefficace la clausola di rischio cambio.
Nel suo argomentare la Corte territoriale si sofferma, in particolare, sulla valutazione della meritevolezza dell’assetto degli interessi perseguiti attraverso la clausola di rischio cambio, ponendosi in linea con quella tendenza giurisprudenziale che fa ricorso al vaglio ex art. 1322 c.c. in una logica che è di controllo sia dell’equilibrio contrattuale sia della proporziona- lità fra prestazione e controprestazione nei c.d. con- tratti asimmetrici.
Solo in via del tutto incidentale, la Corte affronta il tema della qualificazione giuridica della clausola
rischio cambio e della sua natura di strumento finan- ziario autonomo.
In realtà, l’aver risolto la questione, attraverso il ricorso al controllo di meritevolezza, che serve a distinguere il regolamento contrattuale rilevante da quello giuridicamente irrilevante, stabilendo limiti di tutela, ha permesso di escludere l’approfondimento e lo sviluppo di ulteriori questioni legate alla natura e alla conseguente disciplina giuridica dei prodotti finanziari in oggetto.
La dissertazione della Corte d’Appello di Trieste sul vaglio di meritevolezza dell’interesse ex art. 1322, comma 2, c.c. risulta particolarmente interessante. Detto controllo riguarda i contratti atipici, nella lettura della Corte. Si tratta di un vaglio distinto da quello di liceità, in linea con Relazione al Codice civile (2), in cui si afferma che il controllo di meri- tevolezza riguarda il risultato e non il patto in sé e non implica, conseguentemente, il contrasto con norme imperative.
Proprio perché il giudizio ex art. 1322, comma 2, c.c. è altro da quello di liceità la conseguenza all’esito del vaglio di immeritevolezza è l’irrilevanza giuridica del regolamento contrattuale atipico.
La vera questione, come efficacemente evidenziato dalla Corte, è individuare i contenuti di tale con- trollo che, almeno nel settore bancario, sono stati definiti dalla dottrina specialistica.
La valutazione positiva ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c. degli strumenti finanziari (in cui determinante è la componente aleatoria) è assicurata quando la banca e cliente “hanno conosciuto e condiviso la qualità e quantità dell’alea, il modello e il metodo di calcolo del valore finanziario e gli scenari probabili- stici”. Quindi, a contrario, il giudizio di disvalore del regolamento contrattuale discende da una “compo- nente anomala di rischio” che permea il contratto o “dal carattere non equo o sproporzionato dell’a- lea” (3) .
Del resto lo squilibrio delle prestazioni contrattuali costituisce il primo limite “alla regolamentazione
(2) Si legge nella Relazione al codice civile del Ministro Guar- dasigilli a p. 127 che “Il nuovo codice, peraltro, non costringe l’autonomia privata a utilizzare soltanto i tipi di contratto regolati dal codice, ma le consente di spaziare in una più vasta orbita e di formare contratti di tipo nuovo se il risultato pratico che i soggetti si propongono con essi di perseguire sia ammesso dalla coscienza civile e politica, dall’economia nazionale, dal buon costume e dall’ordine pubblico (art. 1322, comma secondo): l’ordine giuri- dico, infatti, non può apprestare protezione al mero capriccio individuale, ma a funzioni utili che abbiano una rilevanza sociale e, come tali, meritino di essere tutelate dal diritto”.
Osserva A. Xxxxxxxxx, Il contratto immeritevole ed il rasoio di Occam, in Nuova giur. civ. comm., 2, 2018, 253 ss. (sp. 254) “La coincidenza tra la relazione ministeriale ed il pensiero di
Betti di quegli anni è totale sia nelle declamazioni teoriche come pure nella casistica allegata”.
(3) La stessa Corte d’Appello di Trieste nella sentenza coeva del 28 maggio 2018, n. 254, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, specifica che “Una clausola, denominata "rischio cambi", inserita in un contratto di locazione finanziaria è immeritevole di tutela giuridica ex art. 1322 c.c. quando crea l’irrazionalità dello scambio tra le parti contraenti (nella specie: banca e cliente) e cioè il maggior vantag- gio assicurato all’istituto di credito in caso di esito favorevole al cambio denominato storico, non contiene precisazioni sul cambio al quale l’istituto si sia procurata, sul mercato estero, la provvista in valuta estera (nella specie: franchi) e comporta una difficoltà di calcoli non in linea con il principio di trasparenza previsto dal TUB”.
degli interessi privati” perché espressione di quel “principio di solidarietà, sintesi insuperabile del prin- cipio di buona fede”.
In altri termini, la Corte d’Appello ravvisa l’imme- ritevolezza dei prodotti finanziari, dei derivati impli- citi nella specie, nella non conformità del regolamento ad un principio di equilibrio (quale espressione di un superiore valore di solidarietà); mancanza di equilibrio che si desume, dalla mancata conoscenza dell’alea o dalla sproporzione dell’alea negoziale.
A seguire, succinte considerazioni sono quelle che la Corte riserva alla tenuta della clausola rischio cam- bio, valutata nel concreto.
La Corte di Trieste, a differenza di quanto precisato dalla sentenza in primo grado del Tribunale di Udine, non affronta espressamente il tema della autonomia negoziale (seppur in una logica di col- legamento) della pattuizione ma, nel merito, si limita a valutare la lettera della clausola: certa- mente il calcolo del canone dipendente mensil- mente dalla variazione tra cambio storico e cambio di scadenza del canone non è né chiaro né lineare, tanto da indurre la Corte ad affermare che con detta clausola si inserisce una componente di rischio autonoma “in quanto promanante dal risul- tato di un’operazione derivativa sui cambi scindi- bile dal contratto base [omissis]”.
Con l’ulteriore considerazione che è impensabile che la formulazione di una clausola di quel tenore serva “a garantire la giusta remunerazione per la provvista in valuta estera” come invece sostenuto dalla Banca appellante. Se l’intento dell’istituto di credito fosse stato, infatti, quello di finanziare il cliente con valuta estera, sarebbe stato sufficiente
approvvigionarsi della valuta, fissare il cambio al momento dell’acquisto e chiederne la remunera- zione, “anziché approvvigionarsi via via della valuta e scommettere sull’andamento della valuta rispetto al cambio fissato in un modo privo di legame con uno specifico momento storico [omissis]”.
In sintesi l’aver creato uno strumento finanziario autonomo, con finalità speculative non condi- vise, implica il perseguire una finalità nella rego- lazione degli interessi in gioco, che viola il limite esterno dell’autonomia privata, perché non meritevole.
Il punto sulla non meritevolezza dell’interesse perseguito nella clausola rischio cambio
Sono doverose delle riflessioni su questo arresto della Corte Territoriale.
Non si può che condividere la distinzione fra giudizio di meritevolezza e quello di liceità; la criticità, tutta- via, sta nel connotare contenuti e finalità dell’uso del vaglio ex art. 1322 c.c.
Procedendo con ordine, in relazione alla prima que- stione, è noto che, fino a tempi relativamente recenti, l’interpretazione giurisprudenziale domi- nante è stata incline ad identificare il giudizio di liceità della causa con il giudizio di meritevolezza (4). La tendenza contraria nella prassi applicativa nasce da un diverso atteggiamento dottrinale che sfocia in generale nella riscoperta delle clausole generali e della meritevolezza nella specie (5).
Dal punto di vista di chi scrive, e solo per richiamare un dibattito noto, uno spazio autonomo al giudizio di
Sempre la Corte d’Appello di Trieste, con sentenza del 18 maggio 2018, n. 198, precisa che “La clausola di rischio cambio inserita in un contratto di leasing immobiliare assume una causa propria rispetto al contratto, perché i pagamenti reciproci trovano la loro fonte non già nelle prestazioni contrattuali, bensì nelle oscillazioni del cambio (e del tasso svizzero), queste, a loro volta, parametrate al canone e agli altri costi del contratto.Stante la sua natura atipica (la clausola contiene una scommessa sul futuro andamento del cambio fra due divise), è necessario valutarne la meritevolezza di tutela giuridica ai sensi dell’art. 1322 c.c.; valutazione, questa, sempre comunque rivolta alla pattuizione singolarmente conside- rata, e non all’intero contratto di leasing, di sicuro meritevole di tutela per gli interessi perseguiti dalle parti”.
(4) L’iniziale distinzione fra meritevolezza e liceità, corrispon- dente all’immediata entrata in vigore del Codice civile del 1942, giustificata dall’esigenza di ancorare la meritevolezza all’afferma- zione di superiori valori ideologici di carattere corporatistico, è stata messa in discussione dal tramonto di tale regime e delle istanze ad esso sottese. In tal senso, si veda X. Xxxxxx, Xxxx ed ombre nell’interpretazione della legge, in Jus, 1975, 145 e X. Xxxxx, Il contratto, I, Milano, 1954, 199-277; X. Xxxxxxxx, voce “Contratto”, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 829, nt. 149. Per una
rassegna si veda X. Xxxxxxx, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ, 1978, I,
52. Osservava a riguardo X.X. Xxxxx, in Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968, 406 ss. che “I criteri dei quali l’ordinamento si avvale, per la valutazione della meritevolezza dell’interesse, sono quelli enunciati nell’art. 1343 c.c.: norme imperative, ordine pubblico, buon costume. Solo quando l’inte- resse perseguito con il contratto sia contrario a siffatti principi, l’interesse non è meritevole di tutela”. Per la tesi della coincidenza di meritevolezza e liceità, X.X. Xxxxx, Il negozio giuridico, Padova, 2001, 109 ss.; X. Xxxxx, Il contratto, in Tratt. dir. priv. Iudica-Zatti, Milano, 2001, 424-425 ss.; X. Xxxxxx, La disciplina della causa, in AA.VV., I contratti in generale, a cura di
E. Xxxxxxxxx, Torino, 1999, 539 ss.; R. Xxxxx, Il contratto, in Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 1993, II, 448 ss.
(5) A fronte di quello che da A. Xxxxxxxxx, in Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale del contratto, in Riv. dir. civ, 1994, 799 ss. è stato definito come “un deciso allargamento della teoria delle fonti, un indebolimento delle dominanti concezioni formali- ste e dal progressivo abbandono del metodo dogmatico paleo o neosistematico”.
meritevolezza nel diritto positivo è stato ritagliato dall’art. 2645 ter c.c. (6).
Infatti, che il controllo ex art. 1322, comma 2, c.c. sia altro da quello ex art. 1343 c.c. è concetto che emerge chiaramente dall’introduzione della norma sulla destinazione patrimoniale.
In questo ambito si è detto che la destinazione patri- moniale è rilevante e valida laddove superi il doppio vaglio di meritevolezza e liceità.
Si condivide, quindi, l’idea che l’interpretazione della nuova disposizione, impone di considerare, in ambito più generale, il ruolo del criterio della meri- tevolezza “come clausola generale su cui misurare l’autonomia privata” (7).
L’art. 2645 ter, in altri termini, ha avuto il pregio di recuperare il ruolo autonomo che l’art. 1322, comma 2, c.c. svolge nel nostro sistema.
Tuttavia, si deve segnalare che la meritevolezza non è solo criterio per scrutinare l’idoneità della conven- zione atipica a dare luogo ad un vincolo contrattuale rilevante; in realtà, viene utilizzata per temperare le iniquità di alcuni contratti (8).
Nella presente disamina, proprio nel tentativo di ricostruire la recente vicenda giurisprudenziale del- l’operatività del giudizio di meritevolezza, quale strumento di controllo sul merito dell’assetto di interessi delineato dalle parti nel contratto, non possiamo che far riferimento ad alcune recenti pro- nunce della Cassazione che hanno negato tutela ai contratti atipici, perché non superano il vaglio ex art. 1322 c.c.
Il richiamo è, per rimanere nell’ambito finanziario, alle pronunce in tema di contratti c.d. for you e my way e in tema di derivati otc (dei cc.dd. irs, in particolare).
In entrambi i casi la finalità dell’intervento giudiziale è di correzione dell’assetto di interessi delineato, attraverso la liberazione delle parti contraenti dal vincolo negoziale (9).
Quanto al primo filone giurisprudenziale, la mole di contenzioso in materia, risalente all’ultimo decen- nio, è importante.
Oggetto delle pronunce è, come noto, un’operazione giuridica complessa, valutata unitariamente sotto il profilo causale, che consta dell’erogazione da parte di un istituto di credito di un finanziamento vincolato a strumenti finanziari, venduti dalla banca mutuante e dalla stessa gestiti. Di norma il regolamento contrat- tuale prevede anche la costituzione di pegno a garan- zia dell’investimento e il pagamento di una penale particolarmente onerosa in caso di recesso del cliente.
Tra le varie rileva la pronuncia della S.C. 15 febbraio 2016, n. 2900 (10) con cui la Cassazione è interve- nuta con considerazioni di portata più generale, in ordine alla qualificazione dei prodotti “For you”, sulla loro atipicità e sull’alterazione dell’equilibrio con- trattuale che li caratterizza, connettendo a tale squi- librio la sostanziale non meritevolezza giuridica e carente tenuta dell’operazione controversa.
La S.C., sul presupposto dell’unitarietà dell’opera- zione finanziaria, ha affrontato il tema concernente
(6) Ricordando solo alcuni tra gli studi monografici sulla desti- nazione patrimoniale, si vedano R. Quadri, La destinazione patri- moniale. Profili normativi e autonomia privata, Napoli, 2004; F. Iamiceli, Unità e separazione dei patrimoni, Padova, 2003; X. Xxxxxx, La destinazione di beni tra atto e rimedi, Milano, 2009;
X. Xxxxxx, Destinazione e vincoli di destinazione nel diritto privato. Dalla destinazione economica all’atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c., Padova, 2010; X. Xxxxxxx, Destinazione patrimoniale ed autonomia negoziale: l’art. 2645-ter c.c., Padova, 2010; X. Xxxxxxx, Attività ed effetto nella destinazione dei beni, Napoli, 2010; M. F. Xxxxxxxx, Gli atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c. e la merite- volezza degli interessi, Napoli, 2014; U. La Porta, Destinazione dei beni ad uno scopo e causa negoziale, Napoli, 1994; Id., I “formanti dell’ordinamento giuridico”, il diritto anglosassone e l’iperuranio (Piccola e gioiosa reazione ad un articolo di Xxxxxxxxx Xxxxxxx su trust e trascrizione), in Scritti in onore di X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 2004, 115 ss.
(7) X. Xxxxx, voce Atto di destinazione, in Enc. dir. xxxxxx, V, Milano, 2012, 69 osserva “Un’interpretazione della nuova dispo- sizione non influenzata dai pregiudizi della passata elaborazione concettuale impone invece di riconsiderare, in ambito più gene- rale, il ruolo del criterio della meritevolezza, come clausola gene- rale su cui misurare l’autonomia privata, secondo una chiave di lettura tra l’altro più consona all’originale disposizione dell’art. 1322 c.c.; proprio in quanto clausola generale, elastica e mute- vole, la meritevolezza è criterio bisognoso di una riconsiderazione dei contenuti, nel senso di non essere più espressione di esigenze superiori ed esterne ai soggetti interessati, secondo la superata
logica della funzione economico-sociale del contratto, bensì cri- terio valutativo dell’assetto voluto dall’autonomia privata affinché si realizzi un equilibrato contemperamento degli interessi in gioco e quindi sostanzialmente un parametro valutativo della sostan- ziale giustizia contrattuale della fattispecie frutto dell’autonomia privata, intendendo tale concetto non in senso limitato ai con- traenti ma esteso ai terzi interessati”.
(8) La ricostruzione prospettata che scinde liceità e meritevo- lezza è in linea con l’insegnamento di X. Xxxxxxxxxxx, Profili istitu- zionali del diritto civile, III ed., Napoli, 1994, 70; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, III ed., Napoli, 2006, 334 ss. Qui il tema, però, è non solo l’autonomizzazione del vaglio ex art. 1322 c.c. rispetto a quello di liceità ex art. 1343 c.c. ma anche analizzare la centralità che il richiamo alla meritevolezza ha nella valutazione dei contratti finanziari.
(9) Fanno riferimento e utilizzano allo stesso modo il concetto di meritevolezza anche altre sentenze relativamente recenti su con- tratti non finanziari. In tema di contratti assicurativi e di clausole claims made impure, si vedano Xxxx., SS.UU., 6 maggio 2016, n. 9140, in Foro it., 2016, 2013 ss. con note di X. Xxxxxxxxx - A. Xxxxxxxx -
X. Xxxxxxx, Sul giudizio di meritevolezza, utilizzato per espungere da un disciplinare di concessione di una derivazione d’acqua una clau- sola sconveniente, si veda Cass., SS.UU., 17 febbraio 2017, n. 4224, in Nuova giur. civ. comm., 9, 2017, 1205 ss.
(10) A tale sentenza ha fatto recentemente seguito anche Xxxx. 27 febbraio 2017, n. 4907 e Cass. 19 dicembre 2017,
n. 31183, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
l’alterazione dell’equilibrio contrattuale realizzato con detto modello negoziale.
La non congruità dello scambio, legata alla valuta- zione del caso concreto, scaturisce dalla considera- zione che la banca consegue senz’altro un lucro, corrispondente agli alti interessi pagati dal cliente, il quale invece si espone al rischio che il valore degli strumenti finanziari acquistati sia inferiore all’am- montare degli interessi stessi corrisposti.
In definitiva, mentre la banca effettua un investi- mento sicuramente redditizio, il risparmiatore assume tutti i rischi inerenti all’oscillazione dei mer- cati e alla difficoltà di realizzare il valore dei titoli. Dal sostanziale sbilanciamento del rischio econo- mico del contratto addossato su una soltanto delle parti (il cliente), la Corte fa discendere l’immerite- volezza dell’operazione ai sensi dell’art. 1322 c.c., perché non coerente con i principi di cui agli artt. 38 e 47 Cost., sulla tutela del risparmio e l’incentivo delle forme di previdenza, anche private (11).
Altro scenario giurisprudenziale, in punto di vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., è quello che si delinea in relazione alle ipotesi di derivati e nella specie di interest rate swap negoziati al banco.
Anzi mi si permetta di sottolineare come il criterio di meritevolezza assuma una quasi inedita centralità nella valutazione di questa tipologia di contratti finanziari.
Le decisioni in cui si fa ricorso al vaglio ex art. 1322, comma 2, c.c., sono molteplici.
Analogamente a quanto emerso in materia di opera- zioni finanziarie for you e my way, anche in tema di irs OTC negoziati al banco, la giurisprudenza ha rite- nuto che siano immeritevoli di tutela quei contratti connotati da asimmetricità dell’alea, in cui emerga una ripartizione sbilanciata e non condivisa del rischio negoziale (12).
Ancora, richiama la clausola di meritevolezza, una recente Cassazione (13), concernente un irs OTC sottoscritto dal cliente con l’obiettivo di realizzare una copertura, poi rivelatosi sostan- zialmente speculativo.
Nella specie la Suprema Corte, con questo arresto, misura la meritevolezza dell’irs in base agli artt. 21
T.U.F. e 26 Regolamento Intermediari Consob (nella sua precedente versione n. 11522/1998), norme imperative ed inderogabili che dettano, quali criteri di comportamento degli intermediari, la diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e dell’integrità del mercato.
In buona sostanza il ragionamento si fonda sulla considerazione che l’irs di copertura, per essere rispondente all’interesse oggettivo del cliente rispar- miatore, deve possedere i requisiti che sono indicati nella determinazione Consob del 26 febbraio 1999, DI/999013791, che si inquadra nell’ambito delle misure di attuazione del T.U.F. e del Regolamento Consob (e cioè degli artt. 21 T.U.F. e 26 Regola- mento Intermediari sopra citati).
L’assenza nell’irs delle caratteristiche sopra richia- mate implica mancata cura dell’interesse del cliente e immeritevolezza del contratto ex art. 1322 c.c.
L’impostazione di questa pronuncia per alcuni aspetti si discosta ma per altri è assimilabile al noto indirizzo giurisprudenziale, inaugurato dalla Corte d’Appello di Milano (14), sempre concernente la validità di un’operazione di copertura finanziaria, in concreto inidonea a realizzare tale finalità.
In questo caso la Corte territoriale, considerata la incapacità della negoziazione in derivati ad assolvere la dichiarata funzione di copertura, ne ha sancito la nullità per difetto di meritevolezza.
Nello specifico la Corte ha precisato che il derivato, sia esso speculativo o di copertura, debba essere qualificato come scommessa autorizzata, individuan- done la causa “nella consapevole razionale creazione di alee che, nei derivati c.d. simmetrici, sono reci- proche e bilaterali”.
A conferma di tale qualificazione deporrebbe il dato letterale dell’art. 23, comma 5, T.U.F. che, nell’e- scludere l’applicazione dell’art. 1933 c.c. a tale fatti- specie negoziale, escluderebbe l’assimilazione alla scommessa c.d. tollerata (“ovvero alla scommessa tradizionalmente concepita come socialmente
(11) In dottrina si vedano le considerazioni relative a meritevo- lezza e contratto for you di X. Xxxxxxx, Il giudizio di meritevo- lezza, in Giur. it., 2017, 55 ss.; A. Xxxxx, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Banca, borsa, tit. cred, 2016, II, 1317 ss.; X. Xxxxxxxx, For you, for nothing o meritevo- lezza, in Società, 2016, 729 ss.; E. Xxxxxxxxx, Validità del prodotto finanziario My way e tutela dell’investitore, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, 356 ss.
(12) Trib. Roma, Sez. III, 8 gennaio 2016, n. 212, in Ilsocietario. it, 2016, 18 maggio.
(13) Cass. 31 luglio 2017, n. 19013, in Corr. giur., 2018, 339 ss.
(14) App. Milano 19 settembre 2013 diffusamente commen- tata (in questa Rivista, 2014, 213, con nota di Xxxxxxx, Recenti
evoluzioni dell’aleatorietà convenzionale: i contratti derivati OTC come scommesse razionali; in Banca, borsa, tit. cred., 2014, 3, II, con nota A. Xxxxx; in Giur. comm., 2014, 2, II, 277, con nota di Xxxxxx Xxxxxxxx; in Rass. dir. civ., 2014, 1, 295, con nota di Xx Xxxxx), nella cui scia si pongono, tra le altre, Trib. Torino 17 gennaio 2014, in questa Rivista, 2014, 1012 ss.; App. Bologna 11 marzo 2014, n. 734, in questa Rivista; Trib. Milano 16 giugno
Contro tale indirizzo, esclude che la causa e la meritevolezza del contratto dipendano dalla puntuale raffigurazione dei rischi pre- sentati dal contratto, App. Milano 11 giugno 2018, n. 2859 - Pres. Bonaretti, Rel. Catalano, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
improduttiva, del tutto estranea all’area dei contratti di scommessa legalmente autorizzata che il legislatore considera legalmente improduttivi”).
Ora, solo laddove l’alea sia frutto di una “valutazione razionale in termini di entità e natura” risulterebbe soddisfatto il parametro di meritevolezza, condizione di riconoscibilità nel nostro ordinamento.
A tale riguardo le parti saranno tenute a conoscere e concordare il mark to market, la remunerazione del- l’intermediario e gli scenari probabilistici.
La mancanza anche di uno solo di questi elementi determinerebbe la nullità dello swap perché sarebbe in tal caso comunque preclusa l’individuazione del rischio e la convenzionalità dell’alea.
Nella prima pronuncia l’immeritevolezza dell’irs OTC discende dal contrasto dell’assetto di interessi in gioco, palesemente squilibrato, con le norme cogenti desumibili dal T.U.F. e dal Regolamento Intermediari.
Si realizza, quindi, un tentativo di “armonizza- zione” e “una reciproca integrazione del diritto comune e del diritto speciale dell’intermedia- zione finanziaria” (15).
Nella seconda pronuncia l’immeritevolezza del con- tratto atipico, assunta la non riconducibilità dello schema negoziale a quello della scommessa autoriz- zata, discende dalla mancata governabilità dell’alea contrattuale ovvero dalla mancata conoscenza degli elementi che valgono a connotare tale alea. In altri termini, il fatto che banca e cliente non hanno conosciuto e condiviso la qualità e quantità dell’alea, il modello e il metodo di calcolo del valore finanziario e gli scenari probabilistici, esclude la rilevanza giuri- dica e la meritevolezza dell’assetto di interessi attuato in concreto con l’operazione finanziaria.
Entrambi gli arresti, comunque, sono in linea con quanto recentemente affermato dalla Cassazione, sem- pre in merito alla validità degli swaps, sotto il profilo della metodologia del ricorso al giudizio di meritevo- lezza ai fini di riequilibrio equitativo del contratto, per cui il vaglio ex art. 1322 c.c. va compiuto secondo una valutazione effettuata ex ante, non ex post (16).
In questo excursus giurisprudenziale si inserisce anche la presente sentenza della Corte d’Appello di Trieste, in linea con le altre pronunce evocate.
Si registra sicuramente un ricorso innovativo e moderno al controllo di giuridicità dell’atto nego- ziale (17). In altri termini, è evidente una conforma- zione dell’uso del giudizio di meritevolezza che, prescindendo dalla sua vocazione per così dire “fisio- logica”, piega la convenzione a valori extra ordinem, ai principi costituzionali di solidarietà e di eguaglianza sostanziale, non limitandosi ad essere solo veicolo di congruenza fra norma privata e norma costituzionale. Ora, è evidente che su questo diverso uso della meritevolezza incide la mutata percezione dell’auto- nomia contrattuale radicalmente modificata nel corso degli ultimi decenni (18).
Si è detto, addirittura, che ormai sarebbe ana- cronistico parlare di sanctity of contract (19): nel senso che, anche in virtù del condizionamento che discende dal diritto privato europeo e non solo dal diritto costituzionale, si è costituito un sistema di tutela del contraente debole, in primo luogo del consumatore, che profondamente ha inciso sul concetto di autonomia negoziale, tanto da ammettere la configurazione di un principio di equilibrio e di proporzionalità delle prestazioni che permea il sistema giuridico.
Gli orientamenti dottrinali sul ricorso al vaglio di meritevolezza in questa logica sono diversificati.
A posizioni pressoché neutrali (20), si affiancano letture abrogative dell’uso della regola in questione o, “a tutto concedere”, letture “ispirate a grande cautela” (21). Tra gli orientamenti critici, si è detto che è opinabile il ricorso al vaglio di meritevolezza agganciata a valori costituzionali, al solo fine di limitare l’autonomia privata in correlazione a situa- zioni di indole non generale, ma avuto riguardo alla specificità del caso concreto.
Diversamente potrebbe essere apprezzata l’appli- cazione dell’art. 1322, comma 2, c.c., e non se ne tradirebbe il significato, quando detto giu- dizio sia teso a verificare “se vi siano dissonanze
(15) A. Xxxxx, Condotta dei contraenti e meritevolezza degli interessinellaprestazionedeiservizidiinvestimento, in Corr. giur., 2017, 349 ss. (sp. 354-355). È questo un discorso svolto anche da
X. Xxxxxxxxx, La Nullità del contratto e l’interest rate swap, repe- ribile in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 177 ss., sp. 184.
(16) Così da ultimo, Xxxx. 13 luglio 2018, n. 18724 in www. xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
(17) In questo senso X. Xxxxxxxx, For you, for nothing o meritevolezza, cit., 730-731.
(18) S. Xxxxx, Xxxxxxxx generali e discrezionalità del giudice, cit., 134-136.
(19) X. Xxxxxxxxxx, Il controllo giudiziale dell’equilibrio delle prestazioni contrattuali tra apparente interpretazione correttiva e reale integrazione dell’atto di autonomia privata, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 758 ss. Sul punto anche X. Xxxxxxx, voce “Auto- nomia privata (profili costituzionali)”, in Annali, Enc. dir., Milano, 2015, 61 ss.
(20) X. Xxxxxxxx, Autonomia privata e intervento del giudice, in questa Rivista, 2017, 625 ss.
(21) A. Xxxxxxxxx, Il contratto immeritevole e il rasoio di Occam, in Nuova giur. civ. comm., 2, 2018, 253 ss.
tra scopi dell’ordinamento e scopi del tipo contrattuale” (22).
Maggiore apertura, più in generale sul ricorso alle clausole generali come strumenti di riequili- brio del contratto per le mani del giudice, dimo- stra quell’autorevole dottrina che, in una articolata disamina dell’uso dell’argomento costi- tuzionale nella giurisprudenza ordinaria, giunge alla conclusione che le clausole generali, un tempo considerate con sospetto, “possono ora essere ritenute lo strumento giuridico più inci- sivo per garantire la giustizia contrattuale” (23). Lo sviluppo del ragionamento ha come cardini di riferimento alcune pronunce note che connotano l’esperienza giurisprudenziale dell’ultimo ventennio in linea con gli indici della Costituzione.
Nel richiamare la sentenza in materia di riducibilità d’ufficio della clausola penale manifestatamente eccessiva e la pronuncia in materia di abuso del diritto di recesso ad nutum, ispirate entrambe all’ap- plicazione della clausola generale di buona fede con- trattuale e del dovere di solidarietà sociale, l’Autore evidenzia la tendenza a governare l’autonomia pri- vata attraverso una sorta di riequilibrio del contratto per via giudiziale.
Lo scopo di questo orientamento nella prassi appli- cativa è quello “di valorizzare i diritti del soggetto che operi in un determinato contesto socio economico, indipendentemente non solo dalla preventiva previ- sione e regolamentazione legislativa, ma anche dalle pattuizioni contrattuali in cui si esprime l’autonomia privata” (24).
In un ambito così peculiare come quello dei nuovi contratti finanziari, regno dell’asimmetria contrat- tuale, in cui nemmeno la disciplina di settore sembra in grado di piegare lo squilibrio contrattuale, tenden- zialmente insanabile (25), trova giustificazione la scelta dell’autorità giudicante che tutela la parte debole della contrattazione, con un argomentare che non riguarda la patologia negoziale né l’inadem- pimento ma, a priori, l’irrilevanza giuridica delle operazioni contrattuali concluse (26).
In questo modo, si evita aprioristicamente di incor- rere nella distinzione fra regole di validità e regole di condotta degli intermediari, sancita proprio in mate- ria di contratti di intermediazione dalle sentenze Rordorf (27).
Aggiungo che, in questo modo, al vaglio di meritevo- lezza si riconosce un sostanziale ruolo rimediale e che ciò nasce dall’esigenza avvertita di non lasciare all’autono- mia privata il governo del fenomeno contrattuale.
Si supera, infatti, il problema di quale possa essere la conseguenza della violazione degli obblighi informa- tivi imposti dalla disciplina di settore finanziaria, perché a monte l’operazione è valutata come irrile- vante per il nostro sistema, in tal modo dissolvendo il caposaldo delle sentenze Rordorf.
Quello del ricorso alla meritevolezza, in quest’am- bito, ha un senso se collocato in una prospettiva ampia di sistema e, seppur con una certa cautela, la conclusione è che lo strumento potrebbe trovare una sua giustificazione.
Per tornare alla Corte d’Appello di Trieste, lo squili- brio delle prestazioni (che connota in concreto il
(22) X. Xxxxxxxx, Della meritevolezza. Il caso claims made, in
Foro it., 2017, 3117 ss.
(23) X. Xxxxxxx, voce Autonomia Privata (Profili costituzionali), in Enc. dir. annali, Milano, 2015, 61 ss. (sp. 88 -92); si vedano anche le riflessioni di M.C. Perchinunno, Il controllo di meritevolezza delle clausole claims made, in Cont. e impr., 2017, 746 ss. Questa A., in particolare, afferma (755) che “il giudizio di meritevolezza diventa sì un principio che consente di ampliare il raggio di azione dell’autonomia privata, ma diventa altresì un contenitore che, di volta in volta, in relazione al caso concreto, i giudici dovranno riempire per rendere ‘giustizia alla concreta realtà di un rapporto vitale, senza tuttavia il rischio di una incontrollabile soggettivismo della decisione’. (N. Irti, Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 2015, 11 ss.)”.
Anche A. Xxxxx, Condotta dei contraenti e meritevolezza degli interessi nella prestazione dei servizi di investimento, in Corr. giur., 3, 2018, 349 ss. (sp. 354) osserva che “[omisssi] la sentenza in esame (con riferimento a Xxxx. 31 luglio 2017, n. 19013) compie un passo ulteriore, ravvisando proprio nelle regole di settore un parametro per valutare la meritevolezza degli interessi del con- tratto, così realizzando una armonizzazione e una reciproca inte- grazione del diritto comune dei contratti e del diritto speciale dell’intermediazione finanziaria”.
(24) X. Xxxxxxx, op. cit., 89.
(25) In tal senso X. Xxxxxxxx, Copertura e speculazione: funzioni e disfunzioni dell’interest rate swap, in www.dirittoban- xxxxx.xx.
(26) Colpisce anche l’osservazione, particolarmente adatta al ricorso al vaglio di meritevolezza nell’ambito della disciplina dei contratti finanziari, di G. Oppo, in Note sulla contrattazione di impresa, in Riv. dir. civ., 1995, I, 639 che autorevolmente ha evidenziato come, onde evitare che la costituzionalizzazione del contratto si tramuti in funzionalizzazione, “basta spostare la mira dall’art. 2 all’art. 41 Cost.” e leggere in particolare i contratti di impresa come strumenti di un’attività economica che non contra- sta l’utilità sociale.
(27) Le sentenze sono le pronunce della Cass. nn. 26724 e 26725 del 19 dicembre 2997 in Corr. giur., 2008, 2, 223 ss., con nota di Xxxxxxxxx.
Le considerazioni sono di A. Xxxxx, Il contratto inadeguato e il contratto immeritevole, in Contr. e impr., 3, 2017, 921 ss.; Id., Condotta dei contraenti e meritevolezza degli interessi nella pre- stazione dei servizi di investimento, in Corr. giur., 349 ss. L’A., nell’ult. op. cit., 355, osserva che “Il contratto di investimento inadeguato, sotto il profilo della non rispondenza agli obiettivi di investimento del cliente, può, dunque risultare immeritevole, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c.”.
Analogamente anche X. Xxxxxxxx, Autonomia privata e intervento del giudice, in questa Rivista, 2017, 625 ss. (sp. 634-635).
regolamento contrattuale) è considerato alla luce di un superiore principio di solidarietà, che si proietta nella regola della buona fede contrattuale.
La Corte, in altri termini, valuta la non meritevolezza dell’assetto di interessi perseguito, operando un bilanciamento dei contrapposti valori in gioco, quello individuale della banca e quello superiore solidaristico che domina e presiede alla regolazione degli interessi privati, in tal modo garantendo ed affermando un superiore principio di congruità contrattuale.
Sullo sfondo di queste riflessioni resta il dubbio che il ricorso alla meritevolezza, da parte della giurispru- denza, sconti il limite e la difficoltà di individuare un punto di equilibrio tra il perseguimento di una finalità equitativa di giustizia contrattuale e lo spettro di un’insufficiente certezza del diritto che nasce dalla imprevedibilità delle decisioni e dal potenziale arbi- trio, conseguente all’attingere alle clausole generali. Inoltre, passando ad una valutazione critica, il ricorso al giudizio di meritevolezza con una copertura costi- tuzionale, ai fini di un riequilibrio equitativo del contratto, pone il problema della individuazione del confine effettivo fra le due modalità di controllo quello di liceità e quello di meritevolezza.
Anche a voler ammettere che il nostro ordinamento sottoponga la causa dell’atto di autonomia ad un duplice vaglio (28), un tema che rimane aperto è
quello di individuare l’ambito d’applicazione del- l’uno e dell’altro, contenendo la tendenza a margi- nalizzare il primo se si amplia la portata del secondo. Il rilievo attribuito alle norme costituzionali, che fonda la c.d. “costituzionalizzazione del con- tratto” (29), riduce, infatti, la configurabilità di negozi con causa illecita per contrarietà all’ordine pubblico e il buon costume, valori assorbiti dall’ap- plicazione del parametro di meritevolezza diretta- mente integrato dai principi costituzionali.
La qualificazione giuridica della clausola rischio cambio come derivato implicito
La valutazione della Corte d’Appello in ordine alla meritevolezza dell’operazione negoziale posta in essere, permette di escludere a priori qualsiasi valu- tazione sulla configurazione e sulla natura giuridica del contratto di leasing con annessa clausola rischio- cambio.
Il che, se da un lato agevola il giudizio, dall’altro certamente non contribuisce alla riflessione sulla categoria dei c.d. embedded.
A tale riguardo, qualche pur breve considerazione è doverosa, perché si ritiene, con ciò anticipando gli esiti del ragionamento, che la forte matrice aleatoria di tale pattuizione legittimi la sua riconducibilità alla fattispecie di derivato (30).
(28) Pur non essendo questa certamente la sede per affrontare un tema tanto articolato, una lettura (X. Xxxxxxxxxxx, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, Napoli, 2014, 588 ss.) che appare condivisibile, ricostruisce il controllo di meritevolezza come controllo positivo di “idoneità dell’atto concreto all’attua- zione del valore” in aggiunta al controllo di liceità che vale come controllo normativo negativo, essendo “diretto a negare tutela giuridica a interessi in contrasto con valori fondamentali”.
(29) X. Xxxxxxxxxxx, Appunti sull’inquadramento della disciplina delle c.d. condizioni generali di contratto, in AA.VV., Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, Milano, 1970, spec. 22, anche se da ultimo questo Autore qualifica le norme costituzionali come norme imperative e, quindi, perviene a sinda- care gli atti di autonomia privata direttamente sulla base dei princìpi costituzionali, senza il filtro dell’ordine pubblico: cfr. X. Xxxxxxxxxxx - A. Xxxxxxxx, Manuale di diritto civile, VII ed., Napoli, 2014, 590.
(30) In dottrina, sullo specifico tema dei derivati impliciti,
X. Xxxxxx Xxxxxxxx, Le clausole di indicizzazione come strumenti finanziari derivati?, in Giustizia xxxxxx.xxx del 17 dicembre 2015;
X. Xxxxx, La violazione della regola della trasparenza nel mutuo con tasso floor ed il problema della scommessa razionale nel derivato implicito, in Resp. civ. prev., 2015, 25 ss. In generale sui derivati incorporati, X. Xxxxxxx, Iderivati incorporati sonoderivatiedincidonosullaqualificazionecivilisticadeicontratti di finanziamento, in Società, 2016, 1385 ss.; A. Dolmetta, Di derivati impliciti e di derivati apparenti, in Riv. dir. banc., 4, 2016;
X. Xxxxxxxxx, Componenti derivative e causa di finanziamento, in Le operazioni di finanziamento, bancario, societario, sull’estero, al consumatore, strutturato, a mezzo garanzia, pubblico, diretto da Xxxxxxx e proseguito da Panzarini - Dolmetta - Patriarca, Torino, 2016, 1697 ss.; E. Girino, I derivati impliciti: vizi e virtù della
scomposizione, in Riv. dir. banc., 2016, www.rivistadirittobanca- xxx.xx.
Per riflessioni sulla riqualificazione dell’attività di intermediazione in cambi, si veda X. Xxxxxxx, La riqualificazione dell’attività di intermediazione in cambi come prestazione di servizi di investi- mento in strumenti finanziari, in Le Corti Fiorentine, 2016, 43 ss. Sulla tematica ampiamente dibattuta dei contratti derivati, da ultimo, la monografia di X. Xxxxxxxx, Alla ricerca del “derivato”, Milano, 2016; ma si vedano anche X. Xxxxxxx, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, in Riv. dir. civ., 2016, 1096 ss. e, per una sintesi dei contributi, X. Xxxxxxx, Causa ed autonomia privata nei contratti derivati, in Causa del contratto, contratto - Evoluzioni interpreta- tive ed indagini applicative, Milano, 2016, 193 ss.
Si vedano anche gli scritti di X. Xxxxxxx, Alea giuridica e calcolo del
rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, in Riv. dir. civ., 2016, 1096 ss.; X. Xxxxxxx, L’ufficio di diritto privato dell’intermediario e il contratto derivato over the counter come scommessa razionale, in X. Xxxxxxx (a cura di), Swap fra banche e clienti, Milano, 2014, 19. Dello stesso A., sul tema La causa del contratto di interest rate swap e i costi impliciti, in Riv. dir. Banc., 2013; Id., I costi impliciti nell’interest rate swap, in Giur. comm., 2013, I, 648 ss.; Id., Le stagioni dell’orrore in Europa: da Franken- xxxxx ai derivati, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 3, pt. 1, 280-309. In giurisprudenza, si vedano le pronunce del Trib. Udine 29 feb- braio 2016, n. 263; 13 maggio 2015, n. 711; 20 luglio 2015, n. 1036; 25 agosto 2015, n. 1179; 1° settembre 2015, n. 1196, tutte in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
In relazione alla clausola di indicizzazione degli interessi come strumento finanziario derivato, ne nega l’autonoma configura- zione come derivato implicito, Trib. Udine 13 maggio 2015, n. 711.
Una delle questioni attualmente più controverse in materia di derivati finanziari è proprio quella con- cernente l’individuazione dei derivati c.d. impliciti, che si inseriscono in operazioni di finanziamento.
Risolta tale criticità, sorge un diverso tema di inda- gine: se qualificare dette pattuizioni come autonome (si discute, come meglio si dirà, di clausole limitative delle oscillazioni del tasso di interesse -floor/cap, di clausole di indicizzazione e di clausole di cambio) ovvero se considerare le stesse perfettamente inte- grate nel contratto host principale.
Questione subordinata, perché consequenziale logi- camente, è l’incidenza di dette clausole sulla qualifi- cazione civilistica del contratto di finanziamento incorporante e se le stesse inquinino o meno (31) la funzione del contratto host cui accedono.
Procedendo con ordine, non si può prescindere, per una corretta comprensione, da una descrizione delle diverse fattispecie considerate come possibili ipotesi di embedded.
Un’ampia casistica è offerta, più che dalle pro- nunce giurisprudenziali sul tema, che restano poche (32), dalle numerose pronunce del- l’ABF (33) che si sono succedute negli anni nei collegi di tutta Italia.
Una delle ipotesi in cui è dato di frequente identificare i derivati incorporati è quella che si è posta all’attenzione degli interpreti in virtù delle recenti fluttuazioni al ribasso del tasso di interesse variabile in contratti di natura crediti- zia: si tratta nella specie di contratti di leasing o di mutuo (in genere contratti di finanziamento) che contengono clausole tali da incidere sugli interessi da pagare.
In genere queste clausole si identificano in un floor o in un cap, ovvero nell’individuazione di un tasso soglia, al di sotto del quale o al di sopra del quale, l’interesse variabile, non è dovuto. Il guadagno tratto dal soggetto nel cui interesse è predisposto il tasso soglia è pari alla differenza tra interesse di mercato e interesse al tasso soglia.
La combinazione del floor e del cap formano il c.d. collar, vale a dire una griglia che serve a mantenere in limiti definiti l’oscillazione del tasso variabile.
Tradotto in altri termini, in caso di mutuo con tasso floor, il mutuante acquista, dietro pagamento di un corrispettivo, un’opzione alla riconduzione del tasso variabile al tasso soglia, sicché quando il primo scende al di sotto del limite prestabilito, il mutuante, esercitata l’opzione, ha comunque diritto al tasso soglia (con un guadagno pari al differenziale tra tasso di mercato e tasso soglia, decurtato, ovvia- mente il valore del premio pagato per l’acquisto dell’opzione).
Analogamente ma in senso contrario opera l’apposi- zione di un cap al tasso di interesse variabile, tendente non al ribasso ma al rialzo. Il mutuatario, in questo caso, acquista un’opzione al tasso soglia, esercitata solo quando il tasso variabile eccede il limite stabilito (con un guadagno anche in questo caso pari al diffe- renziale di valore fra tasso di mercato e tasso soglia, decurtato il prezzo per l’acquisto dell’opzione) (34). Altra supposta ipotesi di derivato implicito è quella che ricorre in caso di contratti di finanziamento con clausola di rischio cambio. È questa la fattispecie in cui si decide di ancorare l’indicizzazione del tasso di interesse (nel mutuo) o del canone (nel leasing) alle oscillazioni del rapporto di cambio fra monete diverse.
Si pensi ad es. all’ipotesi di contratto di finanzia- mento, cui sia apposta una clausola che contempli l’indicizzazione del canone alle oscillazioni della valuta per es. franco-svizzera rispetto al cambio sto- rico di riferimento in euro (35) (per riferirci al caso oggetto della pronuncia della Corte di Trieste).
Si tratta in concreto di un accordo con cui i con- traenti si impegnano allo scambio di un differenziale di valore: in buona sostanza, le parti reciprocamente si obbligano a pagare il differenziale tra l’ammontare in franchi del canone pattuito al momento della conclusione del contratto di finanziamento e l’am- montare in franchi dello stesso canone, con
Sulla clausola rischio cambio, riconosce la natura autonoma di derivato incorporato, oltre al Trib. Udine 29 febbraio 2016, n. 263, anche Trib. Udine 13 maggio 2015, n. 711.
(31) Così A. Dolmetta, Di derivati impliciti e di derivati apparenti, in Riv. dir. banc., 4, 2016, 5.
(32) Trib. Udine 29 febbraio 2016, n. 263; 13 maggio 2015, n. 711; 20 luglio 2015, n. 1036; 25 agosto 2015, n. 1179; 1° settembre 2015, n. 1196, tutte in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
(33) Sulla clausola floor inserita in un contratto di mutuo, e sulla sua possibile riqualificazione come opzione floor e quindi come vero e proprio strumento derivato, si vedano da ultimo le pronunce dell’ABF Roma 30 settembre 2015, n. 7669 e ABF Napoli 16 settembre 2015, n. 7355. In relazione a tale clausola floor, sulla sua natura vessatoria, ai sensi dell’art. 1341 c.c., o abusiva, ai sensi
degli artt. 33 ss. del codice del consumo, si veda ABF Napoli 5 maggio 2014, n. 2735.
(34) Inevitabilmente la condivisione dell’apposizione di un tasso soglia oltre il quale è precluso l’aumento del tasso di inte- resse evoca un tema (tra i più dibattuti in diritto bancario e finan- ziario) che è quello della c.d. xxxxx sopravvenuta. La questione, ben nota, è quella dell’usurarietà del tasso di interesse variabile che supera i limiti posti dal tasso di usura corrente non al momento della conclusione del contratto ma successivamente, nella fase di esecuzione del contratto stesso di finanziamento.
(35) Sulle ragioni connesse alla determinazione convenzionale del tasso di interesse, si veda il contributo di A. Parziale, Derivati impliciti, clausole floor e zero floor nei contratti bancari, in Diritto della Banca e del Mercato Finanziario, 4, 2016, 717 ss.
riferimento al momento in cui il canone dovrà essere corrisposto.
In altri termini, per essere ancora più chiari, le parti si obbligano reciprocamente all’adempimento di un’obbligazione pecuniaria futura, ovvero al paga- mento della differenza fra il valore in franchi del canone inizialmente pattuito in euro e il valore in franchi del canone al momento della scadenza, differenza liquidata dal finanziatore o dal finanziato, a seconda dell’oscillazione del tasso di cambio franco/euro. Ora, la connotazione delle fattispecie sopra descritte (floor o cap; clausola rischio cambio) quali derivati (seppur incorporati o embedded), ruota intorno alla ricostruzione del tipo tendenziale di contratto derivato, incentrata proprio sul diffe- renziale di valore (36).
Il ragionamento che, in altri termini, si intende svolgere è il seguente: se è vero che le diverse opera- zioni in derivati sono riconducibili trasversalmente al contratto differenziale, laddove le pattuizioni sopra richiamate siano connotate dalla liquidazione per differenze, che ha in sé il seme dell’aleatorietà con- trattuale, allora detti accordi sono derivati (anche se impliciti e non resi palesi).
È noto che molto si discute, nella dottrina speciali- stica di settore, se nella varietà delle operazioni in derivati, alcuni di essi abbiano la stessa struttura dell’operazione differenziale semplice (37); in tale schema negoziale (si pensi al caso di una compraven- dita a termine di titoli, merci, valute) le parti con- vengono, al momento della stipulazione, di liquidare le reciproche obbligazioni, solo con la corresponsione del differenziale dato dal raffronto fra il valore del- l’entità sottostante al momento della stipulazione e il valore che la stessa entità avrà al momento dell’ese- cuzione; con la conseguenza che, se il prezzo nel frattempo sarà aumentato, guadagnerà il compratore, se sarà diminuito, guadagnerà il venditore.
Il settlement per differenziali costituisce, in questa ipotesi, il riflesso di una scelta funzionale sottostante:
l’incertezza in ordine a chi debba eseguire il paga- mento e al quantum dovuto, concorre, infatti, a determinare la natura aleatoria del contratto concluso (38).
Ebbene, quando nei cc.dd. plain vanilla (option, future, swap) (39) si inserisce il meccanismo del pagamento per differenziale, la clausola incide sotto il profilo strutturale e funzionale del contratto; la liquidazione per differenze qualifica la fattispecie. Le parti non si obbligano, infatti, al reciproco scam- bio di pagamenti ma ad un unico pagamento, da eseguire alla scadenza di un termine convenzional- mente stabilito, incerto in ordine al quantum ma anche al profilo soggettivo, con riguardo cioè al soggetto che sarà tenuto ad adempiere, scegliendo di porre in essere un’operazione palesemente aleato- ria, assimilabile alla scommessa.
Tornando alla clausola rischio cambio e posponendo ad essa le considerazioni svolte, è di tutta evidenza che l’elemento finalistico sotteso al meccanismo finanziario congegnato dal finanziatore, ovvero allo scambio di differenziale, sia la funzione di lucro incerto, connessa all’oscillazione di valore del tasso di cambio di riferimento, che accumuna questa ipo- tesi ai derivati plain vanilla (nei termini descritti) e ai contratti aleatori puri in generale (per tornare ad una qualificazione più strettamente civilistica) (40).
Le conseguenze applicative connesse alla qualificazione giuridica della clausola rischio cambio come derivato implicito
Come anticipato, ci sono due temi legati alla quali- ficazione giuridica dei derivati embedded: il primo concerne il rapporto fra contratto host e clausola atipica contenente l’implicito ed, in particolare, come la presenza di quest’ultima pattuizione reagisca sulla causa e quindi sulla natura giuridica dell’intero contratto; il secondo riguarda, invece, l’applicabilità o meno della disciplina T.U.F. e di quella secondaria
(36) Così anche X. Girino, Sviluppi giurisprudenziali in materia di derivati over the counter, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, 96-97.
(37) Sul punto, G. Belli, Icontratti instrumenti finanziari derivati: nuove strategie di copertura del rischio o dissennata specula- zione,n Jus Civile, Torino, 2015, 10, 577-615; mi sia consentito il rinvio anche a X. Xxxxxxx, Aleatorietà convenzionale dei contratti derivati, Padova, 2013, 94 ss.
(38) Xxxxx configurazione aleatoria del contratto differenziale, si vedano le riflessioni di X. Xxxxxxx D’Xxxxxxxx, in I contratti di borsa e di riporto, in Tratt. dir. civ., diretto da Xxxx - Xxxxxxxx, Milano, 1969, 405; X. Xxxxxxx, I contratti di borsa, in Tratt. dir. comm., II, Padova, 2014, 891.
(39) X. Xxxxxxx, La causa del contratto di interest rate swap e i costi impliciti, in Riv. dir. banc., xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 2013; Id., I costi impliciti nell’interest rate swap, in Giur. comm., 2013, I, 648
ss.; Id., Le stagioni dell’orrore in Europa: da Frankenstein ai derivati, in Banca borsa tit. cred., 2012, 3, pt. 1, 280 - 309; Id., Homo oeconomicus, homo ludens: l’incontrastabile ascesa della variante aliena di un tipo marginale, la scommessa legalmente autorizzata (art. 1935 cod.civ.), in Contr. e imp., 2013.
(40) Si tratta, con ciò parafrasando quanto previsto dal Trib. Udine 26 luglio 2015 di un “domestic currency swap”, “in cui le controparti compravendono due forward su ...nozionali di riferi- mento espressi in valute differenti, definendo così un tasso di cambio iniziale e alla scadenza si impegnano a scambiare esclu- sivamente le differenze che saranno verificate” (così si pronuncia
A. Xxxxxxxx, in Della ricerca giurisprudenziale di contenere entro ragionevoli limiti l’operatività in derivati, in Società, 6, 2016, 709 ss. (v. in particolare 717).
che la specifica, ai contratti che contengono un derivato implicito.
Con particolare riguardo all’ipotesi all’attenzione della Corte d’Appello di Trieste, con il solo scopo di calare il ragionamento nel concreto, prescindendo dal fatto che la questione non è affrontata dall’arresto commentato, ci si deve chiedere come, in sostanza, l’inserimento della clausola rischio cambio, conno- tata dalla funzione di lucro incerto, si rapporti con il contratto di leasing cui accede; se la clausola rischio cambio, qualificata derivato implicito, sia soggetta al
T.U.F. e alle disposizioni regolamentari vigenti in tema di negoziazione in derivati.
I temi sopra evidenziati (autonomia del derivato implicito, incidenza sul contratto host, assoggetta- mento alla disciplina in tema di intermediazione finanziaria) sono di notevole interesse ricostruttivo. Quanto alla prima questione, in giurisprudenza l’orientamento prevalente sembra intendere l’opera- zione come collegamento negoziale tra più contratti (contratto host e derivato implicito) (41). In altri termini, scomponendo l’operazione negoziale ed identificando due contratti, pur collegati, si tende a negare la categoria giuridica del derivato implicito, nascosto ovvero dissimulato nel contratto host.
I contributi dottrinali in materia (42) sono, da un lato, nel senso di ammettere il derivato all’interno del contratto principale, riconoscendo la categoria di derivato implicito; dall’altro nel senso di negarne l’autonoma configurazione (43).
Esistono ovviamente delle sfumature di ricostruzione. Secondo un primo indirizzo (44), che riconosce la categoria di derivato implicito, la disciplina che governa la prestazione di servizi di investimento desunta dal T.U.F. deve essere estesa anche ai finan- ziamenti che incorporano derivati, posto che la natura giuridica del derivato incorporato (atto di investimento con connotazione aleatoria) incide sull’intera operazione negoziale in essere.
Una prima riflessione discende dalla valutazione delle ragioni che giustificano l’applicazione all’atti- vità di investimento in prodotti finanziari delle norme in materia di trasparenza finanziaria; è evi- dente che l’applicazione generalizzata di queste disposizioni nasce dall’esigenza di tutelare il cliente in funzione di una finalità sovraordinata che è quella della tutela dell’integrità e correttezza del mercato.
Si sostiene correttamente che la clausola rischio cambio debba essere pubblicizzata, specie se acclusa ad un contratto di finanziamento perché trattasi di un’opzione di riconduzione del canone in euro al canone in franchi, con guadagno per l’ente finanziatore che è quantificato nel differenziale fra valore delle valute al momento della conclusione del contratto e al momento della scadenza del canone.
Il cliente deve conoscere l’operazione economica che sta ponendo in essere, perché deve essere in grado di ponderare il rischio connesso all’operazione scelta. L’unica ragione, osserva la dottrina citata, sufficien- temente forte che potrebbe, in ottica di bilancia- mento di contrapposti interessi, indurre ad escludere l’adempimento degli obblighi informativi che discendono dall’applicazione del T.U.F. (dall’art. 21 T.U.F. e dell’art. 26 del Regolamento Intermediari nella specie) è evitare il gravame di adempimenti che governerebbe in tal modo l’attuazione delle opera- zioni finanziarie di qualunque natura. In altri termini, l’unico motivo per cui in presenza di un derivato di cambio si potrebbe essere portati ad escludere l’ap- plicazione della disciplina dell’intermediazione finanziaria potrebbe essere l’intento di evitare di appesantire in modo severo l’operatività degli intermediari.
Nella difficoltà concreta di stabilire fra questi due opposti valori (tutela del cliente e del mercato da un lato, semplificazione del gravame normativo che attanaglia il sistema dell’intermediazione finanzia- ria) quale debba prevalere, si è ritenuto di affrontare il problema della disciplina applicabile ai derivati impliciti, in una prospettiva sostanzialmente diversa, più legata alla logica contrattualistica intesa in senso stretto, ovvero i) quella della prevenzione e gestione del conflitto di interessi in una logica di trasparenza;
ii) quella della causa contrattuale.
In una prima dimensione emerge evidente che opera in conflitto di interessi e contraddice ogni principio di trasparenza l’intermediario che, nel concludere un contratto di finanziamento, stipula anche un deri- vato di cambio e non comunica alla controparte la natura finanziaria dell’operazione che pone in essere. Con tale omissione, l’intermediario non solo viola l’ufficio di diritto privato ricoperto ma non permette al risparmiatore di agire quale investitore razionale,
(41) Si vedano le sentenze del Tribunale di Udine, richiamate sopra alla nota 31.
(42) X. Xxxxxxx, Xxxxx clausola floor nei contratti di mutuo, in Contr. e impr., 2005, 698 ss.; X. Xxxxxxx, I Derivati incorporati, in Diritto e Prassi dei Mercati Finanziari, Giappichellim Torino, 2016,
463 ss.; X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Clausoledi indicizzazione al franco svizzero, in Società, 2017, 88 ss.
(43) E. Girino, I derivati impliciti: vizi e virtù della scomposizione, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
(44) X. Xxxxxxx, I Derivati incorporati, cit.
consapevole dei rischi connessi ad ogni atto di inve- stimento in cui è coinvolto.
Considerando il secondo punto di analisi, ovvero quello della causa dell’operazione negoziale in essere, il contratto di finanziamento con derivato implicito è, nella lettura della dottrina che qui si riporta, un contratto che ha una prestazione unitaria ma incerta perché il cliente, finanziato dalla banca, deve resti- tuire una somma di danaro il cui ammontare è calco- lato tenuto presente il derivato di cambio ad una data scadenza. Il fatto che la prestazione sia unitaria per- ché indivisibile ed incerta, perché aleatoria nel suo ammontare, è proiezione di come le parti hanno inteso il contratto stesso e del rischio su cui le parti hanno fondato l’intera operazione negoziale.
La suddetta natura aleatoria dell’intera opera- zione chiama a sé l’applicazione del T.U.F. ed in generale della disciplina dell’intermediazione finanziaria.
Con l’ulteriore conseguenza che tale operazione negoziale atipica risulterà meritevole di tutela per l’ordinamento ex art. 1322 c.c. solo e se quell’alea fondante l’intero contratto sia razionale, ovvero sia governata da entrambi i contraenti, e solo se il cliente conosca e condivida sotto il profilo della componente del rischio l’operazione in essere.
Non tutta la dottrina, che pur condivide la natura unitaria del contratto in questione, e l’autonoma configurazione della categoria di derivato implicito, ritiene tuttavia ad esso applicabile il T.U.F.
Quella diversa posizione dottrinale (45), che nega l’estensione a dette operazioni finanziarie del T.U.F. e, in generale, delle disposizioni di trasparenza in materia di servizi di investimento, qualifica tali con- tratti come “prodotti composti”, richiamando quanto previsto in sede regolamentare dalla Circolare del 2009 di Banca d’Italia (46).
Detto provvedimento distingue i prodotti composti, con duplice funzione: di credito e finanziaria. A seconda che la loro “finalità esclusiva” prevalente e preponderante sia di investimento o di finanzia- mento, si applicano le disposizioni del T.U.F. ovvero la disciplina sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e quindi il T.U.B.
Ora, posto che nel contratto host con embedded la componente causale prevalente è creditizia la
conclusione cui si giunge è che risulta esclusivamente applicabile la disciplina bancaria.
In modo altrettanto radicale una diversa dottrina specialistica nega la rintracciabilità del derivato implicito nel negozio host, affermando che, se esso è scindibile, è derivato autonomamente configurato e sottostà ad una sua autonoma disciplina.
Il principio contabile IAS 39, che connota la rap- presentazione contabile e di bilancio del derivato implicito e le stesse Disposizioni sulla trasparenza dettate da Banca d’Italia depongono in questo senso. Lo IAS 39 (che pur riguarda letteralmente i derivati impliciti) ha, infatti, una limitata funzione di rap- presentazione contabile.
La Circolare di Banca d’Italia, invece, che pur trat- teggia la categoria del “c.d. prodotti composti” (47), non sarebbe dirimente, perché disciplina il fenomeno opposto alla scomposizione (ovvero il collegamento negoziale) e perché in ogni caso tende ad attrarre e ad assoggettare alla disciplina della trasparenza bancaria anche la componente contrattuale non bancaria.
Piuttosto, per la ricostruzione che qui si sintetizza, pare opportuna un’inversione del percorso argomen- tativo: per scorporare il derivato dal contratto host, occorre identificarlo.
I requisiti strutturali per identificare il derivato sono sostanzialmente due, ovvero la c.d. “differenzialità derivativa” e “l’astrazione pura” (48).
La differenzialità derivativa è funzione economica e oggetto del contratto derivato; è il pagamento del differenziale di valore (con riferimento all’oscilla- zione di valore del sottostante sia esso merce o un tasso, il cambio o l’indice) che fonda l’operazione finanziaria e la giustifica.
Con tale requisito concorre l’astrattezza del derivato vale a dire la possibilità che lo strumento finanziario sopravviva alla caducazione del contratto principale cui è connesso o in cui lo strumento è ospitato (c.d “autosufficienza derivativa in caso di separazione genetica”).
Così in caso di operazioni di finanziamento conno- tate non solo da una componente derivativa ma da un contratto derivato, esso non è solo complementare ma, in quanto scindibile, può essere autonomamente qualificato, non riconducibile nell’alveo disciplinare del primo contratto.
(45) X. Xxxxxxx, Sulla clausola floor nei contratti di mutuo, cit., 715.
(46) Provvedimento 29 luglio 2009 e successive modifiche - Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari -
Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti
(47) I prodotti composti sono, infatti, “gli schemi negoziali composti da due o più contratti tra loro collegati che realizzano
un’unica operazione economica”; vedi provvedimento Banca d’Italia, Sez. I par. 3 del provvedimento 29 luglio 2009 e successive modifiche.
(48) E. Girino, I derivati impliciti: vizi e virtù della scomposizione, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 9 ss.
In particolare, per la dottrina che qui si richiama, il diritto al versamento del mark to market in caso di cessazione precoce del contratto ospite, costituisce un principale elemento di discrimine tra compo- nente derivativa e derivato, in quanto se è possibile liberarsi unilateralmente del rischio connesso ad un derivato, provocando l’estinzione dell’host, del pari è da escludersi l’“autonomia derivativa”, perché l’alea diverrebbe non già una componente essenziale ed indefettibile della complessa operazione economica e finanziaria posta in essere bensì un accessorio eliminabile.
Ovviamente, ove entrambi i requisiti siano rintrac- ciabili, necessariamente deve trovare applicazione ai derivati la disciplina in materia di obblighi di infor- mazione specificatamente contemplati dal T.U.F. e dalla disciplina secondaria attuativa.
Considerazioni conclusive
Fatta una ricognizione delle tesi sostenute in tema di disciplina dei derivati embedded, si condivide l’ipo- tesi di un’autonoma configurazione della categoria giuridica di derivato implicito (49).
È dubbia la riconducibilità del derivato embedded alla fattispecie di prodotto composto individuata da Banca d’Italia nel provvedimento del 2009, che identifica tale tipologia di prodotto finanziario con l’ipotesi di collegamento negoziale (50).
Preclude la riconducibilità alla fattispecie di prodotto composto individuata da Banca d’Italia il fatto che l’Autorità di Vigilanza, nel qualificare i prodotti composti, li individui come “gli schemi negoziali composti da due o più contratti tra loro collegati che realizzano un’unica operazione economica”.
Nello specifico l’operazione finanziaria complessiva- mente intesa, non è certamente un’ipotesi di colle- gamento negoziale ma integra un contratto con causa di finanziamento mista a causa aleatoria (51), poten- dosi così la funzione scomporre in due cause, pro- spettandosi l’applicabilità delle norme relative ai tipi corrispondenti.
Si tratta, a parere di chi scrive, di un unico contratto, in cui il finanziamento, accordato al cliente, si
coniuga con la scommessa sull’oscillazione del valore della valuta estera, cui fa riferimento la clausola rischio cambio.
Occorre quindi considerare in sequenza gli argomenti che possono deporre per la natura mista di queste ipotesi contrattuali.
Un primo argomento è quello letterale. In buona sostanza il derivato implicito altro non è che una pattuizione inserita nel contratto host, mera clausola negoziale. Il finanziamento, in altri termini, include una componente “derivativa” in quanto il derivato non è in radice contratto separato dal contratto principale.
Un secondo argomento attiene ai profili strutturali del contratto: il finanziamento accordato al cliente si coniuga con la scommessa sull’oscillazione del valore della valuta estera, cui fa riferimento la clausola rischio cambio.
L’aleatorietà permea, infatti, l’intima funzionalità del contratto di finanziamento e concorre nel deter- minare la causa giustificativa dell’operazione. In questa ipotesi l’alea contrattuale insiste sugli effetti del contratto principale e incide sulla causa di finanziamento, che si alimenta dell’elemento aleatorio.
Che l’alea contrattuale sia funzione che, per sua stessa natura, si presti ad essere plasmata e modulata dalle parti contraenti, è dato noto; in questo caso l’alea assume una diversa colorazione e incide sulla quali- ficazione complessiva del contratto stesso e sulla disciplina ad esso applicabile.
Ciò è quanto si verifica, analogamente, in altre fatti- specie per c.d. ibride ricorrenti sempre in ambito finanziario in cui la funzione suffissante deve essere individuata alla luce dell’effettività della ragione economica.
Solo per citare alcune fra le ipotesi contrattuali in cui si propongono ragionamenti analoghi a quelli svolti in tema di derivati impliciti, si pensi alle polizze linked e united linked (52).
Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale su queste polizze è noto: si definiscono “prodotti misti assicu- rativo-finanziari” (53) proprio per evidenziarne l’am- bivalente natura giuridica.
(49) X. Xxxxxxx, I Derivati incorporati, in Diritto e Prassi dei Mercati Finanziari, Torino, 2017, 463 ss.
(50) Si è detto (E. Xxxxx, Strumenti finanziari “incorporati” in altri contratti, cit., 23 ss.) che le due fattispecie (quella di derivato implicito e di prodotto composto) siano attigue ma non coinci- denti. Personalmente ritengo di aderire a questa ricostruzione sul presupposto che qualsiasi scelta interpretativa, anche in settori specialistici come quello in esame, non può prescindere da un inquadramento sistematico del fenomeno.
(51) In questo senso espressamente X. Xxxxxxx, op. cit., 714.
(52) X. Xxxxx X’Xxxxxx, Aspetti controversi del contenzioso sui prodotti della finanza strutturata, in Giur. mer., 2010, 3206 ss.
(53) Con riferimento alla categoria dei prodotti misti assicura- tivo-finanziari cfr. le riflessioni formulate da Bin, Il “prodotto misto” assicurativo-finanziario, in Assicurazioni, 1988, 351 ss.;
X. Xxxxxxx, Il “prodotto misto” assicurativo-finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, 91 ss., nonché E. Xxxxxxxxx, I prodotti misti assicurativi e finanziari, in Xxxxxxx Xxxxxx e Ricolfi (a cura di), Banche ed assicurazioni fra cooperazione e concorrenza, Milano, 1997, 107 ss.
Si fa in particolare riferimento a quell’orientamento giurisprudenziale che riflette sulla natura mista del prodotto linked, ritenendo possibile che i prodotti assicurativi finanziari siano contratti di assicurazione ai sensi del codice civile (54).
Ancora, in tema di prodotti finanziari “For you” e “My way” (55), si è specificato che quella delle operazioni in oggetto è una funzione complessa, “a duplice prevalenza”, in cui il peso attribuito alla causa di finanziamento è equiparato a quello rico- nosciuto alla causa di investimento, funzioni com- penetrate e al contempo perseguite dai contraenti sottoscrittori.
Ciò detto, pur lasciando in disparte questioni da sempre aperte, come quella di ricostruire il dibattito fra l’applicazione della teoria della prevalenza piutto- sto che di quella della combinazione in caso di con- tratti misti, pare plausibile sostenere che, aderendo alla teoria della combinazione, ai contratti di finan- ziamento che incorporano un derivato si applichi assieme la disciplina del T.U.B. e del T.U.F.
Il ragionamento si fonda su di un presupposto logico: v’è da chiedersi perché il cliente dovrebbe subire una disparità di trattamento, ed essere palesemente pre- giudicato quando, invece che concludere un finan- ziamento e un collegato domestic currency swap, nel qual caso risulterebbero applicabili sia T.U.B. che T.U.F., sottoscriva un unico contratto di finanzia- mento con accluso un derivato implicito (ovvero una
clausola rischio cambio), governato in virtù della teoria dell’assorbimento dalla sola disciplina in mate- ria di trasparenza bancaria e creditizia (56).
Inoltre, le due discipline di trasparenza del T.U.B. e del T.U.F. rispondono ad esigenze non del tutto sovrapponibili.
Come è stato bene sintetizzato (57), infatti, la tra- sparenza bancaria è volta ad informare sui costi e prezzi del servizio, nonché a regolamentare lo svi- luppo dei rapporti di durata tra intermediario e cliente; la trasparenza finanziaria, invece, ha come obiettivo di informare gli utenti sul contenuto dei prodotti offerti dagli intermediari, obbligando l’in- termediario ad acquisire informazioni sul cliente e a predisporre flussi informativi sul prodotto. Inoltre, nella prestazione di servizi di investimento finanziari, l’intermediario deve valutare l’adeguatezza dell’inve- stimento in relazione al profilo di rischio del cliente investitore e, nel fare ciò, deve servire al meglio gli interessi del cliente, essendo investito di un ufficio di diritto privato.
Ne consegue che l’ammissibilità dell’applicazione di entrambe le discipline è tanto più configurabile in un quadro generale che è di innalzamento di tutela del cliente, che subisce l’imposizione di condizioni det- tate dal contraente più forte in ipotesi di evidente asimmetria contrattuale, in cui scopo della disciplina è quello di “incentivare” il ricorso al risparmio e alla prevenzione dei rischi (58).
(54) Sul punto X. Xxxxxxxxxxx, Dal contratto di assicurazione ai prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, in IProdotti finanziari assicurativi, a cura di X. Xxxxxxxx, Ipsoa, Milano, 2014, 67 nella specie.
(55) A. Xxxxxxxx, My way, For You, Piano Visione Europa e Corte di Cassazione, in xxx.xxxxxx.xx Cass. 30 settembre 2015, n. 19559, ord.; Cass. 15 febbraio 2016, n. 2900 (in Società, 2016, 721, con nota di X. Xxxxxxxx, For you for nothing o immeritevo- lezza e in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 855, con nota di
X. Xxxxxxx, Giudizio di meritevolezza e violazione di regole di condotta in materia di intermediazione finanziaria); Xxxx. 29 feb- braio 2016, n. 3949; Cass. 2 novembre 2017, n. 26057, ord.
(56) In tal senso si veda anche lo scritto di E. Xxxxx, Strumenti finanziari “incorporati” in altri contratti. Regole di condotta, tra- sparenza bancaria e disciplina del consumo, in www.rivistaodc. eu, 23 ss.
(57) A. Mirone, Sistema e sottosistemi nella disciplina della trasparenza bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, 377 ss. (spec. 382-383).
(58) Su quest’ultimo punto, sull’applicabilità di entrambe le discipline, quella T.U.B. e T.U.F., le opinioni dottrinali restano discordanti; da alcuno si è sostenuto la fallacia del tema della causa per individuare la disciplina applicabile alle operazioni nego- ziali in oggetto così E. Xxxxx, Strumenti finanziari “incorporati” in altri contratti, cit., 27; da altri, (A. Dalmartello, Appunti sulla distri- buzione di mutui indicizzati ad una valuta estera, in Riv. dir. banca- rio, 7, 2017, 13-15) con un’astensione sostanziale dall’affrontare il tema, ci si è interrogati sull’opportunità e sull’effettiva utilità di applicare la disciplina dei servizi di investimento all’operazione economica, a condizione di individuare nella disciplina bancaria una lacuna rispetto a quella finanziaria.
La mancanza nella regolamentazione bancaria pare individuata nell’assenza di una regola analoga a quella dell’adeguatezza che caratterizza la prestazione di consulenza da parte dell’intermedia- rio. Nondimeno l’obbligo di valutare il merito creditizio del cliente bancario, che connota la disciplina del credito ai consumatori, si traduce in una parziale valutazione di adeguatezza del prodotto creditizio.